Rassegna stampa 31 luglio

 

Giustizia: carceri scoppiano; no all'indulto, si cercano soluzioni

 

Corriere della Sera, 31 luglio 2009

 

Se in molti lanciano l’allarme-carceri, sono in pochissimi però a chiedere di ricorrere di nuovo all’indulto per risolvere almeno temporaneamente il problema del sovraffollamento. Nel 2006, prima che il Parlamento approvasse trasversalmente la misura, nelle carceri italiane c’erano circa 60mila detenuti, meno di oggi.

Per affrontare l’emergenza, un cartello che riunisce avvocati, rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria e garanti regionali ha proposto oggi di utilizzare i militari per i compiti di sorveglianza esterna alle carceri, consentendo così di destinare un numero maggiore di agenti penitenziari - che sono 4.000 in meno rispetto a quanti ne prevedono le piante organiche - al rapporto diretto coi carcerati, e di utilizzare caserme dismesse per ospitare i detenuti meno pericolosi. Ma ha anche chiesto di ricorrere di meno alla custodia cautelare e di più alle pene alternative al carcere.

L’idea di utilizzare i soldati era stata proposta all’inizio del mese da Franco Ionta, il capo del Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) al ministro della Giustizia Angelino Alfano, ma per ora dal governo non è arrivata alcuna risposta, anche perché nell’ultimo i militari sono stati già abbondantemente impiegati per altri scopi, dalla pattuglie cittadine alla sicurezza dei siti destinati allo stoccaggio di rifiuti in Campania.

Il sindacato Sappe, per parte sua, ha invece chiesto ieri al governo di aumentare le espulsioni di detenuti stranieri, che rappresentano oltre il 37% del totale. Nel frattempo, il Consiglio dei ministri non ha ancora discusso il nuovo piano per l’edilizia carceraria che era stato annunciato a giugno dal ministro Alfano, e che nelle anticipazioni del Guardasigilli prevederebbe l’ampliamento di 48 carceri già esistenti (su un totale di circa 200), la ristrutturazione di due e la creazione di 24 nuovi penitenziari.

Intanto, ad agosto prenderà il via una campagna lanciata tra i parlamentari di tutti gli schieramenti, che visiteranno le carceri italiane per verificarne le condizioni. I radicali, che hanno promosso l’iniziativa, sostengono la necessità di un nuovo indulto, affermando che solo il 28% dei beneficiari di quello del 2006 sono stati recidivi.

Giustizia: bisognerebbe fare qualcosa… o almeno "qualcosina"!

di Adriano Sofri

 

Il Foglio, 31 luglio 2009

 

Ogni volta che sto per dire una frase qualunque, come "Si muore dal caldo", mi fermo e la ingoio, perché mi ricordo della galera. Mi ricordo continuamente della galera. La frase qualunque dovrebbe essere appena corretta con un cambio di soggetto, così: "Fa un caldo che muoiono".

Muoiono dal caldo, sono chiusi e ammucchiati, sbarre roventi alle finestre cancelli di ferro alle porte, aria morta, spesso non c’è nemmeno l’acqua. Parlo con Franco Corleone, che in galera da detenuto non è andato mai, ma in altri panni continua ad andarci, e mi vengono altre frasi fatte e frustrate, "Bisognerebbe fare qualcosa", e poi restiamo zitti tutti e due, il tempo di misurare la sproporzione fra il disastro umano delle carceri e il qualcosa che non riusciamo a escogitare. Finché lui dice, piano, come per scusarsi della sproporzione: "Però qualcosina almeno bisognerebbe fare".

Per esempio, dice, lasciarli telefonare. Dalla galera si può telefonare -se non si è sottoposti a restrizioni speciali: ma solo al numero di telefoni fissi. Solo che quasi nessuno più ha i telefoni fissi. Sicché la maggior parte dei detenuti ha il diritto di telefonare, ma in realtà non può farlo. Che senso ha? Le telefonate autorizzate non sono ascoltate né registrate, e i numeri dei cellulari sono verificabili come gli altri. (E, viceversa, se si volesse comunicare con interlocutori non consentiti basterebbe farli convocare accanto a un telefono fisso). Che senso ha, dunque? Nessuno. Come innumerevoli dettagli che contribuiscono a rendere la sopravvivenza in carcere più cattiva ed esasperante. Intanto fa un caldo che muoiono. Bisognerebbe fare qualcosa. O almeno qualcosina.

Giustizia; ronde e baraonde napoletane, dov’è il reinserimento?

di Dario Stefano Dell’Aquila (Associazione Antigone)

 

www.linkontro.info, 31 luglio 2009

 

Appena un mese fa il capogruppo al Senato del Pdl Maurizio Gasparri lanciava un preoccupante allarme. La Regione Campania con una "una decisione criminogena che irride il lavoro delle forze dell’ordine, i cittadini, i turisti" avrebbe consentito ad "ex carcerati di nuovo liberi di depredare i turisti, e per di più a pagamento".

A scatenare l’ira funesta del senatore Gasparri la notizia di un progetto di formazione, finanziato con risorse regionali, denominato "Esco Dentro". Il progetto, rivolto a persone che hanno scontato una pena detentiva, prevede come profilo di uscita quello dell’accompagnatore turistico. Muniti di pettorina e cartellino identificativo, i componenti del progetto (420) accolgono e accompagnano i turisti all’arrivo nella zona portuale.

Qualche giornale, non privo di fantasia ma sicuramente di stile, ha definito questi gruppi come ronde di delinquenti cui il centrosinistra ha affidato la città. A bilanciare l’indignazione il Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, che aveva invece plaudito all’iniziativa e ha chiesto uno sforzo maggiore per le politiche di reinserimento per persone ex detenute. A sostenere il Cardinale solo qualche esponente del mondo del volontariato.

La polemica sembrava sopita, ma qualche giorno fa il senatore Gasparri è tornato a gridare alla vergogna. È accaduto infatti che uno delle persone partecipanti è rientrato in carcere per un residuo di una condanna del 1993. Nessun reato commesso, dunque durante il progetto. Ma è bastato perché il senatore dichiarasse che questa è "l’estrema prova che non è solo la sanità che va commissariata, ma tutta la regione" e che "meriterebbero di tornare in carcere non solo loro, ma anche tutti coloro che hanno avallato questa scelleratezza e si sono resi complici di una frode" (sic). A questo nuovo valzer di accuse non si sono levate voci in difesa dei diritti.

Che dire? Si può archiviare tutto questo come il frutto di una innocua polemica estiva? Forse no, considerato anche la difficoltà anche in larga parte del centrosinistra di affrontare questi temi senza essere vittime di un ingiustificato allarmismo mediatico. E allora si potrebbe dire, senza entrare nel merito di questo specifico progetto formativo, che non è comprensibile in virtù di quale principio chi ha scontato una pena non possa partecipare a corsi di formazione o avere nuove occasioni di reinserimento sociale. Anzi.

La legge regionale sul welfare, votata all’unanimità da tutte le forze politiche del consiglio regionale della Campania, la n. 11/2007, recita specificamente (articolo 34) che la Regione, in accordo con il Ministero della giustizia (…) promuove la "realizzazione di politiche tese al reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti". Certo, in una regione dove il tasso di disoccupazione è fra i più alti di Europa è più facile accendere guerre tra poveri che confrontarsi in modo anche aspro, ma intellettualmente onesto, sulla efficacia delle politiche di inclusione.

Non preoccupa tanto il senatore Gasparri, che si fa interprete di quel sentimento diffuso nell’opinione pubblica stanca e disattenta che non cerca giustizia ma che invoca ogni giorno galera. Preoccupa l’afasia di gruppi dirigenti, intellettuali, associazionismo, incapaci di opporre anche semplicemente argomenti di buon senso. Preoccupa che nessuno spieghi che una volta scontata la propria pena ogni persona ha il diritto di tornare vivere senza stigmi o indelebili marchi di infamia. Che è compito delle istituzioni promuovere politiche di inserimento lavorativo e sociale di fasce deboli o svantaggiate. E invece silenzio.

Nel mentre le carceri in Campania sono affollate, come nel resto d’Italia, sino all’inverosimile. Circa 7.500 detenuti per una capienza di 5.362 posti. Poggioreale è uno dei carceri più affollati d’Europa, con 2.500 detenuti per 1.200 posti. In diversi padiglioni del carcere le celle ospitano anche 11 persone contemporaneamente e non hanno la doccia. Centinaia di persone ammassate, stipate, in un infernale caldo estivo, con il cemento delle aree di passeggio reso incandescente dal sole.

Con le difficoltà economiche della sanità che rendono difficili non le cure in carcere, ma anche i semplici accertamenti medici come una radiografia. Condizioni inumane che rendono inumano anche il lavoro di tutti quelli che nelle carceri ogni giorno operano. Ma al senatore Gasparri tutto ciò non interessa, basta gridare "in galera", di giustizia parleremo un’altra volta. Perché, ormai lo sappiamo tutti, giustizia e carcere sono parole che diventano ogni giorno sempre più inconciliabili.

Giustizia: permesso a punti, e stop ai domiciliari nei campi rom

 

Il Tempo, 31 luglio 2009

 

Stop agli arresti domiciliari nei campi nomadi non idonei ad essere l’alternativa al carcere e la proposta lanciata al governo del permesso di soggiorno a punti per gli immigrati che delinquono e finiscono per restare nella clandestinità.

Sono due delle proposte emerse dal dossier "I domiciliari nei campi nomadi: un rischio per tutti" presentato ieri dalla Commissione Sicurezza Urbana del Comune di Roma, Fabrizio Santori, alla vigilia del Piano nomadi per la capitale, che sarà reso pubblico oggi pomeriggio durante una conferenza stampa dal ministro dell’Interno Roberto Maroni insieme con il prefetto Giuseppe Pecorare, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e l’assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso, all’interno del campo rom di via Salone.

Tra le proposte lanciate ieri dal presidente della Commissione Fabrizio Santori, che chiede che vengano inserite nel Piano nomadi una maggiore collaborazione tra Campidoglio e magistratura con l’auspicio che si arrivi a una limitazione dello strumento degli arresti domiciliari ai soli casi più lievi in cui non ci sia il rischio di evasione, potenziamento della polizia municipale, verifiche degli ingressi e concessione degli arresti in casa solo se le caratteristiche del campo nomadi sono idonee con l’inserimento di un comma 5 ter all’art. 284 cpp.

A presentare il dossier, redatto da Luca La Mantia, anche il consigliere Pdl Domenico Naccari: nel testo, in base al quadro normativo che viene sintetizzato, si evince che "a Roma non ci sono strutture in grado di garantire condizioni igienico-sanitarie accettabili, né è possibile garantire che il detenuto non evada, come in numerosi casi è stato accertato e sottolineato anche dalle forze dell’ordine".

A Roma sono 269 i campi nomadi: 7 autorizzati , 12 tollerati e 250 completamente abusivi. Erano 55 i nomadi detenuti agli arresti domiciliari nei campi nomadi attrezzati della Capitale tra marzo e aprile 2009. "Si tratta - ha sottolineato Santori - di un numero in continua variazione, date le frequenti evasioni e scarcerazioni". Di questi 55, 45 erano già presenti nei campi, 10 erano soggetti esterni poi inseriti ai domiciliari nei campi.

I Municipi con il più alto numero di arrestati sono l’XI e il XII con 15 detenuti nei campi Tor dè Cenci e via Pontina. Santori prenderà visione del Piano nomadi "solo stamattina" ha detto. "Attendo - ha aggiunto - di visionarlo anche per suggerire eventuali modifiche. Noi infatti siamo in contatto quotidianamente con i cittadini e conosciamo bene il disagio di chi vive nei pressi di un campo".

"Auspichiamo che le nostre proposte vengano prese in considerazione - conclude Santori - e siamo fiduciosi che verranno rispettati gli impegni assunti con gli elettori volti all’eliminazione di tutti gli insediamenti abusivi, all’incremento del numero delle espulsioni per i rom che hanno commesso reati o se muniti di fogli di via, prevedendo un numero chiuso di nomadi che verranno collocati all’interno dei 7 campi autorizzati, con la creazione di eventuali nuovi stanziamenti esclusivamente lontani dai centri abitati".

Giustizia: Ronchi; non riempiremo le carceri con i "clandestini"

 

Asca, 31 luglio 2009

 

"Noi non abbiamo impedito e non impediremo il diritto di accoglienza e di asilo". Lo ha detto il ministro delle Politiche europee Andrea Ronchi, a Cortina Incontra, precisando che con l’applicazione del reato di clandestinità "non riempiremo di sicuro le carceri". Ronchi ha aggiunto che "è stata vinta la battaglia contro i mercanti di schiavi", fermando i barconi dei clandestini. "Finalmente Lampedusa è tornata a essere la perla del Mediterraneo che era - ha aggiunto Ronchi -. Abbiamo svuotato i centri d’accoglienza".

Giustizia: Udc; quando Piano carceri in Consiglio dei ministri?

 

Avvenire, 31 luglio 2009

 

"A quando l’approvazione del piano carceri in Consiglio dei ministri?" Lo ha chiesto Roberto Rao, deputato dell’ Udc, in commissione Giustizia al sottosegretario Caliendo.

"I recenti suicidi nelle carceri - ha proseguito Rao - la condanna del 16 luglio scorso dell’Italia da parte della Corte europea per la violazione dell’articolo 3 della convenzione (divieto di tortura e delle pene inumane degradanti) impongono a tutti una seria riflessione che vada oltre il semplice annuncio del piano carceri e della costruzione e apertura di nuove strutture nel medio termine".

"Se i detenuti hanno raggiunto quota 63.400, ben 20mila in più rispetto alla capienza regolamentare, e di questi il 52,2% è in custodia cautelare, è necessario rivedere prioritariamente i tempi della misura restrittiva, rivalutare le misure alternative, e accelerare i processi. Il governo può e deve fare di più. Nessuno si aspetta la bacchetta magica - osserva Rao - e da parte nostra c’è la volontà di collaborare per concorrere a risolvere questo problema". "Speriamo che fin dal settembre - conclude Rao - si passi dalle parole ai fatti".

Giustizia: a Venezia, la cella "liscia" che ha ucciso Mohammed

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 30 luglio 2009

 

Una "cella di punizione" descritta da testimoni e da chi ha potuto verificarne l’esistenza come "stretta, buia, dall’odore nauseabondo". Qualcosa che assomiglia più a una segreta medievale che a una moderna camera di sicurezza, molto lontano dai requisiti di legge che stabiliscono dimensioni, caratteristiche architetturali, condizioni igieniche e arredo di una normale "camera di pernottamento", come l’ordinamento e il regolamento penitenziario si ostinano a definire - non senza un tocco di perfida ipocrisia - una normale cella penitenziaria.

In gergo carcerario si chiama "cella liscia", il non plus ultra della punizione. Una cella completamente vuota, senza mobilio, senza branda, senza tubi, maniglie o qualsiasi altro oggetto o manufatto che possa svolgere funzione di appiglio.

Senza finestra, con piccole feritoie al suo posto, oppure - l’immaginario del supplizio è pieno di fantasia - senza infissi, nude sbarre senza vetri e ante col freddo che d’inverno aggredisce i corpi non di rado lasciati nudi (col pretesto di non offrire vantaggi a chi avrebbe intensione di suicidarsi), magari anche bagnati. Solo le quattro mura, il pavimento e il "blindato", cioè una massiccia porta di ferro senza cancello che chiude la stanza. Per servizi igienici una turca piazzata in un angolo senza muretto, quando si è fortunati, altrimenti nemmeno quella. Un buco a terra oppure niente.

Chi c’è finito, qualsiasi fosse il carcere dove si trovava, descrive il medesimo spettacolo rivoltante. Escrementi ovunque, urina rafferma, aria infetta, insetti. Una sentina della terra piena di graffiti tracciati con le unghie da chi in quel luogo ha trascorso dure quarantene per spurgare ataviche dipendenze dalle droghe, furie isteriche, crisi psichiatriche, oppure ha scontato ruvide punizioni.

Quando finisci in un posto del genere dormi per terra, cioè su un tappeto di merda. Impari a non respirare col naso e ti stringi più che puoi, cerchi di farti piccolo, piccolo. Tutte le attuali sezioni d’isolamento dispongono ancora di una cella liscia. Eredità antica, dura a morire come quella del carcere di santa Maria Maggiore a Venezia, che, dopo il suicidio - lo scorso 6 marzo - di un marocchino di ventisei anni di nome Mohammed, ha attirato l’attenzione della magistratura.

Così il nome di sei poliziotti della penitenziaria è finito nel registro degli indagati per il reato di "abuso di autorità contro persone arrestate o detenute" (698 cp). La magistratura vuole accertare se la cella liscia sia stata impiegata per ospitare momentaneamente i detenuti "nuovi giunti", in attesa di essere assegnati in sezione, oppure se sia stata utilizzata come cella d’isolamento.

Dopo la morte di Mohammed il sostituto procuratore Stefano Michelozzi ha indagato per omicidio colposo due ispettori della penitenziaria: il responsabile del reparto dove è avvenuto il suicidio, e il responsabile della sorveglianza generale. Secondo il magistrato nella condotta dei due graduati si evidenziavano possibili carenze e omissioni nella gestione del detenuto, che in manifeste condizioni di sofferenza psichica aveva già tentato il suicidio poche ore prima della morte.

Invece di essere affidato alle cure del caso e sottoposto a "sorveglianza speciale" a vista, Mohammed era finito nella famigerata cella liscia. Abbandonato a se stesso e alla sua sofferenza e disperazione, aveva sfilettato con i denti la coperta di lana lasciatagli come giaciglio per farne una treccia che poi era riuscito a utilizzare per appendersi alla finestra. Quell’episodio aveva suscitato numerose proteste tra i suoi compagni (diversi vennero trasferiti).

Alcune lettere provenienti dal carcere ricostruirono le fasi precedenti il suicido denunciando l’incuria e i metodi brutali della custodia, in particolare contro gli stranieri. Dopo il primo tentativo di suicidio, scriveva un testimone: "è stato portato in una cella di punizione che puzza tanto da far vomitare e che è buia più di una grotta. Lo so perché ci sono stato. Gli hanno prima tolto i vestiti e poi sarebbe stato spinto dentro solo con una coperta senza neppure farlo visitare da un medico o da uno psichiatra. Perché nessuno ha controllato cosa faceva e come stava. Non era meglio lasciarlo con i compagni, che pure avevano chiesto di lasciarlo con loro?".

Nei giorni scorsi il pm ha chiesto di poter raccogliere sotto forma di incidente probatorio le dichiarazioni di sette detenuti, tutti stranieri, che nel corso delle indagini preliminari hanno raccontato al magistrato numerosi particolari sull’utilizzo della cella liscia. È l’unica strada per dare immediato valore probatorio alle loro dichiarazioni, prima che possibili pressioni e ricatti dell’istituzione carceraria possano spingerli a ritrattare o, terminata la pena, diventino irrintracciabili. Ma la domanda più importante è un’altra: questa inchiesta porterà all’abolizione delle celle lisce e dei reparti d’isolamento? Il presidente del Dap, Franco Ionta, interverrà con una circolare apposita?

Giustizia: ddl Alfano su intercettazioni, perché sono contrario

di Nicola Tranfaglia (Storico, Università di Torino)

 

L’Unità, 31 luglio 2009

 

Qualche giorno fa sono stato con i rappresentanti dell’Ordine dei Giornalisti e con gli amici di Articolo 21 presso la Commissione Giustizia del Senato per esporre le ragioni per cui siamo in tanti ad opporci al disegno di legge Alfano che anche il Capo dello Stato, a quanto pare, giudica bisognoso di modifiche più o meno grandi.

Tra il presidente della Commissione, senatore Berselli, e chi scrive c’è stato uno scambio che meriti di essere raccontato. Ho detto che le norme contenute nel progetto porteranno alla soppressione della cronaca giudiziaria nei giornali, tali e tanti sono i divieti posti ai giornalisti di parlare degli atti processuali in corso aggiungendo che le indagini dei magistrati subiranno limitazioni gravi.

Ho detto anche che le conseguenze di quel disegno di legge assomigliano di fatto a quelle che si ebbero durante la dittatura fascista. Il senatore Berselli ha giudicato "impropri i paragoni" che avevo osato fare. Ho dovuto rispondere, con molta calma, che ad azioni simili ci saranno conseguenze simili e che, perciò, il paragone sarà malinconico ma è realistico. Scavando peraltro più a fondo nelle vicende siciliane di questi giorni si capiscono novità di grande interesse sulla galassia mafiosa.

La prima è che la legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche e ambientali danneggerà le indagini sulla mafia. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, lo afferma nell’intervista ad Antimafia 2000: "Solo apparentemente le indagini di mafia e le chances investigative su questo fronte resteranno indenni per il semplice fatto che la percentuale dei casi in cui un procedimento che ha avuto come causa investigativa iniziale e terminale un reato di mafia è solamente del 40-50 per cento.

C’è un’altra serie di indagini che approdano all’ipotesi di mafia pur nascendo da altre più ipotesi di reato." La seconda novità riguarda l’applicazione del carcere duro che si realizza con l’articolo 41 bis. Anche qui Ingroia è esplicito. Ci vorrebbero per una seria applicazione "vetri divisori, registrazioni non utilizzabili ai fini giudiziari come previsto dalla legge, ma comunque registrazioni di tutti i colloqui verbali e telefonici, videoregistrazioni dei colloqui ma soprattutto la riapertura delle carceri di Pianosa e dell’Asinara, luoghi simbolo della reazione dello Stato alle stragi".

La terza indicazione riguarda l’attuale lotta alla mafia e parla della reazione dello Stato al riciclaggio del denaro sporco. Qui Ingroia ricorda che in Italia la legislazione italiana è tuttora arretrata: "Non abbiamo un testo unico antiriciclaggio. E pur essendoci l’anagrafe unica dei conti correnti è noto che alla procura di Palermo è stata sottratta la password per accedervi." Tre elementi preoccupanti dell’attuale situazione a cui l’opposizione potrà riferirsi per chiedere conto al governo Berlusconi della sua apparente volontà di combattere Cosa Nostra.

Giustizia: ronde subordinate ad ordinanze specifica del sindaco

 

Avvenire, 31 luglio 2009

 

Le ronde saranno subordinate ad ordinanza specifica del sindaco. C’è soddisfazione all’interno dell’Associazione Nazionale dei Comuni perché la maggior parte delle loro proposte sui volontari della sicurezza urbana sono state accolte dalla Conferenza Stato-città. Le modifiche suggerite, infatti, fanno sapere dall’Anci, "evitano sovrapposizioni di competenze ed aggravi per il personale e le finanze delle amministrazioni locali".

Nel corso della riunione; ha detto il sindaco di Varese Attilio Fontana, "è anche stata accolta l’ipotesi di una disciplina transitoria che consente di utilizzare le esperienze già fatte da alcuni Comuni assieme a gruppi di volontariato". Più diretto il presidente lombardo dell’associazione Lorenzo Guerini che ha evidenziato che l’attività delle associazioni è subordinata alla decisione del sindaco, che è quindi riconosciuto come l’unico titolare egli interventi in materia di sicurezza urbana".

Se è il primo cittadino a dover autorizzare le ronde, può però anche interdirle con annessa multa. È il caso di Massa dove il sindaco Roberto Pucci, dopo gli scontri di sabato scorso, ha deciso vietare le squadre di vigilanza, multando i trasgressori con una sanzione fino a 500 euro. Ciò si è reso necessario, ha commentato, "per evitare comportamenti che incidano sulla incolumità pubblica e sulla sicurezza urbana", in un territorio in cui sono presenti associazioni connotate politicamente.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 31 luglio 2009

 

Il degrado di Oristano. Cara Radiocarcere, qui nel piccolo e vecchio carcere di Oristano viviamo nel più completo degrado. Pensa che siamo costretti a vivere in 8 detenuti dentro delle piccole celle. Inoltre, il bagno non è separato dal resto della cella. In un angolo, a soli 20 cm dalle nostre brande c’è una tazza alla turca, sporca e maleodorante. Puoi immaginare quali umiliazioni dobbiamo sopportare quando uno di noi deve fare un bisogno. Abbiamo messo un lenzuolo per trovare un po’ di intimità, ma è poca cosa.

Come se non bastasse tengono sempre chiuse le porte blindate delle celle e la finestra ha fuori una c.d. bocca di lupo. Un’enorme lastra che ci impedisce di vede fuori e che impedisce il ricambio d’aria. Il risultato è che noi qui non riusciamo a respirare. Puoi immagine il caldo e il cattivo odore che dobbiamo sopportare! Abbiamo più volte chiesto che ci lasciassero aperti i blindati per poter respirare un po’ d’aria, ma loro ci hanno risposto di no. Qui la disperazione è tanta, e pensa che l’altro giorno un ragazzo ha pure tentato di impiccarsi.

Qui nel carcere di Oristano la situazione è disastrosa, ma loro non vogliono che trapeli nulla di quello che accade qui. Infine, io non sono sardo ed è da novembre che non vedo mia moglie e i miei figli. Ho chiesto di essere avvicinato alla mia città ma loro se ne fregano.

 

Maurizio, dal carcere di Oristano

 

L’incubo di Poggioreale. Caro Arena, siamo un gruppo di ragazzi detenuti alla loro prima carcerazione. E ti possiamo dire che per noi conoscere la realtà di Poggioreale è davvero un incubo. Siamo gli ultimi arrivati, e forse anche per questo ci trattano peggio degli animali.

Siamo costretti a vivere in 8 persone dentro una piccola cella. Una cella dove passiamo praticamente quasi tutta la nostra giornata. Ovvero 21 ore. Chiusi in cella ci dormiamo, ci mangiamo e, quando possiamo, ci guardiamo la Tv. Qui a Poggioreale anche fare solo la doccia diventa un’occasione di umiliazione, tra sporcizia e promiscuità.

Ti diciamo anche che l’altra settimana, passando vicino alle cucine, ci siamo accorti che ci vivono e ci prolificano colonie di topi. Già topi! Topi più grandi di un gatto… e pensare che quello che cucinano lì noi ce lo dobbiamo mangiare! La Asl le sa queste cose? Anche i nostri familiari soffrono il degrado di Poggioreale. Sono costretti ogni settimana a mettersi infila alle 5 del mattino. Dura ore e ore la loro attesa. Una lunga attesa per un colloquio con noi che dura solo 50 minuti. È questo l’esempio di civiltà che lo Stato mostra a chi ha sbagliato?

Il mese scorso abbiamo fatto una protesta pacifica, ma è stato inutile. Speriamo tanto di ascoltare la nostra voce attraverso la tua che stai dalla nostra parte.

 

Un gruppo di persone detenute nel carcere Poggioreale di Napoli

Sicilia: carceri antiche e ci vivono il doppio dei detenuti previsti

di Alessandra Turrisi

 

Avvenire, 31 luglio 2009

 

Fortezze borboniche cariche di muffa e umidità, bui castelli medievali, conventi torridi d’estate e gelidi d’inverno, strutture nate con altri scopi e solo nell’Ottocento riadattate a prigioni. Vivono anche in otto o in nove per cella i detenuti in Sicilia, in carceri troppo spesso inadeguate non solo alla funzione rieducativa, ma anche al banale senso di umanità.

Gli istituti penitenziari nell’Isola sono trenta, fra cui un ospedale psichiatrico giudiziario a Barcellona Pozzo di Gotto e quattro per minorenni, dove vive recluso un numero quasi doppio di detenuti rispetto alla capienza regolamentare. Per l’80 per cento si tratta di costruzioni antiche: si va da edifici trecenteschi a strutture ottocentesche, difficili da adeguare alle nuove normative di sicurezza e di vivibilità e che scontano carenze di locali oggettive.

Non è un caso che due mesi fa il Garante regionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti abbia presentato un esposto al "Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti", in cui con un crudo rapporto invoca la chiusura di sette strutture colpevoli di "mortificare la dignità della persona umana".

Prigioni dove, per esempio, i detenuti possono trascorrere la loro ora d’aria solo in un angusto corridoio che in origine era il fossato del castello (Favignana), dove i servizi igienici all’interno delle celle non sono altro che un water con un muretto (Marsala), dove non esistono spazi comuni e neppure un luogo adibito al culto (Modica).

Il procuratore generale di Messina, Antonio Franco Cassata, dopo aver visitato il carcere di Mistretta, ha parlato di "un’umanità avvinghiata alle grate dei cancelli in condizioni di desolante abbrutimento e di sostanziale sub-umanità". La capienza regolamentare dei trenta istituti di pena è di 4.898 posti, quella tollerabile di 7.220, ma la presenza reale è di 7.705 detenuti, di cui 2.010 stranieri. Un tasso di sovraffollamento che raggiunge il 345% in una struttura come il carcere di Caltagirone.

Una situazione incandescente governata da 4.353 agenti di polizia penitenziaria in servizio (4.534 sulla carta), di cui molti distaccati. Un’emergenza da cui si può uscire. Per Lino Buscemi, segretario generale della conferenza italiana dei Garanti dei diritti dei detenuti delle Regioni e direttore dell’ufficio del Garante per la Regione Sicilia, nell’attesa che vengano costruite nuove carceri, "sarebbe possibile applicare tre provvedimenti - spiega -. Innanzitutto, ricorrere di più e meglio all’istituto delle pene alternative per i reati minori, anche se di difficile attuazione nel caso degli extracomunitari, spesso senza un domicilio.

Poi puntare a creare misure che allevino la sofferenza all’interno delle carceri, dalle docce frequenti all’aumento dei momenti giornalieri di uscita dalle celle. Infine, all’apertura delle carceri ultimate, che per le solite lungaggini burocratiche restano chiuse: Gela, Villalba e Noto". Aspetto su cui punta molto il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo. "In Sicilia abbiamo una situazione pesante, ma stiamo mettendo in atto alcune iniziative che stanno già dando i primi risultati - spiega -.

Abbiamo appena riaperto la prima ala della casa circondariale di Noto, chiusa dopo il terremoto del 1990, ristrutturata secondo i criteri più moderni, che a regime avrà 220 posti. Inoltre, con la manodopera dei nostri detenuti, stiamo portando avanti alcuni lavori che ci consentiranno di recuperare 250 posti a Palermo, tra Ucciardone e Pagliarelli. Stiamo ultimando i lavori a Gela e a Catania - piazza Lanza abbiamo trasferito i detenuti per reati comuni da un braccio sovraffollato a un altro meno utilizzato, prima destinato all’alta sicurezza". E sulle misure alternative insorge: "Sono importanti, ma bisogna che tutti si ricordino che è necessario che ci siano i requisiti per poterle attuare".

Sicilia: il Garante dei detenuti; la soluzione? passa per il lavoro

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 31 luglio 2009

 

Fleres, Garante regionale dei diritti dei detenuti, denuncia la situazione in sette penitenziari e punta il dito sulle strutture che a tutt’oggi non funzionano a pieno regime.

Quali strade percorrere per affrontare l’emergenza carcere in Sicilia? "Innanzitutto far funzionare a pieno regime le strutture già realizzate - risponde il senatore del Pdl Salvo Fleres, garante regionale siciliano dei detenuti -. C’è Noto, che è stata aperta solo in parte. Poi Gela e Villalba, già realizzate ma chiuse. Questo ci consentirebbe di guadagnare 500 - 600 posti e alleggerire la situazione".

Ma la vera soluzione, è convinto Fleres, passa dal lavoro. Lo strumento c’è già. E riguarda gli ex detenuti e chi si trova in semi libertà. "Quando ero deputato regionale ho fatto approvare una legge che permette a queste categorie di persone di ottenere un contributo a fondo perduto di 25mila euro per avviare un’attività lavorativa - spiega -. Ne abbiamo erogati circa 80 e nessuno dei beneficiari è tornato delinquere. C’è di che andarne fieri". Un bell’investimento, insomma, se si pensa che mantenere una persona in carcere costa allo stato circa 90-100mila euro all’anno.

La proposta di Fleres cade in una situazione carceraria molto difficile. Tanto che sono sette gli istituti di pena isolani per i quali lo stesso Fleres ha chiesto l’intervento del Comitato europeo per la Prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. In modo particolare, si chiede di ispezionare le carceri di Favignana, Marsala, Modica, Mistretta, Catania "Piazza Lanza", Palermo "Ucciardone" e Messina "Gazzi".

Strutture vecchie di secoli, rimarca ancora Fleres, come la casa circondariale di Mistretta edificata nel 1300 per ospitare un convento francescano e riconvertita in carcere nel 1890. Le otto celle hanno come unica esposizione quella del chiostro, "sono buie e umide - si legge nella relazione del Garante - eccessivamente calde d’estate e gelide d’inverno". Ancor più drammatica la situazione di Favignana dove "le celle si trovano sette metri sotto il livello del mare e non hanno finestre - spiega Fleres -. Ci sono topi e insetti di ogni genere". Vivono in queste condizioni i circa 130 reclusi di Favignana (a fronte di una capienza di 100 unità, ndr), in attesa che venga completata la costruzione di un nuovo penitenziario.

Ma il triste primato di carcere più affollato dell’isola, e di tutta Italia, va alla Casa Circondariale di Caltagirone: in una struttura che potrebbe "tollerare" la presenza di 150 persone (ma che era stata progettata per accoglierne 75) vivono 259 carcerati.

Ravenna: la situazione è esplosiva, una maxi rissa tra detenuti

di Carlo Raggi

 

Il Resto del Carlino, 31 luglio 2009

 

La maxi rissa di lunedì pomeriggio all’interno del carcere (in cui è rimasto ferito un ispettore della polizia penitenziaria) è un primo, inconfutabile campanello d’allarme: la situazione nella casa circondariale ha raggiunto livelli esplosivi anche sotto il profilo della sicurezza. Sicurezza dei detenuti e sicurezza anche della Polizia penitenziaria.

Due le cause di questo pericolosissimo scenario: da una parte l’inumano sovraffollamento della struttura che, deputata ad ospitare al massimo una settantina di detenuti, ha raggiunto negli ultimi tempi punte assurde che hanno sfiorato quasi i duecento reclusi; dall’altra la colposa carenza di organico fra il personale della polizia penitenziaria.

Lunedì pomeriggio sono venuti alle mani, nell’area del passeggio detenuti albanesi e detenuti magrebini, due nazionalità che già si guardano in cagnesco; a maggior ragione all’interno del carcere, dove vengono a sintesi eventuali conflitti sorti all’esterno, questi possono esplodere in atti anche di gravissima violenza.

Non è dato di sapere quali siano stati i motivi della rissa di lunedì, ma basta sottolineare il fatto che i protagonisti erano prevalentemente reclusi per fatti di droga e ben si sa che i magrebini lo stupefacente lo acquistano dagli albanesi e qualche volta potrebbe non venire pagato. Oppure qualche albanese potrebbe sempre ritenere di essere stato "venduto" da un magrebino arrestato.

Fatto sta che quanto accaduto lunedì deve suonare come campanello d’allarme e che una situazione di sovraffollamento del genere non può proseguire anche se nelle ultime ore dal carcere ravennate sono stati trasferiti diversi detenuti: il provvedimento era già in programma da qualche tempo (il trasferimento programmato era per una ventina di detenuti) e non è quindi da mettere in relazione con la rissa. Il trasferimento ha comunque portato non poco disagio alle famiglie dei reclusi residenti nel Ravennate.

A rendere pericolosa la situazione all’interno della casa circondariale è anche - come si diceva - la carenza nell’organico della Polizia Penitenziaria. Dovrebbero essere ben oltre sessanta, attualmente ne sono presenti 49, ma - come spiegano i sindacati - ne possono essere utilizzati, per i servizi ai piani dei detenuti, solo 25, con turni estenuanti per tutto il personale che giunge ad effettuare anche sessanta ore di straordinario mensile, rimanendo in servizio anche per ventiquattro ore di filato. Con gravissime conseguenze sulla resa, sull’equilibrio, sulla sicurezza propria e altrui.

Il rischio - c’è chi fa capire - è che possano scatenarsi altre risse fra detenuti e che queste vengano utilizzate come micce per una rivolta, date le condizioni di invivibilità. Il personale in servizio di per sé potrebbe non essere adeguato, dal punto di vista quantitativo, a fronteggiare una situazione del genere.

Sul fronte dell’emergenza del carcere ravennate da tempo si scrive e il sindaco Fabrizio Matteucci ha preso più volte posizione mettendo in mora, con un’ordinanza, la direzione della casa circondariale e sollecitando il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a rendersi conto della situazione insostenibile e a considerare quello di Ravenna un carcere da chiudere. L’Amministrazione comunale si è detta ripetutamente disponibile a individuare l’area per una nuova, moderna struttura, ma da Roma hanno sempre fatto orecchie da mercante.

"L’ultima lettera al ministro Alfano - sottolinea il sindaco Fabrizio Matteucci - l’ho scritta poche settimane fa e anche questa volta non ho avuto risposta. Considero molto grave questo modo di comportarsi e se a fine agosto non avrò ricevuto riscontro chiederò un appuntamento al ministero. La situazione nel carcere ravennate è non solo intollerabile, soprattutto sta diventando pericolosa". Intanto il senatore Vidmer Mercatali ha preannunciato una interpellanza in Senato.

Trapani: carcere affollato presidente Provincia scrive a Alfano

 

www.imgpress.it, 31 luglio 2009

 

Il Presidente del Consiglio Provinciale, Peppe Poma, ha scritto oggi al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, invitandolo nuovamente a venire a Trapani e sollecitando con forza il suo diretto intervento per risolvere i noti problemi di sovraffollamento che interessano il carcere di San Giuliano.

"Con riferimento alla mia precedente nota del 22 aprile scorso, - scrive il Presidente Poma nella sua nota al Ministro Alfano - torno a sottoporre alla Tua autorevole attenzione, anche per conto dell’intero Consiglio di questa Provincia Regionale, la necessità di volere personalmente visitare il carcere S. Giuliano di Trapani.

Mi permetto reiterare con forza questa mia richiesta, che prendeva originariamente le mosse dall’episodio di violenta contestazione, verificatosi quattro mesi or sono, in cui, fra l’altro, un agente di custodia del predetto carcere è rimasto addirittura ferito, perché il sovraffollamento delle celle ha da tempo superato ampiamente i limiti imposti dalla sicurezza, dalla umana sopportabilità e dalla pur minima condizione di rispetto della dignità individuale, ammesso che di dignità si possa parlare all’interno di un regime di siffatta reclusione.

Voglio solo ricordarti, a questo proposito, che in considerazione anche dell’avvenuto aumento dei detenuti e del pensionamento di numerosi agenti, l’organico della polizia penitenziaria presso il carcere S. Giuliano di Trapani risulta essere carente di almeno 40 unità. Inoltre, rispetto alla capienza totale (400 posti) oggi sono presenti più di 500 detenuti.

Una situazione, dunque, letteralmente esplosiva che richiede il tuo immediato e risolutivo intervento.

Nella certezza che non vorrai lasciare inascoltato anche questo mio nuovo invito-sollecitazione, - conclude il Presidente del Consiglio Provinciale - rimango in fiduciosa attesa di urgente cortese riscontro anche per dare le necessarie risposte alle giuste attese di un territorio e di una opinione pubblica che continuano a dare piena fiducia agli uomini del partito politico che ci accomuna e soprattutto a quei siciliani come Te che hanno assunto un preciso impegno politico e programmatico."

Rimini: da Caritas e Apg23, la solidarietà per detenuti e agenti

 

Corriere Adriatico, 31 luglio 2009

 

La Caritas diocesana di Rimini e l’Associazione Papa Giovanni XXIII, esprimono la loro solidarietà ai detenuti e agli agenti del carcere di Rimini in vista di un incontro per trovare proposte valide a fronteggiare l’emergenza sovraffollamento.

In vista di un incontro per trovare proposte valide a fronteggiare l’emergenza nella quale versa la Casa Circondariale di Rimini, dichiarano la loro solidarietà ai detenuti e agli agenti per la disperata situazione che stanno vivendo a causa del sovraffollamento. La condizione dei detenuti, già gravissima, sta degenerando a livelli insostenibili. Se, in queste ore, entreranno nuovi detenuti saranno costretti a dormire per terra, non essendoci più disponibilità di materassi. A causa del sovraffollamento delle celle, nelle quali sono stipate 11/12 persone, e i letti a castello sono arrivati al 4° piano, toccando il soffitto, non è più garantita la sicurezza. Il numero degli agenti risulta insufficiente a fronteggiare una qualsiasi situazione di emergenza.

Questo comporta un rischio elevato sia per i detenuti che per gli agenti. La Caritas diocesana e l’Associazione Papa Giovanni XXIII danno la loro disponibilità ad accogliere, nelle loro strutture, le persone segnalate dall’area educativa della Casa Circondariale.

La protesta sta continuando in modo pacifico, ma rumoroso, anche se il battito delle stoviglie contro le inferiate non raggiunge le orecchie dei cittadini riminesi. Purtroppo questa pesante situazione è vissuta solo dai pochi addetti ai lavori che ogni giorno svolgono il loro servizio accanto agli ultimi e che si sentono impotenti nel risolverla.

Il problema del sovraffollamento è espressione del vero problema che è presente in Italia che è quello della macchina giudiziaria, dagli ingranaggi così complicati che stanno per bloccarsi completamente su tutto il territorio nazionale. Negli ultimi vent’anni non si è era mai arrivati a questi livelli di estrema difficoltà e ai limiti della sopravvivenza.

Messina: la Uil si rivolge al Ministro Alfano con "lettera aperta"

 

Ansa, 31 luglio 2009

 

Sarà una delegazione della Uil Penitenziari a consegnare al Ministro Alfano questo pomeriggio al carcere di Gazzi, la lettera aperta nella quale il Segretario Generale Costantino Amato denuncia la drammatica situazione in cui versano gli istituti di pena della città e della provincia.

"A sei mesi esatti dalla prima indagine conoscitiva redatta dalla Uil Penitenziari insieme con la Camera Sindacale - spiega Amato - la situazione all’interno delle carceri messinesi non solo non è migliorata ma è ulteriormente peggiorata grazie alle ferie estive che hanno esasperato la già gravissima carenza di personale".

"Per questo - continua Amato - consapevoli che il rimpallo di responsabilità a livello locale è dovuto alla mancanza ormai cronica di fondi, abbiamo deciso di rivolgerci direttamente al ministro perché si impegni all’adeguamento delle piante organiche, sia in relazione al sovraffollamento delle strutture, sia all’aumentato carico di servizi affidati alla polizia penitenziaria, e alla messa in sicurezza degli istituti di pena".

Modena: carcere scoppia, la Camera penale invia una protesta

 

La Gazzetta di Modena, 31 luglio 2009

 

La situazione di sovraffollamento del carcere modenese è stata a più riprese denunciata sia dal direttore Madonna sia dai sindacati degli agenti di polizia penitenziaria: 110 agenti devono attualmente sorvegliare 539 detenuti. Celle con anche 5 detenuti anziché due.

A fronte di questa situazione d’emergenza interviene ora la Camera penale di Modena "Carl’Alberto Peroux". Come comunica il suo presidente, avv. Luca Scaglione, si è svolto un incontro con il direttore di S. Anna nel corso del quale è stato confermato il gravissimo stato di sovraffollamento in cui versa la struttura penitenziaria.

A tutto ieri S. Anna ospitava 539 detenuti a fronte di una capienza di 220 e ad una massima sostenibilità di 440. Vi è tra l’altro un’allarmante sproporzione tra detenuti in attesa di giudizio, 354, e detenuti in espiazione pena con condanna definitiva, attualmente 185. Per questo durante l’incontro il presidente Scaglione ha fatto presente al direttore che la camera penale si riserva di adottare forme di protesta "qualora non siano adottate misure adeguate volte a rimuovere le condizioni di degrado e assicurare ai detenuti condizioni di vita quantomeno rispettose della dignità umana". Un documento di protesta è stato inviato al magistrato di sorveglianza, al presidente del tribunale, al presidente dell’ordine degli avvocati, al responsabile dell’osservatorio carcere dell’Unione camere penali, al garante dei diritti dei detenuti del Comune e al sindaco.

Napoli: "Non più legami"; le parrocchie adottano un detenuto

 

Redattore Sociale - Dire, 31 luglio 2009

 

È il progetto "Non più legami" per strappare i detenuti più giovani, alla prima esperienza in carcere, alla criminalità. "Tenersi stretti i manovali significa avere certezza che nel futuro continuino ad arrivare proventi".

Le parrocchie adottano un detenuto, grazie al progetto promosso dall’Ufficio di Pastorale carceraria della Diocesi partenopea, denominato "Non più legami". Solo nel carcere di Poggioreale, nel Padiglione Firenze, vivono quattrocento detenuti per la maggior parte giovani alla loro prima esperienza carceraria. Molti di questi hanno moglie e figli.

La gran parte dei reati che li accomuna sono legati allo spaccio di stupefacenti. Molti di loro sono "sentinelle", ma ci sono anche i rapinatori, gli esattori di estorsioni, coloro che hanno commesso piccoli furti. Il Padiglione Firenze rispecchia le realtà di quasi tutte le carceri della Campania, grandi quanto quel padiglione o addirittura più piccoli. Questi giovani detenuti null’altro rappresentano se non la manovalanza della criminalità organizzata e sono l’humus da cui la camorra trae alimento.

"Ciò spiega il perché dell’attenzione della grande criminalità verso questa fascia di delinquenza. Il preciso programma coincidente con l’interesse di tenersi stretti ed avvinti all’associazione "i manovali" significa avere certezza che nel futuro continuino ad arrivare proventi - spiega don Franco Esposito, direttore dell’Ufficio della Diocesi - dall’interesse della malavita a coltivare questi giovani, "curandosi" di loro nel periodo della detenzione, nasce per i detenuti la sicurezza che nel momento del bisogno non gli mancheranno gli avvocati, ne mancherà il pane alle loro famiglie. Ma anche se questo da una certa serenità, il tempo del carcere si rivela, comunque, un momento drammatico per coloro che per la prima volta ne fanno esperienza".

Intanto i legami si fanno più forti, si passa avanti di "grado" e dal di fuori si gettano le basi per rafforzare la manovalanza, mentre all’interno del carcere in attesa della libertà si "fantastica" di diventare qualcuno che conta nel "giro".

Da questa situazione nasce, da parte della comunità cristiana, il dovere di dare una risposta coraggiosa affinché siano spezzati questi legami, e sia data la possibilità di riscatto a chi ha sbagliato per la prima volta ed intende uscire fuori dal giro della delinquenza, sapendo di poter contare su una comunità di amici che non solo vuole aiutarlo, ma vuole creare legami nuovi di fraternità e di libertà che soli possono fare sperare in un futuro diverso ed onesto.

"L’adozione non riguarda solo l’aspetto economico, è importante creare una specie di rapporto di amicizia con la comunità parrocchiale adottante - aggiunge don Franco - pertanto sarebbe auspicabile un incontro periodico tra i referenti della parrocchia e la famiglia del detenuto.

Potrebbe anche essere significativo l’inserimento di eventuali bambini, figli del detenuto, nelle iniziative dell’oratorio parrocchiale". Sarà compito dei cappellani e dei volontari, anche in collaborazione con gli educatori e gli operatori del carcere, individuare e scegliere quei detenuti nei quali si nota una vera disponibilità al cambiamento e che hanno ferma e decisa volontà a rifiutare ogni tipo di altro aiuto proveniente dai così detti "amici esterni".

Sarà inoltre prerogativa dell’Ufficio di Pastorale carceraria indicare alla parrocchia il tipo di aiuto necessario. Si concorderà, se è il caso, con il parroco anche la scelta dell’avvocato a cui affidare il caso. Nella eventualità di misure alternative alla detenzione consistenti in arresti domiciliari, affidamento ai servizi sociali o affidamento al lavoro, la parrocchia si impegnerà a continuare il rapporto di sostegno anche se con modalità diverse che saranno indicate, a seconda della specificità dei casi, dall’Ufficio di Pastorale carceraria.

Locri: l’inclusione sociale degli ex detenuti? con la forestazione

 

www.strill.it, 31 luglio 2009

 

Lunedì 3 agosto 2009 alle ore 18.00 presso Palazzo Nieddu del Rio a Locri (RC) si terrà un’assemblea popolare ed un dibattito dal tema "Dall’assistenza al Progetto - inclusione sociale ex detenuti nell’ambito della forestazione calabrese".

Un’iniziativa dell’Associazione culturale "Nuova Evangelizzazione"- Cooperativa Valle del Bonamico - Progetto Potamos e dell’Associazione "Nuovi Sentieri" Onlus. Interverranno il dr. Francesco Macrì, Sindaco di Locri, Mons. Cornelio Femia Vicario Generale Diocesi di Locri, la dr.ssa Carmela Zavettieri Presidente Caritas, dr. Pietro Schirripa, Progetto Potamos, Enzo Musolino, Segretario Prov. Fai - Cisl. Concluderà i lavori l’On Giovanni Nucera, Consigliere Regionale della Calabria.

Nel quadro della Forestazione regionale, le gravi distorsioni organizzative ed operative venute a determinarsi a causa della mancata assunzione di una legge regionale ad hoc, hanno alimentato una generale confusione e stati di agitazione dei lavoratori del comparto, a causa delle condizioni inaccettabili di incertezze relativamente al riconoscimento del loro status e dei diritti - doveri che ne derivano, inficiati dall’adozione di un serie di provvedimenti alquanto discutibili. E tra le tante problematiche, assume un rilievo non secondario: il reinserimento lavorativo degli operai idraulico - forestali ex detenuti.

Il diritto ad essere riassunti e reintegrati a pieno titolo nel posto di lavoro è stato recentemente riconosciuto da una sentenza della Corte di Cassazione (n. 12721 del 4.6.2009), che afferma un principio importante: "si esclude il licenziamento quando la carcerazione è avvenuta per motivi indipendenti dall’attività lavorativa". Una conferma quindi dell’esigenza di avviare un percorso di reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro, che determina precisi obblighi a carico dell’Afor e dell’Ente Regione.

In materia, avendo valutato attentamente la posizione dei lavoratori su citati, ho presentato un progetto di legge (n. 1799 del 29.7.2009) riguardante "Misure straordinarie per favorire il reinserimento lavorativo degli operai idraulico forestali ex detenuti", prefigurando l’esigenza di dover definire normativamente la posizione e la tutela dei loro diritti in ambito lavorativo, in considerazione del pieno e legittimo riconoscimento al reintegro nel posto di lavoro, così come di recente è stato confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione.

Il progetto di legge pone l’esigenza di adottare misure, nell’ambito delle competenze regionali e nel rispetto della normativa statale, idonee a garantire l’accesso alle politiche generali di reinserimento lavorativo attraverso la realizzazione di progetti finalizzati alla riassunzione di soggetti socialmente svantaggiati, quali appunto gli operai idraulico forestali ex detenuti che hanno scontato la pena.

Ciò nell’ambito di attuazione del Por 2007 - 2013, consentendo l’attivazione da parte della giunta regionale di tali progetti, peraltro in attinenza ai principi stabiliti dalla politica della riforma carceraria, che in materia di lavoro prevede che si debba favorire, durante la detenzione, la formazione professionale dei detenuti, consentendo loro di svolgere un’attività lavorativa con organizzazione e metodi che riflettano quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai soggetti, una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.

Analizzando quindi la posizione degli operai idraulico-forestali ex detenuti, va evidenziato che essendoci una normativa nazionale che ne riconosce i diritti ai fini del reinserimento; un orientamento della giurisprudenza ben chiaro in tal senso ed una consapevolezza degli enti territoriali di dover attuare modalità di riammissione è opportuno che si giunga all’approvazione di una legge regionale che disciplini dettagliatamente la materia.

Ciò eviterebbe percorsi alternativi, di natura giudiziaria, inevitabili a questo punto, a carico dell’ente, che potrebbe andare incontro ad una serie di procedimenti che lo vedrebbero sicuramente soccombere dinanzi alle legittime e riconosciute richieste dei lavoratori tendenti ad ottenere il reintegro nel posto di lavoro.

 

On. Giovanni Nucera

Consigliere Regionale della Calabria

Chieti: il Centro per l’Impiego apre lo Sportello dentro carcere

 

Il Centro, 31 luglio 2009

 

Uno sportello del Centro per l’impiego in carcere. È il nuovo campo in cui si esplica la collaborazione fra la Provincia, il Provveditorato regionale per l’Abruzzo e il Molise e la casa circondariale di Torre Sinello.

Il servizio, previsto da un protocollo firmato il 14 gennaio scorso, ha lo scopo di favorire il reinserimento sociale dei detenuti con il lavoro. Lo sportello, che apre con cadenza quindicinale il martedì nell’area trattamento dell’istituto, è rivolto a tutti i detenuti, in particolare quelli prossimi alla dimissione per fine pena, che hanno maturato il beneficio di misure alternative alla detenzione, come la semilibertà o gli arresti domiciliari.

Oltre all’inserimento lavorativo vero e proprio, il responsabile, Giovanni Trovato, dirigente del Centro per l’impiego di Vasto, curerà l’aspetto della formazione. Lo sportello dovrà lavorare in stretta relazione con l’equipe del carcere. Attualmente nel carcere di Torre Sinello sono rinchiusi 258 detenuti. Quasi tutti, secondo la direzione, si sono dichiarati entusiasti dell’iniziativa.

Il Centro per l’impiego li inserirà in qualche modo nelle liste di attesa per il lavoro. "Dati e statistiche testimoniano che le iniziative di reinserimento abbattono drasticamente il ritorno in ambienti criminali ed evitano dinamiche di tipo assistenzialistico", è il presupposto da cui parte il direttore dell’istituto di pena istoniense, Carlo Brunetti per illustrare l’iniziativa. Qualche mese c’è stata anche una fase sperimentale. Verificata la positività, il servizio è diventato stabile dal mese di luglio. Non è questa l’unica iniziativa intrapresa in questi mesi a Torre Sinello per "rieducare" i detenuti e offrire loro nuove opportunità. Ad agosto prende corpo il progetto "opificio AlterArs". Artisti, pittori e scultori dell’associazione AlterArs il 22 agosto saranno impegnati in una estemporanea di pittura nell’area di Punta Aderci.

"La manifestazione vuole essere un occasione di incontro e dialogo fra la realtà carceraria e il mondo dell’arte", ci tiene a sottolineare il direttore Brunetti. "Tutti insieme, facendo volare la fantasia, dando sfogo ai proprie pensieri, alla propria originalità con i pennelli: fuori dal carcere diventa importante trovare un modo per far parlare la propria anima ed esprimere emozioni e sentimenti", sostiene il dirigente. Prima dell’estemporanea, a Torre Sinello si sono tenute lezioni propedeutiche per insegnare ai detenuti ad usare tele e pennelli e a raccontare se stessi o ciò che amano su tela.

Sassari: uno stock di libri della Camera dati in dono ai detenuti

 

La Nuova Sardegna, 31 luglio 2009

 

Il progetto, nato dal feeling tra sardi, è diventato realtà in pochi giorni. Antonio Casu, gallurese doc e direttore della biblioteca della Camera, ha regalato uno stock di libri alla Casa Circondariale di Sassari. È successo dopo una chiacchierata tra Casu e il deputato sassarese Guido Melis, componente della commissione Giustizia. Teresa Mascolo, la nuova direttrice di San Sebastiano, si è detta entusiasta per il dono e ieri il primo stock di volumi (altri seguiranno) è stato spedito in Sardegna. Non appena sarà completato il primo lotto dei lavori nel nuovo carcere, in costruzione a Bancali, i libri saranno trasferiti nella confortevole biblioteca che la struttura ospiterà. Nel frattempo, a San Sebastiano si vive in condizioni difficili, con il problema del sovraffollamento aggravato dalla chiusura di una sezione.

Bolzano: la mostra "Tracce di libertà, nei frammenti l’intero"

 

Comunicato stampa, 31 luglio 2009

 

L’arte ha un pregio: costringe chi la guarda a riflettere su ciò che l’autore voleva comunicare con quell’immagine e, ad un altro livello, spinge anche a chiedersi chi ne sia l’autore, la sua identità. Questo meccanismo vale per tutte le opere d’arte ma ha un significato ancora più profondo per la mostra "Tracce di libertà: nei frammenti l’intero", inaugurata questa mattina alla Piccola Galleria di via Streiter 25 a Bolzano: i diciannove lavori esposti (sedici quadri e tre sculture) sono infatti accomunati dal cosiddetto "marchio dell’ex" che, nel caso della mostra organizzata dalla fondazione Odar con il Progetto Odòs e la Caritas diocesana, significa "ex carcerato".

La casa del Progetto Odòs accoglie infatti detenuti ed ex detenuti ed offre consulenza a loro ed ai loro familiari: proprio nelle attività di laboratorio del servizio gli ospiti della casa hanno potuto realizzare le opere esposte oggi, alle quali hanno lavorato "alle volte anche con rabbia", spiega Alessandro Pedrotti, responsabile di Odòs, che ha voluto questa mostra, allestita grazie anche all’impegno di due collaboratori, Hans Stockner e Sabina Sedlak.

Queste opere d’arte ci aiutano a rivedere i luoghi comuni - aggiunge Mauro Randi, direttore della Caritas diocesana - perché ci fanno arrivare il messaggio dei loro autori, che sono qui a dirci: "Siamo persone anche noi, non giudicateci". Come hanno poi sottolineato i due direttori della Caritas diocesana, Mauro Randi ed Heiner Schweigkofler, il Comune di Bolzano - rappresentato stamani dagli assessori Primo Schönsberg e Patrizia Trincanato - ha dimostrato una particolare attenzione ai contenuti dell’esposizione: il Comune ha infatti messo a disposizione gratuita la Piccola Galleria, che è così diventata "il luogo in cui le abilità individuali delle persone possono essere presentate alla comunità: queste opere dimostrano il grande desiderio di cimentarsi dei loro autori", conclude lo stesso assessore Schönsberg. La mostra rimarrà aperta tutti i giorni fino a martedì 4 agosto con orario continuato dalle 9.30 alle 18.30.

Immigrazione: legge-sicurezza, scatta la "disobbedienza civile"

 

Il Padova, 31 luglio 2009

 

Legge sicurezza e clandestini scatta la disobbedienza civile. "Non denunceremo: viene considerato reato non la condotta, ma l’identità di una persona".

"Non riconosciamo come nostra questa legge". Sulla nuove norme anti clandestini, in vigore dall’8 agosto, si leva forte la voce del coordinamento di associazioni A Braccia aperte, che lancia un invito all’obiezione di coscienza e si prepara a una nuova mobilitazione.

Fra le realtà rappresentate in questa rete traversale che vede come capofila i Beati i costruttori di pace figurano Cgil, Cisl, Uil, Caritas, Centro universitario, associazione giuristi democratici, Legambiente, Acli e Migrantes. Con loro anche Stefano Allievi, sociologo dell’Università di Padova. Le associazioni hanno preparato una lettera-appello in cui assumono l’impegno a "continuare a offrire solidarietà concreta e assistenza umanitaria a coloro che non riescono a ottenere il permesso di soggiorno".

"Sia chiaro: noi non denunceremo - spiega Alessandra Stivali della Cgil - i lavoratori senza permesso di soggiorno sono lavoratori come tutti gli altri". Un impegno all’obiezione di coscienza che sarà rilanciato con una petizione proposta nelle piazze e nei mercati: mercoledì il coordinamento sarà al mercato della Guizza, sabato 8 in Prato della Valle.

L’invito dei Beati i costruttori di pace è stato raccolto anche da sacerdoti e religiosi della diocesi di Padova: fra i firmatari, monsignor Giovanni Nervo. A braccia aperte ha inoltre "confezionato" decine di t-shirt multilingue con lo slogan Io sono clandestino.

Il 6 settembre è poi in programma una grande cena all’aperto in piazza delle Erbe: un’enorme tavolata che, così come lo scorso anno, vedrà insieme italiani e migranti di diverse comunità.

"Non ci sono alternative alla convivenza - spiega don Albino Bizzotto - pur dentro i grandi conflitti. Rifiutare i più poveri significa rigettare la nostra storia". Fra i nodi denunciati dal coordinamento A braccia aperte il fatto che nella legge vengono posti ostacoli "per l’accesso all’istruzione, alle cure mediche, all’abitazione e al trasferimento di fondi al proprio paese d’origine". "Viene considerato reato non la condotta, ma l’identità di una persona". Un appoggio esterno è arrivato ieri anche dall’amministrazione comunale, rappresentata dall’assessore Marco Carrai e dalla consigliera Evghenie.

Droghe: il Viminale non crede ai dati dell’Unodc, sulla cocaina

 

Notiziario Aduc, 31 luglio 2009

 

I dati che riguardano la produzione, il traffico e i sequestri di cocaina al mondo presentati a Palazzo Chigi dall’ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine (Unodc) non convincono i Servizi Antidroga del ministero dell’Interno italiano (Dcsa), organo che coordina tutte le operazioni di Polizia in Italia e all’estero. È la prima volta che una voce delle istituzioni di un Paese membro lancia dei dubbi su alcune delle rilevazioni fatte, difese in diverse occasioni dallo stesso direttore dell’Unodc, Antonio Maria Costa.

A parlare di tali dubbi all’agenzia Redattore Sociale è proprio il direttore dei Servizi antidroga, Sebastiano Vitali. Un primo punto debole delle rilevazioni dell’Unodc riguarda l’entità dei sequestri di cocaina in tutto il mondo, che secondo quanto afferma Costa si aggirano intorno al 42% su una produzione che nel 2008 sarebbe scesa a 835 tonnellate, contro le 994 del 2007. "Sicuramente mi sembra sovrastimato il fatto che vengano sequestrati il 42% del materiale prodotto- afferma Vitali-. Non so sulla base di quale criterio venga calcolato, ma noi addetti ai lavori diciamo che al massimo riusciamo a sequestrarne solo il 15%. Sono fonti autorevoli quelle delle Nazioni unite, non voglio mettermi contro, ma tra gli addetti ai lavori, ripeto, abbiamo molti dubbi su questo dato. Loro parlano con dati statistici, noi invece parliamo con le investigazioni in mano".

Tra intercettazioni telefoniche ed esami testimoniali il quadro che emerge delinea chiaramente che di cocaina sui traffici internazionali ce n’è in abbondanza. "Dalle intercettazioni telefoniche- dice Vitali- sappiamo che quando sequestriamo anche 200 chili di cocaina, dall’altro lato ne mettono già in conto un prossimo carico pari al doppio per riparare il danno subito. Ma il carico successivo molte volte non riusciamo ad intercettarlo.

Questo dà l’idea di quanta disponibilità c’è: noi ne prendiamo 200 e dall’altra parte ne preparano già 400 o 600".

Il dato sui sequestri è rilevante anche sul totale della produzione mondiale di cocaina. Basta fare qualche calcolo. Secondo le Nazioni unite, su una produzione di 845 tonnellate, sono oltre 300 le tonnellate che corrispondono al 42% di sostanza sequestrata. Le cose cambiano e anche di tanto se questa cifra, presa per buona, diventasse il 15% del totale della produzione. In questo caso si arriverebbe a superare le 2.000 tonnellate. E il rapido calcolo combacia perfettamente con la denuncia dell’associazione Libera di don Luigi Ciotti fatta a gennaio di quest’anno e basata sulle ricerche di Sandro Donati.

L’associazione, infatti, affermava che sarebbero almeno 2 mila le tonnellate di cocaina prodotte. "Sui numeri non abbiamo dati alternativi sulla produzione mondiale- spiega Vitali-. Le Nazioni unite avranno il proprio sistema di rilevamento, di calcolo e di analisi, ma secondo gli addetti ai lavori la produzione dovrebbe essere maggiore. Non voglio contestare quello che dice Costa, però la nostra impressione è questa. Il loro rilevamento è fatto soltanto sulla base di quanti alberi vengono visti, ma non sulle indagini. Loro non sanno niente delle indagini e quel che si sa attraverso le intercettazioni telefoniche. Per noi il fenomeno è in ascesa. L’aumento dei sequestri è quanto mai indicativo: c’è molta più sostanza che gira".

Le quantità di cocaina sequestrata in singole operazioni rafforza i dubbi espressi da Vitali. "Nei paesi del golfo di Guinea avviene lo stoccaggio di centinaia e centinaia di tonnellate. Soltanto alcuni mesi fa è atterrato un Boing 737 con 8 tonnellate di cocaina in un solo volo. Quanti piccoli aerei partono dal Venezuela con i serbatoi supplementari e atterrano nelle piste nei paesi della costa occidentale africana?

Questo lo sappiamo dagli addetti ai lavori: Guinea Bissau, Guinea Conakry, Isola Capoverde, Niger, Benin, Togo e altri ancora. Paesi colabrodo dove stiamo cercando di creare delle piattaforme di intelligence. Ci troviamo, soprattutto nella zona africana, in situazioni di assoluta ingovernabilità e assoluto non controllo". A gettare ombre sul rapporto dell’Unodc, anche il sempre più forte interesse da parte della criminalità internazionale verso il commercio della cocaina.

"Ci sono nuovi attori- sottolinea Vitali-. Se ci fosse una diminuzione mi chiedo come mai adesso nel campo del traffico di cocaina si siano inseriti i bulgari, la mafia russa e tutta una serie di altri gruppi criminali della zona balcanica, come i kosovari e i macedoni. Si pensi, poi, ai mercati nascenti come la Cina, dove col benessere è aumentato anche il consumo di cocaina, e alla stessa Africa. Se non ci fosse la domanda i gruppi criminali non sarebbero interessati ad investire".

Le affermazioni del direttore dei Servizi Antidroga del ministero dell’Interno, però, non sono del tutto critiche nei confronti del rapporto. Su diverse posizioni c’è il massimo accordo come l’aumento di produzione di cocaina in alcune zone del Sudamerica e l’avvento dell’ingegneria biologica. "In alcuni paesi la produzione è in aumento - dice Vitali -, come in Bolivia.

In questo caso i dati delle Nazioni unite coincidono con quelli dei nostri esperti. C’è poi un altro fattore: la superproduzione. Prima facevano due raccolti l’anno, adesso arrivano anche a quattro e poi anche l’utilizzo di semi transgenici".

Iran: 3 detenuti sono stati impiccati ieri, nel carcere di Isfahan

 

Adnkronos, 31 luglio 2009

 

Tre detenuti sono stati impiccati nel carcere di Isfahan, nell’Iran centrale. È quanto riferisce il sito web di Iran Human Rights (Ihr), organizzazione che si batte per il rispetto dei diritti umani nella Repubblica Islamica, citando un comunicato dell’ufficio stampa della magistratura di Isfahan. Le tre esecuzioni, secondo la nota, sono state eseguite ieri.

 

 

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