Rassegna stampa 10 marzo

 

Giustizia: la crisi e il discrimine fra i cittadini italiani e gli "altri"

di Giuseppe Berta

 

La Stampa, 10 marzo 2009

 

Ciò che ieri Umberto Bossi ha detto a Gad Lerner, sostenendo che nell’assegnazione di posti di lavoro e di abitazioni la preferenza deve essere accordata agli italiani, segna indubitabilmente un passaggio nella percezione della crisi e delle sue ricadute sociali. Per la prima volta un rappresentante di governo sancisce che sono i tempi difficili a imporre di discriminare fra i cittadini italiani e gli "altri".

Bossi, naturalmente, interpreta una reazione immediata, più ancora che un diffuso senso comune, di fronte alla crisi: quando la recessione incomincia a mordere davvero, il primo istinto è quello di fare quadrato, impedendo che la propria posizione sociale ed economica sia messa a rischio da forze esterne.

Anche quando esse risultino in realtà ben radicate ormai dentro i confini della nostra società. In fondo, Bossi ha dato voce a un sentimento che si va allargando a macchia d’olio nell’Europa di oggi: quello di reintrodurre la distinzione fra "noi" e "loro" che la globalizzazione, con la radicalità della sua espansione, era parsa mettere in discussione. È il sentimento espresso dai lavoratori inglesi che hanno protestato contro gli operai italiani delle raffinerie, accusati di accettare condizioni economiche inferiori alle loro e dunque di minare la stabilità delle loro occupazioni. Probabilmente, Bossi e la Lega Nord si sono accorti, come già è avvenuto altre volte in passato, che serpeggia un’avversione nei confronti delle figure ravvisate come la personificazione dei pericoli della globalizzazione e pensano di doverla rappresentare, in parte per giustificarla e ricavarne consenso politico e in parte perché intuiscono che questi atteggiamenti non possono essere semplicemente censurati od oscurati.

Chi se la prende oggi con gli immigrati e li accusa di sottrarre lavoro a sé e ai propri concittadini non dispone ovviamente di una comprensione effettiva del mercato del lavoro. Bastava osservare i cantieri edili degli ultimi anni per accorgersi della presenza prevalente di una popolazione di lavoro che si era sostituita agli operai locali perché da tempo costoro si erano ritirati da quelle attività. Ma chi è pronto a unirsi alla protesta verso la presenza eccessiva dei lavoratori stranieri lo fa sull’onda di un timore che non nasce da una valutazione razionale. Lo fa perché vuole sentirsi confortato da altre voci, magari più forti e autorevoli della sua, decise ad affermare che è il lavoro italiano a dover essere difeso in primo luogo, così come la produzione va riportata per quanto si può dentro il territorio nazionale.

Il sistema globale non ha mai goduto di cattiva fama come adesso. Quanti anni sono passati dalla rivolta del movimento no global di Seattle e di Genova? All’inizio del nostro secolo era la sinistra estrema a mobilitarsi contro un mondo senza frontiere. Oggi agli occhi di molti la globalizzazione appare come una tendenza irrazionale e distruttiva. Un’organizzazione inutilmente complessa che si ritorce contro i soggetti stessi che l’hanno realizzata. Non pochi devono aver pensato che un pò di ragione i lavoratori inglesi devono avercela, ammesso che sia vero che gli italiani si accontentano di guadagnare meno di loro. E di sicuro è ancora maggiore il numero di quanti ritengono che faccia bene Sarkozy a concedere gli aiuti all’industria francese, a patto di lasciare le fabbriche dove sono e come sono. Di questi succhi si nutre un atteggiamento che vede nel cosmopolitismo promosso dall’internazionalizzazione dell’economia una costruzione artificiale e dannosa.

Finora abbiamo guardato soltanto alle conseguenze economiche della crisi. Ci siamo soffermati sulla caduta dei mercati, delle Borse e della produzione. Man mano che il cammino di questa durissima recessione avanza, tuttavia, dovremo incominciare a preoccuparci dei suoi aspetti politici. È impossibile ritenere che lo stato d’inquietudine e di disagio sempre più acuto non assuma forme politiche. Che non si sviluppino manifestazioni e tendenze inclini a far leva sul malessere per indicare soluzioni radicali e sommarie della crisi.

La sinistra europea di governo, che si è identificata nell’ultimo decennio con la modernizzazione derivante dalla crescente espansione internazionale dell’economia, ha perso contatto con quell’universo popolare che si sente penalizzato da una "società aperta" in cui soltanto i soggetti più forti si muovono a loro agio. È naturale perciò che questi strati sociali si rivelino sensibili a chi promette di ripristinare un ordine naturale delle cose, turbato dagli sconvolgimenti recenti. Per questo, è urgente dialogare con coloro che manifestano le loro paure davanti alla crisi. Per mostrare loro come all’origine della crisi stia un assetto mondiale non più imperniato sull’Occidente, di fronte a cui è illusorio cercare riparo in una cittadella fortificata.

Giustizia: Caffarella; romeni discolpati, ma rimangono in cella

 

Il Velino, 10 marzo 2009

 

Annullate tutte e due le ordinanze di custodia nei confronti dei romeni accusati dello stupro di San Valentino al parco della Caffarella a Roma. Il tribunale del riesame ha respinto totalmente le richieste del pubblico ministero Vincenzo Barba ritenendo insufficienti gli indizi per tenere in carcere Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz sia per l’accusa di violenza sessuale, sia per l’altra ipotesi, pure avanzata dal pm in udienza, di "concorso morale" nella violenza eventualmente commessa da altri non ancora identificati.

In pratica, la confessione di Loyos da un lato (poi ritrattata) nonostante contenesse "dettagli" che a parere dell’accusa non potevano essere conosciuti se non da chi avesse partecipato al fatto, non rappresenta un indizio sufficiente. Così come non bastano il riconoscimento fatto dalla ragazzina vittima della violenza e dal suo fidanzato, la "chiamata di correo" di Loyos nei confronti di Racz. Nessun peso è stato poi dato dai giudici, ma questo era prevedibile, a quello che qualcuno ha chiamato "supertestimone": il medico che faceva jogging nel parco della Caffarella e ritiene di aver riconosciuto nei due accusati le persone che ha visto mezz’ora prima della violenza.

In pratica, l’impossibilità di individuare il Dna degli accusati sui reperti raccolti dagli investigatori, prevale su qualunque altro elemento attualmente a disposizione. Il tribunale ha disposto perciò la scarcerazione dei due accusati "se non detenuti per altro". Una formula che, nel caso di Racz, serve a tenerlo in carcere sulla base dell’altra ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, quella per lo stupro a Primavalle del 21 gennaio scorso. In questo caso Racz è stato riconosciuto dalla vittima nel corso di un incidente probatorio e dunque il "peso" dell’accusa è maggiore, almeno in teoria.

 

Perché restano in cella

 

Non verrà scarcerato nessuno dei due accusati dello stupro di San Valentino, anche se il tribunale del riesame ha annullato le ordinanze di custodia per insufficienza degli indizi. Anche Alexandru Isztoika Loyos resterà infatti detenuto perché pochi minuti prima della notifica del provvedimento di scarcerazione del riesame inviato via fax alla direzione del carcere, la polizia ha consegnato a Loyos, nella sua cella, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Guglielmo Muntoni con le accuse di calunnia e autocalunnia. Il nuovo ordine di cattura per la diversa accusa è stato "chiuso" in pochi minuti, subito dopo la decisione del riesame. Infatti se, come conclude il tribunale, non ci sono indizi per ritenere che i due romeni abbiano commesso la violenza sessuale, allora vuol dire che la confessione di Loyos si "trasforma" in autocalunnia per quanto riguarda la sua stessa posizione, e in calunnia in riferimento alla "chiamata di correo" nei confronti di Karol Racz.

L’ordinanza-bis è stata chiesta dallo stesso pm Vincenzo Barba il quale però, in questo modo, si è preclusa la possibilità di presentare ricorso contro la decisione del riesame. In pratica l’accusa ha "preso atto" del provvedimento dei giudici del tribunale del riesame e ha aperto un nuovo fascicolo per il reato di calunnia e autocalunnia. Dando quindi per accertato che quella confessione sia falsa e che dunque Loyos e Racz non abbiano nulla a che fare con la violenza sessuale. In sostanza, l’annullamento delle ordinanze di custodia disposto dal riesame non ha prodotto alcun effetto concreto sulla detenzione dei due accusati. Karol Racz resta detenuto per violenza sessuale - almeno fino ad una ulteriore decisione del riesame - per lo stupro di Primavalle il 21 gennaio. Loyos resta detenuto per calunnia e autocalunnia.

La conseguenza "processuale" però della decisione dei giudici del riesame è consistente: anche in base alla nuova ordinanza di custodia l’inchiesta sullo stupro alla Caffarella non potrà che concludersi con la richiesta di archiviazione nei confronti di Loyos e Racz. Il primo potrebbe essere processato invece per calunnia, mentre il secondo per un diverso caso di violenza sessuale.

 

Legale Racz: atto dovuto decisione del Riesame

 

"Non posso che essere contento e soddisfatto. Sotto diversi profili posso dire che mi aspettavo questo provvedimento del tribunale del riesame". Lo ha detto l’avvocato Lorenzo La Marca, difensore di Karol Racz, per il quale è stata annullata la misura cautelare in relazione allo stupro al Parco della Caffarella. "La revoca della misura cautelare era ed è un atto dovuto - ha ribadito La Marca -.

Confidavo nel tribunale del riesame, ritengo che il sistema giuridico italiano e l’attuale codice penale funzionino e siano in condizione di garantire in modo celere la revoca di provvedimenti che possono limitare la libertà personale". Quanto all’altra vicenda, lo stupro di Primavalle per il quale Racz è ancora detenuto, "preferisco attendere che vengano depositati i risultati del dna", ha concluso il penalista.

Giustizia: le modifiche del processo nelle riforme del Governo

 

Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2009

 

Il quadro delle modifiche procedimento per procedimento previsti dal pacchetto di riforme del Governo.

Processo civile: Il Ddl competitività, collegato alla Finanziaria e approvato dal Senato mercoledì scorso (e ora all’esame della Camera),contiene una corposa serie di misure per accelerare il processo civile. A partire dall’aumento della competenza per valore dei giudici di pace e dalla semplificazione del regime delle questioni sulla competenza. Sono previste sanzioni processuali perla parte che con il suo comportamento ostacola la veloce definizione della causa, mentre la redazione della sentenza sarà semplificata. La razionalizzazione dei tempi coinvolgerà sia le impugnazioni (riduzione da un anno a sei mesi) sia le consulenze. Fa poi ingresso la testimonianza scritta, dietro accordo tra le parti. Mentre le cause più semplici avranno una corsia preferenziale con il nuovo procedimento sommario di cognizione, mediante il quale il giudice deciderà entro poche udienze.

Processo del lavoro: Potenziamento della fase di conciliazione e dell’arbitrato. Questa la ricetta per snellire le norme sul contenzioso in materia di Lavoro contenute nel Ddl n. 1167 all’esame del Senato, anch’esso collegato alla Finanziaria 2009 (disegno di legge che contiene anche La delega sul sommerso e sui lavori usuranti). Sul versante dei licenziamenti è previsto il raddoppio dei termini a disposizione del lavoratore per impugnare il recesso (da 60 a 120 giorni). Termini che si applicheranno anche al recesso del committente nel rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e al trasferimento. Attraverso una modifica al testo unico delle spese di giustizia è poi istituito un forfait per i processi del lavoro: bisognerà pagare la somma di 103 euro a prescindere dal valore della controversia.

Processo penale: Non solo attribuzione di più poteri alla polizia giudiziaria nella fase delle indagini. Il disegno di legge sul processo penale approvato dal Governo il 6 febbraio scorso fissa infatti la durata massima per ogni grado di giudizio, secondo la formula del 3÷2+1, tribunale, appello e cassazione, per un totale di sei anni (e, al massimo, un altro anno ancora qualora la cassazione decida per il rinvio del ricorso) per mettersi così in pace rispetto alle richieste di risarcimenti della legge Pinto e alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. All’imputato è invece assegnato un potere più ampio quanto all’ammissione di prove a discarico, per esempio non sono più vietate le prove superflue. Per decidere se fare appello, accusa, difesa ed eventuali parti civili hanno tre giorni di tempo dalla lettura del dispositivo della sentenza.

Processo amministrativo: Un annodi tempo al governo per adottare gli strumenti legislativi necessari per il riassetto del processo amministrativo, davanti ai Tare al Consiglio di Stato. La delega e contenuta nello stesso collegato di riforma del processo civile (dalla cui entrata in vigore scatterà il conto alla rovescia per esercitarla).Trai principi e criteri direttivi da seguire, la possibilità di individuare misure, anche transitorie, per eliminare il forte arretrato, e di procedere alla revisione dei riti speciali. E previsto il riordino della tutela cautelare e del sistema delle impugnazioni. Nel caso di accoglimento della sospensiva, ad esempio, l’udienza di merito deve essere poi celebrata entro il termine di un anno. Per ridare snellezza e velocità all’apparato della giustizia amministrativa, inoltre, si procederà a estendere le funzioni monocratiche oltre alla fase cautelare, com’è attualmente previsto.

Processo tributario: È stato recentemente annunciato un disegno di legge delega da parte del Governo sul processo davanti alle commissioni tributarie, provinciali e regionali, alle quali è riconosciuto il ruolo di prima linea nella gestione delle entrate tributarie e della lotta all’evasione. Al centro del disegno di legge saranno poste non solo le questioni della celerità dei processi (il contenzioso fiscale continua ad aumentare) e delle incompatibilità, ma anche quella della formazione dei giudici. E le modifiche non riguarderanno esclusivamente il lavoro dei magistrati tributari. E infatti previsto anche un intervento sulla sezione tributaria della Corte di cassazione. Altro probabile terreno di interventi è quello ordinamentale con l’accesso alla carriera differenziato in base alla provenienza dei giudici e con la precisazione delle cause di incompatibilità.

Giustizia: Cassazione; risarcimento anche per i detenuti in Opg

 

Apcom, 10 marzo 2009

 

L’indennizzo per ingiusta detenzione spetta anche a chi è stato rinchiuso, in attesa di giudizio, in un ospedale psichiatrico giudiziario. La Cassazione ha "allargato le maglie" del risarcimento concesso a chi viene arrestato e poi assolto. Per la prima volta la Corte, ribaltando una sentenza della Corte d’appello di Genova, ha riconosciuto il diritto all’indennizzo in un caso in cui nei confronti dell’accusato era stato disposto il ricovero in un Opg con una "misura di sicurezza provvisoria".

La vicenda, singolare, riguarda un minorenne di La Spezia che nell’agosto 2004 è stato arrestato per la ricettazione di un orologio e, sottoposto a perizia psichiatrica che ne aveva accertato l’incapacità di intendere e di volere ma anche la pericolosità sociale, è stato ricoverato in Ospedale psichiatrico giudiziario.

In seguito all’appello della difesa il tribunale di sorveglianza di Genova, dopo aver disposto una nuova perizia che concludeva invece per la non pericolosità sociale, nel giugno 2005 ha revocato il ricovero in Opg e ha disposto l’affidamento ai servizi sociali in una comunità di Sassello. I familiari del ragazzo hanno perciò chiesto l’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita dal giovane. La Corte d’appello ligure ha respinto la richiesta affermando che "il ricovero in ospedale psichiatrico, pur essendo definito tecnicamente detenzione, mira alla cura del soggetto oltre che a tutelare la collettività, per cui non è ipotizzabile un risarcimento riferito ad un provvedimento fondato su ragioni di cura dell’interessato".

In sostanza secondo i giudici di merito non sarebbe possibile risarcire qualcuno soltanto perché lo Stato si è preso cura di lui. Una tesi che i giudici della quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza 5001, non condividono.

"È vero - scrive la Corte - che la norma non fa espresso riferimento a misure cautelari diverse dalla detenzione ma - precisano - occorre dare applicazione al principio in modo ragionevole". A proposito delle ragioni che portano alla scarcerazione dell’accusato, la Cassazione ricorda che sebbene tra queste il codice non preveda "la non imputabilità per vizio di mente" e "la non pericolosità sociale", in ogni caso "l’esigenza cautelare è collegata al pericolo di reiterazione dei reati che, a sua volta, è alla base del concetto di pericolosità sociale".

Per i giudici "il fatto che l’internamento in Opg abbia anche finalità curative non contrasta con il diritto" al risarcimento in caso di ricovero ingiusto perché fondato su presupposti sbagliati. Insomma, carcere o ospedale psichiatrico fa poca differenza e quando si viene privati ingiustamente della libertà si ha diritto ad un risarcimento.

Giustizia: i Servizi segreti; le carceri terreno fertile per jihadisti

 

Panorama, 10 marzo 2009

 

Sono passati almeno tre anni dagli ultimi grossi attentati terroristici di matrice islamista in Europa (a Londra, il 7 luglio 2005), ma il pericolo del terrorismo è ancora reale. Anche in Italia. Lo conferma il Comitato analisi strategica antiterrorismo (Casa) nell’annuale Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza), diretto da Gianni De Gennaro, con il contributo di Aisi (ex Sisde) ed Aise (ex Sismi). Le minacce terroristiche all’Italia vagliate, dalle più serie alle meno realistiche, sono state 216 nel corso del 2008. Nella Relazione si sottolinea che non ci sono riscontri sul "concreto sviluppo di pianificazioni offensive" nel nostro paese o verso obiettivi italiani all’estero.

Ma la "vocazione logistica" dell’Italia per i circuiti terroristici resta. Per il Dis il panorama integralista risulta fluido e puntiforme, distinto dalla presenza di ristretti circuiti estremisti, spesso risultati raccolti attorno a referenti carismatici". Un fenomeno questo che "è parso in crescita negli ambienti carcerari, dove è stata rilevata un’insidiosa opera di indottrinamento e reclutamento svolta da veterani, condannati per appartenenza a reti terroristiche, nei confronti di connazionali detenuti per spaccio o reati minori". Il carcere non più "università del crimine" ma centro di indottrinamento per i più esaltati.

Secondo la Relazione le regioni in cui il radicalismo islamico assume aspetti più preoccupanti sono Lombardia ("in ragione sia della presenza di elementi già noti per l’appartenenza ad ambienti integralisti, sia dell’ingresso in campo di nuove leve") e Campania, in particolare l’hinterland partenopeo, dove sono stati rilevati interessi comuni "tra estremisti, provenienti anche dall’estero, e delinquenza comune magrebina attiva nel settore del falso documentario". Realtà sensibili individuate "anche in Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia Romagna".

Per quanto riguarda invece la più ampia realtà europea nella Relazione viene evidenziata la crescita dei militanti cosiddetti "homegrown" ovvero di seconda generazione, quelli cresciuti in Occidente. E l’importanza del web rilevanza del web "quale ambito alternativo di radicalizzazione, reclutamento ed addestramento".

Giustizia: sparizioni e sospetti omicidi, nella clinica degli orrori

di Attilio Bolzoni

 

La Repubblica, 10 marzo 2009

 

C’è una casa degli orrori sulle montagne calabresi. Dove in tanti scompaiono, dove in troppi muoiono. È un ricovero per derelitti e ripudiati di ogni specie che è diventata reggia per un prete e discarica umana per chi c’è finito dentro. Truffe, imbrogli, saccheggi e ora, ora anche il sospetto di alcuni omicidi. Donne e uomini che non si trovano più. Qualcuno sta indagando per scoprire che fine hanno fatto in ventisette. Dodici sono spariti, per altri quindici l’ombra di una morte violenta. Il luogo del mistero è Serra D’Aiello, paesino di settecento abitanti aggrappato all’appennino aspro che da Cosenza scende a strapiombo verso il mare di Amantea e la piana di Falerna.

La casa degli orrori è nascosta là sopra, in tre casermoni di pietra grigia incastrati uno dentro l’altro che dieci anni fa davano riparo a 900 degenti e oggi a quasi 300. Giovani e vecchi, malati, invalidi, mutilati, paralitici, matti veri e matti presunti, tutti soli dalla nascita o abbandonati dalle famiglie, molti con un piccolo patrimonio personale che è stato inghiottito nelle casse di una fondazione religiosa. Ma dopo i raggiri alla Regione e le ruberie ai pazienti, i carabinieri stanno cercando di ricostruire le "morti sospette". Da qualche mese il sostituto procuratore di Paola Eugenio Facciolla ha formalizzato un’inchiesta su quei 12 scomparsi e su 15 "possibili omicidi". Poi ci sono almeno altri cento casi di pazienti che hanno subito lesioni gravi. E non solo una volta. Gli investigatori ipotizzano che dentro all’istituto Papa Giovanni XXIII avrebbero fatto sparire uomini e donne per appropriarsi dei loro beni.

Ci sono anche un paio di anonimi arrivati ultimamente in Procura che parlano "di un traffico di organi". Quanto sia vera fino in fondo questa storia lo svelerà il futuro dell’inchiesta giudiziaria, intanto però la storia raccontiamola dall’inizio. Dal luglio del 2007. Dal giorno che don Alfredo Luberto è stato sospeso a divinis dopo cinque mesi di arresti domiciliari.

I finanzieri ci hanno messo dodici ore per fare l’inventario delle "cose" trovate nella bella casa di don Alfredo. Disegni di De Chirico, scatole piene di ori e argenti, preziose stilografiche, una rara collezione di orologi, un leggìo scultura di Giacomo Manzù, mobili di lusso, una sauna e una palestra in mansarda. E ci hanno messo qualche giorno per scoprire che quel prete, presidente dell’istituto Papa Giovanni XXIII - casa di ricovero di proprietà della curia arcivescovile di Cosenza nata "per curare malati cronici o con problemi psichici" - era il ras del manicomio lager dove molti pazienti erano trattati come bestie. Nel silenzio di tutti, nell’omertà di un paese intero.

Lasciati per giorni in mezzo alla sporcizia, le zecche in corsia, epidemie di scabbia, letti sgangherati, coperte che non c’erano, finestre senza vetri, cessi che nessuno puliva mai. All’istituto di Serra D’Aiello, negli anni Novanta quasi duemila dipendenti fatti assumere dai politici di ogni colore della provincia, la Regione Calabria versava per ogni ricoverato una retta giornaliera dai 110 ai 195 euro. Quello che lì dentro spendevano realmente per i malati - l’hanno certificato i periti nominati dalla procura di Paola - andava dagli 8 agli 11 euro al giorno. Gli altri soldi se li tenevano don Alfredo e pochi altri. Succedeva di tutto con il denaro che non arrivava mai a chi doveva arrivare. Cinquanta euro al giorno di contributi regionali per l’"assistenza spirituale" o cinquanta euro al giorno per l’"assistenza religiosa", a volte i malati non avevano però neanche da mangiare. L’accusa ha calcolato che in pochi anni gli amministratori della fondazione si sono impossessati di 13 milioni di finanziamenti e di altri 15 milioni di contributi mai pagati. In un primo momento è stato indagato anche l’ex vescovo di Cosenza Giuseppe Agostino ("Avrebbe dovuto vigilare e invece firmava carte per conferire a don Alfredo il dominio perpetuo sull’istituto Papa Giovanni"), poi il monsignore è uscito incolpevole dalle indagini. A rinvio a giudizio - deciso proprio ieri - andranno in 27 per associazione a delinquere e truffa e appropriazione indebita. Il primo della lista è il "prete dell’Harley Davidson". L’altra passione di don Alfredo: le motociclette americane.

Dopo lo scandalo dei soldi sono saltate fuori le cartelle cliniche taroccate. Centinaia sembravano compilate in fotocopia, tutte uguali. Come le diagnosi. Tutte uguali anche quelle. Per chi aveva problemi alle gambe o per chi aveva problemi alla testa. Altre cartelle cliniche non si sono mai trovate, altre ancora hanno fatto partire le nuove indagini sulle morti sospette. "Ci sono casi di fratture multiple mai trattate", racconta un investigatore. La relazione dei periti e, nel settembre del 2008, l’apertura della nuova inchiesta sugli scomparsi di Serra D’Aiello.

Dal 1997 sono cominciati a svanire nel nulla i primi pazienti. E il primo fra i primi è stato un certo Bruno. Poi è toccato a una donna (il suo nome è ancora top secret), poi a Domenico Antonino Pino. Lui aveva ventinove anni, era rinchiuso al Papa Giovanni da dodici. Una notte dell’estate del 2001 qualcuno è entrato nella stanza dove dormiva e se l’è portato via con la forza. Il suo compagno di ricovero ha riconosciuto due uomini in camice, nessuno gli ha creduto. "È matto", hanno detto. I parenti di Domenico Pino per anni l’hanno inutilmente cercato. Qualcuno dell’istituto è arrivato a dire "che se n’era andato con le proprie gambe": Domenico era immobilizzato da bambino su una sedia a rotelle. Dopo di lui è scomparso un certo Di Tommaso, poi un certo Pollella, poi un certo Tiano. E un altro e un altro ancora. Fino al dicembre scorso. L’ultimo sparito di Serra D’Aiello è un uomo di 68 anni.

"Lo so anch’io di quest’ultimo scomparso e anche di Domenico Pino", dice il sindaco Antonio Cugliotta. Di scomparsi, solo di scomparsi si parla sottovoce in questi giorni nel paese sulle montagne calabresi. In piazza. Nei vicoli che si inseguono fino ai boschi. Nella strada davanti al Papa Giovanni dove ora i 550 dipendenti, con anni di stipendi arretrati, protestano perché non arrivano più soldi dalla Regione. Dice il proprietario del bar "centrale" Amerino Sendelli: "Vivo qui da prima del 2000, tutti sanno di quelle scomparse e tutti tacciono per paura". Dice Francesco Provenzano, carpentiere: "Tutti hanno paura". Dicono tutti: "Tutti hanno paura". È il mistero di Serra D’Aiello.

Giustizia: Sappe; questa estate arriveremo a 65 mila detenuti

 

Comunicato Stampa, 10 marzo 2009

 

1.300 detenuti in più rispetto alla fine del mese di gennaio per una popolazione detenuta complessiva che si avvicina rapidamente a quota 61mila unità. È questa l’attuale situazione nei 206 penitenziari italiani, che dai 59.060 detenuti presenti il 31 gennaio 2009 è passata alle 60.350 presenze del 28 febbraio 2009.

Esprime preoccupazione il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di categoria dei Baschi Azzurri del Corpo.

Spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe: "Con una media costante di 1.000 ingressi al mese e in assenza di veri provvedimenti deflattivi, le carceri italiane rischiano di diventare roventi nei prossimi mesi estivi in cui potremmo arrivare ad avere oltre 65mila detenuti. Si tenga conto che la capienza regolamentare dei nostri penitenziari è di circa 43mila posti: averne oggi quasi 61mila vuol dire, soprattutto per i poliziotti penitenziari che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive, condizioni di lavoro particolarmente stressanti e difficoltose, anche dal punto di vista della propria sicurezza individuale. Si tenga conto che gli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria registrano carenze quantificate in ben oltre 5mila unità. Questo dovrebbe far comprendere quali e quanti disagi quotidianamente affrontano le donne e gli uomini del Corpo, cui va la riconoscenza e la gratitudine non solo del Sindacato che rappresento ma, ne sono convinto, di tutta la Nazione.

Capece giudica positivo che il Cipe abbia recentemente stanziato 200 milioni di euro per realizzare penitenziari che sostituiscano le strutture più vecchie e fatiscenti, ma la questione generale del sovraffollamento penitenziario non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia. Non solo per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori, ma soprattutto per la carenza di risorse umane, specificamente Polizia penitenziaria e personale del Comparto ministeri, necessarie per la gestione delle nuove strutture: le attuali dotazioni organiche sono infatti già drammaticamente carenti.

Il Sappe conclude Capece vorrebbe provare a suggerire una soluzione deflattiva, tenuto anche conto che oggi abbiamo il 51% dei detenuti imputati, il 46% definitivi ed il 3% internati. Da molto tempo ormai parliamo di una espansione dell’esecuzione penale esterna, ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone, sia dalla stessa collettività. Invito dunque i Ministri della Giustizia e dell’Interno, Alfano e Maroni, a riprendere celermente i lavori per la definizione di quello schema di decreto interministeriale del Ministro della Giustizia di concerto con quello dell’Interno finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe).

Il decreto, inspiegabilmente accantonato, prevedeva molto chiaramente quale era il ruolo della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna: svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia - proprio perché specializzati nella gestione dell’esecuzione penale - la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Forse questo potrebbe convincere anche i Magistrati a ricorrere maggiormente alla concessione di tali misure alternative. Mi appello dunque ai Ministri Alfano e Maroni perché quello schema di decreto interministeriale possa tornare quanto prima ad essere discusso.

Giustizia: Sanità penitenziaria; alle Regioni non arrivano i soldi 

 

Redattore Sociale - Dire, 10 marzo 2009

 

Sotto accusa gli "incomprensibili ritardi" nell’assegnazione delle risorse finanziarie. Colombini (Forum diritto alla salute in carcere): "Ancora fermi al Cipe i primi 147 milioni di euro". Servono "atti chiari e tempestivi".

Ritardi, mancanze, inadempienze. Il trasferimento delle competenze per la salute penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, e quindi alle regioni, è in una fase di vero e proprio stallo. E chi ci rimette sono i detenuti, e in seconda battuta la cittadinanza in generale. A denunciare l"emergenza sanitaria nelle strutture penitenziarie italiane è il Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere che, questa mattina, ha organizzato una conferenza stampa presso la Camera dei deputati. Dallo scorso 1 ottobre, in applicazione del Dpcm del 1 aprile 2008, le regioni hanno la piena competenza della sanità in tutti gli istituti penitenziari per adulti e minori e negli Ospedali psichiatrici giudiziari.

La riforma stenta però a decollare, fa notare il Forum, che sottolinea come questa fase di transizione sia "contrassegnata da incomprensibili ritardi nell'assegnazione delle risorse finanziarie alle regioni" e da "lentezze esasperanti nell’assunzione delle competenze sanitarie da parte delle regioni a statuto speciale e delle province autonome". Ma ci sono anche "ambiguità nei ruoli direzionali degli Ospedali psichiatrici giudiziari" e "tentazioni di invasione di campo" tra i due diversi ordinamenti, quello penitenziario e quello giudiziario, che operano nel carcere.

"I primi 147 milioni di euro che dovevano essere trasferiti alle regioni per garantire il diritto alla salute non sono ancora arrivati e sono tuttora fermi al Cipe - ha dichiarato la presidente del Forum, Leda Colombini, sottolineando come la cosa crei "un vero disastro nelle carceri". "È una situazione che rischia di esplodere - ha proseguito -. Noi vogliamo contribuire a governare questa fase di passaggio per garantire la salute in carcere e in esterno".

Per risolvere tutti i problemi in sospeso il Forum si appella dunque al governo, alle regioni e a tutte le istituzioni interessate. "È il momento di predisporre in ogni regione e in ogni istituto penitenziario programmi di prevenzione, di cura e di riabilitazione - scrivono i promotori della conferenza stampa - nei quali coinvolgere prima di tutto gli operatori e i detenuti, insieme alle associazioni del volontariato e del terzo settore.

La riforma della sanità penitenziaria - concludono - ha bisogno di atti chiari e tempestivi, di tutto l"impegno professionale degli operatori, sanitari e penitenziari, ma soprattutto di un forte coordinamento da parte dei ministeri interessati e delle regioni italiane".

Latina: progetto nuovo carcere, ci sarà posto per 450 detenuti

 

Il Tempo, 10 marzo 2009

 

Dal ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, sono arrivate rassicurazioni sulla presenza di fondi da destinare ad una nuova struttura. Sono infatti previsti 200 milioni di euro dal Cipe, per l’edilizia carceraria. Di questa somma, una parte dovrà essere stanziata per Latina. Il Ministero ha infatti inserito il carcere del capoluogo pontino nell’elenco delle priorità delle strutture dismesse. Il Comune ha le idee piuttosto chiare in merito. A partire dall’area che è stata già individuata. Come promesso dal sindaco Zaccheo (che da anni si batte per la nuova struttura), la Casa Circondariale verrà costruita fuori dal centro cittadino, e sarà dislocata nella zona della Chiesuola, vicino la sede della Motorizzazione Civile.

"Si tratta di un’area di 20 ettari circa, destinata ai servizi - ha dichiarato l’ingegner Lorenzo Le Donne, responsabile delle grandi opere del Comune - ci sarà posto per circa 450 detenuti. Peraltro il nuovo carcere verrebbe localizzato vicino il tracciato della Metropolitana Leggera. Quanto alle risorse economiche, stiamo pensando ad un contributo del pubblico, oltre al Project Financing. Il costo dell’operazione si aggira sui 60 milioni".

La sede attuale di via Aspromonte (che ha troppi detenuti rinchiusi in poche celle, tanto che la radicale Maria Antonietta Farina Coscioni ha sollecitato nei giorni scorsi il ministro Alfano a rispondere all’interrogazione parlamentare presentata a gennaio) passerà in archivio. È infatti previsto il suo abbattimento. "Credo che si procederà alla demolizione - ha confermato Le Donne - per poi passare alla riqualificazione dell’area. Non può escludersi un intervento che rientri nell’ambito dell’edilizia residenziale". Ci sarà forse molto lavoro per i costruttori.

Pescara: detenuti semiliberi al lavoro per pulire parco fluviale

 

Ansa, 10 marzo 2009

 

Quattro detenuti in semilibertà sono al lavoro da diversi giorni per ripulire il parco fluviale del fiume Pescara ed assicurare la manutenzione dell’area. Lo ha reso noto la Provincia di Pescara.

I detenuti hanno bonificato la pista ciclabile, voluta dalla Provincia, da siringhe e rifiuti e prossimamente provvederanno anche allo sfalcio delle erbacce. Il loro servizio alla collettività, che ha soprattutto una funzione di reinserimento sociale, durerà quattro mesi, con orario che andrà dal lunedì al venerdì, dalle 7,30 alle 13,30, sotto la supervisione dei tecnici del settore Lavori pubblici dell’ente. L’iniziativa è stata possibile grazie al protocollo d’intesa firmato dall’assessore alla Tutela del cittadino, Mauro Di Zio, con il direttore del carcere di San Donato, Franco Pettinelli, e il direttore della Fondazione Caritas, don Marco Pagniello.

Bari: teatro in carcere; i detenuti rappresentano "Ode alla vita"

di Antonella Fanizzi

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 10 marzo 2009

 

Un anno e mezzo dietro le sbarre è un’eternità. "Abbiamo sbagliato, ma non possiamo rinunciare a sognare". A Massimiliano e Ferdinando brillano gli occhi nel ripensare ai bambini che però non possono riabbracciare e al ristorante che vorrebbero gestire, un obiettivo che al momento appare lontano dalla realtà. Per una volta sono comunque orgogliosi di ciò che hanno fatto: "Non avremmo mai pensato di avvicinarci al teatro. È stata una esperienza che ci ha fatti crescere". Applausi. Sia alla fine del video che del momento più intenso del pomeriggio.

Nella stanza con le piastrelle gialle chiusa dalla solita porta sprangata da cancelli di ferro, al primo piano del carcere di Bari i detenuti-attori recitano l’Ode alla vita della poetessa brasiliana Martha Medeiros. Applausi. Da parte dei compagni di cella e dei vertici della casa circondariale, dove ieri si è tenuto l’incontro conclusivo - moderato dal giornalista del Tg2 Daniele Rotondo - del progetto "Dal personaggio alla persona", promosso dall’associazione Ig.Art (che ha sede a Roma e nel capoluogo pugliese) e finanziato dal ministero della Giustizia.

Massimiliano e Ferdinando sono fra i dieci reclusi che hanno partecipato al laboratorio condotto dalle psicologhe e teatroterapeute Marika Massara e Silvia Adiutori. Spiegano: "Il teatro è lo strumento che permette di rielaborare il vissuto dei singoli. Abbiamo lavorato sulle dinamiche socio- affettive, sullo scambio, sull’ascolto con un pizzico di ironia". Nel video vengono inquadrati i detenuti che muoiono lentamente e che risorgono, esattamente come nella poesia.

"Ogni volta che gli uomini e le donne - dice la presidente dell’associazione Massara - varcano le porte del carcere, vivono un lutto. Il teatro aiuta a guardare avanti". Nella casa circondariale di corso Alcide De Gasperi sono stipati 520 detenuti, quasi il doppio della capienza prevista. Sono in atto lavori di ristrutturazione - l’edificio è del 1927 - sia all’esterno che all’interno. "Nel piano triennale - chiarisce la vicaria Lidia De Leonardis - sono previste opere anche nella seconda sezione e in quella femminile, le più malridotte". Il carcere ha due sezioni di media e due di alta sicurezza più il centro diagnostico che accoglie gli ammalati e i diversamente abili.

Il 35% degli ospiti è straniero, soprattutto proveniente dal Nord Africa e dai Paesi dell’Est. Il carcere scoppia, di conseguenza gli spazi per la socializzazione e le attività di laboratorio sono esigui. Il sovraffollamento non è l’unico problema: anche ieri i detenuti sono rimasti senz’acqua. Hanno segnalato il disagio facendo tintinnare le sbarre: non sarebbe la prima volta che i rubinetti sono a secco.

Droghe: Giovanardi; no riduzione danno, obiettivo è recupero

 

Redattore Sociale - Dire, 10 marzo 2009

 

Il Sottosegretario fa il punto sulle finalità della conferenza di Trieste: "Non è improvvisata, speriamo che i toni siano più pacati". E ribadisce la contrarietà alla cronicizzazione permanente: "Niente stanze del buco".

"Faremo il punto su tutte le sfaccettature del mondo della droga e delle tossicodipendenze con una finalità: il recupero di coloro che usano sostanze e non la cronicizzazione permanente, come l’uso delle stanze del buco". Così il sottosegretario per la famiglia, la droga e il servizio civile, Carlo Giovanardi ha parlato delle finalità della "V Conferenza nazionale sulla droga" che si terrà a Trieste dal 12 al 14 marzo e che è stata presentata questa mattina nella sala stampa di Palazzo Chigi.

"La Conferenza non è affatto improvvisata e abbiamo lavorato per il coinvolgimento di tutti gli operatori del settore - spiega Giovanardi - auspichiamo quindi che i toni siano i più pacati e riflessivi possibili. Sono note a tutti le divergenze fra i vari attori che converranno a Trieste, ma la battaglia contro la droga si può e si deve vincere con la prevenzione, l’opposizione e il recupero". Recupero che non è solo dei tossicodipendenti ma anche delle risorse che vengono dirottate per finanziare questo "turpe commercio: il calo del consumo di droga - spiega ancora il sottosegretario - permetterebbe un ingente recupero di credito e un rilancio dell’economia".

Attenzione però a non confondere gli obiettivi centrali della lotta alla droga: per Giovanardi non ha senso parlare di "riduzione del danno", parola che "se non spiegata potrebbe essere equivocata: c’è un livello di dichiarazione politica comune internazionale fra Europa, Stati Uniti, Asia, Cina e Australia su questo termine". La riduzione del danno infatti "non deve essere un pilastro a sé ma deve interagire ed essere un supporto a politiche che devono essere innanzitutto di reinserimento e recupero del tossicodipendente". Sul fronte della "riduzione del danno" poi il sottosegretario alla droga preferisce parlare di "prevenzione delle patologie tollerate (come Hiv, Epatite, malattie sessuali, Tbc e morti per overdose) e comportamenti socialmente devianti".

Per Giovanardi sono diversi i punti da realizzare durante la conferenza di Trieste: "dobbiamo massimizzare la collaborazione fra pubblico, Sert e privato sociale, aumentare gli investimenti per la ricerca sulla neuroscienza che studi l’impatto della droga sul cervello e fare una campagna di informazione degna di questo nome: la metà dei giovani - conclude Giovanardi - è convinta che la cocaina non abbia conseguenze negative sul cervello, è per questo che abbiamo creato il portale per le scuole che permetta una informazione più capillare del fenomeno".

Droghe: riduzione danno; l'Italia fuori dalle strategie europee

 

Redattore Sociale - Dire, 10 marzo 2009

 

La denuncia di Fuoriluogo in vista del meeting sulle droghe di Vienna: "Mentre l’Europa si dichiara a favore, l’Italia prende la posizione dell’ostracismo". Barra (Croce rossa italiana): "Evidenze inoppugnabili sull’efficacia".

"L’Italia, sia nella posizione che sta prendendo rispetto all’incontro di Vienna, sia nell’ostracismo alla riduzione del danno che c’è a Trieste, tant’è vero che non c’è in programma, è come se si ponesse fuori dalla strategia europea e in particolare dal piano d’azione europeo 2009-2012". Lo ha affermato stamattina Grazia Zuffa, direttrice di Fuoriluogo, nel corso della conferenza stampa indetta dal Forum droghe in vista dell’imminente appuntamento di Vienna 2009, organizzato dall’Ufficio antidroga delle Nazioni unite (Unodc).

Secondo Forum droghe, infatti, il meeting di Vienna rischia di ripetere quella che definisce ‘l’inutile assise di New York" del 1998. "Ci troviamo di fronte ad una bozza di risoluzione politica - ha spiegato Zuffa - che dovrebbe essere approvata il 12 di marzo che è in continuità con gli indirizzi fallimentari di dieci anni fa. L’attenzione è soprattutto sul versante della repressione, non c’è una sottolineatura della violazione dei diritti umani e non c’è menzione della riduzione del danno".

Il tema della riduzione del danno sarà, quindi, il vero spartiacque dell’incontro di alto livello. A favore l’Europa, ma tra i contrari anche gli Stati uniti, nonostante il presidente Obama abbia annunciato di voler cambiare rotta. "L’Unione europea - ha detto Zuffa - ha deciso di portare nelle trattative di Vienna una posizione unica su di una linea consolidata che mette l’attenzione su un approccio di sanità pubblica e quindi la decisa affermazione che le strategie di riduzione del danno vanno incrementate. Bisogna aumentare la copertura dei servizi di riduzione del danno e aumentare l’accesso".

A favore di una più attenta riflessione sulla questione, la Croce rossa italiana (Cri). Secondo il presidente Cri, Massimo Barra, "si tratta di stimolare la gente ad essere riflessiva e non dogmatica. Lo stesso Unodc in un recente documento pubblicato quest’anno dice che la riduzione del danno e la terapia non sono contrapposti".

Le strategie di riduzione del danno, ha spiegato Barra, pagano sia in termini di attitudine umanitaria, ma anche di salute pubblica e di prevenzione delle malattie infettive trasmesse per via ematica. "La Croce rossa - ha spiegato Barra -, non è neutrale nei confronti della sofferenza umana. Nel mondo ci sono 200 milioni di persone che sono tra le persone più vulnerabili. Ci siamo espressi in maniera molto chiara appoggiando le strategie di riduzione del danno, sulla base di evidenze scientifiche assolutamente inoppugnabili".

Droghe: il decalogo di Federserd, per la Conferenza di Trieste

 

Redattore Sociale - Dire, 10 marzo 2009

 

Le proposte degli operatori che puntano sulla riaffermazione del ruolo del servizio pubblico. Tra le priorità un tavolo tra governo e regioni per discutere la dislocazione di risorse e riassetto dei servizi.

Percorsi e atti concreti da parte delle istituzioni e riaffermazione del ruolo del servizio pubblico nell’accoglienza e cura dei cittadini con problemi di abuso e dipendenza da sostanze. Questa la richiesta presentata da Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (Federserd) alla vigilia della quinta Conferenza Nazionale sulle Droghe organizzata dal 12 al 14 marzo a Trieste dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Si tratta, per la precisione, di dieci spunti di riflessione che Federserd intende sottoporre all’attenzione pubblica, partendo dalla considerazione che i Sert e tutto il sistema dei servizi "sono stati in gran parte del paese abbandonati a se stessi dai governi centrali, dalle istituzioni regionali e dalle dirigenze delle Asl che si sono succeduti".

Tra le diverse proposte contenute all’interno del decalogo, la costruzione di un tavolo operativo tra governo e regioni per discutere la dislocazione delle risorse e il riassetto del sistema dei servizi, l"incremento degli operatori del dipartimenti per le dipendenze, la promozione di un piano di ricerca sulle dipendenze e l’attivazione di azioni di prevenzione e di informazione sul territorio che non siano soggette a scadenza. All’interno del decalogo anche una riflessione sulla normativa corrente, che prende le mosse da una serie di domande aperte che Federserd propone all’attenzione delle istituzioni a partire dall’applicazione e dal monitoraggio delle leggi. Tra queste si legge: "Come è possibile coniugare i percorsi amministrativi prefettizi e le finalità preventive dopo la legge 49 del 2006?".

Droghe: Comunità al collasso, 25 milioni di crediti dalle regioni

 

Redattore Sociale - Dire, 10 marzo 2009

 

È quanto le comunità terapeutiche devono avere (spesso da anni) dalle amministrazioni pubbliche. In alcune regioni varie associazioni in grave difficoltà. Ora il Dipartimento antidroga si offre di anticipare gli interessi passivi.

Venticinque milioni e mezzo di euro: tale è l"ammontare del credito che le comunità terapeutiche italiane per il contrasto alla tossicodipendenza hanno accumulato nei confronti di Regioni e amministrazioni locali dal 2005 ad oggi. A rivelare l’enorme credito che le comunità di recupero alla tossicodipendenza è il dipartimento politiche Antidroga della presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha promosso una indagine preliminare sui crediti delle comunità terapeutiche realizzata con il contributo delle principali organizzazioni che le raggruppano (Cnca, Fict, Comunità Incontro, Ceis, Cearl e Exodus).

Il documento, che andrà a confluire come contributo per la discussione alla V Conferenza sulla droga che si terrà a Trieste dal 12 al 14 marzo, spiega come il volume di crediti complessivo presso Regioni e amministrazioni centrali risultante dalle schede inviate dalle comunità terapeutiche ed Associazioni ammonta a 25.519.472,49 euro, di cui quasi 22 milioni dalle regioni.

Il principale problema per le comunità terapeutiche è infatti proprio quello del sistema di finanziamento: "Molte organizzazioni - si legge nel testo - lamentano la mancata corrispondenza dei crediti aperti con le Regioni e Province autonome italiane, e con le Amministrazioni centrali, relativamente al mancato pagamento di rette e attività progettuali risalenti anche a fine anni "90".

I problemi però variano da regione a regione: le rette pagate per il soggiorno di un tossicodipendente in comunità variano infatti moltissimo dal Nord Italia al Centro Sud: se infatti chi si trova nelle Comunità residenziali della Valle d’Aosta vive con 125 euro al giorno, per i tossicodipendenti nel Lazio le comunità soli 35 euro ciascuno "pro die".

Da parte di tutti poi c’è un ritardo nei pagamenti, un blocco dei fondi da parte delle Amministrazioni centrali alle comunità terapeutiche non in regola con i contributi fiscali e infine i fondi destinati alle associazioni e alle comunità sono insufficienti per portare avanti le loro attività.

A vincere la maglia nera per la regione maggiormente debitrice è il Lazio con un ammontare di debiti pari a 7.141.603.90 euro, seguita dalla Campania con 4.862.183,57 euro e dalla Calabria con 2.144.988,05 euro. Le più virtuose invece sono la Valle d’Aosta con 5.593,43 euro, la provincia di Bolzano con 10.159,92 euro e l’Umbria con 23.812,95 euro. Suddividendo le regioni tra Nord, Centro e Sud si ottiene una concentrazione di crediti maggiore nel Sud Italia (44.29%), poi il Centro (41.39%) ed infine, il valore più basso nel Nord (14.32%).

Secondo i dati raccolti dal dipartimento politiche Antidroga, inoltre, i Ministeri maggiormente coinvolti nelle insolvenze sono quello della Giustizia (che ha il volume di crediti maggiore pari a 2.692.206,52 euro), il ministero dell’Interno con soli 4.449,21 euro, quello del Lavoro, Salute e Politiche Sociali con 15.421,20 euro e quello dell’Istruzione con 55.663,12 euro. La situazione è stata più volte denunciata dalle federazioni delle comunità, che hanno parlato di un autentico collasso per molte strutture, costrette da una parte ad assicurare standard qualitativi molto alti e dall’altra a pagare interessi molto alti con le banche per fronteggiare i mancati introiti, alcuni dei quali datano anche 4 o 5 anni dall’emissione della fattura.

La ricognizione dei crediti, come detto, è stata sollecitata nelle ultime settimane proprio dal Dpa, che nello stesso tempo ha cominciato a proporre alle comunità anche una possibile soluzione. Nei molti casi in cui le associazioni siano costrette a pagare gli interessi sui fidi richiesti alle banche per coprire i debiti con le regioni, il Dipartimento si offre cioè di anticipare le somme corrispondenti a quegli interessi. La particolarità, e l’aspetto allettante dell’offerta, è però che le Comunità non dovrebbero poi restituire le somme in contanti, ma "sotto forma di servizi al Dipartimento", dice il direttore dello stesso, Giovanni Serpelloni.

Servizi che potrebbero consistere nella partecipazione di operatori a campagne di nazionali di sensibilizzazione, nell’esecuzione di progetti sperimentali avviati dal Dpa ecc. Su quanto ammonterebbe il totale degli anticipi che verrebbe erogato dal Dipartimento non è stato ancora fatto un calcolo preciso, ma la somma potrebbe di varie decine di migliaia di euro. Il tema, pur non essendo direttamente all’ordine del giorno alla conferenza di Trieste, sarà sicuramente discusso nei corridoi, data la presenza di almeno metà dei partecipanti che appartengono al mondo delle comunità terapeutiche.

India: caso Falcone; il padre di Angelo non sente figlio da 5 mesi

 

Apcom, 10 marzo 2009

 

Giovanni Falcone di Rotondella, in provincia di Matera, ha incontrato uomini politici e amministratori del posto per chiedere un accordo bilaterale che permetta il trasferimento in Italia del figlio e sostegno legale per le azioni intraprese. Il figlio, Angelo, è detenuto in India insieme al piacentino Simone Nobili dal 9 marzo 2007, con l’accusa di detenzione di 18 chilogrammi di hashish.

Giovanni non lo sente da cinque mesi e denuncia lo stato di sofferenza in cui si troverebbero i giovani italiani. "Hanno già contratto malattie - ha detto Falcone - e il personale diplomatico italiano in India ha seguito la vicenda con ritardo. Temo - ha aggiunto - che la sentenza di primo grado che li condanna a 10 anni di reclusione, possa essere aggravata in Appello". Giovanni Falcone ha già fatto scioperi della fame per chiedere al governo nazionale di intervenire: "La situazione di sofferenza che mio figlio vive in India - ha denunciato Falcone - riguarda circa tremila italiani detenuti in vari Paesi".

Usa: 5 detenuti di Guantanamo rivendicano attacchi dell’11/9

 

Ansa, 10 marzo 2009

 

I 5 detenuti a Guantanamo accusati di aver partecipato all’organizzazione dell’attacco dell’11/9 hanno rivendicato l’attentato. In un documento esprimono orgoglio per quanto hanno fatto e riconoscono la responsabilità per la morte di quasi tremila persone. Il documento è intitolato "La risposta islamica alle nove accuse del governo" ed è stato consegnato al tribunale militare il 5 marzo. I cinque presunti terroristi di al Qaida si definiscono "terroristi fino all’osso".

 

 

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