Rassegna stampa 31 gennaio

 

Giustizia: il Servizio che non c’è, manca soprattutto efficienza

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 31 gennaio 2009

 

Forse mai come quest’anno il tema dominante dell’inaugurazione dell’anno giudiziario è stato quello dell’eccessiva dilatazione dei tempi del processo, in contrasto con la previsione costituzionale che ne impone la "ragionevole durata".

Un difetto di efficienza su cui si è ampiamente soffermata la relazione del primo presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, che vi ha ravvisato la principale causa della diffusa crisi di fiducia dei cittadini nella giurisdizione. Se la giustizia deve essere intesa come un "servizio essenziale" per la collettività (cioè, secondo una felice formula del presidente Napolitano, come un "servizio da rendere ai diritti ed alla sicurezza dei cittadini"), è chiaro che così non si può andare avanti.

Occorre, invece, procedere con decisione sulla strada delle riforme, ma con la consapevolezza che le più urgenti sono quelle dirette ad incidere, per l’appunto, sulla efficienza degli apparati giudiziari e sulla celerità dei ritmi processuali. E, allo scopo, non sono necessarie riforme di natura costituzionale, essendo sufficiente intervenire con intelligenza mediante leggi ordinarie. Purché, come si dirà tra breve, si tratti di riforme frutto di larghe intese. In questa prospettiva il presidente Carbone, dopo avere stigmatizzato il sempre più preoccupante verificarsi di fenomeni distorti di "abuso del processo", ha anzitutto valutato con favore alcune proposte governative volte ad introdurre rilevanti modifiche, in funzione acceleratoria, nel tessuto del processo civile. Quanto al processo penale, fermo restando sullo sfondo il grave problema della irrazionale distribuzione delle sedi giudiziarie (sulla questione ha insistito anche il vicepresidente del Csm, Mancino), Carbone non ha mancato di toccare alcuni punti specifici di grande attualità.

Così, per esempio, ha auspicato la previsione di meccanismi deflattivi volti a dare concretezza al principio di obbligatorietà dell’azione penale; ha rivendicato al pubblico ministero il potere di direzione delle indagini, ovviamente in rapporto a specifiche ipotesi di reato; ha rimarcato l’esigenza di una revisione della disciplina della prescrizione in senso differenziato, anche allo scopo di non scoraggiare l’accesso ai riti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato). Circa il tema delle intercettazioni telefoniche - la cui natura di strumenti "essenziali", e spesso "indispensabili ", ai fini delle indagini, è stata sottolineata dal procuratore generale Esposito - il presidente Carbone ha invece preferito porre l’accento sul rischio di una loro "abnorme e poco giustificata reiterazione nel tempo ". Si tratta di un profilo assai delicato, oggi al centro del dibattito politico intorno ad un emendamento ministeriale che, riducendo di molto il concreto impiego di tale strumento investigativo, certo non si colloca nell’ottica della efficienza delle indagini. È questa una delle proposte di riforme all’orizzonte, sulla quale sarà bene riflettere a mente fredda operando un meditato bilanciamento degli interessi in gioco, e senza intenti punitivi verso la magistratura.

Anche perché l’esigenza di tutela della dignità delle persone, soprattutto di quelle estranee alle indagini (di cui ieri si è preoccupato il ministro Alfano), si realizza soprattutto nel senso di evitare alle stesse la "gogna mediatica", costituita dalla arbitraria pubblicazione delle loro conversazioni intercettate. In ogni caso, come ha ricordato Carbone al termine del suo discorso, le riforme in materia di giustizia vanno realizzate non in termini di "scontro" tra poteri dello Stato, bensì quale momento "di incontro e convergenza". Occorre, in sostanza, per riprendere il monito del presidente Napolitano, che si tratti di "riforme condivise": anzitutto tra le forze politiche, ma anche tra gli stessi studiosi ed operatori del settore, ivi compresi avvocati e magistrati. E, per quanto riguarda i magistrati, occorre che gli stessi (rinunciando ad eventuali tentazioni di protagonismo mediatico o di appartenenza correntizia) si collochino responsabilmente in una dimensione di serena cooperazione con le altre istituzioni dello Stato, con l’unico scopo di contribuire al buon funzionamento del "servizio giustizia".

Giustizia: tempi da Terzo Mondo... dopo il Gabon e la Guinea

di Gian Antonio Stella

 

Corriere della Sera, 31 gennaio 2009

 

Inaugurazione dell’Anno giudiziario: magistratura divisa sulle intercettazioni. Tutti d’accordo sulla lentezza dei processi: l’Italia è al 156°posto dopo Guinea e Gabon. Altri 16 giorni di ritardi nella durata media dei nostri processi e supereremo a ritroso anche lo staterello incastonato tra l’Eritrea e la Somalia. Questione di tempo: nella nostra retromarcia andiamo già peggio dell’Angola, del Gabon, della Guinea Bissau... Certo, Berlusconi spara sui "disfattisti " che demoralizzano le plebi incitando tutti ad essere ottimisti. L’ultimo rapporto "Doing Business 2009", però, non lascia scampo.

La classifica - La classifica, compilata "confrontando l’efficienza del sistema giudiziario nel consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto ", dice che gli Usa stanno al 6° posto, la Germania al 9°, la Francia al 10°, il Giappone al 21° e i Paesi dell’Ocse, fatta la media dei bravissimi e dei mediocri sono al 33° posto. La Spagna, che tra i Paesi europei sta messa male, è 54°. Noi addirittura 156°. Su 181 Paesi. Un disastro. Tanto più che quell’elenco non rappresenta solo un’umiliazione morale. La Banca Mondiale la redige infatti per fornire parametri di valutazione agli operatori internazionali che vogliono investire in questo o quel Paese.

Conseguenze economiche - Il messaggio è netto: dall’Italia, in certe cose, è bene stare alla larga. Perché uno straniero dovrebbe venire a mettere soldi in un’impresa italiana davanti a certe storie esemplari? Prendete quella di una vecchia signora vicentina che aveva fatto causa alla banca perché l’aveva incitata a investire tutti i suoi risparmi in una finanziaria a rischio e nei famigerati bond argentini. Sapete per che giorno le hanno fissato la prossima udienza? Per il 17 febbraio 2014. Un piccolo imprenditore veronese si è visto dare l’appuntamento per il 2016. Per non dire del caso del signor Otello Semeraro, che mesi fa non s’è presentato al tribunale di Taranto dov’era convocato per assistere all’ennesima puntata del fallimento della sua azienda. Indimenticabile il verbale: "Il giudice dà atto che all’udienza né il fallito né alcun creditore è comparso". C’era da capirlo: come dimostravano le carte processuali della moglie, citata come "vedova Semeraro", l’uomo era defunto. Nonostante la buona volontà, non era infatti riuscito a sopravvivere a un iter giudiziario cominciato nel 1962, quando la Francia riconosceva l’indipendenza dell’Algeria, Kennedy era alle prese coi missili a Cuba e nella Juve giocavano Charles, Sivori e Nicolè. Quarantasei anni dopo, le somme recuperate dal fallimento sono risultate pari a 188.314 euro. Ma nel ‘62 quei soldi pesavano quasi quanto quattro milioni attuali. Forse, se la giustizia fosse stata più rapida, qualche creditore non sarebbe fallito, qualche dipendente non avrebbe passato dei periodi grami...

Una "catastrofe" - Perché questo è il punto: la catastrofe ammessa ieri dal presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, a conferma della denuncia di giovedì del presidente della Corte Europea per i diritti umani, Jean-Paul Costa, durissimo nel ricordare che l’Italia è la maglia nera della giustizia europea ("4.200 cause pendenti contro le 2.500 della Germania e le 1.289 della Gran Bretagna, quasi tutte per la lunghezza dei processi"), non tocca solo la dignità delle persone. Incide pesantemente sull’economia. Basti citare il libro "Fine pena mai" di Luigi Ferrarella: "Confartigianato, elaborando dati 2005 di Istat e Infocamere, ha proposto una stima di quanto la lentezza delle procedure fallimentari, in media 8 anni e 8 mesi, possa costare ogni anno alle imprese artigiane: un miliardo e 160 milioni di euro per il costo del ritardo nella riscossione dei propri crediti, e un miliardo e 170 milioni di euro di maggiori oneri finanziari per le imprese costrette a prendere in prestito le risorse". Totale: oltre 2 miliardi e 300 milioni di euro. Cioè 384mila di "buco giudiziario" per ogni impresa. Un sacco di soldi. Che in anni di vacche grasse possono azzoppare una piccola azienda. Ma in anni di vacche magre o magrissime, come questo, l’ammazzano.

Spirale perversa - Di più: il sistema si è avvitato in una spirale così perversa che la "legge Pinto" per il giusto processo ha partorito altri 40 mila processi intentati dai cittadini esasperati dalla lentezza dei processi precedenti e cominciano già ad ammucchiarsi i processi che chiedono un risarcimento per la lentezza dei processi avviati per avere un risarcimento dei danni subiti da processi troppo lenti. Un incubo. Due anni fa la battuta dell’allora presidente della Cassazione Gaetano Nicastro ("Se lo Stato dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi Finanziarie") pareva uno sfogo esagerato. Ieri è arrivata la conferma: avanti così e ci arriveremo. Dall’introduzione della legge Pinto fino al 2006 lo Stato aveva dovuto tirar fuori 41,5 milioni di risarcimenti ma "in due anni sono 81,3 i milioni già sborsati, più almeno altri 36,6 milioni dovuti ma non ancora pagati, per un totale di circa 118 milioni".

Patrocinio gratuito ai mafiosi - Una emorragia devastante. Al quale si aggiunge un’altra ferita che butta sangue: il gratuito patrocinio concesso a decine di migliaia di persone. Ottantaquattromila sono stati, nel solo 2008, gli imputati che hanno ottenuto l’avvocato difensore pagato dallo Stato. Per un totale di 85 milioni di euro. Spesso buttati in un eccesso di garantismo peloso. Con l’assegnazione automatica di un difensore d’ufficio non solo a tutti gli stranieri "irreperibili" (che magari danno un nome falso e verranno processati inutilmente fino in Cassazione) ma addirittura a mafiosi che dichiarano un reddito inesistente (come Leoluca Bagarella e Antonino Marchese che, imputati dell’omicidio di un vicebrigadiere, chiesero la ricusazione della Corte d’Appello perché aveva loro revocato l’avvocato gratis) e perfino a latitanti. Ma in questo quadro, più nero di un quadro nero del Goya, sono davvero centrali la battaglia sulle intercettazioni o la separazione delle carriere? Giustiniano, di cui il Cavaliere disse di avere in camera un ritratto, forse si muoverebbe in modo diverso.

Giustizia: Alfano; lotta a mafie ma garantire dignità ai detenuti

 

Apcom, 31 gennaio 2009

 

L’azione del governo nel combattere il crimine organizzato non si fermerà, nonostante la carenza di posti nella carceri. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli.

"Gli effetti dell’indulto sono quasi recuperati e il Governo non intende frenare la propria volontà di reprimere il crimine organizzato per il problema della capienza degli istituti di pena. Non intendiamo frenare - ha detto il ministro - la repressione perché non ci sono posti in carcere", ha aggiunto tra gli applausi della sala.

Il Guardasigilli ha ribadito che l’obiettivo del Governo è di "realizzare, pienamente, con i circuiti differenziati che consentiranno di meglio allocare il personale della Polizia penitenziaria in modo più efficiente e razionale, quei sistemi di differenziata collocazione dei detenuti in carcere che è l’unico strumento per dare pienezza ed effettività all’articolo 27 della Costituzione". Per Alfano è "inimmaginabile puntare alla funzione rieducativa della pena e al reinserimento sociale se non viene garantita la dignità della vita in carcere. Anche nella repressione c’è sempre la persona. Gli uomini - ha concluso - possono essere privati della libertà ma non della dignità".

Giustizia: Alfano; l'operato dei magistrati non diventi arbitrio

 

La Stampa, 31 gennaio 2009

 

Per il ministro della Giustizia, Angelino Alfano "l’autonomia e l’indipendenza dei giudici non può scindersi dall’efficienza del servizio che i magistrati devono rendere ai cittadini e questa efficienza deve essere non soltanto tempestivamente verificata ma anche supportata da un modello organizzativo valido ed esteso a tutto il territorio nazionale". È questo uno dei passaggi della relazione del Guardasigilli letta in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario a Napoli. "Lavoriamo - ha aggiunto - ad un sistema di controlli efficace che avrà poi il compito di verificare la professionalità dei magistrati in modo da garantire che il loro operato, doverosamente autonomo e indipendente non si trasformi in autoreferenzialità o in mero arbitrio"

Alfano ha ricordato a tale proposito di aver sottoscritto con il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, il protocollo d’intesa per la realizzazione di programmi di innovazione digitale. Ciò per "avviare un vero e proprio cambio di passo e di strategia operativa nello specifico settore ove, a fronte di investimenti ingentissimi, non si sono ottenuti risultati accettabili". Il protocollo prevede interventi "che faciliteranno la comunicazione tra avvocati, cittadini, imprese e uffici giudiziari attraverso l’uso di Internet in condizioni di piena sicurezza sia esterna che interna al sistema utilizzando quanto di meglio offre oggi la tecnologia della protezione dei dati informatizzati".

L’azione del governo nel combattere il crimine organizzato non si fermerà, nonostante la carenza di posti nella carceri. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli. "Gli effetti dell’indulto sono quasi recuperati e il Governo non intende frenare la propria volontà di reprimere il crimine organizzato per il problema della capienza degli istituti di pena. Non intendiamo frenare - ha detto il ministro - la repressione perché non ci sono posti in carcere", ha aggiunto tra gli applausi della sala. Il Guardasigilli ha ribadito che l’obiettivo del Governo è di "realizzare, pienamente, con i circuiti differenziati che consentiranno di meglio allocare il personale della Polizia penitenziaria in modo più efficiente e razionale, quei sistemi di differenziata collocazione dei detenuti in carcere che è l’unico strumento per dare pienezza ed effettività all’articolo 27 della Costituzione". Per Alfano è "inimmaginabile puntare alla funzione rieducativa della pena e al reinserimento sociale se non viene garantita la dignità della vita in carcere. Anche nella repressione c’è sempre la persona. Gli uomini - ha concluso - possono essere privati della libertà ma non della dignità".

Giustizia: Gasparri; certezza della pena e trasparenza processi

 

Apcom, 31 gennaio 2009

 

"Certezza della pena e trasparenza dei processi. E poi meno politica tra le toghe, meno riflettori puntati su pochi capi di alcune correnti-partito all’interno della magistratura, più carceri per superare l’emergenza del sovra-affollamento ed un uso più razionale delle intercettazioni". Sono questi, secondo il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri, "alcuni punti base della riforma della giustizia alla quale sta lavorando il governo".

"Una riforma necessaria e richiesta da più parti in questi giorni in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario - ha aggiunto Gasparri -. Su questo siamo pronti, per cambiare radicalmente un sistema con un impegno che va ben al di là degli spot elettorali di qualcuno".

Giustizia: Pg Firenze; riempire le carceri? serve a poco o niente

 

Adnkronos, 31 gennaio 2009

 

Il progetto di costruire nuove carceri deve essere accompagnato da iniziative per il recupero degli ex detenuti alla vita civile: lo ha detto Daniele Propato, procuratore generale facente funzioni presso la Corte d’appello di Firenze, intervenendo all’apertura dell’anno giudiziario nell’aula bunker di Santa Verdiana.

"Riempire le carceri, che sono al limite, se non oltre, della sopportazione serve a poco o a niente, soprattutto quando persino l’igiene è carente: certo è utile farle di nuove, ma quello che necessita organizzare è rientro nella società dei detenuti".

"Non si possono aprire i cancelli di Sollicciano (carcere di Firenze, ndr) e dire "vai, sei libero" - ha osservato il procuratore generale di Firenze - se oltre quel cancello non vi sia qualcuno che si prende cura di chi ha scontato una pena che per definizione costituzionale deve tendere alla rieducazione del condannato. Questo è un lavoro che svolgono meritoriamente le associazioni di volontariato, ma non basta: deve farsene carico lo Stato".

Giustizia: Caponetti; tagli con l’accetta a dipartimento minorile

 

Redattore Sociale - Dire, 31 gennaio 2009

 

La denuncia del direttore del Centro di Giustizia Minorile di Roma e Lazio. "Non abbiamo i soldi per comprare latte e pannolini ai neonati, figli delle ragazzine che vengono fermate". A Roma 700 arresti di minori nell’ultimo anno.

"Al momento non abbiamo nemmeno i soldi per comprare il latte e i pannolini ai neonati, figli delle ragazzine che vengono fermate. Colpa dei tagli con l’accetta ai fondi per la giustizia minorile fatti dal governo". È la denuncia di Donatella Caponetti, direttore del Centro per la Giustizia Minorile di Roma e Lazio, intervenuta all’inaugurazione del centro di accoglienza dei salesiani a Centocelle.

"Per il 2009 i finanziamenti sono stati dimezzati, dopo che negli anni scorsi già erano stati ridimensionati - spiega -. Per i minori abbiamo avuto garantito solo il vitto. Nulla per pagare i mediatori culturali, importantissimi nella realtà multiculturale che viviamo. Niente soldi per le attività sportive. Questo Stato non garantisce più i diritti dei minori. Ci sentiamo abbandonati".

Caponetti ha sottolineato che la giustizia minorile italiana, per la quale la detenzione in carcere è l’ultima ratio, è fiore all’occhiello nell’Unione Europea per il processo penale differenziato da quello degli adulti, e per gli istituti legislativi avanzati della sospensione del procedimento e messa alla prova del minore, con picchi del 90 per cento di successo nel recupero dei ragazzi devianti.

"Ma la direzione presa dal governo, che sembra voler ridurre il dipartimento di giustizia minorile a un ufficio di studi, non ci consente di fare il nostro lavoro neanche in minima parte - continua il direttore del Cgm di Roma e Lazio - La scelta del percorso esterno alla prigione per il minore richiede un investimento di risorse, anche nel privato-sociale, come avviene a Roma, dove non abbiamo comunità di recupero del Comune".

E conclude: "La legislazione minorile italiana è così avanzata da essere studiata in tutta Europa. Ma in queste condizioni non ha futuro. Un minore in carcere costa molto meno. Mi chiedo: è a questo che si vuole arrivare ?". Roma è la città con il più alto numero di arresti di minori in Italia. Con circa 700 ingressi nell’ultimo anno, il Centro di giustizia minorile del Lazio accoglie un quinto dei fermati a livello nazionale.

Giustizia: Cassazione; ok risarcimenti per condanne prescritte

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 31 gennaio 2009

 

Si all’indennizzo per l’ingiusta detenzione anche quando l’imputato non è stato assolto perché innocente ma perché il reato si è prescritto. Si riduce, però la misura del ristoro. Una cosa è mettere in carcere un innocente e un’altra "limitare la libertà di un colpevole per un periodo eccessivo rispetto alla pena".

A questa conclusione sono giunte le Sezioni unite penali che, con la sentenza n. 4187 del 29 gennaio 2009, oltre a risolvere un delicatissimo contrasto di giurisprudenza hanno annullato un’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria che aveva negato l’indennizzo a un pregiudicato, sottoposto a carcere preventivo per un periodo superiore rispetto alla condanna inflitta in primo grado e poi prosciolto in secondo grado per prescrizione del reato. In altri termini l’ingiusta detenzione spetta a chi ha scontato un periodo di custodia superiore rispetto alla prima condanna e poi è stato prosciolto per estinzione del reato.

"La riparazione per ingiusta detenzione", ecco il nuovo principio affermato dal Massimo consesso di Piazza Cavour, "spetta in caso di durata della custodia cautelare superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, cui poi abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione".

Fra l’altro, nelle motivazioni il Collegio esteso non ha dribblato una serie di importanti considerazioni contenute in una sentenza della Corte costituzionale dell’anno scorso, la n. 219, e che senz’altro hanno pesato molto sulla soluzione del contrasto: in particolare, per usare le parole dei giudici, "l’istituto è applicabile non solo nei casi di assoluzione dalle imputazioni, ma anche in quelli di proscioglimento per altra causa, non di merito, ed infine qualora la custodia cautelare sia stata superiore rispetto alla pena irrogata con sentenza definitiva". Ma non è tutto.

Cambia il calcolo dell’indennizzo che dev’essere ridotto perché, spiega in fondo alle motivazioni la Cassazione, "il grado di sofferenza" di un innocente ingiustamente finito in carcere è "amplificato" rispetto al "colpevole ristretto per un periodo superiore alla pena". Ad ogni modo il giudice deve, come fa sempre quando ha il compito di calcolare il risarcimento per l’ingiusta detenzione, "conciliare il criterio aritmetico con quello equitativo".

Questa è però una valutazione che non ha dei parametri fissi: infatti, "pur affermandosi", si legge in un altro passaggio chiave delle motivazioni, "in linea di principio che il diritto dell’innocente sia da valutare in maniera privilegiata rispetto al diritto del colpevole, tale soluzione non ha carattere assoluto e spetta al giudice di merito considerare la peculiarità della specifica situazione". Quindi, a decidere quanto riceverà per essere stato ingiustamente detenuto oltre il tempo stabilito con la condanna del Tribunale per un reato che poi in secondo grado si è prescritto, sarà un’altra sezione della Corte territoriale calabrese a ponderare la sofferenza del pregiudicato relativa a quel periodo di detenzione.

Giustizia: Cassazione; demenza è incompatibile con il carcere

 

Italia Oggi, 31 gennaio 2009

 

La demenza senile non è sempre compatibile con il regime carcerario: occorre valutare se il detenuto è in grado di comprendere i motivi della detenzione.

Un detenuto di Palermo ha chiesto di poter usufruire di una forma detentiva alternativa, e cioè degli arresti domiciliari, in quanto affetto da grave patologia psichica avente le caratteristiche della demenza senile. Il Tribunale della libertà aveva respinto tale richiesta ritenendo che tale patologia potesse essere curata adeguatamente anche in carcere.

La Corte di Cassazione (I Sez Penale, sentenza 12716/2008) ha invece stabilito che la demenza senile può essere, in certi casi, incompatibile con il regime penitenziario disponendo un nuovo processo. La Suprema Corte ha sottolineato che "la demenza necessita di una valutazione particolare onde verificare se il detenuto possa rendersi conto di ciò che accade e della sua condizione di costrizione fisica, anche ai fini di valutarne la pericolosità ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari". Inoltre veniva anche sottolineata la necessità di esaminare in modo concreto la possibilità effettuare in carcere le adeguate cure "al fine di verificare se le doglianze della difesa sull’inerzia della struttura carceraria siano effettive e quale ne sia il motivo".

Giustizia: Radicali; pestati in cella i romeni arrestati per stupro 

di Marino Bisso e Paolo G. Brera

 

La Repubblica, 31 gennaio 2009

 

"Ci hanno picchiati, sì. Prima i carabinieri, nella camera di sicurezza della caserma di Guidonia; poi le guardie, entrando a Rebibbia. Hanno picchiato me e hanno picchiato anche gli altri: sentivo le loro urla". Uno dei romeni accusati dello stupro di Guidonia lo ha detto ieri a Rita Bernardini, la parlamentare radicale che ha visitato i detenuti insieme al segretario dell’associazione "Nessuno tocchi Caino", Sergio D’Elia, e che sta preparando un’interrogazione parlamentare sulla vicenda.

"Li abbiamo visitati tutti e sei - racconta - e per tre di loro abbiamo riscontrato evidenti segni di violenza. Uno dice di essere caduto, un altro di essersi picchiato da solo per la disperazione. Ma due hanno ammesso di essere stati pestati a più riprese dai carabinieri. Schiaffi, pugni e calci sono stati dati ai sei romeni in caserma, anche se non so se per rabbia o per farli confessare. Di sicuro oggi erano molto impauriti. Uno stato civile non si può mettere a livello dei peggiori criminali".

Accuse pesantissime sulle quali la procura di Tivoli, territorialmente competente, sta raccogliendo materiale per aprire un’inchiesta. "Non ho alcuna dichiarazione da fare in merito alle affermazioni della parlamentare. Rinnovo i miei complimenti a tutti i militari che hanno operato - replica il generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma - così come rinnovo gli auguri di pronta guarigione ai due graduati che hanno riportato contusioni agli arti superiori e inferiori durante la cattura dei primi quattro romeni al casello di Tivoli; e all’ufficiale che ha guidato l’irruzione nell’abitazione dove sono stati arrestati gli altri due ricercati, e che è stato medicato per una distorsione alla mano".

"Il ragazzo conciato nel modo peggiore - racconta Bernardini - zoppicava vistosamente e aveva un occhio pesto. Gli abbiamo chiesto di farci vedere se aveva altri segni delle violenze e ce li ha mostrati: ne aveva sulle gambe e a un’anca. Altri due avevano un occhio nero. Un quarto ci ha lasciato intendere di essere stato picchiato, senza voler aggiungere altro".

Ai due giovani accusati di favoreggiamento il gip ha già concesso i domiciliari, una decisione contro cui la procura ricorrerà. Per la paura di aggressioni, ieri sono stati accompagnati in una residenza segreta e protetta nel Nord Italia. In serata la Bernardini ha comunicato di avere ricevuto numerose mail piene di insulti per le sue affermazioni. Critiche da Walter Veltroni che rinnova l’apprezzamento per i carabinieri. No comment del sindaco Gianni Alemanno.

Palermo: forse è stato ucciso il detenuto morto all’Ucciardone

di Romina Marceca

 

La Repubblica, 31 gennaio 2009

 

"Un assassinio camuffato da suicidio". è questa l’ipotesi sulla quale indaga la Procura per la morte di Francesco L. B., il ragazzo di 22 anni dello Zen che è stato trovato impiccato con le lenzuola alla finestra del bagno della sua cella dell’Ucciardone, nella notte tra lunedì e martedì. Un avviso di garanzia è stato emesso per un detenuto che divideva - insieme con altri quattro uomini - la cella con la vittima. Si tratta di un albanese pluriomicida e che adesso è sospettato anche della morte del giovane.

Il padre di Francesco, che era in attesa di giudizio, ha presentato una denuncia alla polizia dopo avere ricevuto la salma in casa. L’uomo avrebbe dichiarato di avere notato dei lividi in diverse parti del corpo, incompatibili con un suicidio architettato con un cappio. Inoltre, la convivente del giovane ha anche raccontato che proprio lunedì, durante il colloquio in carcere, Francesco le aveva raccontato di alcuni diverbi con un compagno di cella e di avere subito alcuni soprusi da personale dell’istituto.

Queste dichiarazioni sono al vaglio degli investigatori. Oggi sul corpo sarà effettuata l’autopsia nell’istituto di Medicina legale dell’ospedale Policlinico diretto da Paolo Procaccianti. Il caso, in un primo momento, era stato inquadrato come suicidio. Secondo le prime ipotesi, il giovane, che si trovava in carcere dal 17 dicembre con l’accusa di violenza sessuale sui figli minori della compagna, non avrebbe retto all’umiliazione di quell’indagine così infamante: i bambini che avrebbero subito gli abusi hanno 4 e 5 anni. Su di loro non è stata effettuata alcuna perizia medica. Insieme con Francesco in carcere erano finiti anche il suocero e la sorella. è l’avvocato della vittima, Giacomo Sparacino, a dire che proprio il giovane poche ore prima della morte gli aveva confidato che "con quelle cose non c’entro niente. Se mi capita mio suocero tra le mani lo strozzo". Anche la compagna ha sempre sostenuto l’innocenza di Francesco.

Il corpo è stato trovato senza vita intorno alle 3 e mezza della notte. Ad avvertire un poliziotto penitenziario è stato un compagno di cella. Ma ciò che non convince la Procura è anche il tempo intercorso tra la morte del giovane e l’allarme lanciato dai reclusi. Quando l’agente ha soccorso il detenuto ormai non c’era più nulla da fare. Per i magistrati che indagano è improbabile che in una cella che ospita sei persone possa passare inosservato un suicidio. Gli inquirenti non escludono nemmeno che la convivenza all’interno della stanza ad un certo punto sia diventata insopportabile e - come la stessa convivente della vittima ha dichiarato - aggravata da alcune pesanti discussioni proprio con l’albanese. Si teme che il giovane sia stato vittima di uno strangolamento, che poi è stato contrabbandato per suicidio. Intanto il detenuto albanese si trova in isolamento in un’altra sezione dell’Ucciardone. Ieri i poliziotti della Omicidi hanno interrogato la convivente della vittima.

Il senatore del Pdl Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti, ha inviato una nota sull’accaduto puntando l’accento sulla carenza di psicologi. "In Sicilia ci sono 25 carceri per adulti, 4 per minorenni e un istituto per malati di mente. L’organico degli psicologi conta dieci unità: di cui due in servizio e una in forza presso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Poi ci sono psicologi con contratti a ore. Nelle carceri siciliane i detenuti sono oltre settemila. Se facciamo la media di uno psicologo per due reclusi, sono solo duemila coloro che ricevono assistenza. E gli altri cinquemila?".

Milano: San Vittore; nel raggio dei dannati, celle come gabbie

di Oriana Liso

 

La Repubblica, 31 gennaio 2009

 

Un pachistano appunta con scrupolo su un pannello la situazione giornaliera, come fosse quel computer che qui è un miraggio. Gli italiani sono azzurri, gli albanesi viola. Poi ci sono i rossi, i verdi. Una tinta per ogni nazionalità. Nomi e colori abbinati su sottili strisce di carta rappresentano gli oltre 400 detenuti del sesto raggio di San Vittore. Quello più vecchio tra quelli aperti, non ristrutturato, quello dove la tentazione di girarsi dall’altra parte, di tornare indietro per guardare i muri colorati, le celle con le docce, gli arredi nuovi del terzo e quinto raggio è fortissima. Nuovo, che non vuol dire vuoto: perché l’affollamento è lo stesso.

Un viaggio dentro San Vittore è fatto di tutti i corridoi, nuovi e vecchi, è fatto di molte facce incattivite dal carcere e dalla vita, di altre che hanno ancora speranza. Guardare quegli occhi e giudicare il puzzo della galera che spesso si mischia alla povertà vuol dire fare uno sforzo per mantenere neutri, perché un carcere resta (anche) un luogo di pena. In mezzo ai raggi c’è la Rotonda con il suo altare, a segnare il confine tra chi è fuori e chi è dentro le celle. Dove si dorme, si mangia, si fuma, si gioca a carte, si guarda la tv.

Si fa quasi tutto, salvo le ore d’aria, il lavoro, le visite mediche. Sono celle queste, non stanze d’albergo. I muri sono scrostati e coperti di scritte lasciate da decenni di ospiti passati, le sbarre ricamate di ruggine, i gabinetti alla turca maleodoranti e a un metro dal fornello a gas uso cucina. I letti a castello sono capolavori di ingegneria degli spazi.

La targhetta "docce" appare a metà corridoio, perché qui il massimo che consentono i metri delle celle è un lavandino. "Se otto persone si danno il cambio per dormire, perché c’è posto solo per sei, vuol dire che si pratica la tortura" dice il presidente della corte d’Appello Grechi. Ieri era un giorno fortunato, a San Vittore: nelle celle c’erano tanti detenuti quanti letti. Non è sempre così, ma non è che avere un letto a persona cambi tanto la situazione di alcune celle. Sono vecchie, sono bugigattoli dove gli "ospiti" devono alzarsi dal letto a turno: se lo facessero tutti contemporaneamente non avrebbero quasi spazio per stare in piedi. Piano terra, primo piano, il secondo (dove ci sono i "protetti": pedofili, violentatori, transessuali, tenuti lontani dagli altri detenuti, ma con loro condividono la fatiscenza della struttura): il sesto raggio andrebbe rifatto da cima a fondo. "Nessuno nega che la struttura sia vecchia e che le celle siano piene - ragiona il provveditore Pagano - ma se si parla di tortura vuol dire che o noi qui siamo i torturatori, oppure siamo gli utili idioti. Certo non ci riconosciamo in nessuna delle due categorie". Il "noi" vuol dire anche gli agenti della penitenziaria e i (pochissimi) educatori che qui condividono giornate, notti, urla, odori (le cucine di tutto il mondo passano da una cella all’altra) con i detenuti. Inventandosi quel che si può: le celle per i non fumatori, per esempio, perché una lite per una sigaretta di troppo nei pochi metri comuni può generare disastri. Gli ispettori del ministero hanno scritto che qui l’attenzione alla salute dei detenuti è "quasi maniacale": nell’infermeria del piano dei protetti, su una lavagna da scuola, il medico scrive col gesso il nome e la matricola di chi fa lo sciopero della fame, il suo peso, e il nome di chi controlla che non stia male. In una ex cella qualche vecchio attrezzo ginnico ha permesso di creare la palestra. In un’altra un tappeto di due metri per tre copre tutto il pavimento, qualche iscrizione sacra segnala che quella è la moschea. Ci sono i laboratori per le analisi mediche, stanze adattate a biblioteche. Non c’è niente di bello, secondo i canoni del bello, non c’è niente che non mostri gli anni. C’è molto di sudore, fatica e fantasia per far sentire un uomo come gli altri chi supera il portone d’ingresso.

Belluno: "Codice a sbarre"; gli studenti incontrano i detenuti

 

Il Corriere delle Alpi, 31 gennaio 2009

 

Codice a sbarre: è il nome di un progetto rivolto ai giovani degli istituti superiori della provincia e nello stesso tempo ai detenuti della casa circondariale di Baldenich. Il progetto mira ad una azione di prevenzione, rivolta agli studenti e incentrata sulle tematiche della legalità, istruendo e educando attraverso uno strumento definito "passaporto per il carcere".

Nello stesso tempo il progetto vuole sensibilizzare anche la popolazione carceraria. Agli studenti verrà distribuito un passaporto personale suddiviso in sezioni contenenti nozioni sulla fedina penale, la vera storia di due giovani detenuti, un quiz per incuriosire gli studenti rispetto alle tematiche sulla legalità, la descrizione di reati e di relative pene.

Nelle pagine finali del passaporto gli studenti troveranno un coupon che consentirà loro di recarsi in pizzeria ed offrire una pizza ad un amico. Lo scopo è che lo studente possa illustrare ad un amico i contenuti del progetto in un ambiente informale come appunto una pizzeria. Di questa iniziativa si è parlato in un incontro che si è svolto l’altro ieri in prefettura, a cui hanno partecipato il prefetto Raimondo, gli assessori di Belluno Paganin e Da Rin Zanco, il direttore del carcere di Belluno, il direttore del Ctp (la scuola) in carcere, i rappresentanti delle forze dell’ordine, delle associazioni di volontariato che lavorano anche a contatto con i detenuti, e l’ufficio scolastico provinciale.

Pisa: "tagli" a progetti per detenuti, tossicodipen. e prostitute

 

Il Tirreno, 31 gennaio 2009

 

Nella vicenda dei licenziamenti di 25 lavoratori del sociale, si intrecciano non soltanto tematiche occupazionali, ma anche questioni legate a progetti spesso decennali che interessano tossicodipendenti, detenuti e prostitute.

"Con due righe - dicono i lavoratori delle cooperative - il progetto Gulliver, che si occupa da quasi dieci anni di tossicodipendenti, viene cancellato perché si dice che la fase sperimentale è finita". "Ma quale fase sperimentale - spiegano gli operatori sociali - se ormai sono diversi anni che lavoriamo a contatto dei tossicodipendenti? Che cosa dovevamo sperimentare?".

Questo progetto aveva tra le tante funzioni anche quello della raccolta delle siringhe usate. Un altro progetto che secondo i volontari verrà drasticamente ridotto, se non cancellato del tutto, è quello finalizzato a combattere lo sfruttamento della prostituzione con reinserimento socio lavorativo delle ragazze.

"Ormai sembra non sia più necessario - precisano i lavoratori delle cooperative - perché c’è stato il decreto Carfagna. Niente di più sbagliato. Noi chiediamo se chi taglia i fondi sa che fine hanno fatto tre minorenni nigeriane da noi intervistate poche settimane fa e con le quali avevamo intrapreso un percorso difficile di avvicinamento".

Un altro lavoratore in odore di licenziamento lancia l’allarme su tutta una serie di progetti riguardanti i detenuti e dichiara: "Vengono meno i percorsi di reinserimento lavorativo dei detenuti ed anche le attività di socializzazione degli stessi". Tra gli altri progetti "conclusi" ci sono quello Altalena - che prevedeva una ludoteca - e la clown therapy nella pediatria dell’ospedale Santa Chiara.

"Anche questi due progetti - denunciano gli operatori - verranno chiusi e non stiamo parlando di cifre da capogiro, ma di circa 20mila euro". C’è da aggiungere però che alcuni progetti, se rientreranno nella casistica prevista dalla legge regionale e saranno classificati come essenziali, si trasformeranno in servizi continuativi.

Modena: Csi; animazione sportiva e socializzazione in carcere

 

La Gazzetta di Modena, 31 gennaio 2009

 

Sono riprese anche per il 2009 le attività di animazione sportiva e di socializzazione gestite dal Comitato di Modena del Centro Sportivo Italiano all’interno della casa circondariale Sant’Anna e della casa di lavoro a Castelfranco Emilia.

Il "Progetto Carcere", questo il nome dell’iniziativa formativa attivata presso le strutture carcerarie della nostra provincia, coinvolge oltre cento detenuti presenti attraverso attività sportive e di educazione motoria: calcio e basket presso due sezioni maschili della casa circondariale Sant’Anna, volley e danza presso la sezione femminile della stessa struttura; il calcio, invece, è il vero protagonista alla casa di lavoro di Castelfranco Emilia. Le attività in quest’ultima realtà vengono svolte in collaborazione con la Parrocchia di San Cesario e con la società sportiva "I Partenopei" di Castelfranco, durante l’ora d’aria pomeridiana oppure al sabato pomeriggio, con un totale di 5 o 6 ore mensili per ciascun gruppo di detenuti. Le iniziative di animazione e socializzazione dedicate ai detenuti sono gestite da alcuni volontari che fanno parte dello staff del Csi Modena, di età compresa tra i 25 e i 40 anni: molti di loro offrono la loro disponibilità con cadenza settimanale e tra loro sono presenti anche sportivi, quindi atleti, allenatori, dirgenti ed arbitri, insegnanti ed educatori, ma anche artigiani, impiegati e studenti universitari. In tutto sono circa una trentina per le due squadre di calcio ed un nucleo più ristretto di una dozzina di operatori qualificati, con una significativa presenza femminile.

L’attività dei volontari è coordinata dal professor don Paolo Boschini ed è integrata nella Commissione Parrocchie e Manifestazioni del Csi Modena. "Quasi tutte le attività proposte - sottolinea Boschini - raggiungono gli obiettivi che stanno alla base del progetto, in altri casi si riesce comunque a creare un simpatico diversivo nella monotonia della vita carceraria. Quando non si limita a un diversivo contro la noia della vita carceraria, lo sport in prigione è un valido aiuto all’accettazione e al rispetto dell’altro e a recuperare il senso delle regole. I benefici maggiori si sono registrati quando siamo riusciti ad organizzare in carcere incontri-partita con squadre sportive, oppure ancora quando abbiamo prelevato una squadra di detenuti per partecipare a manifestazioni pubbliche come il Villaggio dello Sport in piazza Grande.

Iniziative di grande efficacia, anche se più sporadiche, sono quelle legate al coinvolgimento di detenuti in attività organizzate di sport e di animazione nel periodo di fine-pena o in stato di arresti domiciliari o di semi-libertà". La relazione tra volontari, quindi persone libere, e detenuti, non è però delle più semplici soprattutto in fase iniziale. "I volontari - spiega il prof. Boschini - sono spesso condizionati dall’immagine mediatica del detenuto come essere umano violento e psichicamente deforme.

Finché non si rendono conto che questa è una visione per lo più falsa e fuorviante, vivono in modo traumatico l’impatto con gli spazi carcerari e sono rigidi nella relazione con i detenuti. Un’altra difficoltà riguarda poi la condizione innaturale di limitazione della libertà e dei movimenti in cui vivono uomini e donne spesso molto giovani. Ciò si traduce per alcuni in un sentimento di rabbia latente e per altri in un atteggiamento di rassegnata depressione". Il progetto animazione in carcere si inserisce a pieno titolo nelle finalità sociali del Centro Sportivo Italiano, perché lo sport venga praticato con tutti come forma di integrazione e comunicazione tra i tanti mondi paralleli che compongono la società frammentata dei nostri giorni. Coinvolgendo corpo e anima, lo sport non competitivo si rivela infatti sempre più un linguaggio capace di infrangere i muri che la società dei cittadini liberi ha eretto intorno ai detenuti. Il Csi Modena sta portando avanti con entusiasmo questo progetto da tempo e proprio negli ultimi tempi ha intensificato questa sua presenza nel welfare locale offrendo sempre più risposte ai cittadini ai vari livelli.

È questo uno dei motivi che ha spinto il Comitato sportivo modenese a valutare l’opportunità di estenderlo anche alla Casa-Lavoro di Saliceta San Giuliano, dove alcuni operatori del Circolo Parrocchiale Csi della Beata Vergine Addolorata hanno organizzato attività musicali, in collaborazione con il personale e i volontari della Casa-Lavoro. "Sarebbe pure importante estendere queste attività - conclude Don Paolo - alla sezione "protetti" del Sant’Anna, dove si registrano le situazioni personali più complesse e dove maggiore è l’isolamento".

Sulmona: carcere sovraffollato, interrogazione a due Ministri

 

Il Centro, 31 gennaio 2009

 

Un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi "per conoscere quali provvedimenti urgenti e improcrastinabili il governo intenda attuare per potenziare l’organico del personale, attualmente di 230 unità a fronte delle 264 previste, addetto alla casa di reclusione di via Lamaccio a Sulmona".

L’interrogazione è stata presentata dalla parlamentare Paola Pelino (Pdl) e arriva dopo l’ennesima aggressione di un detenuto ai danni degli agenti di polizia penitenziaria. Episodio che si è verificato sabato scorso. Il detenuto, un algerino di 22 anni, si è tagliato la gola e poi ha aggredito e ferito tre guardie.

Altri casi simili c’erano stati nei mesi precedenti. Secondo la Pelino la struttura sulmonese ha gravi difficoltà gestionali a causa della carenza di personale, sia di agenti che di assistenti, gravati dall’assistenza e controllo di una popolazione carceraria sovraffollata e anche legate all’assistenza sanitaria carente, effetto del recente trasferimento di competenze dal ministero della Giustizia alle Asl regionali.

"Queste problematiche sono gravi ed urgenti", ha sottolineato la parlamentare sulmonese nell’interrogazione rivolta ai due ministri, "in rapporto al numero dei detenuti presenti e anche alle gravi patologie segnalate a carico di parte degli stessi. Su 457 detenuti, ben 150 sono afflitti da disturbi psichici o legati alla tossicodipendenza. Proprio per questo ho ritenuto opportuno investire il governo per impegnarlo in una soluzione che possa alleviare i gravi disagi che la struttura penitenziaria sulmonese sta sopportando".

Nuoro: il garante Murgia; la sezione femminile sta scoppiando

di Valeria Gianoglio

 

La Nuova Sardegna, 31 gennaio 2009

 

Tutto sospeso causa sovraffollamento. Da mesi, le detenute di Badu ‘e Carros vivono un dramma silenzioso. Sono in venti, strette strette, distribuite nello stesse celle 4 metri per 4 in cui secondo le direttive sbandierate con decisione dal ministero dovrebbero essere al massimo 13. E così prima hanno dovuto dire addio alle lezioni di cucito, poi al tanto amato corso di decoupage. E nel periodo di Natale pure al laboratorio per confezionare le pigotte per l’Unicef mentre le attività sportive sono andate a farsi benedire per lavori in corso.

"Il settore femminile di Badu ‘e Carros sta implodendo, vive una condizione al limite della tolleranza. Bisogna al più presto fare qualcosa" grida sconsolato il garante dei detenuti Carlo Murgia. Lo dice con amarezza e persino con una punta di rabbia. Perché è da mesi, spiega, che anche a Nuoro piovono le circolari ministeriali che sollecitano alla tutela delle detenute femminili, e poi, invece, da un altro lato lo stesso ministero "non fa nulla per frenarne il sovraffollamento".

"Si ha idea - dice ancora Murgia - di cosa significhi vivere tutti i giorni, 24 ore su 24, in quattro o cinque persone all’interno di una cella fatta per l’accoglienza di due, massimo tre persone? È stato il ministro della giustizia che a proposito del sovrannumero ha dichiarato che il superamento della capienza tollerabile renderebbe le carceri fuorilegge.

A Nuoro, per fortuna, nelle sezione maschile la situazione non ha raggiunto questi livelli, ma quella femminile ogni giorno che passa si aggrava e si cronicizza sempre di più e la rende sempre più inumana e insostenibile". Ma il garante dei detenuti tiene anche a precisare che tutto ciò accade "proprio nel momento in cui si rafforza, per parte ministeriale, con lettere circolari, la necessità di assumere comportamenti diversi.

Urge quindi che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il provveditorato regionale del ministero della giustizia assumano, con coerenza e responsabilità, la soluzione di questi problemi". Ma i problemi della sezione femminile di Badu ‘e Carros, a quanto pare, non sono solo legati al sovraffollamento delle celle. Come se non bastasse, infatti, sottolinea ancora il garante dei detenuti Carlo Murgia, nella stessa sezione femminile del penitenziario esiste anche il problema della carenza di agenti di polizia penitenziaria.

A conti fatti, le agenti in rosa sono il 30 per cento in meno. E così, di problema in problema, di carenza in carenza, sono state sospese tutte le attività destinate a rallegrare e rieducare le detenute. Tra le tante anche il corso di cucito, il laboratorio per confezionare le celebri pigotte dell’Unicef, le lezioni di decoupage.

Niente di niente. E la cosa, ovviamente, al garante che in quei corsi ci aveva tanto creduto, ha fatto proprio storcere il naso. Rincara, dunque la dose, Carlo Murgia. E si chiede "come sia possibile, per qualsiasi essere umano ma soprattutto per una donna reclusa, porre in atto "meccanismi di difesa" psicologica contro la "spersonalizzazione" in una cella nella quale manca lo spazio vitale? Si consideri che questa è una sezione che possiede tutti i presupposti per funzionare con modalità dignitose per la tutela della persona umana.

Il sovraffollamento, la mancanza di attività rieducative, una sanità gravemente inadeguata, l’assenza di attività sportive, la stanno trasformando in uno spazio disumano, fortemente caratterizzato, come quasi tutte le carceri italiane, da una altissima detenzione sociale. A proposito della questione sanitaria, siamo spasmodicamente in attesa che anche la Regione acquisisca la legge nazionale e attui il passaggio dalla sanità carceraria a quella dell’Asl di modo che il detenuto venga curato come un cittadino qualsiasi".

In conclusione, il garante dei detenuti Carlo Murgia spiega che secondo lui, il problema del sovraffollamento delle carceri "non possa essere risolto né con un nuovo indulto, né con la costruzione di nuove carceri. Prima ancora di pensare a queste, si dovrebbe pensare a trovare il personale per far funzionare quelle già costruite e chiuse per mancanza di agenti".

Roma: lite condominio; poliziotto uccide senegalese, arrestato

 

Ansa, 31 gennaio 2009

 

È stato arrestato il poliziotto di 45 anni che questa mattina, a Civitavecchia, ha sparato con un fucile a pompa a un cittadino senegalese. Tra i due c’erano vecchi rancori per motivi condominiali. L’agente avrebbe ferito lo straniero alla gamba destra, ma molto probabilmente il colpo gli ha reciso l’arteria femorale. Trasportato all’Ospedale San Paolo, a nulla sono serviti i tentativi di salvargli la vita. Il poliziotto è ancora sotto interrogatorio.

Droghe: Padova; multe a chi acquista o consuma stupefacenti

 

Notiziario Aduc, 31 gennaio 2009

 

Il sindaco di Padova, Flavio Zanonato ha firmato l’ordinanza che sanzionerà con 500 euro di multa chi acquista, detiene e consuma in luogo pubblico sostanze stupefacenti. Dopo il via libera del Prefetto, il provvedimento entra quindi in vigore su tutto il territorio comunale. L’amministrazione padovana contrasta così il dilagante degrado cittadino dovuto proprio allo spaccio e al consumo di droga nel centro storico e in altre zone residenziali della città. Nell’ordinanza firmata da Zanonato si fa divieto di "acquistare o ricevere a qualsiasi titolo sostanze stupefacenti e di consumare le sostanze in luogo pubblico o aperto al pubblico".

Nel documento si legge anche che il provvedimento dell’amministrazione vuole essere un ulteriore ausilio sul territorio per garantire ai cittadini maggiore sicurezza. Il sindaco ha spiegato che si tratta di "un piccolissimo strumento per combattere lo spaccio e la distribuzione di droghe che distruggono i nostri giovani. Come previsto dal decreto Maroni,- ha proseguito - proviamo a dare un contributo: è un’arma in più sul difficile versante della lotta alle dipendenze".

L’ordinanza non entra nel merito della lotta allo spaccio, puntualizza Zanonato. "Non ci occupiamo in questa ordinanza degli spacciatori - dice - perché chi vende droga è già sanzionato con multe da migliaia di euro e anni di carcere dalla legge ordinaria. L’ordinanza - chiarisce il primo cittadino di Padova - prevede in alternativa alla multa da 500 euro,la possibilità di ovviare alla sanzione amministrativa, con un percorso di recupero al Sert". Riguardo alla "spinellata" in piazza annunciata dal Centro sociale Pedro per mercoledì sera, Zanonato commenta: "Max Gallob probabilmente non sa - continua il sindaco - che se si autodenuncia per il consumo di sostanze stupefacenti in piazza, contravviene all’ordinanza ma magari per ragioni di opportunità non viene immediatamente sanzionato, però dà la facoltà al Prefetto di sospendergli la patente di guida da un mese ad un anno".

 

Prima multa di 500 euro

 

Un padovano di 46 anni è il primo multato dopo l’ordinanza antidroga firmata ieri dal sindaco di Padova Flavio Zanonato. L’ordinanza prevede una sanzione di 500 euro per chiunque acquista o riceve sostanze stupefacenti in aree pubbliche o aperte al pubblico insistenti in zone residenziali a Padova.

L’uomo è stato visto da una pattuglia della polizia municipale ieri pomeriggio mentre stava preparando una dose di cocaina in una zona non lontana dalla stazione ferroviaria. Abbiamo elevato questa sanzione - ha detto Maria Luisa Ferretti, vice comandante della polizia municipale - in applicazione dell’ordinanza firmata dal sindaco Zanonato. La persona multata ha tempo 30 giorni per fare richiesta di essere inserita in un programma di riabilitazione. Una richiesta che gli permetterebbe di evitare la sanzione di 500 euro.

Stati Uniti: "America criminale"; le gang dietro l’80% dei reati

 

La Stampa, 31 gennaio 2009

 

Il popolo delle bande è cresciuto di 200mila membri dal 2005 ad oggi e sta raggiungendo anche le aree suburbane e rurali. Sempre più forti anche i legami internazionali.

Contano un milione di membri e sono responsabili dell’80% dei reati commessi ogni anno in America: le gang, espressione criminale del disagio e dell’emarginazione delle grandi città, sono un fenomeno in crescita, che sta cominciando ad attecchire anche nelle zone suburbane e rurali e ad assumere un peso sempre maggior nel traffico internazionale di droga.

Sono questi i principali risultati del rapporto del Centro di ricerca sulle gang del Dipartimento di giustizia, che ha analizzato diffusione, composizione e attività del crimine organizzato negli Stati Uniti: la tendenza al rafforzamento del fenomeno delle bande si è manifestata chiaramente negli ultimi dieci anni e dal 2005 ad oggi il numero dei membri è cresciuto di 200mila unità. Del milione di affiliati alle gang, circa 147mila sono detenuti nei penitenziari locali o federali e 900mila "vivono nelle comunità locali in tutto il paese": nel 2008, il 58% delle forze di polizia locali ha rilevato la presenza di gang attive nella propria giurisdizione, il 13% in più del 2004.

L’ultima frontiera dell’attività delle bande sono i campus delle università provinciali, a dimostrazione del carattere ormai non solo più urbano del fenomeno, ma le gang americane stanno rafforzando il proprio peso e la propria presenza anche a livello internazionale, in particolare come "distributori di primo piano della maggior parte delle sostanze illecite": "Un numero crescente di bande americane sta sviluppando relazioni di lavoro" con organizzazioni, americane e straniere, dedite al traffico di droga e con altri gruppi, in modo da "ottenere accesso diretto a fonti straniere di sostanze proibite", rivela lo studio. Per mantenere i contatti all’interno di una rete sempre più ampia di affiliati, le bande scelgono di frequente gli strumenti informatici: diffusissime le e-mail crittate, che consentono di nascondere il contenuto della comunicazione.

Esemplare del trend di crescita delle gang è il caso degli MS-13, banda composta prevalentemente da immigrati salvadoregni: nata a Los Angeles negli anni Ottanta e nota soprattutto per la violenza delle sue azioni, è ora diffusa in 42 Stati e resiste, proprio grazie alla sua capillare diffusione, alle attività di sorveglianza e agli arresti messi in atto dalle autorità locali e federali. Ancor più di altre gang, gli MS-13 si stanno spostando fuori dalle metropoli, dove l’attenzione delle forze dell’ordine è troppo alta: "Questi gruppi sono stati colpiti duramente a Los Angeles", spiega Kenneth Kaiser, vicedirettore dell’Fbi, "Ma purtroppo stanno imparando da questa esperienza e si trasferiscono altrove".

Argentina: cinque detenuti evadono, dopo una partita di calcio

 

Asca, 31 gennaio 2009

 

Forse sono stati ispirati dal film "Fuga per la vittoria". Forse no. Fatto sta che hanno emulato in tutto e per tutto l’evasione di Sylvester Stallone, Michael Caine, Pelè, Bobby Moore e Osvaldo Ardiles, che di quel film erano i protagonisti. Ieri cinque reclusi, due dei quali ritenuti pericolosi, si sono volatilizzati allo stesso modo, sfruttando la confusione di una partita di calcio, dalla prigione della città di Santa Rosa, capoluogo della provincia della Pampa, nell’Argentina centrale.

Come ogni giorno, raccontano oggi i media, nel pomeriggio, nonostante il caldo torrido, i detenuti si sono impegnati in un "picadito", cioè una partitella, nel cortile del carcere e, a causa del gran caldo, le guardie si sarebbero ritirate nel fresco delle loro stanze. Ciò è bastato perché i cinque, dopo aver bucato una rete, aiutati dai compagni, formassero una piramide umana e scavalcassero un muro alto cinque metri. Mentre piombavano a terra, sono stati visti da alcuni passanti allibiti: uno di loro ha avvisato i responsabili del carcere, innescando una caccia all’uomo che, però, non ha dato alcun risultato. Tra gli evasi, anche Samuel Vargas, 37 anni, fisico da atleta ed esperto in fughe: già il 20 novembre scorso, infatti, sempre durante un "picadito", se ne era andato da solo dalla stessa prigione. Due settimane dopo, però, venne catturato.

 

 

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