Rassegna stampa 29 giugno

 

Giustizia: la clandestinità diventa reato, nelle carceri è allarme

di Liana Milella

 

La Repubblica, 29 giugno 2009

 

Un numero, 63.741, turba da qualche giorno i sonni del Guardasigilli Angelino Alfano. È la cifra record di detenuti presenti nelle carceri che supera perfino la capienza massima stabilita in 63.702 posti letto. Ma agli incubi del ministro della Giustizia, pressato ogni giorno dalle proteste dei sindacati della polizia penitenziaria (Uilpa, Sappe, Osapp), non corrisponde un ripensamento del collega dell’Interno Roberto Maroni che questa settimana, da martedì a giovedì in aula al Senato, seguirà l’ultima battaglia per approvare definitivamente il contestato ddl sicurezza che introduce nel testo unico sull’immigrazione (la Bossi-Fini) l’articolo 10bis, il reato di immigrazione clandestina, aggrava le sanzioni (con più carcere) per gli stranieri che non rispettano l’ordine di espulsione, prevede pene più severe e senza sconti per chi scippa o rapina un anziano o una persona vicino a banche, uffici postali, scuole.

È la legge divenuta famosa perché costringerà medici e presidi a denunciare gli immigrati senza permesso di soggiorno. È quella che metterà in strada le ronde di privati cittadini con l’obiettivo di andare a caccia di immigrati senza permesso. È una legge che produrrà più carcere. Da quasi 68mila detenuti si arriverà presto a 70mila, visto che gli inquilini dei penitenziari aumentano di 800-mille unità al mese. Ma Alfano e Maroni non arretreranno, com’è avvenuto alla Camera a metà maggio, dal ricorrere al voto di fiducia se l’opposizione, con un forte ostruzionismo, dovesse mettere a rischio il voto.

Come scrivono Lucia Castellano, direttore del carcere di Bollate, e Donatella Stasio, giornalista del Sole 24 ore, nel libro Diritti e castighi (Il Saggiatore), "il sovraffollamento è causa ed effetto di politiche schizofreniche che producono carcere e poi cercano di correre ai ripari, che proclamano la tolleranza zero e rivendicano la certezza della pena ma non promuovono né libertà, né legalità, né sicurezza".

"Misure spot di grande visibilità mediatica, di modesta efficacia deterrente e, talvolta, di dubbia legittimità costituzionale". Proprio come in questo caso, e per giunta su un caposaldo della legge, il reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato". Ex presidenti della Consulta come Gustavo Zagrebelsky e Valerio Onida, componenti del Csm come Livio Pepino, avvocati come il presidente delle Camere penali Oreste Dominioni, studiosi di diritto come Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Guido Neppi Modona, Stefano Rodotà, magistrati come Armando Spataro, Giovanni Palombarini, Elena Paciotti hanno firmato un appello per chiedere al governo di fermarsi. La norma è irragionevole, e quindi incostituzionale, perché "criminalizza mere condizioni personali". Si punisce uno stato, l’essere straniero, non un comportamento criminale. Ma all’appello del 25 giugno non è seguito alcun ripensamento.

Tolleranza zero e più carcere. Con il rischio, messo su carta dai sindacalisti Eugenio Sarno (Uilpa), Donato Capece (Sappe), Leo Beneduci (Osapp) e da Francesco Ceraudo, direttore del dipartimento per la salute in carcere della Toscana, che nelle carceri scoppino rivolte.

Ne parlerà domani il responsabile dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella che presenta il sesto rapporto dal titolo indicativo Oltre il tollerabile. La soluzione potrebbe essere solo una, una nuova amnistia come ipotizzava ieri a Chianciano la Radicale Rita Bernardini. Ma da sempre Alfano e Maroni hanno detto che "nell’agenda del governo non ci sono né indulti né amnistie". Dunque non resta che prepararsi all’estate calda del rischio rivolte in carceri.

Giustizia: 63.741 detenuti, record in quotidiano aggiornamento

 

Comunicato Uil, 29 giugno 2009

 

"I 63.741 detenuti presenti stamani negli istituti penitenziari d’Italia rappresentano l’ennesimo record di affollamento nella storia delle carceri italiane. Record in perenne, quotidiano, aggiornamento".

Lo ha dichiarato Eugenio Sarno, intervenendo all’Assemblea dei Mille autoconvocati dei Radicali Italiani in corso di svolgimento a Chianciano. Il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari nel "portare il saluto di quella comunità penitenziaria sempre più isolata e abbandonata al proprio destino dalla politica e dai politici" ha tracciato un quadro drammatico della realtà penitenziaria.

"Il degrado, la bruttura e l’inciviltà imperano. In tantissime realtà mancano persino gli spazi fisici e l’aria per respirare. Eppure il Governo e il Ministro Alfano ancora insistono nel voler propagandare il piano carceri quale unica soluzione all’emergenza. Purtroppo i numeri, il sovraffollamento, le tensioni e gli episodi critici di questi ultimi giorni impongono di intervenire nell’immediato. Invece - ha denunciato il sindacalista - assistiamo ad un silenzio irresponsabile e ad un immobilismo atrofico che amplia e aggrava il dramma che si sta consumando all’interno dei penitenziari".

Eugenio Sarno nell’annunciare che mercoledì prossimo, 1 luglio, sarà in visita al carcere di San Vittore a Milano, ha offerto la disponibilità della Uil Penitenziari "ad esplorare percorsi comuni con i Radicali perché la questione penitenziaria trovi adeguata attenzione nell’agenda parlamentare, nella stampa e nella società civile".

Il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari nel suo intervento a Chianciano ha anche sottolineato come le attuali difficoltà del sistema non garantiscano le condizioni di detenzione previste dalla Costituzione

"È chiaro che nelle condizioni attuali non solo non si può garantire la sicurezza quant’anche qualunque percorso di reinserimento e di risocializzazione appartiene all’utopia e alla letteratura. È pertanto lecito parlare di un sistema anticostituzionale. Mancano gli agenti penitenziari, gli educatori, gli psicologi. La Sanità organizzata è ancora una chimera.

Nonostante tutto il sistema sino ad ora ha retto per il solo, esclusivo, merito degli operatori penitenziari che hanno saputo gestire le tensioni. A caro prezzo, però. I 700 agenti feriti in un anno sono il prezzo pagato dalla polizia penitenziaria per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza".

Il rischio che le tensioni e le violenze sfocino in rivolte è stato nettamente evocato da Eugenio Sarno. "Noi siamo convinti che alla violenza non si debba rispondere con violenza. Ma a volte potrebbe essere necessario, inevitabile. Non sempre sarà possibile gestire le tensioni con la sola parola. Ci sarà anche il momento dell’azione, e lì non chiederemo il permesso per entrare. Nel qual caso - ha detto Sarno di fronte ad una platea molto attenta - non sommergeteci di contumelie. Noi non siamo ne aguzzini, tantomeno torturatori. Noi siamo operatori cui sottraggono i diritti. Siamo operatori costretti ad operare nell’emergenza quotidiana senza i mezzi necessari. Noi siamo operatori che rispondono agli ordini.

Quando si parlerà, nelle cronache, delle violenze in carcere abbiate la consapevolezza che la responsabilità di quelle violenze non sarà di chi la eserciterà per difendere la sicurezza ma di chi pur dovendo non ha voluto dare risposte in tempo e per tempo. Per questo - ha chiuso Sarno - abbiamo il dovere di provare a restituire dignità alle persone ristrette e garantire diritti, dignità e civiltà a tutti gli operatori penitenziari".

Giustizia: tante "battaglie"... ma poi la galera resta quella che è

di Stefano Galieni

 

Liberazione, 29 giugno 2009

 

Stupisce che, nonostante una opinione pubblica, anche di sinistra, ormai innervata di giustizialismo e di voglia di manette, un pubblico numeroso e attento si ritrovi alla festa romana di Liberazione a parlare di "Lavoro e carcere" e a confrontarsi con operatori del settore, ex detenuti, docenti universitari e dirigenti politici.

A coordinare il dibattito Mario Pontillo, volontario del "Pronto intervento disagio" di Roma, che ha esordito provocatoriamente denunciando l’inesistenza strutturale di possibilità di reinserimento lavorativo di chi è detenuto. Salvatore Bonadonna, con un lungo passato di consigliere regionale nel Prc, ha fotografato un presente disastroso nel sistema giuridico e penitenziario italiano, ricordando come un terzo dei detenuti siano migranti, un altro terzo tossicodipendenti e, alla faccia della certezza della pena, il 47% è costituito da detenuti in attesa di giudizio.

In questo quadro le condizioni delle carceri diventano una sorta di pena aggiuntiva e le prospettive di reinserimento previste dall’art. 27 della costituzione, una chimera. Nanda Roscioli, del Dap, responsabile sezioni femminili e trattamento intramurale, è ancora più netta. "Si parla di grandi battaglie politiche e culturali ma poi la galera resta quella che è".

E si sofferma su come tutti parlino dell’importanza del lavoro in carcere dimenticando che esistono lacci e laccioli che lo impediscono, la stessa legge Smuraglia non è riuscita a incoraggiare imprenditori ad assumere detenuti o a farli lavorare in carcere. "E perché non si parla di scolarizzazione in carcere di cui spesso i detenuti avrebbero reale bisogno?".

Lina Lamonica, Coordinatrice nazionale penitenziari funzione pubblica Cgil, ha raccontato invece del disagio degli operatori. Pochi, con risorse ridotte e scarsi mezzi. Ha denunciato come si ricorra sempre meno alle misure alternative e quante risorse destinate ai detenuti verranno invece utilizzate per costruire nuove carceri, grazie al Decreto Milleproroghe.

Con diverse accezioni e qualche polemica, CarloTaormina, docente di procedura penale all’Università di Tor Vergata e Giovanni Russo Spena, responsabile giustizia del Prc, hanno posto l’accento sulla necessità di un ritorno ad un sistema garantista. E se Taormina è partito dalla necessità di abolire quella forma di tortura legalizzata che è l’articolo 41 bis, il carcere duro in cui entrano i ragazzini delle cosche e da cui escono boss incattiviti e induriti, per arrivare a re-immaginare un sistema che riporti la detenzione ai soli casi in cui questa si riveli strettamente necessaria, passando per una riforma strutturale dei processi.

Russo Spena ha provato a porre questioni ancora più stringenti: "Depenalizzazione di molti reati (quelli legati alla Bossi Fini e alla Fini Giovanardi ad esempio), abolizione dell’ergastolo, ricostruzione di una cultura diffusa di garantismo perché il disagio non si combatte con la repressione: invece di fare guerra ai poveri cominciamo a combattere la povertà. Oggi che il carcere è divenuto una vera e propria pattumiera sociale in cui rinchiudere chi non serve".

Giustizia: più minori italiani in carcere, "educati a trasgredire"

di Oriana Liso

 

La Repubblica, 29 giugno 2009

 

Alcuni di loro hanno i genitori a San Vittore, sono cresciuti in quartieri dove regna la legge del coltello, arrivano con una mentalità criminale già formata. Altri sono succubi del branco, non hanno coscienza del reato commesso fino a quando non si chiudono alle loro spalle le porte del carcere.

Nell’istituto minorile Beccaria, nell’ultimo anno, i detenuti italiani sono quasi raddoppiati rispetto all’anno scorso: sui 136 ragazzi entrati dall’inizio del 2009, il 48 per cento è nato da genitori italiani. Soltanto nel 2008 era il 27 per cento, nel 2007 il 17. Salgono vertiginosamente anche i tentati omicidi e gli omicidi: dal 3,2 per cento di un anno fa al 13,6 di questi giorni. Su dieci, tre di loro hanno solo 16 anni. Un ingresso, di recente, di otto ragazzi di Quarto Oggiaro condannati per associazione per delinquere, con pene fino ai dieci anni, fa media.

Ma, dice don Gino Rigoldi, cappellano del carcere, il rischio è più diffuso, "perché tutti questi allarmi sulla sicurezza, le ronde, le politiche della paura stanno insegnando ai nostri figli la lezione sbagliata e pericolosa che bisogna combattere per la propria salvezza, armarsi e attaccare".

I dati sulle presenze al Beccaria sono stati, ieri, il corollario della festa della polizia penitenziaria. Festeggiata in un carcere minorile modello, dove in sette hanno appena fatto gli esami di terza media e dove ogni giorno si fanno i salti mortali per far quadrare i conti.

"Per una media di settanta ragazzi mancano almeno cinque educatori, ma quelli che ci sono si impegnano al massimo per dare un futuro a questi ragazzi", racconta il direttore Sandro Marilotti. Tra le ragazze è altissima la percentuale di quante escono e rientrano: oggi sono nove, quasi tutte rom, tutte dentro per furto, uno dei reati che è calato tanto (dal 33,6 del 2008 ai 19,7 per cento di oggi). Crescono, invece, i ragazzi arrestati per rapina (dal 30,7 al 45,5 per cento, e spesso gli omicidi tentati o riusciti sono la conclusione di rapine finite male).

"In generale quello che peggiora e che preoccupa è la modalità violenta dei reati, che porta a condanne così alte da non poter essere scontate con misure alternative", spiega il direttore. Parole che si riflettono in quelle di don Rigoldi: "Fuori respirano quest’aria fatta di sopraffazione, della legge del più forte: la politica e le istituzioni dovrebbero riflettere sui messaggi che stanno mandando". Un discorso che vale per tutti i ragazzi - ci sono romeni, moldavi, nordafricani, nomadi, sud americani - ma per i detenuti italiani si fa particolarmente pressante. Dice don Rigoldi: "I nostri ragazzi sono del Corvetto, del Gratosoglio, di periferie dove crescono pensando che l’unica strada che hanno è entrare nelle organizzazioni criminali".

Giustizia: "tagli all’assistenza"; protesta psicologi penitenziari

 

Adnkronos, 29 giugno 2009

 

Psicologi penitenziari della Lombardia e delle Marche hanno partecipato alla manifestazione nazionale che si è svolta a Roma il 26 giugno 2009 davanti al Parlamento.

Psicologi lombardi in piazza a Roma contro i tagli dell’assistenza in carcere. L’Ordine regionale aderisce alla manifestazione nazionale di protesta indetta dal Coordinamento esperti ex articolo 80 Ordinamento penitenziario Lombardia, in programma domani alle 11 davanti al Parlamento. Gli specialisti - in Italia 384 tra psicologi (340, di cui 40 in Lombardia), criminologi e sociologi - denunciano "la precarietà e la pressoché totale impossibilità, per queste professionalità qualificate nella valutazione e trattamento dei detenuti, a svolgere tale funzione, nonché a garantire i Livelli essenziali di assistenza sanitaria psicologica", spiega una nota.

Gli esperti evidenziano inoltre "il rischio sociale legato alla impossibilità di effettuare una adeguata valutazione della personalità" dei pazienti. "Dopo 34 anni di presenza ininterrotta nelle carceri", gli psicologi penitenziari "si sentono soffocati dai continui e considerevoli tagli di risorse alla professione (in Lombardia una riduzione delle ore di servizio del 57% nel 2008 e di un ulteriore 30% nel 2009). Sono esclusi dalla riorganizzazione della sanità penitenziaria e paradossalmente sono chiamati" anche "a prevenire e gestire le condotte autolesionistiche e suicidarie, potendo dedicare ad ogni detenuto in media appena da 0,8 minuti a 2,2 ore l’anno", puntualizzano.

"Lo svilimento delle professionalità specialistiche, insieme alla riduzione delle risorse destinate al penitenziario - afferma Maria Caruso, psicologa e psicoterapeuta attiva presso la Casa circondariale di San Vittore a Milano, responsabile del Coordinamento esperti ex art. 80 O.P. Lombardia - è legato al mutamento di significato attribuito al valore sicurezza", ora intesa "come negazione della soggettività/diversità attraverso l’isolamento, l’etichettamento e l’esclusione".

Una situazione che, notano gli esperti, "si verifica mentre il recente decreto di riordino della sanità penitenziaria sottolinea l’obbligatorietà di garantire pari opportunità di cura ai soggetti reclusi e liberi; mentre aumenta la richiesta di sicurezza sociale collegata alla percezione della criminalità; mentre cresce inesorabilmente il sovraffollamento negli istituti, con impennata di stranieri in particolare al Nord (in Lombardia la presenza è del 70% e il tasso di sovraffollamento è del 152%) e di consumatori di sostanze psicotrope (pari al 25% del totale nazionale); mentre la grave condizione di vita in carcere aumenta proporzionalmente il rischio di condotte dimostrative e anticonservative", chiudono.

 

Dagli Psicologi penitenziari delle Marche

 

Anche gli psicologi penitenziari delle Marche hanno partecipato alla manifestazione nazionale che si è svolta a Roma il 26 giugno 2009 davanti al Parlamento, manifestazione promossa dalla Sipp (Società Italiana di Psicologia Penitenziaria) e sostenuta dal Cnop (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) e dall’Aupi (Associazione Unitaria Psicologi Italiani).

Circa quaranta psicologi provenienti da diverse regioni hanno manifestato per denunciare la situazione insostenibile relativa agli interventi di osservazione e trattamento in carcere e nella giustizia minorile: pochissime ore, un lavoro precario da trenta anni, una retribuzione imbarazzante.

A fronte di una popolazione penitenziaria di 63.350 detenuti il numero degli psicologi e dei criminologi in tutta Italia è di 452 con una media mensile di circa 30 ore. Il tempo medio per ogni detenuto oscilla tra 7 (sette) e 15 (quindi) minuti al mese, tempo medio che include non solo il contatto diretto, ma anche la consultazione della documentazione, le riunioni di equipe, le relazioni, ecc. Negli ultimi anni un monte ore, già insufficiente, è gradualmente diminuito fino a non rendere più possibile un serio intervento psicologico.

Anche per quanto riguarda gli istituti penitenziari delle Marche la situazione è in linea con il quadro nazionale: il monte ore disponibile è di 691 ore per circa 1.000 detenuti. Il recente passaggio al Sistema Sanitario Nazionale della Medicina Penitenziaria, che riguarda tutte le regioni, non ha previsto il passaggio degli psicologi esperti creando una ulteriore complessità: riduzione delle ore da parte del ministero della giustizia, impossibilità di passare alla sanità.

La manifestazione è servita per creare un occasione di sensibilizzazione della classe politica, incontrare alcuni parlamentari e, in particolare, essere stati ricevuti dalla Segreteria del Presidente della Camera.

Sono oramai urgenti interventi a carattere nazionale e regionale (viste le nuove competenze) per poter garantire a tutti i detenuti una adeguata assistenza psicologica. "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" (art. 27): nell’ambito del dettato costituzionale psicologi e criminologi intendono dare il loro contributo accanto agli altri operatori penitenziari: in questo modo si potrà tentare di svolgere quella funzione "rieducativa" che permetta ai detenuti di trovare un proprio posto nel mondo, migliorare la sicurezza negli istituti penitenziari e nella società.

Giustizia: dopo la riforma, tribunali organizzati come aziende

di Valerio Onida (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)

 

Il Sole 24 Ore, 29 giugno 2009

 

Dopo un iter legislativo durato quasi un anno e che ha richiesto quattro letture da parte dei due rami del Parlamento (confermando che almeno su certi temi la "navetta" fra le Camere non è un rito defatigante, ma può servire a meditare meglio le riforme), è giunto al traguardo - ed è ora pronto per l’entrata in vigore, prevista per sabato prossimo, 4 luglio - il provvedimento che, fra l’altro, reca innovazioni in materia di processo civile.

Lo stato di sofferenza in cui si trova la giustizia civile è ben noto: elefantiasi del contenzioso, tempi irragionevolmente lunghi per la definizione dei procedimenti (con conseguenti interventi della Corte europea di Strasburgo e introduzione della legge "Pinto" sull’equo indennizzo, la cui applicazione costa allo Stato molti soldi, e insieme certifica l’impotenza del sistema nell’assicurare il rispetto del diritto).

Le cause che hanno determinato questo stato di cose sono molte e diverse, e la nuova legge cerca di intervenire su alcune di esse: così, in ordine di importanza, introducendo un "filtro" di ammissibilità dei ricorsi in Cassazione; prevedendo uria nuova disciplina degli strumenti di conciliazione extragiudiziali, che possono essere decisivi per ridurre il carico di lavoro dei giudici (qui però si tratta di una delega al Governo, da attuare entro sei mesi).

Ancora, la nuova legge interviene prevedendo nuove regole e nuovi strumenti in tema di condanna del soccombente alle spese di giudizio, per scoraggiare il ricorso "temerario" alla giustizia e i comportamenti processuali dilatori; delineando un nuovo procedimento sommario di cognizione e riordinando e semplificando i riti; riducendo termini, formalismi ed ostacoli alla celerità del processo derivanti da conflitti su competenza e giurisdizione.

Si tratta di innovazioni che, nel complesso, appaiono orientate nella direzione giusta. Intervenire sulle procedure è utile e necessario, ma non è tuttavia sufficiente: talora, anzi, le continue modifiche delle norme processuali possono produrre più danni che vantaggi.

È da apprezzare che il Parlamento abbia soppresso, con questa legge, il cosiddetto rito societario, introdotto da un’altra riforma solo nel 2003, e che evidentemente non ha dato buoni risultati (ne sono un sintomo le 23 sentenze e ordinanze della Corte costituzionale emesse in argomento fra il 2005 e il 2009, per tre volte pervenendo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di altrettante disposizioni).

Altre cause sono forse più difficili da affrontare, ma non meno determinanti. Si pensi al numero eccessivo di avvocati che esercitano l’attività forense nel nostro paese, con i possibili effetti sulla crescita del contenzioso. Ma il terreno più decisivo è forse quello dell’organizzazione degli uffici giudiziari e del lavoro di coloro che vi sono addetti.

Così l’aumento delle competenze dei giudici di pace, disposto con l’attuale riforma, potrà certo produrre un effetto di sgravio degli uffici dei tribunali, ma produrrà un aggravio di quelli dei giudici di pace cui, allo stato, non corrispondono misure di incremento delle risorse (e l’introduzione del nuovo reato di immigrazione irregolare, assegnato a sua volta alla competenza penale dei giudici di pace, non mancherà a sua volta di produrre ulteriori effetti di intasamento degli uffici). Solo alcuni giorni fa, proprio su questo giornale, il vice coordinatore dei giudici di pace di Roma faceva notare che lui le sentenze le deposita il giorno dopo l’udienza, ma poi passano otto mesi perché esse possano essere eseguite: se una giustizia tardiva è giustizia negata, lo è altrettanto un giustizia le cui decisioni non ricevono tempestiva esecuzione.

Alla base stanno evidentemente problemi di risorse e quindi di bilancio, ma anche di cultura. E provato, ad esempio, che uffici giudiziari i cui dirigenti si impegnano sul piano dell’organizzazione ottengono risultati migliori a parità di risorse. In un recente incontro organizzato dal Consiglio superiore della magistratura, il Presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone, metteva in rilievo efficacemente come ogni magistrato (ma lo stesso vale a maggior ragione per ogni altro addetto) debba sentirsi parte di un ufficio complessivamente responsabile di un risultato: non possa, dunque, limitarsi a studiare diligentemente le cause e a scrivere i provvedimenti, ma debba concorrere ad assicurare il "prodotto" richiesto all’ufficio.

Su questo terreno i compiti e le responsabilità sono diffusi in molte sedi: i capi degli uffici e i dirigenti amministrativi (l’organizzazione sul campo), il Consiglio Superiore (i concorsi, la provvista degli uffici, la scelta dei dirigenti, la formazione dei magistrati, il controllo disciplinare su di essi), il Governo (il personale amministrativo, le risorse materiali e di bilancio, l’attivazione delle procedure informatiche).

Solo un sforzo congiunto e convinto di tutti gli attori potrà darci una giustizia civile in grado di soddisfare il diritto fondamentale di ogni persona ad avere effettivamente, e non solo sulla carta, un giudice competente, indipendente e imparziale per la risoluzione delle controversie che la riguardano.

Giustizia: per sicurezza del G8 sospesi gli accordi di Schengen

 

Corriere della Sera, 29 giugno 2009

 

È scattata un minuto dopo la mezzanotte negli scali italiani, nei varchi di frontiera, navali e terrestri, lo stop al Trattato di Schengen (l’accordo che dagli inizi degli anni Novanta permette ai cittadini di alcuni paesi europei di circolare liberamente tra i rispettivi confini senza obbligo di controlli alle frontiere) e il ripristino dei controlli alle frontiere dell’Italia in vigore fino al 15 luglio. La nuova disposizione, analoga a quella che fu messa in atto dal 14 al 21 luglio 2001 in occasione del G8 di Genova, rientra nelle misure di sicurezza attivate in vista del G8 dell’8-10 luglio a L’Aquila.

Incolonnamenti a valichi - Incolonnamenti di qualche chilometro e disagi si sono avuti ai valichi italo-sloveni di confine in provincia di Trieste. Gli incolonnamenti hanno riguardato soprattutto Fernetti e Rabuiese, sia in uscita che in entrata, nelle ore di domenica mattina, ma - secondo quanto si è appreso dalla Polizia di frontiera - non sono dipesi dai controlli in senso stretto, per esempio dei documenti, quanto piuttosto dai restringimenti di carreggiata che si sono attuati nell’area per agevolare il controllo dei transiti.

Roma - A Fiumicino, nonostante il flusso massiccio di turisti provenienti dai paesi dell’Unione europea, finora non si sono registrati particolari problemi. I passeggeri che stanno giungendo dall’area Schengen sugli aeromobili cui sono assegnati i loading bridge (i moli) per le operazioni di sbarco, stanno effettuando il controllo dei documenti al Molo B, passando attraverso tre postazioni di controllo passaporti appositamente allestite. Per tutti i voli che invece si sostano in piazzola remota per le operazioni di sbarco, i viaggiatori vengono trasportati, con mezzo interpista, nell’area Arrivi del Terminal B dove sono operative sei postazioni di controllo passaporti.

I controlli - Il controllo, da parte degli agenti, infatti, avviene in modo rapido e le file vengono smaltite rapidamente. "Sta procedendo molto bene finora - conferma il Dirigente della Polaria di Fiumicino, Giovanni Sigillino -. Le postazioni aggiuntive predisposte per l’occasione stanno funzionando e a parte qualche passeggero "distratto" arrivato senza documenti, non abbiamo avuto problemi". Soddisfatto anche Elia Pistola, Direttore Aviation Security di Aeroporti di Roma.

"Tutto procede, il flusso di passeggeri si svolge in maniera assolutamente regolare - conferma il Direttore Aviation Security di Aeroporti di Roma - le misure che avevano previsto con i nuovi punti di controllo documentale si sono rivelate assolutamente efficaci, anche i passeggeri stanno collaborando. Evidentemente ha funzionato bene anche l’azione di informazione che è stata fatta a monte".

Da parte sua la società di gestione Aeroporti di Roma si è, peraltro, attivata presidiando le nuove aree di controllo passaporti, in modo da favorire il regolare svolgimento di tutte le operazioni e fornire il massimo supporto informativo e logistico ai passeggeri e alle forze di Polizia. Subito dopo il controllo documentale personale di Adr riconoscibile dai fratini fosforescenti, fornisce informazioni utili ai passeggeri, che peraltro, a più riprese sono informati sulle nuove disposizioni da annunci diffusi dagli altoparlanti. Anche la compagnia Alitalia per l’intero periodo ha rafforzato il servizio di assistenza in tutti gli scali, con particolare riguardo alle esigenze dei passeggeri in transito.

Sicilia: "sovraffollamento"; l'allarme dalla Polizia Penitenziaria

 

La Sicilia, 29 giugno 2009

 

Carceri sovraffollate, personale insufficiente, strutture carcerarie in pieno degrado, detenuti che, nel giro di due anni, dopo l’indulto, sono raddoppiati, rendendo difficile la loro gestione.

È questo lo stato attuale dell’Amministrazione Penitenziaria in Sicilia, che ha bisogno di interventi urgenti e concreti per superare anni di difficoltà. Lo hanno evidenziato il dott. Santi Consolo, vice capo dell’Amministrazione provinciale, e il dott. Orazio Faramo, provveditore regionale della stessa amministrazione nel corso della festa regionale della Polizia Penitenziaria che ha scelto Enna come sede centrale. È stato lo splendido scenario del Castello di Lombardia ad ospitare la manifestazione.

Grande delusione per il mancato arrivo del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano che, bloccato da impegni improvvisi, ha voluto essere presente con un messaggio, letto dallo stesso Orazio Faramo, in cui si impegna a venire incontro con immediatezza alle esigenze di una Polizia Penitenziaria, che, come hanno detto Faramo e Consolo, continua a fare sacrifici, che vive in istituti carcerari non adeguati alle necessità del servizio e che quotidianamente devono sopportare carichi di lavoro non indifferenti.

"La Polizia Penitenziaria , a 19 anni dalla sua nascita, continua ad essere un realtà positiva del paese - ha detto Santi Consolo -. Abbiamo obiettivi da perseguire e li raggiungeremo, nonostante le tante difficoltà che ci affliggono perché le domande di sicurezza sono tante. C’è un "piano carceri" per cercare di decongestionare le strutture carcerarie sovraffollate". La manifestazione è iniziata con la lettura del messaggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e si è conclusa con la premiazione di assistenti ed agenti scelti Nicola Gatto di Caltanissetta, Giuseppe Barbaro di Favignana, Calogero Di Gloria di Piazza Armerina, Giuseppe Alesci di Caltagirone, Giuseppe Giardina, Mario Indovino di Enna e Tony Ruggirello di Trapani.

Trentino: nelle carceri il 30% di detenuti in più della capienza

 

L’Adige, 29 giugno 2009

 

I penitenziari trentini sono al limite del collasso. L’indulto non è stato sufficiente a svuotare in modo permanente le prigioni, assicurando un più alto livello di vivibilità, e attualmente nelle carceri di Trento e Rovereto i detenuti sono il 30 per cento in più rispetto alla capienza normale. A denunciare la situazione è stata la direttrice delle carceri trentine, Antonella Forgione che ieri, durante la festa della polizia penitenziaria sul colle di Miravalle a Rovereto, ha parlato di sovraffollamento cronico delle celle.

Chi si augurava che l’effetto dell’indulto fosse sufficiente a svuotare in modo permanente le carceri, assicurando all’interno delle strutture penitenziarie un più alto livello di vivibilità, è stato smentito anche in Trentino. A dirlo, con estrema chiarezza, è stata Antonella Forgione, direttrice dei carceri di Rovereto e Trento, che ha parlato di sovraffollamento ormai cronico di entrambi gli istituti di pena.

La dirigente si è soffermata su questi aspetti ieri mattina, nel corso della festa della polizia penitenziaria, che si è tenuta sul colle di Miravalle a Rovereto, all’ombra della Campana dei Caduti. In entrambe le strutture il problema degli spazi è sentito: i detenuti sono il 30 per cento in più di quanti le celle sono in grado di ospitare. Una difficoltà - ha sottolineato Antonella Forgione - che tuttavia non mette il Trentino su di un piano d’emergenza più grave rispetto al resto d’Italia: in tutta la penisola il problema del sovraffollamento delle carceri presenta gli stessi, drammatici, numeri. Ma la dirigente, davanti alle tante autorità trentine salite sul colle per la ricorrenza, ha messo in evidenza un ulteriore aspetto legato all’attività, sempre più delicata, della polizia penitenziaria. A due passi da Maria Dolens, era spontaneo parlare di diritti. Quelli di tutti, compresi i carcerati. Che tuttavia non sempre, o meglio non spesso, sono tutelati come dovrebbero.

Perché due sono i compiti assegnati dalla legge alle carceri: garantire la sicurezza, certo. Ma anche rendere concreto quel principio di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti a cui le norme si ispirano. Ed è su quest’ultimo aspetto che la direttrice ha posto l’accento. Come in altre occasioni ha fatto in passato, ha ricordato come il carcere non sia "uno scatolone in cui si nascondono i condannati", ma un luogo dove è indispensabile offrire ai detenuti un percorso che li renda, scontati i loro conti con la giustizia, cittadini consapevoli e in grado di prendersi le proprie responsabilità all’interno della società.

Ma per passare dalle dichiarazioni di principio ai fatti reali, servono risorse e strutture. Ed è per questo che, si è augurata ieri mattina la dottoressa Forgione, c’è attesa per la nuova struttura di Spini di Gardolo dove, ci si augura, questi percorsi di rieducazione potranno essere realizzati con più facilità ed efficacia. In chiusura della cerimonia, il vicepresidente della giunta provinciale Alberto Pacher ha premiato tre agenti che si sono particolarmente distinti nel loro lavoro.

Treviso: il Vescovo; è urgente avere il nuovo carcere minorile

 

la Tribuna di Treviso, 29 giugno 2009

 

"Per i ragazzi è urgente trovare una nuova sede. Qui non hanno neppure un campo dove tirare due calci al pallone". Il vescovo di Treviso, monsignor Andrea Bruno Mazzoccato ieri ha accolto così i ragazzi detenuti nel carcere minorile del Santa Bona.

L’occasione era la celebrazione per il 192esimo anno di fondazione del corpo di polizia penitenziaria, ma è stato anche il momento per fare il punto della situazione nell’intera struttura del carcere trevigiano. Una situazione sempre più esplosiva, al punto che a fronte della capienza di 134 persone e di una tollerabilità di 187, ne accoglie 300.

"È soltanto grazie al lavoro e l’impegno del personale - ha detto il direttore Francesco Massimo - che la casa circondariale riesce a garantire un servizio professionale e a sopperire la carenza di organico". Così, su 22 detenuti che accoglie il Minorile, 5 hanno appena preso il diploma di scuola media. "Ma dalla nostra struttura - ha spiegato il responsabile dei minori, Alfonso Paggiarino - c’è anche chi è uscito proseguendo gli studi fino ad arrivare alla laurea in psicologia: è un sedicenne, condannato a 18 anni di carcere per aver ucciso un coetaneo.

Questa è la strada su cui dobbiamo proseguire". Numerosi infine gli agenti premiati anche alla presenza del vescovo. Tra loro, anche chi ha salvato la vita a Daniele Battocchio l’uxoricida di Mogliano e chi ha salvato sei detenuti dall’incendio divampato nella cella a causa dello scoppio di una bombola del gas utilizzato per il pasto.

Velletri (Rm): poco personale e numero dei detenuti che cresce

 

Latina Oggi, 29 giugno 2009

 

Sono ormai settimane che i sindacati protestano fuori e dentro il carcere per la carenza di organico della polizia penitenziaria e per i mancati impegni assunti rispetto alle retribuzioni. Tagli che stanno generando malumore e polemiche. Oggi proprio sui tagli di fondi e le carenze di organico, in concomitanza con l’aumento dei detenuti ai livelli pre-indulto e l’arrivo delle ferie estive, si esprime anche il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.

"La situazione - ha detto - sta diventando sempre più difficile". Dimostrazione lo sono proprio le continue agitazioni degli agenti di polizia penitenziaria e dei loro sindacati in tutta Italia e non solo a Velletri". Forme di protesta per sollecitare il Governo a porre rimedio ad una situazione di progressivo degrado delle condizioni di vita e di lavoro in carcere".

"L’ormai cronica carenza di personale (secondo i sindacati sono oltre 5.000 gli agenti in meno rispetto alla pianta organica) e i disagi che d’estate caratterizzano le strutture penitenziarie (come il calo delle attività tratta mentali) - prosegue Marroni - si ripercuotono negativamente sulla vita di tutti i giorni in carcere. Gli operatori del Garante che quotidianamente monitorano la situazione nel Lazio, segnalano diversi casi specchio di una situazione che tende sempre più ad acuirsi e che colpisce indistintamente tutta la popolazione che ruota intorno al carcere.

Capita, ad esempio, che un solo agente debba occuparsi della vigilanza di un reparto con più di 200 detenuti, che, per carenze di organico, vengano serviti i pasti una sola volta al giorno e che i familiari che devono incontrare i parenti reclusi sono costretti ad aspettare ore prima di sostenere il colloquio. Sono calati drasticamente i tempi di socializzazione dei reclusi, ci sono difficoltà concrete di intervento in caso di tensioni o di gesti di autolesionismo".

Sos ad alta voce che deve raggiungere le Istituzioni. "Tante volte - insiste il Garante - ci è stato detto che non si possono organizzare attività culturali e ricreative in carcere per mancanza di agenti, ma spesso ci sono difficoltà anche per far fare una telefonata o consentire. Agli agenti, costretti a turni di lavoro pesanti, va la mia solidarietà e l’augurio che si possa fare, presto e bene, qualcosa per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro e, di riflesso, quelle dei detenuti".

Tolmezzo (Ud): in carcere ci sono 293 detenuti… e 73 di troppo

 

Messaggero Veneto, 29 giugno 2009

 

Un lavoro silenzioso quello della polizia penitenziaria, privo di quella visibilità che spesso ricevono altre forze di polizia, ma fondamentale e faticoso in termini di sicurezza e delicato nel fornire al detenuto l’opportunità della riabilitazione per un futuro reinserimento nella società.

Numerose le autorità civili, militari e religiose presenti alla festa del Corpo di Polizia Penitenziaria, nel 192° di fondazione, alla Casa circondariale di Tolmezzo dove hanno partecipato anche il Prefetto di Udine e il sindaco del capoluogo friulano. In Italia sono 206 le strutture penitenziarie, in grave difficoltà per il sovraffollamento (62.961 detenuti) e con il personale all’osso. A Tolmezzo i detenuti sono ben 293. Dovrebbero essere 220, spiega la dottoressa Silvia Della Branca che da 6 anni dirige la Casa Circondariale. Qui, zona di confine, il 65% dei detenuti sono stranieri con i relativi problemi anche di comunicazione che le diverse culture, etnie, lingue e abitudini talvolta comportano.

Un significativo impegno riguarda traduzioni (nel 2009 già oltre 300 in giro per l’Italia, quasi 100 mila km percorsi) e servizi di videoconferenza (nel 2008 oltre 300). "Il rispetto delle regole - ha detto la Della Branca - è la strada maestra. Noi abbiamo l’arduo compito di contenimento sociale ma anche della ricostruzione di un equilibrio che si è rotto tra reo e società.

È importante pensare al recupero del reo". E qui le attività formative e di rieducazione svolte in tal senso sono davvero tante, nonostante vi sia un solo educatore. La direttrice rivolta al personale ha detto "il contributo del lavoro di ognuno di voi diventa enorme affiancato a quello degli altri" ed è "la vera risorsa di cui disponiamo".

Milano: la Polizia Penitenziaria in protesta davanti a San Vittore

 

Ansa, 29 giugno 2009

 

Protesteranno i sindacati di Cgil - Cisl - Uil - Sappe - Osapp - Ussp - Sinappe e quelli del personale di Polizia Penitenziaria. Domani ci sarà una manifestazione davanti al carcere milanese di San Vittore. La protesta vedrà anche la partecipazione di delegazioni provenienti dal Piemonte, Liguria e dal Triveneto e anche quella del Segretario Generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno che nei giorni scorsi ha indirizzato una lettera a tutti i senatori e deputati eletti nelle circoscrizioni della Lombardia per "avviare una riflessione bipartisan sull’emergenza che vive il sistema penitenziario".

"Evidentemente - commenta Angelo Urso, della Segreteria Nazionale della Uil Pa Penitenziari - non siamo stati capaci di smuovere la coscienza dei politici per avviare quella discussione che a noi pare necessaria. Credevamo fosse anche un dovere morale verso i 5.000 operatori penitenziari presenti negli istituti di pena lombardi e verso le circa 8.500 persone detenute. Gli istituti di pena sono ormai delle bombe a orologeria, pronte ad esplodere". Anche lo stato dell’edilizia penitenziaria è fonte di preoccupazione e appunti critici da parte della Uil Penitenziari "Il piano carceri prevede 1 miliardo e 500 milioni per la piena realizzazione. Di fatto il Governo stanzierà solo 500 milioni, l’altro miliardo si confida di averlo dai privati. Siamo quantomeno perplessi".

Anche perché - prosegue Urso - la gran parte delle strutture esistenti, vecchie e fatiscenti, hanno bisogno di essere riadattate. Occorrerebbe un intervento straordinario anche per sostituire i mezzi di trasporto destinati alle traduzioni e rammodernare gli strumenti di lavoro. Non dimentichiamo che spesso il personale è costretto ad anticipare di tasca propria le spese per i servizi di missione necessari a tradurre i detenuti e presta lavoro straordinario che non viene retribuito totalmente. Insomma - chiude Urso - il sistema penitenziario oggi è come una macchina senza ruote dalla quale si pretende che cammini montandone una soltanto".

Pavia: in provincia ci sono tre carceri, con più di mille detenuti

 

La Provincia Pavese, 29 giugno 2009

 

Le carceri di Pavia, Vigevano e Voghera contano complessivamente 1.065 detenuti e 625 agenti. I problemi da affrontare sono quelli che affliggono gran parte degli istituti di pena italiani, dove al sovraffollamento corrisponde anche la carenza di personale. "Un impegno che porta gli agenti - ha sottolineato Davide Pisapia, direttore del carcere di Vigevano - ad affrontare le emergenze con senso del dovere nel rispetto della dignità dell’uomo". "È un lavoro che richiede grande preparazione - ha ricordato il vice commissario Stefania Cucciniello, di Voghera - e una divisione per livelli diversi per le esigenze di sorveglianza di detenuti diversi".

Viterbo: detenuto ha tentato suicidio tagliandosi la gola,

 

Ansa, 29 giugno 2009

 

Ieri un detenuto recluso nel carcere di Mammagialla ha tentato il suicidio, ma è stato prontamente salvato dalla polizia penitenziaria. Il fatto si è verificato nel tardo pomeriggio. Gli agenti si sono accorti di quello che stava accadendo casualmente, hanno infatti trovato l’uomo riverso a terra, in un lago di sangue, solo dopo aver riaccompagnato nella stessa cella un altro detenuto. Per uccidersi il malcapitato si è procurato dei profondi tagli al collo con una lametta. Appena soccorso è stato trasferito a Belcolle, dove i medici lo hanno sottoposto a un delicato intervento. Non si conoscono ancora con certezza le cause che hanno spinto l’uomo a commettere l’insano gesto, ma pare che abbia tentato il suicidio dopo aver appreso la notizia della morte della madre.

Milano: violenze sessuali a prostituta; in arresto due finanzieri

 

Ansa, 29 giugno 2009

 

Da casa loro, dove erano agli arresti domiciliari, al carcere. I due finanzieri che il 16 giugno scorso hanno costretto una prostituta romena ad avere un rapporto sessuale sono finiti, uno a Opera e l’altro a Bollate. Il pericolo, per i pubblici ministeri Marco Ghezzi e Cristiana Roveda che hanno chiesto e ottenuto il carcere dal giudice, è che i due potessero rintracciare la ragazza e costringerla a modificare la versione dei fatti.

Secondo il racconto della vittima, quella notte i due militari, dopo un controllo di rito, la fecero salire sull’automobile e, invece di portarla in caserma, si appartarono con lei. Uno dei due le impose un rapporto sessuale e poi entrambi la riaccompagnarono là dove l’avevano trovata, vicino al Cimitero Maggiore.

In un primo momento i due finanzieri, rintracciati dalle volanti e portati in Questura, avevano negato l’accaduto, poi, incalzati, si erano limitati a riconoscere di "avere fatto una cazzata". Ieri sono stati gli stessi baschi verdi del Comando provinciale di Milano ad arrestare i due colleghi con l’accusa di violenza sessuale. L’ordinanza di custodia cautelare ipotizza i reati di violenza e peculato ed è stata eseguita da militari della Guardia di Finanza.

Parma: studenti-detenuti e l’esame di maturità dietro le sbarre

di Marco Severo

 

La Repubblica, 29 giugno 2009

 

Dopo le due prove scritte di giovedì e venerdì, anche i dieci candidati detenuti nel carcere cittadino sono attesi dalla terza prova. Nove sono iscritti alla sezione speciale dell’istituto per geometri Rondani e uno all’Itc Bodoni. "Non abbiamo avuto problemi di disciplina visto che i controlli erano ovviamente serratissimi", racconta un professore.

C’è una maturità blindata, a Parma, che non bada a telefonini e cartucciere infilate nelle mutande. Le aule che l’ospitano hanno porte e finestre a prova di soffiata, mentre i "bidelli" indossano baschi ben calcati sugli occhi. C’è una maturità, a Parma, che non si conquista a scuola ma in carcere. Sono dieci in città i candidati detenuti, nove iscritti alla sezione speciale dell’istituto per geometri Rondani e uno all’Itc Bodoni. Come gli altri 3mila colleghi del parmense, nei giorni scorsi anche i maturandi di via Burla hanno avuto la loro "notte prima degli esami". Magari senza troppe lacrime e preghiere, ma con gli stessi dubbi di tutti.

"Ho visto ragazzi normali e, se non fosse stato per le imponenti misure di sicurezza, non avrei notato molte differenze rispetto a una sessione tradizionale " racconta L.B., il presidente della commissione del Rondani che preferisce non essere nominato per intero ("Le autorità carcerarie ci hanno chiesto una certa riservatezza").

Giovedì, per la prima prova scritta, L.B. è andato di persona in via Burla. Con lui, una sottocommissione del Rondani dal cuore forte: "Era la prima volta che entravo in un carcere - racconta il prof - e devo ammettere d’essere rimasto assai impressionato dell’ambiente e dal rigore con cui siamo stati trattati". Eppure L.B. non è proprio un novizio. Anni fa, in altri angoli d’Italia, gli capitò di esaminare uno studente in un reparto di rianimazione: "In ospedale, sì. Il candidato aveva da poco subito un incidente - dice il professore - e così ci fu chiesto di recarci da lui non appena il ragazzo si fosse ripreso".

In precedenza, invece, gli era toccato in sorte San Patrignano, la comunità per tossicodipendenti fondata da Vincenzo Muccioli: "Anche in quel caso - ricorda - la severità del personale mi colpì abbastanza". Mai come stavolta in via Burla, però: "Vero, ho ancora ben impressa la scena di noi prof che percorriamo i corridoi del supercarcere parmigiano, con il rumore delle cancellate che si chiudono alle nostre spalle a far da sottofondo".

Roba da film, quasi. Da scordarsi le tracce dei temi, la Gelmini e tutto il resto. Anche gli altri membri della commissione erano intimoriti: " È lo scenario - spiega il presidente - è quell’atmosfera rarefatta e pesante insieme a togliere il fiato". In confronto, i bigliettini camuffati e i cellulari da sequestrare a scuola sono uno spasso. " Di certo non abbiamo avuto problemi di disciplina - si concede B.L. - visto che i controlli erano ovviamente serratissimi". Per ogni candidato c’era un secondino, piantonato a poca distanza.

Impossibile conoscere il curriculum dei maturandi e la ragione della loro detenzione: "Nulla di questo tipo - dice il prof del Rondani - ci è dato sapere". Meglio così, forse: "A giudicare dalle rigide misure di sicurezza adottate - continua infatti L.B. - mi viene da pensare che le pene da scontare per i nostri esaminandi non siano proprio lievi". E comunque. Giovedì mattina dopo il primo, sensazionale, impatto le cose hanno assunto presto un’aria di relativa normalità. "Sono state aperte le buste con le tracce dei temi, arrivate in carcere prima ancora di noi, e i detenuti hanno iniziato tranquillamente le prove".

La scena s’è ripetuta identica venerdì, per lo scritto specialistico di Scienze delle costruzioni. In gran parte, i nove maturandi "speciali" del Rondani hanno scelto il saggio breve come tema: "Un buon 90 per cento ha deciso di misurarsi con la forma più personale di elaborato", conferma L.B. Tra questi molti, come i loro colleghi nelle scuole, hanno optato per il compito sui Social network. Qualcuno per quello sull’amore e l’innamoramento, anche. "Di certo, il lavoro in carcere è un’esperienza che segna un professore - riflette L.B. - trovandosi di fronte a delle persone che, nonostante tutto, cercano un riscatto attraverso lo studio e il conseguimento di un titolo". Tra poche ore, anche per i ragazzi di via Burla sarà il giorno della terza prova. In attesa dell’orale, a porte naturalmente chiuse.

Locri: nell’Istituto penitenziario... una nuova iniziativa teatrale

 

Asca, 29 giugno 2009

 

Il 29 giugno le persone ristrette presso l’Istituto penitenziario di Locri assisteranno ad uno spettacolo teatrale dal titolo "Inutile comm’a puisia". Lo spettacolo rappresenta un viaggio fantastico nella complessa identità del personaggio di Pulcinella.

Figlio di una sintesi complessa di tradizioni popolari, Pulcinella è un essere ambiguo, è la contraddizione che forma una parte dell’animo umano. È colui che vuole tutto e non vuole niente, che ama e che distrugge facendosi maschera riconoscibile in ogni luogo ed in ogni tempo. Pulcinella evoca costantemente "l’altrove", la nostalgia per un mondo perduto o il desiderio per uno spazio che non trova. In questo senso, le stesse tappe della vita di ogni uomo possono essere delle sfide per Pulcinella, segno di un mondo che non vuole, di cui rappresenta l’inutilità.

Anche tale iniziativa è stata proposta dell’Assessorato formazione professionale, sport, politiche sociali della Provincia di Reggio Calabria nella persona dell’assessore Attilio Tucci, che ha dimostrato ancora una volta grande sensibilità e attenzione verso questo carcere e le persone detenute offrendo vere e proprie opportunità trattamentali.

Da sempre il teatro, attraverso la finzione e, magari, con l’ironia della farsa, ha raccontato la realtà, ha narrato di vicende, di vizi e di virtù, di contraddizioni, di sofferenze e di tormenti, di gioie piccole e grandi, di speranze perdute e di quelle riacquistate. Ha raccontato di uomini esistiti o esistenti, oppure dell’uomo in sé, per condurre lo spettatore a comprendere meglio gli altri e, forse, anche se stesso.

La forza della comunicazione che discende dalla capacità di identificarsi o di scoprirsi attraverso la sola visione di uno spettacolo teatrale rende il teatro non solo uno strumento eccezionale per la diffusione della cultura nella società in generale ma anche uno strumento per stimolare riflessioni quando il tempo per la riflessione è più ampio come nel caso dell’uomo detenuto.

Ecco, allora, che il teatro diviene anche strumento trattamentale per il recluso. L’iniziativa oltre ad avere una valenza trattamentale, ha anche lo scopo di offrire un sostegno psicologico alle persone detenute soprattutto durante il periodo estivo. L’occasione, inoltre, funge da conferma della voluta apertura del carcere verso il mondo esterno; apertura che consenta un diverso approccio della comunità esterna alle problematiche del mondo penitenziario capace di esaltare i positivi effetti delle efficaci sinergie tra Istituzioni, volontariato, società civile. Tutto ciò si inquadra nell’ambito della politica penitenziaria i cui obiettivi di carattere generale sono essenzialmente quello di garantire la sicurezza e di creare migliori condizioni di vita per i detenuti all’interno degli istituti per rafforzare il collegamento operativo fra carcere e territorio.

Saluzzo (Cn): "La fabbrica delle idee"; termina rassegna teatro

 

Targato Cn, 29 giugno 2009

 

È ormai prossimo alla fine l’appuntamento con la rassegna teatrale "La Fabbrica delle Idee". L’ultimo spettacolo in programma sarà l’1-2-3 luglio, alle 19, presso la Casa di Reclusione "Rodolfo Morandi" di Saluzzo con il Progetto Cantoregi - Voci Erranti. Lo spettacolo che chiuderà la rassegna è "La forza del destino" di Fabio Ferrero e Grazia Isoardi. Regia di Koji Miyazaki.

"Io sono una linea in mezzo, semplicemente l’esecutore di un destino segnato". Nuovo spettacolo con la partecipazione degli attori della Casa di Reclusione "Rodolfo Morandi" di Saluzzo, che fa seguito ad uno specifico laboratorio condotto da Grazia Isoardi. Un gruppo di sedici giovani detenuti, prevalentemente stranieri, si interrogano sul senso e il mistero della vita.

Esiste un destino già scritto alla cui forza è inutile cercare di sottrarsi? Prendendo spunto dal tema verdiano, lo spettacolo intreccia storie individuali con brani classici, dall’Inferno al Qoeleth, dall’Apologia di Socrate ad Artaud. (Ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria). È ormai una realtà consolidata ed attesa l’appuntamento dello spettacolo teatrale presso la Casa di Reclusione di Saluzzo.

Il Laboratorio Teatrale interno, tenuto da Grazia Isoardi, coinvolge 20 detenuti che, autorizzati dal Direttore Giorgio Leggieri e dal Comandante Giuseppe Novena, in collaborazione con l’Ufficio Educatori nella persona di Cinzia Sannelli, intraprendono un percorso di formazione teatrale che diventa occasione di crescita umana oltre che artistica. Lo spettacolo di quest’anno, "La forza del destino", con la regia di Koji Miyazaki, sarà rappresentato nei giorni 1,2 e 3 luglio 2009, alle ore 19.00, presso uno dei cortili d’aria dell’Istituto.

Il tema è la riflessione sul senso dell’esistenza umana, sul mistero degli eventi che la compongono a partire dalla lettura del proprio vissuto e confrontandosi con pensieri di autori del passato. Così ogni autonarrazione ha come complemento un’altra storia della letteratura come "Il canto di Ulisse" di Dante o "l’Apologia di Socrate" o pensieri di Artaud, Anouille, Qoeleth.

Il gruppo ha lavorato con grande serietà ed impegno per tutto il percorso laboratoriale, affrontando non poche difficoltà legate alla necessità di "togliersi la maschera" per mostrare quella parte di umanità più fragile che si cerca fortemente di nascondere. Ogni esperienza artistica è un viaggio dentro se stessi e verso gli altri: con "La forza del destino" il gruppo pone l’attenzione verso le proprie responsabilità e la dimensione predestinata della vita. Alcuni pensieri del gruppo:

Fabio: molte persone dicono che il destino lo creiamo noi stessi, altri invece affermano che tutto è già scritto prima ancora di nascere. Io penso siano vere entrambe le ipotesi. La strada è segnata già prima di nascere, ma sta a noi se percorrere quella o un’altra. Il vivere fa già parte del destino. Ogni essere umano deve rendersi conto che la vita può essere bella quanto dolorosa. Quando si accetterà questo allora riusciremo a vivere meglio il futuro, il presente ed anche il passato.

Germanio: non credo al destino, tutto dipende dal tipo di vita che facciamo, dalle nostre scelte. Non credo che sta scritto che io devo essere povero per tutta la vita come per mio Padre. Se non facevo il delinquente non sarei in carcere.

Willy: Sempre mi chiedo perché mi trovo in carcere. Per amore dei soldi? Per diventare qualcuno? Per avere tutto quel che voglio? A pensarci bene, io una linea in mezzo l’avevo e potevo fare tante cose che desideravo, ma l’ho capito troppo tardi.

Nabil: Ogni vita è segnata da un bivio, un incontro, un evento che può cambiare completamente il corso della vita. In un lampo nulla è più come prima. Un destino maledetto di fronte a questi eventi straordinari non posso che sentirmi una pedina in una gigantesca scacchiera e ogni mossa non è altro che una tappa del nostro destino.

Immigrazione: l'irregolarità "sanata" per chi sposa cittadini Ue

 

Metropoli, 29 giugno 2009

 

I parenti dei cittadini Ue hanno diritto alla carta di soggiorno anche se si trovano in Italia irregolarmente. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Venezia, che ha accolto il ricorso presentato da un cittadino albanese, che si era sposato poco prima con una cittadina romena.

L’uomo, dopo essersi sposato in Italia, ha presentato domanda di carta di soggiorno alla questura di Padova, la quale ha rigettato l’istanza. La coppia ha quindi presentato un primo ricorso al tribunale di Padova, che ha tuttavia avallato la tesi della questura. Alla base di questo rifiuto, un’interpretazione dell’articolo 5 del decreto legislativo 30/2007, che stabilisce: "i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto". La questura di Padova - e poi il tribunale - hanno quindi presupposto che la "famiglia" dovesse essere già formata al momento dell’ingresso del cittadino europeo. E ha esteso il requisito del visto anche a coloro che si trovano già sul territorio, in questo caso, in modo irregolare.

Di diversa opinione i giudici della Corte di Appello di Venezia, che hanno ritenuto il provvedimento in contrasto con la direttiva eu-ropea 2004/38/CE, di cui la legge 30 è attuazione. I magistrati hanno - tenuto conto oltre tutto della ormai celebre "sentenza Metock" emessa l’anno scorso dalla Corte di Giustizia europea pronunciandosi sui ricorsi presentati all’Alta Corte da 4 coppie miste contro il governo irlandese che aveva negato la carta di soggiorno ai coniugi extracomunitari (tra cui appunto il camerunense Blaise Metock) di altrettante cittadine britanniche, perché erano irregolari.

La sentenza ha decretato di fatto che al coniuge di un europeo deve essere riconosciuto il diritto di soggiorno, anche se si sposa quando già si trova nello Stato ospitante e fino a quel momento era irregolare nel Paese. La direttiva Ue non stabilisce, infatti, l’obbligo che le "famiglie" siano formate nei Paesi d’origine. I giudici europei hanno inoltre ribadito che il diritto al ricongiungimento non può essere revocato in nessun caso.

L’unico spazio di discrezionalità concesso ai governi nazionali è la possibilità di applicare, a coloro che si trovano senza titolo di soggiorno nel Paese, una sanzione come ad esempio un’ammenda, proporzionata alla gravità della violazione. In ogni caso, nulla che abbia a che fare con l’allontanamento del familiare, salvo i casi di pericolosità accertata. Anche in questo caso, però, la Corte europea ha stabilito dei paletti: "La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti". La pericolosità dell’individuo va dunque dimostrata.

La Corte d’Appello di Venezia ha fatto propria l’interpretazione dei giudici europei, anticipando il chiarimento che sarebbe dovuto giungere dal ministero dell’Interno nei mesi scorsi. La portata della sentenza si estende anche ai familiari dei cittadini italiani, anche loro soggetti alla legge 30.

Fino ad ora molte questure rilasciavano infatti, ai parenti prima irregolari dei cittadini italiani, un semplice permesso di soggiorno. Dopo quest’ultima sentenza avranno una certezza in più: potranno presentare direttamente la domanda per la carta di soggiorno per familiari di cittadini Ue. Sarà ora da verificare se lo Stato intende o meno presentare ricorso in Cassazione.

Droghe: cento anni di proibizionismo e l’Onu (forse) ci ripensa

di Franco Corleone (Forum Droghe)

 

Terra, 29 giugno 2009

 

Il 26 giugno, giornata dell’Onu contro l’abuso del consumo di droghe, è stata l’occasione per presentare lo World drug report 2009 da parte del Unodc, l’Agenzia antidroga delle Nazioni Unite. Il Rapporto di più di trecento pagine analizza la situazione della produzione e del consumo nelle diverse aree del mondo e obbliga ad una lettura attenta dei dati.

L’interesse immediato si è concentrato però sulla prefazione di Antonio Costa, direttore dell’Ufficio di Vienna, che ha voluto prendere spunto dalla coincidenza con i cento anni di proibizione delle droghe e il bilancio di dieci anni dell’obiettivo di un mondo senza droga lanciato dall’Assemblea dell’Onu di New York del 1998 per indicare alcune riflessioni sulla politica attuata per così lungo tempo.

Il fallimento di quella strategia è evidente e sotto gli occhi di tutti gli osservatori obiettivi: non solo perché le droghe non sono state eliminate, ma soprattutto per le conseguenze drammatiche in termini di incarcerazione di massa di milioni di consumatori nel mondo. Antonio Costa è quindi costretto a riconoscere che sta crescendo tra i politici, i media e anche nell’opinione pubblica la valutazione che il controllo sulla droga non funziona.

Proprio per questo, nonostante la riproposizione granitica dell’affermazione che le droghe continuano a costituire un pericolo per la salute dell’umanità, Costa si lancia in una contestazione della legalizzazione delle droghe dal punto di vista economico, sociale ed etico. Non essendo un tema all’ordine del giorno è evidente che è un obiettivo polemico di comodo per sfuggire alle profonde contraddizioni di scelte che spesso violano i diritti umani. Costa fa appello ai paladini dei diritti umani perché aiutino la sua Agenzia a promuovere "il diritto alla salute dei tossicodipendenti".

Costa non rinuncia alle sue convinzioni di fondo: la tossicodipendenza è una malattia e le droghe sono proibite perché dannose e non viceversa. È costretto però ad alcune aperture. A Vienna nel marzo scorso la Dichiarazione Politica approvata dal summit dell’Onu non riconosceva la positività delle politiche di riduzione del danno e su questo punto per la prima volta si è rotto l’unanimismo della retorica antidroga. Ventisei paesi con alla testa la Germania hanno dichiarato il proprio dissenso. Ora Antonio Costa opera una svolta e invita gli Stati e le forze di polizia a non criminalizzare i tossicodipendenti e a dare priorità alla lotta ai trafficanti.

Nonostante il dissenso di fondo permanga, vogliamo prenderlo in parola; soprattutto aspettiamo che inviti Carlo Giovanardi a prendere atto della nuova linea. Le carceri italiane stanno scoppiando a causa della legge voluta proprio dallo zar antidroga nostrano per cui non esistono differenze tra le sostanze (canapa = cocaina) e la pena prevista per possesso e spaccio è identica, da sei a venti anni di carcere. Il fondamentalismo proibizionista anche in America dà segni di cedimento e pare finito il tempo della crociata moralista. Allora si liberino 15.000 detenuti. Subito!

Droghe: Milano; "piano di zona" censura la riduzione del danno

di Leonardo Fiorentini

 

Fuoriluogo, 29 giugno 2009

 

Il Comune di Milano introduce nella discussione del Piano di zona "il recupero integrale della persona" tossicodipendente. Proprio mentre comincia a scricchiolare l’apparato della war on drugs, il Comune di Milano introduce nella discussione del Piano di zona "il recupero integrale della persona" tossicodipendente.

Secondo il capogruppo dei Verdi Maurizio Baruffi: "il Comune di Milano ha scelto di chiudere i ponti nei confronti di quella parte del mondo del volontariato e del Terzo Settore che adotta la riduzione del danno, chiedendo un’adesione di carattere ideologico ad un’altra visione del mondo, che è quella rappresentata da San Patrignano e dal mondo che fa riferimento a San Patrignano".

Per il consigliere comunale infatti "è un grave errore perché riduce un approccio, che potrebbe essere laico ed aperto alle sperimentazioni ed alla comprensione dei metodi diversi che esistono in dottrina ed in letteratura, ad una visione ideologica".

Droghe: Radicali di Torino; no a un proibizionismo per l’alcool

 

Agenzia Radicale, 29 giugno 2009

 

In merito alle polemiche relative ai problemi di sicurezza e ordine pubblico nella zona della movida di Piazza Vittorio e Murazzi, gli esponenti radicali torinesi Giulio Manfredi e Domenico Massano hanno dichiarato:

"Prima che la giunta comunale prenda, martedì, i provvedimenti annunciati, vorremmo far presente a Chiamparino e compagni che: proibire la vendita di alcolici nei locali pubblici dopo le 2 di notte porterà i ragazzi a far incetta di lattine e bottiglie ancor di più di quanto fanno ora; magari si sbronzeranno più in fretta (con conseguente aumento dei rischi di risse e incidenti) e, inoltre, prospererà il mercato nero (peraltro già esistente) non solo più di erba, coca, eroina ed ecstasy ma pure degli alcolici; è quanto è successo a livello nazionale dopo il cosiddetto "decreto Giovanardi".

Non basta: far chiudere i locali di Piazza Vittorio due o un’ora prima non servirà sicuramente a far andare a casa gli avventori; rimarranno nella piazza, ai Murazzi o nelle vie adiacenti, una minoranza si sposterà in altri locali della città o del circondario, provocando un aumento e non una diminuzione dei rischi di incidente.

Siamo, invece, favorevoli a maggiori controlli da parte dei vigili urbani e della polizia al fine di reprimere sia le semplici infrazioni ai divieti di sosta e di parcheggio sia comportamenti che mettono a repentaglio l’incolumità dei cittadini. A questo proposito, troviamo molto ragionevole la richiesta di alcuni proprietari dei locali all’amministrazione comunale di privilegiare non il presidio fisso delle forze dell’ordine davanti ai Murazzi bensì pattuglie mobili che a piedi perlustrino tutta la zona, portici compresi.

A proposito di esercizi commerciali aperti di notte, non possiamo non rimarcare la bella esperienza messa in piedi dai commercianti di Corso Vercelli, zona Barriera di Milano; ogni venerdì rimangono aperti fino alle 23.00. Il quartiere ha risposto alla grande all’iniziativa e a rimetterci sono stati unicamente gli spacciatori… e le ronde! Anche così si fa riduzione del danno".

Droghe: Imperia; positivo al test dell’alcol, ventenne si uccide

di Lucia Marchiò e Stefano Origone

 

A Repubblica, 29 giugno 2009

 

Quando i carabinieri l’hanno multato per guida in stato di ebbrezza, per aver superato di un soffio il tasso alcolemico, gli è crollato il mondo addosso. Ha visto allontanarsi il suo sogno di diventare un vigile del fuoco come il padre che considerava un eroe.

Ha avuto paura di averlo deluso e si è visto perduto. Nadir Gismondi avrebbe compiuto 23 anni il 3 luglio. Si è ucciso sparandosi un colpo di pistola alla tempia in camera da letto dopo che il padre lo ha rimproverato per una multa da 258 euro. Non avrebbe avuto conseguenze penali, non gli era stata ritirata la patente, ma per lui quella multa significava aver tradito la fiducia di papà Ivan, che due settimane fa lo aveva perdonato per aver distrutto una moto in un incidente.

Sabato sera il giovane elettricista era uscito con gli amici per festeggiare la fine della convalescenza. Il conto alla rovescia della fine della sua vita inizia alle 5.30, quando in piazza Calvi, a 150 metri da casa, lo fermano i carabinieri. Stanno svolgendo un servizio contro le stragi del sabato sera e hanno già controllato e denunciato sette automobilisti su otto per guida in stato di ebbrezza. Nadir supera il fatidico limite di 0,5 e i militari lo invitano a farsi venire a prendere. Probabilmente è bastato un sorso di birra o di vino in più per far salire di soli 0,2 milligrammi per litro il tasso alcolemico nel suo sangue.

Il giovane è disperato e con il cuore in gola telefona a casa per dare la cattiva notizia. Dopo pochi minuti arriva il padre. È infuriato. Chiede subito ai militari se il "fattaccio" avrà conseguenze penali che possono bloccare la domanda per il concorso nei pompieri e dopo che è stato rassicurato che non c’è stata denuncia, redarguisce il figlio: "Non ti porto con me. Torna a casa a piedi, così rifletti. Poi ne riparliamo".

Il giovane, ex volontario negli Alpini e "discontinuo" nei vigili del fuoco proprio nella caserma dove il padre è un rispettato capo reparto, è distrutto dalla vergogna. Il maresciallo gli dice di stare tranquillo, che non c’è reato e una volta pagata la multa, la serata sarà solo un brutto ricordo. Nadir, però, è convinto di aver perso la stima del genitore. Si incammina verso casa, in via Santa Lucia. Il padre torna con la Peugeot. Nadir non entra dalla porta principale, bensì dalla secondaria, sul retro. I suoi genitori lo aspettano in cucina, non si accorgono di nulla.

All’improvviso un rumore sordo. La mamma pensa sia una porta che si è chiusa sbattendo. Sale in camera e lo vede a terra. Urla al marito che Nadir è caduto e ha sbattuto la testa. Papà Ivan vede la Glock comprata dal figlio per fare tiro sportivo sul pavimento e capisce tutto. Cerca di rianimarlo, ma è inutile: il giovane muore all’ospedale di Imperia alle 10. La sua ragazza e gli amici gli hanno dedicato una pagina Facebook. "Non ti dimenticheremo mai".

Thailandia: tre italiani arrestati per droga, rischiano ergastolo

 

Secolo XIX, 29 giugno 2009

 

Li hanno arrestati mentre consumavano droga in un appartamento in affitto di Sud Pattaya, nella parte più turistica della Thailandia. Ed ora tre italiani Davide Migliorero, 38, Davide Tomasi, 28 e Luca Caroselli, 31 rischiano davvero guai grossi.

I tre uomini erano insieme ad una ragazza thai, Orwan Juminorn, 24 anni, nella casa dove vive Migliorero, che abita a Pattaya già da qualche anno, e stavano consumando alcolici e droga quando la polizia ha fatto irruzione poco dopo mezzanotte, probabilmente dopo la telefonata di un vicino insospettito per il rumore. I tre sono stati arrestati nella notte di venerdì scorso e condotti in commissariato dove gli esami hanno confermato l’assunzione di sostanze stupefacenti.

Da una successiva perquisizione dell’appartamento, poi, sono usciti fuori due sacchetti di marijuana per un totale di circa 30 grammi ed alcune dosi di metamfetamina. E per i tre sono scattate le manette con l’accusa di uso, detenzione e cessione di droga. Ora entro gli 84 giorni canonici dovranno comparire davanti al giudice per il processo. E il rischio è che la pena sia decisamente pesante. In Thailandia, infatti, la normativa anti droga è severissima: è di pochi mesi fa la condanna a morte di due cittadini israeliani Vladimir Akronik, 34 anni, e Alon Mahluf, 37, arrestati circa un anno fa a Bangkok con un carico di pastiglie di ecstasy.

E anche per piccole quantità per uso personale, nel Paese del Sud Est asiatico si rischiano condanne severe: "Qui in Thailandia - spiegano dall’ambasciata di Bangkok che segue passo a passo la vicenda - la normativa sulla droga è molto severa anche per limitate dosi di stupefacenti anche se solo per consumo personale. E, in caso di flagranza di reato, è difficile anche per noi intervenire. Le pene previste in Thailandia per lo spaccio ed il possesso di stupefacenti sono severissime; nei casi più gravi è prevista la pena capitale, a volte commutabile in ergastolo".

Una durezza che, se da una parte non sembra spaventare più di tanto i produttori e gli spacciatori all’ingrosso del Triangolo d’Oro dell’oppio, dall’altra finisce per colpire chi, soprattutto tra gli stranieri, non prende troppo sul serio gli avvertimenti: all’arrivo nel Paese, infatti, viene consegnato un foglio in inglese in cui si mette in guardia i turisti dall’uso di stupefacenti e la rigidità della legge. Vicende che in passato hanno ispirato anche registi e sceneggiatori di Hollywood con film come "Bangkok sola andata" che raccontano proprio il dramma dei turisti condannati a pene esemplari e rinchiusi nei non troppo piacevoli penitenziari thai.

Una situazione delicata, quindi, quella dei tre italiani arrestati a Pattaya. Soprattutto perché la ragazza, una giovane prostituta incontrata in uno dei tanti go-go bar di Walking Street, la via a luci rosse della capitale turistica della Thailandia, ha dichiarato che la droga è stata offerta anche a lei e questo fa scattare il reato aggravante di cessione di droga. Tanto più che Migliorero, uno dei tre arrestati, che abita a Pattaya da qualche anno, ha già precedenti per riciclaggio di denaro ed è già stato fermato in passato.

Usa: Obama; il carcere a vita per 100 detenuti di Guantanamo

 

Ansa, 29 giugno 2009

 

Barack Obama, temendo una battaglia in Congresso che finirebbe per bloccare il progetto di chiudere la prigione di Guantanamo, sta preparando un ordine presidenziale che confermi le detenzioni illimitate per 70-100 dei sospetti terroristi attualmente imprigionati nella base americana sull’isola di Cuba. Secondo il Washington Post, il decreto presidenziale finirebbe così per riconfermare i discussi ordini del predecessore di Obama, George W. Bush, che permettono di tenere in prigione senza processo e per lunghi periodi le persone sospettate di terrorismo.

India: omosessualità potrebbe essere depenalizzata da governo

 

Ansa, 29 giugno 2009

 

Secondo il Times of India il governo indiano potrebbe depenalizzare l’omosessualità ribaltando la linea finora mantenuta. Il reato di omosessualità è previsto dalla sezione 377 del Codice penale che risale al 1861 sotto il dominio coloniale britannico. Ed è terribilmente omofobico fino ad accostare quello che definisce "sesso contro natura" ai rapporti sessuali con animali e punire il "reato" con il carcere fino a 10 anni e in alcuni casi addirittura con l’ergastolo.

Il ministro dell’interno Chidambaram si è detto favorevole alla riforma e ha indetto per questo una riunione con i colleghi alla Sanità e alla Giustizia allargata ai ministri dell’Interno di tutti gli Stati dell’Unione per discutere l’argomento. Ma la decisione non è affatto scontata, malgrado molte pressioni anche internazionali. Per il governo indiano, infatti, la decisione di rimuovere la norma contro gli omosessuali sarà possibile solo con l’unanimità dei consensi tra i partecipanti all’incontro.

 

 

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