Rassegna stampa 20 luglio

 

Giustizia: sicurezza; fatta la legge, mancano i decreti attuativi

di Andrea Maria Candidi

 

Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2009

 

Ancora sei mesi per chiudere la partita del pacchetto sicurezza. Le norme della legge, che questa settimana dovrebbe approdare in Gazzetta, hanno infatti bisogno di un’iniezione supplementare di decreti. Quindici provvedimenti in tutto, la cui emanazione è imprescindibile per il pieno funzionamento del pacchetto di interventi. Dalie ronde, sulle quali cominciano a circolare le prime bozze di decreto, alla misura del contributo per il permesso di soggiorno.

Questioni non proprio marginali per la cui soluzione, peraltro, non sempre i tempi a disposizione sono certi. Ad esempio, per le ronde il Viminale si prende fino a 60 giorni, ma come visto la soluzione è di fatto già stata trovata, mentre nessun termine è invece indicato per determinare l’importo della tassa-immigrati. Anche qui, però, la sanatoria per le colf e le badanti potrebbe accelerarci tempi.

A testimoniare che il passaggio dei decreti attuativi sia poi molto di più di un semplice adempimento amministrativo-burocratico ci ha pensato addirittura il Quirinale. Con la lettera al governo della scorsa settimana, Napolitano ha infatti fornito una serie di indicazioni alcune delle quali, a ben vedere, possono essere recepite proprio sfruttando la sponda offerta dai decreti attuativi. Ad esempio per quanto riguarda le ronde o l’utilizzo dello spray al peperoncino come strumento di autodifesa.

Quanto alle deleghe, i tecnici del ministero dell’Interno sono chiamati agli straordinari perché è assegnato a loro il lavoro maggiore. Tant’è che, ad esempio sulle ronde, si sono già portati avanti ed è stato annunciato il varo a breve del decreto nel rispetto del termine di 60 giorni.

La stessa scadenza è prevista per il riordino dei buttafuori. Per regolarizzare i servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo, il Viminale ha il compito di individuare i requisiti per l’iscrizione nell’elenco, tenuto anche questo in prefettura.

Sono previste anche norme ad hoc per la formazione del personale. Inoltre, per i titolari dei locali che non si atterranno alle nuove regole, che si avvarranno cioè di personale non iscritto nell’elenco ufficiale, scatterà la sanzione tra 1.500 e 5.000 euro (la stessa multa è applicata anche agli stessi buttafuori abusivi).

Il ministero dell’Interno deve poi formalizzare, entro 180 giorni, le modalità di funzionamento dell’anagrafe nazionale dei clochard, altra novità della legge. Rispetto alla precedente disciplina, le persone senza dimora che chiedono l’iscrizione all’anagrafe del comune dove intendono stabilire la residenza, infatti, sono obbligate a fornire gli elementi necessari per consentire gli accertamenti sulla effettiva sussistenza del domicilio.

Anche la prevenzione degli appalti pubblici dalle infiltrazioni mafiose richiede un supplemento legislativo. Entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge dovranno infatti essere stabilite, con regolamento, le modalità di rilascio delle informazioni raccolte dal prefetto nel corso degli accessi e delle ispezioni ai cantieri.

Per questi accertamenti il prefetto si avvale dei gruppi interforze, composti tra l’altro da un funzionario della polizia, da ufficiali dei carabinieri e della guardia di finanza, da un rappresentante del provveditorato alle opere pubbliche e da un funzionario della direzione investigativa antimafia.

Infine, il percorso attuativo prevede anche un appuntamento con l’unica norma sulla difesa personale. Il Viminale ha infatti 60 giorni per definire le caratteristiche degli strumenti di autodifesa a base di oleoresin capsicum. In altre parole, lo spray al peperoncino da tenere a portata di mano, che desta qualche allarme, come sottolineato dal Quirinale, tra le forze di polizia. Anche perché se è valido come mezzo di difesa, è altrettanto efficace come strumento offensivo.

Giustizia: legge su sicurezza; l’Ue vuole chiarimenti dall’Italia

di Alberto D’Argenio

 

La Repubblica, 20 luglio 2009

 

Lettera al governo su clandestinità e neonati. Colf, Giovanardi contro il reddito minimo. Secondo Bruxelles il provvedimento può compromettere anche il diritto alla privacy

Dopo le osservazioni del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e le critiche di Onu e Consiglio d’Europa, il pacchetto sicurezza entra nel mirino della Commissione Ue, unico organismo internazionale in grado di imporre modifiche qualora la norma violasse le regole comunitarie. Le critiche di Bruxelles saranno contenute in una lettera al governo italiano che dovrebbe partire con ogni probabilità già questa settimana.

La missiva fa il bis con quella già spedita mercoledì scorso con i dubbi Ue sui respingimenti nel canale di Sicilia firmata da Jonathan Faull, direttore generale del commissario alla Giustizia Jacques Barrot. Un questionario per capire se lo stop dei barconi sia in linea con le regole comunitarie sul diritto d’asilo. In poche parole, la partita si gioca intorno ad una domanda: "Come fa il governo italiano a garantire di non aver violato gli obblighi sul diritto d’asilo? Come avete fatto a valutare che a bordo non ci fossero persone idonee a essere protette nel nostro Paese, come richiedono le regole europee?".

Ma la vera offensiva Ue deve ancora arrivare e toccherà appunto la legge sulla sicurezza, setacciata punto per punto dai tecnici di Bruxelles. Non è ancora stato deciso se la richiesta di chiarimenti sulle nuove norme italiane sarà firmata direttamente dal commissario Barrot o ancora una volta dal suo direttore generale.

Sono invece già stati individuati i rilievi e le domande da rivolgere a Berlusconi. Secondo quanto riferiscono fonti Ue, tra i dubbi di Bruxelles c’è anche il reato di immigrazione clandestina: l’Italia è in grado di garantire che la nuova fattispecie toccherà solo gli extracomunitari? La seconda norma che non convince la Ue riguarda l’iscrizione all’anagrafe dei figli dei clandestini, che secondo i contestatori della legge sarà impossibile e secondo il governo è invece consentita. In terzo luogo i sospetti di Bruxelles sono rivolti all’aggravio dei costi per il permesso di soggiorno. Infine i riflettori della Ue si accenderanno sulle nuove regole per il trasferimento del denaro da parte degli immigrati, i cosiddetti money transfer.

La legge prevede che i dati sui versamenti verso il paese d’origine vengano raccolti e immagazzinati dalle autorità, con il timore da parte di Bruxelles di una violazione delle regole sulla tutela dei dati personali. Ma non finisce qui, perché la Commissione è intenzionata a non fare sconti e si prepara a esaminare a fondo i decreti d’attuazione delle varie disposizioni previste dal dl sicurezza. E se l’Italia non convincerà la Ue, il commissario Barrot potrebbe ingiungere delle modifiche.

Intanto ieri il sottosegretario alla Famiglia, Carlo Giovanardi, che aveva già chiesto con successo la "sanatoria" per le badanti, ha chiesto l’abolizione del reddito minimo per la regolarizzazione delle collaboratrici domestiche: "La proposta del limite di 20 mila euro di reddito per il single e di 25 mila per i nuclei familiari, senza il quale il datore di lavoro non può mettere in regola una colf, crea più problemi di quanti ne risolva. Impone per legge un principio di classe e non tiene conto dei risparmi che spesso generano reddito non imponibile o degli aiuti di familiari che non fanno parte del nucleo".

Giustizia: per il "carcere duro" c’è un Giudice Unico, a Roma

 

Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2009

 

Nuova stretta sul 41-bis che sospende le normali regole di trattamento carcerario per determinate categorie di detenuti, ormai non più solo legate alla criminalità di tipo mafioso. Le modifiche introdotte dalla legge sicurezza - alle quali si deve, a leggere il messaggio di mercoledì scorso, la firma del capo dello Stato - tracciano due linee di intervento, dà una parte tese a un maggior rigore nelle restrizioni e dall’altra a un controllo meno profondo da parte dei giudici in caso di reclamo.

Alla prima tipologia si iscrive senza dubbio l’innalzamento da due a quattro anni della durata massima del regime speciale, che può ora essere chiesto anche dal ministro dell’Interno, accompagnato dal raddoppio - da uno a due anni - dell’efficacia dei provvedimenti di proroga. Contemporaneamente, la legge sottolinea che il semplice passare del tempo non sia elemento di per sé sufficiente a far venire meno quel collegamento con l’ambiente criminale che giustificale restrizioni.

Sul piano pratico, i detenuti sottoposti al 41-bis dovranno essere ristretti in istituti a loro esclusivamente dedicati, preferibilmente su isole o comunque in sezioni separate, sotto la custodia di reparti specializzati. I colloqui, che passano da due a uno al mese, saranno sempre videoregistrati. La telefonata mensile con i parenti, di dieci minuti, è ammessa solo in sostituzione del colloquio, mentre sono limitati a tre gli incontri settimanali con i difensori.

Infine le ore d’aria, che da quattro diventano due al giorno, potranno svolgersi in gruppi di quattro persone (finora ne erano ammesse cinque). Non viene invece toccata la norma che consente il controllo della corrispondenza. Su questo punto, peraltro, il 7 luglio sono arrivate altre due condanne all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Una serie di interventi molto forti, dunque. Sebbene il 41-bis contenga una disposizione - la lettera a) del comma 2-quater, oggi non modificata, che lascia carta bianca all’amministrazione; nei casi di particolare pericolosità, quindi, le misure restrittive possono andare anche oltre quelle indicate dall’ordinamento penitenziario.

Oltre ad appesantire la sostanza del 41-bis, la legge sicurezza mostra il pugno duro anche su questioni prettamente procedurali, ed entriamo così nel secondo filone di interventi. Il primo dei quali sembra iscriversi tra quelli a favore dei detenuti: è infatti raddoppiato, da dieci a venti giorni, il termine per presentare reclamo contro il provvedimento con il quale il ministro della Giustizia sospende il normale trattamento penitenziario. Il reclamo, però, non va più inviato al tribunale di sorveglianza competente per territorio, bensì a quello di Roma che assume così il ruolo di giudice unico.

Una concentrazione che ha l’obiettivo di eliminare orientamenti eterogenei da parte dei diversi tribunali e che sembra assegnare ai magistrati romani di sorveglianza lo stesso compito di vigili dell’uniformità, ora svolto dalle sezioni unite della Cassazione. Quanto questa duplicazione di ruoli possa trasformarsi in una frattura della legge, lo si capirà più avanti, quando i primi provvedimenti saranno impugnati. Di sicuro, un’altra norma procedurale è destinata a far parlare di sé. Quella, in particolare, che limita il controllo giurisdizionale ai soli presupposti per l’applicazione o meno del regime carcerario speciale.

È stata infatti cancellata, nella riscrittura del 41-bis, la parte relativa al vaglio sulla congruità delle misure concretamente adottate nei confronti del detenuto. L’unico controllo possibile, quindi, rimane quello dei presupposti. Una garanzia in meno per i detenuti, in parte giustificata dalla natura amministrativa del provvedimento con il quale il ministro della Giustizia, che da oggi condivide con il Viminale il ruolo di dominus del 41-bis, dispone le restrizioni.

Giustizia: Ucpi; Mancino "addomestica" il Csm, noi protestiamo

 

Il Foglio, 20 luglio 2009

 

La sesta Commissione del Csm boccia la riforma Alfano del processo penale, ma il vicepresidente Nicola Mancino invita ad attendere il giudizio finale del plenum e in parte critica "alcune forzature" nelle motivazioni del parere della commissione.

"Quello di Mancino è un ammorbidimento politico", dice il professore Oreste Dominioni, presidente delle Camere Penali, rappresentante degli avvocati penalisti. "La verità è che sempre di più appare singolare che il Csm possa esprimere pareri tecnico-politici quasi fosse una specie di terzo ramo del Parlamento".

 

Dunque agli avvocati piace la riforma Alfano?

"No. Nel contenuto ci sono punti condivisibili e tanti altri che non lo sono affatto. La cosa più preoccupante è che si tratta di un intervento a pioggia, mentre al contrario la giustizia italiana ha bisogno di riforme organiche e riflettute".

 

Per esempio?

"Riforma dell’ordinamento giudiziario, cioè del Csm. Poi, la separazione delle camere dei magistrati e il superamento del principio di obbligatorietà dell’azione penale".

 

Ma è tutto nel programma del centrodestra, peraltro storicamente appoggiato dagli avvocati.

"Sì ma sembra che le grandi riforme siano state messe da parte. Se ne parla ma non si fanno mai".

 

I penalisti criticano anche il pacchetto sicurezza voluto da Roberto Maroni…

"Certo, con punti di forte coincidenza con le perplessità del presidente della Repubblica. Specie sul reato di immigrazione clandestina che ingolferà i tribunali".

 

Per riformare il Csm e disarmare il correntismo esasperato tra le toghe, il Guardasigilli Angelino Alfano ha proposto i sorteggi delle candidature al Csm…

"Proposta singolare - dice Dominioni. Il Csm va riformato con legge costituzionale non con interventi ordinari che rischiano solo di fare confusione. Il Csm non deve fungere da autogoverno della magistratura, ma da governo delle toghe. E se ne deve anche riequilibrare la composizione. Sono interventi costituzionali questi, gli unici veramente efficaci. Altro che sorteggi o primarie dei giudici. Il governo non ha fatto niente e ormai il tempo è scaduto, nel 2010 sarà rieletto il nuovo Csm e tutto resta com’è".

Giustizia: uffici al collasso e non dite che è colpa degli avvocati

 

www.giustiziagiusta.info, 20 luglio 2009

 

Tutti sanno che l’amministrazione della giustizia in Italia è in stallo. In uno degli ultimi dibattiti televisivi sul tema, come in ogni dibattito che si rispetti, si sono contrapposte diverse idee circa le cause del problema e le possibili soluzioni.

V’era la denuncia giornalistica (Livadiotti) dell’inefficienza degli uffici giudiziari, ossia della scarsa professionalità di una parte dei magistrati e della scarsa improntitudine dei dirigenti degli uffici medesimi. V’era l’orgoglio della magistratura (dott. Tinti), che indicava la vera causa del male (almeno quanto al processo penale) nell’inadeguatezza del codice di procedura vigente il quale, modellato in gran parte sul sistema accusatorio tipicamente americano, risulta tuttavia calato in un contesto di laccioli costituzionali (ad esempio l’obbligatorietà dell’azione penale e della motivazione della sentenza) che inducono un eccessivo accumulo di procedimenti e l’inevitabile rallentamento della funzione giudiziaria; e ciò indipendentemente dalle capacità dei magistrati.

Il Guardasigilli Alfano da parte sua illustrava la possibile efficacia accelerante della riforma portante il suo nome, e opponeva alla tesi dell’inevitabilità degli attuali ostacoli i casi virtuosi di tribunali assai gravati di cause (Torino su tutti) che maneggiando meglio l’organizzazione interna hanno smaltito l’arretrato.

Ma poi, divenuto il confronto un groviglio inestricabile, si è finalmente materializzato un fantasma aleggiante da tempo sul dibattito in questione; anche perché alimentato da recenti sortite dei giudici della Cassazione: ci sono troppi avvocati. D’altra parte si sa: è loro interesse far durare più a lungo le cause.

Per fortuna il rappresentante dei presunti colpevoli (Giuggioli, civilista e presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano) ha spiegato perché, in materia civile, è assurda l’idea di un interesse degli avvocati alle lungaggini: solo un cliente idiota, in caso di rinvio a dieci anni (non è uno scherzo o un’esagerazione) dell’udienza da parte di un giudice che, istruita la causa, deve solo decidere, si ritiene obbligato a pagare il difensore nelle more.

Ora è il caso di spiegare cosa avvenga ormai in ambito penale. V’è tutta una fascia di reati, anche non "bagatellari", che rimangono impuniti; e la cosa è risaputa. Nei processi per tali reati da celebrare presso i tribunali più grandi gli imputati più consapevoli o smaliziati (tutti i recidivi e buona parte degli incensurati) sanno che, a meno di non essere detenuti, non v’è alcun bisogno di un avvocato: il processo andrà avanti "da solo" molto a rilento, tra rinvii a lungo termine disposti indipendentemente da richieste difensive. Ci si accontenta del difensore d’ufficio (che è poi pagato, con molto comodo, dallo Stato in caso di insolvenza dell’imputato); tutt’al più, si dà un anticipo al difensore di fiducia e poi si scompare (il difensore a quel punto rinuncerà all’incarico e sarà sostituito ancora d’ufficio; a meno che non voglia intraprendere un’estenuante azione civile di recupero dall’esito incerto).

Del resto qualcuno può davvero pensare che se una causa penale è rinviata di volta in volta a un anno o a un anno e mezzo un cliente, pur non appartenendo alla categoria su descritta, sia disposto a pagare l’avvocato in ragione della durata dell’intero processo (magari dopo aver fatto due conti e aver intravisto la possibilità della prescrizione)? Non sarebbe interesse del difensore una rapida definizione della vicenda giudiziaria, con possibilità di vedersi pagare "tutta" la causa; e un maggior timore delle conseguenze del reato da parte dell’imputato?

Sia chiaro, gli avvocati sono davvero troppi (quasi duecentomila, a fronte dei quarantamila francesi). Ma ciò costituisce un enorme problema innanzitutto per gli avvocati stessi. Spiacenti: tocca trovare altri colpevoli.

Giustizia: 20 ore su 24 in 2,7 mq, la tortura nelle nostre carceri

di Gianluca Perricone

 

www.giustiziagiusta.info, 20 luglio 2009

 

Ancora una condanna per l’Italia, in tema di giustizia, da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Quest’ultima ha accusato il nostro Paese di aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo per aver sottoposto un cittadino della Bosnia Erzegovina, Izet Sulejmanovic, ad un trattamento inumano e degradante nel corso della sua detenzione nel carcere romano di Rebibbia.

La violazione sarebbe dovuta al fatto che l’uomo - dal gennaio all’aprile del 2003 - è stato costretto a dividere una cella di 16,20 metri quadri con altri cinque detenuti, riducendo così lo spazio (dove i reclusi trascorrevano circa sedici ore al giorno) a 2,7 metri quadri ciascuno. La Corte ha ritenuto che "una tale situazione non ha potuto che provocare disagi e inconvenienti quotidiani al ricorrente, obbligato a vivere in uno spazio molto esiguo, molto inferiore alla superficie minima ritenuta adeguata dal Comitato per la prevenzione della tortura".

Meno di tre metri quadrati: davvero pochi per un essere umano. E sono troppo pochi anche se il detenuto è stato sottoposto a questa infamia per "soli" tre mesi.

Si dirà che le carceri da noi sono al collasso, ma questo non può certamente giustificare la detenzione di un uomo in uno spazio di meno di tre metri quadrati: è una questione di umanità e di civiltà.

Di fronte a simili notizie non possono non venire in mente gli innumerevoli servizi dedicati da Striscia la Notizia a quelle strutture carcerarie costruite, poi non utilizzate e lasciate lentamente a marcire: uno spreco di soldi pubblici, uno schiaffo alle esigenze di spazio necessario per assicurare una detenzione che abbia un barlume di civiltà, umana e giuridica.

Un altro caso, quello di Rieti, nel Lazio, dove il supercarcere costruito da quasi due anni nei pressi dell’ospedale, ancora non è in funzione ed alcune guardie controllano la sicurezza della grande struttura. Il motivo ufficiale adottato in questi mesi? Mancanza di personale. Il ministro Alfano, nel corso della recente campagna elettorale, si recò in quella città, ma il nuovo supercarcere non lo vide neppure dal muro di cinta. Eppure, è come se si inaugurasse una piscina priva di bocchettoni per l’immissione dell’acqua. Invece quei circa trecento posti previsti da quella struttura penitenziaria riuscirebbero a dare un aiuto rilevante al sistema penitenziario dell’intera regione.

Giustizia: Alfano; Ue non chiuda gli occhi sul sovraffollamento

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

Contro il sovraffollamento della carceri, per il ministro della Giustizia Angelino Alfano, la strada da percorrere è quella di una politica di edilizia carceraria in concorso con l’Europa. "Le carceri sono sovraffollate perché il 40% dei detenuti è straniero" ha detto Alfano, a margine della firma del protocollo d’intesa per l’attuazione dei programmi di innovazione digitale nel settore della giustizia, siglato alla Corte d’Appello di Venezia col ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta.

Un problema quello del sovraffollamento che riguarda i Paesi di confine come l’Italia e che quindi va affrontato in sede comunitaria e così "l’Ue non può chiudere gli occhi sul tema del sovraffollamento carcerario" tanto che "l’Unione Europea - ha ribadito - deve assumere su di sé l’interlocuzione con i Paesi della riviera nord dell’Africa e se non riesce a portare avanti dei trattati cogenti veramente blindati con questi Paesi, allora si dia il via a livello europeo - ha concluso - al piano di edilizia carceraria già varato dal nostro governo".

Giustizia: dai manicomi giudiziari all'Opg, cambia solo il nome

di Ilaria Urbani

 

La Repubblica, 20 luglio 2009

 

Le parole di Michael Foucault non lasciano posto a dubbi. Dario Stefano Dell’Aquila apre l’introduzione alla sua inchiesta sui manicomi giudiziari "Se non ti importa il colore degli occhi" affidandosi alle parole del pensatore francese. "Il loro funzionamento statutario filtra a tal punto il grido che può trovarsi nella parola di un folle - scriveva Foucault - che medici e psichiatri odono sola la parte intelligibile o non intelligibile del discorso.

La forma "grido" è divenuta loro inaccessibile proprio a causa del filtro del loro sapere istituzionale, della loro conoscenza". Dell’Aquila non fa solo una disamina della storia dei manicomi giudiziari, ma ne analizza il presente. Da quasi vent’anni mancano lavori critici sulle nuove "case dei pazzi". Ma a trent’anni dalla legge Basaglia i letti di coercizione e le celle di isolamento esistono ancora. Donne e uomini vengono internati e condannati non ad una pena certa, ma "ad una misura di sicurezza - scrive l’autore - prorogabile".

Il testo parte da una riflessione sulle fondamenta legislative degli Opg, sei in Italia, per poi raccontare i luoghi e le storie. Da quelli napoletani di Aversa e Sant’Eframo agli ospedali psichiatrici di Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. Testimonianze e documenti raccolti in anni di visite dell’autore con una delegazione parlamentare. Dell’Aquila definisce gli Opg "luoghi incompiuti e forse simbolo di una riforma giudiziaria incompiuta". Il segreto del titolo è racchiuso in una lettera scritta nel 1954 da Umberto, internato ad Aversa. Il paziente-detenuto dichiara l’amore per la sua donna Gina scrivendole che sarebbe stato disposto a donarle un occhio, se solo a lei non fosse importato il colore.

Giustizia: agronomi in carcere dove "non semina più nessuno"

di Daniela de Robert

 

www.innocentievasioni.net, 20 luglio 2009

 

Quando si sono avvicinati per la prima volta al mondo carcerario il gruppo di giovani neolaureati e laureandi in scienze agrarie e forestali della città di Padova che si era organizzato in una cooperativa non pensava certo che quasi vent’anni dopo sarebbero diventati famosi anche all’estero per i loro manichini di cartapesta e per il pluripremiato panettone. Ma questi sono i percorsi del carcere, quando ci si crede e quando ci si investe.

La vicenda carceraria di Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus (che raccoglie le cooperative Giotto, Work crossing, e Cusl), inizia un po’ per caso quando, giovane laureato in scienze agrarie e forestali decide, insieme ad alcuni amici, di dare vita a una cooperativa per il mantenimento e la gestione delle aree verdi.

"Cercavamo di inserirci nel mondo del lavoro - racconta - e l’apertura del nuovo istituto penitenziario di Padova nel 1991 si presentò come un’occasione". La Casa di Reclusione Due Palazzi che si sostituiva al vecchio carcere di Piazza Castello, arrivava alla meta dopo un lungo percorso segnato anche dagli scandali delle carceri d’oro della fine degli anni 80. Il bando per un lavoro di appalto per il recupero, la bonifica e la ristrutturazione dell’area verde sembrava una buona opportunità. Ma i risultati della gara di appalto non arrivavano. "È a questo punto - dice Boscoletto - che è nata un’idea. Abbiamo pensato che in quello stesso carcere c’erano centinaia di persone che non facevano nulla e che forse avrebbero potuto essere coinvolte. Abbiamo quindi proposto un corso di giardinaggio per venti detenuti".

Partiva così nel 1991 l’avventura galeotta dei giovani agronomi di Padova. Oggi il corso è alla sua diciannovesima edizione, ha formato oltre duecentocinquanta persone e ha dato vita al primo parco didattico interno a un carcere dove si svolgono le lezioni pratiche. "Formare e inserire al lavoro all’intero dell’istituto per portarli fuori con un lavoro vero. È stata questa la filosofia del nostro lavoro in carcere - continua Boscoletto. E abbiamo visto che tra le persone che usufruivano delle misure alternative, che quindi si preparavano con un percorso accompagnato al rientro nella società libera, la recidiva precipitava dal novanta al quindici per cento". Come dire, il gioco valeva la candela.

Con la legge Smuraglia si aprono altre possibilità. Nel 2001 un capannone inutilizzato del carcere viene trasformato in un laboratorio per la produzione di manichini di cartapesta, realizzati a mano secondo un’antica tecnica toscana che si stava perdendo. I manichini galeotti sono molto apprezzati nel settore dell’alta moda e sono venduti in Italia e all’estero.

"Abbiamo sempre pensato che quando si ha a che fare con il lavoro - dice Nicola Boscoletto - bisogna misurarsi con il mercato e con le sue regole. Non si può vivere di carità. Questo significa che per superare pregiudizi e diffidenze - ma anche le grandi complicazioni della burocrazia carceraria - bisogna proporre un lavoro che punti all’eccellenza. La concorrenza è tanta e bisogna farci i conti".

E questa scommessa ha dato grandi risultati quando la cooperativa Giotto ha portato in carcere il lavoro di assemblaggio della gioielleria Morellato e della valigeria Roncato. "La resa del lavoro fatto in carcere è del 99,9 per cento questo significa che gli scarti sono praticamente nulli, tanto che i lavori difettosi delle altre lavorazioni vengono portate da noi per sistemarle. Ma la cosa più significativa è che dopo l’ingresso della lavorazione a Due Palazzi, la Roncato ha chiuso i laboratori che aveva aperto nei paesi dell’Est, riportando in Italia il lavoro che aveva de localizzato. Una bella soddisfazione per tutti noi!".

Poi è arrivato il laboratorio di cartotecnica che ha una convenzione con il Comune di Padova per la riproduzione delle immagini della Cappella degli Scrovegni. Scatole, quaderni, blocchi per appunti, rubriche, ma anche puzzle, manifesti, cartelline, giochi di carta con gli splendidi affreschi di Giotto vengono composti in carcere. E ancora il call center che in due locali completamente rivestiti degli affreschi della Cappella degli Scrovegni i detenuti lavoratori prenotano le visite e le analisi in convenzione con la Asl della città.

Ma la svolta è venuta con il progetto Ristorazione Due Palazzi. Padova e Roma sono state scelte dal Dap per una sperimentazione: affidare la gestione della cucina detenuti a cooperative sociali. Ma dato che l’appetito vien mangiando Boscoletto e amici non si sono fermati. "Abbiamo attivato una pasticceria a fianco alle cucine del carcere. Ancora una volta puntando all’eccellenza". Sono nati i dolci di Giotto: i biscotti, il panettone pluripremiato (premio Golosaria 2008, Piatto d’Argento dell’Accademia italiana della cucina 2009), le veneziane, le colombe, fino all’ultima linea dei dolci di Antonio (dove Antonio, sta per Sant’Antonio da Padova) con la Noce del Santo.

"L’ultima soddisfazione è arrivata durante il G8 dell’Aquila. Tra i veri prodotti enogastronomici made in Italy, selezionati da esperti del Gambero rosso e non solo, da presentare e offrire ai grandi della terra riuniti in Abruzzo sono stati scelti anche il nostro panettone e la Noce del Santo. Una scelta che ci fa piacere non solo per la vetrina internazionale ma anche per la natura spiccatamente sociale di questo G8. I nostri dolci sono un modo per veicolare anche l’opera di reinserimento che facciamo attraverso il lavoro, per dire che il reinserimento è possibile e che quando viene attivato un percorso da dei risultati incredibili".

Certo questa di Padova è una delle eccellenze che caratterizzano il mondo penitenziario italiano, molto disomogeneo che coniuga esperienze come questa a situazioni drammatiche e di grande isolamento e chiusura. Il tutto reso ancora più difficile dal sovraffollamento che ha di gran lunga superato il livello precedente all’indulto.

"Quando abbiamo cominciato non sapevamo bene dove saremmo arrivati, ma già allora credevamo che bisognava investire sulle persone. Oggi, ancora di più, siamo convinti del valore rieducativo del lavoro. Purtroppo però il carcere è stato abbandonato a sé stesso da venticinque anni e il lavoro da fare è veramente tanto". Di storie di rinascite Boscoletto ne ha viste tante in questi anni: detenuti saliti agli onori della cronaca nera e persone anonime finite dentro, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, persone con lunghi anni di detenzione alle spalle e altri che hanno vissuto di piccoli espedienti. A tutti hanno offerto un percorso prima di tutto umano.

"Quando ti poni di fronte a un altro uomo non per quello che ha fatto ma per il valore che ha emerge fuori l’umanità vera, nascono la fiducia, la ricerca della verità e la giustizia". Ma questo lo capisci quando guardi il mondo galeotto con occhi diversi. "Io stesso - dice Nicola Boscoletto - per capire la società ho dovuto frequentare il carcere. Dentro c’è un’umanità che fuori fatichi a vedere e capire, perché quando stai fuori ti senti dalla parte del giusto. Quello che ho imparato in carcere invece è che il male non è solo dentro e non è solo quello che ti porta dentro. Anche nella società libera, nella società di chi si sente giusto, c’è un male diffuso che spiega anche perché le cose vanno così come vanno. E i detenuti non sono altro che i figli di questa società".

"Non so - dice ancora Nicola Boscoletto - se esperienze come la nostra siano replicabili. Certamente è legata anche alla rete di rapporti sul territorio, con le imprese, le istituzioni, le realtà sociali, i cittadini. Noi a Padova abbiamo trovato molta accoglienza. Lo stesso storico Caffè Pedrocchi ci ha aiutato molto veicolando i nostri prodotti di pasticceria. Per questo penso che le esperienze di eccellenza che ci sono in diversi settori devono essere guardate per i valori che esprimono. Sono un po’ come dei fari sparsi per l’Italia che indicano che la strada del recupero e del reinserimento è la strada vincente".

Ma il percorso è in salita. Dal 1991, quando la cooperativa Giotto è entrata in carcere, a oggi le cose sono cambiate molto. "È cambiata la popolazione detenuta ed è cambiato molto il fuori. Si è perso il senso e il valore del lavoro, dell’impegno. E quando la società va male, il carcere va peggio".

Mentre parliamo, le carceri italiane continuano a riempirsi. I detenuti dormono sui materassi nelle celle, nelle palestre e persino nelle cappelle. E l’appello di Nicola Boscoletto di ricordarsi sempre che ogni uomo ha un valore e un cuore, anche chi ha sbagliato rischia di rimanere soffocato da un piano carceri che pensa solo a costruire nuove galere. E il faro che illumina la strada del reinserimento rischia di sbattere contro mura di cinta sempre più alti costruiti in nome della paura.

"Si raccoglie sempre quello che si è seminato - dice Boscoletto. Purtroppo in carcere non si semina da venticinque anni e oggi non c’è niente da raccogliere. Credo che sia indispensabile un nuovo gesto di clemenza, questa volta però accompagnato da una riforma strutturale sulle misure alternative. Perché il carcere non può essere l’unica risposta".

Lettere: il colloquio col papà detenuto, è diventato un'odissea

 

Ristretti Orizzonti, 20 luglio 2009

 

Desidero denunciare ai mass media un episodio molto grave capitato all’Istituto Penale di Padova giovedì 2 luglio. Il detenuto G.B. ristretto presso il carcere penale di Padova chiedeva un colloquio con la famiglia, facendo presente che la figlia, affetta da leucemia, aveva ottenuto l’autorizzazione dei sanitari ad affrontare il viaggio aereo Palermo-Venezia ed il colloquio con il padre purché questo potesse avvenire in una stanza singola ed evitando possibilmente promiscuità con altre persone. La sua educatrice si faceva interprete di queste esigenze assolutamente imprescindibili e il colloquio veniva autorizzato dal direttore.

Il giorno 2 luglio i parenti giungono al carcere con due ore di ritardo (esattamente alle ore 11.20) per un guasto dell’aereo. Un agente addetto alla portineria riferisce che il colloquio potrà avvenire solamente alle 12.30. Non produce alcun effetto la dichiarazione della mamma che la figlia è molto ammalata (lo stato di malattia era evidenziato anche dalla mascherina di protezione respiratoria). L’attesa dovrebbe avvenire sotto la pensilina a 35° centigradi e con il passaggio continuo di auto e persone. Il mio intervento presso l’agente è immediato e assolutamente determinato: chiarisco la gravità della malattia e l’autorizzazione particolare. Visto che l’agente si appella continuamente al regolamento chiedo di parlare con il Direttore, ma sono anticipato dallo stesso agente che viene prontamente ricevuto.

Il direttore dà autorizzazione a farle entrare nel locale del controllo dei pacchi. Alle ore 12.10 finalmente i famigliari di G.B. (dopo 40 minuti di attesa) entrano nel locale sporchissimo per il passaggio e l’attesa di chissà quanti altri parenti dei turni precedenti. Non ci sono gli agenti. Sono a pranzo! Arrivano alle 12.30 e ricominciano le discussioni. L’ammalata e la mamma non vengono fatte entrare perché manca l’agente per portarle alla sala colloqui ed anche perché la stanza riservata all’ammalata è occupata da altri parenti. Alle 13 (prima di entrare) viene effettuata un’ulteriore perquisizione e l’ammalata deve togliersi la mascherina di protezione per un controllo. È il regolamento!

 

Vittorio Svegliado, Volontario

Puglia: Osapp; le carceri in emergenza ma tv e giornali tacciono

 

Asca, 20 luglio 2009

 

Una condizione di emergenza della quale si hanno scarse notizie. Il fatto si scopre dopo in comunicato dell’Osapp. "Per dovere istituzionale" l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) ha sospeso in via cautelare la propria partecipazione alla manifestazione nazionale indetta per il 28 luglio a Bari, e analoga decisione starebbero prendendo altre sigle sindacali del comparto Sicurezza che avevano aderito all’iniziativa. Lo riferisce il vice segretario generale dell’Osapp, Domenico Mastrulli, che ha inviato una lettera, tra gli altri, al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al capo del dipartimento amministrazione penitenziaria, Franco Ionta.

La decisione di sospendere la manifestazione è legata, spiega Mastrulli, alle tensioni che si stanno registrando in diverse carceri italiane. Nella lettera Mastrulli sottolinea la situazione di emergenza di alcune carceri pugliesi (Trani e Foggia su tutte), dovuta soprattutto al sovraffollamento di detenuti e all’utilizzo non razionale del personale. Mastrulli chiede quindi che per la Puglia sia previsto un incremento di almeno 300 agenti di polizia penitenziaria, anche per far fronte agli attuali estenuanti turni di servizio. Sorprende la disattenzione dei media nei confronti di una situazione così grave, fino ad oggi non segnalata con la necessaria attenzione da televisioni e giornali.

Liguria: Sappe; la regione a più alta incidenza di evasioni e risse

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2009

 

È più facile evangelizzare un miscredente che convincere l’Amministrazione penitenziaria che la Liguria è allo stremo.

Già con l’evasione del 7 luglio avvenuta dal carcere di Imperia avevamo cercato di attirare l’attenzione sul problema, ma non abbiamo ottenuto nessun risultato - questa è la dichiarazione di Michele Lorenzo segretario regionale del Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria l’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa a fronte della notizia che dal carcere di Pontedecimo un detenuto che deve scontare 15 anni di carcere nelle nostre patrie galere, si è cimentato nel nuovo sport in voga in Liguria: il salto del muro.

E così è stato: stesso copione e stesso luogo dell’altra volta (a Pasqua) - cortili passeggi, un ferro che spunta dal muro di cinta (forse adesso lo ripareranno) il detenuto attende che l’agente venga distratto da un capannello di detenuti e, con una velocità eccezionale, si aggrappa al ferro e quando è a pochi centimetri dalla libertà, l’agente interviene e sventa l’evasione. Il detenuto, a seguito della caduta, riporta solo una frattura alla caviglia.

Buona l’opera della Polizia Penitenziaria. Un grazie al collega che è riuscito ad evitare l’ennesima brutta figura alla nostra Amministrazione. Ma cosa ci vuole per convincere l’Amministrazione penitenziaria ad adottare urgenti misure per arginare e fronteggiare l’emergenza carceri in atto in Liguria? Continua Lorenzo sempre più convinto che è sia giunta l’ora di commissariare il commissario delle carceri, nonché capo del Dipartimento.

Bisogna solo prendere atto che la Liguria è la regione d’Italia a più alta incidenza di evasioni e risse. Il giorno 15 luglio il Capo del dipartimento Franco Ionta nonché commissario straordinario per le carceri, è stato in Liguria (Genova ed Imperia) per parlare di lavoro per i detenuti. La sua visita non è stata da noi gradita: avremmo preferito un incontro con il Presidente Ionta per conoscere quali strategie, immediate e sicure, stesse adottando per arginare il fenomeno.

Ma nulla di tutto ciò è avvenuto. (ricordiamo che solo il 7 luglio un detenuto è evaso dal carcere di Imperia). L’ennesimo appello Lorenzo lo lancia ai politici liguri, sicuramente più sensibili di Ionta: A settembre usciranno dalle Scuole del Corpo circa 200 neo agenti, speriamo che l’Amministrazione assegni in Liguria un numero sufficiente di personale.

 

Michele Lorenzo

Segretario Regionale Sappe Liguria

Venezia: la Camera Penale; situazione del carcere vergognosa

 

La Nuova di Venezia, 20 luglio 2009

 

"In autunno, se il sovraffollamento e le condizioni igieniche del carcere circondariale maschile di Santa Maria Maggiore non verranno risolte, blocco totale della giustizia a tempo indeterminato".

È allarme per il penitenziario veneziano. I numeri: 369 detenuti, su una capienza ottimale di 160 con una tolleranza fino a 240. Oggi dormono 8-9 detenuti per cella, con materassi a terra in 15/20 metri quadri. "La realtà ha raggiunto limiti intollerabili per qualsiasi paese civile. Si rasenta il trattamento disumano. Se l’Asl si degnasse di eseguire un sopralluogo scoprirebbe che viene utilizzato un solo servizio igienico per 9 persone".

La situazione è esplosiva. Con l’applicazione del "decreto sicurezza" rischia di degenerare inevitabilmente. La Camera penale di Venezia non la tollera più. Così, ieri mattina, il presidente Antonio Franchini e numerosi avvocati hanno lanciato appelli, proposte e risoluzioni affrontabili. Luogo dell’incontro proprio davanti al carcere di Santa Maria Maggiore.

Due le richieste. Innanzitutto la turnazione dei detenuti è massiccia. Nel primo semestre dell’anno risultano entrati 536 detenuti; scarcerati 289, entro tre giorni. La Camera penale propone di trattenere le persone arrestate in attesa dell’udienza di convalida del giudice presso "le camere di sicurezza", ossia nelle caserme dei carabinieri, polizia di stato, guardia di finanza. "Come da prassi fino a una decina di anni fa. Poi per problemi di gestione gli arrestati sono stati dirottati verso le carceri. L’impatto sui numeri e sul sollievo del personale penitenziario sarebbe significativo - chiosa Franchini - Non sarebbe la soluzione, ma un alleggerimento importante".

L’altra proposta. I penalisti reclamano maggiore disponibilità da parte del Tribunale di Sorveglianza rispetto alle misure alternative (semilibertà, detenzione domiciliare, liberazione anticipata con lo sconto di 30 giorni ogni sei mesi di detenzione). Ma mentre parlavano e spiegavano gli avvocati hanno dovuto incassare la notizia che la proposta avanzata al Governo dal Provveditore alle carceri di inserimento della ristrutturazione completa della Casa del lavoro della Giudecca (costo 22 milioni di euro, capienza 120 detenuti) non è stata inserita nel piano di edilizia carceraria. Dunque, sarà carenza di spazi per tre anni. Sostegno è arrivato dalle direttrici dei penitenziari Gabriella Straffi (carcere femminile) e Irene Iannucci (carcere circondariale maschile). Quest’ultima sottolinea: "Il sovraffollamento è oggettivo. Il problema non è solo del carcere, va condiviso con le istituzioni cittadine deputate alla bisogna".

 

Il Sindaco: un abisso d’inciviltà

 

La situazione di sovraffollamento nel carcere di Santa Maggiore, dove a fronte di una capienza di 111 detenuti ne sono ospitati il triplo, è stata definita dal sindaco Massimo Cacciari un "abisso di inciviltà". "Sono ancora sgomento - ha affermato il sindaco dopo aver partecipato a una Tavola rotonda sul carcere di Santa Maria Maggiore, organizzata in Corte d’Appello dalla Camera penale veneziana - dopo aver sentito che ci sono mediamente otto persone che dormono su letti a castello in una cella di 25 metri quadri, con un solo bagno a disposizione". Per Cacciari, si tratta di "abissi di inciviltà che abitano nella nostra città e che occorre affrontare". Per protestare contro il sovraffollamento, oggi i penalisti veneziani hanno scioperato nell’ultimo giorno di udienze prima dell’estate. Il sindaco ha anche invitato giornali e tv "a occuparsi con maggiore frequenza di queste problematiche rispetto ad altri temi".

 

In carcere con la mia bambina

 

Dietro le sbarre del carcere femminile della Giudecca non ci sono solo detenute, ma anche bambini. Ne parliamo con una mamma di 36 anni, che ha con sé la figlioletta, 2 anni e 9 mesi. La sua giornata, condivisa con un’ottantina di detenute, il 65% straniere, è scandita dai ritmi del penitenziario, fra divise e porte sbarrate, ore d’aria e momenti di riflessione. N.A., cittadina del Marocco, si presenta all’incontro, autorizzato dal Ministero di Grazia e Giustizia, in jeans, t-shirt gialla e capelli accuratamente raccolti all’indietro da una lunga treccia.

Il suo unico pensiero, diventato ossessione, è per la figlioletta. Mi puoi scrivere il tuo nome? "Non so né leggere, né scrivere. Non ho mai frequentato la scuola". Mi parli della tua famiglia? "Sono ultima di otto fratelli, quattro maschi e quattro femmine. Due sorelle vivono in Francia. Da sei anni non vedo mia madre ottantenne; mio padre è morto tre mesi fa. Ho appreso la notizia quando ero agli arresti domiciliari. Mi mancano molto. Per favore potreste telefonare ancora una volta ai miei nipoti?".

Qui però non sei sola... "Ho una bimba di 2 anni e 9 mesi, coccolata da tutti, le portano dolciumi, giocattoli e bolle di sapone. Le piace lo smalto sulle unghie. È stata inserita all’asilo nido. Spesso, privata della libertà, piange e soffre di irrequietezza. Allora la incoraggio ma, talvolta mi rifiuta. Quando vede i portoni di sicurezza aprirsi corre, getta le braccia al collo al personale penitenziario, agli educatori e si sgola: "Agente, agente, andiamo all’aria, andiamo all’aria, uscire, uscire!".

Com’era la tua vita precedente? "Mi sono sposata, poi divorziata. Mio marito era violento, mi picchiava continuamente. Da dieci anni vivo in Italia. Sono stata prima a Torino poi a Milano. Mi sono sposata un’altra volta, un altro fallimento finito con un divorzio e una fuga. Ancora un uomo. Dopo quattro anni sono rimasta incinta. Lui è scappato, io ho tenuto la bambina". Che lavori hai svolto? "Ho accudito anziani, coltivato terreni, riassettato case. Ho sempre lavorato da italiani, in nero".

Come trascorri la tua giornata? "Curo la mia bambina, lavoro e stiro; a turno preparo da mangiare per lei e per gli altri bambini". Con la giustizia stai saldando il tuo debito, la tua famiglia ti è vicina? "No, l’ho persa in un colpo solo. Mi sta rifiutando. Di me non ne vuole più sapere. Quando uscirò - sono stata condannata con pena definitiva fino al 2012 - niente sarà più come prima. E ne sono consapevole. Mia madre e i miei fratelli, ai quali ho scritto e telefonato tante volte, non mi rispondono più. Nel mio paese rappresento una vergogna.

Sono sola anche se qui ho tante persone vicine, il personale, i volontari della Cooperativa Rio Terà dei Pensieri. Ogni giorno quelli dell’associazione "La Gabbianella e altri animali" portano al mare la mia figlioletta. E ogni lunedì, dalle 16 alle 17, con loro andiamo nell’Orto delle meraviglie (6000 metri quadri di terreno incolto trasformato in orto e giardino, ndr). E la piccola cosa fa nell’orto? "Gioca con altri 5 coetanei. I loro passatempi preferiti: le bolle di sapone, le carriole piccole, i rubinetti dell’acqua e quattro gatti. A giorni arriveranno anche le galline ovaiole. Qui c’è tanta umanità ma ho paura e mi sento morire".

Cosa ti spaventa? (scoppia in lacrime) "Ho paura di perdere la mia figlioletta. Questa piccola vita è tutto ciò che mi rimane. A novembre festeggerà in carcere il terzo compleanno. Ma se non potrò usufruire delle misure alternative, quel giorno la legge mi separerà dalla mia bambina. Sono terrorizzata. Di notte mi sveglio, piango, la guardo e l’accarezzo. So che sarà straziante".

Nessuno spiraglio? "A maggio ho chiesto al Magistrato di Sorveglianza di usufruire della detenzione domiciliare. Una mia amica del Marocco, che risiede a San Donà e ha una bambina di cinque anni, mi accoglierebbe nella sua casa. Con questo grande aiuto non perderei la mia figlioletta. Potrei anche lavorare. È la mia unica speranza. Altrimenti la mia bambina va in affido provvisorio a una famiglia che me la porterà in carcere periodicamente".

 

Una sede per la "custodia attenuata"

 

Da anni coglie il grido delle donne carcerate e si batte per "far liberare i loro bambini". È la direttrice del carcere femminile della Giudecca, Gabriella Straffi. A Venezia da quindici anni, lo scorso gennaio - alla vigilia dell’Epifania - in occasione della visita del patriarca Angelo Scola aveva fatto ventilare una novità: "Siamo alla ricerca di una soluzione diversa. Mi auguro che finalmente si possano creare le condizioni di migliore integrazione con il territorio. Stiamo lavorando in tal senso". Da gennaio a luglio, non ha perso tempo.

"Siamo agli inizi - spiega - A seguito di un’ispezione ministeriale questo carcere era destinato a chiudere. È stato invece presentato un progetto di ristrutturazione del fabbricato principale. Per tutti sarà una sfida". Saranno realizzate la direzione con gli uffici e la caserma per il personale. In anteprima, la Straffi lo presenta: "Il pianoterra e il primo piano saranno adeguati alle esigenze di custodia richieste. La nuova struttura che sarà autonoma accoglierà donne con figli di età compresa fra zero e tre anni. I battenti saranno aperti tra due anni".

Si chiamerà istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Sarà un modello da esportare. "L’ingresso indipendente sulla fondamenta delle Convertite faciliterà il rapporto con il territorio e i volontari, ma non si rinuncerà all’asilo esterno". Avrà colori allegri alle pareti, grandi stanze plurime per tutelare la privacy, ludoteca e cucina. Così i bimbi non cresceranno più nel grigio delle celle e le mamme detenute potranno far crescere i loro figli in un ambiente dove le sbarre alle finestre saranno mimetizzate. Le detenute potranno usufruire delle numerose attività lavorative (orticoltura biologica, legatoria, cosmesi, lavanderia)".

Dall’entrata in vigore dell’indulto, agosto 2006, il numero delle donne recluse si è ridotto mentre la capienza regolamentare ammonta a 110 posti. Oggi le detenute sono 82, il 65% straniere. La maggior parte, provenienti dai paesi dell’Est, sono clandestine. Arrestate perché prive del permesso di soggiorno o legate a reati della microcriminalità. Il carcere della Giudecca ha una particolarità. È l’unico in Italia che ospita detenute "in misura di sicurezza". Sono nove e scontano un ergastolo cosiddetto "bianco". L’ultima reclusa, 63 anni di Napoli, è entrata ieri.

Forlì: la Polizia penitenziaria; si rischia una evasione di massa

 

Il Resto del Carlino, 20 luglio 2009

 

Scordatevi il tagliaunghie di Clint Eastwood. Primo perché difficilmente i detenuti ne hanno uno. Secondo perché per evadere dal carcere di Forlì non servirebbe fare un buco sotto il lavello della cella, come fa il vecchio Clint (alias Frank Morris) nella leggendaria pellicola di Don Siegel, Fuga da Alcatraz. Per scappare dalla Rocca "basta buttare giù le porte delle celle, che sono più o meno di cartapesta".

"Negli ultimi tempi abbiamo sventato un paio di evasioni - dice un agente di custodia in servizio nel carcere di Forlì -. Alcuni detenuti avevano già scardinato la chiusura. Li abbiamo presi al volo. Ma se la situazione continua così (anche perché poi le porte mica sono state riparate), con gli ospiti che sono sempre di più e noi che siamo sempre di meno, allora possiamo dire tranquillamente che non ci stupiremmo di un’evasione di massa dalla Rocca".

La guardia ci mette la faccia. Non il nome, per la solita storia che è un "dipendente del ministero e se dico come stanno le cose potrei anche rischiare il posto". E se il peggio succederà (tipo la ventilata evasione di massa in stile messicano) "non prendetevela con l’ultima ruota del carro, ovvero gli agenti di polizia penitenziaria.

Loro sono vittime - è il pensiero di Daniela Avantaggiato, della funzione pubblica Cgil -. Le colpe, se mai dovesse succedere qualcosa di grave, sono dei piani alti: del ministero in primis, che in questi anni non ci ha mai risposto. Ormai - è l’amarissima chiosa della Avantaggiato - non ci resta che scrivere al papa. È a rischio anche la sicurezza dei cittadini".

La miccia di tutto ciò è una fuga. Quella di lunedì scorso. Un bulgaro scappato alle dieci del mattino sotto gli occhi di tre guardie. Ventislav Tsvetkov, 32 anni, vita da ladruncolo truffaldino poco oltre il pelo della sopravvivenza, mette le ali ai piedi mentre va a farsi un’ecografia in ospedale. Fugge dal piazzale dell’obitorio lasciando sul posto i tre agenti, corre oltre la siepe, si tuffa tra i rovi incandescenti e svanisce. Ora le tre guardie rischiano l’incriminazione per procurata evasione - il fascicolo è sul tavolo del pm Alessandro Mancini. Potrebbero evitarla se il fuggiasco venisse catturato entro 90 giorni (così prescrive la procedura per quel che riguarda i casi speciali di estinzione del reato).

Nel frattempo però la questione è sempre la solita: detenuti pigiati come sardine (siamo a quota 240, dovrebbero essere 135) e controllori in divisa scesi addirittura a 80, contro i 125 per legge (quattro i turni da rispettare). Non solo: "E le condizioni di sicurezza e di igiene della struttura, vecchia e cadente, dove le vogliamo mettere?" si chiede un poliziotto in servizio alla Rocca.

"Le celle singole sono diventate per due, in quelle che erano per due adesso stanno in 4. Uno strazio" rimarca la Avantaggiato, che prosegue la lotta spalleggiata dal Coordinamento nazionale polizia penitenziaria. Ora siamo a un bivio: "Stiamo preparando una clamorosa protesta" annuncia un agente. "Qualcosa faremo - è la voce della Avantaggiato - Perché la Rocca è una pentola a pressione. Pronta ad esplodere".

Noto (Sr): manca personale, non apre la nuova sezione carcere

 

La Sicilia, 20 luglio 2009

 

La nuova sezione del carcere di Noto, che avrebbe dovuto aprire i battenti domani, resta chiusa. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ne avrebbe "congelato" l’apertura in seguito alle proteste delle organizzazioni sindacali di categoria contro il metodo adottato fino ad oggi, che non ha tenuto conto delle normative né delle regole minime della contrattazione sindacale.

A comunicarlo è il deputato regionale del Partito democratico Mario Bonomo. Ancora una volta dunque, per la collettività netina e la popolazione carceraria che da tempo attende una sistemazione adeguata, si ripropone il solito dejà vu, ad eccezione, forse, dell’ennesima inaugurazione che pare, stavolta sarà risparmiata.

"Davanti ad una simile vicenda - dichiara il deputato regionale Bonomo - appare quantomeno stucchevole la scelta di chi, con reboanti annunci su giornali e tv, e ringraziamenti al ministro della Giustizia per la solerzia con cui aveva raccolto l’invito ad intervenire nella vicenda, aveva dato per certo qualcosa che invece certo ancora non era, come dimostra la brusca frenata del Dipartimento". Il riferimento è alle dichiarazioni del deputato Vinciullo che avrebbero messo in moto anche una serie d’aspettative di agenti, ansiosi di conoscere se e quando sarebbero andati in missione a Noto.

"Al di là di ogni cosa - conclude il deputato siracusano del Pd - rimane un dato fortemente contraddittorio. Da una parte si parla di carceri sovraffollate che in qualche modo vanno "svuotate" o potenziate, mettendo mano ad un serio programma d’edilizia penitenziaria, dall’altra, mancando il personale si tengono chiusi istituti di pena, come accade a Reggio Calabria e Noto".

Cagliari: Caligaris (Psi); problemi per caldo e sovraffollamento

 

Agi, 20 luglio 2009

 

"Il caldo e il sovraffollamento rischiano di creare una situazione particolarmente difficile nel carcere cagliaritano di Buoncammino dove all’alto numero di detenuti tossicodipendenti con doppia diagnosi e sieropositivi fa da contrappeso una ridotta presenza di agenti di polizia penitenziaria. Ciò graverà non poco nelle prossime settimane quando aumenterà la temperatura accentuando i disagi per gli operatori e i detenuti".

Lo afferma la presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" Maria Grazia Caligaris evidenziando che le raccomandazioni contenute nella circolare del responsabile del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta ai Provveditori regionali relativa all’avvento della stagione estiva non a caso sono incentrate sulla prevenzione delle criticità. "La realtà cagliaritana - rileva Caligaris - si caratterizza per la vetustà dell’Istituto, non idoneo a interventi per aumentare gli spazi agibili, e per la tipologia dei detenuti, molti dei quali extracomunitari. A Buoncammino, l’unico carcere sardo in cui si trova un Centro Clinico, convivono in un equilibrio delicatissimo, grazie all’esperienza pluriennale della dirigenza, persone con condizioni spesso molto difficili.

Gravano su Cagliari, oltre ai temporanei ospiti provenienti dal carcere di Bad’e Carros, costanti arrivi dal Nord Italia dove la situazione è esplosiva per la carenza di spazi. Il continuo andirivieni di persone detenute provenienti dalla Penisola rischia inoltre - ha detto ancora l’ex consigliera socialista - di accentuare il disagio dei ristretti stabili favorendo un clima di tensione difficile da controllare. Ne sono testimonianza alcune lettere di detenuti.

È quindi indispensabile che durante la lunga parentesi estiva, in attesa dei provvedimenti utili per dare risposte concrete al superlavoro degli agenti e per alleggerire la presenza nell’Istituto cagliaritano, cessino i trasferimenti di nuovi detenuti e siano attivati quegli strumenti per rendere più vivibili gli spazi disponibili. Inaccettabile invece la riduzione degli spazi-cella a loculi considerato anche che il Governo è stato condannato in base della Convenzione europea sui diritti umani a risarcire un detenuto bosniaco, ristretto a Rebibbia, per l’assenza dei requisiti minimi di vivibilità degli spazi. Il ricorso alle pene alternative suggerito anche dal Capo del Dipartimento Ionta, non può ricadere semplicemente - ha concluso Caligaris - sui magistrati o i giudici ma richiede l’attivazione di una efficiente rete di servizi sociali e positivi riscontri da parte delle istituzioni".

Ravenna: carcere invivibile; il Sindaco a sostegno dei sindacati

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

"Protesta sacrosanta". Così ha definito il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, l’iniziativa promossa da Cgil, Cisl e Uil per protestare contro la "situazione invivibile del carcere di Ravenna". Il primo cittadino conferma così il suo "totale sostegno" ai tre sindacati che questa mattina hanno promosso un presidio davanti alla sede della Prefettura, con l’obiettivo di sensibilizzare i ravennati sulle precarie condizioni della Casa circondariale.

I sindacati chiedono al Ministro di intervenire al più presto per garantire il pieno rispetto della capienza detentiva, per ripristinare un livello dignitoso di vivibilità della struttura e per procedere immediatamente ad aumentare il numero degli operatori carcerari.

"I detenuti - sottolinea Matteucci - vivono ammassati nelle celle, i servizi igienici sono inadeguati, la polizia penitenziaria già sott’organico in condizioni di normalità, lo è a maggior ragione nell’attuale situazione di estremo sovraffollamento. Parlo con cognizione di causa: ho visitato il carcere un anno fa. E già in quell’occasione ho avuto modo di vedere di persona in che condizioni disumane vive la popolazione carceraria e in quali condizioni gli agenti sono costretti a lavorare: in una struttura pensata per ospitare al massimo 62 detenuti non ce ne possono stare 170.

La situazione è seria e pericolosa: è a rischio la sicurezza di tutti i cittadini. Ho emesso un’ordinanza che obbligava la direzione del carcere ad attuare alcuni interventi per migliorare i servizi. Alcuni sono stati fatti. Ma il Comune può fare ben poco. Ho scritto tre volte al Ministro Alfano, nel giugno del 2008 dopo la mia visita al carcere, il 25 maggio di quest’anno e l’ultima volta il 30 giugno scorso. Nell’ultima lettera ho chiesto all’on. Alfano un incontro. Ma a nessuna delle tre lettere finora ho ricevuto risposta. Spero che l’azione dei sindacati abbia maggiore fortuna".

Perugia: sindacati; "no" al nuovo padiglione, servono 50 agenti

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2009

 

"Le Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente documento, unitariamente ritengono il provvedimento di apertura del nuovo padiglione di Perugia, sconsiderato e privo di un adeguato e congruo sostegno di personale di polizia Penitenziaria; addirittura lo stesso appare pericoloso per l’ordine e la sicurezza dell’Istituto di Capanne e anche del circostante territorio.

Le scriventi si dichiarano altresì unitariamente contrarie al provvedimento e ne chiedono l’immediata revoca o, nelle more, l’assegnazione minimo di ulteriori 50 unità di Polizia Penitenziaria, rispetto a quelle già assegnate. Nella deplorevole ipotesi che il provvedimento di apertura non venga revocato o che le unità richieste non siano assegnate, si proclama, fermo restando lo stato di agitazione di tutto il personale, l’inizio di ogni utile iniziativa di protesta consentita dalla Legge.

Appare inoltre utile sottolineare come le sottoscritte riterranno direttamente responsabili i vertici del Dap per le eventuali ed inevitabili criticità che, immancabilmente, si verificheranno nei prossimi mesi a seguito di questo scellerato e sconsiderato provvedimento, sicuramente non giustificato dall’emergenza Nazionale del sovraffollamento delle carceri Italiane.

Ci si augura, infine, come invece spesso accade, che scelte del genere non vadano a minacciare concretamente l’incolumità fisica del personale tutto. Si chiede al Provveditore Regionale, oltre che di condividere e sottoscrivere la richiesta di revoca del provvedimento, di inviare il presente verbale alle Direzioni Generali del Dap e al Capo del Dipartimento, al quale si chiede un’immediata convocazione".

 

Sappe, Osapp, Sinappe, Cisl-Fp, Cgil-Fp

Locri (Rc): "Se Caino aiuta Abele"; conclusione del laboratorio

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2009

 

Martedì 21 luglio alle ore 10 alla Casa Circondariale di Locri si concluderà il laboratorio formativo "Se Caino aiuta Abele" un percorso formativo che ha visto un gruppo di detenuti della media sicurezza confrontarsi sui temi della giustizia riparativa e del rapporto tra reato e vittime, un’occasione per favorire un processo di revisione di vita da parte di soggetti che hanno pagato con il carcere gli errori commessi ma che si preparano a rientrare nella società libera più coscienti delle loro responsabilità personali e familiari

l’iniziativa è stata promossa dall’ufficio di esecuzione penale esterna e dal Centro di Servizi al Volontariato dei Due Mari di Reggio Calabria in collaborazione con la direzione della Casa Circondariale di Locri. Il laboratorio che si è sviluppato su 8 incontri è stato animato da un gruppo di assistenti sociali e da una psicologa particolarmente significativi sono stati gli incontri dei detenuti con alcuni familiari di vittime della criminalità e con i volontari.

alla conclusione del percorso saranno presentati dai detenuti partecipanti i risultati del loro lavoro saranno presenti i responsabili della struttura penitenziaria, il direttore dell’Uepe Mario Nasone, l’assessore alle politiche sociali della provincia Attilio Tucci, i referenti dell’associazione Libera Stefania Grasso, Deborah Cartisano e Francesco Rigitano.

L’evento si svolge alla vigilia della commemorazione di Lollo Cartisano , il fotografo di Bovalino sequestrato ed ucciso dalla ndrangheta. Sarà la figlia Deborah a raccontare ai detenuti cosa significa stare dalle parte delle vittime ma anche lanciare un messaggio di speranza per chi vuole uscire dalla illegalità e dalle mafie.

 

Mario Nasone

Direttore Ufficio Esecuzione Penale Esterna Reggio Calabria

Udine: il teatro, evasione dal disagio ed educazione alla legalità

 

Il Gazzettino, 20 luglio 2009

 

Educare alla legalità tramite il teatro. È il tema su cui si è concentrato il lavoro di elaborazione scenica di Spazio Aperto, il laboratorio teatrale curato e diretto da Sandro Carpini e appena conclusosi a Udine dopo nove mesi di incontri. Un laboratorio che nasce dall’esperienza pluriennale di Carpini all’interno delle Case circondariali della Regione Friuli Venezia Giulia nell’ambito del Progetto pilota in tema di disadattamento, devianza e criminalità curato dal Css Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia e che, da tre anni, si è sviluppato anche nel contesto dell’Ufficio di esecuzione penale esterna di Udine.

Sotto la direzione di Antonina Tuscano Monorchio, l’esperienza del teatro è diventata per l’Uepe funzionale a percorsi di reinserimento sociale dei detenuti anche grazie alla trasversalità dei partecipanti al laboratorio che mette fianco a fianco i soggetti in detenzione alternativa e gli operatori dell’ufficio di esecuzione penale di Udine.

L’educazione alla legalità è un obiettivo fondamentale dei programmi promossi da Uepe i cui destinatari sono anche e soprattutto i giovani ai quali vanno indicati valori come il rispetto delle regole e delle persone, l’importanza del confronto e la non discriminazione e segnalati comportamenti a rischio che possono sfociare nella devianza sociale e perfino nella criminalità. Sandro Carpini ha individuato quest’anno come tema di riflessione il bullismo.

Il gruppo Spazio Aperto proporrà gli esiti finali del lavoro teatrale a Gorizia all’interno della rassegna "Altre Espressività" tra la seconda metà di ottobre e l’inizio di novembre per poi rivolgersi direttamente ai giovani all’interno dei teatri e nelle scuole.

Voghera (Pv): le nuove indagini per la morte di Marcello Russo

 

La Provincia Pavese, 20 luglio 2009

 

Probabilmente un suicidio, ma un suicidio annunciato. È quanto emergerebbe dall’autopsia consegnata dal professor Giovanni Pierucci alla procura di Voghera. Secondo il perito, Marcello Russo, all’epoca dei fatti (il marzo scorso) detenuto nel carcere di Medassino, avrebbe inalato il gas del fornelletto dopo aver chiuso la testa in un sacchetto di plastica.

Un sistema conosciuto dai detenuti per ottenere una sorta di "sballo" chimico. Ma un sistema pericolosissimo. Tant’è, che Marcello Russo ne era morto. Nel referto, il medico legale farebbe riferimento ad un precedente episodio di inalazione volontaria del gas risalente, forse, al mese di febbraio. Insomma, Russo era un detenuto a rischio, con problemi psichici (accertati) e quindi da tenere sotto attenta osservazione.

L’avvocato Sara Bressani assiste la madre di Marcello Russo: "Sulle indagini che sta conducendo con molto scrupolo il pm Maria Gravina non intendo entrare - dice - ma è evidente che si tratta di un episodio grave da chiarire". Proprio per questo, il pm intende ascoltare quei detenuti che, il giorno dopo la morte di Russo, scrissero una lettera (inviata alla Provincia Pavese e alla procura) denunciando la mancanza di controlli all’interno del carcere.

Genova: ucciso ex detenuto, aveva collaborato con i magistrati

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

L’albanese ucciso nella notte per strada a Genova Ilir Krypi era uno dei sette arrestati nel febbraio scorso nell’ambito di un’inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Direzione investigativa antimafia, Andrea Canciani, sul traffico di cocaina e cellulari per i detenuti nel carcere di Marassi, che aveva fatto finire in cella anche un agente della polizia penitenziaria e due pregiudicati calabresi in odore di ‘ndrangheta.

Krypi era stato l’unico a parlare davanti al giudice per le indagini preliminari Roberto Fucigna, seppur con una posizione marginale, dicendo di non sapere per il tramite di chi sarebbe dovuto entrare il telefono cellulare nelle celle. Tra gli altri arrestati, oltre a Krypi e all’agente della polizia penitenziaria Antonio Ierardi, di 34 anni, c’erano anche gli albanesi Blerim Graci, di 30 e Dritan Dedja, di 26; Francesco Muzio, di 35 e i calabresi Giuseppe e Nicodemo Macrì, di 36 e 44 anni.

In particolare, Nicodemo Macrì era stato condannato in primo grado per aver gambizzato l’ex campione europeo di pugilato Francesco Dell’Aquila, davanti al night club Mosche Bianche a Genova. Sulla base del contesto che emerge la Casa della legalità di Genova parla di un’"esecuzione mafiosa" e auspica "una decisa azione di risposta dello Stato affinché vengano individuati esecutori e mandanti dell’omicidio, perché la sola percezione che tale esecuzione possa essere avvenuta per chiudere la bocca potrebbe avere effetti devastanti".

Immigrazione: il trend schizofrenico delle politiche migratorie

di Valerio Onida (Presidente emerito della Corte Costituzionale)

 

Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2009

 

La prima impressione, di fronte alle norme del pacchetto sicurezza dedicate agli immigrati, e alla successiva proposta di regolarizzazione di badanti e collaboratori familiari, è quella di un atteggiamento schizofrenico del legislatore. Il 15 luglio viene promulgata la legge che, fra l’altro, introduce il nuovo reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", "criminalizzando" tutti gli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno. Non è passato nemmeno un giorno, ed ecco il Governo promuovere in Parlamento un emendamento che sospende di fatto l’applicazione del nuovo reato nei confronti di badanti e colf, fino al 30 settembre o fino all’eventuale rigetto della domanda di regolarizzazione (salvo però tornare ad applicarlo in caso di mancata regolarizzazione: col che potrebbe profilarsi una sorta di autodenuncia per coloro le cui domande saranno respinte).

Ce ne sarebbe abbastanza per constatare quanto siano fondati i rilievi sull’improprio modo di legiferare del Parlamento, mossi dal Capo dello Stato (senza però effetti giuridici di sorta) nella lettera inviata al Presidente del Consiglio. Ma è forse più interessante domandarsi quali siano, e se siano da condividere, gli indirizzi del Governo e della maggioranza in tema di politiche migratorie. I movimenti migratori sono, come è noto, un fenomeno di massa non evitabile, collegato a fattori e realtà propri del nostro tempo e del nostro mondo globalizzato.

La Costituzione (scritta in un’epoca in cui erano gli italiani a emigrare) si limita a stabilire che la Repubblica "riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero" (articolo 35). Quanto agli stranieri, riconosce il diritto di asilo a coloro cui sia impedito nel loro paese l’esercizio delle libertà democratiche (articolo 10). Ma la libertà di emigrazione è espressamente riconosciuta a "ogni individuo" dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e riguarda dunque anche chi nel nostro paese viene o vuole venire, non solo chi vuole andarsene.

Qual è dunque la politica dell’Italia riguardo a questo fenomeno? In realtà il nostro paese non si è mai dato una seria ed efficace politica dell’immigrazione. Consideriamo un solo elemento: chi entra in Italia (legalmente o illegalmente), salva la ristretta minoranza che lo fa per darsi ad attività magari lucrose ma illecite, è alla ricerca di un lavoro per assicurare a sé e alla famiglia mezzi di sostentamento, e delle correlative condizioni di vita (alloggio, servizi).

È dunque determinante, tanto più per un paese come il nostro in cui vi è un’offerta di lavoro che rimarrebbe altrimenti insoddisfatta (non solo per badanti e colf), consentire e favorire l’accesso degli immigrati al lavoro. Ma la nostra legislazione richiede, per consentire tale accesso, che lo straniero sia munito di un permesso di soggiorno che abiliti al lavoro medesimo; tuttavia la concessione di un tale permesso è a sua volta subordinata alla dimostrazione della disponibilità del lavoro.

È un serpente che si morde la coda: ed ecco l’ipocrisia di "quote" annuali di ingresso per gli stranieri, formalmente destinate a soddisfare richieste di persone residenti all’estero che vogliono immigrare, e che di fatto vengono usate invece per persone che già si trovano nel nostro territorio, regolarmente o irregolarmente. D’altra parte, qual è il datore di lavoro (famiglia o imprenditore) che assume il lavoratore a 5.000 chilometri di distanza, senza conoscerlo?

Eppure la nostra legge non prevede la possibilità di soggiornare legalmente alla ricerca di un lavoro: l’istituto dell’ingresso garantito da uno sponsor, per inserimento nel mercato del lavoro, introdotto nel 1998, venne abolito dalla legge Bossi-Fini del 2002. E sarebbe interessante sapere quante e quali siano (temo ben poche) le attività di formazione professionale nei paesi di origine, finalizzate all’inserimento mirato nei settori produttivi italiani, effettivamente realizzate secondo la previsione di legge che ha sostituito quella degli sponsor.

Per converso, le frequenti modifiche legislative degli ultimi anni sono state tutte volte, come quelle del "pacchetto sicurezza", a "indurire" il trattamento riservato agli stranieri, in un’ottica che vede nell’immigrato quasi solo un pericolo per la sicurezza pubblica. E se ora si regolarizzano badanti e colf, non è per una resipiscenza, ma solo per l’egoistico timore di privare le famiglie di un sostegno ad esse necessario. A loro volta le politiche locali assai spesso sono andate nella direzione di discriminare, non di rado illegittimamente, nell’accesso ai servizi pubblici e alle prestazioni sociali, e nell’esercizio di diritti elementari come la libertà religiosa, gli stessi immigrati regolari, visti come sgraditi "concorrenti" degli italiani o come minaccia per la nostra "identità".

Non ultima, c’è la questione della partecipazione degli stranieri alla vita pubblica. Fin dal 1992 esiste una convenzione del Consiglio d’Europa in base alla quale gli Stati aderenti si impegnano, fra l’altro, a riconoscere agli stranieri regolarmente residenti da cinque anni l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni locali: ebbene, l’Italia non aderisce a questa parte della convenzione, e dunque nelle nostre città centinaia di migliaia di stranieri che vivono, lavorano, pagano le tasse e usano i servizi locali sono esclusi dall’esercizio dell’elementare diritto di partecipare alla scelta degli amministratori: con buona pace dell’idea stessa di democrazia.

Droghe: Alfano; ubriachi alla guida, presto proposta Governo

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

Per combattere il fenomeno degli ubriachi al volante il governo è impegnato per presentare a breve una proposta. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Alfano. "Bisogna considerare l’alcol una piaga sociale al pari della droga - ha aggiunto il ministro - Occorre avviare programmi di rieducazione". Ha parlato di progetti di recupero che coinvolgano le famiglie. "A breve - ha concluso - presenteremo una proposta".

Droghe: in Veneto aumentano i tossicodipendenti e gli alcolisti

 

Redattore Sociale - Dire, 20 luglio 2009

 

Sono oltre 13 mila le persone che fanno uso di droga (+58% in 15 anni) e 12 mila quelle che abusano di alcol (+176% in 12 anni). È l’eroina la sostanza preferita (72%). Cresce il tempo tra la prima assunzione e l’accesso ai servizi.

Oltre tredicimila tossicodipendenti e più di dodicimila alcoldipendenti: nel 2007 sono stati questi i numeri del disagio in Veneto, secondo i dati della rete dei servizi pubblici della regione. Sono numeri che continuano a crescere instancabilmente, se si conta che in quindici anni la droga si è diffusa con un trend del +58%. Di molto maggiore risulta poi l’incidenza dell’alcol, che ha segnato un +176% in un arco di tempo inferiore, dal 1995 al 2007, arrivando quasi a triplicare la sua diffusione. I dati rientrano nel rapporto "Droga e alcol in Veneto: il sistema regionale delle dipendenze" elaborato dalla regione.

Per quanto riguarda la tossicodipendenza, gli utenti assistiti nel 2007 sono stati 13.442 (83,6% maschi) di cui circa il 30% aveva un’età compresa tra i 20-30 anni, un altro 36% tra i 30-40 e un ulteriore 5% tra i 15-19. Si conferma preponderante l’utilizzo di eroina, sostanza preferita nel 72% dei casi, seguita da un 11% che predilige la cannabis e un altro 11% la cocaina, che aumenta la sua incidenza rispetto agli anni precedenti. "Vale la pena sottolineare - si legge nel rapporto - che il consumo di cannabis e cocaina oltre a destare un continuo e crescente interesse da parte degli assistiti come uso prevalente, costituisce anche la preferenza per uso secondario". Meno diffuse come sostanze primarie sono allucinogeni, anfetamine, barbiturici, crack, metadone, morfina, altri oppiacei, inalanti e altre sostanze, che si attestano negli ultimi quattro anni attorno a valori poco superiori al 3%.

Dal 1991 al 2007 è aumentata l’età media delle nuove persone assistite dai servizi, passando da 25,4 a 28,4 anni. "Tenendo conto che da più parti si osserva un abbassamento dell’età di primo uso di sostanze - si spiega nel documento -, questo significa che si sta assistendo a un aumento del periodo tra primo uso e primo accesso ai servizi, creando in questo modo anche un aumento dei rischi e dei danni derivanti dalle tossicodipendenze non trattate".

Basti pensare che nel solo 2007 si sono registrati 49 decessi per droga, in significativo aumento rispetto ai 34 dell’anno precedente. Spesso in abbinata con l’abuso di droga si trova anche la dipendenza da alcol, con una percentuale media che nel periodo 1991-2007 oscilla tra il 28,1% e il 18%. Anche in questo caso a manifestare la dipendenza sono perlopiù uomini (77,1%) e questo vale sia per i nuovi utenti sia per quelli già in carico ai servizi. La fascia d’età più soggetta è quella dai 40-49 anni (27,7%), seguita da quella dai 50-59 (24,9%). Per quanto riguarda le bevande, quella maggiormente problematica è il "vino" (68,8%) per entrambi i generi, seguita da birra nel 20% dei casi, superalcolici (5%), aperitivi (6%) e altre sostanze alcoliche (0,4%).

Stati Uniti: i metodi di tortura della Cia che finiscono sui giornali

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

Rinchiusi in una cella piena di cadaveri. Oppure piena di donne nude. Oppure trattati a forti dosi di scariche elettriche sui denti. Queste alcune delle tecniche di interrogatorio, per i sospetti terroristi, discusse dalla Cia dopo la cattura in Pakistan sette anni fa di Abu Zubaida. Il quotidiano Washington Post rivela oggi illuminanti dettagli del dibattito divampato alla Cia sul modo migliore per estrarre dal prigioniero tutte le informazioni possibili su nuovi piani di attacco di Al Qaida.

Il terrorista, che era rimasto gravemente ferito durante la cattura, era stato trasferito in una prigione segreta della Cia in Thailandia, non lontana da un aeroporto di Bangkok. Il team della Cia inviato in Tailandia per condurre gli interrogatori era guidato da James Mitchell, un ex psicologo dell’Air Force che sosteneva di essere un esperto nelle tecniche di resistenza insegnate ai membri di Al Qaida. Lo psicologo ordinò che il prigioniero fosse spogliato nudo mentre veniva interrogato dagli agenti della Cia. Inoltre a Zubaida venne impedito di addormentarsi per periodi prolungati. Il sistema più semplice: un bombardamento continuo di musica a volume assordante (le canzoni dei Red Hot Chili Peppers erano giudicate particolarmente efficaci).

Alle sessioni di interrogatorio partecipava qualche volta anche lo psicologo che però, a differenza degli agenti segreti della Cia, indossava sempre una maschera per proteggere la sua identità. Poiché Zubaida non parlava, Mitchell aveva chiesto che nella cella del prigioniero la temperatura fosse tenuta a livelli polari, facendo diventare blu la pelle del sospetto terrorista.

I dettagli ottenuti dal quotidiano mettono anche in evidenza i contrasti tra la Cia e l’Fbi, che aveva interrogato Zubaida in prima battuta, con metodi tradizionali, ricavandone alcune preziose informazioni. Dopo che gli interrogatori erano stati affidati alla Cia, e mentre si avvicinava il primo anniversario dell’attacco dell’11/9 (col timore negli Usa di un nuovo attentato di Al Qaida per celebrare la ricorrenza). Gli agenti dell’Fbi consideravano tortura i metodi usati dal team Cia guidato da Mitchell.

Nel tentativo di far crollare le resistenze del prigioniero, Mitchell aveva intanto studiato altre tecniche: Zubaida era stato infilato in un box dalle dimensioni di una bara, al buio e in posizione dolorosa, in condizioni di esaurimento di ossigeno. Quindi era giunto il controverso water boarding: un panno sulla faccia del detenuto intriso d’acqua fino a provocare una sensazione di soffocamento. Nel giro d cinque giorni il prigioniero era stato sottoposto per 83 volte alla tortura. Senza risultato. Dal quartier generale della Cia era giunta in Thailandia una delegazione per assistere al water boarding: dopo aver visto di persona le reazioni disperate del prigioniero i funzionari avevano raccomandato ai loro capi a Washington di non usare più tale metodo, rivela il quotidiano americano.

Iran: tutte stuprate in carcere, le ragazze condannate a morte

 

L’Unità, 20 luglio 2009

 

Un membro della milizia iraniana dei Basiji, in un’intervista al Jerusalem Post, ha raccontato di aver "sposato" la notte prima delle esecuzioni giovani donne condannate a morte per aggirare il divieto islamico di portare al patibolo una vergine. La guardia ha anche detto che molte delle brutalità contro i manifestanti a Teheran sono state fatte da reclute di 14-15 anni venute da villaggi dell’interno. Il Basiji è stato punito dai suoi superiori con un periodo di detenzione, per il "crimine" di aver permesso a due giovanissimi manifestanti di 13 e 15 anni di sfuggire all’arresto durante una delle manifestazioni.

"L’onore" di sposare le ragazze condannate è considerato un premio per le guardie. "La notte prima dell’esecuzione - ha spiegato - si tiene un matrimonio: la giovane donna è costretta ad avere un rapporto sessuale con una guardia: in effetti è vittima di stupro. La maggior parte delle ragazze avevano più paura della loro "notte matrimoniale" che dell’esecuzione. Poiché facevano resistenza, dovevamo mettere un sonnifero nel loro cibo. La mattina dopo avevano uno sguardo vuoto, come se fossero pronte o volessero morire. Piangevano e gridavano. Non scorderò mai una giovane che dopo si era graffiata il volto e il collo con le sue unghia. Era piena di graffi profondi".

Moldavia: Ue; violazione divieto di maltrattamento dei detenuti

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

"Le violazioni del divieto di maltrattamento, emerse in proporzioni inquietanti a seguito delle manifestazioni post-elettorali del 6 e 7 aprile, devono essere affrontate con determinazione al fine di ristabilire un clima di fiducia" e "garantire tolleranza zero in materia di maltrattamenti in tutto il sistema di giustizia penale".

È quanto ha dichiarato ieri a Strasburgo il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, in occasione della pubblicazione del rapporto sulla visita effettuata nella Repubblica di Moldavia. È necessario, secondo Hammarberg, "esaminare non solo il comportamento dei singoli agenti di polizia ma anche la responsabilità" dei loro superiori. L’auspicio è che "la determinazione espressa dalle autorità moldave nel fare in modo che ognuno risponda dei propri atti", si traduca "in azioni concrete, risolute e durature".

Non solo "procuratori, giudici, ufficiali di polizia e avvocati dovrebbero prestare attenzione alle accuse e agli indizi di maltrattamento; nei luoghi di detenzione le lesioni dovrebbero essere debitamente accertate, registrate e segnalate". Sono inaccettabili, conclude il commissario le cui parole sono state riprese dal Sir, "le pressioni esercitate sui media e sulle Ong che denunciano oltraggi ai diritti umani. La libertà di espressione e di informazione deve essere tutelata, a maggior ragione in periodi di crisi".

Usa: pronta legge per bloccare segnale dei telefoni nel carcere

 

Ansa, 20 luglio 2009

 

Un disegno di legge arrivato al Senato Americano, riguarda la possibilità di installare sistemi per il blocco della rete cellulare all’interno delle prigioni, dopo che in una prigione del Texas, un detenuto nel braccio della morte era riuscito a ottenere un cellulare per 2100 dollari ed effettuare numerose chiamate in un mese senza che nessuno se ne sia accorto. Tra i principali sponsor di questo disegno di legge c’è la senatrice Barbara Mikulski del Maryland, che ha annunciato a mezzo stampa che un detenuto nel carcere Maryland avesse utilizzato un cellulare per ordinare l’uccisione di un testimone e secondo altri senatori non si tratterebbe di un caso isolato.

Solo nel 2008 sono stati confiscati nelle carceri americane della California oltre 2000 cellulari, in parte portati dai visitatori e famigliari e in parte venduti a caro prezzo dalle stesse guardie.

Addirittura in Brasile tale fenomeno ha raggiunto proporzioni enormi e ogni giorno si registrano cellulari lanciati dentro le mura delle carceri dall’esterno e addirittura l’utilizzo dei piccioni viaggiatori per portarli a destinazione.

 

 

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