Rassegna stampa 27 gennaio

 

Giustizia: la politica inganna, il violentatore non se l’è cavata!

di Luigi Ferrarella

 

Corriere della Sera, 27 gennaio 2009

 

La custodia cautelare non è affatto l’anticipazione del futuro "castigo" che il "colpevole" meriterà.

È crudele che la politica inganni l’opinione pubblica alimentando nei cittadini l’equivoco alla base delle polemiche sugli arresti domiciliari chiesti dalla Procura di Roma per il violentatore di una ragazza a Capodanno, come se costui l’avesse fatta franca per il solo fatto di essere oggi agli arresti a casa invece che in carcere.

Nell’ordinamento vigente, infatti, la custodia cautelare non è affatto l’anticipazione del futuro "castigo" che il "colpevole" meriterà per il delitto commesso, non è un antipasto della punizione, non è il modo di risarcire la parte lesa per il male patito e la collettività per l’infrazione alle regole.

La punizione per il dolore arrecato alla vittima, la pena equa per il delitto commesso, la sanzione che potrà disattendere le giustificazioni "buoniste" abbozzate dall’indagato (ero drogato, non ero in me, sono pentito), vanno chieste alla sentenza del processo, non adesso, alla carcerazione del giovane.

La custodia cautelare in carcere, invece, è solo uno strumento utilizzabile dai magistrati, per un limitato periodo di tempo e se ve ne sia motivo ricavato da specifici elementi, per tutelare la genuinità delle indagini dal pericolo di inquinamento delle prove, per neutralizzare il pericolo che l’indagato fugga, per contenere il rischio che ricommetta il reato.

Tre esigenze cautelari che, nel caso dell’indagato romano (reo confesso, incensurato, facilmente controllabile nell’abitazione dei genitori) il pm ha valutato soddisfatte già dagli arresti in casa in attesa del processo. Soluzione che, ad esempio, potrebbe invece non essere percorribile per un italiano con precedenti penali specifici; o per lo straniero sospettato di uno stupro, che potrebbe restare in carcere a motivo non di un discrimine etnico, ma dell’assenza di un domicilio certo che lascerebbe permanere il pericolo di irreperibilità e quindi di reiterazione del reato.

Tutto ciò la politica sa benissimo, ma si guarda bene dallo spiegarlo ai cittadini. Anzi continua a smarrirli e disorientarli, per esempio alimentando l’illusione per cui, se "è la legge sbagliata", allora "la si cambierà" in modo che per reati gravi come lo stupro la carcerazione prima del processo "sia obbligatoria": è una presa in giro, giacché chi la propone sa bene che la Consulta ha più volte rimarcato che contrasterebbe con i principi costituzionali qualunque norma che stabilisse per alcuni reati l’automatica applicazione della custodia cautelare in carcere, ribadendo invece che in base a quei principi deve essere sempre lasciato al giudice uno spazio di valutazione dell’indagato-concreto nel caso-concreto.

Ma l’assurdità e al tempo stesso la contraddizione più clamorose arrivano da quella politica che, negli arresti domiciliari all’indagato per stupro, censura l’assenza di "pene esemplari senza pietà" (come da destra il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna), o si duole che "così passi un messaggio di non gravità dello stupro" (come da sinistra la sua collega del Pd, il ministro-ombra Vittoria Franco).

Assurdo, perché il compito dei magistrati non è lanciare "messaggi" sui "fenomeni", e nemmeno produrre "esemplarità", ma giudicare singole persone in casi concreti. E contraddittorio, perché una magistratura che lanciasse "messaggi", o producesse "esempi", farebbe non il proprio lavoro ma supplenza della politica o della sociologia: cioè proprio quello che la politica critica, e a ragione, quando è la politica a subire quella "messaggistica" o quegli aneliti di "esemplarità" che talvolta affiorano nelle pieghe di provvedimenti giudiziari confusi, sovrabbondanti, sproporzionati.

Più utile forse del rituale invio di ispettori ministeriali alla Procura di turno, forse sarebbe dare concretezza ai tante volte annunciati, e altrettante volte rimandati o tenuti a bagnomaria, interventi pratici per velocizzare la celebrazione dei processi. Anche nel caso dello stupro romano, infatti, è su questo terreno che si giudicherà davvero la capacità dello Stato di dare una reale risposta alla ragazza violentata: non sulla manciata in più o in meno di giorni in carcere preventivo per il suo violentatore adesso, ma sulla rapidità di approdare al dibattimento, di celebrarne con le ordinarie garanzie il giudizio, e di assicurare l’effettività della pena definitiva.

Giustizia: Prestigiacomo; la legge anti-stupro c’è, va applicata

di Maria Corbi

 

La Stampa, 27 gennaio 2009

 

"Alle mie colleghe parlamentari, soprattutto le più giovani, chiedo di continuare ad occuparsi di economia e finanza ma di non abbassare mai la guardia sulle istanze femminili". È una Stefania Prestigiacomo che cela dietro la diplomazia da ministro un richiamo diretto alle donne della politica a serrare i ranghi a fare sentire di più e meglio la loro voce adesso che un’epidemia di violenze sessuali è tornata a colpire. Stupri di gruppo, stupri in discoteca, aggressioni domestiche, stalking.

 

Allora ministro il suo è un rimprovero alle parlamentari?

"Ma no, semmai un invito, perché in questi giorni oltre alla Carfagna, alle associazioni, e quella delle solite che si impegnano su questi temi, dalla Franco alla Mussolini alla Santanché non si è sentita forte e chiara l’indignazione delle donne in Parlamento. Mentre mi hanno colpito gli uomini, molto efficaci, da una parte e dall’altra".

 

Il Gip che ha disposto gli arresti domiciliari è una donna...

"Sconcertante, gravissimo. Perché annulla tutto quello che si è fatto e che si fa per dare certezze alle donne per dirgli che c’è una legge, che c’è assistenza".

 

I genitori della ragazza violentata a Capodanno hanno detto che si faranno giustizia da soli. Cosa potrebbe dirgli oggi?

"Che è comunque sbagliato, anche se capisco il loro dolore. Bisogna avere fiducia nelle istituzioni e pretendere che sia fatta giustizia. Certo la decisione di dare gli arresti domiciliari non aiuta. E non ci possono essere scuse, né la confessione, né avere commesso violenza sotto effetto di droghe, che semmai deve essere un aggravante. E in questo senso credo che la richiesta di un’ispezione del ministro Alfano per chiarire la legittimità di una decisione del genere da parte del Gip sia un buon segnale. Come sono importanti le sue parole, chiare, severe, che rompono con un certo atteggiamento maschile di valutare la gravità della violenza sessuale in maniera un po’ troppo leggera".

 

Il magistrato ha applicato la legge italiana. Forse c’è ancora bisogno di una stretta su reati come la violenza sessuale?

"Ci sono voluti 20 anni per approvare la legge sulla violenza e sono previste pene severissime che arrivano a 20 anni. Si può sempre migliorare l’impianto normativo, ma il problema vero è applicarla fino in fondo, dare certezza della pena, assistere le vittime per le spese legali".

 

Sotto accusa è la sicurezza nelle città. E quindi i sindaci.

"Non si può buttare la croce addosso ad Alemanno e agli altri sindaci che devono affrontare queste emergenza. Certamente in quello che accade c’è un richiamo forte, perché non sono accettabili quartieri dove manca l’illuminazione. E le telecamere possono essere un potente deterrente".

 

Alemanno ha annunciato anche una stretta sugli extracomunitari.

"Va seguita la linea già attuata dal governo, una stretta necessaria e che darà i risultati previsti. In Italia devono rimanere le persone che hanno un lavoro e che sono in regola. Chi delinque da noi lo faceva anche nel suo paese, ma certo anche vivere ai margini non aiuta ad avere comportamenti socialmente accettabili".

 

E l’esercito?

"La presenza dello Stato sul territorio può funzionare soprattutto dove non ci sono le risorse per aumentare vigili urbani e poliziotti. Non capisco le obiezioni su questo visto che unità aggiuntive aiutano certamente al controllo del territorio. Certamente bisogna anche informare e dire alle coppie che è meglio non appartarsi in luoghi bui e solitari".

 

E anche questa volta non è mancata una battuta di Berlusconi con relativa bufera politica. Lei come donna, più che come ministro, che cosa ne pensa?

"Trovo sconcertante che a proposito di uno stupro si debba leggere di polemiche su battute che sono state fatte in un determinato contesto. Il premier è un padre di famiglia ed è inorridito come tutti gli italiani davanti a questi fatti terribili. Queste forme di aggressioni politiche non pagano più all’opposizione oltre a fare male alla lotta contro la violenza perché spostano l’attenzione dal vero problema".

Giustizia: Giovanardi; gente indignata per decisioni magistrati

di Carlo Giovanardi (Sottosegretario alla presidenza del Consiglio)

 

Corriere della Sera, 27 gennaio 2009

 

Tutte le volte che l’opinione pubblica si ribella a decisioni della magistratura, come quella recente di Roma con la quale sono stati concessi gli arresti domiciliari ad un giovane reo confesso di un efferato stupro, la colpa ricade immediatamente sul Parlamento perché i magistrati che hanno assunto la decisione e i loro solerti fiancheggiatori proclamano che essi null’altro potevano fare che applicare la legge.

Le cose non stanno affatto così. Sono migliaia infatti i casi nei quali la custodia cautelare in carcere viene rigorosamente applicata a soggetti nel momento in cui non soltanto non si sa se sono colpevoli di aver commesso un reato, ma addirittura se il loro comportamento costituisce reato. Soltanto dopo anni e in troppi casi veniamo a sapere dalla stessa magistratura o che il reato non c’era o che non era stato commesso da chi nel frattempo, non colpevole, ha subito la pena di mesi e mesi di carcere.

Nel caso di Roma, viceversa, il reato è stato certamente consumato e lo stupratore ha confessato di essere il colpevole. Si osserva che in questo caso non c’è pericolo dì fuga, non si possono inquinare le prove, e il beneficio degli arresti domiciliari al posto del carcere comunque rende impossibile la reiterazione del reato.

Ma con questo ragionamento anche chi stermina i vicini di casa e confessa la strage (vedi caso di Erba) dovrebbe poter ottenere gli arresti domiciliari in attesa del processo, visto che non può né inquinare le prove né reiterare il reato. In realtà la decisione di Roma da un lato non tiene conto che la custodia cautelare in un caso di sicura condanna viene comunque scontata dal computo dell’espiazione della pena dopo la sentenza definitiva e dall’altro che un delitto così odioso e brutale come lo stupro non può essere sottovalutato, concedendo quei benefici che giustamente non vengono mai concessi a mafiosi o a rapinatori assassini.

La gente capisce questo e giustamente si indigna sia quando si attenua la pena per il rumeno assassino della signora Reggiani perché era ubriaco e perché la donna ha resistito alla violenza e quando lo stupro di Capodanno viene trattato con un atteggiamento di benevolenza. Il Parlamento avrà tante colpe ma non sicuramente quella di far leggi che avallano e giustificano queste decisioni discrezionali della magistratura.

Giustizia: Gonnella; "stupro di Capodanno", giusti domiciliari

 

Comunicato stampa, 27 gennaio 2009

 

Dichiarazione di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone: "Sbaglia Alemanno e sbagliano quelli che se la prendano con i giudici romani. Nel caso dello stupro di Capodanno i magistrati hanno agito legittimamente e in perfetta coerenza con quanto previsto dal codice di procedura penale. Non c’erano i presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere visto che il ragazzo era reo confesso e non sarebbe mai scappato. Oramai pare che il diritto e la Costituzione non valgano più niente. Valgono solo le chiacchiere da bar dei politici che alimentano un senso di insicurezza diffuso. La sicurezza è una cosa seria. A Roma i delitti sono in calo. Questa è una buona notizia. Di fronte ai delitti di criminalità comune i politici dovrebbero tacere e far lavorare serenamente la magistratura. In ogni caso quando i delitti diminuiscono è sempre il frutto di politiche sociali e criminali decise e promosse negli anni precedenti".

Giustizia: 30mila militari per le città italiane? La Russa frena

di Andrea Valle

 

Libero, 27 gennaio 2009

 

Quella di schierare nelle città italiane 30mila militari "è solo un’ipotesi". E comunque prima vederla realizzata ci vorrà "qualche mese". Ignazio La Russa, ministro della Difesa, frena sull’aumento dei soldati da impiegare per compiti di ordine pubblico. Cauto anche il collega Roberto Maroni, ministro dell’Interno: "L’aumento da 3mila a 30mila militari sarà discusso giovedì con il presidente della Repubblica". Dal Viminale arriva anche l’altolà del sottosegretario Alfredo Mantovano: "I soldati non devono sostituire le forze di polizia".

Dopo la proposta di Silvio Berlusconi di "aumentare di 10 volte il numero dei militari" dislocati nelle città, Ora i ministri interessati prevale la cautela. Per La Russa i soldati "sicuramente servono", ma modi e tempi sono tutti da definire.

"L’ipotesi di uno schieramento così massiccio è appunto solo un’ipotesi, qualcosa che ancora non è operativo e probabilmente non lo sarà per un bel po’". Soprattutto perché per trovare 30mila uomini disponibili "ci vorrebbe un periodo sicuramente più ampio di qualche settimana o di qualche mese". In ogni caso, assicura il ministro della Difesa, il contingente da destinare a pattuglie e vigilanze non proverrà dall’estero.

"Non è all’ordine del giorno. È possibile pensare di ridurre i soldati impegnati nelle missioni internazionali, ma non perché devono essere impiegati per pattugliare le strade. I militari non stanno certo a guardare il deserto dei Tartari", taglia corto La Russa facendo sua la battuta usata da Berlusconi per invocare l’impiego dei soldati.

Diverso è il caso degli attuali 3mila uomini in servizio sulle strade: "Maroni ed io siamo d’accordo nel riproporli immediatamente". Mercoledì dovrebbe arrivare il prolungamento del loro impiego. "Il governo nei prossimi giorni prorogherà di sei mesi la loro presenza nelle città", conferma Maroni. L’aumento a 30mila agognato da Berlusconi, invece, "sarà discusso con il presidente della Repubblica, che è il capo delle Forze armate, e con lui valuteremo cosa fare". L’appuntamento è fissato per giovedì, al consiglio supremo di Difesa presieduto dallo stesso Capo dello Stato.

"Non esiste oggi in Italia un’emergenza sicurezza o criminalità organizzata, esiste un’emergenza immigrazione clandestina", assicura Maroni. "Il nostro obiettivo è ridurre le violenze sessuali a zero. Se i militari potessero aiutare a ridurle, magari della metà, sarebbe un fatto estremamente positivo". Difficile, però, decuplicare il personale delle Forze armate: "Se il governo dovesse accogliere tutte le richieste che arrivano dalle città italiane per avere i militari, credo che non basterebbero neanche 30mila uomini".

In ogni caso la Lega, per bocca del capogruppo in commissione Difesa del Senato, Giovanni Torri, si dichiara comunque contraria all’impiego di 30mila uomini limitandosi a proporre il raddoppio dei soldati.

Il governo, però, si attira soprattutto le critiche del Partito democratico. "Il governo sta affrontando il problema della sicurezza con una superficialità senza precedenti", attacca Marco Minniti, ministro ombra dell’Interno. La collega Roberta Pinotti chiede all’esecutivo di riferire "nelle appropriate sedi istituzionali". Critici anche l’Associazione dei funzionari di Polizia e il sindacato Siap, che accusano il governo di offrire "soluzioni tampone a problemi di vecchia data".

Giustizia: Berlusconi; rapidamente stretta sulle intercettazioni

di Barbara Fiammeri

 

Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2009

 

Silvio Berlusconi vuole arrivare rapidamente alla stretta sulle intercettazioni. Finora le resistenze di An e Lega glielo avevano impedito. Per convincere gli alleati riottosi, il premier cavalca apertamente il caso Genchi, che definisce "lo scandalo più grande della Repubblica". La vicenda del vicequestore della Polizia (attualmente in aspettativa) Giocchino Genchi, consulente di numerose procure (tra cui quella di Catanzaro all’epoca di De Magistris) per le quali ha esaminato il traffico telefonico di migliaia utenze, è la "bomba" con cui il Cavaliere conta di ottenere dagli alleati il via libera alla sua linea: un’ulteriore restrizione nell’uso delle intercettazioni da parte dei Pm, rispetto alle limitazioni già previste nel testo all’esame della commissione Giustizia della Camera.

"Bossi è con me, mi ha assicurato che seguiranno quello che riteniamo più giusto", ha detto Berlusconi. Che può contare sulla disponibilità dell’Udc e su una posizione attendista di Walter Veltroni ("aspettiamo approfondimenti"). E anche Alleanza nazionale sembra avere assunto un atteggiamento più elastico. Ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che è anche reggente di An, a proposito del caso Genchi ha sentenziato: "È un’ulteriore conferma che l’abuso delle intercettazioni è arrivato a livelli inaccettabili. È necessario un giro di vite".

L’accordo - si dice - è ormai questione di ore. A Palazzo Grazioli, residenza romana di Berlusconi, si svolgerà oggi un nuovo vertice di maggioranza cui parteciperanno, assieme al Guardasigilli Angelino Alfano, l’avvocato del premier Niccolò Ghedini, il presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno (An) e per la Lega Matteo Brigandì.

Intanto, però, il superconsulente Genchi smentisce tutto, a partire da un eventuale coinvolgimento di Berlusconi nelle inchieste di De Magistris ("non c’entra nulla"), parla di una "grande mistificazione", nega l’esistenza di un archivio e assicura che lui in tutta la sua vita non ha svolto una sola intercettazione. La tesi del vicequestore è che qualcuno ha messo in giro ad arte nomi altisonanti che "non ci azzeccano con la realtà", mentre sono rimasti nell’ombra "i nomi dei pochi magistrati, giornalisti e appartenenti ai servizi sui quali effettivamente era incentrata l’attenzione di De Magistris".

Sull’attività di consulenza di Genchi sta facendo accertamenti anche il Copasir. Francesco Rutelli, presidente del comitato parlamentare per la sicurezza, ieri ha incontrato il presidente del Senato Renato Schifani e stamane vedrà quello della Camera Gianfranco Fini. "E prematuro definire questa vicenda come uno scandalo o una fandonia; ma, tra un’affermazione e l’altra, consiglierei di collocarsi in una posizione intermedia", ha dichiarato Rutelli, sottolineando che il caso Genchi non deve avere un legame diretto con "una nuova possibile normativa sulle intercettazioni telefoniche".

Il presidente del Copasir si è invece mostrato possibilista sulla proposta di una commissione d’inchiesta avanzata dal capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchito, ma ha anche ribadito che le intercettazioni "non possono essere né impedite, né limitate per reati importanti come quelli contro la pubblica amministrazione". Anche se - ha evidenziato - "i tabulati del traffico telefonico (di cui si è occupato Genchi, ndr) non sono meno rilevanti in termini di privacy delle intercettazioni". Il Copasir ascolterà il consulente venerdì. Lo stesso giorno davanti al comitato sfileranno anche Luigi De Magistris, il garante della Privacy Franco Pizzetti, i responsabili di Tim e Vodafone e i vertici dei Servizi segreti.

Giustizia: Ristretti Orizzonti; nel 2008 morti suicidi 48 detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 27 gennaio 2009

 

Un terzo messi in atto da detenuti soli in cella: 16 "isolati" e 3 nel regime del "41-bis". Maglia nera all’Opg di Aversa e alla Casa Circondariale di Viterbo. Gli osservatori: nel 2009 raggiunta la quota di 1.000 suicidi in 20 anni.

Nelle carceri italiane nel 2008 sono morti "almeno" 121 detenuti, dei quali "almeno" 48 per suicidio (alcuni casi sono dubbi e si attende l’esito delle indagini). Dal 1990 ad oggi si sono tolti la vita 957 detenuti e prevedibilmente nel 2009 verrà raggiunta la quota di 1.000 suicidi in carcere, nell’arco di 20 anni. È l’amaro commento dall’ufficio studi di Ristretti orizzonti che ha pubblicato il dossier "Morire di carcere".

Nel 2007 i suicidi tra i detenuti erano stati 45: quest’anno si sono verificati 3 casi in più, anche se per effetto della crescita della popolazione detenuta (da una media - nel 2007 - di 44.233 siamo passati a 51.167 come media del 2008) il tasso di suicidi su 10.000 detenuti è diminuito da 10,37 a 9,38. Il tasso di suicidio nella popolazione italiana è dello 0,51 ogni 10.000 abitanti, quindi in carcere i suicidi avvengono con una frequenza circa 21 volte superiore.

Particolarmente "a rischio" risulta essere la condizione di isolamento e nel 2008 un terzo dei suicidi sono stati messi in atto da detenuti che si trovavano soli in cella, o per disposizione dell’autorità giudiziaria, o per altri motivi: 16 delle vittime erano "isolati" e 3 di loro assegnati al regime di "41-bis".

"Il numero dei detenuti che durante l’anno sono soggetti alle diverse forme di isolamento non vengono diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, - spiega il Dossier - mentre sono noti quelli dei sottoposti al regime di "41-bis", il cosiddetto "carcere duro": nel quinquennio 2004-2008 il loro numero medio è stato di 562 e i suicidi sono stati 14.

Quindi il tasso di suicidio nel "carcere duro" è di 4,45 volte, rispetto al normale regime detentivo, e 93,45 volte superiore rispetto a quello riscontrato nella popolazione italiana". La "maglia nera" va Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (3 casi), al pari della Casa Circondariale di Viterbo.

I "casi" raccolti dal Dossier non rappresentano la totalità delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari, ma solo quelli che è possibile ricostruire, in base alle notizie dei giornali, delle agenzie di stampa, dei siti internet, delle lettere che ci scrivono i volontari o i parenti dei detenuti morti.

"Tra le 48 segnalazioni di suicidi in carcere che ci sono arrivate nel 2008 - spiegano gli osservatori - siamo riusciti a ricostruire soltanto le "storie" di 37 persone: 21 erano in attesa di giudizio e 16 stavano scontando una pena definitiva; 31 erano italiani e 6 stranieri, 33 uomini e 4 donne. La frequenza maggiore si è registrata tra le persone in attesa di giudizio - per quanto riguarda la posizione giuridica; tra gli italiani - per quanto riguarda la nazionalità - ; tra le donne - per quanto riguarda il genere.

Dei suicidi 11 avevano un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, 12 un’età compresa tra i 30 e i 40 anni, 9 un’età compresa tra i 40 e i 50 anni e 5 un’età compresa tra i 50 e i 60 anni. La frequenza maggiore si è verificata tra i 20-30enni, che rappresentano il 26% dei detenuti ma hanno messo in atto il 29,7% dei suicidi.

Il Dossier Morire di carcere 2008 nel complesso ha "registrato" 90 decessi, di cui 37 per suicidio, 32 per cause ancora da accertare, 20 per malattia e 1 per le complicazioni derivanti da uno sciopero della fame.

Giustizia: Bocconi; il sistema carcerario è costoso e inefficiente

di Tommaso Eridani

 

www.unibocconi.it, 27 gennaio 2009

 

Carceri tornate a livelli di sovraffollamento pre-indulto e che spendono in gestione più del doppio del necessario. Un Paper Econpubblica analizza l’efficienza del sistema penitenziario italiano.

Una situazione tornata critica, con la popolazione carceraria italiana risalita vicino ai livelli che spinsero all’indulto del 2006 e con un sovraffollamento cronico causato dal fatto che l’aumento di ricettività (+5,5% nel periodo 1995-05) non ha minimamente tenuto il passo con l’aumento di detenuti (+22%). È questo il quadro che emerge da un Paper di Econpubblica Bocconi che analizza l’efficienza del sistema penitenziario italiano e che sottolinea come il sistema sia distante dall’offrire condizioni accettabili per detenuti e personale e dal perseguire lo scopo della riabilitazione.

Se la soluzione può risiedere solo nel breve tempo in misure legislative o procedurali, come l’amnistia o l’introduzione di alternative alla carcerazione, in un’ottica di lungo periodo, secondo i ricercatori, va cercata invece proprio nella gestione più efficiente delle carceri. In tale ottica sembra volere muoversi il piano carceri presentato dal governo settimana scorsa.

Per valutare l’attuale efficienza del sistema il Paper (curato da Alberto Zanardi, Veronica Grembi, Fabrizio Balassone e Marco Camilletti) ha studiato i dati di 142 carceri (su un totale di circa 206 presenti in Italia) per il periodo 2003-05, quello immediatamente pre-indulto.

Tra i primi dati importanti che emergono, la dimensione ridotta delle carceri italiane visto che l’80% ha meno di 300 posti. Il sovraffollamento è evidenziato dal fatto che il totale dei detenuti sono il 130% della capacità ricettiva del sistema, con un tasso che eccede il 120% nell’80% delle carceri del Nord e del 50% del Sud.

Sul fronte della forza lavoro, il rapporto medio di polizia penitenziaria-detenuti è di 0,85, con valori più alti al Sud e al Centro rispetto al Nord. La spesa per il personale rappresenta il 70% del costo medio per detenuto, con il rimanente 30% che copre vitto, spese mediche, strutture, ecc.

"Guadagni di efficienza e risparmi di spese sono realizzabili attraverso miglioramenti gestionali e razionalizzazioni nella distribuzione degli organici," spiega Zanardi. "Se si tiene conto che per far funzionare il sistema penitenziario sono impegnati 43.000 agenti di polizia penitenziaria si capisce come la gestione del personale sia l’elemento-chiave dell’efficienza in questo comparto".

Raccogliendo i vari dati, infine, i ricercatori hanno elaborato un’analisi della funzione di costo delle prigioni italiane, scoprendo un tasso medio di inefficienza pari al 2,5. Ovvero, le prigioni italiane spendono 2,5 volte più di quanto necessario per essere gestite in modo efficiente, riconducibile soprattutto a un personale eccessivo e mal distribuito sul territorio.

Inoltre, secondo lo studio, la spesa media per detenuto è chiaramente correlata negativamente al numero di detenuti presenti nel carcere e, dato che l’80% delle carceri italiane ha meno di 300 posti, ci sono dunque notevoli economie di scala che andrebbero sfruttate per guadagnare in efficienza.

In conclusione, dunque, i ricercatori indicano come soluzione ottimale un programma di lungo periodo di costruzione di carceri più grandi, e dunque più efficienti. Del resto, il nuovo piano del governo presentato settimana scorsa pare orientato verso un programma più mirato per le carceri prevedendo la costruzione di nuovi istituti, iter più veloci per l’edilizia carceraria e circuiti differenziati per la detenzione.

In una prospettiva più immediata "uno sforzo di ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse - conclude Zanardi - con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali e non effimeri, stimabili in prima approssimazione in almeno un centinaio di milioni".

Giustizia: Alfano; fondi della Cassa Ammende erano inutilizzati

di Angelino Alfano (Ministro della Giustizia)

 

Libero, 27 gennaio 2009

 

Caro Renato Farina, ho letto con attenzione i tuoi due interventi relativi al problema delle carceri. Sono qui per tentare di rimuovere la tua delusione circa un aspetto del nostro provvedimento (e cioè la possibilità di utilizzare la Cassa delle Ammende anche per contribuire alla realizzazione delle nuove carceri, ovviamente rimanendo ferma la finalità originaria inerente il reinserimento dei detenuti e l’assistenza alle loro famiglie).

Non intendiamo, naturalmente, arretrare dalle finalità di reinserimento, né siamo talmente velleitari da immaginare di finanziare le carceri con i soli fondi della Cassa delle Ammende, avendo pubblicamente detto di sperare che sia determinante il contributo dei privati, men che meno di utilizzare tutti i fondi della Cassa per realizzare i nuovi istituti di pena.

Mi consentirai comunque, caro Renato, un richiamo alla concretezza: questi fondi giacciono in buona misura inutilizzati da molti anni (risultano, per l’anno in corso, non ancora impegnati circa 140 milioni di euro su un patrimonio iniziale di circa 180 milioni di euro).

Ci siamo posti una domanda: che senso ha assicurare il reinserimento futuro senza garantire la dignità presente? L’articolo 27, comma secondo, della nostra Costituzione prevede che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

La rieducazione del condannato è, già nelle chiare intenzioni del legislatore costituente, inscindibilmente collegata alla tutela della dignità del condannato nell’esecuzione della pena. Senza dignità della pena la rieducazione e il reinserimento del condannato nel tessuto sociale diventano pie intenzioni prive di concrete possibilità di realizzazione.

La situazione della popolazione carceraria è oggetto di costante attenzione e desta grande allarme, a causa della costante crescita della popolazione detenuta, che a breve raggiungerà la stessa consistenza numerica del periodo immediatamente precedente l’ultimo indulto.

Il governo ha manifestato sin dai suoi primi atti la chiara intenzione di farsi carico sollecitamente del problema carcerario, tracciando un rilevante segno di discontinuità rispetto al passato, quando il problema del sovraffollamento delle carceri veniva risolto con il ricorso a provvedimenti di clemenza, strutturalmente inidonei a risolverlo in modo duraturo.

Nel solco di tale azione, si inserisce la proposta di riforma dell’articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547, varata dal governo in occasione dell’ultimo Consiglio dei Ministri, che ha ampliato le finalità della Cassa delle Ammende, ente deputato a raccogliere le pene pecuniarie irrogate dallo Stato, consentendogli di finanziare anche progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie, unitamente alla possibilità già presente di finanziare programmi di reinserimento in favore di detenuti e internati e programmi di assistenza ai medesimi e alle loro famiglie.

Le ulteriori disposizioni oggetto della proposta normativa varata mirano, poi, a rendere maggiormente dinamica la gestione del patrimonio di tale ente, sino a ora ingessata da norme eccessivamente rigide e desuete, rendendo più agevole l’impegno di spesa per il finanziamento dei programmi di reinserimento e di assistenza in favore dei detenuti.

Con tale intervento, si è inteso pienamente restaurare il binomio dignità della pena - rieducazione, prevedendo la possibilità di finanziare non ogni intervento di edilizia carceraria, ma solo quelli concretamente finalizzati a garantire il miglioramento della vita dei detenuti.

Particolarmente importante, al riguardo, è l’intenzione di procedere anche con i fondi della cassa delle ammende ad avviare progetti per la costruzione di infrastrutture che consentano condizioni di detenzione più umane, anche mediante la realizzazione di circuiti penitenziari separati e dedicati ai detenuti a bassa pericolosità, destinati a scontare pene brevi o in situazioni di carcerazione preventiva.

Ciò è stato fatto nella piena convinzione che soltanto attraverso la garanzia di condizioni di detenzione più umane la pena può svolgere efficacemente la funzione rieducativa riconosciuta dalla nostra Costituzione. Il condannato è una persona che ha sbagliato e che deve pagare il suo conto nei confronti della società, ma la privazione della libertà non deve risolversi giammai nella privazione della dignità, perché solo attraverso il riconoscimento della sua dignità umana si possono dare delle concrete chance al progetto del reinserimento nel tessuto sociale cui deve mirare, nel nostro ordinamento, l’esecuzione della pena.

Giustizia: Cnvg; quella di Alfano sarà una riforma al contrario

 

Comunicato stampa, 27 gennaio 2009

 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il "piano carceri", provvedimento per dare risposta all’emergenza del sovraffollamento penitenziario, per poter ampliare la capienza degli istituti ad oltre 60mila detenuti (a fronte degli attuali 43mila posti).

Con questo piano, il ministro Alfano dichiara di rispondere alle urgenze che causano un aumento dei detenuti e di salvaguardare sempre la dignità dei ristretti.

La copertura economica di questo piano prevede che una parte dei fondi siano tratti dalla Cassa delle Ammende, ed il Governo apre anche ai finanziamenti privati attraverso lo strumento del "project financing" per la costruzioni dei nuovi edifici.

Già al convegno nazionale Seac 2007 il volontariato aveva lanciato l’allarme sul rapido riempimento degli istituti, prevedendo che entro la metà del 2009 le carceri sarebbero state di nuovo sovraffollate come prima dell’indulto, in quanto già negli ultimi mesi del 2007 il ritmo delle carcerazioni era aumentato, portando la media mensile degli ingressi tra 800 e 1.200 persone e rendendo pressoché invivibile il carcere non solo per i detenuti, ma anche per gli stessi operatori penitenziari. L’allarme lanciato non era fine a se stesso, privo di contenuti operativi. Nelle proposte operative si sottolineavano vari punti:

- L’estensione delle misure alternative alla reclusione. Da oltre trenta anni la loro applicazione ha portato a una media annua, fino a prima dell’indulto, di 45 - 50.000 soggetti che hanno dimostrato una recidiva molto bassa (5% per gli affidamenti in prova, 19% per i tossicodipendenti a fronte del 67% dei dimessi dal carcere). Le misure alternative non sono da considerare dei "benefici assistenziali", sono anch’esse pene vere e proprie con il loro rigore e i loro obblighi e prescrizioni; hanno dimostrato di costituire delle pene con un livello enormemente inferiore di recidività, eliminando il "di più" di pena connesso alla carcerazione; costano anche infinitamente di meno della reclusione: il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria stanzia il 95% dei fondi alla reclusione e il 5% alle misure alternative nonostante esse raggiungano in media il 50% dei soggetti condannati. L’equivalente di circa 100 Istituti di media capienza. Per potenziarle basterebbe spostare, inizialmente, il 5% del bilancio dagli istituti alle misure alternative, per arrivare successivamente almeno al 10%. Attraverso le misure alternative alla detenzione si potranno reinserire molti degli attuali detenuti, la cui maggioranza è formata da persone in disagio sociale. Si potrebbero così potenziare anche i lavori socialmente utili e le attività "riparatrici", riservando il carcere ai soggetti condannati per i reati più gravi, ottenendo, con l’auspicato sfollamento degli istituti, anche migliori possibilità di trattamento durante la reclusione.

- Sviluppare i percorsi terapeutici e trattamentali per i tossicodipendenti sperimentati dal Ministero della Giustizia con il progetto Dap-Prima, eliminando però i nodi critici, amministrativi, giuridici ed economici che ne hanno limitato e condizionato la riuscita (tenendo anche presente che i tossicodipendenti non possono anch’essi trarre alcun vantaggio dalla carcerazione).

- Risoluzione definitiva del problema delle detenute madri, per toglierle - col figlio - dalla reclusione attraverso specifiche misure alternative.

- È necessario avviare una riflessione con tutte le istituzioni interessate per verificare la possibilità di anticipare alcune linee di riforma del sistema penale che siano in grado di superare l’attuale centralità della pena detentiva come unica risposta dell’ordinamento ad ogni forma di devianza e procedere nella direzione di un ampliamento del ventaglio delle sanzioni principali, affiancando alla tradizionale pena detentiva (unica in concreto applicata) un nuovo catalogo di sanzioni non detentive, irrogate direttamente dal giudice del processo, da gestire all’interno della comunità sociale, così da evitare gli effetti desocializzanti tipici del carcere.

Le nuove pene alternative, irrogate dal giudice con la sentenza, dovrebbero essere accompagnate da una previsione di immediata operatività, nel senso che le misure di sostegno e di controllo che le caratterizzano dovrebbero essere attivate fin dal momento della emissione della sentenza di condanna di primo grado, poiché la presa in carico di una persona da parte di servizi o istituzioni pubbliche o private (gli U.E.P.E. i Ser.T., le Comunità terapeutiche…), ai fini dello svolgimento di una prova o di una misura prescrittiva, non può essere rinviata nel tempo in attesa della irrevocabilità della sentenza, pena il suo sostanziale fallimento.

Analoghe finalità possono essere raggiunte dal graduale introduzione nel diritto penale degli adulti dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, caratteristico della giustizia penale dei minori, (proposta già giustamente avanzata dal Ministro Alfano) che può risultare particolarmente utile a prevenire quelle forme di recidiva, molto frequenti nei giovani adulti, che si manifestano per la sostanziale incapacità dell’ordinamento di predisporre efficaci strumenti di probation coniugati ai necessari interventi sociali. La sospensione con messa alla prova, che potrebbe affiancarsi, in una prima fase sperimentale, alla tradizionale sospensione condizionale della pena, può fornire una efficace risposta anche ai temi della giustizia ripartiva in linea con gli standard europei che richiedono una maggiore attenzione al ruolo delle vittime dei reati. Proposte in linea con le indicazioni tracciate nella bozza di riforma del Codice Penale elaborata nella scorsa legislatura dalla Commissione Pisapia, e purtroppo mai approvata.

Se il carcere continuerà a rappresentare, anche a livello di investimenti di risorse, l’unica risposta che l’ordinamento è in grado di offrire ai problemi della devianza sarà sempre più difficile, per chi sia entrato nel circuito carcerario, accedere alle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario.

Va poi considerato che è dato ormai condiviso da tutta la dottrina penitenziaristica che l’aumento del tasso di carcerizzazione (v. esperienza degli Stati Uniti d’America) non valga di per sé a costituire un’efficace risposta al problema criminale, stante la sua comprovata inefficienza anche sul fronte dell’abbattimento della recidiva specifica. Se il carcere continua ad estendersi ne consegue una trasformazione evidente degli strumenti tradizionali della politica e degli interventi sociali.

La gestione ordinaria e la costruzione di carceri sono molto costose. Francamente, avevamo sperato che la crisi avrebbe inciso sulla soluzione di alternative penitenziarie, e che, perlomeno per motivi economici, la scarsità di risorse finanziarie a disposizione avrebbe potuto (o dovuto) indirizzare a scelte diverse dall’aumento dei posti in carcere. Invece, la scarsezza di risorse pubbliche sta determinato lo smantellamento di servizi in altri settori ma non in quello carcerario; almeno non nell’edilizia, a quanto pare, poiché è invece evidente lo stato di sofferenza degli istituti in termini di servizi essenziali: assistenza sanitaria, celle al freddo, qualità del cibo, vestiario, ecc.

Le carceri si sviluppano dunque secondo una dinamica che può trascendere la congiuntura economica; perciò è ancora più importante lavorare per evitarne l’estensione.

Lavorare per compiere scelte differenti significa investire nell’aumento degli organici della magistratura di sorveglianza e del personale addetto, nella copertura dei posti disponibili negli organici degli assistenti sociali, degli educatori, e degli esperti psicologi e psichiatri (trasferendo alcuni degli operatori distaccati in compiti amministrativi alle loro vere funzioni), garantire mezzi a disposizione degli Uepe per sviluppare l’applicazione delle misure alternative (magari direttamente dalla fase di giudizio), per le attività di sostegno alla rete dei servizi territoriali (inserimenti presso comunità terapeutiche, case-alloggio, case famiglia; borse di studio e di lavoro; incentivi per gli artigiani e le aziende interessate ad assumere i condannati alle misure alternative); significa, soprattutto, investire sull’esterno.

I fondi della Cassa delle Ammende, sorta appositamente per l’accompagnamento degli ex detenuti, giacciono utilizzati solo parzialmente. La legge prevede che i suoi fondi siano adoperati per sostenere programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, e programmi che tendano a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione.

La proposta di finanziare i nuovi istituti "leggeri" con questi fondi suona come l’applicazione della riforma alla rovescia. Ciò che dovrebbe essere destinato per la risocializzazione viene utilizzato per la reclusione; ciò che può favorire la rieducazione del condannato, la sua possibilità di integrazione e quindi la minore recidiva, viene ridotto o tolto. Pertanto, non possiamo che esprimere disapprovazione su questa scelta.

Indubbiamente, gli istituti fatiscenti vanno sostituiti: strazia il cuore e la decenza leggere di detenuti ubicati sotto il livello del mare come a Favignana, situazioni che aggiungono ulteriore scempio al concetto di dignità umana.

La gestione pubblica della pena ne garantisce la sua trasparenza. L’ingresso di privati, come annunciato nel "project financing", rischia di mettere ombre al sistema di garanzie che il pubblico deve detenere; è quindi alle articolazioni istituzionali che vanno chiesti mezzi e risorse.

La gestione della detenzione e della pena devono essere inserite in una complessità di operazioni, le loro interrelazioni e la loro integrazione postulano una forte volontà politica da parte degli amministratori per realizzare una stretta collaborazione tra il Ministero, le Regioni, gli Enti Locali e la "società civile", tutti organismi impegnati a diverso titolo e responsabilità, in una migliore gestione delle carceri, della pena e delle misure alternative. È attraverso politiche mirate sull’esterno che si possono garantire minor recidiva, minore emarginazione, una esecuzione più utile della pena.

Il Ministro Alfano sostiene: "Abbiamo poco tempo e pochi soldi". È vero, e qualcosa va fatto in fretta, qualcosa d’altro si può fare, oltre alle proposte elencate. Ad esempio, si può richiedere una convocazione urgente della "Commissione Nazionale per i rapporti tra il Ministero della Giustizia, le Regioni, gli Enti Locali e il Volontariato" che, nella riunione del 19 marzo 2008, ha approvato all’unanimità le "Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria": queste, sottolineando le ragioni della necessità dell’inclusione e i danni prodotti invece dall’esclusione, delineano in modo preciso i principi e le modalità della collaborazione tra istituti e servizi del Ministero, la programmazione regionale, gli interventi dei servizi socio sanitari e culturali territoriali e il volontariato, fino all’inserimento delle attività per i condannati nei "Piani Sociali di Zona" previsti dalla legge 328/2000. Della commissione fanno parte le Regioni, il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Ministero della Solidarietà Sociale, l’ANCI, e il Volontariato

Si tratta di attualizzare e di concretizzare tali linee guida che offrono un modello di "governance" che nega la "centralità" del carcere come unica forma di pena, afferma l’importanza dello sviluppo delle misure alternative, riconosce la necessità dell’integrazione, nei rispettivi ruoli, tra Ministero della Giustizia, Regioni, Enti Locali, Servizi Territoriali e Società, offre le modalità per stabilire un piano organico e stabile, adeguato alle necessità locali, uscendo finalmente dal rincorrere di volta in volta l’emergenza che si presenta.

In alcune città e Regioni alcuni operatori penitenziari stanno cercando di rendere fattibili queste proposte, attraverso la loro determinazione ed il forte coinvolgimento degli Enti Locali; queste esperienze dimostrano che lavorare in questa direzione è possibile. Significa lavorare nelle città, nei singoli Provveditorati e istituti, con la magistratura di sorveglianza locale, individuare i soggetti che potrebbero essere proposti per una misura alternativa e comprenderne i bisogni, sviluppare e sostenere nel complesso tali misure in rapporto al numero dei soggetti beneficiari: alloggi, comunità di accoglienza, disponibilità della Chiesa locale, del volontariato, formazione e collocamento al lavoro, rapporti con le famiglie e con l’ambiente, accompagnamento nel trattamento,

La drammatica situazione in atto non può trovare risposte unicamente nell’edilizia carceraria che non potrà mai costituire l’unica soluzione al problema; ed inoltre sarebbe un’ulteriore occasione perduta per non scegliere di moltiplicare il numero delle prigioni, per compiere una scelta differente, finché siamo ancora in tempo.

 

Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

e Seac- Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario

Carceri: Bernardini; così Alfano saccheggia la Cassa Ammende

 

Ansa, 27 gennaio 2009

 

Con un emendamento al Decreto Milleproproghe "il ministro Alfano si appresta a stravolgere le finalità della Cassa delle Ammende, aggiungendo la costruzione di nuove carceri. Da lui mi aspettavo più correttezza e ragionevolezza". Ad affermarlo è Rita Bernardini, deputata del gruppo Radicali-Pd e membro della commissione Giustizia, a proposito del piano carceri annunciato dal Guardasigilli.

Bernardini torna a denunciare le "condizioni indegne" di vita dei detenuti nelle sovraffollate carceri italiane: "I soldi non ci sono, e - aggiunge in una nota la parlamentare - il ministro della Giustizia, dopo i tagli sui bilanci delle carceri esistenti, decide di saccheggiare la Cassa delle Ammende non per il finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione, come prevedono l’Ordinamento Penitenziario e l’art. 27 della Costituzione, ma per costruire nuove galere".

"Oltre a non fare alcuna riflessione sulla decarcerizzazione, che prevede pene più efficaci della permanenza in galera ai fini della riduzione della recidiva, nulla ci fa sapere il ministro sui motivi che lo spingono a costruire nuove carceri mentre ce ne sono decine costruite in passato e mai aperte per mancanza di personale; nulla ci dice su dove prenderà i soldi per gli addetti alle nuove galere; nulla ci dice il ministro - conclude Bernardini - sul fatto che il 50 per cento dei detenuti vengono scarcerati entro i primi 11 giorni".

Giustizia: Russo Spena; piano Alfano è manna per speculatori

 

Apcom, 27 gennaio 2009

 

"Il piano carceri approvato dal Consiglio dei Ministri è totalmente fallimentare: una manna per eventuali speculazioni. In Italia la costruzione di nuove carceri è sempre stata accompagnata da ruberie e lungaggini. Si pensi allo scandalo delle carceri d’oro e a quello del carcere di Gela, non ancora completato dopo 50 anni". Lo afferma in una nota Giovanni Russo Spena, responsabile nazionale giustizia Prc-Se.

"Sembra che il vero interesse del governo - spiega Russo Spena - non sia quello di creare maggiore sicurezza quanto quello demagogico di fare annunci inefficaci e dispendiosi. Come giustamente osservato dall’Associazione Antigone le priorità in tema di giustizia e sicurezza sono ben altre, come ad esempio, depenalizzare i reati legati al soggiorno irregolare degli stranieri e al consumo di droghe, introdurre nuove sanzioni penali non detentive per contrastare efficacemente la micro-criminalità. L’attuale governo, al contrario, pensa soltanto ad ampliare le garanzie e le immunità dei corrotti nascondendo le proprie malfatte con interventi spot contro gli stranieri e i deboli".

Giustizia: manicomi criminali, roba da matti... o da ammattire

di Donatella Poretti (Senatrice Radicali-Pd)

 

Aduc Salute, 27 gennaio 2008

 

Ospedale Psichiatrico Giudiziario, meglio, manicomio criminale. Nelle colline vicino a Firenze, a Montelupo una splendida villa medicea ne ospita uno. La villa in realtà ospita l’amministrazione, le ex stalle e un altro edificio ospitano i matti. Chi prosciolto in sede di processo, chi impazzisce dopo la condanna in carcere e chi è matto a metà (i seminfermi).

Entri nella splendida villa e poi passi nel reparto accoglienza. Il termine non si addice al primo girone infernale. Sono poche celle, piene di uomini che sono appena arrivati e che devono essere esaminati per capire dove sistemarli. Altri vengono rimandati in osservazione dalle sezioni perché hanno fatto una rissa, hanno dato in escandescenze, insomma devono essere almeno momentaneamente allontanati. C’è anche la cella con i letti di contenzione, non più di 24 ore assicurano i medici e gli infermieri, e proprio quando non se ne può fare a meno.

Nell’edificio, recentemente ristrutturato, trovi quel ragazzo che ti chiede se anche usate gli puoi mandare delle bambole Barbie, a lui piacciono tanto. Poi trovi un signore che ti obbliga a segnare il suo vero nome, non quello con cui è stato registrato, e il nome del suo avvocato di Los Angeles, devi assolutamente farlo uscire, altrimenti morirai anche tu per colpa degli esplosivi telecomandati che ha in bocca e ti mostra a sostegno della sua tesi alcune radiografie. A me possono sembrare delle otturazioni, ma io sono in visita.

Saliamo di un piano, un nuovo girone. Il fumo spesso comunque resta. Ovviamente se venissero vietate le sigarette il luogo esploderebbe davvero, e nonostante il nome ospedale, il divieto di fumo resta appeso come mera formalità e suggerimento fornito da un mondo diverso rispetto a quello. Trovi un "camorrista" che dopo averti spiegato che lui sta benissimo e che ha pagato profumatamente - 25 mila euro - una perizia psichiatrica per non finire in carcere, ora se ne vorrebbe anche andare, ma inizia ad intuire che la condanna più lieve della misura di sicurezza rischia di trasformarsi in una sorta di "ergastolo bianco".

Il termine circola tra gli internati e rende bene il concetto: nessuna condanna, nessuna pena, ma la proroga che può andare avanti all’infinito finché un medico ravveda gli estremi della pericolosità sociale. Trovi anche chi ti dice che ascolta Radio radicale e Radio carcere in particolare, e uno che vorrebbe l’indirizzo privato, molto privato, di Emma Bonino perché le piace molto.

Sali di piano, ti porti sempre dietro il fumo e lasci le due sezioni Arno e Pesa per salire alla Torre al terzo piano dove restano ancora 4 celle dell’ala vecchia, in funzione fino allo scorso anno. Fanno semplicemente più schifo, ma certo anche le nuove sarebbe da capire come mai invece che farle singole o al massimo da due siano state progettate per quattro o cinque, e così visto il sovraffollamento cronico sono ammassati sette o otto letti e relativi pazienti-internati-carcerati. Non tutti sono in piedi, molti dormono.

Alcuni per i farmaci, altri per noia, altri per malattia. Trovi quello che anche senza essere psichiatra puoi dire essere un "grafomane", scrive a tutti, giornali, garanti per i detenuti, parlamentari e a tutti racconta dell’inferno del lager che vive quotidianamente. Ti accompagna e ti fa vedere i casi più penosi, poi ti chiede se gli mandi dei giornali porno, glieli hanno ingiustamente sequestrati, una censura che sostiene abbia colpito anche i suoi quotidiani preferiti, Unità e Manifesto, che gentilmente ora gli vengono spediti in abbonamento. Così, dice sempre lui e così racconta nelle lettere.

Lucide lettere di denunce su pestaggi, di violenze sulla magistratura di sorveglianza e sui trattamenti sanitari obbligatori. Scrive sui letti di contenzione, scrive sullo sporco e sul freddo. Inaugurata un anno fa l’ala ristrutturata ha continui problemi di caldaia, a dicembre per molti giorni non funzionava il riscaldamento, torno in visita i primi di gennaio e il "camorrista" mi mostra che ora c’è il problema opposto, dai rubinetti esce solo acqua calda! Possono farsi il tè, penso io, oppure visto che è inverno mettere la bottiglia alla finestra e nel giro di poco tempo è fredda. Insomma, basta organizzarsi.

Ridiscendi i gironi, sempre seguita dalla densa nuvola di fumo di sigarette, ignori il passeggio, l’hai già visto prima e ti piange il cuore rivederlo. Attraversi un bel giardino, c’è l’orto, lo spazio per i colloqui all’aperto, il campo da calcio e vai all’Ambrogiana, quella ambita da tutti gli internati di Montelupo.

La struttura è ancora più fatiscente, le pareti scrostate ma almeno è più tranquilla, le celle sono da uno, ma spesso diventano da due e sono liberi di girare al suo interno sempre. Una cella presenta un ordine maniacale, appese fotografie e poster sul leone, un bell’animale che anche lui non sta bene in gabbia, verrebbe da pensare.

Il signore si sta preparando da mangiare e le tendine, il tappetino e il tavolo ben apparecchiato ti trasportano con il cervello in un altro luogo. Talvolta ammette che per problemi di sovraffollamento è costretto ad ospitare un altro detenuto e non è detto che sia preciso come lui e quel luogo viene contaminato, profanato. In fondo al primo piano c’è un ragazzo che voglio vedere, non so cosa ha fatto, non mi interessa saperlo di nessuno, ma sua mamma mi scrive almeno una mail al giorno perché è preoccupata per la sua salute. Uno dei pochi che ha ancora una famiglia fuori pronta e desiderosa di riprenderselo.

Il 22 dicembre questo era il quadro degli ospiti-internati: presenti 186 persone a fronte di una capienza prevista di circa 110, suddivise nelle varie sezioni: sezione seconda - Ambrogiana - circa 70; nell’altra, costituita dalle ex-stalle della Villa Medicea Torre 52; Arno 37; Pesa circa 30. Età media di 41 anni. La presenza di stranieri è di appena il 10%. Per oltre il 70% sono reati contro la persona, il 40% omicidi compiuti per lo più in ambito familiare. Il 40% degli internati è stato prosciolto durante il processo, il 30% è in attesa di giudizio, gli altri semi-fermi o inviati in osservazione dalle carceri. Risultano lavoranti interni circa 45 ospiti, uno solo in articolo 21 esterno alla struttura.

Gli agenti di polizia penitenziaria risultano essere appena 100, di cui 20 destinati al nucleo "traduzioni": nel complesso, conteggiati i distaccati, risultano mancanti almeno 20 agenti, rispetto ad un organico che è comunque tarato su 110 detenuti. Non va meglio per la parte sanitaria, recentemente non più medicina-penitenziaria, ma facente capo al Sistema sanitario nazionale, dove a essere garantita 24 ore su 24 è solamente la guardia medica, perché manca lo psichiatra dalle 18 alle 9 e dalle 14 del sabato alle 9 del lunedì.

Ho scritto una lettera al presidente della Commissione Sanità dopo le due visite, a distanza di poche settimane l’una dall’altra. Il degrado umano e lo stato di abbandono terapeutico in cui versano gli Opg in Italia da tempo, rappresenta qualcosa che non può essere oltremodo taciuto e accettato. Sono in totale circa 1.200 gli ospiti-detenuti (più tecnicamente "internati") dei 6 ospedali psichiatrici giudiziari. Nonostante il nome rassicurante di "ospedale" sono veri e propri manicomi criminali, dove l’aspetto della cura e della terapia passa in secondo piano rispetto a quello della detenzione e della sicurezza.

Un meccanismo perverso, che decreta come persone che devono essere curate -e che infatti non vengono neppure condannate, ma prosciolte, cui viene comminata una misura di sicurezza, o che vengono mandate in "cura" dalle carceri- vengono chiuse nelle celle, e sorvegliate dagli agenti penitenziari. Quindi, a seguito di un proscioglimento per incapacità di intendere e di volere, o per sopravvenuta incapacità durante la carcerazione, si può finire in questo vero e proprio girone dantesco che si configura come un "ergastolo bianco". Le proroghe di 2, 5 o 10 anni possono ripetersi, infatti, all’infinito, laddove una perizia psichiatrica ravveda gli estremi della pericolosità sociale. Perciò una persona mai condannata per alcun reato si può ritrovare a scontare di fatto un "fine pena mai".

Grazie alla riforma della medicina penitenziaria, ora di competenza delle Asl, gli Opg possono essere di esclusiva competenza sanitaria, regionalizzati e magari distribuiti in piccole strutture medicalizzate, con sorveglianza e sicurezza solo esterna, mentre accanto ai malati internati dovrebbero esserci medici, infermieri e attività di recupero.

Per Montelupo Fiorentino ho depositato una interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia in merito alle denunce dei pestaggi e del degrado, per la quale attendo risposta. Ma più in generale, dato anche che la materia ora è di esclusiva competenza sanitaria, ritengo sia indispensabile che anche le commissioni Sanità dei due rami del Parlamento siano al più presto investite della conoscenza, dello studio e di una mobilitazione in termini di proposte legislative sulla situazione degli Opg.

È questo, dunque, il punto della lettera con cui chiedo che la Commissione Sanità al Senato possa al più presto considerare l’opportunità di divenire sede istituzionale per una approfondita indagine conoscitiva sullo stato giuridico e di gestione di queste strutture.

Giustizia: i Sindacati di Polizia Penitenziaria uniti contro il Dap

 

Comunicato stampa, 27 gennaio 2009

 

Nel corso dell’incontro unitario svoltosi nella giornata di ieri i Segretari Generali delle OO.SS. rappresentative della Polizia Penitenziaria, oltre ad aver affinato la proposta unitaria da portare al tavolo contrattuale (la riunione è stata rinviata al 28 gennaio) hanno anche deciso di non rispondere alla convocazione fatta pervenire dal Capo del Dap - Commissario Straordinario per l’edilizia penitenziaria, Pres. Ionta.

I motivi di tale rifiuto sono da ascriversi non solo alla lontananza della data di convocazione (13 febbraio) e all’ordine del giorno non condiviso (sovraffollamento), quanto dal silenzio del Ministro Alfano che continua ad ignorare le richieste unitarie delle OO.SS. volte ad un incontro per riflessioni congiunte sugli organici da rideterminare e sulle tante, troppe, criticità in atto. È ben chiaro che stante l’attuale situazione di stallo e di fermo totale una manifestazione nazionale di protesta diventa sempre più una concreta possibilità.

 

Di seguito il comunicato stampa unitario

 

Ennesima delusione delle Organizzazioni Sindacali della Polizia Penitenziaria, dopo la mancata convocazione da parte del Ministro della Giustizia Alfano a cui era stato chiesto un incontro urgente in relazione alle decisioni sul sovraffollamento delle carceri e sugli organici assunte dal Consiglio dei Ministri il 23 gennaio u.s.

"Dopo il danno la beffa di vederci convocati solo dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - neo Commissario per l’edilizia penitenziaria Franco Ionta, addirittura per il 13 febbraio", affermano i Segretari Generale di Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cgil, Uspp, Fsa/Cnpp, Siappe, che comunicano anche: " a tale incontro non andremo e non è escluso che entro qualche giorno il Ministro Alfano e il Capo del Dap Ionta per incontrarci debbano venirci a cercare nelle piazze in cui faremo sentire finalmente la voce di profondo dissenso di tutto il Personale".

Porto Azzurro: Coop. San Giacomo; più lavoro per i detenuti

 

Il Tirreno, 27 gennaio 2009

 

"Gli enti pubblici si devono far carico delle problematiche inerenti le carceri italiane. Sono problemi che non devono solo riguardare questa o quell’altra municipalità, ma tutta l’Isola, Parco nazionale compreso".

Lo dichiara Domenico Zottola, educatore all’interno dell’istituto di Forte San Giacomo e direttore della cooperativa San Giacomo, che costituitasi il 20 ottobre 2000 ha tra i suoi obiettivi primari quello della promozione di nuove opportunità di lavoro per detenuti in semilibertà. L’esperimento condotto negli anni precedenti ha sortito gli effetti sperati, ma adesso, in fase di recessione del tipo di quella che la nostra società sta attraversando è necessario non perdere di vista di promuovere modelli di sviluppo e di lavoro destinato a ex ristretti o detenuti in semilibertà attualmente ospiti del forte di San Giacomo.

"Non è facile - riconosce lo stesso educatore - mantenere gli stessi standard degli anni precedenti. Bisogna impregnarsi affinché il cammino intrapreso alla fine del Duemila con così tanto entusiasmo non si persa e si smarrisca per strada". Per il momento sono state quattro le municipalità elbane che avevano manifestato interesse per impiegare questa mano d’opera. Il comune di Portoferraio e quello di Porto Azzurro, quindi Rio nell’Elba e Rio Marina.

"Dovrebbe esserci una partecipazione più ampia - considera ancora il direttore della cooperativa - perché solo con una disponibilità maggiore si risolvono i problemi". Attualmente sono una trentina i detenuti (o ex detenuti che risiedono però sull’Isola) che fanno parte della cooperativa.

Le attività di cui si occupano nella maggior parte dei casi riguardano manutenzioni edili, manutenzione generale delle aree e del verde pubblico (sotto queste voci sono stati occupati a Portoferraio e Rio nell’Elba), ma anche di agricoltura; infine Pianosa. "La cooperativa - dice Zottola - gestiva il servizio ristorazione a Pianosa. Siamo ora in attesa di conoscere i programmi di cui si è dotato il Parco, per vedere - conclude - se ci sarà ancora spazio per noi".

Milano: creata una banca-dati, per trovare lavoro ai detenuti

 

Ansa, 27 gennaio 2009

 

Il lavoro nobilita l’uomo. Ma non solo: è uno degli elementi su cui poter fondare percorsi di riabilitazione sociale. A questi principi si è ispirato il progetto, promosso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia, volto al reinserimento e all’integrazione dei condannati. L’inaugurazione avverrà il 29 gennaio 2009 alle ore 10.30 all’interno della Casa Circondariale di Milano San Vittore.

Quest’iniziativa attribuirà alla condanna una finalità positiva: la riabilitazione del detenuto riducendo il rischio di recidiva ed elevando, così, il livello di sicurezza sociale. L’Amministrazione Penitenziaria darà il via a quest’iniziativa di promozione e organizzazione di attività lavorativa, all’esterno e all’interno del penitenziario, con la collaborazione di strutture private e pubbliche, attivando percorsi formativi supportati da tutor. Sono stati previsti sgravi fiscali per cooperative sociali e imprese che assumeranno detenuti e internati all’interno degli Istituti Penitenziari o in regime di lavoro all’esterno e sino ai sei mesi successivi alla scarcerazione. Sarà inoltre creato un grande data-base dei detenuti-lavoratori occupabili presso gli Istituti penitenziari, completo di competenze e capacità professionali tramite il quale potranno incontrarsi offerta e domanda lavorative.

Perugia: affollamento e reparti chiusi, per mancanza di agenti

 

Asca, 29 gennaio 2009

 

Servono altri 100 agenti di polizia penitenziaria per far funzionare il padiglione con cento celle ancora libere nel carcere di Capanne. Tutto questo mentre, per il sovraffollamento, negli altri reparti maschili una ventina di detenuti da un paio di settimane dormono su materassi che la sera sono poggiati direttamente per terra e al mattino rimossi.

In celle singole - riferisce oggi l’edizione umbra del quotidiano "La Nazione" - di appena nove metri quadrati dormono in tre: due su un letto a castello ed il terzo, come detto, sul materasso per terra. Il direttore del carcere Antonio Fullone, intervistato dal quotidiano, spiega che questa situazione si è determinata soprattutto in seguito alle operazioni di polizia degli ultimi tempi contro l’immigrazione clandestina e lo spaccio della droga a Perugia, tanto che solo mercoledì scorso sono entrate 12 persone. Per questioni di regolamento gli uomini non possono essere trasferiti nel carcere femminile ed il "Reparto Circondariale" con cento celle, inaugurato nel 2005, "é inagibile - spiega il direttore - e non può essere aperto per mancanza di personale".

Immigrazione: 10mila clandestini nei Centri di identificazione

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 27 gennaio 2009

 

Il più grande è vicino Roma, a Castelnuovo di Porto: l’ex sede della protezione civile ospita 600 immigrati. Il più piccolo in provincia di Trapani: un residence per 20 irregolari. Sono oltre 40 i centri d’emergenza - tra cui quello di Marina di Massa - che il Viminale ha aperto per far fronte al boom degli sbarchi. Vanno ad affiancarsi ai 26 centri governativi stabili, per un totale di 10mila immigrati ospitati e un costo superiore ai 140 milioni di euro l’anno.

Il centro d’identificazione e espulsione (Cie) di Lampedusa andrà ora a rinforzare la rete anti-clandestini italiana: 10 Cie, 6 centri per richiedenti asilo, 10 centri d’accoglienza. I Cie sono stati aperti dalla legge Turco-Napolitano del ‘98, col nome di Cpt, e ribattezzati dal decreto legge 92/2008. Come funzionano? Servono al "trattenimento"(per un massimo di 60 giorni), convalidato dal giudice di pace, degli irregolari destinati all’espulsione. Peccato che per espellere un immigrato serve la collaborazione del Paese d’origine. Impresa non facile, visto che mancano accordi di riammissione coi maggiori responsabili dei flussi migratori: Tunisia, Somalia, Eritrea, Nigeria, Ghana. Non solo. In questi anni, i centri sono stati più volte presi di mira dalle organizzazioni internazionali, come Medici senza Frontiere e Commissione De Mistura (Onu). Le accuse? Edifici inadeguati, contatti insufficienti col Servizio sanitario nazionale, assistenza legale e psicologica inadeguata, eccessi negli interventi delle forze dell’ordine.

Nel frattempo, resta sulla carta l’apertura di 10 nuovi Cie approvata con decreto legge il 23 settembre scorso e più volte annunciata dal ministro Maroni. Diverse Regioni nei mesi scorsi hanno infatti espresso parere contrario all’accoglienza di nuovi centri sul proprio territorio (come Toscana, Sardegna, Liguria e Umbria).

Per far fronte all’ondata di sbarchi, il ministero dell’Interno ha dovuto rinnovare per tutto il 2009 lo stato d’emergenza e ha aperto in giro per l’Italia oltre 40 centri provvisori per l’accoglienza dei profughi. Dove? In alberghi, edifici pubblici e sedi della protezione civile. Il loro costo? Circa 50 euro a ospite. A gestirli sono associazioni nazionali e locali (tra cui, Croce rossa e Misericordie). In questi centri, gli immigrati sono liberi di entrare e uscire durante il giorno. Per aprirli, il Viminale ha dovuto attingere al solito capitolo di bilancio di 139 milioni di euro: insufficienti, con conseguente indebitamento del ministero.

Immigrazione: la vergogna del Centro per asilanti di Cassibile

di Rita Bernardini (Deputato Radicale-Pd)

 

www.innocentievasioni.net, 27 gennaio 2009

 

Mi avevano fatto rabbrividire quei numeri a quattro cifre che portavano indosso e il personale del Centro che si rivolgeva loro chiedendo di mostrare il numero di identificazione. Quei disperati ammassati in un vecchio deposito di agrumi non avevano neppure diritto ad un nome. Oggi, dopo le due interrogazioni presentate dai radicali, sembra che le cose siano cambiate: oltre alle cifre e alla foto segnaletica, i dannati di Cassibile hanno finalmente anche un nome.

Altrettanto inquietanti avevo trovato quelle fotocopie con l’elenco dei nuclei familiari. "Nucleo arrivato in data 29 luglio 2008: 5725 marito eritreo; 5726 moglie eritrea incinta; Casi particolari: 6266 uomo sudanese (possibile epilessia) arrivato il 6 settembre 2008; 6290 figlia somala della 6285, cardiopatica arrivata l’8 settembre 2008 (ricoverata dal 9 settembre 2008); 6344 padre nigeriano singolo arrivato l’11 settembre 2008; 6343 figlia minore (vulnerabile);Nucleo arrivato in data 2 agosto 2008 da segnalare: 5782 marito nigeriano; 5764 moglie nigeriana; Nucleo arrivato il 12 luglio 2008: 5677 uomo del Togo; 5669 donna nigeriana (presumibilmente coniugi); Nucleo arrivato in data 10 agosto 2008 da segnalare: 5837 moglie nigeriana incinta; 5838 marito nigeriano; Nuclei arrivati in data 13 agosto 2008 da segnalare: 5924 moglie nigeriana incinta; 5902 marito nigeriano; 5926 donna nigeriana; 5887 uomo nigeriano; 5928 donna nigeriana; 5877 uomo nigeriano; 5927 donna nigeriana; 5884 uomo nigeriano; 5920 donna nigeriana; 5900 uomo nigeriano; 5922 donna nigeriana; 5899 uomo nigeriano".

Il mio resoconto potrebbe limitarsi a questa desolante lista di numeri: un elenco di esseri umani marchiati con una successione di cifre. Ma è bene raccontare nel dettaglio quanto ho scoperto nel corso di queste visite, fatte insieme ad altri radicali e a rappresentanti di associazioni umanitarie come Senza Confini, Rete Antirazzista di Catania e Arci di Messina.

Il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) "Giovanni Paolo II" si trova a Cassibile, una frazione di 6.000 abitanti del comune di Siracusa. Il centro funziona dal luglio del 2005 ed attualmente è gestito dall’Associazione Alma Mater in convenzione con la Prefettura di Siracusa.

Nel corso della mia seconda visita, avvenuta il 20 settembre scorso, la struttura ospitava 357 persone a fronte di una capienza di 200 posti fissata dalla Convenzione tra Prefettura ed ente gestore del centro. I richiedenti asilo di Cassibile provengono soprattutto da Eritrea, Somalia, Sudan, Nigeria, Ghana, Mali, Costa d’Avorio e Burkina Faso; molti sono originari di paesi che non si trovano in stato di guerra e quindi, salvo rari casi, non essendoci prove della loro condizione di vittime di persecuzioni, difficilmente saranno riconosciuti come rifugiati politici. Per raggiungere le coste italiane, alcuni migranti avrebbero pagato da 800 a 2000 dollari e avrebbero subìto violenze lungo il percorso che, in un gran numero di casi, passa per la Libia dopo una pericolosa traversata del deserto. E durante quella traversata non pochi di loro sono morti o rimasti gravemente feriti. Per quei pochi fortunati che sono riusciti ad arrivare, la situazione non si presenta favorevole. La maggioranza di loro, infatti, si trova rinchiusa nel Centro da 10, 20 o anche 50 giorni, senza aver avuto una carta che certifichi la formalizzazione della loro domanda di asilo e, a volte, senza avere alcuna possibilità di uscire dal centro durante il giorno. Peraltro, dalle testimonianze raccolte, sembra che la Questura non rilasci, allo scadere del termine massimo di 35 giorni, così come previsto dall’art. 20, comma 3, D.L. 25/08, il permesso di soggiorno temporaneo valido tre mesi e rinnovabile fino alla decisione sulla domanda di richiesta di asilo.

Inoltre, tutti i migranti interpellati hanno detto di non aver mai ricevuto l’opuscolo redatto dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo come previsto dalle disposizioni vigenti (l’opuscolo andrebbe consegnato all’interessato all’atto della richiesta d’asilo, essere tradotto nelle diverse lingue e contenere tutte le informazioni sulle procedure di richiesta di protezione internazionale, sui principali diritti e doveri, sulle prestazioni sanitarie e di accoglienza e sulle modalità per riceverle); alcuni di loro peraltro non hanno nemmeno avuto copia tradotta dei dinieghi della Commissione, cosicché non sono stati messi in condizione di presentare ricorso nei brevi termini perentori stabiliti.

Tutto ciò non deve meravigliare, se solo si pensa al fatto che l’assistenza legale all’interno del centro è a dir poco carente, non solo perché a seguire la richiesta di asilo e gli eventuali ricorsi di centinaia di persone provvedono solo due avvocati, ma anche perché la presenza dei mediatori culturali, indispensabile in situazioni come queste, è pressoché inesistente (eccetto che per l’opera encomiabile prestata da un ragazzo proveniente dal Marocco in grado di parlare l’arabo e un po’ di inglese).

Oltre ai tempi di attesa e alla paura di ottenere un diniego e di essere quindi rispediti a casa, ad accrescere la disperazione dei richiedenti asilo di Cassibile sono le condizioni del centro. L’edificio in questione infatti si presenta come un vero e proprio carcere: il cortile esterno è circondato da una sorta di gabbia con sbarre altissime. Oltre alla schedatura numerica di cui ho parlato all’inizio, a guardia degli "ospiti" del centro si trovano non solo agenti di pubblica sicurezza, ma anche militari armati di mitra. La struttura si palesa come del tutto inidonea ad ospitare esseri umani a causa della evidente sporcizia, della mancanza di igiene e dell’assenza di elementari norme di sicurezza.

I pavimenti sono dissestati, i muri sporchi e scrostati, i servizi igienici fatiscenti. Enormi camerate, stanzoni di circa 15 metri x 20, ospitano un numero abnorme di letti a castello dove lo spazio fra un letto e un altro non supera i 30 centimetri: ovunque un labirinto di materassi, cuscini, effetti personali, vestiario, dove è impossibile trovare un minimo di privacy (al momento della mia visita i nuclei familiari presenti erano ben ventidue e nessuno di loro usufruiva di spazi separati). Una buona percentuale dei migranti non dispone nemmeno di un letto ed è costretto a dormire per terra su delle stuoie improvvisate.

I motivi della decrepitezza della struttura in questione sono presto detti: il centro "Giovanni Paolo II" in origine era una vecchia fabbrica d’arance per la quale, nonostante le numerose sollecitazioni provenienti dal Settore Igiene e Sanità della Asl, non è mai stata verificata la compatibilità della destinazione d’uso e non sono mai stati ottenuti i certificati di variazione d’uso; sicché ad oggi tutte le autorità amministrative locali (Asl, Polizia ambientale e Vigili del Fuoco) non possono far altro che giudicare la struttura non idonea ad ospitare, dal punto di vista funzionale, esseri umani. Peraltro nell’edificio che ospita il centro non ci sono gli impianti antincendio, gli arredi non sono ignifughi e le uscite di sicurezza non sono idonee (le modifiche strutturali prescritte dai vigili del fuoco non sono mai state realizzate).

Nemmeno l’acqua del pozzo è potabile, giacché l’impianto di clorazione non è mai stato in funzione. Per questi e altri motivi, nel corso degli anni, l’associazione Alma Mater, ente gestore del centro, è stata più volte invitata ad adeguare la struttura "nel rispetto degli standard minimi fissati dalla convenzione". L’adeguamento non c’è mai stato, eppure la Convenzione con la Prefettura è stata firmata ugualmente, per ben due volte e senza gara d’appalto. L’ammontare dell’appalto stabilito nell’ultimo rinnovo, quello del dicembre 2006, è stato di ben 3.775.850 euro.

Se sulle inadempienze e carenze gestionali e strutturali del centro, la classe politica e gli organi amministrativi hanno costantemente chiuso tutti e due gli occhi, la magistratura sta perlomeno cercando di vederci chiaro. Due anni fa la Procura di Siracusa, infatti, ha deciso di aprire un’indagine nel corso della quale è stato disposto il sequestro di 142.076 euro sui conti bancari dell’Alma Mater. Per il pubblico ministero trattasi di proventi di una truffa aggravata ai danni dello Stato: in particolare risulterebbero fatture gonfiate per l’acquisto di arredamenti, lavori di ristrutturazione e servizi di lavanderia. Oltre alle fatture ci sono anche le cartelle esattoriali dell’Inps (secondo un rilievo del maggio 2007, infatti, l’Alma Mater non risulta aver pagato i contributi Inps per il proprio personale per un ammontare complessivo di 107.027 euro), nonché i 3.456 pasti somministrati in più rispetto al numero degli ospiti, per un importo totale di 24.000 euro, ufficialmente destinati agli ospiti sottoalimentati. Tutte queste circostanze emergerebbero dallo studio delle carte contabili dell’Alma Mater, affidato dall’organo inquirente a due consulenti tecnici.

Durante le indagini, però, il Pm ha commesso qualche errore di troppo al punto che il Tribunale di Siracusa ha disposto la restituzione dei 142.000 euro all’Alma Mater, con un provvedimento che, se letto attentamente, rappresenta un colpo di spugna sull’impianto probatorio. Nonostante tutto, la pubblica accusa ha comunque chiesto il rinvio a giudizio di don Arcangelo Ragazzi e Marco Bianca, presidente e vice-presidente dell’Alma Mater e di tre imprenditori, tutti accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 27 gennaio.

In caso di rinvio a giudizio il processo in corso sarà comunque destinato a durare qualche anno, nel frattempo, vista la gravità della situazione, ho rivolto due interrogazioni parlamentari a risposta scritta sulle condizioni strutturali e di gestione del centro di accoglienza; e, attraverso Marco Pannella e Marco Cappato, ho ottenuto che dell’intera vicenda si interessasse la Commissione europea la quale, tramite il Commissario Europeo per la Giustizia e gli Affari Interni, Jacques Barrot, ha garantito di aver chiesto "i necessari chiarimenti alle autorità italiane".

In attesa di conoscere quali saranno le risposte del ministro dell’ Interno, non potrò far altro che continuare a vigilare su quanto accade nel Centro di Cassibile. Le prossime settimane saranno decisive perché è imminente il rinnovo della convenzione per la gestione del centro. Ci auguriamo che questa volta possa avvenire in modo serio ed attraverso regolare bando.

Immigrazione: a Lampedusa "sciopero generale" contro il Cie

 

Adnkronos, 27 gennaio 2009

 

Oltre 1.500 lampedusani hanno partecipato al corteo di protesta indetto sull’isola. Il sindaco: "Non vogliamo carceri a cielo aperto". Maroni: "Non esiste emergenza sicurezza, ma clandestini".

Giornata di sciopero generale a Lampedusa contro il progetto del ministro Maroni di realizzare un centro di identificazione ed espulsione sull’isola. I negozi, compresi quelli di generi alimentari, sono tutti chiusi e otre 1.500 lampedusani hanno partecipato al corteo pacifico che si è concluso al porto vecchio con il lancio in mare di una corona in memoria degli immigrati clandestini morti durante le traversate nel Canale di Sicilia.

A guidare la manifestazione il sindaco dell’isola, Bernardino De Rubeis che continua a ribadire il suo no al Cie e parla di "politica scellerata del ministro Maroni". "Il ministro di passeggiate all’estero ne ha fatte tante ma di risultati se ne sono visti ben pochi... speriamo che questa volta sia il momento giusto per siglare un accordo", ha detto parlando della trasferta di Maroni in Tunisia per siglare un accordo con il governo nordafricano per frenare il fenomeno immigratorio.

Non mancano gli applausi all’indirizzo del primo cittadino che prima di iniziare il corteo ha attaccato: "Il ministro dice che sono stati espulsi 155 immigrati clandestini, non è vero, è una bugia. Da natale ad oggi sono stati espulsi 55 clandestini". E poi, ancora sul titolare del Viminale: "Maroni sta rovinando il quieto vivere di Lampedusa, se davvero costruiranno il centro di identificazione e di espulsione sarà la rovina per quest’isola.

Qual è il disegno di questo governo? Forse ci vuole portare ad odiare i nostri fratelli immigrati? non ci riusciranno". Ed ha annunciato che tra giovedì e venerdì sarà a Roma "per parlare con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e poi andremo a parlare con Silvio Berlusconi. Io resto fiducioso".

Intanto per alleggerire il carico di immigrati clandestini ospiti al Centro di prima accoglienza di Lampedusa, ormai sovraccarico da una settimana, la notte scorsa sono stati trasferiti 130 extracomunitari, prevalentemente provenienti dalla zona subsahariana, dal Cpa alla base ‘Loran’, dove sono ospitate le donne. Dopo il trasferimento dei 100 africani richiedenti asilo politico nel centro di permanenza temporanea di Crotone di ieri sono così circa 1.000 gli immigrati clandestini al Cpa. Ma la situazione è sempre al limite del collasso.

Immigrazione: Ferrero; Lampedusa è fallimento della Bossi-Fini

 

Ansa, 27 gennaio 2009

 

"Le manifestazioni di protesta dei cittadini come degli immigrati detenuti in condizioni inumane nei Cpt di Lampedusa dimostrano il totale fallimento della strategia del governo di fronte agli sbarchi di clandestini e, soprattutto, il totale fallimento della legge Bossi-Fini". Lo afferma in una nota Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc, che aggiunge: "Quello della situazione in corso a Lampedusa è un problema drammatico che non si può certo risolvere con la forza bruta ma neanche con la sottovalutazione del problema degli sbarchi e di come procedere all’identificazione e regolarizzazione di clandestini".

Quanto invece al "brutto episodio avvenuto oggi a Massa Carrara, dove le forze dell’ordine sono intervenute con l’uso della forza contro una manifestazione di profughi eritrei e somali, ospiti al centro della Croce rossa locale, è di tutta evidenza - aggiunge Ferrero - che profughi eritrei e somali fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni ed hanno pieno diritto a venire accolti in quanto rifugiati politici. Il ministero dell’Interno deve garantire il diritto d’asilo, come vuole la Costituzione, e non accettare che venga manganellato chi fugge da una guerra".

Usa: anche l’Italia pronta ad accogliere detenuti Guantanamo

 

Il Tempo, 27 gennaio 2009

 

Entusiasti della decisione di Barack Obama di chiudere entro un anno il carcere di Guantanamo, molto meno dell’ipotesi di accogliere in casa propria la sessantina di ex prigionieri dei quali neppure gli Usa sanno che fare.

Il primo confronto informale tra i ministri degli Esteri della Ue sulle sorti del simbolo mondiale di una lotta al terrorismo combattuta con metodi sbagliati, si è concluso senza posizioni comuni e decisioni di fatto. Secondo il Ministro degli Esteri portoghese Luis Amado, da cui è partita la richiesta di un dibattito europeo, sono "almeno sei-sette" gli Stati europei pronti a cooperare con gli Usa. Tra questi c’è anche l’Italia.

Il capo della Farnesina Franco Frattini ha detto che l’Italia intende affrontare una richiesta della nuova amministrazione americana "con spirito positivo". "Ci sono già indicazioni di nomi che ci sono pervenuti e che stiamo esaminando con spirito positivo", ha aggiunto il ministro. Che ha spiegato come la questione è "politicamente rilevante" e che, pur dovendo vagliare con attenzione di quali detenuti si tratti e la loro pericolosità, "dire di no agli Stati Uniti sarebbe sbagliato".

"Dobbiamo dare all’America, alla nuova amministrazione Obama, un segno di solidarietà ", ha ripetuto Frattini assicurando che la valutazione sarà profonda ed efficace e che, se il trasferimento si realizzerà veramente, nessuno degli attuali prigionieri finirà in un carcere italiano. Questo perché si sta ragionando su delle categorie di detenuti sui quali non ci sono prove o non possono tornare nei loro Paesi perché potrebbero essere perseguitati. Di tutto questo il ministro parlerà di nuovo - e non al telefono - con il nuovo segretario di Stato americano Hillary Clinton. Tra i paesi favorevoli, anche Spagna, Irlanda, Germania e Finlandia.

Contrari invece a dare una mano agli Usa, Polonia, Danimarca, Olanda e Austria. Obama non potrà contare neppure sulla Gran Bretagna. "Il Regno Unito ritiene di aver già fatto la sua parte", ha detto il ministro David Miliband.

 

 

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