Rassegna stampa 28 agosto

 

Giustizia: il coraggio di un'amnistia che cancelli i reati "sociali"

di Paolo Cento

 

Terra, 28 agosto 2009

 

Il ministro Alfano afferma una cosa ovvia quando indica in una delle ragioni del sovraffollamento delle nostre carceri la presenza di oltre ventimila cittadini non italiani. Non assume, però, la conseguenza politica e decisionale ovvia rispetto a questo dato: è proprio la politica securitaria del centrodestra e il condizionamento elettoralistico che questa ha imposto anche a gran parte del Pd, oltre che all’Idv, a determinare una rincorsa ossessiva di leggi e provvedimenti che aumentano l’uso sociale della carcerazione.

Il carcere è, nell’attuale sistema italiano, la forma più diffusa del controllo, e l’immigrazione rappresenta il terreno principale di applicazione di questo sistema. Non a caso il ministro Alfano fa parte di un governo e di una maggioranza che ha introdotto il reato di clandestinità dove, addirittura, nella norma originaria era previsto proprio il carcere per chi entrava nel nostro Paese senza un titolo amministrativo che ne sancisse la regolarità.

In realtà, l’affermazione del ministro Alfano non servirà ad aprire una riflessione nel centrodestra sul fallimento della politica securitaria e sulla necessità di un grande intervento riformatore capace di depenalizzare il nostro sistema e di ricostruire il sistema di misure alternative.

A proposito, mi viene naturale una domanda provocatoria: compie un reato più grave chi commette una rapina in banca o chi inquina la Grotta Azzurra di Capri? Per noi non c’è dubbio che la risposta sia la seconda e che, in base a questo, andrebbe ripensato il Codice penale e l’uso del carcere.

In realtà il vero obiettivo del ministro Alfano è di utilizzare questi dati per sostenere la privatizzazione del nostro sistema penitenziario, arrivando a paventare vere e proprie galere galleggianti lungo le nostre coste. Noi siamo irriducibili, rivendichiamo di aver sostenuto l’indulto non solo perché lo aveva sollecitato anche il papa nel suo intervento in Parlamento, ma soprattutto perché l’84 per cento di coloro che ne hanno beneficiato non ha commesso più reati.

Anzi, tra questi, ci è capitato di incontrarne alcuni che stavano facendo i volontari in Abruzzo nel post terremoto. Certo, l’indulto da solo non bastava e non basta: per questo oggi rilanciamo la necessità di un’amnistia, ossia di un provvedimento capace di cancellare i reati di natura sociale.

A partire da quello sulla clandestinità e quelli collegati alla condizione di tossicodipendenza che oggi contribuiscono al sovraffollamento delle carceri. Un provvedimento che obblighi la politica a fare i conti con una riforma moderna del Codice penale e di procedura penale. Sappiamo di andare controcorrente ma di amnistie e indulto bisognerà tornare a parlare se non si vuole l’esplosione del sistema carcerario.

Giustizia: ecco le finte "emergenze europee" del centro-destra

di Andrea Bonanni

 

La Repubblica, 28 agosto 2009

 

Quando in politica la percezione (errata) della realtà prevale sulla verità dei fatti, dovrebbe scattare qualche campanello di allarme. Ma ormai, con i governanti della destra italiana, questa è diventata una abitudine così inveterata che anche gli allarmi tendono ad attenuarsi. Qualche esempio. Dopo aver decretato che l’immigrazione illegale costituisce reato, il ministro della Giustizia Alfano si è lamentato per il fatto che in Italia, su una popolazione carceraria di 63 mila detenuti, oltre ventimila siano stranieri.

Risultato: le carceri sono sovraffollate. Chi deve pensare a risolvere la situazione? Secondo Alfano, ci dovrebbe pensare l’Europa. Perché? Forse perché il ministro si immagina che la situazione italiana sia eccezionale e che gli altri europei siano messi meglio. Ma non è vero. In Belgio, per esempio, la popolazione di stranieri che affollano le carceri del regno è del 57 per cento: quasi doppia rispetto a quella italiana. Ma i belgi non si sognano di reclamare un intervento europeo, non gridano all’emergenza e cercano di costruire le carceri di cui il loro sistema giudiziario ha bisogno.

Altro esempio: il ministro degli esteri Frattini, seguito in modo più becero da altri esponenti del centro destra e soprattutto della Lega, se la prende con l’Europa perché non accetta una redistribuzione degli immigrati che richiedono asilo. Segno, si direbbe, che l’Italia sia sommersa da un’orda di richieste di asilo che non può soddisfare. Ma anche questo è falso.

Secondo Eurostat, l’Italia è all’ottavo posto in Europa per quanto riguarda le richieste di asilo. La precedono, nell’ordine, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Germania, Olanda, Austria e Grecia. Se poi si dovesse fare un rapporto tra rifugiati e popolazione, l’Italia finirebbe ancora più indietro nella classifica. E quante sono state le domande di asilo che atterriscono il governo? Nel 2006, poco più di diecimila: una cifra che difficilmente può far gridare all’emergenza.

Ma tant’è. Anche se le falsificazioni dei fatti sono grossolane, servono ad alimentare un dibattito politico altrettanto fuorviante e lontano dai problemi reali. E questo, in fondo, è il vero risultato politico che interessa la destra italiana.

Giustizia: sovraffollamento, da nord al sud emergenza in cella

di Anna Gentile

 

Il Tempo, 28 agosto 2009

 

Le carceri scoppiano e, complice il caldo, la situazione negli istituti di pena di tutta Italia rischia di diventare esplosiva. Ieri un agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Rossano, in provincia di Cosenza, è stato aggredito da un detenuto che ha tentato di infilzarlo utilizzando un manico di scopa spezzato e reso tagliente e appuntito. Solo la prontezza di riflessi dell’aggredito e di alcuni suoi colleghi che sono intervenuti disarmando ed immobilizzando il detenuto ha evitato il peggio e l’agente se l’è cavata con qualche contusione e sette giorni di prognosi.

A Milano, invece, stoviglie sbattute contro le inferriate delle celle o contro le porte blindate. La protesta si è estesa dal primo reparto detenuti comuni anche al secondo reparto del carcere di Opera, dove si trovano i detenuti in "alta sicurezza", vale a dire i condannati per reati di terrorismo o associazione mafiosa per i quali non ci sono (o non esistono più) i requisiti per il regime penitenziario in assoluto più duro, quello del 41 bis.

La situazione nelle carceri è costantemente monitorata da un nucleo "ad hoc" istituto dal capo del Dap, Franco Ionta. Ad ieri sono state registrate proteste nelle carceri di Messina, Bari, Lecce, Foggia, Lucera e Monza. Ma rispetto alla settimana scorsa, quando a Firenze Sollicciano, Perugia, Pisa e Como alcuni detenuti (per lo più extracomunitari) hanno dato fuoco a materassi e a cuscini, le proteste sembrano limitate alla battitura delle inferriate o allo sciopero della fame.

E dopo le ultime aggressioni ai danni di agenti di polizia penitenziaria nelle carceri di Rossano, Rebibbia e Saluzzo, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) ieri ha rinnovato l’appello a intervenire al premier Berlusconi, al ministro della Giustizia Alfano e ai presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani. Il segretario Donato Capece chiede "impegni concreti per aumentare l’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria e per una riforma sostanziale del sistema carcerario nazionale.

La sempre più critica e drammatica situazione e la conseguente mancanza di concreti provvedimenti non ricada pericolosamente ed esclusivamente sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, che il carcere ed i suoi disagi lo vivono tutti i giorni sulla propria pelle". Una misura "tampone" per controllare "l’escalation di aggressioni" nelle carceri italiane, in attesa di integrare l’organico di Polizia penitenziaria, dovrebbe essere l’impiego dei militari nella vigilanza esterna degli istituti penitenziari.

La proposta è di Ugl Polizia Penitenziaria. Il ministro Alfano, dal canto suo, dopo all’appello all’Europa ad intervenire ieri sembrava più ottimista: "Leggo positivamente la risposta immediata di uno dei portavoce della Commissione europea perché precisa due concetti - ha spiegato il ministro - uno che la gestione ordinaria delle carceri appartiene agli stati nazionali; secondo che il governo dell’Europa è pronto ad ascoltare il governo italiano relativamente alle modalità di intervento".

Giustizia: si estendono le proteste dei detenuti, agenti aggrediti

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 28 agosto 2009

 

Battiture di stoviglie e posate contro le inferiate delle celle o le porte blindate a Opera. "Sciopero del carrello" (vale a dire sistematico rifiuto del cibo passato dall’amministrazione penitenziaria) a Pavia. Mentre la Regione Toscana, per bocca degli assessori alla salute e al sociale, lancia l’allarme per una situazione al limite del collasso.

Nuovi piccoli fuochi si accendono nella mappa dell’emergenza delle carceri italiane. Caldo, sovraffollamento e cibo pessimo infiammano, da Nord a Sud, le proteste dei detenuti. L’episodio più grave è stato registrato ieri nel carcere di Rossano (Cosenza) dove un detenuto ha tentato di uccidere un agente. "In Calabria - ha fatto sapere la Uil - Pubblica Amministrazione - il clima che si respira nelle carceri è rovente". Le cause sono ormai note: sovraffollamento e carenza negli organici degli agenti. Aggressioni sono state denunciate anche a Rebibbia e Saluzzo. Scoppiano anche le carceri toscane. Per questo gli assessori Gianni Salvadori (sociale) ed Enrico Rossi (diritto alla salute) hanno inviato una lettera al provveditore regionale per le carceri, al capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e al ministro Alfano. I due assessori si dichiarano "estremamente preoccupati per la gravissima situazione di sovraffollamento e dalle conseguenti condizioni di vita inaccettabili e disumane sia per i detenuti, sia per il personale penitenziario".

Protestano anche gli uomini e le donne rinchiusi a Rebibbia. Perché il sovraffollamento si traduce, in concreto, nella gestione del vitto ("scarso in quantità e qualità", denunciano con una lettera), nella gestione dei colloqui e delle attività scolastiche. Per questo chiedono un incontro urgente con le autorità competenti e annunciano, in mancanza di soluzioni entro la prima settimana di settembre, di ricorrere ad altre forme di protesta, compreso lo sciopero della fame.

Battitura di stoviglie contro le inferiate delle celle e contro i blindi sono in corso da mercoledì anche nel carcere di Opera (periferia sud di Milano), dove la protesta si è estesa anche al secondo reparto del penitenziario, quello che ospita i detenuti in alta sicurezza. Motivo scatenante le parole pronunciate del ministro Angelino Alfano al Meeting di Rimini quando ha ribadito che non ci sono spazi per nuovi indulti. "C’è stata una battitura - conferma il direttore. Giacinto Siciliano - ma la situazione ora è tranquilla".

La situazione nelle carceri è costantemente monitorata da un nucleo ad hoc istituito dal capo del Dap, Franco Ionta. Mentre in serata il ministro ha annunciato che tra 20 giorni porterà in Consiglio dei ministri un piano da 1,5 miliardi per 17mila nuovi posti. Il ministro ha anche aperto alla partecipazione di privati nella realizzazione. La situazione è però calda. A ieri erano state registrate proteste a Messina, Bari, Lecce, Foggia, Lucera e Monza. Nessun episodio drammatico, fortunatamente, i detenuti si sono limitati alle battiture e al rifiuto del cibo.

La tensione comunque resta alta e non sembrano profilarsi soluzioni a breve termine. Per questo la redazione di "Ristretti Orizzonti" del carcere Due Palazzi di Padova ha diffuso ieri una nota in cui chiede di "ragionare su proposte attuabili in fretta e a basso costo per ridurre il sovraffollamento". Costruire nuovi penitenziari è "quanto meno bizzarro", dal momento che "con le leggi in vigore i detenuti aumentano a un ritmo di mille al mese". Più utile sarebbe sperimentare misure di "messa alla prova".

Giustizia: non bastano nuove carceri, ripensare intero sistema

di Raffaele Cantone (Magistrato)

 

L’Unità, 28 agosto 2009

 

Sono passati ormai tre anni da uno dei provvedimenti legislativi più controversi dell’ultimo periodo: mi riferisco all’indulto, e le previsioni delle solite inascoltate cassandre stanno trovando ogni giorno sempre più conferme. Si era detto: è un provvedimento inutile, non risolve i problemi strutturali del sovraffollamento carcerario e, soprattutto, di qui a poco la situazione sarà come prima o persino peggio.

È ciò che sta avvenendo; la popolazione carceraria ha superato le sessantamila unità ed è ben oltre i numeri massimi di compatibilità (circa 45 mila) delle strutture penitenziarie. A questa situazione grave, pericolosa e non da stato civile si è giunti grazie alla somma di più insipienze. Il precedente governo non accompagnò l’indulto con provvedimenti di sostegno sociale ai detenuti scarcerati e questo ha favorito i numerosi rientri in carcere. L’attuale esecutivo, invece, sta cercando di risolvere i problemi della sicurezza usando strumenti repressivi penali e, quindi, continuando a riempire i penitenziari sempre più, fra l’altro, di extracomunitari e piccoli delinquenti.

Del sovraffollamento carcerario è da tempo a conoscenza il ministero della giustizia che ha più volte annunciato rimedi imminenti, prima cercando di recuperare il braccialetto elettronico, poi proponendo nuove misure alternative e sostitutive, senza giungere a risultati concreti per l’opposizione di uno dei partiti della maggioranza. Di recente poi si è detto che sarebbero state costruite nuove prigioni ma siccome vi sono problemi di bilancio si è aggiunto che bisogna attendere i fondi della Comunità Europea.

Certo l’effetto annuncio può essere utile per un’opinione pubblica distratta e per una stampa svogliata ma certo non per risolvere i problemi reali. Ed allora si attendono soluzioni a breve, ben difficili visto che sembra non vi siano nemmeno progetti di nuovi penitenziari. La verità è che al punto in cui si è arrivati la questione diventa complicata perché ciò che sarebbe stato indispensabile era un approccio di tipo complessivo e strutturale, difficile da mettere in campo in momenti di emergenza.

Un punto è certo: è indispensabile investire in una nuova edilizia carceraria, prendendo atto che il livello di criminalità, anche di tipo mafioso, in Italia non consente paragoni con gli altri stati d’Europa. Ciò però non può bastare; bisogna ripensare al sistema sanzionatorio, convincendosi che la sanzione penale debba essere usata solo quando è indispensabile e soprattutto bisogna prevedere misure alternative

al carcere capaci di funzionare per i soggetti meno pericolosi, evitando ciò a cui troppo spesso assistiamo, e cioè pericolosi delinquenti che si sono macchiati anche di stragi e che sono riusciti ad ottenere misure alternative e quindi sono ritornati in libertà molto prima del fine pena previsto e piccoli delinquenti che scontano le condanne fino all’ultimo giorno.

Giustizia: Alfano; la necessità di nuovi posti letto non è eludibile

 

Apcom, 28 agosto 2009

 

Risolvere il sovraffollamento carcerario vuol dire anche assicurare maggior continuità alla lotta alla criminalità. Il concetto è stato ribadito dal ministro della Giustizia Angelino Alfano che, nell’ambito di un dibattito a Cortina Incontra, ha anche confermato lo stanziamento di un miliardo e mezzo di euro per la costruzione di nuove strutture di detenzione secondo un piano che sarà presentato entro 20 giorni al Consiglio dei Ministri.

"Anche questa notte - ha detto il ministro - nelle nostre carceri dormiranno oltre 63mila detenuti: abbiamo una necessità strutturale di 70 mila. Quelli che mancano bisogna costruirli. Non è possibile interrompere la strategia di lotta alla criminalità per mancanza di posti letto. Di questi detenuti 20 mila sono stranieri. Se non ci fossero ci sarebbe il posto per i detenuti italiani".

Tuttavia, ha ricordato Alfano, l’ultimo Cipe ha dato un primo via libera alla realizzazione di nuove carceri, stanziando 200 milioni di euro come parte del miliardo e mezzo che sarà investito per creare 17 nuovi posti. "Entro venti giorni - ha poi aggiunto - porterò al Consiglio dei Ministri il nuovo piano carceri. Siamo intenzionati a chiedere sia il sostegno dei privati, ne ho già parlato con la presidente di Confindustria, che dell’Europa".

"Non vogliamo poi dimenticare - ha proseguito Alfano - che dentro le celle ci sono uomini. È per questo che pensiamo al principio costituzionale della rieducazione. Vogliamo costruire spazi idonei per offrire un’altra occasione nella vita. Ma la realtà ci dice che non bisogna esercitare un eccesso di buonismo che ci rende cattivi con le vittime del reato. Il bilanciamento tra il senso di umanità e della funzione rieducativa va abbinata al rispetto del dolore dei famigliari della vittima".

 

Il Governo non farà altri indulti

 

"L’Europa deve sostenerci. Al momento le nostre carceri hanno una capienza di circa 40.000 posti. Ad oggi, i detenuti sono 63.000, ovvero allo stesso livello del 2006, prima dello sciagurato provvedimento dell’indulto. Posso garantire che questo Governo non realizzerà alcun tipo di provvedimento analogo, anche se la tradizione repubblicana vuole che ogni due anni vi sia un’amnistia o un indulto".

 

Certezza della pena, è la sfida da vincere

 

"La certezza della pena è una sfida che si può vincere". Lo ha detto dal palco di Cortina InConTra il ministro della Giustizia Angelino Alfano. "Una volta che si è condannati si deve scontare la pena, altrimenti si fa un favore a chi ha commesso un crimine e si punisce la vittima. Chi svolge un cammino rieducativo in carcere, imparando un mestiere, ha un tasso di recidività dell’1-2 per cento, chi non lo svolge lo ha dell’80-90 per cento".

 

Oggi difesa e accusa non sono pari su bilancia

 

"Non mi sento di assicurare che questa stagione conflittuale sia terminato, ma ce la metteremo tutta". Lo ha spiegato Angelino Alfano, ministro della Giustizia, rispondendo ad una domanda sul conflitto fra magistratura e politica a Cortina InConTra. "È importante che la giustizia funzioni, se funzionerà si chiuderà anche la stagione conflittuale". Per Alfano "il processo deve essere giusto e rapido, se non vanno insieme non funziona la giustizia. Una ragione data in ritardo è l’equivalente di un torto. Faremo sì che accusa e difesa siano esattamente pari, se non c’è questo si arriva ad un processo ingiusto. Per fare questo, va restituito il primato al giudice, che è terzo rispetto ad accusa e difesa". Il ministro ha proseguito con una metafora: "I due piatti della bilancia della giustizia stanno a pari livello se sopra c’è un giudice equidistante. Oggi non è così. Nell’attuale processo italiano il giudice non è equidistante dal pm e dall’avvocato. Giudice e pm sono troppo vicini, si possono frequentare e se sono maschi e femmina magari pure fidanzarsi o sposarsi. Per procedere con rapidità occorre eliminare le formalità e assicurare la scansione temporale certa".

Giustizia: Tajani (Ue); quest’anno nessun fondo, per le carceri

 

Asca, 28 agosto 2009

 

"Sul problema delle carceri siamo disponibili a discutere. Per quanto riguarda gli aiuti economici, bisogna vedere le possibilità sul bilancio. Quest’anno è difficile, vediamo i prossimi". Lo ha detto il commissario europeo ai trasporti Antonio Tajani, parlando a margine del Meeting di Rimini, a proposito della richiesta di un intervento della Ue sul sovraffollamento delle carceri italiane rivolta ieri dal ministro Angelino Alfano.

"È giusto - ha aggiunto Tajani - che la Commissione si occupi, nell’ambito della questione immigrazione, del problema del sovraffollamento delle carceri. Non è una competenza primaria della Ue, ma il commissario Jacques Barrot ha organizzato una riunione tecnica che si svolgerà entro fine anno per cominciare a studiare il problema. Sui fondi si possono studiare varie ipotesi, ma i fondi strutturali non si possono usare almeno adesso.

In futuro vedremo". Però, ha concluso il commissario, "la questione va vista nell’ambito della politica dell’immigrazione e non in quella carceraria che attiene ai singoli Stati". A proposito dei rifugiati politici, Tajani ha riferito che se ne parlerà nella prima riunione della commissione Ue a settembre. "I rifugiati politici - ha sottolineato - non possono essere solo a carico di un paese: e di questo ne parleremo alla prima riunione della Commissione a settembre".

Giustizia: Spriano; l’Ue non può risolvere un problema italiano

 

Apcom, 28 agosto 2009

 

La richiesta di aiuto del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, all’Unione europea per il problema delle carceri sovraffollate "è una proposta che non ho capito, perché non so cosa significhi chiedere che la comunità europea aiuti a risolvere il problema degli stranieri detenuti nelle carceri italiane". A parlare è don Pier Sandro Spriano, parroco e cappellano del penitenziario di Rebibbia.

"La proposta di Alfano non l’ho capita perché i detenuti dell’Unione europea sono pochissimi. La maggioranza viene dal terzo e quarto mondo. Non immagino come la comunità europea possa aiutare a risolvere questo problema delle carceri italiani. Mi sembra che sotto le righe - prosegue don Spriano - si voglia dire che se le carceri sono piene è colpa degli stranieri, ma loro sono al massimo il 37% dei detenuti.

Le carceri sono piene di italiani, e tutto fa pensare che il numero continui su questa linea". Per il cappellano di Rebibbia "i provvedimenti da prendere sono a monte" ovvero "sul codice, sulle misure preventive, e anche la costruzione di nuove carceri non risolverebbe la situazione". Il sacerdote spiega infatti che "la situazione in questi ultimi 15 anni è andata peggiorando non tanto solo per il numero dei detenuti, quanto per i continui tagli finanziari che hanno portato via risorse umane". "Siamo ai livelli in cui la coperta è cortissima - dice don Spriano - e si tira da una parte all’altra per sanare le grandi problematiche umane".

A proposito del contrasto tra Vaticano e Lega in tema di immigrazione e sicurezza, per il cappellano del carcere romano "le decisioni del governo vanno un po’ in direzione contraria rispetto alla voglia di sanare dei problemi. Mi pare che anche noi come chiesa stiamo sottolineando che siamo in un clima in cui l’umanità dell’individuo è calata e anche il pacchetto sicurezza sta andando in questa direzione.

Mi sembra che le persone siano messe in secondo piano". Poi la critica: "Oggi si tende a dire che lo straniero è fonte di tutti i mali - conclude - allora credo che la chiesa faccia bene a dire la sua e dovrebbe gridare ancora più forte dicendo che ognuno di noi ha pari dignità, è figlio di Dio. Certo ci vogliono regole e rispetto, ma gli uomini sono uomini. Forse stiamo andando in una deriva in cui la vita umana perde un po’ di valore".

Giustizia: Tenaglia (Pd); Alfano s’appella all’Ue ma taglia fondi

 

Asca, 28 agosto 2009

 

"È inutile che il ministro Alfano si nasconda dietro gli appelli alla Comunità europea. La verità è che aveva promesso un piano straordinario per la costruzione di nuove carceri entro l’aprile del 2009 e invece i 250 milioni che Prodi aveva stanziato a suo tempo sono stati sottratti per finanziare il taglio dell’Ici". Lo ha affermato il responsabile Giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia, ospite ieri sera della Festa democratica di Genova.

"Ad agosto - ha aggiunto - ho partecipato all’iniziativa parlamentare andando a visitare un carcere e ho visto che la situazione è davvero al limite della sopportazione, sei detenuti per 10-12 mq senza neppure lo spazio per mangiare seduti. Se non è ancora esplosa - ha sottolineato Tenaglia - dobbiamo ringraziare il lavoro e l’abnegazione della polizia penitenziaria, per altro alle prese con seri problemi di organico. E questo perché sta mancando, da parte di questo governo, una reale politica della pena e dell’edilizia penitenziaria. Il Pd - ha concluso il responsabile Giustizia del partito - ha depositato le sue proposte da tempo e non solo non sono state accettate, ma il governo non si è nemmeno degnato di risponderci".

Giustizia: Rao (Udc); solidarietà a agenti penitenziari aggrediti

 

Asca, 28 agosto 2009

 

"L’Udc esprime solidarietà agli agenti aggrediti in queste ore nelle carceri di Rebibbia, Rossano e Saluzzo: episodi del genere sono frutto di un sovraffollamento inumano che ha le sue radici nella lentezza del sistema giudiziario. Oggi metà delle persone detenute nelle nostre carceri è in regime di custodia cautelare,quindi ancora in attesa di un giudizio definitivo: siamo di fronte a una situazione esplosiva, a un’emergenza di civiltà che il ministro Alfano deve affrontare in prima persona senza tirare per la giacca l’Europa e scaricare su di essa responsabilità che non ha".

È quanto afferma, in una nota, il deputato dell’Udc Roberto Rao, componente della commissione Giustizia di Montecitorio. "A settembre - prosegue Rao - ci aspettiamo un taglio netto alla politica degli spot e degli imponenti piani carceri che non trovano riscontro con la realtà: serve piuttosto un impegno preciso da parte del ministro per l’approvazione di norme sulla custodia cautelare e sulla velocizzazione dei processi, sui conflitti tra ministeri e sulle risorse al personale di vigilanza. Bastano - conclude - poche e semplici norme di buon senso per far tornare il nostro sistema carcerario ai livelli di un paese civile".

Giustizia: Ugl; il governo invii i militari, per la vigilanza esterna

 

Asca, 28 agosto 2009

 

"In relazione all’escalation di aggressioni che si stanno registrando nelle carceri italiane, da ultimo a Pisa e Rossano, riteniamo fondamentale un provvedimento immediato da parte del governo per l’impiego dei militari nella vigilanza esterna degli istituti penitenziari". Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria Giuseppe Moretti, spiegando che "questa misura consentirebbe di recuperare ai servizi di vigilanza interna almeno 3000 agenti. Quanto sta avvenendo nelle carceri italiane, infatti, è anche il risultato della difficoltà di controllo delle sezioni detentive, soprattutto laddove più posti di servizio vengono assegnati ad un solo agente, che spesso di trova nella difficile condizione di dover vigilare su 300-400 detenuti anche nei turni pomeridiani".

"L’impiego dei militari - continua - dovrebbe essere un provvedimento tampone in attesa di nuovi arruolamenti, necessari e urgenti se si considera che, rispetto alla pianta organica regolamentare prevista, la carenza risulta essere di 5500 unità a fronte della presenza di 25.000 detenuti in più. La situazione è aggravata dal fatto che le determinazioni organiche risalgono ad oltre 15 anni fa, quando la polizia penitenziaria non assolveva tutti i compiti che svolge ora".

Giustizia: gli agenti sono pochi, impossibile aprire altri istituti

di Fabiana Pellegrino

 

Il Tempo, 28 agosto 2009

 

"Siamo pochi e vogliamo una riforma della giustizia che vada di pari passo con quella degli organi di polizia". Il segretario regionale Fns (Federazione nazionale della sicurezza) Cisl, Nazzareno Leoni non ha dubbi sulla questione carceri sollevata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano al Meeting di Rimini: l’aumento dell’organico della polizia penitenziaria deve essere la priorità per risolvere la questione carceri.

Facciamo un passo indietro alla visita del sindacato ai due istituti di Rebibbia e all’aggressione dell’assistente di polizia penitenziaria di lunedì scorso. Com’è la situazione nei due istituti romani?

"Riguardo l’aggressione sono cose che succedono spesso e volentieri in tutte le carceri italiane e sono il sintomo dell’esasperazione dei detenuti e della polizia".

 

Parla di esasperazione, quanto è grave il problema del sovraffollamento qui?

"Nel carcere femminile c’è una carenza di sessanta unità, è più grave la situazione nel nuovo complesso. Il problema vero, comunque, per il sindacato, resta l’organico".

 

Troppi detenuti nelle carceri non sono il problema principale?

"La questione del sovraffollamento è delicata. Comprende il numero eccessivo di stranieri nelle nostre carceri così come dalle "lungaggini" dell’iter legislativo. Così magari ci si "dimentica" in cella per un mese un ladruncolo che dovrebbe scontare appena qualche giorno di galera. Il problema vero è che ognuno, e dicendo questo mi riferisco agli organi di polizia, dovrebbe fare quello che gli spetta per legge".

 

E al ministro Alfano, secondo cui il sovraffollamento è aggravato dagli stranieri, cosa risponde?

"Che sono d’accordo, ma il problema va affrontato assieme all’Unione Europea. Il sovraffollamento è un problema oggettivo ma c’è la necessità di garantire alla polizia penitenziaria la possibilità di svolgere appieno il suo ruolo, cioè redimere il detenuto per reinserirlo nella società. Per questo mancano personale e strumenti".

 

Qual è la soluzione?

"Ribadisco: l’aumento dell’organico. È l’unica soluzione. Mancano i poliziotti eppure, e questo è solo per fare un esempio, per ogni 41 bis ci sono 3 poliziotti. Nell’istituto femminile ne abbiamo uno e una soluzione potrebbe essere riunire tutti i 41 bis in poche carceri sul territorio così da non disperdere il personale. Poi si parla di costruire nuove carceri, ma se già c’è carenza così figuriamoci aprendo nuovi luoghi di detenzione cosa potrebbe accadere se contemporaneamente non si assume".

Lettere: i detenuti Reggio E.; viviamo in condizioni disastrose

 

La Gazzetta di Reggio, 28 agosto 2009

 

Gentile Direttore, veniamo a voi, noi tutti della Casa Circondariale di Reggio Emilia, con questa nostra importane missiva con la viva speranza che Lei ci possa cortesemente dare un sostegno, in questa nostra battaglia assolutamente pacifica. Partiamo dal fatto di aver sbagliato, e di essere assolutamente consapevoli che dobbiamo pagare il nostro debito con la "giustizia".

Ma questo che ci stanno facendo, però, va ben al di là di ogni ragionevole dubbio. Il punto è che qui, come in tutte le carceri italiane, siamo arrivati ad un punto disastroso. I problemi che tutti i giorni siamo costretti a subire sono talmente tanti che ci viene difficile persino a spiegarli. Quello che sono le nostre condizioni di vita nel carcere di Reggio Emilia sono inaccettabili.

Il sistema è marcio, non funziona assolutamente nulla, siamo purtroppo abbandonati a noi stessi chiusi come bestie 20 ore su 24. Il rischio malattie è molto elevato, siamo in tre in una cella che ne può contenere uno soltanto. Perché così è stato costruito. Muoverci in questi spazi è un lusso ben lontano dai nostri canoni e per giunta dall’Unione europea è stata giudicata fuori legge, visto e considerato che a ogni detenuto spettano sette metri quadri.

Il problema è che vivere in queste condizioni ci porta ad essere disagiati sotto tutti gli aspetti, a livello salutare credeteci le condizioni sono critiche, disumane, siamo sempre sotto pressione, non facciamo altro che subire angherie. Siamo estremamente stanchi di questi soprusi, vogliamo far sentire la nostra voce, le nostre verità non si tratta di vittimismo, questa purtroppo è la dura realtà. Con la cattiveria, con le ingiustizie, il non essere trattati da esseri umani, in questo modo le persone non si recuperano, anzi come ben sappiamo, le si peggiorano.

Molto spesso qui in carcere si parla di reinserimento nella società. Ma la direzione, nonostante qui ci sono volontari ed educatrici che comunque offrono opportunità ben elaborate, il problema è che vengono puntualmente ostacolate "tolleranza zero". È sbagliato tutto questo, ma come si fa a pensare che una persona possa cambiare, capire gli errori commessi senza che nessuno gli dia una mano? La detenzione di ognuno di noi dovrebbe avere un giusto senso affinché possa essere costruttiva, risolutiva. Abbiamo provato molte volte a interloquire con la direzione.

Tutto assolutamente vano: ci considerano nullità, facendoci persino pesare senza alcuna vergogna il fatto della loro superiorità, e a noi non ci tocca che ingoiare i rospi senza batter ciglio. Vorremmo far presente un’ultima cosa, prima di terminare, che dovrebbe far riflettere in particolar modo. In questo ultimo periodo, gli episodi di violenza sono cresciuti in modo spaventoso, tutto questo è per le pessime condizioni di sovraffollamento e di illegalità.

Con questo, smettiamo ringraziando voi tutti del giornale e un ringraziamento ai Radicali e a tutti i politici che hanno aderito alla tre giorni di visita, che speriamo vivamente non sia stata vana, nelle carceri di tutta Italia.

 

Tutti i detenuti della Casa Circondariale di Reggio Emilia

Lettere: Ippocrate spergiuro, quando il paziente è un detenuto

di Fiorentina Barbieri

 

Terra, 28 agosto 2009

 

"Ci vorrebbero pagine e pagine per descrivere l’inefficienza, la scarsa professionalità e l’affronto quotidiano che i medici compiono nei confronti del Giuramento di Ippocrate. Il detenuto-paziente è trattato con fastidio e le cure che gli spettano sono somministrate in maniera approssimativa senza nessuna puntualità nella distribuzione della terapia". La lettera ci arriva da un carcere del Centro Italia, risuona severa, denunzia a suo modo la mancanza di un approccio di sistema al problema della salute in carcere.

Come quella della zia di un giovane di 26 anni in 41 bis in un carcere del Nord, ictus e paralisi parziale anche a causa di un regime particolarmente duro e forse di maltrattamenti.

C’era una volta la Sanità penitenziaria, il personale medico e paramedico dipendeva dal Ministero di Giustizia, cioè dalle direzioni di istituto, e poteva accadere che le esigenze del detenuto malato fossero subordinate a quelle dell’Amministrazione. La scelta di trasferire le competenze sanitarie delle carceri alle Regioni e al SSN aveva lo scopo di equiparare le prestazioni sanitarie a quelle dei cittadini liberi e di renderne trasparente la gestione. Ma non sembra che il provvedimento sia rigorosamente implementato.

G.P., italiano, in attesa di giudizio, 61 anni. È da tempo in lista d’attesa per un trapianto di cornea e teme di essere discriminato come detenuto; in carcere non riceve cure adeguate e le sue condizioni rischiano di regredire.

A.N.H., 42 anni, croato, operato fuori dal carcere nel 2007 per un melangioma, hanno applicato 9 placche al cervello. Come complicazioni un infarto, epilessia e un aneurisma in via di accertamento. In carcere non riceve terapie adeguate e la tempia sinistra si è gonfiata. Dopo molto tempo N. è riuscito a raccogliere i documenti necessari per la sospensione pena e il magistrato di Sorveglianza attende gli atti del medico che ha dato a voce la diagnosi ma non l’ha certificata prima di andare in ferie.

A.F., 53 anni, italiano, in attesa di giudizio, deve curare all’esterno una forma grave di arteriosclerosi a placche negli arti inferiori che gli blocca la deambulazione.

A.B., 69 anni, italiano, ha 4 bypass e patologie collaterali, è stato trasferito da un grande carcere del Centro Italia ad un altro, piccolo e non attrezzato, perché il suo processo si dovrà celebrare in un’altra città, non dov’è il carcere, solo più vicina.

Qui ad Antigone su questo tema abbiamo un lunghissimo elenco, è solo che il limite di battute assegnateci è già superato.

Toscana: su sovraffollamento la Regione chiede misure urgenti

di Federico Taverniti

 

www.nove.firenze.it, 28 agosto 2009

 

Scoppiano le carceri toscane, una situazione al limite del tracollo che richiede decisioni tempestive per scongiurare conseguenze non controllabili. La Regione, attraverso una lettera a doppia firma degli assessori al sociale Gianni Salvadori e al diritto alla salute Enrico Rossi, indirizzata al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Ministro Angelo Alfano e a tutti i rappresentanti di enti ed istituzioni coinvolti, sollecita un incontro urgente per individuare soluzioni ormai non più derogabili.

Nella lettera i due assessori si dichiarano "estremamente preoccupati per la gravissima situazione di sovraffollamento e dalle conseguenti condizioni di vita inaccettabili e disumane sia per i detenuti che per lo stesso personale penitenziario". Criticano le decisioni finora assunte dal governo giudicando il Piano Carceri inadeguato "perché non supportato dalle necessarie risorse economiche e perché per la realizzazione occorrono tempi lunghi, mentre il disagio è attualissimo, come hanno potuto constatare tanti parlamentari e consiglieri regionali nelle scorse settimane".

Secondo i due componenti della giunta regionale "occorrerebbe rivalutare l’efficacia dell’utilizzo massiccio della carcerizzazione come risposta prevalente per il controllo della devianza sociale e dell’immigrazione clandestina. Anche alla luce dei recenti provvedimenti in materia, primo fra tutti il decreto sicurezza". Gli assessori, nella situazione drammatica che si è delineata, richiamano quindi l’attenzione sulla necessità "di prendere misure urgenti per salvaguardare la salute e la sicurezza di chi è ospitato e di chi ci lavora".

La lettera prosegue ricordando che "la Regione Toscana si è già da tempo dotata di una Cabina di Regia Intersettoriale per le politiche e le Tecniche in ambito Carcerario, e che presto, anche in base alla disponibilità del ministero, verrà firmato un protocollo d’intesa con l’Amministrazione Penitenziaria ed il Centro di Giustizia Minorile per riordinare tutta una serie di protocolli ed accordi già esistenti o in via di attivazione (studio, cultura, lavoro, agricoltura sociale diffusa, ed altro ancora). Senza dimenticare poi l’aggiornamento del Protocollo per la Tutela della salute dei detenuti ed internati in Ospedale psichiatrico giudiziario, dopo il transito della specifica competenza al Servizio Sanitario Regionale".

A conclusione gli assessori chiedono "un incontro in tempi brevi con la pronta attivazione di un Tavolo Regionale di Monitoraggio Interistituzionale della situazione emergente negli Istituti Penitenziari toscani che sia in grado anche di valutare possibili soluzioni alternative da sottoporre all’attenzione del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria direttamente competenti". Secondo i dati messi a disposizione dalla Fondazione Michelucci, aggiornati al 30 giugno scorso, nelle 16 strutture attualmente funzionanti in Toscana sono ospitate 4.217 persone a fronte di una capienza regolamentare di 3.037 posti ed una tollerabile di 4.206.

Le situazioni più complicate a Sollicciano (950 le presenze a fronte di una capienza regolamentare di 483 posti ed una tollerabile di 785), Pisa (415 presenze, 205 regolamentare, 313 tollerabile) e Pistoia (141 presenze, 64 regolamentare, 118 tollerabile). Al limite anche Livorno, Lucca, Massa, Prato e San Gimignano. Gli uomini reclusi sono 4.043, le donne 174. La presenza straniera media è del 50% con i picchi a Sollicciano (62%), Pisa (61%), Arezzo (60%), Lucca (58%) e Prato (57%).

Toscana: Poretti (Ri); Regione nomini subito Garante detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 28 agosto 2009

 

Dopo i disagi e le proteste negli istituti di Firenze e Pisa, la senatrice radicale/Pd chiede alla regione di istituire urgentemente un garante per i diritti dei detenuti.

La regione Toscana dovrebbe nominare subito un garante regionale dei detenuti. È la proposta lanciata dai senatori Donatella Poretti e Marco Perduca (Radicali - Pd) dopo i gravi disagi e le proteste registrate all’interno degli istituti penitenziari di Firenze e Pisa.

"Ben vengano le sollecitazioni e le richieste che la regione Toscana sta portando avanti nei confronti del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e del ministero della Giustizia sul fronte carceri - ha detto Poretti - ma intanto dovrebbe darsi una mossa istituendo il garante regionale dei detenuti visto che sarebbe di propria competenza".

"Questa figura - ha specificato Poretti - è ormai presente in quasi tutti gli Stati europei, in Italia non esiste un garante nazionale, ma esistono regionali, provinciali e comunali le cui funzioni sono definite dai relativi atti istitutivi".

Puglia: Sappe; i segnali di questa emergenza c’erano da tempo

 

Il Velino, 28 agosto 2009

 

"La segreteria regionale pugliese del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, maggior sindacato di categoria, deve purtroppo sottolineare come ancora una volta si cerca di chiudere la stalla dopo che i buoi sono quasi tutti fuggiti. Ci dispiace molto che la questione carceri sia diventato un argomento di attualità solo quando l’epidemia della protesta dei detenuti ha invaso tutti i penitenziari pugliesi e nazionali.

Eppure i segnali della gravità della situazione erano stati denunciati da tempo, poiché oltre all’aumento inarrestabile della popolazione detenuta, il Sappe nei mesi scorsi ha chiesto provocatoriamente la chiusura dei penitenziari pugliesi per le preoccupanti condizioni igienico-sanitarie rilevate peraltro anche dalle autorità sanitarie, che non hanno avuto però il coraggio di chiudere i penitenziari; oppure delle problematiche e i rischi che sarebbero sorti con il passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica".

Lo si legge in una nota del segretario del Sappe Federico Pilagatti, che aggiunge: "In questo difficile contesto la polizia penitenziaria, in grave carenza di organici, ha lavorato e lavora con professionalità e sacrificio rischiando continuamente la propria incolumità per difendere la legalità all’interno dei penitenziari, senza scendere a patti con nessuno. Il Sappe si augura che il ministro della Giustizia e il suo capo del Dap attivino soluzioni percorribili, e abbandonino l’idea di un piano carceri, fatto solo di sogni o soluzioni pittoresche(vedi carceri galleggianti) senza arte ne parte e senza fondi".

"Il Sappe - prosegue la nota - ritiene che anche l’informazione che conta, ha le sue colpe, poiché in maniera disinvolta ha tenuto nascosto, per mesi, all’opinione pubblica, l’orrore che accadeva nelle carceri, interessandosi invece e in maniera attiva a escort e minorenni. Sicuramente una più incalzante denuncia presso l’opinione pubblica avrebbe costretto il governo e tutto il parlamento Italiano a preoccuparsi in maniera più concreta della questione penitenziaria, già a seguito all’emanazione dell’indulto di tre anni fa.

Il Sappe vuole portare all’attenzione che la condanna dello Stato Italiano da parte della Corte di Giustizia Europea,al pagamento di mille euro per aver costretto un detenuto in uno stato di tortura è stata del 16 luglio scorso; tale notizia fu ripresa il 22 luglio anche da questa organizzazione sindacale che paventava il rischio per lo Stato italiano di dover pagare centinaia di milioni di euro poiché la situazione di sovraffollamento è fuori da ogni controllo.

Stranamente tale notizie è stata ripresa dall’informazione nazionale nel mese di agosto; possibile che i potenti mezzi delle redazioni giornalistiche nazionali fino ad allora hanno ignorato per settimane tale importante notizia? Le proteste, per ora pacifiche dei detenuti divampano dappertutto, ma siamo seriamente preoccupati poiché se non si arriverà a breve a qualcosa di concreto ben più problematiche e drammatiche potrebbero essere le conseguenze per tutti, nessuno escluso".

"Il Sappe - aggiunge la nota - si augura che i riflettori non si spengano fino a quando non ci saranno i provvedimenti più volte da noi auspicati: l’impiego dei militari per la vigilanza esterna delle carceri al fine di recuperare subito unità di Polizia Penitenziaria per i servizi all’interno delle sezioni detentive e delle traduzioni, in attesa dell’assunzione urgente e straordinaria di almeno cinquemila poliziotti penitenziari; far scontare la pena a una parte degli stranieri (che rappresentano il 40 per cento della popolazione detenuta, e di cui albanesi, rumeni, tunisini, algerini, marocchini superano il 70 per cento del totale) nei propri paesi d’origine previo incentivi anche economici, ai rispettivi governi che accettassero tale proposta (ciò farebbe risparmiare allo Stato italiano centinaia di milioni di euro); misure alternative alla detenzione e depenalizzazione per quei reati che non destano allarme sociale; lavori socialmente utili (pulizia strade, giardini, boschi, torrenti, fiumi) per quei detenuti, che avendone i requisiti, non hanno potuto fruire delle misure alternative quali semilibertà o affidamento al servizio sociale per mancanza di richieste di lavoro. La maggior parte delle retribuzioni degli stessi, verrebbero poi destinate a un fondo a favore delle vittime dei delitti e loro familiari".

Sicilia: Garante; sul lavoro belle dichiarazioni ma senza seguito

 

Ristretti Orizzonti, 28 agosto 2009

 

Il Sen. Salvo Fleres, Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale, ha dichiarato: "Leggo sulla stampa le sorprendenti dichiarazioni che il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Dott. Franco Ionta, ha rilasciato al meeting di Rimini. Secondo il capo del Dap. "Un detenuto che lavora, probabilmente non delinque più. Senza il lavoro, l’Uomo si riduce a bestia".

Mi auguro che questa bellissima frase sia letta dai Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria e dai Direttori delle carceri che spesso negano il visto sulle pratiche di finanziamento per l’avvio di attività lavorative. In Sicilia siamo al paradosso: la Legge Regionale n. 16 del 1999 consente di finanziare l’acquisto di attrezzature per i detenuti che intendono avviare, in carcere, un’attività di lavoro autonomo, professionale ed imprenditoriale.

Benché la Regione abbia destinato risorse finanziarie per l’accoglimento delle non poche domande, spesso i detenuti non possono ricevere il beneficio di legge perché viene negato il visto sulla richiesta di finanziamento. Delle due l’una o il Dott. Ionta non è a conoscenza di questi fatti o se lo è, sarebbe più saggio astenersi dal fare le superiori scontate dichiarazioni per evitare di suscitare rabbia o ilarità".

Umbria: proteste detenuti, risse, minacce; situazione paurosa

di Annalisa Angelici

 

Il Tempo, 28 agosto 2009

 

Soffrono le carceri umbre. Soffrono un’estate bollente, difficile da portare in fondo: fatta di detenuti che aumentano e agenti di custodia allo stremo; fatta di ripetuti atti di insofferenza nelle celle; fatta di trattative sindacali, lente ed estenuanti, che a tratti sembrano non portare a nulla. Le giornate a Capanne, come nella Casa Circondariale di Spoleto, si succedono tra tensioni e problemi. Non succedeva da anni.

Anzi, non era mai successo prima. E la rabbia dei detenuti è sempre più difficile da contenere: atti di autolesionismo (quasi mai gravi, per fortuna); proteste durante le ore d’aria; liti nelle celle, alla mensa o nei momenti comuni; le risse ai passeggi; i reclusi con problemi di tossicodipendenza che urlano chiedendo farmaci e metadone per calmare le crisi di astinenza; minacce e volgarità rivolte agli agenti di custodia.

Per loro il turno di lavoro è diventato una corsa a ostacoli, il tentativo di arrivare alla fine della giornata nella speranza di aver evitato il peggio. Sapendo che domani inizierà di nuovo. Perché non è semplice gestire la situazione quando uno dei detenuti prende una lametta e si taglia: niente di serio, ma occorre comunque mettere in pratica una prassi, che arriva fino al ricovero in infermeria. Oppure quando uno degli ospiti di Capanne dà fuoco alla propria cella: è successo la settimana scorsa e il bilancio è stato di nove agenti di custodia finiti in ospedale. La proporzione attuale tra poliziotti e detenuti nelle carceri umbre è di 1 a 50.

E c’è il caldo, che rende tutto più difficile. "Immaginatevi che significa stare in due in 7 metri quadrati di spazio, con 40 gradi - raccontano David Cesari e Francesco Petrelli, delegati dell’Ugl per la polizia penitenziaria -. La situazione che si è venuta a creare è difficile anche per i detenuti: con questo non vogliamo di certo giustificare atti che vanno contro il regolamento, ma è comprensibile che le condizioni difficili in cui sono costretti a vivere non aiutano".

Perché gli ospiti delle sezioni, sia a Perugia che a Spoleto, sono raddoppiati, spesso più che raddoppiati. E il numero degli agenti di custodia è sempre lo stesso. Con le sacrosante ferie di mezzo. La direzione è tra l’incudine e il martello: è stata costretta ad accogliere i nuovi arrivi e sostiene per quello che può le richieste degli agenti.

"Non solo: il problema è anche nella qualità dei reclusi - dicono i due sindacalisti -: a Spoleto, ad esempio, finora ci sono stati detenuti con lunghe pene da scontare. In questo caso è naturale che la persona cerchi di stare più tranquilla possibile, di vivere il periodo di detenzione nel modo migliore. Gli altri reclusi, invece, quelli con pene brevi non hanno nulla da perdere". E mettono in piedi il caos. Le liti ai passeggi (nei cortili durante le ore d’aria) sono quotidiane e, sempre più spesso, finiscono in rissa. Con gli uomini della polizia penitenziaria costretti a muoversi di continuo da un luogo all’altro, da un’emergenza all’altra.

"Nella maggior parte dei casi si tratta di gesti dimostrativi - spiegano Cesari e Petrelli -, fatti per protestare contro la situazione precaria e disagevole che gli stessi detenuti vivono. Ma è sempre più difficile intervenire al meglio e garantire la sicurezza necessaria in un carcere". Tanto più che gli agenti corrono rischi in prima persona.

Spesso è solo un poliziotto a controllare un nutrito gruppi di reclusi: qualche settimana fa, a Spoleto, un agente è stato aggredito e a toglierlo d’impaccio, non essendoci colleghi, sono arrivati i detenuti. Senza dimenticare che grossa parte della popolazione carceraria soffre di malattie trasmissibili. "Se i numeri e le proporzioni fossero quelle giuste, tanti guai non ci sarebbero - concludono i due sindacalisti dell’Ugl -: è un mestiere che abbiamo scelto e che amiamo. Ma vorremmo poterlo fare in maniera dignitosa, permettendo anche ai detenuti di godere dei loro diritti".

Frosinone: dopo il suicidio in cella l’interrogazione alla Camera

 

Il Tempo, 28 agosto 2009

 

Sul tragico episodio che pochi giorni fa ha visto un giovane detenuto togliersi la vita impiccandosi in cella, la deputata dei Radicali, Maria Antonietta Coscioni, ha presentato un’interrogazione indirizzata al ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

L’on. Coscioni, già nei mesi scorsi si è fatta promotrice di una serie di iniziative sulla realtà degli istituti di pena, tra queste l’interrogazione dello scorso 15 giugno sull’assistenza psicologica ai detenuti in cui citava proprio la situazione di Frosinone dove "sarebbero rimaste a disposizione degli psicologi 26 ore di attività mensile a fronte di una popolazione di 450 detenuti".

Attività per la quale manca una figura professionale nella pianta organica della Casa Circondariale frusinate, e che dagli ultimi dati è emerso essere affidata al volontariato, grazie all’interessamento e agli sforzi del direttore. "Ho presentato un’interrogazione specifica su Frosinone - ha spiegato l’on. Coscioni - perché ogni volta che si verificano questi casi è necessario interrogare il ministro per conoscere le modalità del fatto e se ne è a conoscenza.

È anche un modo per far sì che l’amministrazione del carcere non si senta sola nell’affrontare il problema. Il dato dei suicidi è allarmante, anche perché i casi sono in aumento rispetto agli anni passati. Per i grandi penitenziari è più semplice avere attenzione, invece i piccoli centri, e Frosinone è uno di questi, risentono della lontananza dai centri decisionali e di osservazione. Per questo ho dedicato particolare attenzione alle realtà locali, ad esempio in Basilicata e appunto nel Lazio". A settembre si attende la ripresa dell’attività parlamentare e con essa la discussione sull’interrogazione che porterà la situazione specifica di Frosinone sul piano nazionale.

Modena: detenuti in rivolta, alla Casa di lavoro di Castelfranco

 

La Gazzetta di Modena, 28 agosto 2009

 

È improvvisamente precipitata la situazione all’interno della Casa di Lavoro. I nervi erano molto tesi da tempo, ma l’incontro a vuoto con il giudice Martinelli di martedì è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sospese tutte le licenze per decisione del ministero, detenuti e internati hanno iniziato lo sciopero della fame e rifiutano anche di partecipare a qualunque attività ricreativa. L’esasperazione e la delusione potrebbero far esplodere un ambiente già bollente. Intanto, i detenuti hanno inviato un sollecito alla Corte Costituzionale. La Casa è ora sovraffollata: si è passati infatti da 40 a 150 detenuti, visto che più nessuno può svolgere attività lavorativa all’esterno.

Ma procediamo per gradi. È da circa 20 anni che il giudice di sorveglianza Martinelli, che gode di grande stima tra i detenuti, concede licenze e permessi per poter svolgere al di fuori della struttura - che di fatto è una Casa di Lavoro - un periodo lavorativo. Ma qualche tempo fa un internato con permesso è stato mandato a casa, a Pescara, e lì ha commesso un omicidio. Le reazioni sono state immediate, tanto che sono intervenuti prima l’onorevole Isabella Bertolini - che ha presentato un’interrogazione parlamentare per verificare l’operato di Martinelli - poi direttamente il ministro Alfano, che di fatto ha chiesto la sospensione di tutte le licenze.

Sono così tornati tutti dentro e la casa è ora sovraffollata: si è passati da 40 a 150 detenuti. Gli internati dovrebbero così lavorare tutti all’interno della struttura, che però non riesce a dare lavoro a tutti. "È paradossale - spiega Don Massimiliano Burgin, che all’interno della struttura cura una scuola estiva - sono sottoposti alla misura amministrativa di sicurezza, ma questa non è applicata".

Quando un detenuto ha terminato di scontare la sua pena, entra in funzione questa misura, che si fonda su una legge del 1930: il giudice di sorveglianza impone un periodo detenzione e di lavoro in una struttura come quella di Castelfranco a scopo di reinserimento nella società.

Ma il detenuto non sa, al momento della condanna, se sarà sottoposto a questa misura, né per quanto tempo, e ci sono molti casi in cui, se il soggetto è considerato ancora socialmente pericoloso, questo periodo viene allungato". La protesta degli internati va dunque oltre al sovraffollamento: contestano e chiedono che cambi la legge - applicata dal giudice Martinelli - e che si ritornino a concedere i permessi. Infine, contestano la paradossale situazione di una Casa di Lavoro nella quale non c’è lavoro. Don Massimiliano quindi ha deciso di farsi portavoce della protesta: "Ho toccato con mano la situazione, non posso tacere, devo fare qualcosa per loro". E oggi incontrerà il sindaco.

Bari: il carcere scoppia, ma c’è l’indifferenza delle istituzioni

di Pino Gesmundo (Cgil - Funzione pubblica)

 

La Repubblica, 28 agosto 2009

 

Il carcere di Bari ospita 574 detenuti a fronte di 350 posti previsti, Lecce conta 750 detenuti rispetto ai 350 possibili, Foggia è al colmo di 650 reclusi rispetto ai 450 preventivati. La presenza eccessiva di detenuti nelle carceri italiane, ormai denunciata da qualche mese su tutti i quotidiani, e aggravata anche dal nuovo reato di immigrazione regalatoci dal pacchetto sicurezza, rende quanto mai necessario che la riforma della sanità penitenziaria sia portata a compimento.

Al problema del sovraffollamento (oltre 63.000 presenze attuali di detenuti a fronte di una capienza di non più di 43.000) si aggiungono strutture fatiscenti prive di arredi dignitosi, impossibilità ad organizzare gli ospiti secondo le patologie (fisiche o mentali) di cui sono affetti. Naturalmente le condizioni di possibili infezioni sono reali; la proporzione di presenza del medico è di uno rispetto a 100 detenuti, per sei ore al giorno, a fronte di esigenze complesse e articolate.

Si riscontrano infezioni le più diverse, Aids, recrudescenza di tubercolosi ed altro, mettendo a rischio non solo la salute dei ristretti ma anche dei lavoratori. Lavoratori che non riescono più a effettuare il loro intervento in maniera efficace. E ancora: registriamo, a detta degli addetti delle carceri locali, la mancanza di metadone per i tossicodipendenti, di strumentazione per il personale sanitario, di auto per consegnare i referti.

Da piccoli a grandi problemi che, in qualche modo gravano e aggravano il quotidiano dei direttori delle strutture, che non è giusto ne opportuno che, in solitudine, fronteggino le emergenze. Le Asl sono latitanti rispetto alle problematiche. Il Provveditorato locale ha raccolto le difficoltà menzionate nell’ambito di una riunione ma nulla di concreto è stato ancora fatto. La preoccupazione e il coinvolgimento sulle questioni devono essere allargati a tutti quegli organi cointeressati alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla salute, dunque Sindaco, Prefetto e Regione. Anche perché le conseguenze di situazione di difficoltà sono sofferte anche dai poliziotti penitenziari (in gravissimo sotto organico e impossibilitati a fronteggiare i numeri in esubero) ma anche dagli educatori che hanno visto lievitare paurosamente il carico di lavoro, con possibile inefficacia di trattamenti.

Andiamo incontro ad un’epoca contrassegnata da denunce alla corte europea di Strasburgo (quando va bene, come hanno fatto i 155 reclusi di Trento), o a maxirisse di protesta (vedi Padova), a rifiuto del cibo (carcere di Bari), a manifestazioni di protesta (come è accaduto a Foggia), pertanto è opportuna una massiccia attenzione da parte degli organi suddetti. Attenzione che dia una forte incentivazione e impulso a che la riforma della medicina penitenziaria abbia un percorso rapido. Considerando quale salute la cura delle malattie fisiche, degli stress mentali, la necessità di un’alimentazione appropriata, di spazi giusti, di attività che incentivino l’integrazione ecc. Una visione di sistema che importi però una buona partenza di collaborazione e convinzione riguardo il fatto che la salvaguardia della salute è un diritto di tutti. È ora che la collettività tutta smetta la sua maschera di indifferenza per affrontare concretamente i problemi.

Catania: il carcere di "Piazza Lanza" è tra le peggiori d’Italia

di Donatella Grasso

 

www.siciliatoday.net, 28 agosto 2009

 

"Nelle carceri italiane ci sono 63.211 detenuti di cui 31.109 in attesa di giudizio, distribuiti nelle 217 carceri italiane. Ben 71 bambini rinchiusi con le madri e, per loro, non ci sono, a volte, né asili né strutture adeguate. Con la presenza di circa 20.000 stranieri, si supera la capienza regolamentare ma anche quella tollerabile". Sono le parole con cui il ministro della Giustizia Angelino Alfano lancia un appello all’Ue perché quest’ultima "si faccia promotrice di trattati o dia risorse economiche agli stati più interessati per costruire nuove carceri".

Per ovviare al problema del sovraffollamento, il ministro non ritiene una soluzione l’indulto ma la costruzione di nuove strutture e del lavoro in carcere per abbassare il livello di recidiva. Intanto, dalle carceri arrivano le proteste, in particolare dagli istituti più grandi della Toscana, Sollicciano (Firenze) e Pisa. Una situazione esplosiva quella del carcere fiorentino che vede la presenza di 955 detenuti (di cui 583 stranieri) e 7 bambini contro i 483 posti regolamentari. A Sollicciano, la protesta dura dal 18 agosto e non accenna a placarsi. Il sovraffollamento e il cibo avariato sono i motivi principali.

A Pisa ci sono oltre 400 detenuti per una capienza massima di 200 e, dal 24 agosto, non si placa la protesta dei detenuti che hanno buttato oggetti contro le sbarre, incendiato suppellettili ed effetti personali. La situazione è critica anche in Emilia Romagna, la regione col maggior tasso di sovraffollamento. Basti pensare che a Bologna, nel carcere Dozza, ci sono 1193 detenuti a fronte di 494 posti. In Liguria, i detenuti dormono in palestra o a terra facendo i turni.

Non meno grave la situazione del carcere di Piazza Lanza a Catania che, per la fatiscenza della struttura e per la mancanza di assistenza sanitaria, è stato classificato come uno dei peggiori d’Italia. Esattamente al secondo posto, dopo quello di Nuoro e Sassari, secondo i dati dell’associazione Antigone che ha esaminato 208 strutture italiane. Dal rapporto emerge che i migliori istituti sono quelli di Milano Bollate, Civitavecchia, Spoleto, Laureana di Borrello. I peggiori si trovano al sud. Dopo quelli sardi e quello catanese, seguono Sulmona, Napoli, Favignana e Taranto.

Il carcere catanese presenta condizioni di fatiscenza della struttura che risale al 1890 e che, pertanto, necessiterebbe di continua manutenzione. Le celle sono sovraffollate (8 detenuti in una cella), i servizi igienici e le docce sporchi, spazi per la socialità inesistenti e zone dove vengono messi anche malati di mente.

"La presenza di una vasta tipologia di detenuti rende difficile la gestione" afferma il Direttore della Casa Circondariale, Rosario Tortorella. Detenuti per reati sessuali, con problematiche psichiatriche, detenuti che si sono macchiati di reati contro i minori e, pertanto, verso i quali vi è l’avversione degli altri, detenuti provenienti dalla criminalità organizzata. Una popolazione carceraria variegata in un sistema circondariale, quindi in attesa che vengano trasferiti in altri istituti, che rende ancora più complicata la gestione di attività trattamentali di lunga durata poiché la permanenza è limitata.

A queste problematiche, si aggiunge il deficit di circa 8000 unità dell’organico della polizia penitenziaria nelle carceri, fermo dal 1992, che rende più problematica la gestione oltre "al venir meno dell’obiettivo più importante della detenzione, ovvero il recupero del detenuto. Questo può avvenire solo in un clima di serenità o quando le condizioni di vita non offendono la dignità della persona. Tutti i detenuti prima o poi escono dal carcere, anche i detenuti più sanguinari, ma se quando escono sono peggiori di prima, non ci sono ronde che possano garantire la sicurezza sociale". Con queste parole, Leo Benedici, segretario generale dell’Osapp, il sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, denuncia l’attuale situazione delle carceri italiane.

"Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi " affermava, 200 anni fa, Cesare Beccarla, autore di "Dei delitti e delle pene".

La pena inflitta al carcerato deve rappresentare un mezzo di prevenzione sociale, uno strumento di riabilitazione dell’essere umano, dopo l’errore commesso. Il detenuto, privato della libertà, il bene più grande per l’essere umano, sconta già la sua pena, rinunciando a una vita affettiva, sociale e lavorativa. Nessun confort particolare per chi ha commesso gravi errori, ma solo condizioni di vita che non offendano la dignità umana e la possibilità di riscattarsi riscoprendo sé stesso e il senso della vita, attraverso progetti riabilitativi a livello personale e sociale.

Reggio Emilia: 320 posti e 700 detenuti, la sicurezza è a rischio

 

La Gazzetta di Reggio, 28 agosto 2009

 

L’ultimo grave episodio risale al giorno prima di Ferragosto. Quando un detenuto, in preda a una reazione brutale, mise le mani al collo di un secondino mandandolo all’ospedale. "Ma gli episodi di risse tra reclusi e aggressioni nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria sono sempre più frequenti" confermano i sindacati. La Pulce come le case detentive del resto d’Italia.

Afflitte da una "malattia" ormai cronica, dalle conseguenza sempre più esplosive: il sovraffollamento. A parlare chiaro sono i numeri: a Reggio, in una struttura che potrebbe ospitare al massimo 320 detenuti, attualmente ne vivono circa 700. Cifre che, nella vita di tutti i giorni, si traducono in condizioni di vita sempre più al limite.

"In celle pensate per una persona oggi convivono fino a tre, quattro detenuti - spiega Salvatore Coda del Fp-Cgil - Questo significa che ci sono letti a castello fino a tre livelli: l’ultimo dei quali costringe il detenuto a sfiorare il soffitto con il torace e a stare a stretto contatto con il calore della luce al neon. Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario gli internati, proprio a causa del sovraffollamento, talvolta sono costretti a dormire con le brande nei corridoi e a condividere i servizi igienici con i detenuti in cella. A essere sacrificato è lo "spazio vitale".

Le temperature torride di queste ultime settimane non hanno fatto che peggiorare un quadro già molto critico. "Spesso ci troviamo a fronteggiare risse, diverbi scoppiati per futili motivi - conferma Michele Malorni, del Sappe - I detenuti sono innervositi da queste precarie condizioni, da una convivenza forzata in spazi che sono per loro sempre più ristretti e al limite e con il caldo basta poco per scatenare reazioni violente".

Ma il sovraffollamento non è il solo problema delle carceri italiane. L’altro male con il quale la struttura di via Settembrini, al pari delle altre case detentive del Paese, è chiamato a fare i conti è la grave carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria. Alla Pulce mancano all’appello 65 agenti, rispetto ai 265 previsti dall’organico. A pagarne le conseguenze sono sia i detenuti che gli agenti in servizio, sovraccaricati di lavoro.

"Attualmente, un solo agente si trova a doversi fare carico di un intero reparto, composto da 75, 80 detenuti - fa notare Malorni - E i movimenti, nei reparti durante la giornata, sono piuttosto intensi: bisogna accompagnare i detenuti per le due ore d’aria previste dalla legge, molti seguono corsi o attività nei vari laboratori, altri si muovono verso le aule di giustizia per i rispettivi processi. Tutto ciò provoca un profondo stress psicofisico nei pochi agenti in servizio".

Con l’estate, poi, il carico di lavoro si è ulteriormente aggravato, a causa delle ferie. "Le ore di straordinario - sottolinea il sindacalista - che solitamente si aggirano sulle 40/45 ore settimanali, ora sfiorano le 60 ore. Tempo che ogni agente sottrae alla propria famiglia". In tutta Italia si moltiplicano le reazioni di protesta per il grave stato di salute delle carceri. Anche a Reggio, i detenuti hanno deciso di far sentire la propria voce con una lettera di denuncia.

"Prima o poi queste precarie condizioni - commenta Salvatore Coda del Fp-Cgil - avranno riflessi anche sulla rieducazione, prevista dalla Costituzione. Vorremmo che tutta la cittadinanza e i politici, anche a livello locale, prendessero coscienza di questa grave situazione. E che si intervenisse al più presto, in maniera concreta".

Pisa: Sappe; le proteste dei detenuti, sono sempre più violente

 

Il Tirreno, 28 agosto 2009

 

Non si placa la protesta dei detenuti del Don Bosco: dopo gli incidenti di lunedì sera, un’ottantina di essi la notte scorsa ha di nuovo bruciato arredi, suppellettili ed effetti personali, provocando un incendio nei corridoi che ha reso necessario spostarli in cortile dove poi si sono barricati per due ore e mezza gridando "Libertà, libertà".

Gli incidenti sono iniziati intorno alle 21 e la calma è stata ristabilita solo dopo la mezzanotte. Lo rende noto Donato Capece, segretario del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria). A Pisa ci sono oltre 400 detenuti per una capienza massima di poco più di 200. Lunedì sera circa 150 detenuti della sezione giudiziaria avevano protestato per la mancanza d’acqua e, dopo aver battuto oggetti contro le sbarre, hanno incendiato corredi, suppellettili ed effetti personali lanciandoli nei corridoi insieme a escrementi e bottiglie.

E ora la replica. "Dopo i fatti di ieri sera - aggiunge Capece - la direzione della struttura ha individuato 30 detenuti tra i più facinorosi e sta valutando di spostarli in altre carceri". In generale, spiega il Sappe, la situazione penitenziaria in Italia è sempre più incandescente. "Ogni giorno - afferma Capece - registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente". Dura presa di posizione anche da parte della Cisl-Fns che parla di una violenta protesta. "Almeno un’ottantina di detenuti si sono barricati nel cortile, ma in effetti sono meno di trenta quelli che hanno fomentato i disordini".

Il sindacato ha chiesto all’amministrazione penitenziaria di intervenire con urgenza, riducendo intanto il numero dei detenuti del Don Bosco e in particolare allontanando coloro che si sono resi protagonisti delle azioni che hanno innescato i disordini. "Il personale - scrive il sindacato, parlando di situazione ormai intollerabile - non può continuare ad operare in queste condizioni".

Gorizia: in carcere è il "tutto esaurito" e i muri cascano a pezzi

 

Il Piccolo, 28 agosto 2009

 

Sono 37, per metà stranieri, i detenuti nel carcere goriziano di via Barzellini, di cui 25 sono in attesa di giudizio. Il numero non è elevato, ma sufficiente per registrare il tutto esaurito. Attualmente la capienza massima della casa circondariale è di 30 posti, visto che solo un piano della struttura è agibile. "L’edificio è molto vecchio - ha spiegato il senatore radicale Mario Perduca, in visita pochi giorni fa al carcere goriziano - e di conseguenza non offre spazi sufficienti e adeguati ai detenuti".

Sul fronte del personale di servizio, a fronte di una pianta organica di 54 unità, sono solo 42 gli agenti di polizia penitenziaria assegnati al carcere di via Barzellini, di cui 39 effettivamente in servizio. Scarseggiano anche le figure di supporto ai detenuti. In servizio c’è un solo psicologo a convenzione, mentre la copertura medica è assicurata per 3 ore al giorno. È da anni che a Gorizia si solleva il problema del carcere di via Barzellini, che sta letteralmente andando a pezzi per la vetustà dell’edificio che risale ai primi anni del ‘900. Era stata ipotizzata anche una sua chiusura con il trasferimento dei detenuti negli altri carceri della regione, ma anche di realizzare una nuova casa circondariale. Sono stati effettuati anche sopralluoghi in tre caserme dismesse per verificare la possibilità che possano ospitare il carcere, dopo una necessaria ristrutturazione, ma per il sindaco Ettore Romoli è meglio procedere al recupero, per lotti, dell’attuale carcere.

Treviso: i detenuti in sciopero della fame, scrivono al tribunale

 

La Tribuna di Treviso, 28 agosto 2009

 

Ieri secondo giorno di sciopero della fame per i carcerati di Treviso. E sui tavoli di Procuratore, magistrato di sorveglianza e prefetto è in arrivo nelle prossime ore una lettera firmata dai detenuti in cui si denuncia la condizione del Santa Bona. Tra le altre cose si lamenta la presenza di numerosi bagni ciechi, completamente privi di giro d’aria.

Tutto questo nel giorno in cui il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha detto che la sua idea è di non procedere ad ulteriori indulti perché non risolverebbero il problema del sovraffollamento delle carceri: "Non intendiamo procedere sulla via seguita negli ultimi sessanta anni dalla Repubblica: 30 provvedimenti di indulto per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri". Alfano ha ieri ha chiosato dicendo che "ogni due anni si fanno uscire 30 mila detenuti, ma il problema non si risolve così".

A Treviso è dunque partita una presa di posizione contro la situazione all’interno del carcere dove, trapela, esisterebbero numerosi bagni ciechi e senza circolo d’aria. I detenuti del carcere trevigiano, 250 su 270, hanno avviato una clamorosa protesta contro il problema del sovraffollamento che affligge il penitenziario trevigiano così come tutti gli altri italiani. Da martedì mattina i carcerati rifiutano i pasti confezionati nella cucina di Santa Bona.

Trieste: il direttore; effetto positivo da celebrazione Ramadam

di Claudio Ernè

 

Il Piccolo, 28 agosto 2009

 

La presenza di una ottantina di detenuti islamici che rispettano in questi giorni le regole del Ramadam, sta avendo una influenza positiva sulla gestione del carcere triestino del Coroneo. Lo ha sostenuto ieri Enrico Sbriglia, direttore dello stesso carcere in cui sono rinchiusi più di 260 detenuti, il 60 per cento dei quali stranieri. Tra questi, i magrebini sono la maggioranza e hanno eletto democraticamente e senza brogli il loro Imam, un giovane detenuto nordafricano.

"Questi islamici ospiti del Coroneo sono persone corrette, rispettose delle autorità e delle regole. Tra loro l’autodisciplina è forte. Comprendono le difficoltà enormi che stiamo affrontando per la scarsità degli stanziamenti e per il sovraffollamento. Si adeguano alla legge e rispettano le altre persone". Enrico Sbriglia, con queste parole ha in qualche modo rovesciato il concetto che ieri al meeting di Rimini era stato espresso dal ministro Angelino Alfano.

Il titolare della Giustizia aveva parlato dei ventimila detenuti stranieri rinchiusi nelle nostre carceri, affermando inoltre che i penitenziari italiani sono idonei a ospitare i detenuti italiani, ma con l’aggiungersi degli stranieri, si supera la capienza non solo regolamentare ma anche quella tollerabile".

Enrico Sbrigia, segretario del Sindacato dei direttori delle carceri, ha anche reso noto che gli orari del Coroneo tengono conto - per i detenuti islamici - delle prescrizioni dal Ramadam. Ogni giorno viene consultato l’apposito calendario islamico e i pasti vengono serviti ai detenuti rispettando le regole. Ma c’è anche dell’altro. Talvolta il suono della preghiera collettiva degli ottanta detenuti magrebini, riesce a superare la barriera fisica delle mura del carcere.

Se il traffico è scarso la voce dell’imam e dei fedeli si percepiscono nitidamente nelle strade adiacenti. Pregano cinque volte al giorno, secondo le prescrizioni del Corano, ma nelle ore di punta il rombo dei motori sovrasta le parole ritmate. "La celebrazione del Ramadam sta avendo un effetto positivo all’interno del carcere. Ha portato più tranquillità e riflessione perché la preghiera, qualunque preghiera, coinvolge tutti anche chi ha un’altra fede" spiega Enrico Sbriglia. "Gli stessi detenuti magrebini stanno costruendo alcune cornici in legno che saranno offerte in dono alle massime autorità del nostro Paese. Al Presidente Giorgio Napolitano e ai vertici di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini".

Brescia: carceri in difficoltà ma si lavora per ampliare Verziano

 

Il Giorno, 28 agosto 2009

 

A due anni dall’ultimo indulto le carceri italiane sono tornate a scoppiare. Ad ammetterlo in pubblico anche il ministro della Giustizia Alfano che, nel denunciare la presenza di ben 63mila detenuti dove potrebbero starcene poco più di 40mila, ha manifestato l’intenzione di realizzare nuove carceri. Troppe, secondo il ministro anche le presenze di extracomunitari giunte a quota 20mila. In alcune case circondariali del Nord-Est alcuni detenuti hanno cominciato per protesta lo sciopero della fame. Il penitenziario Canton Mombello di Brescia non fa eccezione anche se, ora la situazione è tranquilla.

Ad oggi, l’esubero rispetto ai 206 posti letto disponibili, si avvicina al centinaio. Peggiori le condizioni di due anni fa, quando la popolazione sfiorava le 500 unità. A confermarlo l’assessore comunale ai Lavori pubblici Mario Labolani che, lo scorso 15 agosto insieme ai colleghi di giunta Fabio Rolfi e Giorgio Maione, ha compiuto un sopralluogo all’interno del carcere.

"Abbiamo trovato una situazione seria sì, ma non così critica come ci era stata descritta - spiega Labolani -. Per ora non siamo interessati da un eccessivo sovraffollamento anche se bisogna ammettere che le celle sono davvero molto piccole". Il problema si pone in prospettiva dato che il numero dei detenuti è destinato a crescere, data la natura "mandamentale" della struttura carceraria posta a due passi dal centro storico. Sono solo 80 i carcerati che stanno scontando definitivamente la pena; i restanti, invece, sono in attesa di giudizio.

Altissimo poi il numero di stranieri che "a Canton Mombello sono ormai diventati il settanta per cento della popolazione carceraria". Diventa difficile anche far convivere, in condizioni del genere, persone di razze lingue e culture diverse. "il nostro impegno entro la fine del nostro mandato - ha dichiarato Labolani -, è quello di cominciare ad avviare le pratiche per trovare i finanziamenti presso il ministero che ci consentiranno di chiudere la struttura e ampliare il penitenziario di Verziano".

Il carcere di Verziano ospita ora sia uomini sia donne, ma presenta delle condizioni di vivibilità migliori. "I campi attorno al carcere sono già del Comune - spiega Labolani -, un suo allargamento sarebbe l’ideale per raggiungere una capienza di 400-450 posti, che sarebbero adeguati per la nostra città". Impossibile percorrere la via dell’ampliamento o della ristrutturazione di Canton Mombello che, parola di assessore, "potrebbe trasformarsi in una struttura alberghiera o in una residenza per studenti universitari".

Palermo: detenuto si suicidò, il compagno di cella è scagionato 

 

La Repubblica, 28 agosto 2009

 

Sei mesi in isolamento per l’omicidio del suo compagno di cella, ma le indagini lo scagionano. Shera Petrit, albanese di 37 anni, non sarà certo uno stinco di santo. In cella c’è finito tempo fa con l’accusa di avere ucciso una persona e alle spalle ha anche altri procedimenti, ma non sarebbe lui l’autore dell’omicidio di Francesco Lo Bianco, il detenuto trovato morto strangolato la notte del 26 gennaio scorso nel carcere Ucciardone. Il sostituto procuratore Emanuele Ravaglioli ha chiesto l’archiviazione dell’accusa nei suoi confronti.

Erano stati i tre pregiudicati che dividevano la cella con Petrit e Lo Bianco ad accusare l’albanese di avere inscenato il falso suicidio della vittima con un lenzuolo stretto al collo e legato alla finestra del bagno. In realtà, dalle indagini degli ultimi mesi, sarebbe emerso che il giovane, finito in carcere per presunte molestie ai figli della sua convivente, si sarebbe suicidato forse perché non sopportava il peso di quell’accusa così infamante. Ha lasciato anche due lettere riconosciute come autentiche. Per i tre detenuti, principali accusatori, si profila ora l’accusa di calunnia.

I sospetti si erano concentrati su Petrit per una serie di coincidenze. Il giorno prima di morire Lo Bianco era stato schiaffeggiato dall’albanese per la restituzione di una somma di denaro pagata per ottenere dei cavi che gli erano necessari per evadere. La consegna delle funi, però, non sarebbe mai avvenuta. L’avvocato dell’albanese, Giuseppe Lo Curto, vede nella vicenda la spia di un preoccupante clima xenofobo nelle carceri.

"È il segnale di un razzismo diffuso che, nel caso di Petrit, si è concretizzato con l’accusa di omicidio". Nei mesi trascorsi tra i Cavallacci, carcere di Termini Imerese, Pagliarelli e il penitenziario di Secondigliano, Petrit avrebbe anche subito, a detta del suo difensore, diversi soprusi dai compagni di cella. "A tal punto - racconta l’avvocato che non esclude di chiedere un risarcimento danni - che in una lettera il mio assistito ha raccontato di essersi dato fuoco, di essersi ferito a un occhio e di essersi cucito la bocca con uno spago, pur di sfuggire a quella situazione".

Immigrazione: tra l'Italia e l'Europa, un "gioco degli equivoci"

di Andrea Bonanni

 

La Repubblica, 28 agosto 2009

 

C’è una buona dose di equivoco su cui giocano in molti quando, tra Roma e Bruxelles, si rinfacciano carenze e inadeguatezze in materia di lotta all’immigrazione clandestina. Infatti, mentre l’Italia vorrebbe un maggiore impegno europeo sul contenimento dei flussi illegali, sul rimpatrio e sulla eventuale ridistribuzione degli irregolari detenuti nei centri di raccolta (e per Alfano perfino nelle carceri), alla Commissione si ritiene che l’unica competenza europea in materia sia quella che riguarda il trattamento di quanti richiedono asilo: uno dei fondamentali diritti dell’uomo garantito già dalla Convenzione di Ginevra.

L’onere di far fronte all’immigrazione clandestina, secondo Bruxelles, resta invece di competenza puramente nazionale. Questo equivoco consente a entrambe le parti di mettere in scena un dialogo tra sordi che, tutto sommato, fa comodo a tutti, e in particolare a certi politici della destra italiana. Ma sull’asilo l’Europa non è disposta a scherzare.

E parte da un presupposto evidente: qualsiasi essere umano ha il diritto di cercare rifugio in un Paese democratico e di vedere la propria richiesta valutata in base a criteri oggettivi. Per questo Bruxelles si è mossa con discrezione ma con fermezza per far cessare la politica dei respingimenti in mare che il governo italiano aveva cominciato prima dell’estate: chi si rifiuta perfino di ascoltare gli immigrati che bussano alla sua porta non può sapere se hanno o meno diritto all’asilo.

È evidente che questa regola deriva da un principio universale che ieri Gianfranco Fini è stato costretto a ricordare ai suoi alleati: gli immigrati, regolari o no, sono sempre e in primo luogo persone umane, dotate di diritti inalienabili. E come tali vanno trattate.

Il commissario Barrot, succeduto proprio a Frattini come responsabile europeo delle questioni relative all’immigrazione, si rifiuta persino di utilizzare il termine "illegali" o "clandestini", "che sa troppo di criminalizzazione", e preferisce invece parlare di "immigrati irregolari". Il trattamento dei rifugiati che chiedono asilo è regolato a livello comunitario dai protocolli di Dublino. Questi prevedono che l’unico paese abilitato a decidere sulla concessione dell’asilo è il primo a cui si rivolge l’immigrato entrando nell’Unione europea.

La norma era stata decisa per evitare la presentazione di richieste di asilo a più autorità nazionali nella speranza che almeno una accettasse la domanda. Ma ora di fatto questa regola si ritorce contro i Paesi che formano la frontiera meridionale dell’Unione. Italia, Grecia, Malta, e Cipro sono il punto di arrivo di quasi tutti i rifugiati provenienti dall’Africa e dall’Asia e, in base ai protocolli di Dublino, sono subissate di richieste di asilo.

Per cercare di alleviare le situazioni più difficili (Malta e la Grecia, dove la pressione è più forte, sono in stato di emergenza), la Commissione ha presentato una serie di proposte che tendono a ridistribuire tra i Ventisette gli oneri economici e amministrativi dell’accoglienza. Sotto presidenza francese, un anno fa, i capi di governo avevano approvato un "Patto per l’immigrazione e l’asilo" che prevedeva proprio una "responsabilità comune" nel gestire il fenomeno.

Ma le belle parole dei leader europei sono rimaste lettera morta. Le proposte della Commissione, pur limitate ad una cooperazione e ad una ridistribuzione degli oneri in materia di asilo, si scontrano con l’aperta resistenza di Germania, Austria, Olanda, che non vogliono sobbarcarsi gli oneri economici. E con la freddezza dei Paesi dell’Est europeo, che non si sentono interessati dal problema immigrazione.

Per questo motivo, alla Commissione, le critiche dell’Italia non hanno dato troppo fastidio. Anzi: si spera che servano a sbloccare le vecchie proposte che giacciono sul tavolo dei ministri degli Interni e quelle nuove, che il commissario Barrot presenterà ai primi di settembre. Su questo fronte, Bruxelles conta di avere la cooperazione della presidenza svedese dell’Unione. La Svezia infatti è uno dei Paesi più sensibili alla problematica del diritto di asilo, e già ha unilateralmente superato gli accordi di Dublino per venire in aiuto alla Grecia, sommersa dalle richieste.

Ma la lotta contro l’immigrazione irregolare, spiegano a Bruxelles, resta una questione di competenza strettamente nazionale, purché sia condotta nel rispetto dei diritti fondamentali. Il "Patto sull’immigrazione", in effetti, prevedeva che anche su questo fronte esistesse una "responsabilità comune" dei governi europei.

Tuttavia, quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti, le richieste per una ripartizione degli oneri presentate da Italia, Grecia, Malta e Cipro sono rimaste lettera morta: la maggioranza degli Stati membri non vuole sentirne parlare. L’Europa preferisce subire le regolarizzazioni di massa fatte da Zapatero e le criminalizzazioni indiscriminate volute da Berlusconi piuttosto che intaccare la sovranità nazionale in materia di ordine pubblico. Una ipocrisia che neppure le tragedie quotidiane che si consumano nelle acque del Mediterraneo è finora riuscita a scalfire.

Immigrazione: norme più snelle, per processare i "clandestini"

di Cosimo Maria Ferri (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura)

 

Quotidiano Nazionale, 28 agosto 2009

 

L’introduzione di nuove figure di reato porta sempre con sé vari problemi: quello dell’efficacia delle norme e dell’effettività delle pene, ma anche questioni organizzative che incidono sul funzionamento della macchina della giustizia. Ciò nasce dal convincimento (spesso errato) di poter così arginare condotte criminose o condizioni di vita criminogene.

Ma, oltre al mancato raggiungimento di tale obiettivo, emergono anche conseguenze pesanti per il carico di lavoro e per l’attività degli uffici giudiziari. Alla luce dei primi giorni di applicazione, ciò vale anche per il reato di ingresso e soggiorno di stranieri clandestini. Il Csm, nel parere espresso sul testo della legge prima della sua approvazione, formulò molte riserve sull’introduzione di tale figura di reato e previde anche i problemi legati alla concreta attuazione della norma. Le riserve espresse dal Csm si stanno rivelando fondate. Innanzitutto emergono problemi organizzativi dovuti al numero di nuovi procedimenti che stanno affollando le aule dei giudici di pace. E fatto che si proceda per direttissima senza che il clandestino venga arrestato sta dando luogo ad un elevato numero di giudizi in cui l’imputato, anziché comparire davanti al giudice, fa perdere le proprie tracce e ritorna alla condizione di clandestinità; i giudizi, però, vanno ugualmente celebrati, con conseguente rallentamento degli altri procedimenti.

Anche sotto il profilo dell’effettività della pena le preoccupazioni espresse dal Csm risultano fondate: se la finalità della pena è anche la deterrenza, tuttavia una pena pecuniaria, sia pure elevata, non può costituire un fattore di dissuasione per persone che vivono nel nostro territorio in condizioni economiche precarie, e che non verranno indotte all’allontanamento con un’ammenda che sanno di non pagare in caso di giudizio. Perciò, in doveroso ossequio al principio di obbligatorietà dell’azione penale, procure ed uffici dei giudici di pace si troveranno a dover attivare processi destinati a concludersi con un nulla di fatto. È vero che viene prevista l’espulsione come sanzione sostitutiva: ma essa, già prevista anche in via amministrativa in presenza di situazioni di clandestinità, è stata fino ad oggi resa difficile da seri limiti organizzativi e finanziari, che ne hanno ostacolato l’impiego; perciò gli ulteriori casi di espulsione determinati dall’applicazione della nuova normativa incontreranno difficoltà certamente non minori.

La soluzione è quella di attuare al più presto tutti gli strumenti che le norme stesse individuano per rendere fluide e chiare tutte le procedure. La politica ha l’interesse ed il dovere di farlo, e credo che debba anche tener conto dei suggerimenti dei magistrati che senza alcuna volontà polemica evidenziano problemi e suggeriscono soluzioni avendo a che fare ogni giorno con la concreta applicazione della Legge.

Messico: in vigore legge più permissiva su droghe, Usa scettici

 

Apcom, 28 agosto 2009

 

Può considerarsi tra i Paesi con le leggi più permissive per i consumatori di droga, dopo aver eliminato la reclusione per chi è trovato in possesso di piccoli quantitativi di marijuana, cocaina e persino eroina, Lsd e metanfetamine. Entrata in vigore la settimana scorsa, in Messico la nuova legge si inserisce in un collaudato trend in America Latina che vede affrontare quello degli stupefacenti come un problema pubblico di salute.

La norma mira inoltre a evitare il sovraffollamento nelle carceri, per punire i trafficanti piuttosto che i consumatori. Un’iniziativa che ha però lasciata perplessa la polizia di frontiera statunitense, convinta che ci sia una contraddizione in termini con la lotta alla droga sbandierata dal presidente Felipe Calderon. Alcuni temono addirittura che il Messico possa trasformarsi nella destinazione preferita per chi voglia concedersi una vacanza all’insegna dello "sballo".

Decine di migliaia di studenti dei college americani si riversano ogni anno sulle spiagge di Cancun e Acapulco per divertirsi nelle discoteche, richiamati dai concorsi "Miss maglietta bagnata" e dagli "open bar". Adesso "ci andranno perché possono ottenere droghe", si è rammaricato il capo della polizia di San Diego, William Lansdowne. "Per un Paese che ha avuto migliaia di morti per la lotta tra cartelli, non è logico approvare una legge che incentiva chiaramente l’uso della droga".

Brasile e Uruguay hanno già eliminato il carcere per chi porta con sé piccoli quantitativi di droga per uso personale, anche se il possesso è ancora considerato un reato in Brasile. La Corte suprema argentina due giorni fa ha detto no al carcere per chi è sorpreso in possesso di erba. La stessa Colombia ha depenalizzato l’uso personale di marijuana e cocaina. Le autorità di questi Paesi insistono che la loro non è una legalizzazione, ma soltanto una doverosa distinzione tra consumatori, spacciatori e trafficanti. La legge messicana inasprisce le pene per la vendita di stupefacenti, ma le alleggerisce per chi li usa.

Usa: il detenuto-bambino di Guantanamo chiede risarcimento

 

Apcom, 28 agosto 2009

 

Il più giovane dei detenuti rinchiusi a Guantanamo ha intenzione di portare in tribunale il governo americano per ottenere un risarcimento per i sette anni passati nel carcere di Cuba. Mohammed Jawad, che fu arrestato all’età di 12 anni in Afghanistan, è stato rilasciato il mese scorso e i suoi legali hanno intenzione di chiedere fin da subito il denaro sufficiente a tornare alla vita normale.

"Ero un bambino innocente quando mi hanno messo in prigione", ha detto in una recente intervista Jawad. Il Pentagono ha però sempre messo in discussione l’età dichiarata dal ragazzo sostenendo che in realtà di anni ne avesse 17 al momento dell’arresto e che lavorasse insieme con la resistenza talebana. Jawad fu catturato per aver tirato una granata contro un veicolo militare ferendo due soldati ma a distanza di sette anni nessuna accusa formale è mai stata avviata nei suoi confronti.

 

 

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