Rassegna stampa 1 agosto

 

Giustizia: lo stato delle carceri, tra sovraffollamento e degrado

 

www.radiocarcere.com, 1 agosto 2009

 

Il carcere in numeri. 206 istituti penitenziari. Capienza regolamentare: 43.262 posti. Numero delle celle: 28.828. Celle a norma: 4.763. Presenze (luglio 2009): 63.661 detenuti. Un tasso di sovraffollamento mai registrato dal 1946. Posizione giuridica: condannati: 30.186, il resto è in misura cautelare. Presenze stranieri: 23.530, (ovvero il 36,94%) e tra loro meno di dieci mila sono stati condannati in via definitiva. Tasso medio di ingresso: circa 1.000 detenuti al mese. Flusso: ogni anno circa 170 mila persone subiscono detenzioni brevi.

Situazione delle strutture carcerarie. Dall’audizione del Ministro Alfano alla camera del 14 ottobre 2008. Il Ministro precisa: "La capienza regolamentare di 43 mila posti è solo virtuale. Nella realtà, per ragioni strutturali o per mancanza di personale, possiamo contare solo su 37.742 posti". La relazione del Ministro prosegue fotografando in modo preciso la realtà delle carceri. Secondo il Ministro il 50% delle carceri devono essere chiuse perché vetuste. Infatti tra queste il 20% è stato realizzato tra il 1200 e il 1500. Mentre il restante 30% risale all’800.

Le celle oggi. Il sovraffollamento e la vetustà delle strutture fa sì che in molti istituti penitenziari 8, 10, 12 detenuti vivano, chiusi per 21 ore al giorno, in celle di 6 o 8 mq. Mentre le celle più grandi, c.d. cameroni grandi tra i 12 e i 16 mq, sono occupate da 15 e anche più detenuti. Si dorme su letti a castello a tre e anche a 4 piani. Un solo bagno, spesso sprovvisto di bidè. E la mancanza assoluta di spazio per muoversi.

Accade: nel carcere Canton Mombello di Brescia, in quello di San Vittore di Milano, in quello di Bologna, in quello di Arezzo, in quello di Poggioreale, Catanzaro, l’Ucciardone, etc.

In altre carceri, non essendoci posto nelle celle, si fa dormire i detenuti nella sala della socialità, o in quella dove si fanno i corsi scolastici. È quanto avviene nel carcere Rebibbia di Roma. E c’è pure chi sta peggio. Non sono pochi infatti le carceri dove le persone detenute dormono per terra: succede nel carcere di Trieste, in quello di Ravenna, in quello di Torino e così via.

Giustizia: il Cipe ha stanziato 200mln per completare 8 carceri

 

Ansa, 1 agosto 2009

 

Su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli, d’intesa con il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, il Comitato ha assegnato 200 milioni di euro per il programma di completamento di istituti penitenziari in costruzione in cinque regioni, per ottenere 1.100 posti aggiuntivi. Si faranno a Cagliari, Sassari, Tempio Pausania, Oristano, Forlì, Rovigo, Savona e Reggio Calabria.

Giustizia: pena morte abolita in 151 paesi ma 6mila esecuzioni

 

www.unimondo.org, 1 agosto 2009

 

"L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2008 e anche nei primi sei mesi del 2009. I paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 151". Lo segnala il recente rapporto dell’associazione ‘Nessuno tocchi Caino’. I paesi totalmente abolizionisti - nota il rapporto - sono 96; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 8; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 5; i paesi abolizionisti "di fatto", che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 42. I paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 46 a fronte dei 49 del 2007.

Come nel 2007 anche nel 2008 i paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 26. Le esecuzioni sono state almeno 5.727 a fronte delle almeno 5.851 del 2007. La Cina - con almeno 5.000 esecuzioni stimate - si conferma il paese dove si pratica la maggior parte di condanne a morte, ma tra i principali "paesi-boia" figurano anche Iran (346 esecuzioni), Arabia Saudita (102), Corea del Nord (almeno 63), Stati Uniti (37), Pakistan (almeno 36) e Iraq (almeno 34). Di fatto, "dei 46 mantenitori della pena di morte, 36 sono paesi dittatoriali, autoritari o illiberali" - nota il rapporto.

Se l’Asia si conferma il continente con il maggior numero di esecuzioni, in Africa nel 2008 la pena di morte è stata eseguita solo in 5 paesi - erano stati 7 nel 2007 - dove sono state registrate almeno 19 esecuzioni: Botswana, Egitto, Libia (almeno 8), Somalia (almeno 3) e Sudan (almeno 5). Da notare che Etiopia e Guinea Equatoriale che nel 2007 hanno giustiziato rispettivamente 1 e 3 persone, non hanno effettuato esecuzioni nel 2008. Con una risoluzione approvata nel corso della sessione svoltasi in Nigeria dal 10 al 24 novembre 2008, la Commissione Africana per i Diritti dell’Uomo e dei Popoli ha chiesto ai paesi dell’Unione Africana di "osservare una moratoria delle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione della pena di morte". In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte: nel 2008, vi sono state effettuate almeno 4 esecuzioni.

‘Nessuno tocchi Caino’ stima che nel 2008 siano state effettuate in Cina almeno 5.000 esecuzioni, più o meno come nel 2007 e, comunque, in calo rispetto agli anni precedenti. La Fondazione Dui Hua, diretta da John Kamm, un ex dirigente d’affari che si è votato alla difesa dei diritti umani e che continua a mantenere buoni rapporti con funzionari governativi cinesi, ha stimato che "il numero delle esecuzioni nel 2008 ha superato le 5.000 e può essersi avvicinato alle 7.000". Nel 2007, secondo la Fondazione Dui Hua, le esecuzioni sarebbero state circa 6.000, una riduzione pari a un 25-30% rispetto al 2006, anno per il quale ne aveva stimate almeno 7.500. Un calo che sarebbe dipeso, secondo Kamm, dall’assegnazione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino. "Tuttavia questi dati e percentuali non sono verificabili fintanto che permane il segreto di Stato sul numero reale di esecuzioni e condanne a morte" - sottolinea il rapporto.

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi sarebbero via via diminuite fino ad arrivare al 30% in meno rispetto all’anno precedente. Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa in Cina da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema, la quale da parte sua ha reso noto di aver annullato il 15% delle condanne a morte che ha esaminato nel 2007 e nei primi sei mesi del 2008.

Anche nel 2008, l’Iran si è piazzato al secondo posto quanto a numero di esecuzioni. "La situazione non sembra mostrare segni di una inversione di rotta, considerato che nel 2009, al 31 maggio, erano già state effettuate almeno 200 esecuzioni" - nota il rapporto evidenziando che "i dati reali potrebbero essere ancora più alti, perché le autorità iraniane non forniscono statistiche ufficiali e i numeri riportati sono relativi alle notizie pubblicate dai giornali iraniani e a quelle fornite da organizzazioni umanitarie, che evidentemente non riportano tutte le esecuzioni". L’Iran, inoltre, è stato l’unico paese al mondo in cui risulta sia stata praticata nel 2008 la pena di morte nei confronti di persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato: almeno 13 minori sono stati giustiziati in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che l’Iran pure ha ratificato. A riprova della recrudescenza del regime iraniano, anche nel 2008 sono continuate le esecuzioni di massa.

L’Arabia Saudita ha un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo in termini assoluti, ma risulta il primo in percentuale sulla popolazione. Le esecuzioni nel 2008 sono state almeno 102, in netta diminuzione rispetto al 2007, quando erano state 166, ma sono il quadruplo rispetto alle 39 effettuate nel 2006. Nel 2009, al 30 giugno, erano state effettuate almeno 45 esecuzioni, tra cui quelle di tre minorenni. Le esecuzioni avvengono in pubblico e tramite decapitazione: sono effettuate in cortili fuori le moschee più frequentate delle principali città dopo la preghiera del venerdì. Quasi i due terzi delle persone giustiziate sono stranieri, provenienti quasi tutti dai paesi poveri del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia.

Le democrazie liberali che nel 2008 hanno praticato la pena di morte sono state 6 e hanno effettuato in tutto 65 esecuzioni, circa l’1,1% del totale mondiale: Stati Uniti (37), Giappone (15), Indonesia (almeno 10), Botswana (almeno 1), Saint Kitts e Nevis (1).

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sono due i fatti principali che, nel 2008 e nei primi sei mesi del 2009, hanno riguardato la pena di morte: la decisione della Corte Suprema sulla legittimità dell’iniezione letale e l’abolizione della pena di morte nel New Mexico. Il 95% delle esecuzioni è stato effettuato nelle regioni del Sud. Come di consueto il Texas guida la lista dei 9 Stati "esecuzionisti" del 2008 e con le sue 18 esecuzioni ha registrato da solo il 48% di tutte le esecuzioni degli Usa. Oltre al Texas, 4 esecuzioni sono state compiute in Virginia, 3 in Georgia e South Carolina, 2 in Florida, Mississippi, Ohio e Oklahoma, e 1 in Kentucky. L’unico Stato non del Sud a compiere esecuzioni è stato l’Ohio.

In Giappone, nel 2008, sono state giustiziate 15 persone, il massimo in un solo anno a partire dal 1999 - anno in cui il governo ha iniziato a rendere noto il numero delle esecuzioni. Una escalation mai vista, se si considera che dal 1998 al 2005 in Giappone si sono registrate 16 esecuzioni in tutto, una media di due all’anno, ma nei primi sei mesi del 2009 sono già state effettuate 4 esecuzioni. Dopo queste ultime esecuzioni, i detenuti nel braccio della morte giapponese sono diventati 95, al di sotto dei 100 che il Governo considera la capienza tollerabile del braccio della morte.

Giustizia: intercettazioni; applicare la legge e non modificarla

di Emile

 

www.radiocarcere.com, 1 agosto 2009

 

Insoddisfatta è la domanda di giustizia. Introdurre reati, inasprire le pene e modificare le regole del processo penale, sembrano essere gli unici rimedi. Finite le fatiche affrontate per far approvare la legge sulla sicurezza, la quale ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina ed ha inasprito le pene per reati con matrice sessuale, l’esecutivo si è gettato nelle modifiche al processo penale e della disciplina inerente le intercettazioni telefoniche. Modifiche che, al pari delle precedenti, è facile prevedere saranno improduttive di effetti.

L’attività legislativa infatti dagli anni novanta ad oggi è stata caratterizzata da un’iperproduzione di leggi attinenti il sistema penale. Il risultato nessuno. Il funzionamento della giustizia penale, nonostante questa iperattività legislativa, ha continuato a peggiorare sino a raggiungere uno stato comatoso. Le modifiche sempre più spesso sono innescate dall’esigenza di rimediare ad una errata o meglio deviata applicazione della legge.

Si modifica una legge dal corretto contenuto perché l’applicazione concreta produce effetti negativi.

Intercettazioni telefoniche: la legge prevede che possano essere disposte solo quando necessario per le indagini, che debbano durare solo quindici giorni e che ne è vietata la loro pubblicazione. La realtà è a tutti conosciuta. La custodia cautelare, la legge prevede che debba essere disposta solo quando vi sia un concreto pericolo di fuga, d’inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. La realtà è a tutti conosciuta. Molti sono stati gli interventi del legislatore, molte le modifiche normative, nessuno l’effetto.

Inutile modificare, necessario applicare e soprattutto capire la causa della deviata applicazione. Il fine del processo penale è quello di accertare se un reato è stato commesso e di applicare la conseguente pena. Fine che si dovrebbe raggiungere applicando il sistema normativo vigente. Applicazione che però paradossalmente non permette di raggiungere il fine. Diversamente con parole più spurie: le regole non permettono di fare giustizia.

Regole complesse rendono il processo penale troppo lungo, tanto da non permettere all’accertamento di giungere al termine o di determinare l’applicazione della giusta pena. L’alternativa applicare non correttamente le regole per raggiungere il fine. Utilizzare la custodia cautelare come surrogato di una pena che non arriverà mai. Forzare l’uso delle intercettazioni telefoniche al fine di esercitare un controllo sulla collettività e di accertare la commissione di reati.

L’effetto la disapplicazione della regola processuale per un giusto scopo. Un effetto che non dovrebbe essere minimamente tollerato in uno Stato di diritto. Piegare le regole, cancellare le giuste garanzie, seppure finalizzate ad un giusta causa, non può essere permesso. La ratio: la stessa che non consente la tortura. Questa se sapientemente esercitata permetterebbe infatti un sicuro accertamento della verità e tuttavia è ovviamente vietata. La modifica legislativa non risolve, determina solo una diversa disapplicazione. È storia recente. È necessario invece eliminare la causa e costringere il giudice ad un corretta applicazione.

Giustizia: agli avvocati di Toscana, piace la cancelleria on-line

 

Sesto Potere, 1 agosto 2009

 

Un servizio ritenuto molto utile dal 94% degli avvocati toscani, tanto che 9 legali su 10 ritengono che da esso derivi un risparmio di tempi e di costi. È questo quanto si ricava dal questionario che la Regione Toscana ha proposto agli 8 mila legali che si sono registrati alla cancelleria telematica, servizio on-line che, grazie alle infrastrutture tecnologiche regionali, consente di ricevere sulla propria posta elettronica atti e provvedimenti, senza costi, senza code, senza necessità di recarsi fisicamente negli uffici giudiziari.

"Già nel 2008 i nostri servizi telematici per la giustizia hanno avuto circa 145 mila contatti che si sono senz’altro tradotti in un risparmio di tempo e di costi anche per i cittadini - spiega il vicepresidente Federico Gelli, che nel governo regionale si occupa, tra le altre cose, di semplificazione e di nuove tecnologie dell’informazione - È la dimostrazione di quanto può essere fatto, perché la riforma della giustizia non è solo la riforma dei codici, è anche la capacità di rinnovare sostanzialmente un’organizzazione complessa che non per questo deve essere complicata, grazie a nuove soluzioni organizzative e tecnologiche".

Degli 8 mila avvocati registrati al servizio hanno risposto al questionario quasi 4 mila utenti (per la precisione 3.880). Solo l’1% ha giudicato per niente utile il servizio. Il 96% ha evidenziato un risparmio in termini di tempo, prima ancora che di costi.

Numerosi sono stati anche i suggerimenti forniti per un ulteriore potenziamento del servizio. Indicazioni sono state fornite in relazione per esempio alla possibilità di ordinare e stampare copie autenticate, a una migliore articolazione nella ricerca delle sentenze, all’invio di un alert per gli aggiornamenti dei fascicoli, alla segnalazione dell’effettivo deposito degli atti in cancelleria, alla realizzazione di una banca dati della giurisprudenza toscana.

"Indicazioni di cui intendiamo far tesoro - sottolinea Gelli - con la consapevolezza che questa è una strada importante da percorrere per garantire una giustizia meno complicata, più trasparente e per questo più rispettosa di ogni diritto, in una società moderna in cui la domanda di giustizia è inevitabilmente destinata a crescere. E pretendere una giustizia migliore non è solo un aspetto decisivo della cittadinanza, è il requisito di un paese più moderno e competitivo".

Giustizia: stupri di Roma; il nuovo esame dna contro Bianchini

 

Ansa, 1 agosto 2009

 

Niente da fare per Luca Bianchini. Anche il secondo test del Dna, richiesto da lui stesso, lo indica come il presunto stupratore seriale che per settimane ha seminato la paura a Roma. I risultati dell’esame sono arrivati ieri e confermano la compatibilità con i reperti biologici prelevati dagli indumenti di alcune delle vittime. Bianchini deve rispondere di almeno tre violenze compiute su altrettante donne nei garage condominiali delle loro abitazioni. I risultati del test non hanno meravigliato i difensori del ragioniere romano, ex coordinatore di un circolo del Pd al Torrino.

"Non era una cosa imprevista", ha spiegato l’avvocato Bruno Andreozzi che assiste Bianchini con il collega Giorgio Olmi. "Bianchini voleva sottoporsi all’esame e la difesa ha preso atto della sua richiesta poiché potevano esserci degli esiti favorevoli all’indagato".

Per quanto decisive, le prove contro Bianchini non si fermerebbero al solo Dna. Ieri gli inquirenti hanno, infatti, reso noto che una impronta del ragioniere romano è stata trovata anche sullo scotch con cui è stata legata una delle vittime delle violenze, una studentessa che vive nella zona di Tor Carbone.

Tutti elementi che hanno portato la difesa a chiedere una visita medico legale, che potrebbe essere seguita da una perizia psichiatrica. Era stato lo stesso Bianchini, dopo l’arresto avvenuto il 10 luglio scorso, a chiedere con insistenza che su di lui venisse eseguito un altro test del Dna a dimostrazione della sua innocenza.

Il prelievo è stato eseguito il 24 luglio scorso con un tampone salivare nel carcere di Regina Coeli, dove il giovane è detenuto. Come garanzia nei suoi confronti, il test è stato eseguito alla presenza di un esperto nominato dei difensori di Bianchini. Il risultato del test, però, non ha fatto altro che confermare le accuse degli inquirenti.

"Chi ha gettato ombre sulla correttezza del lavoro svolto evidentemente si sbagliava e ora farebbe bene a riconoscerlo", è stato il commento della Questura di Roma. La palla passa adesso alla difesa, che ha già preparato la contromossa: una perizia psichiatrica per Bianchini. Nel 1997 il ragioniere romano venne scagionato dall’accusa di violenza sessuale proprio sulla base di una perizia psichiatrica che lo giudicò temporaneamente incapace di intendere e volere.

Umbria: dalla Regione "attenzione ed impegno" per le carceri

 

Asca, 1 agosto 2009

 

"Grande attenzione e impegno attivo" dell’Assemblea legislativa umbra per affrontare la "difficile" situazione all’interno delle carceri umbre è stata espressa dal presidente del Consiglio regionale Fabrizio Bracco che, con i componenti dell’Ufficio di presidenza, Mara Gilioni e Andrea Lignani Marchesani, ha incontrato stamani le rappresentanze delle organizzazioni sindacali degli agenti di polizia penitenziaria.

Bracco ha assicurato che a nome del Consiglio manifesterà al Governo, al Ministero di grazia e giustizia e al capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria la "preoccupazione del Consiglio regionale dell’Umbria per la situazione che si sta producendo negli istituti di detenzione umbri a causa del trasferimento in atto di 500 nuovi detenuti.

Rappresenteremo - ha detto - i problemi evidenziati dalle organizzazioni sindacali degli agenti per le pesanti e rischiose condizioni di lavoro, e di vita, degli agenti di polizia penitenziaria e degli operatori, nonché le questioni relative alla assistenza sanitaria e in generale alla sicurezza nel territorio regionale". Il presidente ha assicurato che informerà dell’incontro anche il Prefetto di Perugia, con cui i sindacati si vedranno lunedì, aggiungendo che saranno formulate richieste agli organi interessati riguardanti l’aumento del personale, e una attenzione particolare nella gestione del programma dei trasferimento dei detenuti, tendente a rimuovere i "gravi squilibri che si producono all’interno dei singoli istituti umbri". Ha, infine, assicurato che porrà all’attenzione dell’Esecutivo regionale le questioni relative all’assistenza sanitaria dei detenuti da comportare un aggravio di attività e risorse per il servizio sanitario regionale, soprattutto per quanto riguarda la tossicodipendenza.

All’incontro erano presenti i rappresentanti di tutte le sigle sindacali umbre degli agenti di Polizia penitenziaria (Sappe, Cisl-Fns, Uil, Cgil-FP, Cnpp, Sinappe e Ugl) che hanno fornito i dati riguardanti la situazione nella regione.

La popolazione carceraria umbra, hanno spiegato, è di poco superiore ai 1100 detenuti, cui si aggiungeranno i 500 che sono in corso di trasferimento. Poco meno di 800 gli agenti, "già sotto organico in condizioni normali"; il fabbisogno previsto per i nuovi trasferimenti dovrebbe essere di 300 unità, ma ad oggi, hanno sottolineati i sindacati "ne sono arrivati soltanto 40, in missione, e unicamente nel carcere di Perugia".

Livorno: detenuto di 48 anni si è ucciso in cella, era "depresso"

 

Agi, 1 agosto 2009

 

Prosegue la striscia di morte all’interno del carcere delle Sughere di Livorno. Stamattina è stato rinvenuto, all’interno della sua cella, il corpo di Emilio Angelini, 48 anni di Ascoli Piceno. Il detenuto era arrivato ieri mattina al carcere delle Sughere dall’istituo di Pesaro.

L’uomo doveva scontare due anni per spaccio di sostanza stupefacente. Il detenuto ha approfittato del poco tempo in cui è stato lasciato solo per legare una maglia alla finestra e togliersi la vita con l’impiccagione. Sulla tragedia la Procura della Repubblica di Livorno ha aperto un’inchiesta. Ad indagare è il pm di turno Luca Masini, arrivato da due settimane dalla Procura di Lecco.

L’ultimo episodio analogo risale al novembre del 2008, quando Angelo Mascaro, 28 anni, si tolse la vita sniffando gas da un fornellino con una busta di plastica in testa. Sono tre i morti tra le sbarre della prigione livornese nel 2005 (tra cui il caso di Marcello Lonzi sul quale la Procura ha ancora un fascicolo aperti). Altrettanti nel 2007 e uno nel 2008. Con Angelini il conto arriva a otto nel giro di quattro anni e mezzo. Dalla direzione casa circondariale di Livorno puntano ancora il dito sul problema del sovraffollamento: ben 100 detenuti sopra il numero massimo consentito.

 

Emergenza carceri: un altro suicidio a Livorno (Avvenire)

 

Un detenuto ascolano di 45 anni si è suicidato nel carcere di Livorno, dove era stato trasferito da Pesaro. L’uomo doveva scontare una condanna definitiva per reati legati agli stupefacenti. Da tempo soffriva di crisi depressive e per questo era stato trasferito a Livorno, struttura ritenuta più idonea ad accogliere persone con problemi psicologici.

Il detenuto si è ucciso ieri intorno alle 21 impiccandosi con la sua felpa alla finestra della cella approfittando di un momento di disattenzione degli infermieri e degli agenti di custodia del carcere le Sughere. La sezione nella quale si è ucciso è a capienza ridotta e non si esclude che abbia atteso il momento della terapia per mettere in pratica le sue intenzioni suicide. "Era giunto ieri nella tarda mattinata - ha spiegato Anna Carnimeo, direttore della casa circondariale Le Sughere - e non c’erano nei suoi confronti particolari prescrizioni di sorveglianza. Evidentemente aveva maturato la sua decisione già da tempo".

"Ospitiamo in questo momento non meno di 430 detenuti, a fronte di una capienza di 265 posti. È evidente che in queste condizioni siamo costretti a lavorare in condizioni particolarmente difficili": lo sottolinea la direttrice del carcere le Sughere di Livorno, Anna Carnimeo, evidenziando il problema del sovraffollamento delle carceri italiane dopo il suicidio del detenuto.

Bologna: detenute Dozza protestano contro sovraffollamento

 

Il Resto del Carlino, 1 agosto 2009

 

Per tre volte al giorno, fino a Ferragosto, la sezione femminile manifesterà il suo disappunto per le condizioni all’interno del carcere. Tra i problemi ci sono il ritardo nel cambio delle lenzuola e la carenza di attività.

Battono contro le sbarre e le porte delle celle per quindici minuti, tre volte al giorno (alle 9, 15.30 e 20.30). E lo faranno fino a Ferragosto. È questa la protesta messa in atto dalle detenute della sezione femminile del carcere di Bologna contro il sovraffollamento. La Dozza - secondo i dati diffusi il 30 giugno scorso - conta 76 donne e un bambino (su una media di 50-60) e ben 1.180 uomini contro una capienza complessiva di 480 detenuti.

La notizia è stata diffusa dall’avvocato Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. A lui le recluse hanno consegnato un documento (firmato da tutte) in cui spiegano le ragioni della protesta. In particolare, denunciano il sovraffollamento delle celle ("Ho visto personalmente la quarta branda in nove metri quadrati", ha specificato la Garante) che si riflette negativamente sulla qualità delle condizioni di detenzione all’interno della Dozza.

Tra i problemi segnalati ci sono il ritardato cambio delle lenzuola ("Viene fatto ogni 40 giorni", spiega sempre Bruno) e la carenza di attività che costringe spesso la popolazione detenuta, anche femminile, a rimanere chiusa in cella per 20 ore al giorno. Difficoltà che "vengono, nel contempo, amplificate dalla cronica carenza del personale addetto al trattamento e alla custodia, rendendo anche più difficoltosa la fruizione dei servizi sanitari".

Altro motivo di preoccupazione per le detenute riguarda i rapporti con la magistratura di sorveglianza a causa di una presunta "riduzione in atto della concessione delle misure alternative alla detenzione, anche con riferimento alle detenute madri con figli minori e alle detenute affette dalla patologia dell’Aids".

Prato: 3 agenti aggrediti da un detenuto denuncia della Uil-Pa

 

Ansa, 1 agosto 2009

 

Tre agenti di custodia in servizio nel carcere di Prato sono stati aggrediti e feriti, ieri mattina, da un detenuto straniero. L’episodio è stato reso noto dalla Uil-Pa Penitenziari Toscana che punta l’indice contro il sovraffollamento delle carceri. Due agenti guariranno in 5 e in 7 giorni. Il terzo si è fratturato una mano ed è sottoposto in queste ore ad altri accertamenti medici.

Venezia: agente aggredito, direttrice invoca serenità per tutti

 

La Nuova di Venezia, 1 agosto 2009

 

"Invoco serenità per tutti, in primo luogo per il personale che in questo momento è nell’occhio del ciclone". Parla con imbarazzo la neo direttrice del carcere maschile di Santa Maria Maggiore, Irene Iannucci, e accenna all’ennesimo episodio di aggressione verificatosi sabato scorso.

La responsabile spiega: "Un detenuto straniero ha avuto reazioni forti nei confronti di un operatore di polizia penitenziaria e l’agente è finito in ospedale. Ci sono persone alterate nei loro comportamenti e ci vuole pazienza".

Dietro le sbarre la tensione sta salendo. Non solo per il sovraffollamento (oggi 320 detenuti), le condizioni igieniche, i due suicidi. In corso c’è anche un’inchiesta della Procura di Venezia che vede indagati alcuni agenti penitenziari.

Sulla questione il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) sostiene: "I colleghi hanno svolto e svolgono il loro duro e difficile lavoro quotidiano nella prima linea delle sezioni detentive con professionalità ed alto senso del dovere. Le dichiarazioni dei detenuti su presunti abusi devono essere ovviamene supportate da prove: certo che se ad accusare i nostri poliziotti c’è anche chi sabato ne ha aggredito uno in carcere... Il nostro è un lavoro duro e difficile, ma svolto ogni giorno nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti".

L’ex direttrice del carcere di Santa Maria Maggiore, Gabriella Straffi (direttrice attuale del carcere femminile della Giudecca) tiene a precisare che, come ventilato, in carcere non esiste una cella di punizione: "Sia ben chiaro che tale simile ambiente non è mai stato né pensato né tantomeno utilizzato - spiega -.

Si trattava di una cella di mero transito che veniva saltuariamente utilizzata al solo scopo di individuare spazi adeguati per persone che non possono essere semplicemente definite "esuberanti", ma che presentavano spiccata attitudine alla violenza nei confronti di terzi, operatori e compagni di cella e di sé stessi". Nella problematica carceraria emerge anche il grido d’allarme degli avvocati penalisti della Camera di Venezia che propongono: "In autunno blocco totale della giustizia a tempo indeterminato se la situazione non si sblocca positivamente". Una protesta, quella dei penalisti, che mette al centro la situazione disperata del carcere maschile.

Sanremo: detenuto ingoia lametta è salvato dalla Croce Rossa

 

Ansa, 1 agosto 2009

 

Un detenuto di nazionalità marocchina di 20 anni, recluso a Sanremo, ha ingoiato una lametta. Un detenuto che, per motivi ancora imprecisati, questa mattina ha ingoiato una lametta da barba, è stato salvato dai volontari della croce rossa, intervenuti su segnalazione del 118, al quale si erano rivolti gli agenti della polizia penitenziaria, subito dopo essere venuti a conoscenza dell’accaduto. Protagonista è un ventenne magrebino. Il giovane è stato salvato e, con molta delicatezza, portato al pronto soccorso, dove i medici gli hanno rimosso la lametta. Accertamenti sono in corso per ricostruire la dinamica dell’accaduto.

Tolmezzo (Ud): la manutenzione ambientale, grazie ai detenuti

 

Messaggero Veneto, 1 agosto 2009

 

A Tolmezzo e Paluzza: detenuti della casa circondariale a scuola di manutenzione ambientale. Oggi alle 11.30 nella sala consiliare del municipio, alla presenza del sindaco Dario Zearo, del direttore della casa circondariale Silvia Della Branca e dell’assessore regionale Claudio Violino, ci sarà la presentazione dei risultati del progetto di formazione e tirocinio nel settore della manutenzione ambientale.

Il progetto che ha coinvolto otto detenuti in regime di semilibertà aveva lo scopo di incoraggiare il loro reinserimento socio-lavorativo grazie ad attività che costituissero un servizio di pubblica utilità. L’iniziativa ha riguardato una prima fase di formazione teorico-pratica presso il centro servizi per le foreste e le attività della montagna (Cesfam) di Paluzza dove gli allievi hanno ricevuto le principali nozioni in tema di normativa antinfortunistica e sicurezza in cantiere, di utilizzo delle attrezzature per le manutenzioni ambientali e tecniche di taglio. Gli allievi sono quindi stati inseriti per otto settimane in due squadre del servizio gestione territorio rurale della Regione ed una squadra del servizio manutentivo del comune di Tolmezzo dove hanno svolto un tirocinio formativo.

Al termine di questa fase è stata quindi organizzata un’esercitazione pratica di sistemazione ambientale della durata di una settimana per il ripristino del sentiero di accesso alla pieve di Caneva a Santa Maria Oltre But. L’intervento eseguito in completa autonomia da parte dei detenuti ha riguardato la sistemazione del piano viabile, lo sfalcio e la pulizia delle scarpate, il ripristino di gradini e muretti a secco ed infine l’esecuzione di manufatti per la raccolta delle acque superficiali. Al termine della presentazione ai partecipanti al progetto sarà consegnato l’attestato di frequenza.

Roma: piano anti-rom; stop a campi solo 13 villaggi autorizzati

 

Redattore Sociale - Dire, 1 agosto 2009

 

Ridurre i campi nomadi a tredici villaggi autorizzati, a fronte degli oltre 100 siti attuali (tra insediamenti abusivi, campi cosiddetti tollerati e villaggi autorizzati).

Questo il principale obiettivo del Piano nomadi, predisposto dal prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, in qualità di Commissario straordinario per l’emergenza nomadi in collaborazione con il Campidoglio. Il Piano è stato presentato oggi dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dallo stesso Pecoraro, dal sindaco Gianni Alemanno, e dall’assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso.

Il Piano prevede la possibilità di accogliere fino ad un massimo di 6.000 persone appartenenti alle comunità nomadi del territorio cittadino. Saranno poi chiusi 9 campi tollerati: i primi tre saranno Casilino 900, Tor de Cenci e La Martora con una riduzione del 50% del campo entro la fine di ottobre. Saranno

chiusi anche oltre 80 insediamenti abusivi, ristrutturati i villaggi autorizzati. La popolazione nomade avente diritto nelle nuove aree e all’interno di alcuni dei sette campi che saranno ampliati sarà ricollocata. E ancora: saranno realizzati presidi di vigilanza socio-educativi, saranno conseganti i documenti di autorizzazione allo stazionamento temporaneo, saranno avviate le operazioni di bonifica e recupero delle aree interessate e saranno completate le operazioni di censimento effettuate dalle forze dell’ordine.

Olanda: la tassa sullo spinello; ecco la "ricetta" contro la crisi

di Rosalba Castelletti

 

La Repubblica, 1 agosto 2009

 

A ogni boccata di marijuana una boccata d’ossigeno per le casse statali, ma anche una stangata per i cosiddetti "turisti dello spinello". In tempi di crisi si pensa anche a questo: a proporre un disegno di legge per imporre una tassa straordinaria sul consumo di cannabis laddove, come in Olanda, è tollerato. L’idea è venuta al parlamentare olandese Boris van der Ham, esponente del partito social-liberale D66, mentre si trovava a Oakland, prima città statunitense ad aver approvato la settimana scorsa la tassazione della marijuana per scopi terapeutici.

Nella città californiana, dove la vendita di marijuana è consentita solo dietro ricetta medica, nel 2010 la misura frutterà 249mila dollari. Poca cosa rispetto a un buco da 83 milioni di dollari, ma la nuova tassa è stata comunque festeggiata perché - aldilà del misero contributo alle casse municipali - rappresenta il primo passo verso l’attesa legalizzazione della cannabis in California.

Diverso il caso olandese, dove il possesso di droghe leggere è stato depenalizzato 33 anni fa e ogni anno si vendono in media 265mila chili tra marijuana e hascisc per un giro d’affari da due miliardi di euro. È partendo da queste cifre che Van der Ham ha calcolato che una tassa straordinaria sulla cannabis potrebbe rimpinguare considerevolmente le casse olandesi. Rientrato ad Amsterdam, perciò, insieme agli altri liberali ha subito invitato il ministro del Tesoro a studiare una proposta di legge. "Non bisogna considerare la cannabis diversamente dagli altri beni voluttuari, come tabacco e alcolici", ha detto intervistato da De Volkskrant.

Il commercio di cannabis in Olanda, però, è già adesso onerato da imposte: secondo una tv locale, i 702 coffee shop (i locali autorizzati a vendere droghe leggere) portano ogni anno al Tesoro circa 400 milioni di euro di iva. E c’è chi teme che un’ulteriore tassa possa solo frenare il redditizio consumo. "La tassa deve rappresentare solo una piccola percentuale del prezzo", ha precisato Van der Ham "anche per prevenire che la gente compri droghe leggere illegalmente".

La radio olandese Nos ha avanzato ulteriori dubbi. Malgrado la cosiddetta bedoogbeleid, o "politica della tolleranza", che le ha conferito la reputazione di Mecca delle droghe leggere, in Olanda la cannabis è tuttora ufficialmente illegale e perciò, in linea con la legislazione europea, non vi si può imporre alcuna tassa straordinaria. La riforma del ‘76 infatti ne ha depenalizzato solo il possesso sino a 5 grammi. I coffee shop possono invece tenerne in magazzino sino a 500 grammi, ma paradossalmente non possono comprarla legalmente.

Un pasticcio legale che il governo olandese spera presto di districare. La commissione sulle politiche sulle droghe ha già studiato alcune proposte tra cui la limitazione della vendita ai consumatori locali. Sia che venga accolta la proposta di Van der Ham sia che i coffee shop vengano di fatto trasformati in club, ad andare in crisi stavolta saranno insomma i "turisti della canna".

Guantanamo: il giudice ordina, "a casa il detenuto ragazzino"

 

Ansa, 1 agosto 2009

 

Tornerà a casa dopo sei anni a Guantanamo Mohammed Jawad, un giovane afgano che secondo i suoi avvocati aveva 12 anni al momento della cattura. Il rilascio è stato deciso ieri da un giudice Usa: ha ritenuto che le prove fossero invalide, perché raccolte sotto tortura. Jawad era accusato di avere legami con i Taliban: per i suoi avvocati al momento dell’ arresto aveva 12 anni, per le autorità americane 17. La sua liberazione potrebbe costituire un precedente per altri prigionieri del centro che Barack Obama si è impegnato a smantellare.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su