Rassegna stampa 31 dicembre

 

Giustizia: da San Vittore, una "fotografia" del 2009 in carcere

 

Affari Italiani, 31 dicembre 2009

 

Sei detenuti che vivono in un’unica cella, costretti a mangiare a turno in soli due piatti di plastica monouso. È racchiusa in quest’immagine la situazione di estremo degrado e povertà che vivono i detenuti del carcere di San Vittore (Milano).

"Continuano a mancare beni di prima necessità come spazzolini, carta igienica, detersivi, scope e stracci - denuncia Giorgio Bertazzini, garante dei detenuti per la Provincia di Milano. Stiamo vivendo una situazione di doppia illegalità: abbiamo superato la capienza regolamentare e quella tollerabile". Nelle carceri, insomma non c’è più posto. Rispettare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (che prevede per ogni detenuto un minimo di tre metri quadrati) pare quanto mai utopistico. "Allora fermiamoci, non entri più nessuno. I detenuti vadano ai domiciliari - dice provocatoriamente Bertazzini -. Siamo tutti responsabili, dobbiamo fermarci e riflettere".

Altro aspetto critico del 2009 è il passaggio della gestione della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia alle Asl, in modo particolare per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale. "Il passaggio - denuncia Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio - è avvenuto nel silenzio delle regioni interessate e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria". Proprio per monitorare su questo tema e per "uniformare il comportamento di tutte le Asl del Lazio e mettere a sistema il regime", l’ufficio del Garante ha istituito un Osservatorio sulla sanità penitenziaria. Caso unico in Italia inoltre, l’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio ha anche il compito di tutelare le persone rinchiuse nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria: "Una struttura orrenda in cui vivono circa 300 persone - precisa Marroni -.

Molti di loro sono nati nel nostro Paese, ma non hanno la cittadinanza italiana e per questo rischiano l’espulsione verso i Paesi d’origine. Che spesso nemmeno conoscono". Qui la situazione sanitaria è particolarmente critica: "L’Asl dice che il Cie non è di sua competenza - spiega Marroni -. Ora i reclusi devono essere accompagnati all’esterno per ottenere le prescrizioni mediche necessarie". Cosa tutt’altro che semplice, data la situazione giuridica degli immigrati trattenuti nel Centro, che non possono entrare e uscire liberamente.

Duro anche il giudizio di Salvo Fleres, garante dei detenuti della Sicilia e senatore Pdl, che nel maggio 2009 ha presentato un esposto al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani i degradanti (Cpt) sulla situazione delle carceri in Sicilia. Nel testo chiedeva in modo particolare l’immediata chiusura di sette penitenziari siciliani. "Purtroppo non è cambiato nulla", denuncia Fleres.

L’ispezione del Cpt è attesa per febbraio mentre in Parlamento è stato avviato nuovamente l’iter per l’introduzione del reato di tortura. Inoltre, il garante siciliano ha depositato presso la Commissione giustizia al Senato una proposta per fare in modo che si passi dai 45 ai 60 giorni di permesso premio per buona condotta all’anno. "Attualmente vengono concessi a chi, semplicemente, non disturba - spiega Fleres -. Con questa proposta voglio fare in modo che vengano concessi a chi avvia un serio percorso attraverso il lavoro, lo studio, la partecipazione alle attività trattamentali".

Il 2009, ha aggiunto il segretario generale della Uil-Pa Eugenio Sarno, sarà ricordato come l’anno dei record al negativo: oltre al sovraffollamento (65.736 detenuti a fronte di una capienza massima di 43mila posti) non bisogna dimenticare le gravi carenze tra le fila della polizia penitenziaria (meno 5mila unità) e del personale addetto alle aree trattamentali (meno 900 unità). "Queste carenze impediscono al personale penitenziario di rendere concreto il tentativo di rieducazione e risocializzazione dei detenuti". Da qui la richiesta affinché "il governo e il Parlamento definiscano un vero e proprio Piano Marshall per le carceri", conclude Sarno.

Giustizia: Ionta (Dap); messaggio Napolitano parli del carcere

 

Agi, 31 dicembre 2009

 

Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, secondo quanto si è appreso, il 23 dicembre scorso, ha rivolto un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché, nel suo messaggio di fine anno, parli anche della situazione delle carceri italiani.

Giustizia: Sappe; detenuti stranieri scontino pena in loro paesi

 

Ansa, 31 dicembre 2009

 

Il Sappe chiede al Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso impegni concreti per favorire la circolarità degli stranieri comunitari detenuti in Italia, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza.

Favorire la circolarità degli stranieri comunitari detenuti in Italia, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, attraverso accordi bilaterali tra gli Stati aderenti all’Unione Europea favoriti dalla Commissione Europea.

È la richiesta della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, al Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso.

Spiega il Segretario Generale del Sappe Donato Capece: "Oggi abbiamo in Italia 66.000 detenuti: ben 25mila (il 37% del totale) sono stranieri. Di questi, circa 9.000 sono gli stranieri provenienti dall’Area europea: 4.400 circa provengono da Paesi aderenti all’Unione europea, 1.100 a quelli dell’ex Jugoslavia, 2.900 dall’Albania e poco più di 600 da altri Stati europei. Ebbene, io credo che la presidenza della Commissione europea, attraverso i Governo nazionali ed i rispettivi Ministeri della Giustizia, dovrebbe favorire la definizione di accordi tra i Paesi aderenti all’Unione europea e di quelli dell’area europea affinché i detenuti europei scontino la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza. Questo potrebbe essere un primo segnale per ridurre concretamente, seppur molto parzialmente, il sovraffollamento penitenziario in Italia".

L’auspicio del Sappe è però quello di estendere questa previsione a tutti gli stranieri detenuti in Italia: "L’elevata presenza di stranieri tra i detenuti accentua inevitabilmente le criticità con cui quotidianamente si devono confrontare le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Credo dunque che il Governo Berlusconi debba recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria ed avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti stranieri. A partire dai sei Paesi dai quali provengono il maggior numero di detenuti stranieri (16.610), quali il Marocco (5.233), la Tunisia (3.206), la Romania (3.136), l’Albania (2.857), la Nigeria (1.135) e l’Algeria (1.053).

Lettere: psicologi carcerari, "rottamati" dopo 30 anni di lavoro

 

Lettera alla Redazione, 31 dicembre 2009

 

Il Ministero della Giustizia continua ad esercitare il suo potere con una "grande discrezionalità". Dal 1978 ha degli psicologi convenzionati (circa 480) che guadagnano 13 euro all’ora, a cui non viene riconosciuta né ferie, né malattia e si chiede loro di esprimere una valutazione circa l’idoneità a misure alternative al carcere dei detenuti.

Per fare questo il Ministero della Giustizia concede circa mezz’ora all’anno per detenuto. Non è necessario capire che rendono impossibili valutazioni scientifiche anche approssimative, ma cosa importa… al di là delle dichiarazioni mediatiche il carcere non porta voti ed è di interesse residuale. Si continua a suicidarsi ed a morire, spesso senza capire perché (meglio non saperlo!). I detenuti stanno aumentando, sono circa 66.000 e le risorse sono sempre meno.

La giustificazione è che non ci sono soldi, che lo stato italiano è in deficit etc. etc., un ritornello che noi italiani conosciamo bene. Sappiamo anche bene che tali affermazioni valgono solo per alcuni, ad esempio il Ministero della Giustizia che concede poche ore e pochi soldi agli psicologi penitenziari, che lavorano da più di 30 anni con l’amministrazione, ha trovato improvvisamente dei cospicui finanziamenti per seguire i detenuti in misura alternativa e udite udite ha licenziato gli psicologi già convenzionati ed ha messo al loro posto nuovi colleghi, senza selezione e in modo "molto discrezionale".

Chi sono, perché loro, quali sono i parametri che hanno portato a questa scelta? Noi psicologi penitenziari abbiamo fatto istanza di accesso agli atti, fateci capire perché dopo trent’anni ci "rottamate"… e pur essendo supportati da una legge (L. 241/1980), non è arrivata nessuna risposta, in cui spiegano perché stanno facendo tutto questo.

Vi assicuro che di fronte a tale situazione in cui istituzioni statali possono agire così, tranquillamente senza doversi neppure giustificare mi intimorisce come cittadina. È democrazia? E noi cittadini siamo totalmente impotenti verso ogni decisione dello stato. Credo che noi italiani dovremo rialzare la testa e dire ora basta, basta veramente!

 

Carla Fineschi, psicologa penitenziaria

Messina: detenuto ridotto in sedia rotelle, si sospetta pestaggio 

di Nuccio Anselmo

 

Gazzetta del Sud, 31 dicembre 2009

 

Vittima un ventinovenne cingalese che era stato arrestato dalla polizia per aver ferito l’ex convivente. Detenuto costretto sulla sedia a rotelle. Si sospetta un pestaggio in carcere. Il procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro ha aperto un’inchiesta per lesioni gravissime.
Detenuto in attesa di giudizio. Che "aspetta" in una cella del carcere di Gazzi il suo destino. Ma quando compare davanti ai giudici per il processo lo fa su una sedia a rotelle, pieno di ematomi e con le gambe, a quanto pare, semi paralizzate causa una lesione spinale.

"Sono caduto nella doccia, in carcere", si giustifica, ma i giudici non gli credono, fanno eseguire una perizia che dà un responso molto netto: ferite incompatibili con una caduta nella doccia. Si fa strada quindi la storia di un pestaggio selvaggio che sarebbe avvenuto nel carcere di Gazzi ai primi di settembre, si sospetta ad opera di alcuni compagni di cella, per l’extracomunitario ventinovenne Sumith M..

E sono questi i contorni dell’inchiesta che ha aperto il procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro, per il momento contro ignoti, con l’accusa di lesioni personali gravissime. Ormai da alcune settimane al caso stanno lavorando congiuntamente gli investigatori di due sezioni di polizia giudiziaria, quelle dei carabinieri e della polizia, nel tentativo di fare luce su una brutta storia ancora oscura.

La vittima, un cingalese irregolare che sbarcava il lunario come benzinaio in una stazione di servizio della zona nord, per un periodo ha continuato a sostenere la tesi della caduta accidentale, poi ha raccontato la sua verità, ma per questo è stato necessario interrogarlo due volte: qualche giorno dopo l’arresto, effettuato dagli agenti delle Volanti, erano i primi di settembre, arresto avvenuto per aver minacciato la sua ex convivente e averle rubato due cellulari, era sera tarda e si stava addormentando, insieme a una decina di compagni che affollavano la sua cella in quel periodo.

Era già da parecchi giorni che in carcere veniva sfruttato e dileggiato, gli facevano fare tutti i lavori sporchi, ma lui non si era mai lamentato e aveva subito in silenzio ogni tipo di vessazioni. Poi quella sera, forse erano passate da poco le dieci, mentre era in dormiveglia, un primo colpo in testa, un lenzuolo sul capo per non fargli vedere nulla, e giù bastonate da parte di parecchie persone, fino a ridurlo privo di conoscenza; l’indomani le prime cure dal medico del carcere, poi il trasferimento al Policlinico vista la gravità della situazione, poi la sedia a rotelle necessaria per muoversi. Adesso la convalescenza al Centro Neurolesi, in regime di arresti domiciliari.

Quella mattina di settembre, all’udienza, il ventinovenne si presentò davanti ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale. Era accusato d’aver ferito alla gola con un coltello la sua ex convivente, poi di averle sottratto due cellulari, quindi doveva rispondere di rapina, lesioni personali e anche minacce agli agenti dell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico. Il ventino-venne aveva aggredito la donna a bordo dell’autobus "81", l’ex convivente stava andando al lavoro. Fu il presidente del Tribunale Salvatore Mastroeni ad insospettirsi, non credendo affatto alla versione della "caduta sotto la doccia". Il giudice decise quindi di far effettuare una perizia sulle condizioni del detenuto, e il risultato fu emblematico: incompatibilità dei traumi con una caduta accidentale.

Da qui il passo all’apertura di un’inchiesta fu breve, e adesso sul tavolo del procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro c’è già una prima relazione sulla vicenda, all’interno in un fascicolo contro ignoti per lesioni gravissime.

Il magistrato vuole andare fino in fondo a questa storia, dopo aver delegato la Pg per sentire il detenuto. Adesso con molta probabilità sentirà i medici e gli agenti di custodia che hanno seguito il caso. Per cercare la verità.

Milano: legato e picchiato in caserma, Carabinieri sotto accusa

 

La Repubblica, 31 dicembre 2009

 

Le mani legate dietro la schiena. La bocca incerottata con il nastro da pacco. Costretto a inginocchiarsi a terra. Poi giù botte. Pugni, manganellate. Il pestaggio prosegue anche quando l’uomo sta quasi per soffocare, perché il sangue che perde dalla bocca non può uscire. È il 12 agosto 2009.

In una stanza della caserma di via Montebello, sede del comando del nucleo radiomobile dei carabinieri, è notte fonda. L’uomo inginocchiato si chiama Luciano Ferrelli, 36 anni, originario di Foggia. Qualche precedente per droga, è stato l’autista-factotum di Giuseppe Aronna, il dentista dei vip con studio in via Montenapoleone arrestato nel 2007 - in manette anche Ferrelli - per una storia di carte di credito rubate e riutilizzate (venivano strisciate sul POS del professionista e trasformate in moneta sonante). Bene inserito nella Milano dei locali notturni, poi il declino personale, segnato soprattutto dall’abuso di sostanze stupefacenti.

La droga c’entra anche nella notte del 12 agosto. Ferrelli è con altre due persone, un italiano e un nordafricano. Trattano l’acquisto di dosi di eroina in una delle piazze milanesi in mano ai pusher del Corno d’Africa: ma litigano per la qualità della "roba". Gli spacciatori, forse minacciati, forse preoccupati per il possibile arrivo della polizia, si allontanano a piedi.

Restano due auto. Ferrelli e i suoi amici ne prendono una, ma non fanno molta strada: vengono fermati da una pattuglia del Radiomobile dei carabinieri. Li portano nella caserma di via Montebello. Qui - stando a un’inchiesta avviata dalla Procura: si ipotizza il reato di lesioni gravi e gravissime per un appuntato che avrebbe agito in concorso con altri militari - Ferrelli è vittima di una violenta aggressione. Il pm Antonio Sangermano apre un fascicolo.

Notifica un avviso di garanzia a un carabiniere in servizio al nucleo radiomobile: l’ipotesi di reato è l’articolo 583, 1° e 2° comma (lesioni gravi e gravissime). È lui che avrebbe preso di mira l’uomo. Forse, secondo le indagini affidate alla sezione di polizia giudiziaria della Procura - e ancora in corso - non da solo. Nell’avviso di garanzia (con invito a comparire davanti al magistrato) il pm Sangermano scrive che l’appuntato avrebbe agito "in concorso con altri pubblici ufficiali".

Non sono escluse, nei prossimi giorni, altre iniziative. Ma che è successo realmente nella pancia del comando del nucleo radiomobile dell’Arma? Per come li ha ricostruiti la Procura - e da come si può leggere nelle carte - i fatti hanno come triste epilogo l’immagine di un uomo - Luciano Ferrelli - "steso a terra, privo di forze e con numerose lesioni sul corpo". Le botte subite - è scritto nel rapporto dell’Istituto di medicina legale di Milano, allegato agli atti - gli hanno procurato "l’incapacità ad attendere alle mansioni originarie", con una prognosi superiore a 40 giorni.

Motivata con un "indebolimento permanente dell’organo della masticazione e della prensione", con una "deformazione dello spettro facciale mediante avulsione dell’incisivo anteriore con caratteristiche proprie dello sfregio permanente". Una volta ammanettato dietro la schiena e con la bocca tappata dal nastro da pacco, Ferrelli sarebbe stato costretto a inginocchiarsi e poi colpito con pugni al volto (gli è caduto un dente) e con una raffica di manganellate sulle spalle, sulle mani e sui piedi. Al pestaggio in caserma assistono anche gli altri due uomini fermati. Negli interrogatori, uno, l’italiano, conferma tutto; l’altro, il nordafricano, è reticente. Alle prime luci dell’alba Ferrelli viene trasferito nel carcere di San Vittore con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale.

Condannato per direttissima, è tuttora dietro le sbarre. In merito al presunto pestaggio Repubblica ieri ha contattato il comando del reparto operativo dei carabinieri, che ha ritenuto di non rilasciare dichiarazioni".

Teramo: il corpo di Uzoma ancora sotto sequestro per indagini

 

Il Centro, 31 dicembre 2009

 

È ancora a disposizione della procura il corpo di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano di 32 anni testimone del presunto pestaggio di un altro recluso deceduto in carcere il 18 dicembre per un tumore al cervello mai diagnosticato. Sulla sua morte la procura ha aperto un’inchiesta per fare chiarezza su eventuali ritardi nei soccorsi e sulle cure mancate.

Il pm che indaga, il sostituto procuratore Roberta D’Avolio, nei prossimi giorni potrebbe decidere di disporre nuovi accertamenti medici anche su quell’infarto che l’uomo aveva avuto qualche mese fa in carcere. Un infarto scoperto solo con l’autopsia. Per il momento nell’inchiesta non ci sono indagati. Dopo il sequestro della cartella clinica in carcere, si scopre che una settimana prima della morte il nigeriano è stato visitato in carcere da un neurologo chiamato dal medico di guardia. Una visita al termine della quale non sarebbe stato diagnosticato nulla.

Brescia: il carcere scoppia; solidarietà dai parlamentari del Pd

 

Il Giorno, 31 dicembre 2009

 

La capienza è di 205 posti. Ieri nel carcere cittadino di Canton Mombello erano in 473, di cui solo 160 italiani, 85 condannati con sentenza definitiva. Numeri preoccupanti. L’onorevole Pierangelo Ferrari e il senatore Guido Galperti, entrambi del Pd, hanno visitato il carcere proprio ieri. "Il nostro gesto voleva avere una valenza simbolica, quella di occuparci in questo particolare momento dell’anno degli ultimi degli ultimi e ricordare alla città che quell’edificio con le sbarre è nel cuore urbano,

carico di disperati. Non possiamo ignorarlo". E non si può dimenticare che lo stabile è secolare, perennemente sovraffollato. I due parlamentari hanno potuto vedere le celle piene, le celle a dodici letti che quest’estate, superati i 500 ospiti, hanno visto aggiungere un quarto piano ai quattro castelli di giacigli, col risultato di non poter nemmeno aprire il finestrone. "Certo, ci sono gli ambulatori, la biblioteca cui tutti possono donare dei libri, la direttrice Maria Paola Lucrezi e il capo delle guardie Alborghetti, disponibili e impegnati a ridurre il più possibile le sofferenze, ma le condizioni di Canton Mombello restano disumane - spiegano i due politici - I due cortiletti per prendere aria sono angusti, e si capisce davvero il grido di dolore lanciato dal cardinale Tettamanzi in nome degli ultimi. Aspettiamo che il piano carceri, annunciato un anno fa dal governo, veda finalmente la luce". Questa è per ora l’unica speranza, a fronte invece di un reale taglio delle risorse.

Latina: Marroni; un carcere sovraffollato, Costituzione violata

 

Il Tempo, 31 dicembre 2009

 

Nella casa circondariale di via Aspromonte, infatti, a fronte di una capienza di 86 persone ve ne sono rinchiuse 148, di cui 116 uomini e 32 donne. Nel Lazio i reclusi negli istituti carcerari sono 5.835, oltre 1.200 in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti della regione dichiarata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (4.619 posti).

I dati arrivano dal garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che afferma: "Un’emergenza che insieme ad altre componenti come la carenza di uomini e di risorse, l’inadeguatezza delle strutture e la difficoltà di svolgere le attività trattamentali, stanno trasformando il carcere in un luogo invivibile, dove disperazione e mancanza di prospettive, aumentano di giorno in giorno.

Non è sicuramente un caso che questo 2009 sarà ricordato come il peggiore della storia della Repubblica per numero di suicidi in carcere, 71. In totale, nel 2009, i morti all’interno delle carceri italiane sono stati 173". Secondo Marroni una simile situazione rappresenta "una palese violazione della norma costituzionale secondo cui la pena deve punire ma anche e soprattutto rieducare. Per questo mi auguro che l’anno nuovo porti con se un deciso cambio di rotta, soprattutto a livello politico".

Padova: un Capodanno nel carcere, per Pannella e Bernardini

 

Apcom, 31 dicembre 2009

 

Rita Bernardini e Marco Pannella hanno annunciato che intendono passare la notte di Capodanno con la comunità penitenziaria, con la polizia penitenziaria, il personale amministrativo eventualmente presente e i detenuti della Casa di Reclusione "Due Palazzi" di Padova, dove saranno accompagnati anche da alcuni altri militanti.

"Quando eventi umanamente indegni e assolutamente illegali sono sempre più in grave corso di compimento, è non solo diritto ma dovere e obbligo di cittadini degni di questo nome essere coerenti e far essere il loro paese coerente con la letterale insopportabilità di tale situazione - spiegano Pannella e Bernardini. E magari fare anche l’impossibile perché umanità e legge vengano reintegrate e tornino a regnare in un paese che fu civile e che deve tornare ad esserlo".

"La situazione delle carceri è esplosiva: basta con le chiacchiere e le strette di mano, ci vogliono subito fatti e cose concrete", spiega la Bernardini in partenza con Pannella per Padova, ricordando la mozione dei Radicali sul sistema penitenziario firmata da 92 parlamentari, tranne la Lega, che sarà discussa l’11 e 12 gennaio. Stamane la Bernardini è stata al carcere romano di Rebibbia, uno dei migliori. Ebbene, nel carcere modello rivela la parlamentare radicale, "hanno dovuto chiudere la sala socialità per disporre di un ambiente da 10 letti".

Verona: iniziative del volontariato e della Chiesa per il carcere

di Chiara Bazzanella

 

Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2009

 

Marcia notturna per parlare di giustizia

 

Le contrade Maregge e Merli, nell’alta Lessinia veronese, sono collegate da una stradina bianca di qualche chilometro. È qui che, ogni anno, si svolge la tradizionale camminata notturna natalizia per parlare di carcere e giustizia con e detenuti, detenuti in permesso (se possibile) o con le loro testimonianze inviate. Vi partecipano con entusiasmo giovani di tutta la vallata e provenienti dai più lontani paesi della provincia di Verona.

Sono molti, più di un centinaio. Quest’anno, per tutta la strada, si sprofonda nella neve fradicia che nasconde scivolose superfici ghiacciate. Sarebbe confortevole restare a raccontarsi le previste testimonianze nella chiesetta di Maregge, ma la tradizione non lo ammette. Ci si mette in moto quindi verso le nove di sera. Tutti in cammino, lunga fila di torce traballanti. Alt ogni tanto col microfono portatile, e chi non ha l’ombrello si ammassa sotto quelli che vede aperti. Come si fa a testimoniare di giustizia, di carcere, di senso della pena, di responsabilità dei volontari e dei cristiani? Ci proviamo a due riprese; prima leggiamo una lettera di Filippo, che dal carcere di Padova racconta cosa fanno e quanto lo aiutano i volontari. Poi, nella chiesetta di Merli, così piccola da lasciar fuori parte dei marciatori, Benny spiega come la mafia ha ammazzato due piccoli imprenditori, suo zio e suo nonno, che non volevano sottomettersi, e come la vita sua e della famiglia è rimasta sconvolta da tale fatto. Benny spiega poi perché ha scelto di svolgere un anno di servizio civile alla Fraternità, convinto che la lotta per la legalità e a favore delle vittime non vada nella direzione del desiderio di vendetta, ma piuttosto alla ricerca di una pena che tende a ricostruire, a strappare persone alla criminalità per restituirle a una convivenza solidale.

Un po’ più avanti le luci, non di un miraggio, ma di uno stanzone di baita, forse una stalla, con mangiatoia di cioccolata calda, vin brulé e pezzi di pandoro..

 

Il vescovo, portavoce dei detenuti: lavoro e misure alternative

 

La domenica subito dopo il Natale, il vescovo Zenti ha deciso di trascorrerla in carcere, in ascolto dei detenuti. Una giornata speciale per chi è recluso a Montorio, che ha chiesto al vescovo della città di farsi portavoce delle problematiche interne alla struttura penitenziaria, sempre più marcate con il sovraffollamento crescente.

Zenti ha accettato la sfida, assicurando di fare da tramite tra il mondo del carcere e le istituzioni, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, essenziale per non tornare sugli errori commessi. Oltre alla messa con 200 detenuti, il vescovo ha visitato anche la sezione femminile, l’infermeria e la terza sezione, quella di chi vive in isolamento.

"Tra chi è recluso ci sono molti giovani - ha dichiarato - e su questo siamo tenuti a riflettere e cercare risposte. Inoltre è necessaria una riforma della giustizia che guardi alle misure alternative più che alla costruzione di nuove carcere". Strutture, del resto, che peserebbero ancora di più sul personale interno, che già si trova a svolgere il proprio lavoro in condizioni precarie e con un organico insufficiente.

Perché le cose cambino veramente, il vescovo ha anche ricordato l’importanza di un coinvolgimento dell’intera società, chiamata a impegnarsi nella prevenzione dei reati e nell’educazione alla legalità, specie per i più giovani.

 

Un nuovo rifugio per chi vive per strada

 

Ormai è ufficiale, sarà la Passalacqua a ospitare il nuovo rifugio gestito dalla Ronda della Carità per offrire il pasto serale a chi vive per strada, in un luogo accogliente e riscaldato. Uno spazio simile a quello già attivato all’inizio del 2008 in viale del Lavoro e che funziona a pieno ritmo ormai da quasi due anni. L’assessore ai servizi sociali Stefano Bertacco ha dichiarato che il rifugio nascerà nella zona del parcheggio sul lato dell’Università per un periodo provvisorio di almeno due anni. "Ci sono dei lavori da fare - spiega - ma speriamo di riuscire a terminarli quanto prima". E, forse, già a metà gennaio, i senzatetto che popolano le zone più centrali di Verona, potranno trovare un nuovo punto di riferimento, prezioso spazio in cui trovare un po’ di sollievo dal freddo accumulato per strada.

 

L’ultimo con gli ultimi

 

Case accoglienza, mense, dormitori e case di riposo. È qui che trascorreranno l’ultimo giorno dell’anno oltre 300 giovani della provincia di Verona. L’evento promosso dalla Caritas Diocesana Veronese e dal Centro di Pastorale Giovanile, è un’importante esperienza di condivisione, servizio, riflessione e festa aperta a giovani dai 17 ai 35 anni, i quali, scegliendo di trascorrere la notte di San Silvestro in maniera diversa, a contatto con quanti vivono le festività in condizioni di disagio, hanno l’opportunità di sperimentare un "assaggio" di volontariato a servizio dell’altra società, quella dolente, sola, difficile, troppo spesso costretta alla solitudine.

Libro: carcere di Enna; "Incontrarsi a tavola, dietro le sbarre"

di Lino Buscemi (Ufficio del Garante dei detenuti della Sicilia)

 

La Repubblica, 31 dicembre 2009

 

Si può in un carcere, fra le non poche difficoltà dovute al sovraffollamento, aver voglia di scrivere un libro di ricette culinarie? Sì, che si può.

È quello che, infatti, hanno programmato e realizzato gli insegnanti e i detenuti, di diverse nazionalità, del penitenziario di Enna (1° Circolo Didattico, scuola primaria carceraria "E. De Amicis"). Grazie all’intraprendenza dell’editore Vittorietti di Palermo, il libro, oggi, è in vendita con un titolo assai suggestivo : "Incontriamoci a tavola. Io sono... tu sei... noi siamo... cittadini del mondo". Impaginazione e veste tipografica assai singolari, aiutano il lettore a prendere cognizione di pietanze tipiche di alcuni paesi stranieri (descritte in lingua originale su fogli di carta qualunque, tradotte, poi, in lingua italiana e con illustrazioni). Una cinquantina di ricette arabe, rumene, polacche, ungheresi, spagnole, serbe, che sembrano trasmettere odori e sapori di piatti semplici di terre lontane.

Dentro la casa circondariale di Enna si è realizzata una saldatura di culture e di esperienze diverse su un aspetto di vita tutt’altro che secondario, qual è appunto l’alimentazione e "l’arte" di preparare e cucinare cibi. Ma si è andati anche oltre: i soggetti partecipanti hanno avuto la possibilità di scambiarsi, informazioni e notizie, su storia e tradizioni popolari con specifico riferimento agli alimenti che contraddistinguono la ristorazione di popoli e nazioni.

Nel capoluogo di provincia più alto d’Italia, si è voluto trasmettere, forse inconsapevolmente, un massaggio secondo cui la globalizzazione, che investe l’economia, la moda, le arti, coinvolge anche (e non poteva essere diversamente) la cucina dove l’incontro di esperienze provoca effetti positivi sia sul piano della conoscenza che del rafforzamento dei vincoli di collaborazione, di civile convivenza e pacifica coesistenza. E nella terra che fu di Ruggero II, precursore della coabitazione di etnie diverse, non è cosa di poco conto soprattutto se si pensa cos’è l’intolleranza leghista.

Gli allievi della scuola elementare carceraria ennese, con i loro elaborati, certificano che la "contaminazione intelligente" e meditata fra tradizioni diverse origina novità che arricchiscono, ampliandole , gli orizzonti del gusto.

È meglio la "cucina globale" o quella cosiddetta "identitaria"? Rispondere a questa domanda, appare del tutto fuorviante perché, sia i docenti che gli alunni, si sono impegnati con i fatti a sottolineare e a trasmettere ai lettori ricette dove c’è il "buono" e il "sano".

Non importa sapere, dunque, da quale vicino o lontano Stato provengono queste due "qualità", è sufficiente saperle "affibbiare", con cognizione di causa, alle pietanze per realizzare una trasversalità del gusto senza la quale si possono, ahinoi, determinare conseguenze nefaste in tanti altri settori della vita organizzata e delle relazioni sociali.

Il libro, che conclude un percorso didattico, dovrebbe far riflettere quanti, nelle postazioni di comando e nella società civile meno sensibile, remano contro o non comprendono quanto sia necessario investire di più nelle attività educative e di recupero sociale. Proprio come prescrive l’art. 27 della Costituzione.

Ad Enna, come sottolineano opportunamente gli insegnanti, si è creato un "clima di scambio gioioso, di partecipazione e compenetrazione fra alunni di diversa provenienza".

Forse ciò ha reso, sia pure per poco tempo, meno "afflittivo" il carcere agli alunni-detenuti che, comunque, partecipando attivamente alle lezioni, hanno manifestato la concreta volontà di essere interessati davvero ad un serio percorso rieducativo e di reinserimento.

Sta a tutti (uomini di governo, operatori penitenziari, amministratori locali, istituzioni varie) cogliere il senso di questa iniziativa gastronomico-letteraria che può consentire, se adeguatamente ampliata e condivisa anche in altre sedi, di alleviare la sofferenza della detenzione (soprattutto per i soggetti stranieri talora privi di qualsiasi aiuto o segno di solidarietà) perché favorisce il superamento della "diversità" attraverso la conoscenza, lo studio, la memoria e l’apprendimento. Non è un paradosso, perché i pasti (l’amministrazione penitenziaria provvede, secondo regolamento, a fornire tre pasti al giorno ai detenuti, adeguati all’età, al sesso, allo stato di salute, alla condizione religiosa, al lavoro, alla stagione, al clima con quantità e qualità prescritte) costituiscono, quasi da sempre, la "nota dolens" degli istituti di pena.

Una corretta alimentazione ed una maggiore qualità dei cibi, nel rispetto dell’attuale "tetto" di spesa ma seguendo criteri più razionali e meno dispersivi, non solo renderebbero la pena più "umana" e meno afflittiva, ma favorirebbero una "integrazione" ed una coesione all’interno delle carceri premessa per l’avvio di vere riforme di modernizzazione, di recupero e di reinserimento nella vita sociale.

Scrivendo e traducendo di peperonate marocchine, di zuppe di pesce del Gambia o di ragù d’agnello rumeno, con una buona bevuta di sangria , i detenuti hanno soddisfatto il palato e "girato" il mondo. Malgrado le sbarre.

Immigrazione: un digiuno di Capodanno... per restare in Italia

di Leo Lancari

 

Il Manifesto, 31 dicembre 2009

 

A essere illegale questa volta è proprio il ministero degli Interni, che però non sembra preoccuparsi più di tanìo di non rispettare quelle regole che lui stesso dovrebbe garantire. E così, per ripristinare la legalità (come dovrebbe dire Maroni) ma soprattutto per far rispettare un loro diritto, da 18 giorni hanno messo in atto uno sciopero della fame. Sono ormai 300 gli immigrati che hanno aderito all’iniziativa lanciata il 13 dicembre scorso da Gaousoou Ouattara, esponente del Partito radicale, per protestare contro i ritardi con cui agli stranieri regolari presenti nel nostro Paese viene rinnovato il permesso di soggiorno.

"Il testo unico sull’immigrazione prevede che il permesso sia rilasciato entro venti giorni dalla domanda - ha spiegato ieri Ouattara insieme al segretario del Pr Marco Staderini e alla parlamentare Rita Bernardini -. Oggi invece si devono aspettare dai 7 ai 13 mesi".

Una situazione che riguarderebbe almeno 500 mila persone e per risolvere la quale i radicali hanno chiesto di poter incontrare Maroni e promosso un sit-in per domani, 1 gennaio, alle ore 15 in piazza della Repubblica a Roma. Allo stesso tempo hanno anche invitato avvocati volontari ad assistere quanti hanno presentato richieste di risarcimento danni per in deroga alla legge.

Non si tratta, naturalmente, di una semplice questione burocratica. Il ritardo di mesi con cui vengono rinnovati i permessi di soggiorno provoca infatti dei veri terremoti nella vita di tutti i giorni degli immigrati. Senza permesso di soggiorno, infatti, oltre a non poter lasciare l’Italia, diventa impossibile firmare un contratto di lavoro, ma anche affittare una casa o semplicemente iscrivere ì propri figli a scuola E poco importa se una circolare emessa dal precedente governo Prodi riconosca come valido il cedolino che certifica l’avvenuta presentazione della domanda di rinnovo del

permesso. "Si tratta di un’informazione che non conosce nessuno, e quindi la vita di queste persone si blocca", spiega Staderini. "Come se non bastasse, spesso il nuovo permesso di soggiorno arriva talmente in ritardo da essere praticamente scaduto di nuovo, così per l’immigrato oltre al danno si aggiunge la beffa di dover pagare altri 75 euro per il rinnovo".

Uno degli effetti di questa situazione si è avuto lo scorso Natale. Molte delle badanti interessate dalla recente regolarizzazione non sono tornate a casa perché per la prima volta il governo non ha emesso una circolare transitoria che garantisse loro il rientro in Italia. "Vogliamo gridare al mondo la nostra rabbia che è carica di speranza - ha detto Ouattara. Questo è il Paese in cui abbiamo scelto di vivere. Qui sono nati i nostri figli, al terra dei Balotelli. Vogliamo vivere nella legalità".

Per mettere fine a questo stato di cose i radicali chiedono a Maroni tre cose: "Come intende mettersi in regola facendo rispettare i tempi per la concessione del permesso di soggiorno - prosegue Staderini -. Ma anche cosa pensa di fare per smaltire tutte le domande arretrate e, infine, di mettere in campo una campagna informativa per far sapere agli italiani che gli immigrati hanno dei diritti che vanno rispettati anche se sono i una fase di rinnovo del permesso di soggiorno".

Una questione nella quale Marco Palmella tira dentro anche il ministro della la Funzione pubblica. "Non vorrei che il compagno Brunetta proprio sui diritti degli immigrati facesse il fannullone - ha detto il leader radicale -. Chiediamo incontro per comprendere come superare questa inaccettabile situazione".

Solidarietà agli immigrati in sciopero della fame è stata espressa da Livia Turco: "La loro è una battaglia di civiltà - ha detto la capogruppo del Pd in commissione Affari sociali della camera - ed è inammissibile che alle soglie del 2010 in Italia si debba arrivare a non mangiare e bere per chiedere il rispetto di un diritto previsto dalla legge".

Immigrazione: nel Cie di Gorizia guardie pestano un marocchino

 

Gruppo EveryOne, 31 dicembre 2009

 

"Ci è stato segnalato quest’oggi un gravissimo episodio di violenza e tortura, verificatosi all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) nella notte fra il 28 e il 29 dicembre 2009".

Lo denunciano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione per i diritti umani Gruppo EveryOne, che si sta occupando della vicenda. "La vittima dell’ennesimo pestaggio si chiama Said Stati," riferiscono gli attivisti, "è di nazionalità marocchina e vive a Gavardo, in provincia di Brescia. Abita in Italia da oltre 19 anni, ha sempre lavorato e pagato le tasse. "Tutti i suoi parenti" continuano i rappresentanti di EveryOne, "vivono nel nostro Paese: la madre e sei fratelli che sono tutti sposati, con figli. Durante il terremoto che ha colpito Salò nel 2005, Said ha perso la casa. Sempre in seguito al sisma," raccontano ancora Malini, Pegoraro e Picciau, "la fabbrica dove era occupato ha chiuso e il ragazzo, con moglie e due figli piccoli, pur avendo bussato a ogni porta, non ha trovato in tempo un’occupazione alternativa.

Quando il suo permesso di soggiorno è scaduto è divenuto clandestino, in base alla legge 94/2009 (il pacchetto sicurezza) già pesantemente criticata per il suo contenuto xenofobo dalla Commissione europea, dal Comitato contro le discriminazioni delle Nazioni Unite, dalle autorità ecclesiastiche e dalle principali organizzazioni per i Diritti Umani.

L’11 novembre scorso, Said è stato arrestato e condotto al Cie di Gradisca, dove è stato identificato e ha ricevuto un decreto di espulsione. Nonostante soffra di una depressione e il medico curante gli abbia prescritto un antidepressivo, le autorità gli hanno negato, poche ore prima dell’abuso nei suoi confronti, di assumere il farmaco.

Said ci ha raccontato al telefono che nella notte fra lunedì e martedì scorso, tre guardie lo hanno prelevato dalla sua cella, conducendolo in un’altra, dove gli è stato intimato di togliersi gli occhiali perché l’avrebbero sottoposto a un pestaggio. Ci ha inoltre confessato che per dare un esempio agli altri carcerati, è stato consentito ad alcuni detenuti di assistere alla violenza. Anche operatori in servizio preso il centro hanno presenziato alla violazione dei suoi diritti umani.

Said è stato picchiato con inaudita brutalità al capo, al tronco e in diverse altre parti del corpo, con pugni e colpi di manganello. Solo dopo averlo lasciato a terra, pesto e sanguinante, le guardie hanno consentito agli operatori di portarlo al pronto soccorso, dove è stato medicato". Il Cie di Gradisca di Isonzo è stato teatro di ripetute violenze e abusi sugli internati, e già un detenuto aveva videoripreso, il 21 settembre scorso, con un telefonino, le conseguenze di un pestaggio di massa da parte delle forze dell’ordine. In quell’occasione, l’episodio venne denunciato presso le sedi competenti in Italia e all’estero dal Gruppo EveryOne e da altre organizzazioni per i diritti umani e i principali quotidiani lo riportarono, assieme alle stigmatizzazioni di autorità politiche e dalla società civile.

"Nulla è tuttavia cambiato nel Centro," sottolineano con preoccupazione i rappresentanti del Gruppo, "e anzi trattamenti inumani e degradanti continuano a essere perpetrati dalle autorità senza che la Procura di Gorizia e lo stesso Ministero dell’Interno prendano provvedimenti. Abbiamo informato della vicenda di Said il Comitato contro la Tortura del Consiglio d’Europa, affinché venga inviata al Cie quanto prima una commissione ispettiva d’inchiesta; abbiamo inoltre depositato un esposto presso la Procura di Gorizia e una memoria all’Alto Commissario per i Diritti Umani e all’Alto Commissario per i Rifugiati, presso gli uffici di Ginevra delle Nazioni Unite".

Contemporaneamente, EveryOne ha chiesto in una lettera al Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, di prendersi a cuore il caso di Said: "Il giovane marocchino attende, distrutto nel corpo e nello spirito, di essere deportato in Marocco, dove non ha parenti né conoscenze. Said è un cittadino esemplare e non ha mai avuto problemi con la giustizia. La sua famiglia e la sua vita non hanno senso lontano dall’Italia e solo una serie di eventi drammatici gli ha impedito di avere i requisiti per rinnovare, con le attuali disposizioni, il permesso di soggiorno.

I suoi figli, un bambino che frequenta la terza elementare e una bimba di tre anni, sono disperati e non si danno pace per la mancanza dell’amato papà, che è stato loro strappato senza che avesse alcuna colpa. Ci auguriamo," scrivono Malini, Pegoraro e Picciau a conclusione della lettera a Fini, "che, grazie a un Suo provvidenziale intervento, si eviti che al dolore e alle ingiustizie patite dal detenuto si aggiunga un nuovo dramma irreparabile, che annienterebbe un’intera famiglia vulnerabile e innocente".

Mondo: da Amnesty una buona notizia per ogni mese del 2009

 

Amnesty International, 31 dicembre 2009

 

Pena di morte - Ghana

 

Il 9 gennaio 2009 Il presidente uscente John Kuffour, ha commutato tutte le condanne a morte. Secondo i dati di Amnesty International, il provvedimento ha riguardato 108 prigionieri in attesa di esecuzione, 105 uomini e tre donne. L’ultima esecuzione nel paese aveva avuto luogo nel 1993.

 

Giustizia internazionale - Kosova / Serbia

 

Il 26 febbraio 2009 il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia ha emesso cinque condanne nei confronti di altrettante persone giudicate colpevoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nell’allora provincia serba del Kosovo, nel 1999. L’ex vice primo ministro jugoslavo Nikola Sainovic, il generale dell’esecito jugoslavo Nebojsa Pavkovic e l’ufficiale della polizia serba Sreten Lukiv sono stati condannati a 22 anni, mentre Vladimir Lazarevic e Dragoljub Ojdanic, rispettivamente generale e capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo, sono stati condannati a 15 anni.

 

"Mai più violenza sulle donne" / Diritti sessuali e riproduttivi - Messico

 

Dopo una campagna condotta per molti mesi da Amnesty International e dalle organizzazioni locali per i diritti umani, il 16 marzo 2009 è entrata in vigore la Direttiva NOM-046-SSA2-2005 che prevede, tra l’altro, accesso legale e sicuro all’interruzione di gravidanza per le donne vittime di violenza sessuale.

 

Pena di morte - Burundi

 

Il 24 aprile 2009, a seguito dell’introduzione del nuovo codice penale, il Burundi è diventato il 93mo paese abolizionista per tutti i reati. L’ultima esecuzione nel paese africano aveva avuto luogo nel 1997.

 

Prigionieri di coscienza - Iran

 

Roxana Saberi, la giornalista irano-statunitense condannata in primo grado a otto anni di carcere per "spionaggio in favore di un paese ostile", è stata liberata l’11 maggio 2009 dopo che una corte d’appello ha commutato l’imputazione in "possesso di materiale riservato", emettendo una condanna a due anni di carcere con pena sospesa. Amnesty International aveva lanciato un appello per la scarcerazione di Saberi all’indomani del primo verdetto, il 18 aprile.

 

Pena di morte - Togo

 

Il 23 giugno 2009 l’Assemblea nazionale ha votato all’unanimità in favore dell’abolizione della pena di morte. Il Togo diventa così il 15mo stato africano abolizionista, il 94mo a livello mondiale. "Questo paese ha deciso di istituire un sistema giudiziario sano, che riduce il rischio di errori giudiziari e garantisce i diritti delle persone", ha commentato il ministro della Giustizia Kokou Tozoun. "Questo nuovo sistema non è più compatibile con un codice penale che mantiene la pena di morte e concede all’autorità giudiziaria un potere assoluto, con conseguenze irrevocabili".

 

Diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender - India

 

Il 1° luglio 2009 l’Alta corte di Delhi ha decriminalizzato l’omosessualità. Secondo Amnesty International, che insieme alle organizzazioni locali per i diritti umani aveva svolto una lunga campagna per questo obiettivo, la sentenza è un deciso passo avanti per assicurare che in India sia possibile esprimere il proprio orientamento sessuale e l’identità di genere senza timore di subire discriminazioni. La sentenza dell’Alta corte ha annullato, definendola discriminatoria e "contraria alla moralità costituzionale", una norma britannica risalente al periodo coloniale che proibiva relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso, definite "rapporti carnali contro l’ordine naturale". La legge è stata usata per colpire l’azione degli organismi impegnati nella prevenzione dell’Hiv/Aids.

 

Impunità - Brasile / Uruguay

 

Il 7 agosto 2009 la Corte suprema brasiliana ha autorizzato l’estradizione in Argentina del colonnello uruguayano Luis Cordero Piacentini, che deve rispondere della scomparsa di cittadini argentini e uruguayani (tra cui il neonato Adalberto Soba Fernandez, sequestrato a venti giorni dalla nascita e successivamente dato in adozione illegale) nel contesto del "Piano Condor". La massima corte brasiliana ha accolto la richiesta della magistratura argentina, che sta indagando su una serie di crimini commessi in un centro di detenzione clandestino conosciuto come "Concessionaria Orletti", un autosalone della capitale Buenos Aires attivo negli anni della dittatura. Il "Piano Condor" fu un’operazione coordinata tra i governi militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Uruguay e Paraguay destinata a eliminare esponenti dell’opposizione politica negli anni ‘70 e ‘80.

 

Diritti economici, sociali e culturali- Nazioni Unite

 

All’indomani dell’apertura alla firma del Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, avvenuta il 24 settembre 2009, 28 stati hanno già firmato il testo. Tra questi figura l’Italia, cui la Sezione Italiana di Amnesty International aveva chiesto di firmare il Protocollo.

 

Giustizia internazionale- Ruanda

 

Il 6 ottobre 2009 Idelphonse Nizeyimana, uno dei maggiori ricercarti per il genocidio del 1994, è stato arrestato a Kampala, capitale dell’Uganda. Nizeyimana era a capo dell’intelligence e delle operazioni militari durante i 100 giorni in cui morirono circa 800.000 mila tutsi e hutu moderati. È accusato anche di aver creato un corpo militare speciale. Deve rispondere al Tribunale penale internazionale per il Ruanda delle imputazioni di genocidio e crimini contro l’umanità.

 

"Mai più violenza sulle donne" - Messico

 

Il 19 novembre 2009 la Corte interamericana dei diritti umani ha riconosciuto colpevole e condannato lo stato messicano per la morte di otto donne a Ciudad Juarez, nel novembre 2001, nel caso conosciuto come "il campo di cotone". Si tratta della prima sentenza di condanna per il femmicidio in corso dal 1993 nello stato di Chihuahua, nel nord del paese.

 

Rilasci - Sri Lanka

 

Il 1° dicembre 2009 il governo ha disposto il rilascio di migliaia di civili tamil dai centri di detenzione allestiti in primavera, alla fine della guerra civile. Amnesty International aveva lanciato un’azione globale per chiedere la chiusura dei campi e il rilascio di tutti i profughi di guerra internati.

Messico: carcere sgomberato per girare film, parenti protestano

 

Ansa, 31 dicembre 2009

 

Polemiche per un film di Mel Gibson "How I spent my summer vacation", il nuovo film dell’attore e regista, ambientato nella prigione di Veracruz in Messico, sta causando numerose proteste nella cittadina centroamericana.

Il regista e attore hollywoodiano, di nuovo dietro la macchina da presa dopo Apocalypto del 2006 e la Passione di Cristo del 2004, entrambi fonti di numerose polemiche, ha infatti deciso di girare in un vero carcere e per l’occasione la direttrice della prigione aveva deciso di spostare tutti i carcerati in altre prigioni del paese.

I familiari dei detenuti, preoccupati per le condizioni delle altre carceri messicane, dopo una manifestazione davanti al carcere hanno ottenuto che i reclusi possano restare nello stesso carcere anche durante le riprese. Gibson aveva già girato alcune parti di Apocalypto a Veracruz, alle cui autorità poi donò un milione di dollari per la ricostruzione delle case distrutte dall’uragano Stan nel 2005. Nella pellicola Gibson, che da attore è ricordato per la saga di Arma Letale, Mad Max, Braveheart (che lo vide anche alla regia) e numerosi altri film, interpreta un americano rinchiuso per errore in un severo carcere messicano.

 

 

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