Rassegna stampa 29 maggio

 

Giustizia: Napolitano; basta ostilità tra politica e magistratura

di Mario Coffaro

 

Il Messaggero, 29 maggio 2009

 

Il monito di Napolitano sarà diretto a tutti per il rispetto degli equilibri costituzionali: basta ostilità. Il comportamento di alcuni pubblici ministeri, di alcuni giudici, le fughe di intercettazioni dagli atti giudiziari alla stampa tornati di nuovo al centro delle esternazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi finiscono per suscitare una cauta nota del Quirinale che puntualizza il pensiero del presidente Giorgio Napolitano.

Il capo dello Stato non esterna oggi ma lo farà martedì 9 giugno quando presiederà la seduta straordinaria del plenum del Csm. All’ordine del giorno i problemi connessi all’organizzazione delle procure. E in particolare le soluzioni formulate in una proposta di delibera approvata in commissione con il solo voto contrario del consigliere laico Gianfranco Anedda (Pdl) che ora va al voto del plenum.

Su questa proposta il Csm non appare compatto, ci sono consiglieri togati come Cosimo Ferri, della corrente moderata di Magistratura Indipendente che sembrano orientati a respingerla. Perché il Csm finirebbe "invitare" i capi delle procure a rinunciare ai poteri e ai doveri loro imposti dalla legge, in particolare la n. 106 del 20 febbraio 2006 ma non solo.

In una parola un "invito" a abdicare alle responsabilità dell’ufficio di cui comunque la legge li investe, per cedere in nome dell’autonomia del singolo magistrato a un continuo confronto dialettico coi loro sostituti, in una sorta di democrazia decisionale interna all’ufficio sulle questioni più delicate. Alcuni consiglieri, specie quelli di sinistra, la vedono come un rispetto dell’autonomia del Pm, altri come una vera e propria interferenza paranormativa del Csm sulla legge. Come se il Csm avesse il potere di modificare le leggi approvate dal Parlamento.

Sono in ballo decisioni su questioni delicatissime come quelle riguardanti eventuali ipotesi di priorità nella trattazione dei procedimenti, la libertà personale degli indagati, il fermo, il sequestro di beni, e in generale l’orientamento da dare alle indagini. Come il capo dello Stato affronterà questo delicato capitolo della giustizia? Il pensiero del presidente della Repubblica su prerogative e responsabilità della magistratura è noto.

Il capo dello Stato davanti al plenum del Csm, (14 febbraio 2008), sottolineò che politica e giustizia hanno "una comune responsabilità istituzionale" e perciò non possono guardarsi "come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco". Dovrebbero invece confrontarsi liberi da "complessi difensivi e da impulsi di ritorsione polemica.

Mi auguro che sia possibile qui", aveva detto al Csm, impegnandosi a "dare il contribuito più obiettivo possibile", ma senza "salomonica equidistanza". Semmai, aveva aggiunto, mi tocca di "richiamare tutti al rispetto di regole, esigenze, equilibri resi vincolanti dal nostro ordinamento". E sabato scorso, nel discorso di Palermo ha ribadito lo stesso concetto.

Non è un caso che lo stesso giorno comincia nell’aula di Montecitorio l’esame della legge sulle intercettazioni. All’indomani del voto degli italiani per il Parlamento europeo, Berlusconi sull’onda di un rinnovato e vasto consenso popolare si appresta a fare approvare "in una settimana", prevede uno dei fedelissimi consiglieri giuridici e avvocato del premier, Niccolò Ghedini, il ddl intercettazioni che potrebbe essere trasformato in legge entro l’estate dal Senato. Dove va avanti in commissione la riforma del codice di procedura penale, mentre quella del processo civile è già legge da tre giorni.

Se il ddl sul processo penale passasse entro luglio al Senato, e in ottobre alla Camera "sarebbe attuato finalmente l’art. 111 della Costituzione sul giusto processo", auspica Ghedini. A breve sarà presentato il ddl di riforma della legge elettorale del Csm (per impedire l’influenza delle correnti associative sugli eletti togati) mentre durante l’estate sarà approfondito il dibattito sulle riforme costituzionali: quella sulla composizione del Csm e quella sulla separazione delle carriere di pm e giudici.

Giustizia: Anm; Berlusconi ci insulta? è in campagna elettorale

di Claudio Sardo

 

Il Messaggero, 29 maggio 2009

 

All’ennesimo attacco di Berlusconi contro la magistratura risponde Marco Minniti: "Rinunci al lodo Alfano e chiarisca la sua posizione giudiziaria anziché attaccare a testa bassa. C’è qualcosa di disperato nel suo atteggiamento che tuttavia rischia di sfasciare la democrazia".

Risponde anche Lanfranco Tenaglia, responsabile giustizia del Pd: "È un’indecente aggressione contro i magistrati". Per un giorno però, nonostante la frenesia della campagna elettorale, Dario Franceschini ha scelto di non ribattere il colpo del Cavaliere.

Chi gli sta più vicino racconta di un Franceschini segnato dalle dichiarazioni dei figli di Berlusconi, e anche dalla troppo lenta solidarietà di pezzi del suo partito. Ieri mattina ha voluto precisare il senso del suo affondo sul Berlusconi "cattivo esempio".

E per dare maggior forza alle sue parole ha deciso di rinunciare ad altri commenti per l’intera giornata: "Mi dispiace davvero se i figli del premier si sono sentiti offesi: loro non c’entrano, non ho mai parlato dei figli di Berlusconi anche perché l’idea di coinvolgerli nello scontro politico è lontana mille miglia da me".

Ancora Franceschini: "Non ho parlato dei suoi figli ma dei nostri figli e dei valori che un uomo pubblico trasmette con comportamenti e parole". La famiglia di Berlusconi, insomma, non c’entra. Mentre invece i rilievi morali sono pienamente confermati: "Vorrei che noi italiani risvegliassimo da soli la nostra coscienza civile.

Questa battaglia è una battaglia giusta che continueremo a fare nonostante i polveroni sollevati per fermarci". Il segretario del Pd ha parlato quando ancora Berlusconi non era salito alla tribuna della Confesercenti.

E poi ha confermato il silenzio nonostante la dura replica del segretario dell’Anm, Luca Palamara: è "inaccettabile questo clima di insulti che nuoce alle istituzioni democratiche del Paese". Ancor più inaccettabile perché i magistrati, a differenza della politica, "non sono in campagna elettorale e non vogliono essere trascinati" in quel terreno. Ai cronisti Franceschini, ieri mattina, aveva concesso solo poche altre battute. Su Veltroni: "Si sta impegnando molto come tutti gli altri leader del Pd".

Sui respingimenti: "Quegli show mediatici sulla pelle dei più poveri servivano a coprire il fallimento delle politiche sull’immigrazione". E anche una battuta sul suo futuro personale: "Resterò segretario se il Pd prende il 45%...".

Forse questa svelava un po’ di amarezza per le reazioni percepite attorno a lui. Chi sottovoce ha sottolineato lo scivolone, chi ha lamentato un eccesso di aggressività sul caso-Noemi e, di conseguenza, un abbandono dei temi sociali. Invece Franceschini resta convinto che, nonostante il punto segnato da Berlusconi con le dichiarazioni dei figli, la strategia dello scontro frontale con il premier resta obbligata per il Pd se vuole rimontare. Il primo attestato di solidarietà a Franceschini è arrivato già l’altra sera da Massimo D’Alema: "Lo colpiscono perché è efficace".

Poi nella giornata di ieri sono arrivati via via gli attestati di stima di tutti, o quasi, i dirigenti: da Arturo Parisi a Sergio Chiamparino, da Pierluigi Bersani a Rosy Bindi, da Beppe Fioroni ad Anna Finocchiaro. Fino alle parole di Enrico Letta, ormai il più duro con Berlusconi dopo che questi ha insinuato una possibile fuoriuscita dal Pd dopo le elezioni.

Nessuna solidarietà, e anzi marcate prese di distanza sono arrivate invece dalle altre forze di opposizioni. "Quando si è accecati dall’odio verso qualcuno o qualcosa si finisce sempre per offendere i sentimenti delle persone e questo degrada ulteriormente la politica" ha detto Pier Ferdinando Casini. Per Antonio Di Pietro "il voto al Pd o all’Udc è un voto utile al governo".

Giustizia: sempre più urgente nuova legge sulle intercettazioni

di Massimo Martinelli

 

Il Messaggero, 29 maggio 2009

 

Enzo Cheli è un giurista, vicepresidente emerito della Consulta e già presidente dell’Autorità Garante delle Comunicazioni: uno che ha condotto tutta la sua esistenza guardando una bussola particolare: la Carta dei Costituenti del 48.

E quello che aveva auspicato Cheli alcuni mesi fa a proposito del diritto irrinunciabile alla riservatezza delle proprie comunicazioni è stato smentito, contraddetto, non tenuto in alcuna considerazione dagli ultimi eventi. Una telefonata tra un capo di governo e una ragazza, agli atti di un’indagine archiviata, è finita sui giornali e utilizzata in chiave politica.

Lei che dice, presidente Cheli? "Mi pare che la prima cosa da dire è che notizie come questa riconfermano la necessità assoluta di arrivare velocemente ad una disciplina vibrata e convincente di tutta la materia delle intercettazioni telefoniche. A proposito, ma la riforma a che punto è?".

Dopo un periodo di studio, dovrebbe tornare in aula in questi giorni. "Il problema è veramente urgente, rinviare ancora l’approvazione non ha senso. Sarebbe bene che il Parlamento ne uscisse in fretta, rimettendo rapidamente in calendario la discussione sul ddl di riforma per arrivare ad una soluzione".Quali linee guide si sentirebbe di suggerire? "Occorre rinforzare la tutela dell’articolo 15 della Costituzione, che finora è stata trascurata.

Prevede una riserva di legge sulla libertà di corrispondenza, nella quale va ricompresa ovviamente la libertà di telecomunicazioni che nel 45 non poteva essere prevista dai padri Costituenti. Nelle loro intenzioni doveva essere la libertà più tutelata, tanto che era prevista anche una riserva di giurisdizione senza eccezioni".

E invece? "E invece il codice ha trascurato questa tutela, consentendo uno spazio discrezionale troppo ampio nella violazione di questo diritto fondamentale".Ritiene che ci siano stati abusi nell’uso delle intercettazioni? "L’ho già detto in passato e lo confermo adesso. Ci sono stati diversi abusi". In che cosa, esattamente? "Per capirlo basta leggere il codice. Si capirà immediatamente che l’abuso consiste nell’utilizzare come strumento ordinario di indagine uno strumento che la legge consente solo in casi eccezionali ed esclusivamente per acquisire prove.

L’articolo 267 del codice di procedura penale spiega bene che l’intercettazione è consentita in presenza di gravi indizi di reato quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e di una responsabilità di un soggetto ben individuato. In molti casi, invece, oggi siamo davanti ad un utilizzo delle intercettazioni come strumenti ordinari di indagine. Le usano per cercare i reati, non le prove dei reati.

E questa è una deviazione da quello che il codice penale aveva stabilito per dare forza all’articolo 15 della nostra Costituzione". Come uscirne? "Sarebbe necessario prevedere sanzioni severe per chi viola gli obblighi di segretezza. E poi, introdurre la responsabilità delle persone che sono tenute a garantirla, questa segretezza.

Siano essi i pubblici ufficiali che eseguono le intercettazioni, siano gli organi giudiziari che devono decidere quali intercettazioni conservare per il processo e quali distruggere perché irrilevanti".

Giustizia: i sindacati di polizia protestano per mancanza risorse

 

Apcom, 29 maggio 2009

 

I sindacati di Polizia, Forestale e Penitenziaria tornano a denunciare i tagli del governo al comparto e i pochi finanziamenti stanziati. In una nota le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato (Siulp, Sap, Siap/Anfp, Silp, Cgil, Ugl polizia, Coisp, Consap, Uilps) della Polizia Penitenziaria (Sappe, Osapp, Uil Pa, Sinappe, Cgil-Fp, Siappe, Uspp, Fsa, Cnpp) e del Corpo Forestale dello Stato (Sapaf, Ugl/Cfs - Uil Pa, Sapecofs, Cisal, Cgil Fp, Dirfor) lamentano "il taglio delle risorse per tutti gli uffici di Polizia delle diverse articolazioni del Comparto Sicurezza delle polizie ad ordinamento civile: il taglio degli straordinari, degli stanziamenti per l’ordine pubblico, delle missioni (per intenderci gli accompagnamenti alla frontiera ed ai Centri di identificazione ed espulsione dei cittadini extracomunitari irregolari e per i servizi di traduzione e trasferimento dei detenuti), dei fondi per i fitti e la pulizia degli stabili, alcuni dei quali sono sotto sfratto esecutivo; il blocco del turnover a fronte del massiccio pensionamento, che in quest’ultimo triennio interesserà le Forze di Polizia, a fronte del quale il Governo non ha pianificato né stanziato adeguate risorse economiche per nuove assunzioni di personale".

In una riunione svolta il 26 maggio i sindacati hanno evidenziato "un inadeguato piano pluriennale di finanziamento per il risanamento ed il funzionamento degli apparati; l’insufficienza degli stanziamenti per il rinnovo del contratto economico per il biennio 2008/2009, che non prevede un solo euro per le specificità ed i trattamenti accessori; la mancanza dell’impegno assunto formalmente, nel dicembre 2008 e poi nel febbraio scorso, dal governo attraverso il ministro Brunetta per l’avvio delle procedure e relativo stanziamento delle risorse economiche integrative per il riordino delle carriere; l’impegno ripetuto più occasioni ufficiali dai vari Ministri e sottosegretari del comparto Sicurezza e Difesa".

"Inoltre - proseguono le organizzazioni sindacali - la rimodulazione dell’impianto contrattuale del Comparto Sicurezza e Difesa, alla luce dell’esaltazione delle specificità militari, operata attraverso una serie di leggi e leggine, trascinerà il comparto verso un modello corporativo e militare, portando il libero sindacato dei poliziotti verso schemi anacronistici".

"Alla luce della gravità delle problematiche suesposte, le scriventi organizzazioni sindacali si aggiorneranno in una successiva ed imminente riunione per decidere le iniziative di protesta congiunte e nazionali, anche in forme eclatanti, da porre in essere per contrastare le inconcludenti politiche del Governo in materia di sicurezza", conclude la nota.

Giustizia: l'Osapp; il governo dimentica la Polizia Penitenziaria

 

Adnkronos, 29 maggio 2009

 

"I mille militari in più che ha deciso La Russa, e che ha annunciato ieri a Porta a Porta, nulla aggiungono all’incredibile sforzo che sta facendo, in questo momento, la polizia penitenziaria". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), sottolineando che "probabilmente il governo è più propenso alla legge marziale che alla tutela di certi diritti che interessano oltre 40 mila persone. Soprattutto in questo momento - spiega - quando abbiamo una popolazione carceraria che ha superato le 63.000 presenze, a fronte di non oltre 43.400 posti disponibili, e quando l’esecutivo non intende minimamente implementare la forza lavoro, con un piano carceri assurdo, che invece vuole portare avanti".

Beneduci sostiene che da una parte "si tagliano le risorse e gli stipendi, e dall’altra si decide per l’impiego e il potenziamento di militari nei servizi che dovrebbero garantire le altre forze dell’ordine. Con l’unico effetto che presto con gli attuali trend di crescita della popolazione detenuta (mille ogni mese), dovremo prevedere l’impiego di altrettanti militari anche per la sorveglianza esterna delle carceri".

Giustizia: Amapi; situazione è invivibile per il sovraffollamento

 

Comunicato Amapi, 29 maggio 2009

 

300 Medici Penitenziari si riuniranno al Castello di Gargonza il 4-5-6 Giugno 2009 - per il XXXII Congresso Nazionale di Medicina Penitenziaria, organizzato dall’Amapi (Associazione Medici Assistenza Penitenziaria Italiana), provenienti da ogni parte d’Italia.

All’ordine del giorno la denuncia per la drammatica situazione in cui si vengono a trovare i 64.000 detenuti (2.650 sono donne) rinchiusi nelle 210 carceri italiane. Numeri mai raggiunti nella storia del nostro Paese. Sono già ampiamente esauriti gli effetti positivi dell’indulto. Le preoccupanti condizioni di sovraffollamento creano un clima di difficile convivenza. Tutto si complica. Le cure mediche, il trattamento.

Il carcere è divenuta una bomba capace di esplodere di rabbia in ogni momento. L’Amministrazione Penitenziaria ancora una volta si lascia cogliere assolutamente impreparata,né tanto meno la sbandierata idea di mettere in costruzione altre carceri risulta facilmente percorribile, in quanto per costruire un carcere occorrono 8-10 anni. L’idea delle navi galleggianti è patetica e grottesca per tutte le implicazioni che comporta sul piano dell’organizzazione. Sembra una buona idea per carnevale.

Si registrano limiti di violazione dei diritti umani. La situazione è invivibile. Le carceri costituiscono una miscela esplosiva. 16.000 tossicodipendenti (di cui 2.167 in trattamento metadonico). 21.400 extracomunitari (tra cui 2.500 albanesi, 3.900 marocchini, 1.950 tunisini, 1.100 algerini). 5.200 affetti da epatite virale cronica (Hbv e Hcv). 2.500 sieropositivi per Hiv. 6500 disturbati mentali.

Nel corso dell’anno 2007 si sono registrati 44 suicidi, 1.110 tentativi di suicidio, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo: dati che suonano come un bollettino di guerra, ma che medici ed infermieri si trovano a gestire tra mille difficoltà e con scarsissimi mezzi a disposizione.

"I detenuti - dice il Prof. Ceraudo - Direttore del Dipartimento per la salute in carcere della Regione Toscana - in queste condizioni di gravissimo sovraffollamento, dopo aver perso la libertà, rischiano di perdere la salute". Le recenti cronache hanno riportato negli ultimi tempi alla ribalta il tema del suicidio in carcere. Fino al 30 aprile sono stati 22 i suicidi in carcere nel 2009. Un numero preoccupante. In Francia con popolazione detenuta sovrapponibile a quella italiana i casi di suicidio sono stati il doppio. In Spagna invece ne è stata registrata la metà.

Molti sono i tentativi di suicidio a livello dimostrativo. Molti tentativi di suicidio non esitano in morte per il pronto intervento dei medici, degli infermieri e della polizia penitenziaria. Il suicidio in carcere è un inequivocabile segnale del grave stato di disagio, di malessere in cui i detenuti si vengono a trovare. "Morire è sempre molto triste - afferma il Prof. Giovanni Conso - morire di suicidio è ancora più triste, morire di suicidio in carcere è la cosa più triste".

Altro tema fondamentale che è stato oggetto di discussione da parte dell’Assemblea Congressuale è il passaggio della Medicina Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale secondo le direttive emanate dal Consiglio d’Europa.

I principi ispiratori di questa Riforma precisano che i detenuti al pari dei cittadini in libertà, hanno diritto alla erogazione delle prestazioni di prevenzione,diagnosi,cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali ed uniformi di assistenza.

Con la Riforma della Medicina Penitenziaria - dice l’Assessore al diritto alla salute della Regione Toscana Enrico Rossi - i detenuti vengono di conseguenza inclusi nella pienezza dei diritti di cittadinanza per quanto riguarda quella fondamentale garanzia rappresentata dalla tutela della salute.

Ora Regioni, Aziende Sanitarie, Istituti Penitenziari dovranno operare in sinergia per realizzare condizioni di protezione della salute iniziando dalle conoscenze epidemiologiche tipiche del regime detentivo per passare a vere e proprie azioni di promozione della salute: particolare importanza assumeranno l’attività fisica, l’alimentazione, la socialità, il contrasto all’abuso di alcol e alle dipendenze da fumo, la garanzia di salubrità degli ambienti di vita.

Il passaggio della Medicina Penitenziaria - dice il Prof. Francesco Ceraudo - al Servizio Sanitario Nazionale non è un obiettivo, né tanto meno deve essere considerato alla stregua di un traguardo. È piuttosto il punto di partenza per rilanciare in termini finalmente adeguati la professionalità del Medico e dell’Infermiere Penitenziario, a tutela della salute in carcere.

Bisogna mettere ora a disposizione adeguate risorse. Del resto una Riforma seria implica necessariamente degli investimenti nei servizi, nella definizione delle strutture, nella definizione della ricerca scientifica, nella sicurezza dei posti di lavoro, nel rinnovo della tecnologia, nell’adeguamento degli organici del personale e delle strutture.

Questa Riforma deve essere in grado di tutelare il posto di lavoro di tutti gli operatori sanitari penitenziari che già sono in sotto organico in modo preoccupante per i gravissimi tagli imposti negli ultimi anni ai servizi della Medicina Penitenziaria. La continuità assistenziale nelle strutture penitenziarie deve essere il cardine intorno a cui si realizza la Riforma.

Nel corso del Congresso verrà presentata una pubblicazione sugli extracomunitari in carcere curata da Francesco Ceraudo e da Franco Corleone, con la presentazione di Enrico Rossi e con la prefazione di Adriano Sofri.

Giustizia: Garavaglia (Pdl); lavoro detenuti deve costare meno

 

Ansa, 29 maggio 2009

 

Il Sen. Massimo Garavaglia, Vicepresidente della Commissione Bilancio, membro della Commissione parlamentare per la Semplificazione della Legislazione ha partecipato a Bollate presso la Casa di Reclusione ad un convegno organizzato dalla Direzione del penitenziario sul "Progetto Bollate" che si occupa dell’inserimento dei detenuti presso realtà lavorative del territorio. A margine un commento del Sen. Garavaglia che si dice in pieno accordo per quanto riguarda le esperienze lavorative dei reclusi fuori dal carcere e in prima persona come sindaco ha già appoggiato queste iniziative.

"Il problema è il costo di questo personale che porta sgravi contributivi, ma è ovvio che i sindaci sceglieranno preferibilmente cooperative di soggetti diversamente abili presenti ed attive sul territorio che offrono le stesse agevolazioni fiscali. La soluzione migliore è concordare coi sindacati contratti ad hoc, arrivando anche a dimezzare gli stipendi dei detenuti incentivando in questo modo progetti che coinvolgano questo tipo di lavoratori".

Campania: in un anno 10.760 "nuovi detenuti", 30 ogni giorno

di Gianluca Abate

 

Corriere del Mezzogiorno, 29 maggio 2009

 

I nuovi arrivi, nelle carceri, li chiamano "ingressi dalla libertà". Le ultime statistiche elaborate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, quelle relative all’anno di giustizia 2008, rivelano che nelle celle della Campania di "ingressi dalla libertà" ce ne sono stati 10.760 in un solo anno. E, sempre quelle statistiche, disegnano anche la figura del detenuto-tipo campano: maschio, trent’anni, licenza media, sposato, due figli.

Trenta "ingressi" al giorno - Le cifre, innanzitutto. Ché quelle consegnate agli archivi statistici dal Dap fotografano un’immagine sconfortante. Ogni giorno nelle carceri della Campania entrano quasi 30 nuovi detenuti, Natale, Pasqua e Ferragosto compresi. Sono 10.760 gli "ingressi dalla libertà" registrati dal 1 gennaio al 31 dicembre 2008, peggio va solo in Lombardia, dove nello stesso periodo si contano ben 15.648 nuovi detenuti.

Le diciassette strutture della regione (le carceri di Ariano Irpino, Arienzo, Avellino, Benevento, Carinola, Eboli, Lauro, Napoli Poggioreale, Napoli Secondigliano, Pozzuoli, Sala Consilina, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Sant’Angelo dei Lombardi e Vallo della Lucania e gli ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa e Napoli Sant’Eframo) hanno accolto in un anno 9.930 uomini e 830 donne: di questi - in assoluta controtendenza con il dato nazionale decisamente più elevato - sono stranieri 245 donne e 1.956 uomini.

L’analisi rivela che, a differenza di quanto accade nelle altre regioni, la maggior parte dei detenuti che finiscono in cella in Campania provengono dalla stessa regione: nel 2008 sono stati 5.871, tanto per fare un confronto basti pensare che in Lombardia solo un terzo dei detenuti (5.531) è lombardo. E, ancora, la Campania è la regione che presenta il maggior numero di cittadini detenuti in Italia: sono 9.465 in totale - più di quelli di Lombardia (8.538) e Lazio (6.624) - distribuiti nelle carceri delle venti regioni italiane, dalla valle d’Aosta (6) alla Sicilia (365).

Chi va in cella - Calcolati al netto di ingressi, uscite e trasferimenti ad altri penitenziari, i detenuti in Campania al 31 dicembre 2008 erano 7.185. E i dati del Dap, oltre a offrire un quadro aggiornato del movimento della popolazione carceraria, tracciano anche l’identikit di quelle 7.185 persone dietro le sbarre. Il detenuto-tipo è un uomo (96,1% dei casi), ha tra i 30 e i 34 anni (1.241 persone), è coniugato (2.702), ha due figli (1.016), è munito di licenza di scuola media inferiore (1.455) ed è disoccupato (785 sul totale, ma per 5.588 non è stata rilevata la condizione lavorativa).

Complessivamente la fascia d’età "critica" per chi finisce in carcere ( e che non è detto abbia necessariamente commesso un reato, vedere alla voce assoluzioni) è quella compresa tra i 30 e i 40 anni, con 2.465 detenuti. E, se la maggioranza ha una moglie (o un marito), è alto anche il numero di single (2.508), così come rilevante è il dato di chi finisce in cella pur avendo un lavoro (568 persone) e di ha avuto comunque un’istruzione, seppur minima: i detenuti privi di titolo di studio sono 104, mentre quelli analfabeti sono appena 49.

Quaranta sono anche laureati. E gli stranieri? Qui, in controtendenza con il dato nazionale, i numeri sono davvero bassi. Erano, sempre al 31 dicembre 2008, 906 in tutto: nelle carceri napoletane ce n’erano 259 a Poggioreale (il 10.39% del totale) e 99 a Secondigliano (8.37%). La gran parte viene dall’Africa (479 detenuti), seguono Europa (355), Asia (37) e America (35).

Le pene da scontare - Ma quelli che sono in carcere, che ci stanno a fare? La stragrande maggioranza - rivelano le statistiche del Dap - è lì ad attendere una pronuncia definitiva. E sì, ché su 7.185 detenuti, solo 2.555 sono stati condannati con sentenza passata in giudicato (gli "internati" sono 371). Gli altri, invece, sono ancora lì a guardare il calendario: 2.401 attendono che si pronunci il giudice di primo grado, 1.010 che intervenga l’appello, 434 che la Cassazione emetta una sentenza. Sono 3.845 in tutto.

Cui - a voler essere precisi - vanno aggiunti anche i 382 che in cella chiamano "imputati misti": sono quelli cioè che, oltre ad aver avuto una condanna definitiva, restano comunque in attesa di giudizio per altri reati. E, a scorrere l’elenco della pena residua da scontare, si scopre anche che di quei 2.555 detenuti definitivi la stragrande maggioranza deve (o, meglio, doveva alla data del 31 dicembre 2008) restare in carcere per non troppo tempo.

Circa la metà - 1.250 reclusi - ha una pena residua inferiore a un anno (759) o a due (491). E ancora: 328 reclusi devono scontare meno di tre anni, 256 fino a quattro, 135 al massimo cinque. Solo 36 detenuti devono restare in carcere per ancora vent’anni. Altri 157, invece, l’uscita del carcere non la imboccheranno mai (almeno sulla carta). Sono gli ergastolani. Quelli che sotto la voce "fine pena ", nell’ordine di esecuzione, ci trovano scritte solo tre lettere. "Mai".

Lazio: educazione alla legalità; studenti in Consiglio Regionale

 

Il Velino, 29 maggio 2009

 

"La legalità e la correttezza nei rapporti fanno parte della nostra convivenza civile. Il percorso culturale per una società migliore intrapreso con questo progetto è importante , perché i ragazzi di oggi sono i cittadini del futuro".

Con queste parole il vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio Bruno Prestagiovanni (An) è intervenuto all’evento conclusivo del progetto "Educazione alla legalità", che si è svolto nella sala Mechelli del Consiglio regionale del Lazio alla presenza di numerosi studenti e insegnanti delle scuole medie inferiori.

Il progetto, animato dall’associazione "Il Gruppo Libero" e sostenuto dall’assessorato alla Sicurezza della Regione Lazio con un contributo di 93 mila euro, ha visto il coinvolgimento di 25 istituti scolastici del Lazio sulle tematiche dell’educazione alla legalità, del contrasto al bullismo, del confronto diretto con i cosiddetti ‘agenti del cambiamentò (insegnanti, genitori, istituzioni, ex detenuti). "È necessario garantire un futuro migliore attraverso ogni nostra singola azione - ha proseguito Prestagiovanni -. E questo è un compito della politica.

Il carcere non può essere soltanto un momento in cui si sconta una pena, ma deve essere anche un momento di riqualificazione dell’individuo". E proprio sulle possibilità di recupero dei detenuti, Prestagiovanni ha sottolineato la necessità di dare maggiori opportunità di lavoro alle cooperative sociali di ex detenuti. "Ho presentato una proposta di legge regionale - ha annunciato Prestagiovanni - per l’affidamento diretto del 20 per cento di tutti gli appalti della Regione alle cooperative, perché ognuno di noi deve fare la propria parte".

Nel corso dell’incontro è intervenuto anche il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, il quale ha sottolineato l’importanza della scuola nell’educazione alla legalità, in una società dove la televisione, le amicizie, la famiglia non sembrano essere sempre guide adeguate al compito.

La stessa politica non ispira legalità. "Il processo di educazione alla legalità di questa iniziativa è sacrosanto, giusto, difficilissimo - ha detto Marroni, il quale ha poi evidenziato che "nei carceri minorili sta aumentando il numero di ragazzi italiani". "I rom ci finiscono per reati minori - ha spiegato Marroni - ma i ragazzi italiani che finiscono i carcere hanno commesso reati gravi, anche di sangue.

Non provengono dai Parioli, dai quartieri bene della capitale, bensì dalle periferie disagiate. Miseria, bisogno, povertà possono portare al crimine ma non possono giustificarlo" ha ammonito Marroni, il quale ha invitato la platea di giovani a non perdere mai il giudizio critico. A conclusione della mattinata,sono stati premiati i lavori dei ragazzi.

Scuole vincitrici: per la sezione grafica, ex aequo la Cecilio Secondo e la Bruno Buozzi di Roma; letteratura, ex aequo le scuole medie di Marcellina e Tragliata in provincia di Roma; teatro, la scuola di Contigliano (in provincia di Rieti). La giuria era così composta: Raffaele Romano (Crel), Paolo Pina (Presidente Il Gruppo Libero), Oliviero Beha, Dino Caterini (direttore della Scuola Internazionale di Comics), Caterina Venturini (regista della compagnia teatrale "Stabile Assai").

Foggia: il carcere scoppia; fino cinque detenuti in celle per due

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 29 maggio 2009

 

La lettera scritta alla nostra redazione da un detenuto del carcere foggiano è firmata simbolicamente: "i discriminata di massa". In maniera garbata chi scrive (pur scegliendo l’anonimato) denuncia una situazione - il sovraffollamento delle celle - confermata da chi lavora nella casa circondariale del capoluogo dauno.

Le cifre datate 27 maggio parlano di 736 detenuti rinchiusi nella struttura, a fronte di una capienza ottimale di 390 persone. In pratica nelle 13 sezioni del carcere di Foggia inaugurato 21 anni, c’è quasi il doppio dei detenuti previsti: se le celle sono state costruite per ospitare due reclusi, ce ne sono quattro o cinque.

Il 20 per cento della popolazione carceraria è rappresentato da stranieri di varie etnie: circa 400 sono invece i detenuti in attesa di giudizio. A fronte di una popolazione carceraria così numerosa, il numero della polizia penitenziaria non è che aumenti e rimane intorno a quota 340 persone, comprese quelle addette alle scorte dei detenuti ai processi e in altre carceri. In alcune sezioni quindi si finisce con un solo poliziotto penitenziario che deve controllare sino a 60/70 detenuti (e malgrado queste carenze di organico proprio il pronto intervento della polizia penitenziaria più di una volta ha evitato suicidi in cella).

In linea teorica il carcere di Foggia (dove esiste una sezione cosiddetta "As", ad alta sicurezza, per gli imputati di mafia ma non c’è il reparto 41 bis che prevede un durissimo regime carcerario) dovrebbe ospitare non più di 390 detenuti; ma sino a 500 reclusi la situazione è tollerabile. Quando si arriva invece quasi al doppio della capienza, la situazione diventa di grande disagio. La situazione ottimale si registrò nell’estate del 2007, un anno dopo l’indulto, quando nel carcere di Foggia c’erano poco più di 300 detenuti. Meno detenuti significa più possibilità per psicologici e operatori sociali (pochi pure quelli) di seguire i carcerati nel tentativo di un percorso di recupero.

La situazione drammatica all’interno del carcere è testimoniata dalla lettera giunta alla "Gazzetta". "Faccio appello al ministro di Giustizia" scrive il detenuto "perché ci possa aiutare a vivere almeno dignitosamente: vogliamo pagare le nostre condanne, ma senza subire soprusi. Perché è un sopruso il sovraffollamento nel quale siamo costretti. Viviamo in condizioni illegali, e questo finisce per essere una beffa vera e propria per la Legge che dovrebbe tutelare la dignità e le condizioni umane: la situazione di invivibilità nelle carcere italiani va avanti da anni".

Nella lettera il detenuto annuncia anche che anche i carcerati foggiani aderiranno ad una forma pacifica di protesta decisa a livello nazionale (anche se non viene spiegato in cosa consisterà questa protesta). "La mettiamo al corrente signori ministero che, se prima dell’estate il problema dovesse accentuarsi a vista d’occhio, noi detenuti del carcere di Foggia faremo sentire la nostra voce aderendo alla protesta che altri carcerati in varie prigioni italiane hanno deciso di attuare. Sarà una protesta pacifica al fine di poter vivere dignitosamente in cella".

Pisa: il carcere? vecchio, fatiscente, inadeguato e sovraffollato

di Antonio Scuglia

 

Il Tirreno, 29 maggio 2009

 

Il Don Bosco? Vecchio, fatiscente, inadeguato, sovraffollato. E in questi giorni di arsura, anche spesso e volentieri senz’acqua nelle celle. Il Garante per i diritti dei detenuti? Senza un ufficio, un telefono, una segreteria. Il triste ritratto arriva con una lettera di un gruppo di detenuti della casa circondariale. Ecco le lamentele.

L’acqua: manca spesso, e "le poche volte che c’è arriva con la ruggine, quindi siamo obbligati anche a lavarci con le bottiglie acquistate da noi presso il carcere". Il sovraffollamento: "Siamo chiusi in 3 nelle celle". Condizioni igieniche: "Persone con l’Aids che dovrebbero trovarsi nel centro clinico sono allocate assieme a quelle sane".

Corsi per la socializzazione: "Tutti sono abbandonati a se stessi". Abbiamo girato questa denuncia all’avvocato Callaioli, Garante dei diritti dei detenuti: come stanno le cose? "Gran parte di queste considerazioni sono valide, anche se non è colpa dell’amministrazione penitenziaria locale. L’impianto idraulico è vecchio e carente, senza nemmeno l’acqua calda d’inverno per le donne. Il sovraffollamento?

Siamo già ai livelli di prima dell’indulto, con oltre 300 detenuti, molti di più di quanti il Don Bosco potrebbe contenerne. Riguardo alla questione Aids, onestamente il problema in questi termini non mi è stato mai posto. I corsi di socializzazione? Ci sono gli educatori, ma il loro numero è insufficiente e il carico di lavoro enorme, come in tutte le carceri d’Italia". Callaioli, nominato nella scorsa legislatura, sta lavorando in regime di prorogatio: dopo l’insediamento di Filippeschi ha rimesso il mandato al sindaco ed ha ricevuto la richiesta di continuare, ma senza un atto formale.

E non è facile lavorare: "Pur essendo stato istituito da oltre due anni, il mio ufficio non ha ancora ricevuto alcuna risorsa: non un telefono, non una stanza per ricevere i parenti dei detenuti, non una segreteria. Per cui devo fare tutto da solo". Ora ha avuto un incontro con l’assessore Ciccone e la commissione consiliare competente, e spera che qualcosa si sblocchi. Se in Comune le cose sono difficili, in carcere vanno peggio.

"Il problema è nazionale. Finché la figura del garante non era strutturata per legge, le singole case circondariali avevano più autonomia e a Pisa ho trovato molta disponibilità da tutti: il dottor Cerri, il magistrato di sorveglianza e così via. Passato il cosiddetto decreto milleproroghe, il riconoscimento della figura del garante è stato inteso in modo molto restrittivo dall’amministrazione centrale. Ho la massima collaborazione della struttura locale, oltretutto oberata da un turnover pazzesco di detenuti, ma poteri limitatissimi".

Venezia: detenuti creano borse, con vecchi striscioni pubblicità

 

La Nuova di Venezia, 29 maggio 2009

 

Si chiamano "malefatte" ma in realtà sono fatte benissimo. A forma di shopping, con i manici, coloratissime, in tre modelli e tutte pezzi unici. Sono le borse realizzate dai detenuti grazie al riutilizzo degli striscioni pubblicitari in Pvc, costeranno dai 15 ai 30 euro e potrebbero fare molta strada.

Di certo, per ora, hanno tutta la simpatia del sindaco Cacciari che ieri ha presentato l’iniziativa insieme all’art director dell’Ufficio Grafico del Comune, Fabrizio Olivetti, alla direttrice degli Istituti di pena veneziani, Gabriella Straffi e al presidente della Cooperativa Rio Terà dei Pensieri, Gianpietro D’Errico, che svolge attività di produzione di oggetti nelle carceri veneziane.

Il progetto - come è stato illustrato ieri - è nato da una semplice intuizione: una volta terminata il loro periodo di utilizzo, gli enormi striscioni pubblicitari vengono riciclati come copertura di emergenza per barche, automobili, box che poi vengono gettate.

Perché non trasformarli in qualcos’altro, tipo le borse? "Queste borse - ha spiegato Olivetti - portano con sé avvenimenti della città, itinerari, memorie di mostre, eventi e manifestazioni del territorio. Difficilmente però si potrà risalire al contesto originale, perché si tratta di manufatti unici. Colori e forme assumono infatti una nuova foggia grazie a parti selezionate da ampie metrature". Il progetto, partito qualche mese fa e ora pronto a concretizzarsi attraverso la vendita delle borse, è piaciuto molto al sindaco, che ne ha proposto la diffusione, ad esempio, nei book shop dei musei e delle mostre della città.

"Mi sembra una bella collezione che dovrebbe funzionare" ha detto Cacciari. Il sindaco si è poi soffermato sulla situazione di sovraffollamento delle carceri, parlando delle gravi condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti. La Straffì ha dato qualche numero da brivido: 316 detenuti al posto di 240 e celle di nove metri quadrati dove dormono in tre. Una convivenza che, come ha spiegato la direttrice delle carceri veneziane, "sta diventando sempre più difficile e problematica".

Firenze: l’Agricoltura sociale… dalle carceri a "Terra Futura"

 

Il Velino, 29 maggio 2009

 

Nell’isola dell’Agricoltura sociale, allestita all’interno della manifestazione di Firenze, Aiab presenta caffè, cioccolato, dolci, vino e tanti altri prodotti realizzati all’interno degli istituti penitenziari italiani e da cooperative di ex detenuti.

Affermare i diritti dei detenuti, migliorarne le condizioni di vita, e favorire percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Sono questi i valori aggiunti dei "Buoni Dentro" i prodotti agroalimentari realizzati all’interno degli istituti penitenziari italiani e da cooperative di ex detenuti, presentati da Aiab all’interno di Terra Futura, la Fiera internazionale delle pratiche sostenibili che si tiene a Firenze dal 29 al 31 maggio.

L’Associazione italiana agricoltura biologica partecipa infatti con la Vetrina dei Buoni Dentro all’interno dell’Isola dell’Agricoltura Sociale, un area di 100 mq - organizzata da Arsia Toscana e dalla Rete delle Fattorie Sociali, con la collaborazione di Arsia Lazio - dove si incontreranno esperienze, aziende e prodotti dell’agricoltura sociale italiana. Questa mira ad essere un modo di riscatto e di reinserimento per i detenuti.

Nella vetrina "I Buoni Dentro" verranno esposti i prodotti realizzati all’interno degli istituti penitenziari e dalle cooperative che lavorano con detenuti ed ex detenuti. Tra questi l’eccellente caffè e cioccolato della coop Pausa cafè del carcere i Torino, i dolci alla pasta di mandorle della coop l’Arcolaio del carcere di Siracusa, le marmellate delle coop. sociali la foglia del te di Massa e della Zaffa che opera nel carcere di Viterbo, i vini del carcere di Velletri e tanti altri prodotti. La vetrina dei Buoni Dentro sarà presente per la prima volta ad una mostra internazionale, e rientra nel progetto "Agricoltura sociale e detenzione: un percorso di futuro", cofinanziato dal ministero della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Cagliari: Sodalitas premia progetto su minori stranieri detenuti

 

Agi, 29 maggio 2009

 

La Provincia di Cagliari si è aggiudicata il primo premio per la migliore iniziativa di responsabilità sociale realizzata da ente locale, istituzione pubblica o scolastica, assegnato dalla fondazione Sodalitas, con il progetto "Interventi per l’integrazione sociale di minori detenuti stranieri non accompagnati".

Alla cerimonia di premiazione, oggi a Milano, cui quale ha partecipato anche il sindaco, Letizia Moratti, era presente l’assessore alle Politiche sociali, Angela Quaquero. "Dedichiamo il premio - ha detto l’esponente dell’esecutivo Milia - a tutti i carcerati che nel mondo sono privi dei diritti umani e alle donne e agli uomini che sono rinchiusi nel braccio della morte".

Nel suo intervento, Quaquero ha anche rilevato che l’attività della Provincia si caratterizza per un’attenzione sempre crescente ai bisogni di quelle particolari fasce deboli della popolazione immigrata rappresentate dalle donne e dai minori stranieri. Il progetto vincitore si è sviluppato su due linee di azioni principali all’interno del carcere minorile di Quartucciu, in cui l’80% dei detenuti sono minori stranieri non accompagnati: sono stati realizzati un campo di calcio a 5 e un laboratorio di falegnameria e di orientamento professionale orientato all’acquisizione delle competenze minime del mestiere di falegname, con eventuale rilascio del credito formativo per i minori stranieri in detenzione penale. Finanziato con 49.506 euro dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, il progetto è stato realizzato con un co-finanziamento provinciale di 55 mila euro.

Genova: spostare il carcere di Marassi, per riqualificare l’area

 

Il Velino, 29 maggio 2009

 

"Era ora. Accogliamo con favore la proposta del presidente del Genoa Preziosi, cui ha aderito anche il presidente della Regione". È il commento di Roberto Cassinelli all’idea di spostare il carcere di Marassi e di riqualificare l’intera zona dello stadio. "Siamo da tempo impegnati in questa direzione - ricorda Cassinelli - e siamo contenti che si convenga sulle nostre posizioni, che sono la base su cui sono al lavoro il ministro Alfano e il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ionta".

Per Cassinelli, "la situazione del carcere di Marassi è oltre ogni limite di tollerabilità: nelle mie visite ho potuto constatare l’inadeguatezza della struttura e la carenza dell’organico, che costringe gli agenti di Polizia penitenziaria a turni disumani.

Per questo ben vengano proposte come quelle del presidente del Genoa Preziosi: spostare il carcere in un’altra area renderà possibile la riqualificazione del quartiere di Marassi intorno allo stadio. Sarà così possibile sviluppare un polo polifunzionale, sul modello delle grandi città europee, capace di diventare centro di attrazione della attività sportiva e ricreativa genovese".

Per il parlamentare, membro della Commissione giustizia della Camera, "bisogna però approfittare dell’occasione per non ripetere gli errori del passato. Il nuovo carcere dovrà diventare un modello strutturale e di organizzazione". Per farlo Cassinelli avanza una proposta. "Occorre - dice il parlamentare - coinvolgere i privati nella costruzione e nella gestione del nuovo istituto di detenzione.

Se consideriamo che ogni detenuto costa allo Stato 500 euro al giorno, si può capire come l’affidamento ai privati potrà consentire una razionalizzazione dei costi, e una maggiore efficienza della struttura e della sua organizzazione. È proprio quanto prevederà il piano Alfano, che potrà essere una grande occasione per la nostra città".

Voghera: istigazione al suicidio dietro morte di Marcello Russo?

 

La Provincia Pavese, 29 maggio 2009

 

"Istigazione al suicidio". È questa l’ipotesi di reato sulla quale sta lavorando la procura della Repubblica di Voghera in merito alla morte del 45enne detenuto Marcello Russo, originario della provincia di Matera, ma da anni "fuori e dentro" dal carcere di Prati Nuovi, in qualche modo un vogherese d’adozione.

Un personaggio apparentemente da quattro soldi, uno che si portava via i vestiti dai contenitori della Caritas. In realtà, secondo le accuse di alcuni pubblici ministeri, Russo sarebbe stato un malavitoso di primo piano, sospettato di aver ordinato alcuni omicidi, ma che poi si era pentito. Marcello Russo è morto nella sua cella, probabilmente avvelenato dal gas di una mini bombola da cucina, il 23 marzo scorso.

Marcello Russo, due giorni dopo, avrebbe testimoniato, come imputato, al processo sul delitto consumato a Castel del Piano (Grosseto), dove venne ucciso Salvatore Conte, l’ex pentito ucciso dai suoi stessi compari e seppellito nei boschi di Gubbio. Russo avrebbe fatto parte di una banda di rapinatori composta da ex pentiti e dedita non solo in Umbria al traffico della droga, delle armi e alle rapine. Banda in contatto con mafia, camorra e Sacra Corona Unita pugliese.

Una settimana dopo la morte di Marcello Russo, la madre Addolorata, denuncia: "Non si è ucciso, aveva saputo che veniva trasferito a Perugia e voleva parlare con il pubblico ministero, aveva tante cose da dire". L’avvocato Sara Bressani di Voghera, che assiste la famiglia di Russo, frena: "Lo sfogo di una mamma disperata...".

Ma intanto si muove rapidamente. Il 21 maggio scorso, su precisa richiesta, Addolorata Masiello è stata ascoltata da un ufficiale di polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero vogherese Maria Gravina. Al magistrato ha consegnato anche una ventina di lettere, tutte vergate a mano, di altrettanti detenuti e compagni di sezione di Marcello Russo. In quelle lettere - che comunque vanno prese con estrema cautela - si parla esplicitamente di "omicidio". Parola pesante, che in realtà non significa che qualcuno abbia ucciso Marcello, ma che sia stato lasciato morire.

Secondo alcune indiscrezioni, infatti, Marcello Russo, sempre nel carcere di Voghera, avrebbe avuto problemi psicologici seri, un ricovero in isolamento e, forse, dei tentativi di autolesionismo. In un caso, inoltre, avrebbe avuto un malore provocato dal gas della bomboletta. È davvero andata così? Ci sono questi precedenti?

L’avvocato Bressani ha intenzione di chiedere chiarimenti su tali aspetti, anche se probabilmente la procura ha già provveduto ad acquisire se non sequestrare la documentazione. Il caso è stato subito preso sul serio, basti dire che il giorno della morte, in carcere si è presentato anche il procuratore capo Francesco De Socio.

Una prima risposta sulla morte di Russo potrebbe arrivare dall’autopsia affidata ai professori Pierucci e Groppi (tossicologo) che è stata depositata nei giorni scorsi. Si dovrà poi capire per quale ragione non gli sia stato "revocato" il possesso della bomboletta, vera e propria "arma suicida" nelle mani di un detenuto. Infine, non è escluso che la polizia giudiziaria possa ascoltare alcuni detenuti: tutti, infatti, si sono detti disponibili a testimoniare.

Napoli: Antigone; tetraplegico messo in cella per reato del 1995

 

Adnkronos, 29 maggio 2009

 

È stato prelevato da casa sua e trasferito nel carcere napoletano di Poggioreale per scontare una pena detentiva diventata definitiva per un reato del 1995, ma lui nel frattempo è diventato tetraplegico e giace in un letto da anni.

A denunciare la vicenda è Stefano Anastasia, difensore civico dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. L’uomo è stato condannato a sette anni e sei mesi per ricettazione e riciclaggio "e già non è tanto normale - dice Anastasia - andare in carcere quattordici anni dopo. Ma in Italia succede".

"Ciò che invece è stupefacente è - aggiunge Anastasia - portare in carcere un tetraplegico. Come fa un uomo in quelle condizioni ad affrontare una carcerazione neanche tanto breve (più di quattro anni, grazie al benedetto indulto)?". "Dunque viene avanzata domanda di scarcerazione per motivi di salute: sospensione della pena o detenzione domiciliare - spiega Anastasia - Il Tribunale di Sorveglianza nell’udienza fissata al 25 maggio non decise. Non può farlo. Manca la perizia richiesta alla direzione sanitaria dell’Istituto penitenziario". "È passato un mese dalla carcerazione di quest’uomo e il Tribunale si aggiorna al 22 di giugno: un altro mese, in carcere, da tetraplegico".

Mantova: inizia da stasera rassegna di film, dedicati al carcere

 

La Gazzetta di Mantova, 29 maggio 2009

 

"Nel carcere si sviluppano anche aspetti terribili, ma di un’umanità che non esiste fuori. Nel carcere, come nella malattia, l’uomo è nudo". Così Davide Ferrario a proposito della sua esperienza nel carcere delle Vallette di Torino, dove ha girato "Tutta colpa di Giuda".

Il film che stasera aprirà "Chi è dentro è dentro. Incontri tra cinema e carcere", la nuova rassegna del Cinema del Carbone organizzata in collaborazione con il Comitato Carcere Territorio di Mantova e la Provincia (assessorato alle politiche sociali e sanitarie).

"La rassegna - recita una nota - si propone, attraverso il cinema, di portare l’attenzione su alcuni aspetti dell’esperienza carceraria: la gestione degli affetti, la maturazione e la crescita dei minori, il senso della pena, la costruzione di un futuro, il rientro nella società".

Interpretato da Fabio Troiano, Kasia Smuntiak, Luciana Littizzetto e dai detenuti delle Vallette, "Tutta colpa di Giuda" racconta della messa in scena di una paradossale Passione di Cristo in un istituto penitenziario. La rassegna proseguirà il 4 giugno con due documentari sulla Casa Circondariale di Bergamo: "Le funambole" di Sara Luraschi e Andrea Piazzalunga segue il reinserimento di cinque donne appena uscite; "Riserva naturale chiusa.

Accesso vietato" è il risultato di un laboratorio sull’audiovisivo condotto da Alberto Valtellina e da un’équipe di Lab80 Film all’interno del carcere. Alla serata parteciperanno Sara Luraschi, Alberto Valtellina e Gino Gelmi, del Comitato d’iniziativa Carcere e Territorio di Bergamo.

L’ultimo appuntamento è venerdì 12 giugno con "Jimmy della Collina" di Enrico Pau, tratto dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto. Alla proiezione parteciperanno Enrico Pau e don Ettore Cannavera, direttore della Comunità della Collina. Tutte le proiezioni si terranno al Teatreno di piazza Don Leoni e cominceranno alle 21.15. L’ingresso costa 3 euro (2 per i soci). Per informazioni: 0376-369860.

Opera (Mi): i detenuti vanno in scena, gli spettatori 380 bambini

 

www.mi-lorenteggio.com, 29 maggio 2009

 

Il carcere di Opera in via del tutto esclusiva ha aperto le porte di ingresso. E lo ha fatto solo per persone speciali, estremamente lontane da chi, in genere, vi ha normalmente accesso. Le ha aperte infatti ai bambini di quarta e quinta elementare delle scuole locali di Opera, Pieve Emanuele e una classe di una scuola media di Milano.

Erano in tutto 380 i bambini, dai 9 ai 13 anni, che mercoledì 27 maggio hanno partecipato alla singolare iniziativa di uno dei più importanti carceri di massima sicurezza in Italia. Una trentina di detenuti, che qui stanno scontando le proprie pene in seguito a reati associativi gravi, ha infatti presentato uno spettacolo teatrale dinamico e divertente, che è una delle tante attività svolte dai carcerati e facenti tutte parte del sistema di programma rieducativo posto in essere dalla casa circondariale di Opera.

In scena "Alla ricerca di Nemo", riadattato al contesto e al luogo. "Il contatto con il mondo esterno - secondo il direttore del carcere Giacinto Siciliano - è fondamentale perché dona al detenuto la possibilità di mantenere il senso della realtà e sicuramente favorisce l’approccio al mondo esterno nel momento in cui al carcerato, una volta scontata la pena, viene aperta la porta della cella che, di per sé, già crea un muro non solo fisico tra recluso e società".

I detenuti sul palco hanno suscitato molta simpatia al pubblico dei piccoli, avulso da qualsiasi tipo di pregiudizio: gli aspiranti attori hanno mostrato impegno e bravura, tanto da essere inevitabilmente apprezzati da tutti i bambini, i quali hanno partecipato allo spettacolo con risate e cori. "Non capita tutti i giorni di trovarsi all’interno di un carcere - ha detto il sindaco Ettore Fusco - ma è un mondo normalissimo, con il quale Opera convive serenamente, in cui ci sono persone che hanno sbagliato e che è giusto che scontino la propria pena ma è anche vero che si può sempre cercare di rimediare e tutti dobbiamo avere una seconda possibilità".

Era presente allo spettacolo anche la bellissima Martina Colombari, in qualità di madrina della Fondazione "Francesca Rava", la Onlus che si occupa di offrire sorrisi e concretezze ai bambini in condizioni di disagio in Italia e nel mondo e che recentemente ha anche intrapreso un percorso di collaborazione con il Carcere a scopi di solidarietà.

Un’iniziativa, quella teatrale, sicuramente singolare e insolita, ma che ha creato per qualche ora un’unione tra due mondi estremamente lontani. Un vero e proprio contrasto tra il "sacro" e il "profano", una diversità che inevitabilmente ha generato ricchezza, realizzando un reciproco scambio di messaggi. Quello dei detenuti, che hanno sbagliato ed è giusto che paghino, ma possono ancora dare qualcosa di positivo alla società.

E quello dei bambini, che con il loro entusiasmo e la loro spontaneità sembrava dicessero ai reclusi "guardate cosa vi state perdendo". Il risultato è stato un successo. Il teatro del carcere così, per un giorno, si è trasformato in una grande terra di mezzo, la cui meta è stata ed è la speranza per un domani migliore.

Stati Uniti: carceri a pagamento; fino a 60 $, per 1 notte in cella

 

Ansa, 29 maggio 2009

 

In alcune città degli Stati Uniti finire in galera può costare fino a 60 dollari a notte al detenuto per il soggiorno tra le sbarre, scrive il quotidiano Usa Today. La recessione ha infatti indotto molte amministrazioni locali a far pagare ai carcerati giudicati colpevoli la notte in cella in base alla loro disponibilità economica.

A Salt Lake City, in Utah, i detenuti pagano fino a 40 dollari a notte. Nel carcere di Forsyth in Missouri una notte in galera costa 45 dollari. A Richmond, in Virginia, dal 15 di aprile ogni giorno i detenuti pagano un dollaro. Chi non se lo può permettere può lavorare nel carcere per guadagnare qualcosa e pagare poi. A Springfield, in Oregon, il nuovo carcere da 100 posti letto potrebbe costare da ottobre 60 dollari a notte. "I detenuti fanno sborsare soldi allo stato per tenere in attività un carcere ed è giusto che contribuiscano", ha spiegato lo sceriffo di Springfield.

Stati Uniti: foto di violenze sessuali, sui detenuti di Abu Ghraib

 

Ansa, 29 maggio 2009

 

Alcune delle foto che testimoniano gli abusi commessi dai militari americani sui detenuti ad Abu Ghraib che Barack Obama sta tentando di censurare mostrano scene di violenze sessuali. Lo riporta oggi il Daily Telegraph, precisando che almeno una foto mostra un soldato statunitense che stupra una donna irachena prigioniera ed una altro un traduttore che violenta un prigioniero.

Secondo il giornale britannico vi sarebbero altre foto di violenze ed abusi sessuali sui detenuti. In una si mostra una donna a cui sono stati strappati i vestiti. È stato lo stesso generale Antonio Taguba, ufficiale a riposo che condusse l’inchiesta sulle violenze nella prigione di Baghdad, a confermare al giornale l’esistenza di queste fotografie che proverebbero che vi sono stati anche stupri e violenze, come venivano riportato anche nel rapporto presentato da Taguba nel 2004. Il generale Taguba, che è andato in pensione nel 2007, ha comunque dichiarato di sostenere la decisione del presidente Obama di impedire, contrariamente a quanto aveva deciso in un primo momento, la pubblicazione delle foto.

 

 

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