Rassegna stampa 18 agosto

 

Giustizia: degrado del sistema carcerario, dove muore il diritto

di Francesco Pullia

 

Europa, 18 agosto 2009

 

È avvilente pensare che scelte opportunistiche, obbedienti a triti luoghi comuni e a odiosi giustizialismi artatamente indotti, abbiano impedito a un gran numero di parlamentari di acquisire reale cognizione di un mondo pesantemente degradato come quello carcerario. Chi accredita e diffonde una concezione vendicativa, violenta, della giustizia, fomentando tra l’altro pericolose derive emotive, misconosce quanto avviene all’interno di mura entro cui, prima ancora della dignità, è vilipesa la legalità.

In tre giorni di incontri e sopralluoghi, promossi da noi radicali, abbiamo avuto modo di ascoltare direttamente dalla voce dei detenuti e da quella di direttori, agenti penitenziari, operatori sanitari, psicologi, storie che non possono non turbare chi nutra la convinzione che democrazia e rispetto del diritto costituiscano il naturale antidoto all’imbarbarimento della società.

Difficile pensare alla detenzione come forma di ravvedimento e reinserimento sociale quando, a causa di intollerabili lungaggini, cavilli burocratici, disfunzioni procedurali nonché di demagogiche e affrettate disposizioni governative, la popolazione carceraria è in soprannumero, l’organico assegnato è carente, malpagato, costretto a svolgere mansioni aggiuntive e straordinari, gli psicologi e gli operatori sanitari si trovano costretti a lavorare in condizioni di deprimente precarietà.

I soldi stanziati per assicurare un’ordinaria, ripetiamo ordinaria, gestione amministrativa sono sensibilmente diminuiti e solo l’alto senso civico e la passione dei funzionari impedisce un ulteriore aggravamento.

Non ci sono, ad esempio, adeguati sostegni economici per attuare, come si dovrebbe, programmi di formazione professionale e recupero dei detenuti. Si arriva all’assurdo che persino per l’acquisto di materiale (detersivi, spazzoloni, saponette, carta igienica ecc.) destinato a garantire un minimo di condizioni igieniche nelle celle e impedire, quindi, il possibile propagarsi di infezioni ed epidemie i direttori siano costretti a fare letteralmente salti mortali.

Non è un caso se una spesa consistente, in ambito sanitario, sia data dall’acquisto di psicofarmaci, di cui nelle case di pena c’è larghissimo consumo, aumentino i casi di aggressioni, autolesionismo e suicidi (ben trentacinque dall’inizio dell’anno) e, ancora, il nostro paese venga condannato dalla Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Al di là di tante scempiaggini che, purtroppo, capita di ascoltare in giro, le carceri italiane sono, di fatto, una discarica sociale di cui a farne le spese sono i meno abbienti, i non garantiti, i più esposti al disagio, i meno capaci, per necessità, a resistere alle lusinghe della malavita organizzata.

La soluzione al problema non può essere certo data dalla costruzione di nuovi istituti penitenziari, molto utili al fumo propagandistico ma destinati in concreto a restare nella quasi totalità non operativi (come, ad esempio, quello di Rieti) per mancanza di fondi e personale. Occorre, invece, riflettere sull’urgenza di depenalizzare o, comunque, "decarcerizzare" alcuni reati. Non sono le carceri ad essere poche, sono i detenuti ad essere troppi, e in particolare quelli in attesa di giudizio. È ora che di questo ci si renda conto, prima che l’attuale situazione da drammatica diventi irrimediabilmente ingestibile e incontrollabile.

Giustizia: sistema penale è iniquo, se manca la solidarietà civile

di Mariapia Garavaglia

 

Europa, 18 agosto 2009

 

È una funzione alta e nobile dello stato far valere la forza delle leggi, per cui sanziona i trasgressori. Ma è espressione di civiltà commisurare la sua espiazione la dignità della persona, che non viene mai meno, nemmeno in carcere. Centocinquanta parlamentari hanno dedicato la giornata di Ferragosto visitando gli istituti di pena per verificare la possibilità di riscatto dello stato nell’esercizio di censore delle disobbedienze alle sue leggi. Sovraffollamento e contestuale sottodimensionamento del personale acuiscono la pena, aggiungendo un sovrappiù di difficoltà non accettabile né per la polizia carceraria, né per i detenuti.

Va espresso apprezzamento per un personale che è costretto a turni onerosi e che mantiene un livello di quiete che non è facile ottenere. La vita in carcere, con una popolazione doppia, rispetto all’attuale dimensionamento può rappresentare - e rappresenta - una significativa area sensibile per la sicurezza del paese. È un’ulteriore prova che a chi sventola la bandiera della sicurezza non interessa la sostanza dei problemi quanto la propaganda.

Sovraffollamento significa una residenzialità precaria, indegna perché gli spazi e i tempi ristretti sottraggono possibilità di lavoro, di partecipazione ai corsi e alle altre attività culturali e sociali; per non parlare delle difficoltà nell’uso dei servizi igienici.

Si aggiunga una totale mancanza di manutenzione, anche di quella minuta e continuativa, e si ha lo stato delle carceri italiane. E non va trascurato il fatto che molti istituti di recente costruzione sono testimoni di quella stagione nota per le "carceri d’oro" per capire di quanta manutenzione ci sarebbe necessità.

Dove c’è, riveste un ruolo importante il volontariato. Non è facile essere volontario dietro le sbarre, sia per l’equilibrio "istituzionale" richiesto, sia per l’ambiente umano e fisico. Ci sarebbe spazio per preparare i volontari del servizio civile nazionale, che introdurrebbero il volto umano dello stato in una relazione difficile fra il "dentro" e il "fuori".

Il carcere è l’ultimo gradino di una scala di impegni dello stato nell’amministrare la giustizia ed è quindi la spia di come questa viene gestita. Il sovraffollamento è infatti causato anche dalla presenza di numerosi detenuti in attesa di giudizio. È una prassi inaccettabile.

Lo stato non può esercitare la sua pretesa punitiva senza farsi carico urgentemente di accertare la verità. Un giorno senza libertà è la più grave menomazione della dignità di un individuo.

Si pensi, inoltre, al carico di lavoro del personale; all’oppressione morale dei familiari e dei protagonisti. La giustizia senza solidarietà civile e sociale rischia di essere iniqua, perché si fa guidare invece che dalla dignità di ogni singola persona, dalla rigidità oggettiva e teorica di norme e procedure.

Giustizia: quando si legifera sulla sicurezza "a colpi di galera"

di Daniela De Robert

 

www.articolo21.info, 18 agosto 2009

 

Ferragosto 2009. Centocinquanta deputati varcano la soglia del carcere, entrano nelle galere, vedono le celle, parlano con gli uomini e le donne detenute. Tre giorni di visite volute dai radicali per portare nelle prigioni quelli che troppo spesso fanno le leggi sulle prigioni senza averle mai viste, dissertano di sovraffollamento senza sapere cos’è una cella da due abitata da cinque dove si vive chiusi per venti ore al giorno, legiferano sulla sicurezza a colpi di galera ma con un detenuto non hanno mai parlato. Certo, i direttori li aspettavano. Il peggio è stato occultato. I materassi buttati per terra nelle palestre e nei locali comuni non c’erano. Ma il passo è stato fatto. Centocinquanta deputati hanno superato - molti per la prima volta - il portone blindato.

Parlando con gli agenti forse hanno imparato un verbo galeotto, un verbo cioè che si coniuga solo dietro le sbarre: spiccare. Non spiccare un volo però. Spiccare è l’atto che si compie quando si impedisce a qualcuno di impiccarsi: tu ti impicchi, io ti spicco. È uno dei tanti neologismi del carcere. Gli agenti e i detenuti compiono molte volte questo gesto: spiccare. A volte arrivano in tempo. Altre volte no. E quando arrivano troppo tardi, si allunga la lista di chi in carcere è morto, di chi in carcere si è tolto la vita.

Un centinaio i morti nei primi mesi dell’anno. Quarantacinque i suicidi. Si chiamavano Aziz, Edward, Vincenzo, Mohamed, Leonardo, Giuliano, Jed, Marcello, Francesco, Carmelo, Gianclaudio, Andrei, Antonino, Daniele, Franco, Graziano, Ion, Nabruka, Vincenzo, Antonio, Dibe, Stefano, Emilio, Antonio. Di qualcuno restano solo le iniziali, come M.B.. Di altri neanche quelle. Loro non hanno fatto in tempo a incontrare i parlamentari, a raccontare le loro storie, i loro dolori, l’angoscia e le difficoltà della vita galeotta. Hanno ceduto prima, rinunciando del tutto a vivere.

Difficile conoscere un mondo così complesso come quello del carcere con una visita guidata di poche ore. Ma è meglio che niente. Forse gli sguardi inquieti, le richieste sussurrate, gli appelli lanciati dietro le sbarre, la sensazione di solitudine, separazione, dolore accompagneranno la votazione delle prossime leggi. Forse prima di invocare più galera per tutti, soprattutto se poveri, ci penseranno un po’ di più, ricordando i volti delle persone che hanno incontrato. E soprattutto speriamo che questa visita non resti una vicenda a sé, che finisce così come è iniziata, e che i centocinquanta parlamentari continuino a esercitare il loro diritto dovere di ispezione, verificando di persona le condizioni di vita nelle carceri italiane.

Giustizia: Radicali; dibattito Parlamento, prima piano Alfano

 

Agi, 18 agosto 2009

 

"Ho sentito il ministro Alfano annunciare per metà settembre un piano del governo sulle carceri. A me parrebbe utile che questo piano fosse preceduto da un dibattito parlamentare. Il ministro ci ha ringraziato per la nostra iniziativa di ferragosto, noi ringraziamo lui, ma vorremmo anche che ci ascolti". Lo ha detto Emma Bonino, intervistata da Radio radicale e ha aggiunto: "Ci sono alcuni problemi di fondo, a parte quello dell’edilizia penitenziaria, che vanno dal sotto organico della Polizia penitenziaria al sovraffollamento che deriva dalla mala giustizia, visto che la metà dei detenuti è in attesa di giudizio. E penso che sarebbe il caso di pensare ad una depenalizzazione dei reati minori. Solo che questa cosa mi sembra andare nella direzione opposta di quella voluta da questo governo, che invece inventa i reati; basti pensare agli italiani che danno lavoro ai clandestini o allo stesso reato di clandestinità. E se si inventano reati mi sembra difficile risolvere il problema delle carceri".

Giustizia: Cgil; sanità carcere, dal Governo miopia e cattiveria

 

Ristretti Orizzonti, 18 agosto 2009

 

Dichiarazione stampa di Rossana Dettori, Segretaria Nazionale Fp Cgil Sanità. "Nonostante in questi giorni le tante iniziative indette da Associazioni di volontariato, le tantissime visite di singoli Parlamentari e di Garanti per i diritti dei detenuti abbiano concorso ad innalzare il livello di interesse dell’opinione pubblica sulla grave situazione di sovraffollamento (ormai oltre il tollerabile) spicca il silenzio del Ministro del Welfare on. Sacconi e del vice Ministro alla Salute on. Fazio.

Non solo nessuna difesa, nemmeno d’ufficio, all’accusa ormai acclarata che il sistema carcerario italiano, così come oggi drammaticamente si mostra, viola alla radice il diritto alla salute e la sua caratteristica di università, ma nemmeno una pur timida iniziativa che provi a contrastare questa vera e propria emergenza sanitaria che rischia di evadere sul territorio "libero". Scabbia, tbc, epatiti di varia natura, nelle carceri italiane in questi giorni si sono rialimentati focolai di infezione che Paesi occidentali hanno debellato da decenni. E suicidi, morti ed atti di autolesionismo hanno indicatori da carceri da Terzo Mondo.

Abbiamo già chiesto a Regioni e Sindaci di esercitare le prerogative che la Costituzione e l’Ordinamento affidano loro in quanto Autorità sanitarie e di dichiarare, con atti concreti e inequivoci e anche clamorosi, che la restrizione della libertà personale non comporta la perdita del diritto alla salute e che le persone detenute sono cittadini del territorio che loro amministrano. Al silenzio del Governo chiediamo corrispondano interventi, anche "rumorosi" dei governi regionali e cittadini. Fino a quale limite si può dichiarare agibile un carcere?

Giustizia: Nessuno Tocchi Caino; la "class action" per i detenuti

 

Tribuna di Treviso, 18 agosto 2009

 

Una class action a favore dei detenuti. Questa una delle proposte dell’iniziativa "Ferragosto in carcere" dei Radicali, che negli ultimi due giorni hanno effettuato un’ispezione in quasi 200 istituti penitenziari italiani. Ieri mattina, poco dopo le 9, sono arrivati anche a Santa Bona. Così il deputato del Pd Elisabetta Zamparutti, il segretario di "Nessuno tocchi Caino" Sergio D’Elia e il segretario di Veneto Radicale Raffaele Ferraro sono potuti passare di cella in cella per dare delle informazioni utili ai detenuti.

"Un ragazzo bosnico ha già avuto un risarcimento - spiega - i prigionieri possono organizzare una class action, rivolgendosi prima al magistrato di sorveglianza e poi eventualmente alla Corte di Giustizia europea, per chiedere un risarcimento". Ogni detenuto dovrebbe infatti aver a disposizione 7 metri quadrati, a Santa Bona siamo a 3. "Si conferma come uno dei carceri più sovraffollato d’Italia - continua Ferraro - la capienza regolare sarebbe di 128 detenuti, ora ce ne sono 265, e in certi periodi si è andati oltre quota 300.

Mentre mancano le guardie carcerarie: dovrebbero essere 187, invece sono 128". Per i radicali, che in questi giorni si sono mossi in molte città italiane, è necessario trovare delle formule diverse per espiare i reati. "Servono misure alternative, bisogna espellere gli extracomunitari, e per i comunitari seguire le direttive del trattato di Strasburgo per riportarli nei paesi d’origine. Da un lato c’è la battaglia per le condizioni dei detenuti, dall’altro per garantire i cittadini".

Giustizia: Radicali; maggiori tutele per transessuali in carcere

 

Il Velino, 18 agosto 2009

 

"In occasione dell’iniziativa Ferragosto nelle carceri lo scorso 14 agosto ci siamo recati, nel carcere di Rebibbia dove, insieme al deputato radicale del Pd Matteo Mecacci, e al tesoriere di Radicali Italiani, Michele de Lucia, abbiamo fatto visita al reparto delle persone transessuali. Nel reparto vi sono una decina di detenute per lo più sudamericane. Nel reparto, distinto e separato da quello degli uomini, è garantita l’assistenza medica e la somministrazione delle cure ormonali anche se mancano totalmente i servizi di assistenza e intervento specialistico di cui le persone transessuali necessitano periodicamente riguardo il loro equilibrio psico-fisico. In particolare ciò che preoccupa è la non totale separazione dall’area dei detenuti comuni, ciò perché evidentemente lo Stato non riconosce di sesso femminile le persone che non hanno ancora avuto il cambio anagrafico sui documenti a seguito dell’intervento chirurgico". Lo ha dichiarato Sergio Rovasio, segretario dell’Associazione Radicale Certi Diritti.

"L’Associazione Radicale Certi Diritti ha scritto oggi una lettera al dottor Franco Ionta, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nella quale si chiede che per le persone transessuali vengano rispettate alcune basilari regole riguardo il regime detentivo. In particolare nella lettera si fa riferimento allo stato psico-fisico che le condizioni carcerarie rendono alterato e ancora più difficilmente raggiungibile. Il fatto che non sia possibile, - ha spiegato Rovasio - ad esempio, avere accesso a sedute di elettro laser-depilazione, così come non poter svolgere l’ora d’aria con le donne, ma anzi, in alcuni casi con i detenuti comuni, rende certamente la vita quotidiana nel carcere estremamente difficile. Le persone transessuali si trovano in condizioni di maggiori vulnerabilità proprio per la condizione di estrema difficoltà ad essere socialmente accettate, per questo occorre avere un approccio particolare nei loro confronti, oggi del tutto inesistente nelle carceri italiane".

Giustizia: Francesco Mastrogiovanni; basta anarchici "suicidi"

di Sandro Padula

 

L’Altro, 18 agosto 2009

 

1972. Su via Velia a Salerno, in un pomeriggio di luglio, muore accoltellato il giovane militante del Msi Carlo Falvella. In carcere finisce l’anarchico Giovanni Marini e ci resta svariati anni. Qui, e lo diciamo con rispetto verso i parenti della vittima, non è importante ricostruire la dinamica del fatto. A quel tempo il clima politico era pieno di odio e bastava poco perché nascessero delle risse o delle forme di violenza sanguinaria fra giovani di opposte idee politiche. Qui si vuole ricordare un’altra cosa. Da quel giorno cambia anche la vita dell’anarchico salernitano Francesco Mastrogiovanni.

Lui vive con dolore quella tragedia la cui eco, proprio come succede in ogni piccolo centro urbano nel quale tutti si conoscono, è moltiplicata all’ennesima potenza e la cui radice storica affonda nelle secolari guerre fra i poveri conosciute dal sud d’Italia. Come se non bastasse, è schedato dai carabinieri perché, proprio come Giovanni Marini, ha idee anarchiche.

1999. Francesco viene arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale. Trascorre diversi mesi in carcere. Alla fine si scopre che è innocente e riceve un risarcimento per ingiusta detenzione.

2009. Il 31 luglio Francesco viene ricoverato all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento sanitario obbligatorio. Muore dopo quattro giorni di degenza. L’autopsia attesta che Francesco è morto per un edema polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Inoltre si scopre che il suo corpo presenta profonde lesioni a polsi e caviglie.

Lacci e lacciuoli di ferro o di plastica? Questo sospettano in procura. La pratica della contenzione è ammessa per legge solo in stato di necessità e soltanto poche ore, fino alla terapia chimica. Invece, secondo la procura di Vallo della Lucania, le lesioni dimostrerebbero l’allettamento forzato e prolungato del paziente. Non si sa ancora se Francesco sia morto dopo quattro giorni interi di letto di contenzione. In ogni caso è morto in un letto di contenzione e il matto, statene certi, non era lui.

Venerdì 31 luglio le forze dell’ordine, con un dispiegamento da guerra di terra e mare, circondano il bungalow dove Francesco è ospite. La notte precedente, secondo la versione ufficiale, "avrebbe tamponato quattro autovetture".

Non ci sono le prove. L’automobile di Francesco è normalmente parcheggiata sotto la sua abitazione di Castelnuovo Cilento e non mostra segni di alcun danno. Francesco, sempre per nulla o poco fiducioso nelle istituzioni dello Stato, scappa verso il lido. Prende l’ultimo caffè e fuma l’ultima sigaretta. Viene acciuffato e spedito nell’ospedale psichiatrico San Luca, il posto in cui non avrebbe mai voluto finire perché temeva di morirci dentro. "Hanno ucciso un uomo in letto di contenzione", dice il pm nel suo atto d’accusa.

Che dire a tale riguardo? Conoscendo il carattere torturante delle carceri in quanto tali, non possiamo auspicare il carcere a nessuno. Sappiamo solo che l’ospedale San Luca dovrebbe essere posto sotto inchiesta amministrativa da parte della Regione Campania e invece quest’ultima finge che nulla sia successo. Sappiamo inoltre che a piangere la morte di Francesco, Franco per gli amici, sono stati i partecipanti al funerale svoltosi il 13 agosto, i suoi alunni della scuola elementare e l’intera popolazione, nessuno escluso, di Castelnuovo Cilento.

In un paese come l’Italia, in questo strano impero del bene, non dovremmo meravigliarci se gli attuali indagati per la morte di Francesco fossero assolti dall’accusa di omicidio colposo.

Nessuno però ci venga a dire che Franco, amico della vita, dei suoi giovani studenti, dei suoi concittadini e di tutti i libertari del mondo, si sarebbe suicidato. È da secoli che si racconta la favoletta secondo cui gli anarchici amerebbero suicidarsi. Adesso basta.

Giustizia: Francesco Mastrogiovanni; questi morti accidentali

 

Ristretti Orizzonti, 18 agosto 2009

 

Comunicato dell’Associazione Italiana Psichiatri - AipsiMed - sulla morte del prof. Franco Mastrogiovanni, nel Spdc di Vallo della Lucania. Vorrei aggiungere ai tanti pervenuti in questi giorni anche un commento altro, il mio, condito di qualche riflessione riguardante la tragica e disperata morte del maestro, insegnante, Franco Mastrogiovanni, avvenuta all’interno del Servizio di Diagnosi e Cura Psichiatrico di Vallo della Lucania (Sa).

Dei drammatici eventi tutti coloro che sono addentro alle cose dell’assistenza psichiatrica, anche perché puntualmente aggiornati da AipsiMed, sono oramai al corrente, ragion per cui non vi tornerò. Ma certamente è bene fare anche un po’ l’avvocato del diavolo in questo che pare già esser connotato come un processo scontatamente sommario ai sette dirigenti medici.

Stavolta, contrariamente all’iconografia ufficiale, questo Diavolo vuol essere anche un buon diavolo, provando a essere persino equilibrato in un dibattito processuale che appare senza un contenzioso dibattimentale di tipo etico e culturale. Ma il Diavolo oggi parlerà da un angolo visuale un po’ spostato, magari defilato, provando tuttavia ad allargare maggiormente orizzonti pur di andare a rintracciare cause anche remote che possono stare dietro e aver persino causato la morte di Mastrogiovanni.

I colleghi quando si laurearono in medicina e chirurgia pensavano che "da grandi" avrebbero fatto i medici. I colleghi dopo la specializzazione in psichiatria hanno affinato la loro preparazione anche intima, effettuando complessi e complicati percorsi formativi pensando che da grandi avrebbero fatto gli psichiatri. Nulla di tutto questo. Sono stati sì assunti dall’azienda sanitaria locale, ma arruolati con i compiti di psico-polizia, quella funzione che dai manicomi in poi identifica ancora oggi la tipologia dell’intervento psichiatrico in specie per le psicosi maggiori.

Di questo sono al corrente anche i tutori dell’ordine che ben volentieri si fanno affiancare dagli psichiatri territoriali nella "cattura" delle persone che appaiono di pubblico scandalo e demandano solo agli psichiatri dei reparti psichiatrici la custodia di quelle stesse persone e prima ancora che sia stata effettuata una diagnosi precisa sulle loro vere condizioni clinico-psicopatologiche.

Non solo, ma quegli stessi psichiatri devono anche far passare nel più breve tempo possibile lo stato psichico che potrebbe aver sotteso condotte antisociali. E con che? Con gli psicofarmaci in primis, con il controllo costante da parte di loro stessi e degli infermieri collaboratori e, estrema ratio, con la contenzione.

Insomma gli psichiatri vanno in guerra all’attacco e non in difesa, combattendo una battaglia che mai avrebbero voluto condividere e, soprattutto, vanno in campo con armi giocattolo finendo per tradire ogni giuramento di Ippocrate. Ma si può?

Uno psichiatra è oggi messo nelle condizioni di non potere attendere la trasformazione, anche assai favorevole, di uno stato psichico, ma dev’essere un leguleio conoscitore di quanti minuti bastano per tenere contenuta una persona. Deve servire, obbedire e combattere senza disporre neppure di un test sull’alcolemia di cui è portatore la persona a loro "affidata", ma deve subito sedare con i gravissimi effetti in termini di interazione\potenziamento dell’alchimia alcool\psicofarmaci. Non può subito effettuare un elettrocardiogramma alla persona che gli portano, visto che per la trafelatezza e la concitazione dell’intervento, che la persona sia affetta da ipertrofia del ventricolo sinistro (come in Mastrogiovanni) al mandante del ricovero pare essere l’ultimo dei suoi problemi.

Si dirà: ma per un medico questo è essenziale! È vero. Ma quanti collaborano a che la persona agitata se ne stia buona buona su un lettino a praticare tutte le indispensabili analisi emato-cliniche e gli accertamenti diagnostici strumentali? Bisogna trovarcisi in quelle bolge dantesche chiamate pronti soccorso all’interno dei quali afferisce tutta un’umanità dolente (non solo nel corpo) ed uno sparuto di medici annichiliti dall’angoscia relativa all’improbo compito tenta di rendersi utile nella sofferenza senza finire sotto inchiesta.

Non ci si vuole dilungare troppo e, si sa, l’unica soluzione per i medici, per gli psichiatri, consiste nell’attenersi rigidamente a ciò che attiene all’intervento sanitario delegando ad altre figure ed istituzioni il controllo del male sociale.

Pare che Mastrogiovanni prima di entrare in Spdc abbia urlato che se finiva in psichiatria sarebbe morto. Non sarebbe stato meglio per lui, oltre che per la sua storia anche politica, una permanenza breve e solo per accertamenti in una struttura solo investigativa e non sanitaria e rimandare ad altri momenti l’acquisizione psicodiagnostica delle cause delle sue angosce di sempre, magari con la costante presenza di uno psichiatra chiamato in consulenza e solo per proteggerlo e non per fargli da Caronte o da suo persecutore più o meno occulto?

La risposta solo è rintracciabile negli intestini d’una legge di assistenza psichiatrica che non s’è mai voluta interrogare sul suo mandato e sulla sua vera funzione. Che Dio ci perdoni. Tutti.

 

Enzo Spatuzzi, Presidente AipsiMed

Lettere: detenuti Bologna; senza benefici danneggiati e beffati

 

Lettera alla Redazione, 18 agosto 2009

 

Al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna

Alla Procura Generale della Repubblica C/o Tribunale di Bologna

 

Con riferimento aite dichiarazioni fatte dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Dottor Francesco Maisto, pubblicate il 22 Giugno scorso sul quotidiano "Avvenire", noi "persone" detenute in quei di Bologna, a seguito di continue (consentiteci il termine) violazioni di dubbia compatibilità con il dettato dell’articolo 27 della Costituzione secondo il quale, al terzo comma, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione il cui significato pieno non può che passare attraverso un mirato progetto di reinserimento sociale dei detenuti che ("non dimentichiamolo mai!" dice lo stesso Dottor Francesco Maisto) "prima di tutto sono persone", con la presente rivolgiamo appello alla Vs. sensibilità portandovi a conoscenza di alcune delle tante violazioni in tema di concessione di benefici previsti dalia Legge Gozzini di cui lo stesso dottor Francesco Maisto (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna) si dice esser "tra i più convinti sostenitori". Ebbene, consentiteci allora dire che ci sentiamo, come si sol dire, danneggiati e beffati poiché l’operato degli attuali Magistrati di Sorveglianza del Tribunale di Bologna è in netta contraddizione a quanto dichiarato dallo stesso Presidente del Tribunale di Sorveglianza e quanto segue è a testimonianza.

 

Permessi di necessità - art. 30 legge 354/75

 

La finalità prettamente umanitaria del cosiddetto "permesso di necessità", lo rende applicabile anche ai condannati per reati compresi fra quelli di cui all’art. 4 bis. Poiché il suddetto beneficio si fonda su esigenze di umanizzazione della pena e prescinde quindi da ogni considerazione. Premesso ciò vi si porta a conoscenza di tre delle tante testimonianze di altrettante persone detenute a cui, nonostante l’avvenuto decesso del padre nel caso di Virgilio Cosentino, della sorella nel caso di Giuseppe Scordato e della madre nel caso di Carmelo Alogna, è stata appunto negata e/o, come nel caso di Scordato, del tutto ignorata la finalità prettamente umanitaria del beneficio in questione e, come nel caso specifico di Carmelo Alogna, nonostante la non gravità del titolo (furto) per cui lo stesso Alogna è detenuto.

 

Permessi premio - ex art. 30 ter legge 354/75

 

L’istituto premiale del beneficio di cui sopra finalizzato a coltivare interessi affettivi, culturali e/o di studio è rivolto a coloro che, condannati a pena definitiva, abbiano dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione posta in essere dagli Istituti di Pena ove lo stesso è detenuto. Detto ciò vanno rilevate non poche violazioni alla concessione del beneficio di cui sopra consistenti in rigetti con motivazioni tanto arbitrane quanto illegittime e infondate come nel caso di chi, come Liborio Di Corrado, si è visto rigettare il beneficio con la motivazione perché condannato per uno o più reati di cui in realtà mai lo stesso è stato imputato e/o condannato. Tra l’altro, da che sono subentrati gli attuali Magistrati di Sorveglianza. si è rilevato che anche chi fruiva regolarmente di permessi premio e chi si trova in regime di semilibertà è soggetto a rigetti alquanto arbitrari e illegittimi.

 

Lo stesso avviene per la concessione del beneficio della liberazione anticipata (art. 54 legge 354/75) il cui beneficio, in sede di giudizio, deve far riferimento alla partecipazione del soggetto all’opera di rieducazione con valutazione frazionata per ciascun semestre cui l’istanza si riferisce e non come invece testimonia il rigetto con cui viene negato il beneficio dando rilevanza ad altro semestre in cui il soggetto è stato oggetto di rapporto ritenuto, tra l’altro, non rilevante dal precedente Magistrato di Sorveglianza che ha infatti concesso il beneficio della liberazione anticipata relativa al semestre a cui sì riferiva l’istanza. Rigetti ingiustificati vengono anche registrati per la concessione di una serie di altri benefici quali la semilibertà (art. 50 legge 354/75) affidamento ai servizi sociali (art. 47 legge 354/75) affidamento in prova in casi di particolari per tossicodipendenti ed alcool dipendenti (art. 94 del Dpr. 309/90, ex art. 47 bis legge 354/75) e tanti altri benefici previsti dalia stessa legge 354/75.

Per ultimo ma non meno importante, visto e considerato il tanto enfatizzato problema del sovraffollamento degli Istituti di Pena, è la quasi totale assenza nell’applicazione e/o concessione del "beneficio" di cui all’art, 86 Dpr 309/90 T.U. e art. 15 D.L.vo 25 Luglio 1998 n° 286, ossia l’espulsione dei tanti stranieri che ne fanno richiesta.

Ora, in ragione di quanto portato alla Vs. attenzione e dell’inevitabile quanto giustificato malcontento generale, le persone tutte detenute in quel di Bologna fanno appello perché venga loro riconosciuto e applicato il diritto di cui ai dettato dell’articolo 27 della Costituzione.

Fiduciosi si dicono determinati a mostrar d’esser anzitutto persone civili evitando qualsivoglia forma di protesta incivile e/o violenta. Ringraziano per l’attenzione prestatagli.

 

Firmato da 200 detenuti "definitivi" del carcere di Bologna

Lettere: il volontariato della Sicilia; ad Alfano chiediamo ascolto

 

Lettera alla Redazione, 18 agosto 2009

 

Al direttore de "La Sicilia". Desidererei fare una riflessione sull’articolo apparso dal vostro giornale, su Fatti e Notizie del 15 agosto 2009, sulla situazione penitenziaria in Italia. Come ogni anno si assiste nel periodo estivo alla solita pantomima di alcuni parlamentari che vanno in "gita parlamentare" in alcuni penitenziari italiani.

Purtroppo nessuno più si indigna di tutto ciò, neanche l’opposizione a questo Governo. Vorrei fare una proposta: perché invece di ridurre il numero dei parlamentari, non si apre un altro ramo nel parlamento con il nome di azionamento?, cioè luogo atto all’azione.

Piuttosto di un confronto sulla "parola", un confronto sui fatti, sull’azione. L’opposizione potrebbe cominciare a spronare la maggioranza, non entrando più in aula, sia alla camera che al senato, sino a quando non si risolve il problema delle carceri in Italia.

Il Centro Padre Nostro, la Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia e la Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, da tempo hanno fatto la loro proposta, mai presa in considerazione, se non per essere elogiata nei vari convegni, tavole rotonde e seminari svolti in tutta Italia. Volevamo confrontarci con il Ministro Angelino Alfano, ma da sette mesi non abbiamo ricevuto alcuna risposta ad una nostra richiesta d’incontro.

Non abbiamo inventato l’acqua calda, abbiamo solo fatto un’analisi con i dati fornitoci dal Ministro, da un altro punto di vista. Il problema carcerario non si risolve costruendo carceri nuove, il ritmo d’ingresso nei nostri penitenziari è superiore al numero dei posti che si potrebbero rendere disponibili, basta solo questo. Non voglio entrare nel merito o insinuare dubbi su chi ci guadagna a costruire nuove carceri.

Bisogna potenziare l’applicazione delle misure alternative, coinvolgendo le associazioni che si occupano delle problematiche di Giustizia e Carcerarie. Il governo, in questi due anni, ci ha dimostrato che quando una cosa gli interessa riesce a legiferare e approvare leggi in materia in tempi record, ora neanche qui voglio entrare in merito se sono state leggi "ad personam".

Credo che il ministro Angelino Alfano, abbia fatto un buon lavoro sin qui e proprio in materia di applicazione delle pene alternative aveva fatto un’ottima proposta, prontamente trombata dalla Lega. Allora mi chiedo: Visto che ha assicurato alla giustizia diversi latitanti perché lo vuole diventare Lui? La prego sig. On. Ministro ci incontri, ci lasci spiegare le nostre proposte, forse chissà ne condividerà qualcuna, o no, ci provi… parliamone… parlamentiamone… forse confrontandosi con chi ha trascorso in carcere decenni della propria vita e non perché condannato, ma solo per scelta di vita in quanto volontario, potrà imparare qualcosa e noi potremmo conoscere ancor più approfonditamente la sua politica sulla questione penitenziaria, sono certo che alcune cose li condivideremmo anche noi.

La prego di credermi, questa riflessione non viene da una manipolo di oppositori al suo governo e cioè di comunisti, ma è maturata in seno a un gruppo che ha votato questo governo. Non ci deluda. Grazie

 

Maurizio Artale

Presidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro

Presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Umbria: carceri vicine al collasso; immigrati 70% dei detenuti

 

Ansa, 18 agosto 2009

 

Sovraffollamento, mancanza di spazi, scarsità di personale di sorveglianza, ridottissime possibilità di svolgere un’attività o imparare un mestiere da spendere all’esterno, dopo aver scontato la pena, e perfino mancanza di fondi per l’acquisto di detersivi e spazzoloni.

Sono alcuni dei problemi che oggi affliggono le carceri umbre, con l’istituto di Capanne di Perugia che in un solo anno ha visto raddoppiare i detenuti, dai 243 del 2008 ai 485 di oggi, a fronte di una capienza di soli 284, e con una disponibilità di spazi vitali di molto inferiore ai 7 metri quadri per ospite previsti dalla legge.

In una conferenza stampa a Palazzo Cesaroni, il consigliere regionale Ada Girolamini (Uniti nell’Ulivo-Sdi) con a fianco gli esponenti dei Radicali italiani, Francesco Pullia e Andrea Maori, ha fatto il punto sull’esito delle quattro approfondite visite fatte negli istituti di pena di Perugia, Terni, Spoleto ed Orvieto, nell’ambito dell’iniziativa nazionale "Ferragosto in Carcere". Dopo aver precisato di aver aderito alla iniziativa, "che a livello nazionale ha avuto l’adesione di tutti i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, anche perché l’Italia è stata condannata dalla Corte europea proprio per il sovraffollamento degli istituti di pena e per i tempi troppo lunghi dei nostri processi", ha detto, "il fine ultimo della visita è di contribuire ad individuare soluzioni, anche partendo da quella nomina del Garante umbro delle carceri che già il presidente del Consiglio regionale dell’Umbria, Fabrizio Bracco, si è impegnato a fare a breve".

Nel merito dei problemi incontrati, la Girolamini ha insistito particolarmente: sui problemi del lavoro, "centrale e particolarmente ambito dagli stessi detenuti, ma difficile da realizzare, se si considera che a Perugia lavorano all’esterno in una azienda agraria solo 5 detenuti e per affrontare il quale chiederemo un apposito colloquio con la dirigenza degli istituti"; sulle carenze di una assistenza sanitaria

"inadeguata" e di una cronica mancanza di insegnanti e psicologi, "che oggi possono garantire non più di un colloquio ogni sei mesi". La Girolamini ha comunque detto che con una presenza di cittadini immigrati pari al 70 per cento, le carceri riescono ad assicurare una alimentazione rispettosa dei principi religiosi, in particolare del mondo mussulmano". Molto critici i due esponenti radicali che hanno partecipato alle visite nei quattro istituti di pena. A giudizio di Pullia e Maori, "si è ormai di fronte all’imbarbarimento della società. Il carcere assomiglia sempre più ad una discarica sociale per i meno abbienti e per i più emarginati.

Se fino ad oggi non ci sono state rivolte è per il senso di responsabilità dimostrato degli stessi detenuti. Sarebbe comunque assurdo continuare a costruire altri istituti di pena, meglio decarcerizzare alcuni reati".

Firenze: i detenuti di Sollicciano in rivolta… fiamme nelle celle

 

La Nazione, 18 agosto 2009

 

La tensione all’interno di Sollicciano è stata altissima fino a quando tutta la zona non è finita sotto stretto controllo. I detenuti urlavano "Libertà" e protestavano contro il sovraffollamento che li costringe a una convivenza molto spesso difficile.

Intorno alle 23.30 di ieri notte all’interno del carcere di Sollicciano è scoppiata la rivolta. Secondo una prima stima degli agenti di polizia penitenziaria potevano essere almeno 500 i reclusi che hanno preso parte a quella che inizialmente è apparsa una vera e propria rivolta. Poi piano piano, vista l’impossibilità di qualunque fuga o altri atti più pesanti, è apparsa come una "protesta" anche se pericolosa. Hanno dato fuoco a tutto quello che si poteva incendiare nei terrazzini delle celle: coperte, lenzuola, giornali. Poi hanno cominciato a battere le stoviglie contro le sbarre delle celle urlando e fischiando. Le grida si sentivano da lontano. Al momento non sembra che ci siano feriti né detenuti intossicati dal fumo degli incendi da loro stessi appiccati.

Il personale della polizia penitenziaria ha fatto scattare l’allarme di massima sicurezza e sono state contattate le centrali operative della questura e del comando provinciale dei carabinieri. Sul posto sono arrivate in pochi minuti gazzelle del Nucleo radiomobile e agenti delle Volanti. Poi sono arrivati rinforzi dal Reparto Mobile della polizia e dei militari dell’arma delle compagnie vicine. In breve il carcere è stato circondato da un fitto cordone di forze dell’ordine mentre la polizia penitenziaria cercava di spegnere tutti i focolai accesi nelle celle e controllava, nei vari bracci del carcere che non ci fossero tentativi di evasione. Tutta la zona è stata illuminata a giorno.

La tensione all’interno di Sollicciano è stata altissima fino a quando tutta la zona non è finita sotto stretto controllo. I detenuti urlavano "Libertà" e protestavano contro il sovraffollamento che li costringe a una convivenza molto spesso difficile. Gli uomini della polizia penitenziaria sono riusciti, anello dopo anello, a riportare una certa tranquillità nel giro di un paio d’ore, ma ci vorranno giorni perché la vita del carcere torni alla normalità. Perché i danni prodotti dagli incendi siano riparati e controllati tutti i sistemi di sicurezza.

Ieri al carcere di Sollicciano era andato in visita l’assessore toscano alla cooperazione internazionale Massimo Toschi aderendo all’iniziativa Ferragosto in carcere, promossa in tutta Italia da un gruppo di parlamentari. "Sollicciano è un’espressione molto rappresentativa delle carceri italiane, dove Costituzione e diritti umani sono stati messi tra parentesi. E la politica ha in questo una grande responsabilità. La vita lì dentro è invivibile, siamo fuori da ogni norma, e non per colpa del personale. I detenuti sono quasi mille, dovrebbero essere la metà. Ormai, in quattro anni, l’indulto è stato riassorbito. I detenuti - ha detto l’assessore Toschi al termine della sua visita - hanno il dovere di scontare la propria pena, ma anche il diritto di farlo in condizioni umane".

Como: da tre giorni "gravi disordini", nel carcere sovraffollato

 

Asca, 18 agosto 2009

 

"Da ormai tre giorni è in corso al carcere di Como una rumorosa protesta che nelle ultime ore fa fatto registrare una evoluzione anche piuttosto violenta.

Dalla semplice battitura delle vettovaglie sui cancelli e sulle grate si è passati a far esplodere i neon delle celle con le bombolette di gas che hanno in dotazione i detenuti. Nel tentativo di provocare corto circuiti, poi gli stessi vengono inondati con acqua". A darne notizia Angelo Urso, componente della Segreteria Nazionale della Uil Pa Penitenziari.

"Voglio auspicare che la protesta di Como abbia presto a rientrare e soprattutto non produca un effetto emulativo. Una deriva violenta delle proteste proprio nel momento in cui la politica e la società stanno prendendo consapevolezza del problema penitenziario - prosegue il Segretario Nazionale - precluderebbe ad ogni possibile confronto e quindi ad ogni possibile soluzione. La situazione di Como, pur allarmante, per ora è tenuta sotto controllo. In mattinata anche dirigenti del Provveditorato di Milano si sono recati sul posto per verificare la situazione. In ogni caso non si può non far rilevare come presso l’istituto comasco da circa tre anni non sia stato ancora assegnato un Dirigente titolare , nonostante la UIL non abbia mancato di denunciare tale anomala situazione. Nelle criticità organizzative, ampliate dal sovrappopolamento e dalla vetustà della struttura, la mancata assegnazione di un Dirigente titolare non può che favorire e alimentare le tensioni".

Già nel marzo del 2007 a seguito di una visita Angelo Urso ebbe a redigere una durissima relazione nella quale denunciava ai vertici del Dap la situazione di degrado e abbandono in cui versava la Casa Circondariale di Como.

"Non ci risulta però - sottolinea oggi - che siano stati posti in essere interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Pertanto la fatiscenza e l’insalubrità dei locali non può non aggravare le condizioni detentive che, poi, potrebbero essere alla base di queste proteste, benché non si potrà mai giustificare la violenza su cose o persone. Pur non volendo strumentalizzare quanto sta accadendo a Como sarebbe da irresponsabili, comunque, non interpretare nella giusta maniera questi campanelli di allarme".

 

Rientra protesta al Bassone di Como

 

Rientra la protesta dei detenuti del carcere Bassone di Como, che da sabato pomeriggio avevano inscenato una specie di rivolta per lamentare la cronica carenza di spazi. La decisione di ritornare alla normalità è giunta dopo un incontro tra una delegazione di detenuti e i responsabili dell’Amministrazione penitenziaria che hanno manifestato la volontà di intervenire per quanto possibile cercando di andare incontro alle esigenze dei reclusi. Non si sono avuti particolari momenti di tensione, comunque. Gli ospiti della casa circondariale comasca si sono limitati a rumoreggiare sbattendo sulle sbarre delle proprie celle oggetti vari. Nella protesta sono state coinvolte tre delle sei sezioni. Al Bassone sono detenute quasi 600 persone contro una capienza autorizzata di circa la metà.

Bologna: sempre più detenuti e polizia penitenziaria allo stremo

 

Il Resto del Carlino, 18 agosto 2009

 

La protesta dei sindacati delle guardie carcerarie: "Alla Dozza dovremmo essere 480, siamo solo 344". E il numero dei detenuti continua a crescere: sono 1.193, contro 494 posti di capienza regolamentare.

La situazione al carcere di Bologna continua a peggiorare. Dopo l’iniziativa dei Radicali, che hanno "trascinato" nelle carceri italiane 150 parlamentari per verificare la drammatica situazione di sovraffollamento, stavolta sono le stesse guardie carcerarie a chiedere provvedimenti urgenti.

La Casa Circondariale di Bologna è un caso emblematico. Secondo i Sindacati della Polizia Penitenziaria, l’organico di guardie carcerarie in forza alla Dozza conta solo 344 unità, contro le 480 previste dal regolamento del carcere. Una mancanza gravissima nell’organico, che costringe gli agenti a turni estenuanti di 9-10 ore, contro le sole 6 ore e un quarto previste dal contratto. Gli agenti sono inoltre costretti a prendere il giorno di riposo solo una volta ogni due settimane. Non solo: tutte queste ore di straordinario non sono pagate da due mesi, perché da Roma non arrivano i fondi aggiuntivi necessari.

Sarebbe sufficiente questo per giudicare la situazione inaccettabile. Ma non basta: la popolazione carceraria della Dozza supera del doppio la capienza massima dell’edificio. I detenuti sono infatti 1.193, contro soli 494 posti di capienza regolamentare.

Desi Bruno, garante per i diritti delle persone detenute di Bologna, dopo la visita di Ferragosto alla Dozza, nella quale ha accompagnato il deputato radicale Marco Beltrandi, ha definito la struttura "vicina al collasso". "Il caldo è terrificante - ha riferito la Bruno - e in alcune celle è stato necessario mettere materassi per terra. Nel reparto infermeria, quattro persone stanno in 10 metri quadri, senza lo spazio per camminare. All’organico della polizia penitenziaria mancano 200 agenti. Una realtà insostenibile, considerato che il carcere è pieno di stranieri e tossicodipendenti".

La garante non vede vie di uscita all’orizzonte: "Manca - ha detto - un progetto serio sulle carceri. E intanto si continuano a votare leggi che peggiorano la situazione, rincorrendo un’emergenza che non c’é: i reati di allarme sociale, in realtà, calano. Ora è stato addirittura reintrodotto l’arresto per oltraggio a pubblico ufficiale. Intanto si penalizzano le misure alternative alla detenzione. Per fortuna, i detenuti della Dozza stanno protestando in maniera civile".

Modena: Casa di lavoro; "non vengono più rilasciati permessi"

di Gianpaolo Annese

 

Il Domani, 18 agosto 2009

 

"Viviamo in più di 10 persone dentro una cella, spesso con ammalati di ogni genere di patologie, per di più anche infettive. Le condizioni igienico-sanitarie fanno paura".

É uno stralcio del j’accuse che gli "internati" della Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano (Mo) hanno inviato al Partito radicale a Roma per denunciare "l’inadeguatezza della struttura" e le condizioni in cui vivono e trascorrono le loro lunghe giornate. Chi è nella Casa di lavoro non è tecnicamente un "detenuto" perché si tratta nella maggior parte di gente che ha già scontato la condanna in carcere. Sono però ritenute persone "socialmente pericolose"per cui, in forza di un regio decreto del 1928, anziché essere rimesse in libertà sono sottoposte a una misura di sicurezza che non può essere inferiore a un anno. "Ci tengono qui rinchiusi - si legge nella stessa lettera polemica - perché qualcuno presume che potremmo, in futuro, commettere un reato".

La mattina di Ferragosto, nell’ambito di un’iniziativa nazionale che ha coinvolto consigliere regionali e parlamentari in visita nei 222 istituti di pena italiani, una delegazione emiliano-romagnola di sette persone tra cui il militante radicale Emilio Salemme e i consiglieri regionali Carlo Monaco e Gianluca Borghi ha fatto un sopralluogo nella Casa di lavoro di Saliceta, che conta 114 internati (41 tossicodipendenti) rispetto a una capienza regolamentare di 68 posti e una tollerata di 91.

"La condizione sanitaria riscontrata è pessima - riferisce Salemme - in molte ore notturne manca il medico,c’è sovraffollamento e inoltre pur essendo una Casa di lavoro,chi è dentro non può lavorare: in tutto l’istituto ci sono solo tre tipografi e un aiuto cuciniere che percepisce poco più di 100 euro netti al mese". Sul fronte igienico, "le stanze sono pulite, le docce insufficienti, su 5 ne funzionano solo 2".

Il fatto è che mentre prima il magistrato di sorveglianza poteva disporre dei permessi per consentire agli internati di svolgere lavoretti all’esterno. "Lo scorso anno ci fu un’interrogazione della parlamentare del Pdl Isabella Bertolini che chiedeva un’indagine ministeriale sull’attività del magistrato di Sorveglianza, Angelo Martinelli, perché, a parere della Bertolini, era stato troppo permissivo nel rilasciare un permesso di lavoro ad un internato che a Pescara poi, uccise per un regolamento di conti, una persona". Di fatto "l’attività di ispezione ministeriale ha bloccato tutti i permessi di lavoro e le funzioni dello stesso magistrato".

Come può chiamarsi Casa di lavoro, chiedono, "un posto del genere se non c’è lavoro? Qui è carcere a tutti gli effetti. Ci troviamo a vivere in condizioni tremende, in più di 10 persone dentro una cella, dove dobbiamo convivere tutti insieme con persone sfortunatamente malate di ogni genere di patologie per di più anche infettive, tra malati terminali".

E le condizioni igienico sanitarie, inoltre, "fanno paura". In un’altra lettera di un internato si parla di "celle strapiene con letti a castello, un solo bagno alla turca e un lavandino per lavarsi, dove si convive tra sani e malati, giovani e vecchi, tossicodipendenti e non". Intanto la delegazione formata da Monaco, Borghi e Salemme nel pomeriggio di ieri ha fatto visita anche al carcere di Sant’Anna,"dove a fronte della disponibilità di 220 posti sono in 528 dete-nuti,mentre gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 226,ma assegnati ce ne sono 167 e effettivi sono solo 147".

 

L’On. Bertolini: rivendico quell’iniziativa per la sicurezza dei cittadini

 

"Rivendico con orgoglio quell’interrogazione parlamentare. Credo sia nell’interesse di tutti i cittadini italiani una maggiore cautela nel rilascio dei permessi". La deputata del Pdl Isabella Bertolini respinge le accuse di Emilio Salemme. "L’ispezione ministeriale che seguì alla mia iniziativa - sottolinea la coordinatrice del Popolo della libertà - riscontrò una effettiva responsabilità di quel permesso nell’omicidio che si verificò a Pescara. Del resto, fu lo stesso magistrato Martinelli ad ammetterlo".

Per la Bertolini, in ogni modo, il giro di vite non pregiudica interamente la disciplina dei permessi: "Comporta solo un maggiore controllo: chi è nelle Case di lavoro viene valutato socialmente pericoloso perché è recidivo oppure si è reso responsabile di atti delinquenziali gravi, per cui qualunque permesso non può essere rilasciato con superficialità e questo nell’interesse di tutti i cittadini italiani".

Il problema del sovraffollamento, prosegue la deputata, "non è una questione di permessi. In primo luogo, gioca senz’altro l’alta percentuale di stranieri che fa lievitare notevolmente la popolazione carceraria: a Modena per esempio è il 70% del totale". Il governo ha comunque in mente, riferisce la Bertolini, un nuovo piano carceri, mentre per quanto riguarda l’organico della polizia penitenziaria, "a Modena da ottobre a gennaio arriveranno nuove unità, come promesso dall’esecutivo".

 

La storia: ancora cinque minuti e sarei morto

 

È capitato a un internato di 43 anni. Ha scritto al Ministro Colpito da malore, ritardo nei soccorsi: "Ancora cinque minuti e sarei morto".

Un malore durante la partitella di calcio nel cortile dell’istituto, i ritardi nel soccorso, l’intervento chirurgico, il pericolo di morire. A raccontare nei dettagli la sua disavventura è C.G., 43anni, internato della Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano, che ha preso carta e penna per scrivere a Prefetto, sindaco di Modena, Partito radicale e ministro della Sanità e denunciare l’incidente che gli è capitato e che poteva costargli la vita.

"Il 28 luglio - spiega - mi trovavo a giocare a pallone nell’aria della Casa di lavoro,quando venivo colto da malore, con forte dolore al petto e formicolio sulla parte sinistra del corpo". A quel punto, "si è temuto per un infarto e io stesso mi sono recato presso l’infermeria per richiedere assistenza medica". Il medico di turno "era dubbioso sulla gravità del fatto e ho dovuto aspettare per un’ora e venti accusando forti dolori, l’arrivo di un’ambulanza, sdraiato su una barella e, cosa ancor più grave il medico si è allontanato abbandonando il paziente, assistito fortunatamente da una coscienziosa infermiera e da due agenti penitenziari".

Una volta giunto in ospedale C.G. è stato sottoposto "immediatamente a intervento chirurgico, nel corso del quale si è appresa la gravità del fatto: sarebbero bastati cinque minuti di ritardo per provocare il decesso". Rientrato in istituto sabato 1 agosto, l’internato "dovrà aspettare il 14 settembre per il nuovo intervento, con tutte le difficoltà per osservare un minimo di dieta adatta alla patologia e trovare un luogo per non fumatori".

Frosinone: caldo e mancanza d’acqua, sopravvivere in carcere

 

Il Tempo, 18 agosto 2009

 

Tra gli istituti di pena della nostra provincia, quello del capoluogo non smentisce il dato nazionale che parla di sovraffollamento delle carceri a fronte della carenza di personale e quindi di vere e proprie condizioni di sopravvivenza dietro le sbarre.

La visita ispettiva annunciata, effettuata a cavallo di Ferragosto su iniziativa dei Radicali Italiani, ha mostrato una realtà sicuramente difficile, ma caratterizzata dal grande impegno profuso da tutta la comunità penitenziaria: dal direttore, al vice, al comandante della polizia penitenziaria, agli agenti, al personale che lavora in carcere, fino ai detenuti. A fare il resoconto è stato Pier Paolo Segneri, punto di riferimento dei Radicali in provincia di Frosinone. La casa circondariale del capoluogo non presenta grossi problemi strutturali poiché l’edificio è relativamente nuovo. Il carcere è suddiviso in quattro reparti, ognuno contiene due sezioni disposte su due piani più il piano terra, ciascuno con venticinque celle. Si tratta di un carcere maschile che si caratterizza come smistamento del Regina Coeli, in cui la maggior parte dei detenuti proviene da altre realtà rispetto a quella locale. Quasi tutti i reparti sono di detenuti comuni tranne il terzo, riservato ai detenuti in alta sicurezza e una sezione del secondo reparto adibita ai precauzionali.

L’istituto di Frosinone si distingue positivamente per le diverse attività lavorative, i corsi di scuola, l’istruzione e la formazione professionale che vanno ad integrare la semplice detenzione: dalla decorazione della ceramica, al laboratorio di sartoria e di poesia, alla coltivazione di fiori in serra. Nota positiva anche per il vitto e per la presenza della televisione in ogni cella. "Il lavoro del direttore e del vice è ottimo - ha spiegato Segneri - ma non bisogna nascondere le cose che non vanno, proprio per investire dei problemi chi ha la responsabilità politica.

A Frosinone ci sono segni sensibili di sovraffollamento, la tolleranza massima non è stata raggiunta, ma l’eccedenza, combinata alla carenza di personale e alle difficoltà degli agenti a coprire i turni (ne servirebbero almeno 50 in più rispetto alla pianta organica) produce una situazione esplosiva in cui si finisce col lasciare i detenuti in autogestione". Ci sono agenti, come ha raccontato Segneri, che non vanno in ferie dal 2006 per coprire turni massacranti. Oltre alla carenza di agenti mancano anche alcune figure professionali come gli psicologi: quelli in servizio provengono dall’esterno per supplire una carenza della quale si è fatto carico lo stesso direttore.

A questi aspetti vanno aggiunti quelli prettamente "tecnici": il grande caldo di questi giorni trasforma le celle (in cui generalmente i detenuti stanno in sei) in veri e propri forni, rende le condizioni di vivibilità all’interno estremamente disagevoli; a questo si unisce la mancanza d’acqua; alcune docce andrebbero sistemate perché il caldo e l’areazione inadeguata producono muffe. "Le condizioni di vivibilità sono al limite della sopravvivenza - ha spiegato Segneri - gli stessi detenuti stanno affrontando una situazione incandescente in maniera civile e anche gli agenti fanno i salti mortali per andare incontro alle loro esigenze. C’è grande impegno da parte del personale, ci sono azioni concrete, ma bisogna trovare anche soluzioni".

Uno stato generale in cui si innesta anche la problematica degli atti di autolesionismo: è vero che sono scesi a 83 rispetto ai 154 casi del 2008, ma l’anno in corso è ancora a metà e la situazione è certamente allarmante, segno di una sofferenza psicologica e di un disagio per i quali bisognerebbe fornire al carcere gli strumenti adatti di supporto. Per Frosinone, in particolare, la priorità è aumentare gli agenti di polizia penitenziaria per garantire maggiore sorveglianza e inserire figure essenziali come lo psicologo.

Trieste: carcere sovraffollato; si moltiplicano i ricorsi alla Cedu

 

Il Piccolo, 18 agosto 2009

 

Molti detenuti stanno consultando i propri legali dopo che la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia.

Rapida come un’epidemia. Da Rebibbia a San Vittore, dall’Ucciardone ai "Due Palazzi" di Padova, a Milano Opera e a Sollicciano. Si sta diffondendo velocemente in tutte le carceri, Coroneo compreso, la notizia che l’Italia è stata condannata a Strasburgo dalla Corte dei diritti dell’uomo per i trattamenti inumani ai quali sono costretti i detenuti nel nostro Paese.

Il sovraffollamento delle celle, dove sono ristrette più di 63 mila persone in spazi che potrebbero al massimo accoglierne 43 mila, è stato considerato dai magistrati europei "inumano e degradante". I giudici si sono espressi con queste parole sul ricorso presentato da Iztet Sulejmanovic, un detenuto bosniaco rinchiuso per furto a Rebibbia. Hanno riconosciuto le sue buone ragioni e gli hanno assegnato un risarcimento di mille euro. Lo Stato dovrà attingere alle proprie casse e versargli il dovuto.

A questa azione giudiziaria ne stanno seguendo numerose altre. Quante al momento non si sa. Di certo decine di detenuti ed ex detenuti si stanno rivolgendo ai loro legali perché nelle celle in cui sono stati o sono ristretti, lo spazio disponibile per ciascuna persona era ed è inferiore ai sette metri quadrati stabiliti a livello europeo dal Comitato per la prevenzione della tortura. In pratica anche la stragrande maggioranza dei 63.587 carcerati rinchiusi a fine luglio 2009 nei 206 penitenziari italiani può citare l’Italia a Strasburgo, chiedendo di essere risarcita. Le probabilità di vittoria sono altissime, così come l’eventuale fortissimo impatto sulle casse dello Stato.

"Poiché in Italia i detenuti che vivono in condizioni di sovraffollamento sono la quasi totalità - ha affermato di recente Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone che si batte per il rispetto dei diritti umani dei carcerati - lo Stato rischia di dove pagare più di 64 milioni di euro di indennizzi. La recente sentenza della Corte dei diritti dell’uomo impone che il Governo adotti soluzioni definitive per le carceri. La sentenza mette inoltre definitivamente fuori legge l’attuale gestione del sistema penitenziario italiano.

Noi siamo comunque a disposizione gratuitamente per fornire ai detenuti una consulenza sul problema risarcimenti".

"Speriamo che le richieste di risarcimento non si moltiplichino. Ci metterebbero con le spalle al muro a livello finanziario" ha affermato pochi giorni fa un dirigente del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. È stato preso alla lettera e da quel giorno di inizio agosto il numero dei ricorsi ha cominciato a "correre", quasi fosse un’epidemia. I tempi perché la Corte dei diritti dell’uomo si pronunci non sono comunque brevi: quattro anni in tempi "normali".

Se il numero dei ricorsi diventa valanga o meglio Tsunami, i tempi si allungano e il problema diventa europeo non più solo italiano. Va aggiunto che la situazione del Coroneo - se la politica giudiziaria dell’attuale Governo non cambia - è destinata ad aggravarsi ulteriormente. Dopo dieci anni di richieste, perizie, viaggi e incontri a Roma al Ministero, interrogazioni parlamentari, è definitivamente tramontata l’ipotesi di via Cologna.

Lì, nell’ex Caserma dei Carabinieri, il direttore del Coroneo Enrico Sbriglia voleva realizzare una struttura per semiliberi, nonché una serie di alloggi per il personale della polizia penitenziaria. La nuova struttura avrebbe costituito un’alternativa al Coroneo, dove all’inizio dell’estate molte persone hanno iniziato a dover dormire su materassi stesi sul pavimento delle celle. Non c’erano più brande disponibili. Il "no" alla realizzazione della struttura di via Cologna in sintesi toglie una speranza una possibilità di reale riforma. Ecco perché i ricorsi a Strasburgo stanno fioccando e fioccheranno ancora. Colpiti nella "tasca", l’Italia e il suo governo dovranno giocoforza riconsiderare il problema.

 

Ma qui almeno il trattamento è umano

 

"Ho incontrato magrebini, moldavi, ucraini, qualche africano e perfino un cinese, nel carcere di Trieste i due terzi dei detenuti sono stranieri, e questa è la sua particolarità, e come dappertutto un terzo è in attesa di giudizio, il sovraffollamento è grave e manca il 25% del personale penitenziario, ma almeno c’è una grande umanità di trattamento".

Esce con un’ora e un quarto di ritardo dal suo giro attraverso le celle del Coroneo il senatore radicale Marco Perduca che con altri 149 parlamentari ha visitato in questi giorni di Ferragosto le carceri italiane, strapiene, malate, accaldate, e destinate a riempirsi ancora con la nuova legge che ha reso reato la clandestinità degli extracomunitari. Perduca, toscano, ha visitato anche il Centro di accoglienza di Gradisca e la prigione di Gorizia.

A Trieste è stato accompagnato ieri pomeriggio dal direttore del Coroneo, Enrico Sbriglia. Il parlamentare gli ha riconosciuto un’attenzione "compassionevole" per la drammatica situazione dei carcerati: "In ogni cella c’è un frigo - ha detto -, e questo non accade da nessuna parte, e anche un fornellino a gas, è il miglior carcere che ho visto per la gestione in economia di una situazione esplosiva, si fanno corsi di formazione, entra il volontariato, una reclusa si è perfino laureata, e c’è molto interscambio con la città".

Anche il gran ritardo sull’annunciata conferenza stampa si è rivelato una ulteriore fotografia della situazione: "Tanta attesa per l’apertura di ogni porta di ferro, il personale è gravemente sotto organico, poi è arrivato il vitto da distribuire, altro da fare". Per le stesse ragioni le due ore d’aria dei reclusi di fatto durano un’ora e mezza.

Tante storie di sofferenza specificamente carceraria ascoltate dal senatore: "I detenuti sono 230, il doppio del possibile, e tempo fa ce n’erano addirittura 260, e qui c’è un bassissimo ricorso alla legge Gozzini per le misure di detenzione alternative, la gran parte dei carcerati è dentro per droga, e ho incontrato - ha riferito Perduca - anche gente che sconta adesso la pena per reati commessi 10 anni fa, quando nel frattempo qualcuno era già riuscito ad avviare nuove attività".

Le richieste che scaturiranno da questo viaggio drammatico? Non tanto di accelerare il piano di costruzione di nuove carceri ("che nasce vecchio, troppo pochi posti rispetto alle attuali esigenze") ma soprattutto di cambiare le leggi: "Niente carcere - dice Perduca - per chi non commette reati che danneggiano gli altri, la droga e la clandestinità non sono reati da prigione".

Pistoia: al "Santa Caterina" detenuti non hanno gli spazi vitali

 

Il Tirreno, 18 agosto 2009

 

In adesione alla campagna nazionale lanciata dal Partito Radicale "Ferragosto in carcere", la consigliera regionale del Pd Daniela Belliti ha visitato la Casa Circondariale di Pistoia. La consigliera era accompagnata da Nila Orsi, del Partito Radicale, e da Simone Ferretti, consigliere comunale del PD. "C’è stata la piena collaborazione del personale in servizio, che ci ha illustrato la situazione e fatta vedere ogni parte dell’istituto. Ringrazio la comandante della Polizia penitenziaria D’Orefice e l’educatrice Silvagni per il tempo messo a disposizione della visita" ha detto Belliti.

"Certo - ha poi continuato Belliti - il problema fondamentale è il sovraffollamento. A Pistoia, a fronte di una capienza regolare di 54 e tollerata di 98, sono attualmente presenti 138 detenuti. Invece l’organico assegnato è di 53, e secondo la pianta organica dovrebbe essere di ben 79 elementi. Non c’è che da apprezzare l’abnegazione con cui il personale cerca di gestire una situazione così complessa, non essendosi verificate almeno recentemente vicende pericolose per l’ordine interno.

Tuttavia è chiaro che questa condizione non può continuare. Le persone detenute non solo hanno diritto a spazi vitali secondo quanto prescritto dalla legge, ma anche di usufruire dei trattamenti di reinserimento e recupero, che così diventa impossibile portare avanti. Bisogna intervenire urgentemente, e non basta rinviare alla costruzione di una nuova struttura come proposto dal Pdl. Discutiamone pure, magari con una riflessione aperta e approfondita con la città e le istituzioni.

Ma bisognerebbe intanto dare seguito al progetto di ampliamento degli spazi destinati all’assistenza sanitaria, fermo da più di dieci anni, e dotare il carcere di una macchina per effettuare le radiografie. Poi occorre intensificare i rapporti con il territorio, per le attività formative, culturali e sociali, e per costruire una rete sociale e istituzionale capace di dare risposte immediate ai bisogni materiali anche minimi che la struttura presenta".

La maggioranza dei detenuti è in attesa di giudizio, ha osservato Belliti, e non è facile programmare interventi a lungo periodo. Questo dipende anche dalla tipologia di casa circondariale, che però, sulla base delle nuove normative ordinamentali sulla giustizia, può essere soggetta ad una riorganizzazione. Il Ministero deve operare un riordino chiaro tra case circondariali e case di reclusione, con il superamento di fatto delle ex case mandamentali. E Pistoia ne dovrà essere interessata.

Oristano: Rifondazione; per il nuovo carcere un’attesa infinita

 

La Nuova Sardegna, 18 agosto 2009

 

Niente di nuovo sotto il sole cocente che mette a dura prova la resistenza di quel microcosmo chiamato carcere. Passano gli anni, cambiano i numeri e i dati, ma mai che siano positivi. Sono anzi il segnale di un problema che va trascinandosi di anno in anno senza che i governi che transitano sappiano trovare soluzioni. La visita ferragostana del deputato del Partito Democratico, Caterina Pes, accompagnata dal segretario provinciale di Rifondazione, Giorgio Garau, dal segretario cittadino del Pd, Emilio Naitza, dal rappresentante dell’Associazione "5 novembre per i diritti civili", Roberto Loddo, e dal delegato nazionale della Uil Penitenziari, Roberto Picchedda, nell’ambito dell’iniziativa promossa dai Radicali italiani alla quale ha aderito l’intero schieramento politico, si chiude con l’ennesima constatazione di inadeguatezza generalizzata.

Sovraffollamento, organici di polizia penitenziaria sottodimensionati, struttura arcaica e al limite del collasso sono parole di un vocabolario ormai consolidato. È il verbo delle carceri italiane e che si parli di Oristano o di chissà che altra struttura non fa differenza. I numeri di piazza Manno dicono che a fronte di un carcere che può ospitare 92 detenuti, i reclusi sono ben 114. Tra questi appena 9 sono donne, ma la loro è una situazione tutta particolare in un edificio nato e consolidato per ospitare esclusivamente popolazione carceraria maschile.

Prima nota stonata, che fa il paio con quella del numero degli agenti di polizia penitenziaria in servizio. Dovrebbero essere 100, ma l’organico si ferma a 77, di cui appena 4 sono donne. Difficile lavorare in queste condizioni, impossibile mantenere in vita tutti quei diritti che i lavoratori reclamano. Ferie e permessi regolari restano un miraggio.

Ma le brutte notizie non finiscono. Da mesi si dice che i soldi per l’Abruzzo ci sono. Non si dice invece da dove saltino fuori. Un esempio è facile da trovare: il primo lotto dei lavori per la costruzione del nuovo carcere che sorgerà a Massama è destinato a slittare. Si era parlato di settembre e di chiusura dei lavori nel 2010, ma bisognerà rivedere i piani e l’ottimismo in casi come questo è solo governativo. La verità è che se ne riparla tra anni.

Nel frattempo Oristano vede sottratta al suo patrimonio artistico la reggia giudicale e i detenuti, cosa ben più grave, vivono in condizioni estreme. Alcuni ammassati in celle di pochi metri quadri da condividere con altre sei persone, dove bagni e docce magari sono un miraggio. "Bisogna andarsene - ha affermato il deputato Caterina Pes -.

Mi pare però, che al di là dei proclami di facciata, non ci siano né la volontà né le risorse di concludere la storia della struttura di piazza Manno". Pensiero condiviso dagli altri ospiti ferragostani della Casa Circondariale. Roberto Picchedda (Uil) ha voluto manifestare il proprio plauso all’iniziativa: "Per la prima volta si affronta il problema a 360 gradi. Serve però che il monitoraggio si concluda con una soluzione da garantire al più presto. Il governo non può più essere sordo".

E risposte nuove dovrà dare al Pd se entro settembre i lavori a Massama non partiranno. Roberto Loddo (5 Novembre) ha spiegato di come sia tradito il significato dell’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa delle pene. Giorgio Garau (Rifondazione) è tornato ancora una volta sul tanto contestato indulto: "Le ricerche dell’Università di Torino dimostrano che la recidività di chi ne ha usufruito è più bassa della media. Ciò che cresce sono invece i suicidi, 45 in tutta Italia".

Bari: detenuto disabile denuncia; in cella io convivo con i vermi

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 agosto 2009

 

Hanno visitato le carceri italiane, i parlamentari, nel giorno di Ferragosto. Un rito che si ripete ogni anno ma che non risolve il problema della vivibilità nel carcere. A denunciare i problemi che derivano dal sovraffollamento, dalla carenza di igiene sono soprattutto i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria. Gli agenti, del resto, devono fare i conti anche con i problemi di organico, con l’aumento delle competenze. A ciò si aggiungano le storie che quotidianamente - filtrano dal blindato mondo carcerario.

Antonio, 57 anni, detenuto nel carcere di Bari, è in una condizione di disabilità grave che non gli consente di avere l’assistenza che gli spetta. Ha così voluto affidare alla Gazzetta un messaggio che non assomiglia alla classica lamentela. Il suo obiettivo era e resta quello di far conoscere una realtà che sfugge agli occhi di tutti e di tentare di fare qualcosa per migliorare non tanto la sua situazione (che da quanto scrive si intuisce essere ormai irreversibile) ma quella di centinaia di detenuti che fino a prova contraria sono esseri umani.

Ci saranno senz’altro condizioni migliori, e peggiori di quella di Antonio (ha chiesto di tenere riservato il suo cognome), ma questa lettera, che pubblichiamo per ampi stralci, è indicativa, voler offrire una narrazione di prima mano da parte di chi vive una condizione molto particolare.

Ecco cosa ha scritto: "Sono detenuto dal 28 maggio e devo scontare 18 mesi. Essendo disabile al 100% con certificazione delle patologie già comunicate al magistrato, all’istituto e alla direzione sanitaria. Patologie gravi come: ipertensione, bronchite cronica, insufficienza respiratoria grave, scoliosi, cifosi con discopatie multiple. In pratica sono del tutto immobile. Nonostante abbia presentato al magistrato istanza per affidamento presso il mio domicilio per curare le patologie, non riesco ad avere nessun tipo di cura adeguata alle mie condizioni, peggiorate dal regime carcerario.

Questo anche se il mio difensore ha già presentato tutta la certificazione da oltre 70 giorni, nessuno sa niente: mi hanno buttato in una cella comune con altri. Siamo otto detenuti senza alcuna assistenza e senza una persona che possa aiutarmi nelle cose più semplici come vestirmi, lavarmi. Devono aiutarmi gli altri detenuti. Sono su un letto di ferro, non riesco a dormire per i forti dolori e avrei bisogno di attrezzature idonee ma nessuno è responsabile, non c’è il dirigente sanitario, non si riesce a parlare con un responsabile, uno scarica sull’altro e io, intanto, sto perdendo la vita.

Sto nella seconda sezione e non si può vivere qui: siamo in 8-9 detenuti in una cella di 15 metri quadri, le celle sono sfornite di accessori per lavarsi e non abbiamo biancheria pulita. La puzza è insopportabile e col caldo che fa si può immaginare come si sta. Non ci sono controlli igienico-sanitari e nelle celle si trovano tanti insetti. Siamo abbandonati da tutti grazie alla politica che non si occupa mai di noi.

Nelle celle comuni i detenuti sani vengono messi insieme a detenuti tossicodipendenti infetti e malati con patologie gravi. Persone non autonome che quindi hanno bisogno di assistenza continua, come l’agente assegnato che non esiste per nessuno. Quindi l’assistenza devono farla volontariamente i detenuti della cella, senza alcuna autorizzazione: se dovesse succedere qualcosa di sconveniente, devono sentirsi responsabili nei confronti delle guardie. Fate sapere cosa succede qua dentro, fate sapere che si sta peggio dei cani che almeno sono tutelati dalla legge qui invece i diritti umani e il diritto alla salute viene calpestato ogni giorno".

"Vorrei parlare - aggiunge il detenuto - anche delle guardie carcerarie che sono stanche e molto nervose a causa dello stress accumulato visto che devono fare turni duri e spesso sono anche in pochi".

Bari: il Sappe; la II Sezione va chiusa, per le carenze igieniche

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 agosto 2009

 

La seconda sezione? Un girone di inferno da chiudere. L’ultima denuncia del Sappe, il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, è arrivata qualche settimana fa in coincidenza con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia a risarcire di mille euro un detenuto bosniaco costretto a vivere in pochi metri quadrati.

La II sezione è proprio il "braccio" in cui è rinchiuso Antonio, il detenuto che ha deciso di raccontare la sua storia facendosi portavoce dell’amarezza di altri suoi compagni di cella e di istituto. La denuncia del detenuto si sposa con quella del sindacato di agenti penitenziari: "politici e mass media devono sapere che in circa 12 metri quadrati vengono stipati 6, 7 o 8 detenuti con muri pieni di macchie di umidità, con bagni di piccole dimensioni ed intonaci scrostati, separati dal resto della cella da pannelli in materiale metallico in più punti corroso". Insomma, più che una lista di carenze sembra la scenografia di un film dell’orrore. Il Sappe ha altresì provocatoriamente chiesto al sindaco di effettuare un sopralluogo all’interno del carcere e toccare con mano questa grave realtà (che probabilmente Emiliano potrebbe conoscere visto il suo passato da pubblico ministero).

Per il Sappe "la II sezione deve essere chiusa per le scadenti condizioni igienico sanitarie in cui versa e che oggi ospita circa 200 (invece di 90) detenuti". Tale popolazione carceraria è controllata da un agente penitenziario ogni 100 detenuti: figuriamoci se un poliziotto può "badare" alle esigenze di un disabile, malato, che probabilmente non dovrebbe essere neanche in cella". Ed ecco lo stato di disagio degli agenti penitenziari costretti a lavorare in tali condizioni di estremo disagio oltre che di pericolo in considerazione della tensione che via via rischia di accumularsi nel tempo.

Vicenza: il carcere raddoppia, ministero ha pronto un progetto

 

Giornale di Vicenza, 18 agosto 2009

 

Oggi si attende la visita del senatore dei Radicali Marco Perduca. Il problema del sovraffollamento è grave: i detenuti sono oltre 370. Verranno costruite altre celle in grado di ospitare oltre 120 reclusi. Il direttore: "Una scelta inevitabile".

Il carcere di Vicenza raddoppia. Filtra la notizia da Roma che sul tavolo del direttore sia arrivato un progetto, che ha già ottenuto l’approvazione del Ministero per l’allargamento di S. Pio X. In pratica dovrebbero essere costruite nuove celle per altri 100-120 detenuti e questo alla luce di quanto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, aveva proposto non più tardi di qualche mese fa, quando la situazione si fece particolarmente pesante, soprattutto in alcuni grandi istituti penitenziari del Nord. Il direttore Fabrizio Cacciabue non smentisce e nemmeno conferma. "Sappiamo solamente che Vicenza rientra nel piano del ministero - spiega - e, vista la situazione, direi che un allargamento sarebbe la soluzione più probabile e, a questo punto, anche quella più auspicabile".

A tutt’oggi la struttura di via Della Scola, costruita negli Anni Ottanta, dovrebbe ospitare 120 detenuti; invece ne contiene oltre 370. Una situazione al limite della sopportabilità non solo per i reclusi, ma anche per gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a turni massacranti per carenza di personale. Nell’ultimo fine settimana i detenuti hanno aspettato invano che qualche parlamentare varcasse la soglia di S. Pio X. I Radicali, infatti, avevano lanciato anche quest’anno "Ferragosto in carcere" con parlamentari in visita nelle varie case circondariali. Però nessuno si è fatto vedere in via Della Scola.

Probabilmente anche i detenuti avrebbero avuto qualcosa da dire sul sovraffollamento, sulle condizioni di vita nelle quali vivono quotidianamente. O su come si resiste in tre in una cella costruita per una sola persona, dove se uno vuole rimanere in piedi, gli altri due devono stendersi sulle brandine. Forse avevano bisogno di un segnale, di una parola che dicesse loro che qualcuno si sta occupando di quanto sta accadendo nelle case circondariali d’Italia.

"Ferragosto in carcere" doveva portare a Vicenza, secondo il direttore Fabrizio Cacciabue l’on.Elisabetta Zamparutti, parlamentare radicale nel gruppo del Pd. "Doveva arrivare domenica - spiega il direttore - e sono rimasto ad aspettare tutta la giornata. Ma l’iniziativa sembra destinata a continuare. Oggi, se non ci saranno intoppi, dovrebbe venire il sen. Marco Perduca".

Quest’ultimo era il primo nome che circolava fin dalla vigilia dell’iniziativa. A lui il compito di valutare lo stato in cui versa il carcere cittadino guardandolo non solo dalla parte dei detenuti, ma anche della polizia penitenziaria. Situazioni entrambe messe in evidenza in un accorato intervento del cappellano di S. Pio X, don Agostino Zenere pubblicato sul nostro Giornale.

Messina: Cgil chiede al sindaco interventi per vivibilità carcere

 

www.tempostretto.it, 18 agosto 2009

 

Il segretario Fp Cgil Croce e il coord. provinciale della polizia penitenziaria Spanò chiedono l’intervento d Buzzanca, in qualità di autorità sanitaria, per cercare di migliorare le condizioni igienico-sanitarie della struttura

Dopo l’appello denuncia rilasciato ieri dal parlamentare dell’Italia dei Valori Domenico Scilipoti sulla situazione igienico - sanitaria della casa Circondariale di Gazzi, visionata a seguito di una visita ispettiva effettuata nel carcere messinese e in quello di Misretta, interviene la Fp Cgil.

L’organismo sindacale attraverso le parole della segretaria Clara Croce invita il sindaco Buzzanca in ragione dei poteri che la Costituzione e l’ordinamento gli affida in qualità di autorità sanitaria, ad intervenire per cercare di stabilire dei provvedimenti che migliorino le condizioni della struttura.

Una situazione complessa quella dell’edificio che, secondo molti, "ospita" un numero superiori di detenuti rispetto alla capienza della stessa struttura: a sottolinearlo in più occasioni diverse organizzazioni sindacali, non ultima la Uil che proprio qualche settimana fa, in occasione della visita di Alfano per l’inaugurazione della Fiera Campionaria aveva definito un’occasione sprecata la possibilità di sottoporre il Ministro direttamente la cruda realtà dei fatti.

Oggi però è il giorno dell’affondo da parte della Cgil: "In alcuni reparti piove dentro, gli uffici del Nucleo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti sono del tutto inadeguati. Durante il periodo estivo a causa dell’eccessiva temperatura diventano invivibili. Più volte - sottolinea la Croce - il personale amministrativo ha segnalato la presenza di topi, numerose le denunce presentate agli organi competenti".

Al sovraffollamento (500 detenuti rispetto ai 270 previsti) si aggiunge la grave carenza di personale in organico, sostiene Franco Spanò coordinatore prov. Polizia penitenziaria,- per garantire i livelli minimi di sicurezza, risulta necessario l’assegnazione di altre 300 agenti di polizia penitenziaria. Mancano anche le necessarie figure professionali socio educative, assistenziali e amministrative.

"In seguito alla rumorosa protesta dei detenuti (la battitura delle scodelle contro le sbarre) - aggiungono poi i rappresentanti della Cgil - abbiamo chiesto al primo cittadino un urgente incontro per affrontare l’emergenza delle gravi condizioni igienico sanitarie. La nostra richiesta amplificata dagli organi di stampa e dalle tv locali non è stata minimamente presa in considerazione da Buzzanca. Chiediamo dunque al sindaco di rompere il silenzio - conclude Clara Croce - e di esercitare le prerogative che la Costituzione e l’Ordinamento gli affidano nella qualità di Autorità sanitaria. La restrizione della libertà personale non può comportare la perdita del diritto alla salute"

Ravenna: direttrice del carcere sostituita e piano di sfollamento

di Carlo Raggi

 

Il Resto del Carlino, 18 agosto 2009

 

Più di un anno di allarmi sulla stampa, polemiche, inchieste giudiziarie per corruzione, interventi del sindaco Fabrizio Matteucci e del senatore Vidmer Mercatali e alla fine il Ministro della Giustizia Angelino Alfano ha adottato da una parte il trasferimento della direttrice della Casa Circondariale Caterina Cirasino e dall’altro un piano drastico di sfoltimento della popolazione carceraria ravennate, fino al tetto massimo di 106.

"Si tratta di due novità estremamente positive - commenta il sindaco Matteucci - e credo che in gran parte lo si debba alla campagna giornalistica de il Resto del Carlino che da quasi un anno ha acceso un faro su via Port’Aurea, prima per gli episodi di presunta corruzione e poi sulle gravissime situazioni igienico-ambientali della struttura".

Matteucci, da quando nel settembre di un anno fa, assieme al senatore Vidmer Mercatali, visitò il carcere denunciandone le condizioni indecenti e da allora ha fatto proprio l’obiettivo di indurre il ministero a realizzare una nuova struttura a Ravenna, ha adottato una serie di iniziative: ha notificato un’ordinanza alla direttrice del carcere e al responsabile dell’amministrazione penitenziaria regionale, Nello Cesari, imponendo lavori urgenti per ripristinare un minimo di vivibilità e ha ripetutamente scritto lettere al ministro Alfano sollecitando interventi di sfoltimento e insistendo sulla necessità di realizzare una nuova struttura su un’area che il Comune è disposto a mettere a disposizione.

"Ora che il ministro ha chiesto un notevole aumento del budget a disposizione del proprio dicastero - sottolinea Matteucci - mi auguro che inserisca Ravenna non solo fra le situazioni di emergenza da gestire, ma soprattutto fra le situazioni da risolvere alla radice con un nuovo carcere".

Il sindaco ieri mattina, dopo aver appreso della notizia del trasferimento della Cirasino, ha contattato la vicedirettrice, ora nominata direttrice reggente, Carmela De Lorenzo, chiedendole di incontrarla. "La direttrice reggente - ha commentato Matteucci - ha accolto volentieri questa mia iniziativa e l’incontro avverrà la mattina di martedì 8 settembre.

Mi auguro che da oggi a quel giorno venga avviato a compimento l’impegno del ministero di sfoltire la popolazione carceraria; ho anche detto a Carmela De Lorenzo che il Comune è pronto ad offrire la massima collaborazione con la direzione carceraria per affrontare, per quanto possibile, i problemi contingenti".

Attualmente i detenuti ospitati nella Casa Circondariale si aggirano sui 170, ma si tratta di un numero estremamente flessibile: bastano pochi arresti al giorno per sfiorare quota duecento come accaduto recentemente. Con lo sfoltimento annunciato, la popolazione carceraria dovrebbe essere assestata su un numero prussiche doppio rispetto alla capienza normale che è di 59, tornando così ai livelli degli anni Ottanta-Novanta".

Ma si tratta pur sempre di un sovraffollamento che deve essere eliminato" fa eco l’avvocato Sonia Lama, dell’Associazione giuristi democratici, che esprime comunque "soddisfazione per il duplice intervento disposto dal ministero: riduzione delle presenze e trasferimento della direttrice che in questi anni si è dimostrata non all’altezza della gestione del carcere non solo per non aver impedito che la struttura si riempisse fino all’inverosimile e che si riducesse anche a un contenitore per topi, ma anche nell’ordinarietà, ad esempio con i detenuti semiliberi promiscuamente accomunati agli altri.

Però è chiaro che il problema va risolto alla radice: se il carcere può contenere solo 59 detenuti, 59 devono essere. Non è concetto giuridico, non ha ospitalità da nessuna parte l’affermazione del ministero relativa alla "capienza di necessità". La Corte Europea per i diritti dell’uomo è stata ben chiara, nella recente sentenza con cui ha riconosciuto il diritto al risarcimento a un detenuto di Rebibbia a causa del sovraffollamento e della mancanza, quindi, dello spazio minimo vitale".

Intanto il giorno di Ferragosto la Casa Circondariale è stata visitata dall’on. Massimo Calearo, del Pd (già presidente di Federmeccanica e dell’Associazione Industriali di Vicenza) e da Andrea Ansalone del Gruppo Radicale. Un’esperienza che indubbiamente ha segnato entrambi. All’uscita hanno espresso giudizi assolutamente negativi sulla struttura "indegna ad ospitare reclusi". Calearo ha anche suggerito l’opportunità che "i ragazzi delle scuole visitino le carceri per rendersi conto di come, a volte per una sciocchezza, si corra il rischio di finire in luoghi del genere. Anche i parlamentari dovrebbero entrare tutti, più spesso, nelle carceri, per una visita".

Arezzo: nuova visita dei Radicali, dopo le proteste dei detenuti

 

Adnkronos, 18 agosto 2009

 

Donatella Poretti, esponente radicale eletta nelle liste del Pd, il 14 agosto "si è recata in visita ispettiva alla casa circondariale di Arezzo ed ha rilevato sovraffollamento, carenza di organico e struttura antica; una situazione in cui anche una partita al pallone diventa un miraggio per i detenuti", lo ricordano i Radicali, in una nota, sottolineando poi che "la sera del 15 agosto i detenuti hanno manifestato all’interno del carcere contro le negazioni dei loro diritti, sventolando fuori delle sbarre un lenzuolo che bruciava e facendo rumore con le pentole sempre sulle sbarre".

"Per questo motivo oggi, martedì 18 agosto, la senatrice Poretti - annunciano i Radicali - si recherà nuovamente nel carcere di Arezzo, accompagnata da Roberto Vasai (presidente Provincia di Arezzo) e Giuseppe Caroti (presidente Consiglio comunale di Arezzo)". Alla fine della visita ispettiva, alle ore 16 si terrà una conferenza stampa, all’uscita della casa circondariale, via Garibaldi 259.

Bologna: 2 detenuti picchiano un agente ed evadono dall’Ipm

di Luigi Spezia

 

La Repubblica, 18 agosto 2009

 

Evasione dal Pratello. Due detenuti durante l’ora d’aria sono riusciti ad evadere domenica pomeriggio dopo aver aggredito un agente penitenziario. Sono un ragazzo ghanese di 20 anni, in carcere fino al 2017 per violenza sessuale (nel carcere minorile si può rimanere almeno fino a 21 anni) e uno slavo di 17 anni condannato per furto. La notizia è stata diffusa con una nota congiunta della Cgil e del sindacato autonomo Sappe e confermata dal comandante della polizia penitenziaria.

La direttrice del carcere Paola Ziccone è rientrata dalle ferie per seguire da vicino l’emergenza. Note di ricerca sono state diramate a tutte le forze di polizia con indicazioni utili per rintracciare i fuggitivi. La polizia penitenziaria ha segnalato la fuga sia alla Procura dei minori sia alla Procura ordinaria. Le due organizzazioni sindacali denunciano che l’evasione è stata possibile a causa dei lavori di ristrutturazione in corso da un paio d’anni.

Una fuga preordinata. Secondo la prima ricostruzione, i due detenuti erano in un campetto di calcio ricavato nel cortile e racchiuso da una alta gabbia di ferro, a grate e quindi scalabile con una certa facilità, soprattutto da parte di giovani agili come i due fuggitivi.

Stava ormai terminando l’ora d’aria, quando i due che hanno architettato l’azione clamorosa avrebbero richiamato l’attenzione di uno dei quattro agenti in servizio (uno dei quali in straordinario, allungando il suo turno della mattina). Gli hanno chiesto inventando una scusa di farli rientrare subito in cella. Ma una volta a tiro (gli agenti in servizio sono disarmati), i due l’hanno scaraventato contro la recinzione (la prognosi è fortunatamente di pochi giorni) e aggrappandosi alle grate della struttura che cinge il campetto da calcio, sono saliti in cima alla recinzione e si sono allontanati saltando fra i container e le impalcature che si trovano subito al di là della gabbia a grate.

Strutture presenti da quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione, cioè un paio di anni. Finora nessuno aveva sperimentato questa via di fuga facilitata nella discesa. Saltando sopra container dei muratori e altre strutture edili, i due complici hanno guadagnato secondi preziosi prima di trovare il modo di superare anche il muro esterno in mattoni.

Gli agenti di custodia in servizio erano quattro, più un sovrintendente, numero minimo richiesto per sorvegliare i venti detenuti presenti in istituto, ora ridotti a diciotto. Da qui la denuncia di Cgil e Sappe, che denunciano come questo pericolo di fuga era stato già segnalato "a tutti i livelli dell’amministrazione penitenziaria e alle autorità cittadine". Salvatore Bianco, segretario provinciale Cgil e Vito Serra, segretario regionale Sappe, si chiedono "come sia ammissibile che l’amministrazione penitenziaria abbia deciso di custodire diversi detenuti nella nuova struttura nonostante sia ancora un cantiere aperto? Per quali ragioni si è deciso di correre un tale rischio?". E perché non è stato inviato "un numero adeguato di personale di polizia penitenziaria?". Secondo il Sappe, nella nuova struttura non c’è ancora un generatore elettrico, con il rischio di blackout e problemi anche per i cancelli, tutti ad apertura elettrica.

Reggio Emilia: detenuto aggredisce agente e tenta di strozzarlo

 

La Gazzetta di Reggio, 18 agosto 2009

 

Ha messo le mani al collo all’agente di polizia penitenziaria, "colpevole" di avergli chiesto di attendere a una sua richiesta. È il grave episodio registrato la vigilia di Ferragosto in carcere a Reggio. L’agente, medicato al pronto soccorso, se la caverà con quattro giorni di prognosi. Ma dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria si solleva la protesta per le condizioni di lavoro.

"È successo tutto per futili motivi. Non c’è nemmeno stata una discussione. Il detenuto ha formulato una richiesta al collega, il quale lo ha pregato di attendere e questo lo ha aggredito d’improvviso. Questa non è che la conseguenza della situazione esplosiva che avevamo preannunciato si sarebbe potuta verificare se non si fosse intervenuti in tempo". Così il vice segretario del Sappe, Mario Tafuto, commenta il grave episodio registrato alla Pulce nella giornata di venerdì.

"Quello che è accaduto - spiega - è dovuto sicuramente alle condizioni di invivibilità del carcere, causato dal sovraffollamento e da una situazione grave di carenza d’organico. Situazione comune a molte carceri italiane e che merita di essere risolta. Oggi come oggi, a Reggio, i detenuti sono costretti a vivere anche in quattro in appena quattro metri quadrati di cella. Troppo pochi. E con le temperature eccessive dell’estate, aumenta la loro suscettibilità. Basta poco per scatenare attacchi d’ira ingiustificati, come questo".

Una situazione grave, che pone in una situazione difficile sia i detenuti sia gli agenti. "Con la carenza di organico che stiamo patendo, oggi di fatto accade che una sola unità di polizia, dunque un solo agente, gestisca un reparto popolato da 75/80 detenuti, per la maggioranza stranieri - fa notare il sindacalista - Cosa accadrebbe se decidessero di rivoltarsi?

È per questa ragione che abbiamo chiesto all’amministrazione di dotarci di dispositivi anti-aggressione per la tutela del personale di polizia. Nello specifico, si tratterebbe di un telecomando attraverso il quale un agente, se in difficoltà, può allertare una squadra di soccorso. Una richiesta che, però, a tutt’oggi ancora non è stata esaudita".

"Ci siamo già rivolti al prefetto e alle istituzioni locali perché questa situazione deve essere nota e bisogna che qualcuno intervenga - conclude Tafuto - Già all’inizio dell’anno avevamo denunciato una situazione in peggioramento, sperando che si intervenisse. Invece, non è arrivato alcun segnale. Ora, valuteremo quali forme di protesta mettere in campo per garantire i diritti sia dei detenuti che degli agenti di polizia penitenziaria che, attualmente, si trovano a operare in condizioni inaccettabili".

Europa: le carceri sovraffollate in Spagna, Inghilterra e Francia

 

Europa, 18 agosto 2009

 

Gli ultimi dati sullo stato delle carceri e i più recenti fatti di cronaca continuano a fotografare situazioni tragiche non solo in Italia, ma anche in diversi paesi dell’Unione europea. La popolazione delle prigioni britanniche, sottolineava ad esempio tre giorni fa il Guardian, ha raggiunto nel fine settimana la cifra record di 84.154 persone, appena un migliaio al di sotto delle reali capacità di accoglienza e di sicurezza degli istituti.

In Francia - dove il crescente sovrappopolamento (almeno 10mila detenuti oltre la capienza reale di 52mila) aveva già spinto l’ex ministro della giustizia, Rachida Dati, ad avviare un’indagine e preparare un piano d’emergenza per settembre - l’allarme è risuonato una settimana fa, in seguito all’aumento, dall’inizio del 2009, dei suicidi tra i prigionieri. Ancora in Spagna, ricordava ieri Abc, il sovraffollamento sarebbe del 165 per cento, con una popolazione carceraria arrivata a 76.323 persone, ovvero più 31mila unità in dieci anni. "Un’assurdità per qualsiasi sistema, ma quasi una catastrofe per la situazione spagnola", diceva un anno fa Mercedes Gallizio, ministro degli interni e direttore generale delle prigioni. Proprio i socialisti hanno denunciato che, mentre i detenuti aumentavano, non si procedeva né con finanziamenti né con nuove strutture e che si tratta di "ricominciare da capo ".

Questi numeri sono lo specchio della situazione che il Consiglio d’Europa anticipava nel suo ultimo rapporto statistico sei mesi fa (relativo al 2007) e che la Giornata europea contro il sovraffollamento delle carceri (28 febbraio 2008) aveva precedentemente amplificato. Ma se pure i problemi del sovraffollamento e dei suicidi accomunano più di una democrazia nell’Unione, visti da vicino raccontano realtà lontane da quella italiana.

Almeno in merito al numero dei detenuti in attesa di giudizio o di sentenza definitiva che, in media, in Europa costituiscono il 22 per cento dei detenuti, mentre nel nostro paese - secondo gli ultimi dati del ministero dell’interno - raggiungono quasi il 50 per cento: in questa condizione ci sono infatti 30.436 detenuti su un totale di 63.416. Differenze che si ripropongono nella ricerca di soluzioni.

In Gran Bretagna, dove una commissione è al lavoro per la riforma del codice penale, piani già avviati per la costruzione di nuove strutture o l’ampliamento delle precedenti sono in corso. Da quando i Labour sono al governo (1997) i detenuti sono aumentati del 40 per cento - e con essi le critiche per le drammatiche situazioni delle prigioni. Il governo oggi ricorda che si è impegnato sia cercando di costruire, sia ampliando le strutture preesistenti e promettendo, ha ricordato lo stesso Guardian, "abbastanza posti per i criminali più pericolosi ". Anche se il piano per creare nuovi posti (altri 1750 entro il 2009 mentre si prepara ad arrivare a 96mila entro il 2014) non è ancora stato completato dal governo, che sarebbe "disperato ", mettere "due detenuti in una cella da uno" - come pure si è fatto, denunciano gli esperti - non è considerata la soluzione.

Agire prima che la situazione si faccia ingestibile sembrerebbe anche la linea della Francia. Nuove spinte sono arrivate in seguito alle critiche per il sovraffollamento conclamato, per lo stato delle carceri, definito "una vergogna " dallo stesso Sarkozy, oltre che per la condanna, un mese fa, della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti degradanti nei confronti di un detenuto. Oggi una riunione a porte chiuse discuterà il rapporto dell’amministrazione penitenziaria sui suicidi (75 per il ministero, 88-90 secondo altre associazioni).

L’auspicio di molti è che non finisca "sotterrato" come quello che a giugno (denuncia il suo estensore Louis Albrand) non piacque alla Dati.

Gran Bretagna: questionario a detenuti su "qualità del carcere"

 

Ansa, 18 agosto 2009

 

Cosa ne pensi del tuo carcere? Proprio come in un hotel, ai detenuti inglesi sarà data l’opportunità di dare il proprio giudizio sulla struttura che li ospita. La polizia sta consegnando ai detenuti un questionario nel quale si chiede di valutare la propria esperienza di prigionieri dai servizi come "cibo e bevande, materiale da leggere, sicurezza, pulizia, illuminazione, strutture come bagni e docce e palestra" e se gli è stato mostrato il cicalino d’emergenza per le celle.

Una guardia brontola, "Hanno iniziato ad usare il cicalino per le emergenze come la chiamata per il servizio in camera di un albergo... Ci chiamano per ogni cosa - per avere giornali sulle celebrità, per alzare l’aria condizionata e per farsi portare insalata". Forse le carceri contano di guadagnarsi un posto nella classifica delle prigioni a "cinque sbarre", ad ogni modo è un buon modo per misurare e identificare le pratiche migliori.

 

 

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