Rassegna stampa 7 marzo

 

Giustizia: i giornalisti gli studiosi e il catalogo dei "reati etnici"

di Gad Lerner

 

La Repubblica, 7 marzo 2009

 

Per conservare udienza (o meglio: audience), non più solo i politici ma anche gli studiosi ormai rischiano di assoggettarsi al "clamore" della cronaca.

Così l’inchiesta sul cosiddetto "stupro di San Valentino" nel parco romano della Caffarella ha scatenato un uso capzioso, falsamente oggettivato, della scienza statistica. Lo scopo? Catalogare la criminalità in base alla sua matrice etnica, nazionale o religiosa nell’Italia descritta grossolanamente come la Mecca del crimine.

Lo so bene: chi denuncia la divulgazione strumentale di queste ricerche viene subito accusato di negare l’evidenza al solo scopo di difendere la nefasta ideologia "buonista". O peggio viene tacitato come complice degli stupratori, ottuso al punto di ignorare la sofferenza patita dalle loro vittime innocenti. Eppure bisogna pur dirlo, che si sta passando il limite.

In questa elaborazione di dati "politicamente scorretti" - e dunque di gran moda - consegue un notevole successo il professor Luca Ricolfi, che su La Stampa non si stanca mai di ribadire la propria assoluta neutralità di studioso. Da sociologo dotato di competenza tecnica, Ricolfi ha elaborato le percentuali delle violenze sessuali denunciate nel 2007. Per trarne la seguente conclusione: i romeni immigrati hanno una "propensione allo stupro circa 17 volte più alta di quella degli italiani". Un divario, per giunta, in crescita. Sempre i romeni risultano a Ricolfi "2 volte più pericolosi degli altri stranieri" quanto a rapine, "3-4 volte più pericolosi nei furti", mentre sono "leggermente meno pericolosi" nel tentato omicidio e nelle lesioni dolose.

Non ho motivo di dubitare dell’esattezza di tali calcoli aritmetici. Semmai fa sorridere che in altri interventi lo stesso (neutrale) Ricolfi raccomandi di evitare l’allarmismo e l’invenzione di emergenze. Ma se questa ha da essere l’ispirazione, mi chiedo se l’autore non dovrebbe in futuro dedicarsi a portare fino in fondo le conseguenze di tale metodologia applicata nella comunicazione pubblica.

Non siamo forse interessati ad altre scoperte? Per esempio: pubblicare tutte le liste di propensione reato per reato, magari distinguendo il grado di pericolosità su basi di reddito e mestiere, oltre che di nazionalità? Altri magari gradirebbero che s’introduca pure un censimento degli italiani pericolosi regione per regione: perché no? S’annidano più stupratori potenziali in Calabria o in Trentino Alto Adige? In città o in campagna?

Onde evitare poi spiacevoli discriminazioni, sarà il caso di mettere in guardia l’opinione pubblica riguardo alle illegalità cui sono più dediti gli stessi professori universitari e i giornalisti: suppongo non ne manchino.

Naturalmente il sociologo che elabora con cura le sue statistiche (peccato che la grande maggioranza degli stupri non vengano denunciati, inficiando la validità di quelle cifre suggestive) si dichiara estraneo all’uso distorto che ne fanno i mass media; cui peraltro ha strizzato l’occhio sostenendo che "l’Italia è diventata la Mecca del crimine". Definizione, quest’ultima, non proprio scientifica e peraltro contraddetta dai dati del Viminale. Ma che importa? Giungeranno comunque applausi scroscianti, e pazienza se fra gli estimatori c’è chi lucra politicamente e finanziariamente dalla diffusione di falsità grossolane.

Ormai il senso comune è plasmato dalla disinformazione. Molti cittadini in buona fede sono convinti che nel nostro paese la più parte degli stupri siano commessi da immigrati stranieri. In tv passa frequentemente la falsa notizia che gli stranieri costituirebbero l’80% della popolazione carceraria. Nel novembre 2007, dopo l’omicidio della signora Reggiani a Tor di Quinto, circolò sui giornali la notizia che fossero di nazionalità romena addirittura il 75% delle persone arrestate nella capitale dall’inizio dell’anno. Marzio Barbagli la definì "un’ondata di panico morale".

Con la scusa di controbattere un’inesistente rimozione (figuriamoci!) del pericolo rappresentato dalla criminalità straniera, quell’ondata di panico morale si è cronicizzata sotto forma di isteria collettiva. Fino a condizionare la serenità delle indagini di polizia, oltre che le scelte del governo.

Legittimando l’emotività della folla, o peggio mettendosi al servizio della politica, già in passato la scienza si ritrovò a giustificare pregiudizi e a certificare la necessità di discriminazioni. Magari senza accorgersene. Vi furono sociologi che, esibendo cifre all’apparenza inoppugnabili, additarono la "sproporzione" con cui talune categorie occupavano posti di potere e altri delinquivano in eccesso. Siamo sicuri che tale pericolo non si ripresenti?

Nessuno chiede di sottacere i problemi, né di censurare la ricerca sulla devianza. Ma la propaganda degli indici di pericolosità etnici, nazionali o religiosi è robaccia contro cui le società più evolute della nostra hanno già da tempo preso delle contromisure. Le persone responsabili hanno il dovere di non rifugiarsi dietro alla falsa neutralità delle cifre, oltretutto elaborate con criteri parziali e soggette a deformazione.

Giustizia: i proclami e trionfalismi non aiutano mai le indagini

di Vittorio Grevi (Docente di Diritto della Procedura Penale)

 

Corriere della Sera, 7 marzo 2009

 

Mentre non accenna ad attenuarsi la cortina dei pesanti dubbi che ancora gravano sull’episodio dello stupro perpetrato, a metà febbraio, nel parco romano della Caffarella, l’accertata incompatibilità del Dna dei due giovani romeni indagati con le tracce genetiche ritrovate sul corpo e sugli indumenti della vittima costituisce oggi l’unico punto fermo dell’intera vicenda.

Un punto fermo di carattere obiettivo e scientificamente incontrovertibile, che appare di per sé sufficiente a scagionare entrambi i suddetti indagati dalla responsabilità per il delitto di violenza sessuale loro addebitato nel corso delle prime indagini, e per il quale sono tutt’ora detenuti in carcere. Almeno finché, come è verosimile - salvo imprevedibili colpi di scena - il tribunale del riesame non disporrà lunedì la revoca della misura carceraria applicata a loro carico.

Non giova certamente a una appagante ricostruzione degli eventi il rapido sovrapporsi di verità proclamate (anche questa volta, forse, con qualche eccessiva enfasi da parte degli organi inquirenti) e di imbarazzanti smentite, sopravvenute nel giro di pochi giorni, per effetto di uno sviluppo di un’attività investigativa che non ha fornito i previsti riscontri alle ipotesi accusatorie, così come inizialmente prospettate.

Tuttavia, al di là di ogni doverosa riserva di fronte a certi atteggiamenti un po’ troppo trionfalistici, probabilmente indotti dal proposito di "rassicurare" un’opinione pubblica frastornata dal susseguirsi di notizie inquietanti in tema di violenze sessuali (ma talora anche strumentali al dibattito politico contingente, per esempio nell’esaltazione dei metodi "tradizionali e vecchia maniera" delle inchieste di polizia, rispetto ai più moderni strumenti investigativi, tra cui le intercettazioni), alcune utili riflessioni possono già essere fatte, sulla base dei dati concreti fin qui disponibili.

Anzitutto, risulta essere stata corretta la procedura seguita nelle battute iniziali delle indagini, quando ancora si era alla ricerca di significativi elementi indiziali. Il nostro codice, in proposito, è molto rigoroso (allo scopo di evitare qualunque rischio di abusi o di maltrattamenti, ad opera degli inquirenti, diretti a far confessare gli indagati) nell’esigere che l’interrogatorio di soggetti in stato di arresto o di fermo non possa venire condotto dagli organi di polizia, ma debba essere svolto dal magistrato del Pubblico Ministero.

E così è avvenuto anche per il giovane "biondino" Isztoika, che ha reso le sue dichiarazioni - videoregistrate per intero - ancora in stato di libertà, di fronte al Pubblico Ministero e al proprio difensore d’ufficio, ritrattandole poi - soltanto alcuni giorni dopo di fronte al giudice in sede di convalida del fermo. E soltanto in quella sede lamentando di avere confessato (e chiamato in correità il connazionale Racz) a seguito delle violenze che asseriva di aver subito nei precedenti contatti con gli organi di polizia, italiani e romeni.

A parte quest’ultimo aspetto, che dovrà essere ovviamente chiarito, soprattutto due circostanze restano ancora difficilmente spiegabili. Da un canto l’avvenuto riconoscimento fotografico del "biondino", ad opera della giovane vittima dello stupro, quando ormai è certo non essere stato lui l’autore della violenza (il che fa riflettere sull’attendibilità di certi riconoscimenti mediante fotografia).

Dall’altro la circostanza, francamente sconcertante, che il suddetto Isztoika - pur risultando oggi ormai scagionato dal test Dna - nel rendere confessione abbia riferito notizie e dettagli veritieri dell’episodio, che a quanto pare soltanto il responsabile avrebbe potuto conoscere.

Di qui l’ipotesi di una sua presenza sul luogo dello stupro (da cui potrebbe scaturire un’accusa di concorso nel medesimo reato), oppure di un suo rapporto di conoscenza con il vero autore del reato (da cui porrebbe scaturire un’accusa di favoreggiamento personale rispetto a quest’ultimo). Salva restando comunque la probabilità, in capo allo stesso "biondino", di un’accusa di autocalunnia oltreché di calunnia ai danni del connazionale chiamato in correità.

A questo punto si tratta soltanto di attendere che, grazie anche ai nuovi filoni investigativi attivati in Romania, le linee di questa aggrovigliata vicenda si possano precisare. E se ci sono stati degli errori, certo in buona fede, che questi vengano riconosciuti. Soprattutto se qualcuno è stato accusato, e incarcerato, ingiustamente.

Le garanzie, infatti, devono valere per tutti allo stesso modo (italiani o stranieri, regolari o irregolari), e del resto la legge prescrive che, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero debba svolgere altresì accertamenti "a favore" della persona indagata. Così è accaduto, forse un po’ troppo tardi, anche nel nostro caso. E, questa volta, se è esatto quanto precede, il test Dna ha funzionato - come spesso capita - quale prova a discarico.

Giustizia: Napolitano; stupro è infame, non conta nazionalità

 

La Repubblica, 7 marzo 2009

 

Monito di Napolitano durante la celebrazione della Giornata internazionale della donna al Quirinale sulle violenze. "Lo stupro è l’ombra più pesante sulla lotta della donna per la piena parità, la vergogna, l’infamia come tutte le forme di molestia, di vessazione, di persecuzione nei confronti delle donne". Questo "nel mondo come in Italia, in una parte del mondo in modi orribili, barbarici, in Italia verso donne italiane o straniere non fa differenza, ad opera di stranieri o italiani non fa differenza".

Il presidente della Repubblica ricorda il periodo fascista. Il fascismo privò le donne "dei fondamentali ed elementari diritti e le costrinse, se ebree, con le infami leggi razziali" ad abbandonare le scuole pubbliche. Napolitano ha fatto questa dichiarazione ricordando l’esempio di una delle premiate, la professoressa di matematica Emma Castelnuovo.

Il Capo dello Stato le ha reso così omaggio "perché rappresenta e ci ricorda la Resistenza al fascismo che, oltre a privare le donne di fondamentali ed elementari diritti le costrinse, se ebree, con le infami leggi razziali ad abbandonare con i loro colleghi e studenti le scuole pubbliche rifugiandosi con coraggio in un esperimento di scuola privata esclusivamente ebraica". L’Italia sta facendo passi avanti anche "sul piano dell’intervento legislativo" nel reagire alla violenza sulle donne.

Lo afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenendo nel Salone delle Feste del Quirinale alle celebrazioni dell’8 marzo. "Nel nostro Paese - ha sottolineato il capo dello Stato -possiamo dire che si stanno facendo dei passi nel reagire a ogni sorta di violenza contro le donne e a ogni sorta di pratiche lesive della loro dignità. Passi avanti sul piano della presa di coscienza e della denuncia" e - ha aggiunto Napolitano - passi avanti sul piano dell’intervento legislativo e dell’azione di governo, come ci dicono le iniziative richiamate dal ministro Carfagna, alcune delle quali già ampiamente condivise in Parlamento".

Nelle istituzioni e nella politica la presenza delle donne è davvero "modesta". È quanto sostiene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione della Giornata internazionale della donna che si sta svolgendo al Quirinale. Ci sono molte personalità femminili che si stanno affermando nei vari campi ma, sottolinea Napolitano, "restano tante ombre: in particolare quelle della sempre modesta, molto modesta presenza femminile nelle istituzioni rappresentative e in funzioni dirigenti nel mondo della politica".

Giustizia: stupro Caffarella; esame dna non convince procura

di Carlo Bonini

 

La Repubblica, 7 marzo 2009

 

È fosco il destino di Alexandru Loyos Isztoika e Karol Racz, i due cittadini romeni detenuti dal 18 febbraio scorso per lo stupro di una ragazza di 14 anni nel parco della Caffarella e ora scagionati dall’esame del Dna dall’accusa di esserne gli autori materiali. Perché dal gorgo in cui sono precipitati e che si è fatto infernale, difficilmente riusciranno a uscire guadagnando presto la libertà.

E questo al di là di quanto deciderà il tribunale del Riesame, che si riunirà lunedì prossimo. Lo dice la logica di quanto accaduto dal 18 febbraio in poi. Ma, soprattutto, lo ha confermato, ieri mattina, l’esito di un vertice al Palazzo di giustizia cui hanno partecipato il procuratore della repubblica Giovanni Ferrara, il suo sostituto Vincenzo Barba, il questore Giuseppe Caruso, il capo della squadra mobile Vittorio Rizzi.

Legati a filo doppio da una storia in cui, a questo punto, "simul stabunt simul cadent", prigionieri insomma di un’inchiesta che si avvia a diventare un’ordalia in cui si giocano i destini professionali e la dignità dei suoi diversi protagonisti, Procura della Repubblica e polizia hanno deciso di non mollare i due cittadini romeni.

Per la "convinzione di colpevolezza" che, a dispetto della prova scientifica, su entrambi continuano a coltivare, in ragione - ha detto il questore - di "un apparato accusatorio in cui crediamo". Per "l’opportunità" che ritengono offra a questo punto la ritrattazione di Loyos e il riconoscimento di Racz da parte della donna vittima dello stupro di Primavalle. All’osso, un ragionamento semplice. Che suona così. Se Loyos, come vuole inoppugnabilmente il test del dna, non è responsabile dello stupro della Caffarella, e non è neppure l’uomo che, mentendo, copre gli autori della violenza, Loyos allora è un calunniatore.

E per un calunniatore le porte del carcere si possono richiudere nello stesso momento in cui vengono aperte. Se Racz non è, come altrettanto inoppugnabilmente vuole il test del dna, complice di Loyos nello scempio della Caffarella, il suo riconoscimento (successivo al suo arresto) quale uno degli stupratori di Primavalle, giustifica, se liberato, un suo ritorno in carcere. Per un’altra vicenda, certo. Ma di stesso segno e violenza.

Che questo sia il perimetro in cui Procura e Questura hanno deciso di muovere è del resto confermato dal comunicato ufficiale con cui si è chiuso il vertice. Due pagine in cui, significativamente, si ricordano i passaggi ormai noti dell’indagine e dunque la genesi del quadro indiziario (dal riconoscimento fotografico di Loyos, ai tempi e i modi della sua articolata confessione notturna), ma in cui, soprattutto, si sottolinea come "tutta l’attività investigativa sia stata orientata alla ricostruzione di quanto accaduto e dalla ricerca della verità".

Perché, si legge, "sono stati gli stessi organi inquirenti ad accogliere, doverosamente, tanto gli elementi a sostegno delle ipotesi accusatorie che quelli favorevoli agli indagati nel pieno rispetto delle regole processuali". Non esattamente un pro forma, ma il segnale della consapevolezza della natura della posta in gioco e del segno ormai non più soltanto giudiziario di questa storia.

Come del resto, ieri mattina, già segnalavano le parole di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, lesto nel tirare una linea di demarcazione in questa vicenda che separi le responsabilità della politica da quelle degli addetti alla sicurezza: "Non dobbiamo fare giustizia sommaria, ma trovare i responsabili che poi devono pagare fino in fondo". "Servono indagini serrate, dure ma fatte in maniera precisa ha aggiunto - Ho parlato più volte con il questore, che sta facendo il massimo per assicurare alla giustizia i colpevoli. Bisogna assicurare ovviamente alla giustizia i colpevoli, che non devono poi essere scarcerati, e non gli innocenti".

Giustizia: le ronde sbagliate, nel posto e nel momento sbagliato

di Claudio Magris

 

Corriere della Sera, 7 marzo 2009

 

Una vecchia canzone, che molti anni fa ho sentito cantare da Milly - credo in uno dei suoi ultimi récital - dice del malinconico giro notturno di una ronda militare guidata da un caporale. La ronda sfiora le insidie della notte, senza riuscire a sventarle; anche quando s’imbatte in una coppia clandestina teneramente abbracciata, il caporale, che ha riconosciuto nella donna sua moglie, non può intervenire e deve proseguire, perché si è accorto che l’uomo è il suo generale.

Benché inconcludente, quella ronda è almeno composta di soldati e il suo passo cadenzato comunque rassicura almeno un po’, in quella dimessa notte, nell’eventualità di pericoli più gravi. Certo, non solo di notte ci si può sentire insicuri, come dicono le cronache recenti. Pure certe facce possono, da sole, incutere un po’ di paura, a vedersele davanti e troppo vicine.

Una di queste facce deve essere per esempio quella del giovanotto aspirante rondista che si vantava di avere in tasca un’arma impropria, con l’evidente voglia di usarla, menzionato dall’onorevole Tabacci, in un magnifico intervento di alcuni giorni fa durante una trasmissione televisiva (Ballarò), in cui diceva che non avrebbe proprio voluto trovarselo di fronte. Un liberale dovrebbe sapere che una società civile si fonda sul presupposto che solo lo Stato abbia il monopolio della forza e il compito di esercitarla; talora - se occorre, dinanzi a criminali agguerriti e pericolosi - con tutta la durezza necessaria.

Sono i soldati a difendere la Patria con le armi; il termine "forze dell’ordine" designa polizia e carabinieri (i quali sono pure militari) e non altri. Quell’aspirante rondista con l’arma impropria in tasca è un nemico della società e dei cittadini e deve essere messo - dalle forze dell’ordine, non dalla Società Ginnastica o da quella Filatelica - in condizione di non nuocere. Si parla dell’urgenza di tutelare la sicurezza dei cittadini affiancando in quest’opera alle forze dell’ordine ronde costituite da volonterosi volontari.

Ma perché non si parla di tutte le forme di violenza che ci minacciano? Ci sono gli stupri, che vanno ovviamente impediti e repressi con la massima severità, siano essi compiuti da romeni su italiani o da italiani su romeni, come è pure avvenuto anche se se n’è parlato un po’ meno, da poveri immigrati o da bellimbusti di più fortunati natali, come pure avviene.

È evidente che nessun lacrimevole buonismo e nessuna sconcia solidarietà di classe possono intralciare l’azione penale, sia il reato commesso da un immigrato clandestino o da un rispettabile professionista, simile a quei delinquenti dalle buone maniere e dal prestigio sociale che il genio di Buñuel ha immortalato ne Il fascino discreto della borghesia. Non tutti i poveracci che dormono sotto i ponti ("gli oppressi ragionano male", diceva Marx), e non tutti i soci di un elegante club hanno cuore e sono brave persone.

Tuttavia i bravi cittadini non sono minacciati solo da stupratori, ladri o rapinatori. La mafia, la camorra o la ‘ndrangheta delinquono ben di più; assassinano, uccidono bambini che spariscono nel calcestruzzo, taglieggiano migliaia di onesti commercianti, incendiando i loro negozi se non pagano il pizzo. Il fenomeno è così diffuso da rendere difficile alle forze dell’ordine, sovraccariche di lavoro, fronteggiarlo. Perché chi propone le ronde non le destina a proteggere quei commercianti dalla criminalità organizzata, vigilando sui loro esercizi taglieggiati, pronti a segnalare l’arrivo degli scagnozzi della camorra o della mafia?

E perché, se si vogliono le ronde, non adibirle a un altro servizio, pur esso provvido e urgente: la protezione dei pacifici cittadini dalle bestiali violenze dei bestiali cosiddetti ultrà del calcio, che aggrediscono persone causando loro gravi o gravissime lesioni, devastano e distruggono (l’ho visto con i miei occhi) esercizi e locali per puro sfogo osceno di violenza, causando gravissimi danni a individui e famiglie che vedono distrutto il risultato di anni di lavoro e di risparmio e si vedono economicamente danneggiati in misura assai pesante.

Anche in questo caso, ovviamente, l’esercizio della repressione e la tutela della sicurezza spettano allo Stato. Sicurezza di tutti, senza pregiudizi a priori nei confronti di nessuno e senza troppe titubanze. Sarebbe increscioso se le forze dell’ordine, già così oberate, dovessero pure intervenire per difendere i pacifici cittadini da ronde esaltate o, ancor peggio, per difendere inesperte ronde da esperti malviventi.

Giustizia: Lega; nel Veneto, sì alle ronde e no ai militari del Sud

 

Ansa, 7 marzo 2009

 

"Sì alle ronde, no ai militari meridionali, che vengono a colonizzare il Veneto". In previsione dell’apertura della stagione turistica, la Lega boccia la proposta di impiegare i militari per pattugliare le spiagge sul litorale veneziano. "Nelle ronde volontarie - spiega il consigliere regionale Daniele Stival - ci sono meridionali, ma sono da anni integrati con la realtà locale. L’esercito porterebbe invece meridionali che non hanno nessuna conoscenza del nostro territorio. Meglio a questo punto difenderci da soli".

Giustizia: uno sciopero della fame per l’abolizione dell’ergastolo

di Sandro Padula

 

Liberazione, 7 marzo 2009

 

Il 16 marzo sciopero della fame in tutta Italia, di ergastolani, detenuti, parenti, amici, volontari. L’ergastolo, residuo monarchico delle pene detentive italiane, fa discutere e lottare dentro e fuori le mura delle carceri della penisola.

Continua infatti lo sciopero della fame degli ergastolani iniziato il primo dicembre, a staffetta e per gruppi di regioni, e proseguono le iniziative dei solidali, all’esterno delle carceri, nell’ambito della campagna per l’abolizione del "fine pena mai".

Il bollettino "Mai dire mai" del mese di febbraio, pubblicato dall’Associazione Liberarsi, e numerosi siti Internet fanno capire che la lotta è proseguita a gennaio e febbraio, trovando anche la solidarietà dentro e fuori dalle mura delle galere in Germania, Spagna, Grecia, Svizzera, Francia e Cile.

In diverse città italiane si sono svolti presidi nelle vicinanze delle carceri: il 14 gennaio a Montorio (Verona), il 18 gennaio a Biella; il 24 gennaio ad Alessandria; il 29 gennaio nel borgo S. Nicola di Lecce; il 31 gennaio in via Speziale a Taranto, al quale è seguito un concerto con tre gruppi musicali (SFC, Sick Boy e No Thanx); il 14 febbraio vicino al carcere Dozza di Bologna; il 15 febbraio in via Burla 59 a Parma.

Si sono altresì avuti diversi incontri e dibatti: ad esempio, il 17 gennaio presso il laboratorio sociale "La città di sotto" di Biella e il 27 gennaio nella sede di un circolo anarchico di Lecce, dove è stato proiettato il film Filaki - Una rivolta nelle carceri greche, aprile 2007.

Alcuni consiglieri regionali hanno espresso la propria solidarietà alla lotta per l’abolizione dell’ergastolo anche nei mesi di gennaio e febbraio: a metà gennaio i consiglieri regionali del Frilui Venezia Giulia Stefano Pustetto e Roberto Antonaz hanno fatto visita al carcere di Tolmezzo, accompagnati da Christian De Vito e da Giuliano Capecchi dell’associazione Liberarsi, per incontrare i detenuti delle sezioni a 41 bis e i detenuti ergastolani della sezione A.S. (Alta Sorveglianza); il 3 febbraio inoltre il Consigliere regionale del Molise Michelangelo Bonomolo, accompagnato da Giuliano Capecchi, ha incontrato i detenuti ergastolani del carcere di Larino.

I grandi organi di informazione, complici come sono della produzione dell’"emergenza criminalità" e della caccia al Girolimoni di turno, hanno continuato per lo più a disinteressarsi del fatto che da oltre 60 anni, come dimostra l’esistenza dell’ergastolo, l’articolo 27 della Costituzione repubblicana non è applicato in maniera effettiva.

Solo da parte di alcuni giornali locali si è avuto il coraggio di fornire qualche indiretto riferimento alla lotta per l’abolizione dell’ergastolo.

Domenica 25 gennaio, ad esempio, il quotidiano "Gazzetta del Sud" ha pubblicato un articolo, riguardante il carcere calabrese di Rossano, che terminava in questo modo: "in vista della protesta di carattere nazionale degli ergastolani che partirà domani e che consisterà proprio nel rifiuto del vitto… tutto il cibo cotto e pronto per la consumazione, anziché essere buttato nella spazzatura, sarà consegnato gratuitamente alla mensa della Caritas".

Qui ovviamente riportiamo fatti che ognuno è libero di considerare come meglio ritiene. Il dramma è che spesso i fatti connessi alla lotta contro l’ergastolo neanche si conoscono. Per questo non solo è utile riportarli nudi e crudi ma anche comunicare subito le scadenze previste per l’immediato futuro.

Prima di tutto bisogna ricordare che, dopo il turno della Sicilia (2-8 marzo), lo sciopero della fame riguarderà gli ergastolani e i detenuti del Lazio (9-15 marzo).

Il 15 marzo, contemporaneamente all’ultimo giorno di lotta nel Lazio, alle ore 11 avrà inizio un incontro nazionale con all’ordine del giorno due punti: un primo bilancio generale dello sciopero della fame iniziato il 1° dicembre 2008 e le iniziative future per giungere all’abolizione dell’ergastolo e all’attuazione dell’art. 27 della Costituzione.

L’Associazione Liberarsi ha chiesto al csoa Forte Prenestino (via Federico Delpino - Centocelle - Roma tel. 0621807855 mail: forte@ecn.org) di poter organizzare al suo interno questo momento di scambio e discussione anche perché già da tempo segue le tematiche del carcere. È prevista la chiusura alle ore 18.00.

Last but not least, lunedì 16 marzo ci sarà, a livello nazionale, lo sciopero della fame per l’abolizione dell’ergastolo e per l’attuazione dell’art. 27 della Costituzione italiana. Si mobiliteranno ergastolani, detenuti, parenti, amici, volontari e persone che ritengono giusta la lotta per l’abolizione del "fine pena mai"!

Giustizia: Concutelli ai domiciliari, dopo un’ischemia cerebrale

 

Ansa, 7 marzo 2009

 

Pierluigi Concutelli, l’ex terrorista di Ordine Nuovo, ha ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute. La detenzione domiciliare è stata decisa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma su istanza del legale di Concutelli.

L’ex terrorista, detenuto a Rebibbia, a dicembre è stato colpito da ischemia cerebrale e ricoverato in ospedale. Stava scontando tre ergastoli per l’omicidio del giudice Occorsio e per quelli dei neofascisti Ermanno Buzzi e Carmine Palladino. Il terrorista di Ordine Nuovo, prima dei domiciliari concessi oggi, godeva del regime di semilibertà che gli venne revocato definitivamente dal Tribunale di Sorveglianza nello scorso mese di ottobre.

Dal 2001 poteva uscire dal carcere e farvi ritorno di sera e lavorare in una cooperativa di detenuti come giardiniere. Il provvedimento di revoca della semilibertà era stato adottato in seguito ad una perquisizione fatta dalla polizia penitenziaria al terrorista. Nelle sue tasche gli agenti della penitenziaria trovarono una modesta quantità di hascisc. La penitenziaria segnalò la vicenda al magistrato di sorveglianza. che successivamente sospese i benefici.

Giustizia: Romeo scarcerato dopo tre mesi di custodia cautelare

 

Ansa, 7 marzo 2009

 

Il Gup Enrico Campoli, motivando la sentenza con un documento di cinque pagine, ha deciso la scarcerazione di Alfredo Romeo, unico degli imputati ancora in carcere. L’imprenditore, che era detenuto a Poggioreale dal 17 dicembre, è stato rilasciato perché sono venute meno le esigenze di custodia cautelare in carcere in quanto all’imprenditore sono stati sequestrati i conti e le attività. Il giudice ha valutato anche l’incensuratezza dell’imputato, oltre all’impossibilità di fuga e della reiterazione del reato. Tra poche ore Romeo potrà ritornare nella sua casa di Posillipo.

Ma l’imprenditore non è l’unico dei coinvolti nell’inchiesta Global Service che riassapora la libertà. Sono infatti cessare le esigenze cautelari anche per gli altri imputati che si trovavano agli arresti domiciliari. Sono stati scarcerati l’ex assessore comunale Giuseppe Gambale, l’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise Mario Mautone, i due collaboratori di Romeo, Paola Grittani e Guido Russo, e il tenente colonnello della Guardia di Finanza Vincenzo Mazzucco. Per tutti i pm avevano espresso parere contrario alla revoca della misura cautelare.

Francesco Carotenuto, legale di Alfredo Romeo insieme all’avvocato Bruno Von Arx, ha comunicato all’imprenditore la notizia della scarcerazione. Romeo è stato in silenzio, poi ha detto: "Ora dobbiamo cominciare a studiare". La giustizia, infatti, non ha fatto ancora il suo corso: per dodici degli imputati, tra i quali appunto l’imprenditore, è stato fissato il processo con rito abbreviato per il 30 marzo prossimo.

Sicilia: Sindacato Medici apre Sezione di Medicina Penitenziaria

 

Comunicato stampa, 7 marzo 2009

 

Sindacato Medici Italiani Sicilia e costituzione della Sezione Regionale per la Medicina Penitenziaria. Si è riunita la Segreteria Regionale del Sindacato Medici Italiani Sicilia che ha sancito la costituzione della Sezione Regionale per la Medicina Penitenziaria.

Questa nuova sezione sindacale nasce in un momento particolare per la medicina penitenziaria che prevede il passaggio in toto al Servizio Sanitario Nazionale, così come previsto dal Dpcm 1 aprile 2008. Responsabile regionale è stato nominato il dott. Giovanni Musumeci, medico penitenziario, dirigente sanitario della Scuola di Formazione ed Aggiornamento per il Personale del Corpo e dell’Amministrazione Penitenziaria di San Pietro Clarenza Catania.

 

Il Segretario Regionale

Dott. Salvatore Valore

Venezia: 30enne tunisino si impicca in cella, la procura indaga

 

Il Gazzettino, 7 marzo 2009

 

Si è tolto la vita in cella impiccandosi. Il dramma interiore, che si è concluso giovedì sera con il suicidio, di un cittadino extracomunitario ha scatenato un bel po’ di confusione nella Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore. Per tutta la giornata il pubblico ministero Stefano Michelozzi ha compiuto sopralluoghi e sentito testimoni e custodi della struttura.

Se una persona decide di farla finita in casa sua, la Procura viene coinvolta solo marginalmente dal fatto, ma se una persona è sotto la custodia di una struttura statale, devono scattare accertamenti puntuali. Perché, anche se questa eventualità è in genere molto remota, potrebbero configurarsi responsabilità penali nei confronti di terze persone.

È ancora troppo presto per comprendere le modalità e le motivazioni, dal momento che non si conosce quasi nulla della storia personale della vittima. Tutto ciò che si sa è che era un cittadino tunisino dell’età di circa 30 anni, che stava scontando una condanna per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. In carcere a Venezia non era un personaggio conosciuto, anche perché risultava essere arrivato non da molto tempo perché trasferito dalla struttura di Reggio Emilia. In base a prime indiscrezioni, le persone che lo conoscevano un poco avrebbero affermato che avesse qualche problema di natura psicologica.

Questo aspetto tenderebbe ad escludere a priori ogni aspetto connesso alla vivibilità delle strutture carcerarie italiane, più volte al centro di polemiche a causa di un sovraffollamento endemico. In ogni caso, la Procura ha deciso di vederci chiaro e ha disposto tutti gli accertamenti possibili.

"Se una persona decide di togliersi la vita - ha commentato il Procuratore capo, Vittorio Borraccetti, è un dramma umano grandissimo ma non ha una grande rilevanza per l’amministrazione della giustizia. Diverso è il caso in cui muore suicida una persona affidata allo Stato. In questo caso è doveroso compiere ogni accertamento nel modo più rigoroso possibile. Dovremo cercare di conoscere tutto sulla sua vita per capire che cosa abbia portato quella persona a compiere quel gesto. Solo alla fine valuteremo se possono esistere eventuali profili di responsabilità".

Da quanto è dato sapere, la vittima non sembra fosse in regime di isolamento e pertanto potrebbero esserci delle persone che hanno assistito al gesto. Il dottor Michelozzi ha già disposto l’autopsia per chiarire le cause di morte e se in precedenza aveva assunto medicinali o sostanze velenose o tossiche.

Proprio una decina di giorni fa la Cgil aveva denunciato gravi problemi all’interno del carcere, dovuti prima di tutti al sovraffollamento da parte di detenuti appartenenti a 22 etnie differenti. Secondo i calcoli del segretario provinciale Salvatore Lihard, mancherebbero una sessantina di agenti di polizia penitenziaria nella sezione maschile e una ventina in quella femminile.

Cagliari: "ultrà" del calcio muore in carcere per broncopolmonite

 

Corriere della Sera, 7 marzo 2009

 

Capo ultrà muore in carcere a seguito di una broncopolmonite, i tifosi assaltano la prigione. Gli Sconvolts, incappucciati e armati di bombolette spray, si sono scontrati con la polizia. Momenti di tensione ieri sera davanti al carcere cagliaritano di Buoncammino: una cinquantina di appartenenti agli Sconvolts, gli ultras del Cagliari, si è ritrovata davanti al penitenziario inscenando una manifestazione non autorizzata per ricordare Giancarlo Monni, un appartenente al gruppo, detenuto nel carcere cagliaritano, morto la scorsa settimana nel reparto infettivi dell’ospedale Santissima Trinità.

Sul posto sono intervenute alcune volanti della Polizia, uomini della Digos e della polizia scientifica. Dagli ultras sono partiti cori all’indirizzo degli agenti della polizia penitenziaria.

Imbrattato anche il muro del carcere con alcune scritte all’indirizzo degli agenti in servizio nel carcere, definiti "secondini". Poi il gruppo si è allontanato senza creare problemi e nessuno degli ultrà è stato fermato o identificato.

Il dolore per la morte di un amico - si legge in una nota del segretario territoriale della Cgil Funzione Pubblica, Sandro Dessì - non può mai trasformarsi in rabbiosa ondata di violenza nei confronti di chi con grande sacrificio tenta di garantire sicurezza e umanità nel carcere di Buoncammino. Stigmatizziamo gli episodi accaduti che consideriamo incivili, esprimiamo la nostra solidarietà alle vittime e invitiamo l’Amministrazione penitenziaria a farsi carico dei danni subiti dagli operatori".

Genova: nelle celle non c’è più posto, si sta in piedi solo a turno

 

Secolo XIX, 7 marzo 2009

 

Fino a 7 persone in 12 metri quadri, letti compresi. I detenuti sono 700 rispetto ai 340 previsti. A Marassi i detenuti fanno i turni. Per frequentare le scuole della Casa Circondariale ma anche per accedere agli impianti sportivi durante le ore d’aria. E fin qui, tutto normale: in carcere, peraltro, il tempo non manca a nessuno.

Però è spiazzante scoprire che i "turni" autogestiti esistono anche per qualcosa di molto più banale: le camminate. "Se in una cella di 12 metri quadrati convivono sette persone e ci devono stare anche i letti a castello - racconta un operatore - è inevitabile: i detenuti non possono stare in piedi tutti assieme, persino per fare due passi e sgranchirsi le gambe fanno i turni. E, quando uno si muove, gli altri devono stare seduti o sdraiati al loro posto".

Il direttore Salvatore Mazzeo ammette la sua impotenza. "I nostri "ospiti" sono 700, erano 340 all’indomani dell’indulto, la capienza ottimale. Così, non possiamo fare di più". Il disagio può diventare paura irrazionale quando, costrette a convivere, sono persone sane e malate: lo spettro del possibile contagio fa paura ovunque,in cella ancora di più. Anche per questo è nato il progetto "Hiv & Carcere" che vede in campo la Provincia e il Coordinamento ligure persone sieropositive, per parlare serenamente di Aids ai detenuti.

Roma: Sindacati Polizia Penitenziaria proclamano agitazione

 

Adnkronos, 7 marzo 2009

 

Stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria del carcere romano di Rebibbia. A proclamarlo, i sindacati Sappe, Osapp, Sinappe, Cisl Fps, Cgil Fp, Uilpa, Ussp e Fsa Cnpp, che "in considerazione delle difficoltà denunciate nell’incontro del 26 febbraio la direzione della Casa circondariale, rispetto alle carenze di organico e della sicurezza per il servizio traduzioni" e riguardo le "difficoltà più volte rappresentate in queste ultimi mesi all’organico del Nuovo Complesso oramai ridotto ai livelli minimi di presenza rispetto alla pianta organica", chiedono il "rientro dei distaccati", presenti nelle sedi dipartimentali e di via Arenula che sono in carico della direzione del Nuovo complesso, "sottratti in questi ultimi 10 anni riducendo i livelli minimi di sicurezza dei servizi all’interno dei reparti detentivi".

I sindacati chiedono poi il ripristino delle "condizioni di sicurezza del servizio traduzioni oramai sotto i livelli minimi nelle unità presenti (140) rispetto ad una pianta organica (250 unità) stabilita al momento della sua costituzione del ottobre 1997".

In caso contrario, annunciano i sindacati in una nota congiunta, "entro 7 giorni saremmo costretti ad attuare forme di proteste pubbliche ad oltranza e sospendere ogni relazione sindacale per mancanza di risorse umane al fine di rendere possibile il ripristino dei livelli minimi di sicurezza che non sono più attuabili per evidenti carenze di organico di Polizia Penitenziaria rispetto ad una popolazione detenuta che supera le 1.500 presenze". Tutto questo "a discapito - concludono - della sicurezza dell’intera cittadinanza".

Nuoro: straordinari non pagati protestano gli agenti di Mamone

 

La Nuova Sardegna, 7 marzo 2009

 

Il primo passo sarà l’astensione dalla mensa obbligatorio di servizio, a partire dal nove marzo, a oltranza. Seguiranno altre forme "più eclatanti", di protesta, nel penitenziario di Mamone, dove la situazione della sicurezza, della condizione del personale e degli stessi detenuti è talmente grave da aver radunato tutte le sigle sindacali, Sappe, Cisl, Cgil, Uil, Sinappe, in un documento inviato ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria regionale e al direttore Gianfranco Pala.

"La cronica carenza di personale di Polizia penitenziaria si è ulteriormente aggravata da recenti pensionamenti di poliziotti. Gli stessi non sono stati reintegrati, e come se non bastasse la popolazione detenuta è aumentata in maniera spropositata e sta continuando ad aumentare", scrivono i sindacati. A peggiorare le cose si è aggiunta l’apertura delle tre sezioni della Centrale, una aperta qualche mese fa, una qualche giorno fa e l’altra prossima all’apertura, che si aggiungono alle tre sezioni già in funzione.

In centrale per il servizio mattiniero espletano il lavoro quasi sempre due agenti, al massimo tre e gli stessi devono garantire il controllo di sei sezioni, i passeggi, accompagnare i detenuti in infermeria, gestire e controllare tutti i detenuti che transitano in Centrale che arrivano dalle varie diramazioni. In tutto questo non c’è un minimo di sicurezza.

Chi espleta servizio nella Portineria la maggior parte delle volte deve caricarsi del servizio porta carraia e centralino. La mancanza di personale non permette un costante controllo dei detenuti che lavorano all’esterno della Centrale. Nelle diramazioni è la stessa cosa, il non controllo dei detenuti lavoranti significa sicurezza zero".

C’è poi il tasto dello straordinario: "Negli altri istituti dell’Isola viene pagato tutto quello effettuato, mentre a Mamone si continua prepotentemente a pagarne solo una parte costringendo il personale a prendere il riposo compensativo, quando viene concesso, e quasi sempre viene concesso senza concordarlo col dipendente". E a fronte di una richiesta dell’ufficio servizi di circa 60.000 ore di straordinario per tutto l’anno 2009, ne sono pervenute solo 15.000. Insomma, l’ennesimo capitolo di una vertenza che la dice lunga sul disinteresse nei riguardi di una seria e complessiva politica carceraria.

Lamezia: il carcere ha 700 anni; serve subito nuova struttura

 

www.lameziaweb.biz, 7 marzo 2009

 

Il coordinatore regionale della Uilpa - Penitenziari Gennarino De Fazio da oltre un anno, con varie iniziative, sta cercando di sensibilizzare il sindaco e, più in generale, l’amministrazione comunale di Lamezia Terme per candidare la città al fine della realizzazione di una nuova struttura penitenziaria, per soppiantare quella ospitata nel convento realizzato nel 1300 e che garantisce una capienza ottimale pari a trenta posti.

"Tuttavia - spiega - al di là di quelle che appaiono come mere dichiarazioni di circostanza e di pura cortesia, di cui comunque si ringrazia, non si è avuta notizia di alcun atto concreto operato dal sindaco Gianni Speranza e dalla sua Giunta. Anzi, si è avuta la chiara sensazione di una certa riluttanza all’idea. Quasi a voler rifuggire da qualsiasi accostamento al concetto stesso di carcere. Eppure l’occasione per tutto l’hinterland lametino è assai ghiotta.

Per far fronte - aggiunge De Fazio - alla gravissima emergenza penitenziaria che investe il Paese (oltre 60.000 detenuti per circa 43.000 posti disponibili ed il numero dei ristretti in carcere lievita di circa 1.000 unità al mese) il Governo ed il Parlamento hanno varato misure eccezionali. Nei giorni scorsi, infatti, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 27 febbraio 2009, numero 14, che attribuisce poteri straordinari al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta - che è stato nominato "Commissario straordinario" - specifiche attribuzioni per velocizzare le procedure operative necessarie alla costruzione di nuove carceri.

Il Commissario straordinario - secondo il coordinatore regionale dell’Unione Italiana Lavoratori Pubblica Amministrazione, Penitenziari - ha sessanta giorni per redigere un programma di interventi necessari per far fronte all’emergenza, specificando tempi e modalità di realizzazione e indicando le risorse da impegnare. Gli interventi da realizzare saranno inseriti nel programma di "Opere strategiche di preminente interesse nazionale" previste dalla legge obiettivo numero 443/2001 e nel programma triennale di cui all’articolo 163, decreto legislativo 163/2006.

Si sa per certo che - puntualizza - unitamente ad altre misure, c’è allo studio la costruzione di almeno cinque nuove carceri per la capienza regolamentare di quattrocento posti ciascuno da realizzare entro il 2011. Il sindaco, Natale Amantea, e la Giunta comunale di Maida, diversamente dagli omologhi della città della Piana, hanno dimostrato concretezza e lungimiranza. In soli due giorni dalla ricezione di una mia lettera, infatti, la Giunta comunale di Maida si è riunita in seduta straordinaria e stamani ha deliberato per la candidatura della città ad ospitare una struttura penitenziaria impegnando il sindaco a formalizzarla presso l’amministrazione penitenziaria.

Già individuata dall’amministrazione - informa Gennarino De Fazio - l’area comunale, di particolare interesse strategico, su cui l’edificio dovrebbe sorgere. Non sono certamente sfuggiti all’acume del professor Amantea e della sua Giunta le prospettive che si aprirebbero per tutto il comprensorio lametino e gli impareggiabili riflessi che ne conseguirebbero per l’economia locale con la realizzazione di una moderna struttura penitenziaria.

Infatti - va avanti - oltre al considerevole incremento dell’organico della polizia penitenziaria assegnato, che aumenterebbe la presenza di donne e uomini dello Stato a difesa della sicurezza dei cittadini e della libertà delle istituzioni repubblicane in un territorio ancora martoriato dalla criminalità organizzata e non (si pensi che un contingente del Reparto a cavallo della Polizia penitenziaria verrà tra pochi giorni incaricato anche della sorveglianza del Parco della Caffarella di Roma dopo il recentissimo episodio di stupro), il nuovo carcere porterebbe certamente una consistente e duratura ventata d’ossigeno per i livelli occupazionali e per l’economia locale, sia per via degli stessi lavori di costruzione sia, e specialmente, per l’enorme indotto che l’accompagnerebbe: arredamenti, manutenzioni, rifornimenti e approvvigionamenti vari, mense del personale, mantenimento detenuti, presenza di operatori e dei loro familiari, visite e permanenza in città dei congiunti dei detenuti, di legali, di organi inquirenti".

La Uilpa Penitenziari "plaude pertanto all’amministrazione comunale di Maida ed invita tutti i rappresentanti politici della circoscrizione di ogni schieramento a sostenerne la candidatura per la realizzazione del nuovo carcere nell’interesse della collettività che rappresentano".

Roma: docenti di Rebibbia riuniti, per programmazione lavori

 

Comunicato stampa, 7 marzo 2009

 

Venerdì 20 febbraio 2009 si è tenuta una riunione tra gli insegnanti e le insegnanti della sezione carceraria di Rebibbia. Hanno partecipato i rappresentanti del Ctp di Via Tiburtina Antica, 25 e di tutte le sezioni coordinate di Rebibbia appartenenti all’IIs "J. von Neumann" (Itis Giudiziario e Femminile - Itc Giudiziario e Penale - Ipc Penale). Durante la riunione si è discusso nel merito della nuova istituzione dei Cpia (Centri Provinciali Istruzione Adulti) e delle problematiche connesse a tale trasformazione, che riguardano questioni attinenti sia agli aspetti didattici che alla revisione degli organici.

I nuovi Centri Provinciali per l’istruzione agli adulti avranno infatti un proprio organico (che si definisce distinto da quello degli ordinari percorsi scolastici) e gli studenti dei nuovi centri non si iscriveranno a veri e propri corsi di istruzione, ma a semplici percorsi didattici per il conseguimento di titoli.

L’istruzione in ambito penitenziario non si può però ridurre al semplice conseguimento di titoli, ma rappresenta per il detenuto,per l’insegnante e per l’intera società è invece un valore irrinunciabile. L’istruzione in carcere è attuata infatti nel rigoroso rispetto dei principi costituzionali, cui si ispirano peraltro anche l’ordinamento penitenziario vigente e i successivi regolamenti attuativi e ha da sempre contribuito in maniera positiva alla formazione, alla crescita e all’integrazione sociale dei detenuti e delle detenute.

In questo senso qualunque quadro normativo relativo all’istruzione per gli adulti non può prescindere da una accurata osservazione, rilevazione e specifica conoscenza dell’organizzazione dell’istruzione carceraria, la cui peculiarità rende necessario un approfondimento dei nuclei fondanti e rappresenta il presupposto essenziale per non svuotare i contenuti e gli obiettivi della scolarizzazione dei detenuti.

Da questo comitato si lancia un appello a tutti i docenti e le docenti appartenenti all’istruzione in carcere affinché si formino comitati in ogni realtà carceraria, prevedendo un primo incontro nella prossima Assemblea nazionale di tutte le componenti del movimento della scuola che si svolgerà presumibilmente domenica 15 marzo a Roma.

Gli insegnanti e le insegnanti dell’istruzione in carcere ritengono infatti che la riforma dell’istruzione per gli adulti, che inevitabilmente investirà anche gli adulti ‘ristretti’( per i quali non è proponibile un siffatto modello educativo) rientri nel più generale piano di revisione del quadro normativo e organizzativo della scuola pubblica italiana e pertanto ritengono che ci si debba inserire,pur con le proprie specificità, nelle rivendicazioni portate avanti in questi mesi da tutte le componenti del movimento della scuola.

 

I docenti e le docenti delle sezioni carcerarie di Rebibbia

Terni: un’iniziativa musicale con il Progetto "Il carcere in rete"

 

Ansa, 7 marzo 2009

 

Il progetto Il carcere in rete, promosso dalle associazioni e enti del volontariato operanti in carcere, dalle direzioni degli istituti di pena della Regione Umbria e dagli enti locali e regionali, si propone il raggiungimento di importanti obiettivi, come i percorsi di reinserimento e animazione per la durata della pena.

È stata presentata nei giorni scorsi presso la Casa Circondariale di Terni un concorso musicale anomalo e affascinante, il cui premio è costituito da un piccolo ma significativo tour nelle quattro carceri dell’Umbria. Si tratta del contest Rock in Sabbione dal nome della località dove sorge il carcere di Terni.

Saranno cinque i gruppi in lizza domenica presso lo Skylab di Terni. Solo due saranno scelti per esibirsi nei penitenziari di Terni, Perugia, Spoleto ed Orvieto, presenti le associazioni: Arci Ora d’Aria di Terni, Arcisolidarietà di Perugia, I Miei Tempi e San Martino, grazie al contributo del Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Terni. prevede di organizzare concerti pei i detenuti delle Case Circondariali di Terni, Perugia, Spoleto e Orvieto. Un’iniziativa, questa, che ha l’intento di sensibilizzare i giovani nei confronti del carcere e di far conoscere loro questa realtà come artisti.

Milano: Antonella Ruggiero in concerto per Festa della donna

 

Ansa, 7 marzo 2009

 

Antonella Ruggiero, ex voce dei Matia Bazar, festeggerà la festa delle donne insieme alle detenute di San Vittore il 9 marzo in un personale concerto. La sofferenza delle canzoni in dialetto per comunicare con gli stranieri, dedicato alla tradizione musicale meneghina, con un repertorio di brani in dialetto lombardo come O mia bela Madunina e La ballada del pittor.

L’evento si inserisce nell’ambito della rassegna Volgar eloquio promossa in collaborazione col Piccolo teatro di Milano, che fino al 9 marzo celebra le radici della cultura lombarda attraverso la musica, il teatro e la poesia con concerti e spettacoli nei luoghi-simbolo di Milano. Oltre alla Ruggiero, molti sono gli artisti coinvolti, da Marco Paolini a Franco Branciaroli, da Davide Van De Sfroos a Toni Servillo.

Stati Uniti: caso Parlanti; il presidio al Consolato Usa di Firenze

 

La Nazione, 7 marzo 2009

 

Per chiedere la libertà di Carlo Parlanti, fisico analista programmatore di Montecatini, è stata organizzata da Casa Pound Italia, davanti al consolato americano di Firenze. Dal 2005 Parlanti è detenuto in California per stupro, accusa da sempre respinta. E i familiari lanciano un appello alle autorità per la riapertura del caso.

Nuova manifestazione per il caso Parlanti. Un altro presidio, stavolta davanti al consolato americano di Firenze, per chiedere la libertà di Carlo Parlanti, il fisico analista programmatore di Montecatini Terme detenuto dal 2005 in California, con una condanna di 9 anni per stupro, reato da sempre negato dall’accusato. All’iniziativa di stamattina, organizzata da Casa Pound Italia, ha partecipato anche il partecipato il fratello Michele che ha ribadito la richiesta di "riapertura delle indagini".

E aggiunge: "La sua innocenza è palese. Non si può incarcerare un uomo solo sulla base di parole dette da una persona che, come prove, ha portato solo due foto. materiale su cui, per altro, i periti non hanno saputo stabilire né dove né quando siano state scattate". Fin dall’inizio della vicenda Carlo Parlanti ha, infatti, respinto le accuse, ritenendole esclusivamente frutto della vendetta della sua ex convivente, Rebecca White, che poi lo accusato di stupro.

Altri presidi si sono svolti a Milano, Napoli e Roma - come fanno sapere i militanti di Casa Pound -. Alla manifestazione organizzata nella capitale hanno partecipato anche la madre di Carlo, Nada Pacini, e l’attuale compagna, Katia Anedda, vicina alla battaglia del fidanzato, di cui ha sempre difeso l’innocenza.

Una vicenda tormentata, su cui la famiglia chiede da sempre alle autorità di fare nuova luce: "Penso che le autorità italiane possano fare di più - ha sottolineato il fratello Michele - anche se si tratta di una vicenda delicata". E testimonia le condizioni difficili in cui vive Carlo, e l’esigenza di arrivare al più presto ad un migliore epilogo: "Mio fratello ha problemi di salute ma nonostante questo é recluso in una cella-dormitorio con 400 persone".

 

 

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