Rassegna stampa 15 agosto

 

Giustizia: carceri del nostro paese ridotte a gabbie disumane

di Franco Corleone

 

Terra, 15 agosto 2009

 

In questo agosto la politica ufficiale, o meglio politicante, discute molto, troppo, della proposta della Lega di reintrodurre le gabbie salariali. Troppo poco si affronta invece la presenza mortificante delle gabbie umane, della galera insomma. Un silenzio pesante dei mass media di fronte a un record di presenze di detenuti nella storia della nostra Repubblica che meriterebbe uno straccio di analisi.

È aumentata la criminalità in Italia? O semplicemente assistiamo alla criminalizzazione di comportamenti e stili di vita che richiederebbero interventi educativi piuttosto che il ricorso alla repressione punitiva? Per fortuna, grazie all’iniziativa dei Radicali, nei giorni di Ferragosto quasi tutte le carceri saranno visitate da parlamentari, consiglieri regionali, garanti dei detenuti.

Ognuno dei duecento istituti, oggetto della più imponente ispezione condotta contemporaneamente sul territorio nazionale, mostrerà la stessa vergogna. Corpi ammassati in celle inadeguate, materassi lerci per terra; tossicodipendenti, immigrati e poveri ridotti a carne da macello senza vedere garantito né il diritto alla salute né quello alla difesa. Molti esponenti delle istituzioni vedranno per la prima volta il prodotto finale di una giustizia di classe, generazionale, sociale, etnica. Il sovraffollamento non è come la grandine un fatto naturale e magari imprevedibile.

È il risultato di scelte precise anche se inconsapevoli. La penalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti illegali è all’origine di questa orgia penitenziaria. Nel 2007 in Italia hanno fatto ingresso in carcere dalla libertà 90.441 soggetti. Di questi 28.090 per violazione della legge sulla droga. Le presenze in carcere per la violazione della legge Fini-Giovanardi rappresentavano al 31 dicembre 2007 circa il 40%.

Queste cifre risultano aggravate dai dati dell’ultima Relazione al Parlamento dello zar antidroga Carlo Giovanardi che ha segnalato una ulteriore crescita dei tossicodipendenti che entrano in carcere, dal 27% al 33%, cioè il 6% in più rispetto al 2007! Quanto dovremo aspettare perché il presidente Fini si accorga che la legge da lui fortemente voluta è l’emblema di quello Stato etico finalmente messo in discussione?

Per un puro miracolo finora le prigioni non sono esplose, anche se morti, suicidi, atti di autolesionismo costituiscono il bollettino quotidiano di una guerra non dichiarata e su cui pesa l’embargo dell’informazione. Occorrerà una campagna d’autunno per cambiare le leggi criminogene e subito liberare dalle catene i tossicodipendenti.

Giustizia: i Radicali svelano le carceri come "discarica sociale"

di Maria Francesca Ricciardulli

 

www.dazebao.org, 15 agosto 2009

 

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Così recita l’art. 27 della Costituzione. Non pare essere però così, almeno a sentire i dati che emergono dall’iniziativa promossa dai Radicali "Ferragosto in carcere" che ha sollecitato parlamentari, eurodeputati, consiglieri regionali a visitare gli istituti penitenziari italiani per verificarne le reali condizioni.

Mancanza di personale e di strutture sono alcuni dei fattori che rendono il carcere una "discarica" sociale dove, oltre alla libertà, si perdono, molto spesso, anche il diritto alla salute e i diritti civili più elementari. Una situazione dalla quale la morte è per molti l’unica via di uscita. E i numeri ne danno la conferma: quasi 100 morti, con 35 suicidi, nelle carceri italiane nei primi sei mesi dell’anno. Questo infatti il triste bilancio fornito dalla deputata Rita Bernardini e dal direttore di Notizie Radicali Valter Vecellio.

"Non passa settimana - rilevano i due esponenti Radicali - che dal mondo del carcere non giungano drammatiche notizie relative a decessi di detenuti. Gli ultimi censimenti al riguardo, parlano di quasi cento decessi nei primi mesi di quest’anno (una media di uno ogni due giorni; alcuni, decessi incredibilmente classificati come: per cause non accertate) e di oltre trenta suicidi accertati. Si tratta spesso di giovani, detenuti in attesa di giudizio e in carcere da pochi giorni. Dal carcere ormai si evade così: un’evasione silenziosa e definitiva".

"La morte insomma - per Bernardini e Vecellio - diventa preferibile alla carcerazione: questo la dice lunga sul livello di disperazione che si può raggiungere in una struttura dello Stato. Per non parlare del crescente, incontrollato, numero di detenuti che in carcere muoiono per malattia o per aver contratto gravi infezioni".

Bisognerà dunque, sostengono, "studiare anche dei dispositivi di carattere giudiziario e investire l’autorità penale, perché lo Stato e le sue istituzioni rispondano di queste morti; così come devono rispondere dei gravi danni patiti ogni giorno dai detenuti e dal personale penitenziario che a costo di gravosissimi sacrifici assicura quel minimo di tenuta e di governo all’interno del carcere senza il quale la rovina e lo sfacelo sarebbero totali".

Giustizia: in carcere dolore e solitudini, viaggio nell’emergenza

di Giovanni Auriemma

 

Avvenire, 15 agosto 2009

 

"Stanotte abbiamo salvato uno che si voleva impiccare". L’ordinaria amministrazione, in carcere, di ordinario non ha proprio nulla. E anche una visita istituzionale, di istituzionale ha ben poco: si trasforma presto in un pesante viaggio nel tunnel della solitudine. Ieri, nell’ambito dell’iniziativa che ha portato 150 parlamentari in quasi 200 istituti, l’onorevole del Pd Paola Binetti ha superato le mura di Velletri. Ma che effetto fa vedere di persona, e per la prima volta, una realtà di cui le cronache parlano con toni cupi?

Il racconto del deputato comincia proprio da un fatto di cronaca. Giovedì notte, dunque, "uno si voleva impiccare". Ma due agenti lo hanno strappato dal cappio. Mentre chi ascolta fa i conti con i brividi, il narratore, l’esperto comandante meridionale, prosegue col sorriso amaro di chi sa campare: "Niente di che, ha fatto un po’ di scena". Come "scena "?, si chiede il parlamentare in ispezione. "Si, ha fatto un sacco di rumore. Qua chi si vuole ammazzare lo fa e basta, prepara tutto in silenzio". Nel suo istituto è accaduto una volta, nell’ultimo anno, che un giovane di 28 anni si togliesse la vita.

È l’apice, spiega la Binetti, del quotidiano confronto con il dolore, cui si oppone, per fortuna, anche un’altra normalità: quella di rapporti civili tra controllori e controllati, con una fetta di reclusi che si dà da fare per passare il tempo, con le porte blindate chiuse solo di notte e le ore d’aria rispettate. Tutto questo nonostante la presenza di un affollato braccio ad alta sicurezza (63 persone, 19 dentro per mafia), e di una complicata sezione per ‘pentiti di essersi pentitì: meno di dieci, ma da controllare con attenzione perché invisi (eufemismo) agli altri reclusi. Tra loro, il mostro del Circeo Angelo Izzo.

Velletri non può essere considerato il simbolo del sovraffollamento. Il questionario che il deputato Pd ha compilato a fine visita lo certifica. La maggioranza delle celle è per due persone, e due ce ne stanno. Qualche strappo alla regola però c’è, se è vero che l’istituto è omologato per 356, può tollerare 367 presenze e invece ne gestisce 380. Si usano per le emergenze le celle di transito, mentre a volte si utilizzano come posti provvisori alcuni spazi del braccio d’isolamento. Ma il carcere laziale presto vivrà una nuova era: alle spalle dell’edificio attuale sta nascendo un padiglione ultramoderno che ospiterà 250 persone, portando a 700 la capienza totale. Entrerà presto in funzione, assicura all’onorevole il provveditore regionale Angelo Zaccagnino.

Ma che impressione ha avuto la Binetti circa l’altro grande tema, il sottodimensionamento del personale? Il questionario della parlamentare dice che di 227 agenti previsti ne sono in servizio 180, e 22 fanno solo la spola carcere-tribunale. Il nuovo edificio prevede l’assegnazione di 120 operatori, ma "se ne arrivano 30 è tutto il mondo", le confessa il capo delle guardie. Il segno meno accompagna anche il numero di educatori e psicologi, cosa grave a fronte di un disagio mentale evidente - è l’osservazione dell’ex senatrice - negli sguardi persi di molti detenuti. Gente che "non doveva proprio entrare qui", le dice a denti stretti il vicedirettore Nadia Fontana.

Due i piccoli miracoli che la Binetti ha registrato. Uno si chiama suor Fabiola. O meglio, suor Adrenalina, come l’hanno ribattezzata. La sua mansione è tirare fuori creatività, dare senso al tempo e colore ai locali. L’altro si chiama laboratorio teatrale, con 20 attori, un maestro d’eccezione, Antonio Lauritano, e un copione sulla vita di san Paolo portato anche in tour per il Paese. Nell’istituto, inoltre, 84 reclusi sono scelti, tramite graduatorie, per preziosi lavori ad intra. Sono pagati e hanno i contributi, come vuole la legge. Il problema è che i pochi fondi li obbligano a fare - quando va di lusso un massimo di tre-quattro ore al giorno. Fa parte invece dei miracoli mortificati lo spazio agricolo che circonda l’istituto, per un po’ di tempo innalzato a modello nazionale.

Funziona - continua la Binetti - la cooperativa viticola, sono in piedi anche gli uliveti e gli alberi di mele cotogne, da cui viene una buona marmellata. Ma i detenuti che ci lavorano (poco) si contano sulle dita di una mano, e diverse serre appaiono in degrado. Questione di fondi, ovviamente. E pesa anche la cronica assenza di attori esterni che uniscano profitto e fine educativo. Proprio il recupero di questo "luogo pedagogico" ha appassionato Paola Binetti: "Un patrimonio del genere non può essere disperso". Infine, due istantanee della visita. La prima: le presunte opere d’arte, costate centinaia di milioni di lire, che oggi sembrano uno sberleffo a guardie e carcerati. La seconda, è lo strano movimento con cui i detenuti tirano fuori la testa dalla cella. Un piegamento a destra per infilarla nella stretta fessura rettangolare. Poi, lentamente, si rialza il capo.

Giustizia: la riforma della medicina penitenziaria resta al palo

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 15 agosto 2009

 

Una rivoluzione ancora in fase di transizione. Ma la fase di passaggio "si sta rivelando troppo lunga. Serve una spinta per fare in modo che la riforma della sanità penitenziaria diventi finalmente una realtà". Dal 1° ottobre infatti le Regioni hanno assunto la piena competenza sulla gestione della sanità negli istituti penitenziari di tutta Italia (come previsto dal Dpcm del 1° aprile 2008). La tutela della salute dei detenuti è passata dalle mani del ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale, con grandi aspettative da parte degli operatori del settore, ma anche con molte perplessità.

Il problema principale, denuncia Bruno Benigni, vicepresidente del Forum nazionale per il diritto alla salute dei detenuti, sta nel fatto che dei 157,8 milioni di euro stanziati per il 2008 non si è ancora visto un centesimo. E non sono arrivati nemmeno i 32 milioni licenziati dal Cipe con una delibera dello scorso 6 marzo. "Le Regioni hanno iniziato le loro attività di assistenza ai detenuti anticipando risorse che non hanno ricevuto - spiega Benigni -. Se non lo avessero fatto sarebbe stato il collasso".

Il risultato è una situazione a macchia di leopardo: alcune Regioni si sono rimboccate le maniche e hanno iniziato ad affrontare i nuovi impegni. Toscana, Umbria, Emilia e Lombardia (solo per citarne alcune) hanno già avviato il percorso di sostituzione con buoni risultati. "Abbiamo mantenuto e potenziato il modello organizzativo precedente - spiega Angelo Cospito, responsabile sanitario presso l’amministrazione penitenziaria della Lombardia -. Abbiamo avviato il dialogo con la Regione, eliminato doppioni e creato i poli sanitari all’interno delle carceri".

Nel Lazio, la Regione ha iniziato a sostituire i macchinari obsoleti in dotazione ai penitenziari: già consegnati quelli di Regina Coeli, arriveranno a breve gli apparecchi destinati agli altri penitenziari laziali. Centodieci nuove apparecchiature mediche, per un totale di due milioni e mezzo di euro.

Una sfida da non perdere, quella della riforma della sanità penitenziaria. Quasi una rivoluzione copernicana: "Nessuno ha mai fatto prevenzione in carcere, né sugli ambienti di vita né sulle malattie. Ci si limitava alla medicina d’attesa - spiega Benigni -: il medico visitava il detenuto solo se questi lo chiamava per essere soccorso". Oggi invece si chiede al Sistema sanitario nazionale di entrare in carcere, per fare indagini e raccogliere informazioni per prevenire le malattie (dal diabete all’epatite) ma anche per offrire ai detenuti che ne hanno bisogno, la possibilità di fare riabilitazione.

Altro nodo critico della transizione è l’inquadramento professionale di medici, infermieri e altri operatori sanitari che, nel sistema precedente, lavoravano sulla base di convenzioni e che ora devono trovare una collocazione nell’ambito del Sistema sanitario nazionale.

"Attualmente gli psicologi di ruolo sono 19, in tutta Italia - denuncia Paola Giannelli, segretario nazionale della Società italiana di psicologia penitenziaria -. Mentre, per trent’anni, l’assistenza ai detenuti è stata garantita dai 380 psicologi consulenti ai quali, con il passaggio di competenze, è stata sottratta questa competenza".

Una transizione complessa, che si va a innestare su un quadro altrettanto complicato. E, per certi aspetti, drammatico. Basti pensare che il 38% dei detenuti soffre di epatite e che i tossicodipendenti che vivono in cella sono quasi 15mila (solo il 4,5% è in trattamento metadonico). In molti penitenziari poi si sta affrontando la recrudescenza di patologie ormai scomparse nel nostro Paese come scabbia o Tbc che, come le altre malattie infettive, dilagano grazie al sovraffollamento.

Inoltre, come spiega Claudio Salemme, dell’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio, "spesso una persona soffre di diverse patologie. Basti pensare ai tossicodipendenti: la droga provoca problemi ai denti e, di conseguenza, all’apparato gastro-intestinale. Senza dimenticare che molti sono affetti da epatite C". Una situazione di sofferenza che viene acuita dalla costrizione e dalla mancanza di spazi: non è raro infatti che persone sane si ammalino in carcere e, a fine pena, portino con sé questa difficile eredità.

Giustizia: nelle carceri italiane, disagio "ai limiti dell’umanità"

di Alessia Guerrieri

 

Avvenire, 15 agosto 2009

 

Condizioni inaccettabili per sovraffollamento e personale insufficiente. Le carceri italiane, viste con gli occhi dei 150 parlamentari e consiglieri regionali che, tra ieri, oggi e domani visiteranno gli oltre duecento istituti di detenzione dello stivale, sono in una situazione non più sostenibile. Questo è il coro unanime, alla vigilia della festività dell’Assunta dei politici bipartisan che, da nord a sud, hanno passato qualche ora "dentro", denunciando il disagio "ai limiti dell’umanità" in cui vivono migliaia di detenuti.

"Il nostro obiettivo - ha commentato Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari - è quello di creare una coscienza della politica sulle gravi criticità che affliggono il sistema penitenziario. La straordinaria partecipazione di parlamentari assume un significato politico non indifferente". Una "discarica sociale". Così ha definito il carcere palermitano dell’Ucciardone il deputato del Pd Pino Apprendi che ieri ha visitato il penitenziario. "La struttura è inadeguata - ha commentato - perché dovrebbe ospitare 500 persone e ve ne sono oltre 700, mentre gli agenti penitenziari che dovrebbero essere 500 sono appena 350". Stessi problemi quelli denunciati dai politici di ambo gli schieramenti all’uscita dalle carceri di Trento, Catania, Genova, Udine, Crotone, Pesaro.

"La situazione è migliorata, ma resta illegale", le parlamentari radicali invece hanno promosso, ma "con debiti", il carcere di Regina Coeli a Roma. Per il Pdl la soluzione migliore è costruire nuove strutture senza ricorrere all’indulto. Anche l’Idv boccia l’antidoto del condono auspicando invece processi più brevi. Oggi nuova giornata di visite "al fresco" con Pannella a Poggioreale e Nisida, delegazioni di Montecitorio anche ad Alghero, Sassari e Volterra.

Giustizia: troppi detenuti muoiono e spesso non si sa il perché

di Daniele Nalbone

 

Liberazione, 15 agosto 2009

 

La pianta del complesso del carcere di Sollicciano è a forma "giglio", simbolo di Firenze. Un carcere il cui il numero dei detenuti supera, in pianta stabile, le mille unità da anni, nonostante la capienza regolamentare sia di 447. A pochi metri delle mura due lingue di asfalto, l’autostrada del sole e la Fi-Pi-Li, tagliano il territorio, un tempo ricco di campi agricoli e ancora caratterizzato da casali e ruderi.

Un ambiente agreste, lontano dai nuovi quartieri ormai saturi di abitazioni di Firenze, una delle città simbolo dell’indiscriminata espansione urbana. Le vie che portano alla casa circondariale sono semideserte, il silenzio è rotto soltanto da qualche tir in transito sull’A1. Per arrivarci bisogna prendere via Minervini, una di quelle strade che non vorresti mai percorrere. Una strada che porta spesso verso il nulla più totale, alcune volte senza uscita. Così è stato per Niki Aprile Gatti, un ragazzo avezzanese, residente da due anni a San Marino, trovato impiccato il 24 giugno 2008 in una cella di Sollicciano poche ore prima di deporre su un caso di truffa telefonica e frode informatica fra San Marino e Londra. Un’inchiesta di quelle che scottano, in cui sono implicati loschi personaggi della criminalità organizzata e imprenditori senza scrupoli.

Purtroppo Niki non è stato il solo detenuto a perdere la vita in questa struttura. Prima di lui tante altre persone hanno trovato la morte a Sollicciano, così come sarebbe accaduto subito dopo la sua scomparsa. Fino ad oggi. Dall’inizio del 2009 qui sono deceduti M.B., 60 anni, morto il 30 gennaio impiccandosi alle sbarre di ferro della cella; Ihssane Fakhreddine, un ragazzo palestinese, morto il 24 aprile in circostanze poco chiare: prima di andare a dormire era stato visitato dal medico del carcere e il suo stato di salute era perfetto.

Il dottore fu l’ultima persona a vederlo in vita. Morì quella stessa notte. Il 12 giugno fu il turno di Anna Nuvoloni, 40 anni, sembra strozzata con un "filo" di mozzarella. Ma dal giorno seguente il sospetto che gira nei padiglioni del carcere è che invece si sia trattato di omicidio da parte di una detenuta psicolabile che le avrebbe, con la forza, spinto la mozzarella in gola per soffocarla. E per malore, come spiegano dagli uffici di Sollicciano, è scomparsa lo scorso 7 luglio una ragazza di 27 anni, detenuta per piccoli reati legati alla tossicodipendenza. Sembra che la donna possa aver sniffato gas da un fornellino. Morti strane.

Direttore della struttura dal 2004 è Oreste Cacurri. Il primo a perdere la vita in circostanze non chiare fu un detenuto marocchino, il 2 marzo del 2004. Il suo corpo fu rinvenuto da un compagno di cella con un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca: overdose di farmaci, l’ipotesi. L’11 giugno fu la volta di Khaled, algerino di 34 anni, impiccato. Il 21 giugno morì nella sua cella, appena rientrato da un permesso premio, pochi minuti dopo esser stato sottoposto a visita medica, Giuseppe Mazzantini, 30 anni: dall’autopsia non emerse nulla di macroscopico, motivo per cui la sua morte venne dichiarata "non accertata". Tre persone furono rinvenute impiccate nel 2006: Dario B., 73 anni; Santo Tiscione, 45 anni,; Sorin R., 32 anni, in attesa di giudizio e richiuso a Solliciano da due mesi.

Prima di essere trasferito in una delle carceri più dure e importanti d’Italia Cacurri era direttore della Casa Circondariale di Livorno negli anni in cui si verificò il caso Marcello Lonzi. Marcello aveva 29 anni ed era in carcere per scontare una pena di 8 mesi per tentato furto. Era in attesa di usufruire dell’indultino quando morì, il 12 luglio 2003, per causa non accertata: infarto fulminante, disse l’autopsia, e il suo caso venne archiviato.

Alla prima autopsia richiesta dalla Procura di Livorno, che poi concluse le indagini con l’archiviazione, a Marcello vennero riscontrate due costole rotte. Due che, però, diventarono otto quando, dopo diversi ricorsi da parte della madre, Maria Ciuffi, venne riesumata la salma del ragazzo. Le foto del cadavere di Marcello parlano da sole: si vede un corpo martoriato e pestato a sangue, "fino alla morte" dichiara la madre, che lo scorso 11 luglio, in un presidio organizzato fuori dal carcere delle Sughere, racconta di aver assistito direttamente "alla testimonianza di un allora detenuto nella sezione dove è successo il fatto". Un racconto che gela il sangue: "tra le 15.30 e le 17", ripete la madre "i secondini hanno chiuso i portoni delle celle e nella sezione si sentivano voci sconosciute e rumori distinti di passi veloci che facevano capire che stava succedendo qualcosa di grave a qualche detenuto. Solo l’indomani mattina vennero a sapere della morte di mio figlio".

Una madre coraggio alla quale si "accoda" cinque anni dopo Ornella che, dal 25 giugno 2008, giorno in cui ricevette la maledetta telefonata che le comunicò la terribile notizia, lotta per ottenere giustizia sulla morte di suo figlio Niki, detenuto nella cella numero 10, reparto B, sezione 4 di Sollicciano, e trovato impiccato nel bagno durante l’ora d’aria. Un’ora dove a Sollicciano può succedere di tutto.

Anche nella vicenda di Niki, morto nel carcere fiorentino, come in quella di Marcello, morto a Livorno, si registrano gravi incongruenze fra l’autopsia e la perizia di parte. Speriamo solo che il caso di Niki non finisca come quello di Marcello: archiviato.

Giustizia: Berlusconi; piano a lungo termine contro criminalità

 

Apcom, 15 agosto 2009

 

Lunga riunione oggi al Viminale del comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico "che si è prolungato al di là del tempo previsto", come ha detto il premier Silvio Berlusconi, che vi ha partecipato insieme ai ministri dell’Interno, Roberto Maroni e della Giustizia, Angelino Alfano. Berlusconi ha inoltre sottolineato la sua soddisfazione per i "risultati positivi" ottenuti dal governo.

Questo governo, che ha la fortuna di poter contare su una maggioranza solida, resterà in carica per altri 4 anni" e quindi dovrà elaborare "un piano a lungo termine di contrasto alla criminalità, non solo mafiosa ma anche diffusa", insomma alle "forze del male". Il piano a lungo termine contro la criminalità "vedrà la luce a settembre".

Entro la metà del mese dovrebbe essere varato anche il Piano Carceri, visto che oggi le strutture penitenziarie scoppiano, come ha confermato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, durante la conferenza stampa al Viminale. Il governo ha tanti compiti e impegni" ma "certamente la più importante delle risposte deve essere data ai cittadini nell’ambito della loro sicurezza personale", ha spiegato Berlusconi, al termine del vertice sulla sicurezza.

Uno Stato come primo impegno - ha aggiunto - ha quello di difendere i propri cittadini da attacchi esterni, e c’è l’esercito, e dagli attacchi interni delle forze del male schierando le forze del bene. È quello che abbiamo assolutamente presente, siamo impegnati a farlo, e a intensificare l’azione nei prossimi 4 anni".

Noi crediamo - ha aggiunto a proposito della lotta alla criminalità organizzata - che quella della lotta alla mafia sia "un compito che questo governo deve porsi con estrema decisione. I rappresentanti di tutti i corpi dello Stato condividono questa possibilità. Noi cercheremo di procedere in questa direzione con grande risolutezza". Il premier ha lasciato ai ministri Alfano e Maroni il compito di illustrare alla stampa "quella che è stata la produzione delle leggi antimafia, "l’Antimafia delle leggi contro l’Antimafia delle chiacchiere. Sono norme importanti che mancavano".

Giustizia: Letta; misure alternative "esempio efficace" di pena

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

"Le misure alternative che mi sono state giustamente sollecitate anche da alcuni detenuti che lavorano qui a Roma, sono un esempio efficace di come pagare il debito con la società". Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che oggi ha presenziato al progetto di reinserimento socio lavorativo dei detenuti, in corso a Roma sulla Via Tiburtina. Le pene alternative, secondo Letta sono utili anche "alla società, che può così dare finalità migliore al pagamento del debito" di chi ha commesso reati.

La pena detentiva dovrebbe avere sempre, come stabilito dalla nostra Costituzione, lo scopo del reinserimento nella società", ha ribadito Letta. "Penso sia un’iniziativa molto apprezzata dai cittadini di questo bel quartiere - ha aggiunto Letta - che certo andrebbe tenuto meglio. Iniziativa utilissima alla città, ai suoi abitanti e molto utile per i detenuti".

Gianni Letta ha visitato stamani la piccola area verde antistante la stazione della Metro B di S. Maria del Soccorso, a Roma, scelta dall’Ama (la società che gestisce la raccolta rifiuti) e dal Campidoglio per realizzare la prima sperimentazione del progetto del Dap per il reinserimento dei detenuti. Letta ha sottolineato che l’iniziativa "reca sollievo a Ferragosto ai detenuti che possono uscire dal carcere e godere di una giornata diversa, fatta anche di serenità e svago".

Ma per il Sottosegretario la sperimentazione voluta dal ministero della Giustizia "é un anticipo di un modo per reinserire" chi ha pagato il suo debito alla società ma anche "utile per i detenuti e per gli altri". "E costituisce - dice ancora - un modello del regime carcerario in una società civile capace di pensare a misure alternative meno afflittive, capace di rendere quelle finalità che la Costituzione assegna alla pena. Mi sembra un’iniziativa molto intelligente, umana e socialmente importante, che va incoraggiata e sostenuta".

Giustizia: Letta; troveremo risorse per costruire nuove carceri

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

"Ringraziamo la Corte europea ma non avevamo bisogno che ce lo dicesse lei" qual è la situazione nelle carceri italiane: lo sapevamo, e del resto ce lo ricorda Franco Ionta, capo del Dap, ogni giorno con le sue relazioni e con la sua politica", ha aggiunto il sottosegretario commentando il richiamo della Corte europea all’Italia a proposito delle condizioni dei detenuti nelle carceri italiane. Letta ha poi aggiunto che "anche il monito che viene dalla Corte ci deve indurre ad affrontare questo problema nei tempi e nei modi necessari".

"Al Viminale il Comitato nazionale per la sicurezza affronterà oggi, tra l’altro, la questione del piano di edilizia carceraria del ministro Alfano" e per quanto riguarda le risorse necessarie a realizzare il piano edilizio carcerario, Letta ha assicurato che "troveremo le risorse necessarie con la gradualità e i tempi che servono. Non si possono realizzare nuove carceri tutte contemporaneamente" ma "la gradualità con cui saranno costruiti nuovi istituti sarà la stessa con cui saranno messe a disposizione le risorse".

Giustizia: La Russa; contro il sovraffollamento, nuove carceri

 

Iris, 15 agosto 2009

 

"Per la condizione dei carcerati la soluzione è costruire nuove carceri". Lo ha detto a Sky Tg24 il ministro della Difesa, Ignazio La Russa sottolineando che "è finito il tempo in cui essendo le carceri affollate si pensava di mettere fuori coloro che erano stati condannati dopo un regolare processo, magari dopo un provvedimento di indulto che è un palliativo perché dopo pochi mesi siamo al punto di prima".

"Quello che bisogna fare e stiamo facendo - ha spiegato La Russa - è costruire carceri in cui la dignità dell’uomo sia assolutamente rispettata e tutelata. Non sia una scorciatoia l’affollamento delle carceri per rimettere in libertà chi ha commesso dei reati e deve pagare il proprio debito con la società".

Giustizia: Davico (Pdl); l'indulto non rappresenta la soluzione

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

"I problemi delle carceri si sa quali sono. Bisogna costruire nuove carceri". Lo ha detto il sottosegretario all’Interno, Michelino Davico, oggi a Torino, al termine della riunione del comitato di sicurezza cui hanno partecipato forze dell’ordine e istituzioni piemontesi, commentando la visita odierna di alcuni parlamentari alle carceri torinesi. "Gli indulti non sono la soluzione al sovraffollamento dei penitenziari - ha aggiunto Davico - abbiamo visto le conseguenze sociali e criminose che l’indulto ha avuto". Secondo il sottosegretario Davico "L’unica soluzione al sovraffollamento delle carceri è costruirne di nuove".

Giustizia: Tenaglia (Pd); situazione gravissima, mancano fondi

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Da ieri al 16 agosto, in seguito ad una iniziativa dei Capigruppo della Commissione Giustizia della Camera, i parlamentari di ogni schieramento si sono recati e si recheranno a visitare i 221 istituti di pena per verificare le condizioni delle carceri italiane.

Tra di loro 55 deputati, senatori ed europarlamentari democratici che partecipano alle visite. C’è Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia, Pina Picierno, responsabile Legalità, Alberto Lo Sacco, responsabile Eventi del Pd e Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera. Visite che come sottolinea Tenaglia "servono a verificare direttamente, sul terreno, la situazione delle carceri italiane.

Le continue denunce degli organismi umanitari e dei sindacati degli operatori carcerari hanno evidenziato il grave stato di disagio e il sovraffollamento degli istituti di pena e le difficoltà in cui lavora il personale della polizia penitenziaria. La situazione è esplosiva perché oramai in tanti carceri si è superato il livello massimo di accoglienza".

Poi la denuncia, sconcertante se si pensa che la destra blatera di sicurezza ogni giorno: "In questo quadro è completamente assente il governo: il piano carceri annunciato dal ministro Alfano non si sa che fine abbia fatto. Sulla riforma della Giustizia, poi, siamo ancora all’anno zero perché i tempi del processo saranno destinati ad aumentare sia con le norme già approvate, il reato di clandestinità, sia con la riforma Alfano del codice penale. Manca completamente un progetto di riforma organica della giustizia e un piano di investimento sull’edilizia carceraria e sul necessario aumento degli organici della polizia penitenziaria".

Giustizia: Picierno (Pd); carceri abbandonate, governo assente

 

Apcom, 15 agosto 2009

 

Pina Picierno, responsabile Legalità del Pd, ha aderito all’iniziativa che vedrà, fino a domenica, oltre un centinaio di deputati visitare i 221 istituti di pena italiani per verificarne le condizioni. "La situazione - ha sottolineato Picierno che si è recata presso il carcere di Siracusa - è estremamente grave: celle sovraffollate, spazi insufficienti, personale carcerario insufficiente. Elementi che rendono la vita carceraria esplosiva mettendo a repentaglio la sicurezza degli stessi agenti carcerari. Servono risorse che il governo si è limitato a promettere ma delle quali non vi è traccia. L’edilizia carceraria è stata completamente dimenticata. È necessario intervenire. È però importante che la nostra visita non si limiti ad una parentesi agostana ma produca una reazione da parte del parlamento".

Pina Picierno ricorda come pochi mesi fa "tra fanfare e riflettori, il ministro Maroni aveva annunciato, in pompa magna, che sarebbero state a messe a disposizione delle forze di polizia i mezzi sequestrati alle mafie". Ferrari, Porsche e via dicendo... Ma la "direzione centrale dei servizi tecnico-logistici del dipartimento di pubblica sicurezza, ha annunciato di non potersi servire di questi mezzi causa la scarsità di risorse disponibili. Troppo costose.

Caro ministro Maroni, non credo che la polizia abbia bisogno di girare in Ferrari per adempiere alle sue funzioni, penso piuttosto che si accontenterebbe di avere le risorse necessarie per i mezzi, per la benzina, per le macchine, per poterle usare senza che si rompano durante le operazioni. Lasci da parte la propaganda e i lustrini e renda le risorse sottratte nei mesi scorsi al comparto, 3,5 miliardi di euro". Purtroppo c’è un sospetto: i detenuti sono in carcere e le forze dell’ordine al lavoro... Alfano & Maroni sono in vacanza. Lontano, lontano.

Giustizia: Boccia (Pd); accelerare una riforma dei penitenziari

 

Il Velino, 15 agosto 2009

 

Francesco Boccia, deputato del Pd e componente della commissione Bilancio, ha visitato con Pierfelice Zazzera, deputato Idv, il carcere maschile e quello femminile di Trani nell’ambito dell’iniziativa "Ferragosto in Carcere". "Nonostante gli sforzi eccezionali della direzione del carcere di Trani e la disponibilità degli operatori che va oltre i loro doveri lavorativi - afferma Boccia -, la situazione generale è precaria come in gran parte delle case circondariali del paese. Il numero di detenuti in attesa di giudizio è sempre molto alto e quello degli extra comunitari ha ormai superato ogni livello di tolleranza".

"Questo stato di cose - sottolinea Boccia - deve indurci all’accelerazione della riforma penitenziaria. Non possiamo abbandonare la speranza del reinserimento reale nella società dei detenuti. Nello stato in cui sono oggi i detenuti, quella speranza rischia di diventare vana. Gli extracomunitari poi, in quei contesti fanno la specializzazione in criminalità anziché adeguarsi alle regole della società italiana. Trani dimostra che nonostante l’assenza della politica su questi temi, le strutture funzionano grazie alla volontà di operatori che non dobbiamo lasciare soli".

"Il ministro Alfano - prosegue Boccia - sa che al rientro potrà contare sul risultato di questa eccellente iniziativa dei radicali e sul sostegno incondizionato di gran parte del Parlamento. Ci auguriamo che non sprechi questa grande occasione". "L’iniziativa Ferragosto in Carcere, promossa dai Radicali italiani e dai Parlamentari di tutti gli schieramenti politici - conclude Boccia -, è volta a monitorare direttamente la realtà quotidiana delle carceri sovraffollate, dei direttori, degli agenti penitenziari, dei medici, degli psicologi, degli educatori e dei detenuti. L’iniziativa ha il fine di proporre soluzioni legislative e organizzative immediate, a medio e lungo termine per fronteggiare l’emergenza penitenziaria a causa del costante sovraffollamento della popolazione detenuta".

Giustizia: Idv; no all'indulto, processi più rapidi e nuove carceri

 

Asca, 15 agosto 2009

 

"Il sovraffollamento delle carceri si combatte con processi più rapidi e con la costruzione di nuovi penitenziari per alleviare i disagi sia di chi deve scontare una pena sia della polizia penitenziaria". Lo dicono in una nota congiunta il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, capogruppo al Senato, e Giuseppe Caforio che oggi si sono recati nel carcere di Brindisi nell’ambito dell’iniziativa che vedrà in questi giorni oltre 150 tra parlamentari e consiglieri regionali in visita ai luoghi di detenzione.

"Si tratta - sottolineano - di una iniziativa importante a cui l’Italia dei Valori ha aderito in modo convinto, ma a nessuno venga in mente di riproporre ricette fallimentari come amnistia e indulto, prima di tutto perché si tratta di un rimedio inefficace e peggiore del male, poi perché l’idea di sicurezza non si dà certo liberando i delinquenti ma, al contrario, con la certezza della pena per chi delinque.

Certo, se poi per fare un favore alla Lega questo governo accetta di trasformare in reato la clandestinità le carceri, che già scoppiano, potrebbero davvero collassare con potenziali centinaia di migliaia di arresti".

Giustizia: Idv; Alfano risolva problemi dei carceri, o si dimetta

 

Iris, 15 agosto 2009

 

"Se il Ministro della Giustizia non è in grado di risolvere la drammatica situazione in cui versano le carceri italiane a causa del sovraffollamento, e soprattutto, se non è in grado di migliorare la condizione lavorativa gli agenti della polizia penitenziaria, allora senza esitazione, si dimetta". È quanto chiede Stefano Pedica (Idv), vice presidente della commissione Politiche dell’Unione Europea.

"È necessario che il Ministro adotti nell’immediato opportuni provvedimenti al fine - chiarisce Pedica - di armonizzare l’impiego degli Agenti di Polizia penitenziaria e del personale in servizio con le esigenze contingenti dell’attuale distribuzione della popolazione detenuta nelle carceri sul territorio nazionale. Queste persone, servitori dello Stato, sono giunti ormai all’estremo delle forze a causa delle condizioni di invivibilità degli istituti di pena, costretti a turni massacranti a causa del numero esiguo di personale, con retribuzioni al minimo e contratti mai rinnovati. Domani - conclude Pedica - visiterò le strutture sanitarie del carcere di Regina Coeli e valuterò se presentare eventuali diffide nei confronti dei responsabili".

Giustizia: Storace; no a indulti, ma espellere detenuti stranieri

di Francesco Storace (La Destra)

 

www.clandestinoweb.com, 15 agosto 2009

 

La consueta sceneggiata ferragostana orchestrata da radicali e compagnia nelle carceri italiane serve a sollevare il solito problema del sovraffollamento - quasi a riproporre un nuovo indulto condito da amnistia - senza prendere di petto il problema alla radice. I numeri parlano chiaro: 63mila detenuti in carcere, tra quelli in attesa di giudizio e i condannati definitivi, di cui 40mila italiani e ben 23mila stranieri. I 23mila stranieri pesano e troppo sulle casse carcerarie.

Del resto, i dati presenti nei registri del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria parlano chiaro a tutti, tranne che al ministro Alfano: nei nostri istituti c’è una popolazione superiore di ventimila unità alla loro capienza. Non è un caso, dunque, che l’Europa ci abbia recentemente condannato - mentre via Arenula brillava per il suo silenzio - per le condizioni di vita in carcere cui era stato costretto un detenuto.

Questa situazione non si è creata da un giorno all’altro: l’allarme sovraffollamento viene denunciato quotidianamente dai sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, tanto che il ministro Alfano si trovò ad affrontare il problema già un anno fa, poco dopo il suo insediamento.

Era il 15 ottobre 2008, con il numero dei detenuti che aveva da poco superato la soglia delle 55mila unità, quando il ministro, dopo un’estate passata a studiare i problemi degli istituti di pena italiani, dichiarava solennemente: "Il governo ha elaborato una strategia complessiva multisettoriale che, senza alcuno sconto sulle esigenze di sicurezza dei cittadini, possa garantire un sostanziale miglioramento delle condizioni di detenzione, il governo "intende sollecitare le opere di completamento di alcune nuove strutture carcerarie e quelle di ampliamento di numerosi padiglioni esistenti il governo intende percorrere la strada degli accordi bilaterali nel quadro di una strategia finalizzata a ottenere che i detenuti stranieri condannati a pene detentive brevi possano scontare la pena nei loro Paesi di origine, a prescindere dal loro consenso al rimpatrio e con la certezza che scontino effettivamente la pena e che non ritornino in Italia".

Parole che oggi, con 8mila detenuti in più, suonano non solo come una promessa non mantenuta, ma come una vera e proprio presa in giro, soprattutto per chi nelle carceri lavora. In un anno i detenuti sono aumentati più del 16%, La verità vera è che oggi gli istituti di pena italiani scoppiano, che, al di là delle chiacchiere, non c’è una strategia e che il famigerato Piano straordinario carceri è solo una bella intenzione, ferma sul tavolo del signor ministro e del commissario del Dap, Franco Ionta.

Il quale non è certo esente da colpe: è lì da un anno e ha fatto esattamente la stessa cosa del ministro, vale a dire nulla. Se il ministro Alfano avesse dato seguito a una sola delle sue promesse (quella relativa agli accordi bilaterali, per far sì che i detenuti stranieri scontino la pena nei loro Paesi di origine), oggi le carceri italiane non patirebbero il sovraffollamento, ma avrebbero una popolazione carceraria adeguata alla capienza. Il fatto è che il "pianeta carcere", nel suo complesso, è visto come un problema da evitare, come un argomento scomodo, di cui meno si parla e meglio è.

Forse è per questo che nessuno affronta davvero e seriamente un altro tema, strettamente connesso alla vita in carcere: la carenza d’organico della Polizia penitenziaria. Nelle carceri italiane, anche questo i sindacati lo denunciano quotidianamente, non solo ci sono troppi detenuti, ma ci sono anche pochi agenti. Provate a chiederlo al ministro e lui vi risponderà che non ci sono i soldi per nuove assunzioni.

Ma forse ci sarebbe modo di impiegare meglio molti agenti di polizia penitenziaria, che attualmente sono destinati a incarichi molto diversi, rispetto a quello per il quale sono stati assunti. E, per capirlo, basta fare un salto al ministero di via Arenula, dove ci sono agenti di polizia penitenziaria non solo per effettuare i servizi di scorta, ma anche negli uffici.

Perché ci sono agenti di polizia penitenziaria all’ufficio stampa del Ministero? Perché ci sono agenti di polizia penitenziaria anche in quasi tutti gli altri uffici e anche nelle diverse segreterie, a partire da quella dei vice-capi di Gabinetto del ministro della Giustizia? E, ancora, non sarà forse il caso di dare una regolata ai vari servizi di scorta, che sottraggono tanti uomini ai servizi in carcere?

Ma è proprio necessario che l’ex ministro Fassino e l’ex ministro Mastella debbano avere ancora auto del Ministero della Giustizia, con tanto tutela garantita da agenti di polizia penitenziaria? E sono davvero necessarie due auto (una delle quali di sola scorta) e tre-quattro agenti a turno per la responsabile dell’ufficio legislativo del Ministero, per quanto ricopra anche la delicata veste di moglie di Bruno Vespa?

Domande che sorgono spontanee, soprattutto nel momento in cui, mentre il ministro Alfano tace, c’è un altro ministro che parla e straparla di risparmi, di fannulloni e di Pubblica amministrazione. Signor ministro Brunetta, a pochi passi da Palazzo Vidoni c’è via Arenula: forse sarebbe il caso di farci un salto. E magari scoprirebbe ancora, a scartabellare la carte come abbiamo fatto noi, che probabilmente la situazione più drammatica è in quelle regioni dove i detenuti stranieri superano addirittura gli italiani: Piemonte, Emilia Romagna e Veneto sono in testa alla triste classifica delle regioni che vedono una maggioranza di carcerati non italiana, ma non sono sole.

A far loro compagnia, Liguria, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Lombardia e Lazio fanno la loro parte con una leggera prevalenza di detenuti italiani sugli stranieri. Domanda: è casuale che sia nelle aree più ricche del Paese il più alto numero di detenuti non italiani? Di fronte a queste cifre, si ha ancora il coraggio di negare che la questione immigrazione è anche un problema di sicurezza?

Giustizia: Binetti (Pd); il mio Ferragosto in carcere, per capire

di Paola Binetti

 

Europa, 15 agosto 2009

 

Quando Rita Bernardini, in un caldo e faticoso pomeriggio di luglio, tra una votazione e l’altra, mi ha proposto di passare il Ferragosto in carcere, sono rimasta un po’ sconcertata. Il 15 agosto per me è soprattutto la festa della Madonna e sono abituata ad andare a pregare in qualche santuario mariano. Ma poi mi sono detta: "E perché no?". In fondo si tratta pur sempre di un’opera di misericordia, anche se forse è tra le meno praticate: visitare i carcerati. E poi accanto all’aspetto umanitario ho pensato alla specifica responsabilità di parlamentare.

L’impegno politico per me è da sempre volto alla tutela dei diritti umani, alla cura della vita e alla centralità della persona in tutto il sistema sociale, politico ed economico.

Ho quindi dato la mia piena disponibilità e ho cominciato a documentarmi meglio sulla condizione delle carceri italiane. Ho cercato di mettere a fuoco una serie di questioni per capire meglio come tradurre questo incontro in proposte concrete ed operative. E ieri mattina, verso le 11, sono entrata per la prima volta nel carcere di Velletri.

Prima ancora di entrare, la prima cosa che mi hanno fatto consegnare oltre al documento di riconoscimento è stato il cellulare e ho preso coscienza di una delle limitazioni più forti di chi sta in carcere. Se si pensa all’enorme facilità con cui oggi è possibile comunicare e alla dipendenza che tutti abbiamo dal nostro cellulare, si capisce quanto questo fatto possa essere difficile da accettare.

Siamo stati accolti dal comandante, dal provveditore e dalla direttrice: le tre maggiori autorità, ognuno con la sua competenza specifica, con la sua umanità e con una reale disponibilità a raccontare, a far vedere a spiegare il senso delle cose che vedevamo e che indubbiamente avevano un senso assai diverso per chi le vedeva per la prima volta.

Lo stupore e la scarsa esperienza hanno creato una di quelle situazioni del tutto particolari, per cui si domanda tutto, si vuole vedere tutto, toccare tutto. Ma nello stesso tempo si è ben consapevoli dei propri limiti: è difficile cogliere fino in fondo ciò che davvero crea disagio a queste persone, però sembra proprio che la nostra visita faccia piacere.

Apre luoghi di speranza: qualcuno dietro le sbarre ci fa delle richieste, prova a dare dei consigli alla politica; qualcun altro resta steso sul suo letto, ignorandoci deliberatamente.

Forse pensa che è del tutto inutile la nostra visita e in un muto dialogo con lui mi piace ribadire un impegno: Non sarà una visita inutile, vogliamo fare qualcosa per te, si anche per te che non ci credi. Mi ha colpito il fatto che l’aspetto logistico non sia il problema principale come temevo: in ogni cella ci sono due persone, che risentono della ristrettezza dello spazio, ma lo accettano. In molti casi si nota una cura non indifferente per il luogo in cui vivono, dalla carta alle pareti, ai piccoli stratagemmi che moltiplicano la funzionalità complessiva.

Oggetti inventati e costruiti da loro per sfruttare meglio le pareti. È gente che nonostante tutto ama la vita e chiede rispetto. Nelle persone con cui ho parlato c’è una umanità che tende a ricreare la maggiore normalità possibile, ma che si scontra con barriere non solo fisiche. Per esempio chiede di poter lavorare di più, più ore, più attività, non solo per dare un senso al tempo ma anche per inviare aiuti e risorse alla propria famiglia. La famiglia è sulla bocca di molti loro: cosa ti manca di più? La famiglia.

Un gruppo di volontari cerca di offrire alle persone chiuse lì dentro il calore di un rapporto umano che sa sbrigare piccoli servizi, risolvere qualche problema che visto da dentro sembra quasi insormontabile: li coordina una suora, affettuosamente soprannominata Adrenalina, per la sua vivacità, per l’energia instancabile con cui coinvolge dentro e fuori le persone in piccoli progetti. Ma c’è lì dentro anche una percezione tutta particolare della crisi economica delle cui conseguenze tutti soffriamo sia pure in modo e in misura diversa. Nel carcere di Velletri i pesanti tagli dati dal governo al bilancio dell’amministrazione non consentono di far lavorare le persone, solo un 20% di loro può farlo. C’è l’azienda agricola, si fa l’olio, il vino, il miele, si fanno marmellate squisite, ma tutto questo è in gran parte assai meno sviluppato di quanto si potrebbe perché mancano risorse.

Le attrezzature ci sono, gli investimenti sono stati fatti, è stata creata una modernissima fungaia: ma sono tutte strutture in attesa di qualcosa e di qualcuno che permetta loro di funzionare, coinvolgendo persone che non attendono altro.

E la mancanza di risorse si nota anche nella mancanza di personale; tanto più grave se si tiene conto che spesso quello presente è assorbito in funzioni che potrebbero essere gestite diversamente, come accade per esempio quando un detenuto deve essere spostato e si richiedono dalle 5 alle 7 unità, per rispettare le regole attuali.

Abbiamo visto nel carcere di Velletri luci ed ombre, organizzazione e sprechi di risorse, aspettative e delusione, dedizione del personale che c’è e scarsità di personale, speranza che arrivino i fondi promessi, ma anche critiche concrete per certi investimenti di tipo artistico tutt’altro che condivisi.

Un terzo dei carcerati sono stranieri, un terzo sono tossicodipendenti, un terzo sono lì con una condanna definitiva. Ognuno di loro ha bisogni diversi. Che ci sia una sofferenza reale, nonostante il buon livello complessivo, ce lo conferma il racconto del tentato suicidio per impiccagione che c’è stato solo l’altra sera. Una persona evidentemente giunta al limite della sopportazione e salvata dalla solidarietà di chi lavora con il cuore, oltre che con la testa, con intelligenza e sensibilità per accorgersi del disagio, per prevenire gesti drammatici e senza ritorno.

La vera domanda che la politica può e deve farsi riguarda proprio il carcere in se stesso: che carceri vogliamo? Luoghi in cui raccogliere semplicemente persone che hanno commesso reati di vario tipo, isolandole per un certo tempo dal contesto sociale, ben sapendo che le recidive sono il segno concreto del fallimento dell’intero sistema carcerario italiano, oppure vogliamo luoghi in cui la pena, giustamente espiata, si converta in nuova opportunità di inserimento nella società.

Perché le diverse risposte a questa domanda ci aiuteranno, per esempio, a capire se dobbiamo costruire nuovi carceri o se dobbiamo investire risorse umani e professionali nei carceri che già abbiamo, cercando soluzioni alternative per una miriade di piccoli reati che potrebbero essere espiati anche in molti, molti altri modi! Questa tre giorni nei carceri italiani dovrebbe mobilitare non solo il parlamento, perché a sua volta mobiliti il governo, ma anche la società civile, il mondo generoso del volontariato cattolico e laico, imprenditori decisi a non ricavare solo profitto dalla loro azienda, ma anche una rinnovata e più generosa partecipazione al bene comune.

Giustizia: Radicali; misureremo celle, per verificare se a norma

 

Adnkronos, 15 agosto 2009

 

"Domani l’Associazione Il Detenuto Ignoto accompagnerà in visita, presso le carceri sarde di Alghero e Sassari, i parlamentari Emerenzio Barbieri (Pdl) e Guido Melis (Pd). Nel corso delle visite, così come ha fatto stamane la parlamentare Radicale Rita Bernardini nel carcere romano di Regina Coeli, verranno misurate con un metro le celle per verificare se sono rispettati o no gli standard previsti dalla normativa europea, di almeno sette metri quadri per detenuto". Lo afferma Irene Testa, segretario nazionale dell’associazione Radicale Il Detenuto Ignoto.

"In caso contrario - conclude Testa - inviteremo i detenuti a rivolgersi agli avvocati radicali, perché sia istruita una class action per chiedere che siano riconosciuti i danni derivati dal sovraffollamento, così come recentemente ottenuto da un cittadino bosniaco, Izet Sulejmanovic, detenuto per alcuni mesi in Italia nel carcere di Rebibbia, in appena 2,7 metri quadrati, a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea".

Giustizia: Della Vedova (Pdl); carceri private per l'affollamento

di Benedetto Della Vedova (Pdl)

 

www.libertiamo.it, 15 agosto 2009

 

L’iniziativa organizzata dai Radicali, la visita ferragostana di diversi parlamentari nelle carceri italiane, ha il merito di sollevare (ancora una volta) il dibattito sulle condizioni delle prigioni italiane - sovraffollate, inadeguate e spesso fatiscenti: è di pochi giorni fa la notizia della condanna dello Stato italiano a risarcire un detenuto bosniaco a causa dell’eccessiva "densità abitativa" delle nostre prigioni (per poco più di 43mila posti vi sono 63mila detenuti circa, che sarebbero stati 80mila senza l’indulto).

In più, al sovraffollamento si aggiunge la scarsa qualità delle politiche di assistenza e rieducazione dei detenuti. Il problema del sovraffollamento va affrontato, prima di tutto, sul piano della previsione di pene alternative alla detenzione, quando questo sia ragionevole e di depenalizzazione di alcuni reati. Ma stante la situazione attuale, la questione di nuovi e più adeguati istituti di pena si pone in modo ineludibile.

Appena qualche mese fa, abbiamo letto della proposta del ministro Alfano di dotare il nostro Paese di prigioni galleggianti, piattaforme ormeggiate nei porti italiani il cui scopo sarebbe quello di ampliare in modo relativamente rapido ed economico i posti a disposizione. Carceri di questo tipo esistono in altri paesi, sottolineano i sostenitori della proposta, e funzionano bene. L’idea, a suo modo suggestiva e innovativa, è rimasta per ora lettera morta.

Semplificando (ma neanche tanto, in realtà), le inefficienze del sistema carcerario italiano sono abbastanza "tipiche" del settore pubblico: ad una domanda crescente, si contrappongono vincoli di bilancio sempre più stringenti ed un’assenza di veri stimoli al miglioramento della qualità dei servizi erogati.

Per affrontare con tempi e costi compatibili con le necessità il tema della "offerta" di servizi penitenziari, la nostra proposta è quella di puntare sull’ingresso di operatori privati, per garantire una maggiore efficienza nell’uso delle risorse, senza che questo comporti alcuna "abdicazione" dello Stato dalle sue funzioni fondamentali. Il che consentirebbe di mobilitare da subito investimenti consistenti da parte di finanziatori privati laddove gli stringenti vincoli di bilancio pubblico rendono difficile il reperimento delle risorse per costruire nuovi istituti di detenzione.

In molti stati degli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna, Australia o Sud Africa per restare alle realtà più grandi, prigioni private s’integrano da molti anni a quelle pubbliche, con tempi di realizzazione più bassi, maggiore qualità offerta e costi di gestione più contenuti. Lo Stato, grazie all’esistenza dei penitenziari privati, può ridurre i propri oneri di gestione diretta, per dedicarsi alla funzione di controllo della qualità, alla formazione delle guardie carcerarie e, soprattutto, alla tutela dei diritti e delle condizioni dei detenuti.

Le prigioni private, a loro volta, sono indotte ad una ricerca costante di efficienza economica e di qualità dei servizi erogati: il mantenimento di una elevata reputazione presso l’opinione pubblica, i manager dei penitenziari privati lo sanno bene, è una condizione essenziale per sperare in futuri contratti con il settore pubblico.

Lo scrutinio, anche severo, delle carceri da parte delle organizzazioni di tutela dei diritti umani nel sistema penale è fisiologico e, peraltro, auspicabile: siamo convinti che associazioni come Antigone, per citarne una tra le più note, non mancherebbero di fare della certificazione della qualità delle prigioni private una loro attività istituzionale.

I risultati di questa pressione reputazionale sono evidenti: come ci informa la Reason Foundation, think tank americano molto attivo sul tema, mentre solo il 10 per cento circa delle prigioni pubbliche è stata accreditata dall’American Corrections Association (un’organizzazione indipendente che si occupa di certificare la qualità delle carceri), ben il 44 per cento dei penitenziari privati ha ricevuto tale riconoscimento. Un altro studio, realizzato dal Vanderbilt Institute for Public Policy Studies nel 2008, evidenzia come tutti gli stati americani che - nel periodo tra il 1999 ed il 2004 - abbiano affiancato penitenziari privati a quelli pubblici, siano stati in grado di beneficiare di risparmi nei loro budget. E queste risorse, è bene sottolinearlo, possono essere molto utili nell’aumento quantitativo e qualitativo dell’offerta di posti nelle carceri.

Grazie a contratti precisi tra governi e compagnie private, insieme ad una precisa e severa azione di monitoraggio pubblico ed un elevato livello competitivo tra gli istituti, negli Stati Uniti le prigioni private hanno raggiunto nel 2006 - a poco più di venti anni dai primi casi moderni di penitenziari non pubblici - il 7,2 per cento del totale.

Risultati simili si verificano ormai anche negli altri paesi che hanno aperto le porte dei loro sistemi carcerari al privato: in Gran Bretagna, circa il 10,5 per cento dei detenuti è ormai ospitato in penitenziari privati, cifra che arriva al 17 per cento per l’Australia. Si tratta di un anello sempre più indispensabile nei sistemi penitenziari di questi paesi, grazie al quale si realizza un uso più efficiente delle risorse e si garantisce ai detenuti una maggiore tutela dei loro diritti. E dovunque s’implementano prigioni private, si determina una virtuosa pressione sul sistema pubblico, spinto ad "inseguire" sul fronte della qualità.

Ci auguriamo che le forze politiche sensibili ai guasti e alle tensioni del sistema carcerario italiano considerino questa come un’opzione concreta e pragmatica per contribuire ad affrontare il problema del cronico sovraffollamento delle carceri italiane.

Giustizia: l’Osapp; le aggressioni agli agenti aumentate del 70%

 

Agi, 15 agosto 2009

 

"Uno spray per preservare la pelle del poliziotto penitenziario, a Ferragosto, viste le condizioni igieniche da Terzo Mondo degli istituti penitenziari". Ad annunciarlo - con una nota - è Leo Beneduci, segretario generale e leader del sindacato Osapp, uno dei maggiori sindacati della categoria.

"La sicurezza all’interno delle sezioni non ha prezzo - spiega l’esponente sindacale -. Un prezzo che però questa Amministrazione e questo Ministro della Giustizia stanno facendo pagare a quegli uomini e a quelle donne impiegate nei servizi a contatto con il detenuto". "Da tempo questo sindacato denuncia una certa insensibilità ai problemi veri della realtà penitenziaria, come per esempio il problema delle aggressioni: registriamo in media dai 10 ai 15 assalti ogni giorno - spiega Beneduci - Assalti che vedono immancabilmente vittime i nostri colleghi costretti al ricovero urgente per rotture di arti, lussazioni, escoriazioni e controlli per possibili contagi da virus Hiv.

Un dato preoccupante che segnala come la figura del poliziotto venga lasciata sempre più al suo destino all’interno delle sezioni: rispetto al 2008, infatti, assistiamo ad un aumento del 70% degli episodi a danno di nostri colleghi, e in tutto il territorio italiano. Sempre più spesso, poi, raccogliamo le denunce di chi, nei servizi di traduzione del detenuto, dovrebbe agire ma non lo fa per mancanza di assistenza e di mezzi". Domani l’Osapp visiterà il carcere di Secondigliano: "Distribuiremo uno stock di bombolette spray a tutto il personale della struttura - annuncia Beneduci - perché come per le aggressioni, in Agosto, anche il numero degli insetti diventa davvero una questione di vita o di morte".

Giustizia: Osapp; i lavori di pubblica utilità contro l'affollamento

 

Il Velino, 15 agosto 2009

 

"Il lavoro di pubblica utilità, già adottato con successo nelle esperienze giuridiche straniere, oltre a dare il giusto senso all’enunciato dell’art. 27 della Costituzione in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, può essere una possibile soluzione all’ormai cronica problematica del sovraffollamento degli istituti della nazione".

Lo dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, la seconda maggiore organizzazione sindacale della categoria, che fa riferimento all’iniziativa che prevede, nei prossimi giorni, l’impiego di un centinaio di detenuti nelle città di Milano e Roma per lavori di pubblica utilità. "Con i problemi legati alla sicurezza - spiega l’esponente sindacale - si fanno le più grandi campagne propagandistiche nel corso delle elezioni politiche. Però sarebbe ora, ed è un invito che rivolgiamo a Gianni Letta, sensibile da sempre alle questioni riguardanti le carceri e promotore dell’iniziativa, che qualcuno si accorgesse della polizia penitenziaria che in silenzio lavora e fa vivere tranquilli i nostri cittadini".

"Tali iniziative - prosegue Beneduci - non possono che trovare il nostro plauso, nonché quello della comunità sociale tutta, perché, oltre a rafforzare il senso di sicurezza di cui ogni cittadino necessita, favoriscono una maggiore apertura del carcere verso la società libera". "L’impiego di detenuti in lavori di pubblica utilità - continua -, mi auguro possa diventare in un tempo non troppo lontano, non un episodio sporadico, ma il più valido strumento di gestione dei detenuti definitivi, a testimonianza dell’avvenuta evoluzione della concezione della difesa sociale che da mera emarginazione passa a produttiva reintegrazione del criminale.

Una detenzione, quindi, non più fatta solo di rancore ed emarginazione ma che offre la possibilità di riscatto attraverso un’attività lavorativa utile per la comunità e allo stesso tempo consenta di tornare a vivere nella legalità. Questa concezione ha sempre contraddistinto gli agenti di polizia penitenziaria, che con il nostro sindacato vogliamo rappresentare". "L’attività di polizia Penitenziaria proiettata all’esterno - conclude il segretario dell’Osapp - è la vera svolta per un Corpo di pubblica sicurezza titolare di un’esigenza non poi così nascosta".

Napoli: sovraffollamento drammatico nelle celle di Poggioreale

di Conchita Sannino

 

La Repubblica, 15 agosto 2009

 

Impregnano di acqua il telo meno liso che hanno in cella, poi si arrampicano al muro, lo sistemano tra le sbarre per soffocarne l’alito rovente. E strappano quindici minuti di tregua dall’afa. Lo fanno per sentirsi in piedi. Per non cadere nella spirale delle crisi d’ansia o dei continui ricoveri e ritorni dalle infermerie. Quando va bene.

C’è un nuovo turno nei padiglioni di alcuni penitenziari campani: l’asciugamanista. Si sopravvive anche così nelle carceri del disonore. Padiglioni che esplodono di letti a castello. Stanze per quattro detenuti che ne ospitano fino a undici, come nell’istituto "monstre" di Poggioreale o nella Casa femminile di Pozzuoli. Cameroni con un solo water per otto persone, e neanche una doccia, e i teli continuamente imbevuti d’acqua, come nell’inferno di Fuorni, Salerno. Una prova che per i più fragili o instabili si chiude con la morte, più o meno volontaria.

Sui 35 suicidi di detenuti registrati in Italia nei sei mesi del 2009, 5 sono avvenuti in Campania. "Qui il sovraffollamento tocca punte massime", spiega Dario Dell’Aquila, dell’associazione Antigone. Nei nostri istituti ci sono complessivamente oltre 7.250 persone a dispetto dei 5.300 posti. E per ogni detenuto che muore, ve ne sono almeno sei a settimana che si feriscono per protesta, o denunciano crisi di panico, patologie". È il malessere che la burocrazia archivia come "eventi critici", senza fornirne i dati.

Lo sforamento più clamoroso abita ancora a Poggiorale: oltre 2300 i presenti, ieri, contro i 1.385 della "capienza regolamentare". Ma la nuova impennata tornerà a settembre. Dalle 7 del mattino, code chilometriche di familiari in attesa assediano gli ingressi, per accedere ai colloqui. Don Tullio Mengon, il cappellano, l’ha denunciato spesso: "Sono scene da terzo mondo". Il direttore di Poggioreale, Cosimo Giordano, (responsabile del penitenziario toscano di Porto Azzurro, nei giorni drammatici della rivolta dei detenuti, 25 agosto 1987) non lo nasconde. "Direi anche quarto mondo. Eppure, sono fiducioso.

Al Ministero sono stati approvati progetti importanti di ristrutturazione, e sembra ci siano anche i fondi". Dentro, per ora, restano rabbia, disperazione. "Detenuti di ogni età, anche i più diligenti, sollevano gli occhi e ti chiedono spazio, aria", racconta suor Lidia Schettini, da 32 anni volontaria nel borbonico penitenziario. "Sono molto preoccupata. Con i miei 70 anni, vengo quasi ogni giorno in queste celle, mi illudo che anche una bottiglia d’acqua, o un accappatoio o un paio di scarpe mitighi la sofferenza.

Al padiglione Milano, poco fa, un ragazzo albanese era raggomitolato su se stesso. Il medico lo aveva appena visitato, aveva la pressione massima a 90, "non ho la forza di parlare", mi ha detto". Stamane a Poggioreale entreranno per una visita i radicali Marco Pannella e Rita Bernardini. Ieri è toccato all’assessore regionale Alfonsina De Felice e a Samuele Ciambriello visitare i penitenziari di Fuorni e di Pozzuoli.

A chi varca quei portoni, accompagnato dagli instancabili volontari, i detenuti ripetono la stessa parola: "Spazio". Sette metri quadri, imporrebbe la Corte europea. Riflette l’assessore De Felice: "A Fuorni ho visto situazioni preoccupanti. Celle con undici persone e un water accanto a un tavolo.

Gli asciugamani usati come tapparelle. Neanche una doccia. E dei detenuti colpisce la lucidità. Nessuno di loro parla bene dell’indulto, sanno che è stato inutile. Quello che vogliono è scontare la pena in luoghi che non calpestino la loro dignità. Anche se alcuni denunciano una scarsa applicazione della legge Gozzini. Oggi ho scoperto che una donna anziana è appena rientrata a Pozzuoli per scontare un reato che risale al 1993. Anche questo è uno scandalo". Proprio a Pozzuoli, conferma la direttrice Stella Scialpi, "stiamo lavorando ai livelli minimi di sicurezza.

Abbiamo solo cento agenti, divisi in quattro turni, per 160 detenute. A mio rischio e pericolo, prolungo gli orari e concedo straordinari, che Roma ci impone di tagliare. Eppure lo stesso Ministero suggerisce più elasticità nelle telefonate, nei colloqui, nell’assistenza psicologica, dimenticando che anche gli psicologi li hanno tagliati".

Pur nel dramma di oggi, si continua a coltivare la speranza. A Pozzuoli partirà entro sei mesi, grazie ai 200mila euro della Regione e alla determinazione della sua direttrice, Stella Scialpi, un progetto di micro-azienda interna, "Il chicco", la torrefazione del caffè affidato alle detenute e legato al commercio solidale.

Milano: San Vittore "riserva" 2,7 metri quadri a ogni detenuto

di Davide Carlucci

 

La Repubblica, 15 agosto 2009

 

Un suicidio, duecento casi di autolesionismo il drammatico bilancio di un anno in una struttura che riserva 2,7 metri quadrati a ogni detenuto.

Duecento casi di autolesionismo e un suicidio: a documentare la sofferenza di chi vive a San Vittore potrebbero bastare questi dati, riferiti al 2009. A riferirli è Giorgio Bertazzini, garante per i diritti dei detenuti della provincia di Milano, che ieri ha accompagnato il deputato del Pd Lino Duilio in una visita nell’istituto penitenziario. L’occasione è l’iniziativa "Ferragosto in carcere", promossa dai Radicali per verificare le situazioni le condizioni dei detenuti in Italia. E Milano non ne esce affatto bene.

Quel che sconcerta sono soprattutto l’angustia degli spazi a disposizione dei detenuti. Inferiori, spiega Bertazzini, anche a quelli (2,7 metri a persona) denunciati a Rebibbia da un serbo-bosniaco che è stato risarcito con 1000 euro dalla corte europea dei diritti dell’uomo. "A San Vittore - dice il garante - ci sono celle da cinque metri per due in cui si vive in sei. Significa che ogni detenuto ha a disposizione meno di due metri contro i 7 previsti dalla legge italiana".

Complessivamente il numero dei detenuti è in calo rispetto all’anno scorso: le presenze sono passate da 1.512 a 1.372. Ma preoccupano gli arrivi di nuovi detenuti dal Corelli e l’introduzione del reato di clandestinità. "E comunque siamo sempre ben al di sopra la soglia che per legge è definita tollerabile, 1.127 persone, mentre il numero regolamentare non dovrebbe superare le 712 unità". A questo si contrappone la carenza degli agenti penitenziari: la pianta organica ne prevede 990, in servizio effettivo ce ne sono appena 692.

Drammatiche le condizioni igieniche: al sesto raggio, dicono i rappresentanti del garante, l’acqua arriva solo alle 23. Quattro docce (al sesto raggio) sono a disposizione di 142 persone. E poi lavandini rotti, poca carta igienica, scarsi anche gli shampoo e i detersivi. "I bagni - aggiunge Barbara Cuniberti, del partito radicale - non sono separati, se non con un tramezzo, dagli spazi nei quali i detenuti dormono o cucinano. E mancano le aree di ventilazione".

Poi c’è il paradosso: molti, soprattutto le donne, chiedono il trasferimento a Bollate, dove le detenute sono 40 contro le 114 previste. "Ma lo spazio non può essere aperto - dice Bertazzini - per mancanza di agenti".

Se Bollate è un modello, a San Vittore, commenta Duilio, "va dato onore al merito del personale che riesce a far quel che può in una situazione del genere". Il deputato è stato ieri mattina al Beccaria. Nel carcere minorile, e in questo caso le valutazioni del deputato sono positive. "Ci sono ragazzi che dicono addirittura di sentirsi coccolati". Quel che lascia allibito Duilio, però, è la presenza di "due bambine, una di un mese e l’altra di tre anni, presenti lì perché le madri sono state arrestate. Un problema che richiederà una particolare attenzione".

Venezia: Ass. "Articolo 21", nel carcere femminile di Giudecca

 

www.articolo21.info, 15 agosto 2009

 

Se in Italia esistesse un premio per chi si batte per i diritti di tutti e per la sicurezza individuale e collettiva, bisognerebbe assegnarlo, in questi giorni ai radicali, e a tutte le associazioni che si battono per le pene alternative al carcere e per il pieno reinserimento di chi è già stato condannato. L’associazione Articolo21, che con l’attrice Ottavia Piccolo e il portavoce Giuseppe Giulietti ha partecipato alla visita che il senatore Marco Perduca, radicale, ha svolto nel carcere femminile della Giudecca a Venezia, ha rivolto un appello affinché alla iniziativa dei radicali, condivisa da decine e decine di parlamentari di ogni schieramento , sia concesso almeno lo stesso tempo dedicato, in questi giorni alle finte polemiche sulle gabbie dialettali e sulle bandiere regionali.

Udine: visita dei Radicali; le carceri di Via Spalato esplodono

di Cristian Rigo

 

Messaggero Veneto, 15 agosto 2009

 

Anche a Udine, ieri mattina, visita dei Radicali nella Casa Circondariale. Vogliono promuovere un’azione collettiva per chiedere i danni allo Stato.

In dieci in una cella che potrebbe contenere al massimo sei persone. Dieci detenuti chiusi in uno spazio di 30 metri quadrati quando lo spazio vitale minimo, in base alle norme europee dovrebbe essere di 7 metri a persona. Ma di detenuti, nella casa circondariale di via Spalato ce ne sono più del doppio rispetto alla capienza consentita: 216 contro 105. Ben 133 sono stranieri.

Ecco perché i Radicali, che ieri hanno visitato il carcere con una delegazione, vogliono promuovere un’azione legale collettiva per chiedere i danni allo Stato. E da ieri, per tre giorni, i detenuti di via Spalato rifiuteranno il cibo per protestare contro il sovraffollamento.

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha già condannato l’Italia a risarcire con mille euro un bosniaco che è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia "e anche per i detenuti della casa circondariale di Udine - sostengono i Radicali - potrebbe accadere la stessa cosa". Nei prossimi giorni quindi i Radicali potrebbero distribuire a tutta la popolazione carceraria del Fvg, i moduli per richiedere il risarcimento. Dopo la visita di ieri mattina in via Spalato la deputata Elisabetta Zamparutti (Radicale eletta nella fila del Pd) e Sergio D’Elia - segretario dell’associazione "Nessuno tocchi Caino" che combatte contro la pena di morte - hanno visitato anche le carceri di Tolmezzo e Pordenone.

"La situazione che abbiamo trovato è drammatica - ha spiegato la Zamparutti -. D’altronde i numeri parlano chiaro: ci sono 216 detenuti mentre la capienza regolamentare dovrebbe essere di 105 e quella massima tollerata di 168. Il problema principale quindi è quello degli spazi, ma in molti si sono lamentati anche per il cibo scadente, il trattamento sanitario aleatorio e per la difficoltà a telefonare. La richiesta più diffusa però è quella del lavoro: attualmente solo 13 detenuti sono stati assunti dall’amministrazione penitenziaria". A breve - ha ricordato D’Elia - "dovrebbe partire un progetto finanziato dalla Regione e gestito dal Comune per garantire 56 mesi di borse lavoro, ma comunque non sarà sufficiente a garantire la rieducazione del condannato prevista dalla Costituzione".

L’unica soluzione, secondo i Radicali, sarebbe quella di favorire le misura alternative al carcere ("costruirne di nuovi - ha detto D’Elia - è una proposta demagogica vista la mancanza di fondi e i tempi necessari a costruirli") soprattutto per chi ha già scontato buona parte della pena e di legalizzare le droghe considerando che quasi metà dei detenuti, ben 101, sono in carcere proprio per reati connessi agli stupefacenti.

Volterra (Pi): i Radicali visitano carcere "migliore" della regione

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

In occasione dell’iniziativa "Ferragosto in carcere" promossa da Radicali Italiani, oggi la senatrice Donatella Poretti (Radicali - Pd), insieme ad Edoardo Quaquini (Comitato nazionale Radicali) visiterà il carcere di Volterra (Pisa). Uno dei pochi istituti in Toscana dove, secondo i dati del Dap (Dipartimento Amministrazione penitenziaria) la presenza dei detenuti (144) non è oltre la capienza regolamentare (180).

Se si considera che i detenuti in Toscana all’11 agosto sono 4.277 su una capienza regolamentare complessiva di 3.032, il carcere di Volterra contribuisce a mantenere "basso" quello strabordamento di presenze che è sempre causa di disaggio, violenza e disordini. Strabordamento che in Toscana si manifesta in 8 carceri su 17.

La visita di Volterra servirà per conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti, e farne tesoro per interpretarne i bisogni e proporre soluzioni legislative e organizzative adeguate, a medio e lungo termine. È il carcere di Volterra un istituto che sia non solo luogo di espiazione della pena ma dove si realizzano i principi dell’art. 27 della Costituzione secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato? Lo vedremo.

Cuneo: per il Ferragosto, visite di Delfino e Mellano nel carcere

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Il parlamentare Teresio Delfino ed il radicale Bruno Mellano sono impegnati da ieri sino a domenica in visite nei carceri cuneesi, abitudine consolidata per i radicali italiani e per il cuneese Mellano che da anni incontriamo proprio il giorno di Ferragosto davanti al Cerialdo, visite a cui parteciperanno anche i Consiglieri Regionali Giorgio Ferraris e Mariano Rabino.

L’On. Teresio Delfino ci ha i motivi alla base della decisione di aderire a Ferragosto in Carcere. "Permetterà ad esponenti politici, ma pure a rappresentanti della società civile - spiega - di fare la constatazione diretta di una situazione ormai difficile da sostenere.

È una questione che bisogna vedere ed affrontare al di là di qualunque intento demagogico e strumentale. Il carcere deve sempre contenere una possibilità di redenzione per le persone che vi trascorrono una parte della vita. Le iniziative dei prossimi giorni dovranno portare ad assumere provvedimenti concreti. L’indulto ha creato molti problemi e, dall’altra parte, il piano di potenziamento delle strutture carcerarie sostenuto dal governo di centrodestra per ora si è limitato soltanto agli annunci.

Gli annunci però non risolvono i problemi e nuove leggi, come quelle sull’immigrazione, aggravano lo stato di sovrappopolazione delle carceri dove è evidente che stanze da 4 persone non possano essere occupate da 10 detenuti. Non vedrei male - conclude il parlamentare di Busca -, in alcuni casi, il tramutare condanne in carcere in sanzioni amministrative e multe. Forse si rivelerebbero più educative di un periodo permanenza in una casa circondariale. Mi rendo conto che si tratterebbe di una soluzione parziale di un problema che però non può più essere trascurato".

Lecco: carcere Pescarenico sovraffollato e il personale è scarso

 

Il Giorno, 15 agosto 2009

 

Sovraffollato e con scarso personale. Il carcere di Lecco, che si trova nel quartiere di Pescarenico, ha molti dei problemi che tutte le prigioni italiane denunciano negli ultimi anni "anche se la situazione non è così drammatica come da altre parti. Il carcere di Pescarenico è stato ristrutturato di recente e sia gli ambienti che le condizioni di vivibilità sono superiori rispetto ad altri luoghi. Nell’insieme c’è anche una buona gestione".

Riassume così la sua visita di ieri pomeriggio l’onorevole Lucia Codurelli, lecchese, deputato del Pd. "Ma non per questo la situazione è rosea - continua -. Ci sono dati che devono fare riflettere come quello che quasi la metà dei detenuti è in ancora attesa di giudizio, che la maggior parte sono giovanissimi e quasi tutti arrestati per problemi di droga, anche se certo non si tratta di grandi spacciatori. Qui sorge quindi il problema che magari non si faccia abbastanza prevenzione. Altro dato, al di sopra rispetto la media in Lombardia, è che il 40% dei detenuti è rappresentato da stranieri, di condizioni umilissime che magari non possono permettersi neppure un avvocato".

Per quanto riguarda il sovraffollamento "a Lecco ci sono 57 detenuti anche se la capienza è di 50. Anche il personale e gli agenti sono un po’ sotto i numeri previsti con 44 addetti invece di 50 e 2 educatori contro i 3 necessari. C’è invece un livello molto basso per quanto riguarda il sostegno psicologico per cui sono previste 10 ore al mese per tutti i detenuti.

Questo è un grosso problema in vista del recupero e del reinserimento dei detenuti. Negli ultimi due anni comunque non sono stati registrati casi di suicidio o autolesionismo. La sicurezza è certo un dovere dello Stato nei confronti dei cittadini - conclude Codurelli - ma questi devono essere anche informati su cosa significa essere arrestati e che il sovraffollamento, dovuto anche ai processi troppo lunghi, e la mancanza di mezzi e di un adeguato recupero di chi finisce in cella, crea solo più delinquenza".

Trapani: i detenuti sono più del doppio e c'è carenza personale

 

Il Velino, 15 agosto 2009

 

"Il carcere di San Giuliano a Trapani soffre il dramma comune alla gran parte delle strutture carcerarie italiane: sovraffollamento e carenza di personale. La popolazione carceraria di oltre 500 detenuti è quasi il doppio rispetto alla capienza reale della struttura che è di 280 persone. Questo non consente al personale della polizia penitenziaria, già fortemente ridotto perché impegnato anche nei servizi di scorta, di svolgere il proprio lavoro in maniera adeguata e con garanzie di sicurezza".

Questo il commento del parlamentare europeo Rita Borsellino, oggi dopo la visita al carcere di San Giuliano a Trapani nell’ambito dell’iniziativa di Ferragosto promossa dai Radicali. "Nonostante la struttura disponga di locali in grado di ospitare attività alternative per i detenuti ai fini della rieducazione nel corso della detenzione, come prevede la Costituzione - prosegue l’europarlamentare -, la carenza di personale, necessariamente destinato ai servizi classici di sorveglianza, non lo consente. La strada dell’adozione di pene alternative per i detenuti che hanno compiuto reati minori permetterebbe di risolvere in parte il problema del sovraffollamento e contribuirebbe a ridurre il disagio psicologico. È in questa direzione che dovrebbe muoversi la politica".

"Fondamentale - ha aggiunto Borsellino - è anche e soprattutto la collaborazione con le amministrazioni comunali, come quella di Erice, che con il sindaco Giacomo Tranchida ha finanziato con 25mila euro l’installazione di un impianto di videosorveglianza esterno al carcere permettendo da utilizzare gli operatori penitenziari per attività all’interno delle mura. Iniziative come questa, a cui ho aderito volentieri, meritano di essere ripetute con maggiore frequenza e soprattutto in giornate particolari quando la condizione di privazione di libertà per i detenuti è ancora più pesante da sostenere. È importante - conclude - che il territorio guardi con attenzione alle realtà carcerarie locali che non vanno considerate mondi a sé stanti e isolati dal contesto sociale".

Santa M. Capua Vetere: gravi disagi, per detenuti e personale

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

È durata tutta la mattinata del 14 agosto la visita del consigliere regionale, Nicola Caputo agli istituti di pena della provincia di Caserta.

Caputo, accompagnato dal segretario dei Radicali Napoli "E. Rossi", Andrea Furgiuele, si è recato, in visita all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa e alla Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, nell’ambito dell’iniziativa nazionale, "Ferragosto 2009 in carcere". "Ho trovato una situazione di grave disagio in cui vive l’intera comunità penitenziaria. - dichiara Caputo dopo la visita ai due penitenziari casertani - I detenuti, ma anche chi in queste strutture carcerarie lavora, hanno raggiunto il limite della sopportabilità". "All’Opg di Aversa, - spiega Caputo - ci troviamo di fronte ad una situazione molto complessa dove spesso malattia mentale ed esclusione sociale si sommano. In questo caso su 280 internati circa il 25% risultano dimissibili cioè possono essere affidati a strutture territoriali. Purtroppo ciò non avviene e dunque rimangono in carcere per mancanza di forme adeguate per l’affidamento".

"Ma accanto alla evidente fatiscenza della struttura ospedaliera e alla carenza di attrezzature mediche, - aggiunge Caputo - devo notare con soddisfazione che in questo Ospedale Psichiatrico Giudiziario sono stati aboliti i letti di contenzione per gli ammalati e si permettono colloqui con i familiari all’aperto, nei giardini che circondano la struttura".

Il Consigliere Caputo nella sua visita all’Opg di Aversa è stato accompagnato dal Comandante, dottor Gaetano Manganelli, dal vice Direttore, dottoressa Elisabetta Palmieri e da Antonio Storopoli, responsabile area pedagogica.

"La visita alla Casa Circondariale di Santa Maria - spiega Caputo - fornisce altri dati per disegnare la drammatica situazione carceraria. La struttura è in evidente stato di sovraffollamento, 940 detenuti rispetto ad una capacità di circa 540. Abbiamo visitato reparti con otto/dieci detenuti in celle che ne potevano contenere quattro". "Il dato allarmante - continua - è che per diverse ore al giorno manca l’acqua e con il caldo, i disagi per i detenuti aumentano. La struttura sorge su terreno paludoso a pochi metri dal Cdr e questo complica la situazione. Il reparto femminile è più vivibile, le celle sono dotate di docce interne, è presente una piccola chiesa ma comunque, le detenute sono in un numero superiore a quello della capacità ricettiva".

Caputo è stato accompagnato nella visita al Carcere di Santa Maria dal Direttore, Salvatore Iuliani, dal Comandante della Polizia Penitenziaria, Luigi Mosca, e dal segretario Provinciale della Uil, Francesco Giaquinto. "Il rispetto della dignità umana all’interno delle mura penitenziarie - conclude il Consigliere Caputo - è un elemento fondamentale per definire un Paese democratico e civile. In questo senso l’iniziativa dei Radicali, Ferragosto 2009 in Carcere è stata utile per denunciare il problema e cominciare a muovere qualcosa. Lo stesso Assessorato alla Sanità della Regione Campania ha disposto ispezioni per verificare le condizioni dei detenuti". "Dobbiamo attivarci tutti per trovare soluzioni ad una situazione che sembra aggravarsi sempre di più. Le carceri siano anche e soprattutto un luogo di rieducazione e non solo di espiazione della pena".

Roma: Radicali; Regina Coeli è lontana dagli standard europei

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Ottocento ottanta detenuti, più della metà in attesa di giudizio, per una capienza di 760 (un dato in aumento visto la sperequazione tra entrate e uscite), 603 addetti per una forza lavoro di 509 quando occorrerebbero 623.

unità. Sono i numeri del carcere romano di Regina Coeli che questa mattina è stato visitato dal segretario nazionale dei Radicali Rita Bernardini e dal deputato Pd, Marianna Madia. "Rispetto allo scorso anno la situazione è migliorata" ha detto Bernardini "questo è un carcere fra i migliori d’Italia ma ancora lontano dai parametri europei".

La visita di questa mattina si inquadra nell’iniziativa "Ferragosto in carcere" promossa dai Radicali con lo scopo di denunciare il sovraffollamento e le pessime condizioni di vita nei penitenziari, anche quelli destinati ai minori e a cui hanno aderito numerosi fra parlamentari e senatori.

"Un sistema penitenziario, quello italiano, ai limiti dell’umanità anche se qui a Regina Coeli la situazione non è peggiore di molte altre rispetto a molte altre" ha sottolineato il segretario generale Uil penitenziaria, Eugenio Sarno anche lui presente al giro nel carcere di Lungotevere. Condizioni di vita e di lavoro, socialità e anche misure abitative guardando alla norma stabilita dalla corte europea per i diritti umani che assegna nelle celle per ogni detenuto 7 metri quadrati. A Regina Coeli le celle sono di 2-3 persone o di 4-5 detenuti e come spiega Bernardini "rispetto alla norma manca almeno 1 metro quadrato a

testa". "Mi hanno colpito due cose - afferma Madia - l’aspetto umano dei vicedirettori e quello della carenza dell’organico".

Aosta: il Sinappe; a Brissogne c’è il rischio di una "implosione"

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

A causa del sovraffollamento con più del doppio dei detenuti rispetto alla sua capienza, il carcere di Brissogne è "a rischio di implosione". È quanto ha evidenziato oggi Mauro Mondolivo Di Trani, segretario regionale del Sindacato nazionale autonomo polizia penitenziaria (Sinappe), alla delegazione di consiglieri regionali che ha fatto visita alla casa circondariale valdostana.

Presenti il presidente del Consiglio Valle Alberto Cerise e i consiglieri Roberto Louvin, Raimondo Donzel, Francesco Salzone e Diego Empereur, oltre che il Direttore dell’istituto Giorgio Leggieri e il Comandante Vice Commissario Maria Grazie Bonifacio, il sindacalista ha inoltre rilevato che la casa circondariale di Brissogne "entra nel triste primato delle 11 regioni d’Italia a maggior sovraffollamento" e di questo risente tra l’altro il personale di Polizia penitenziaria costretto "a turni di 8 e più ore giornaliere sacrificando persino la giornata di riposo spettante per Legge".

Il Sinappe ha chiesto che ci sia tra Regione e Carcere "sinergia di forze per garantire al meglio una buona vivibilità all’interno dell’unica struttura carceraria presente sul territorio". "Sostanzialmente - ha aggiunto Mondolivo Di Trani - ci vuole più coinvolgimento da parte del Governo regionale per far fronte ad esempio al sovraffollamento".

Forlì: sovraffollato oltre ogni limite, 2 detenuti in celle di 4 mq

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Un carcere sovraffollato oltre ogni limite, detenuti stipati in celle strettissime: è quanto ha appurato Giuliano Pedulli, ex deputato del Pd, in visita venerdì mattina alla casa circondariale della Rocca. I carcerati sono ben 242, a fronte di 183 posti disponibili. Le donne della sezione femminile sono 30. "Abbiamo visto celle di quattro metri quadrati in cui dormono due detenuti, celle strettissime con letti a castello", dice Pedulli.

Tutto l’ambiente del carcere, però, è risultato degradato, per via della struttura troppo vetusta. Problemi anche per le guardie penitenziarie, fortemente sotto organico: "Circa 90 persone delle 125 che ci dovrebbero essere", rileva Pedulli. Che aggiunge: "Gli agenti non ci hanno segnalato situazioni di particolare aggressività dei detenuti, esclusi sporadici episodi". Alla domanda specifica sui suicidi, emerge che negli ultimi due anni questo fenomeno non ha attaccato il carcere di Forlì, né per quanto riguarda i detenuti, né tra gli agenti penitenziari.

Tuttavia, se si va ancora più indietro nel tempo il carcere di Forlì, come molti altri, è stato scosso da una lunga serie di suicidi in cella, almeno 3 o 4 negli ultimi anni. Nel carcere, inoltre, colmo fino al massimo, non è ancora entrato nessun clandestino accusato del nuovo reato di clandestinità.

Sempre per stare ai dati, la delegazione (presente anche l’ex assessore provinciale Viviana Neri e due esponenti dei Radicali) ha ottenuto il significativo conteggio degli stranieri: 102 gli uomini e 18 le donne, per un totale di 120 soggetti, la metà dei carcerati di Forlì. Dei 242 carcerati della Rocca solo 89 sono i condannati per via definitiva, gli altri sono in custodia cautelare o in attesa dei gradi di giudizio di appello, spia del noto problema dei tempi lunghi della giustizia.

Bologna: alla Dozza, "alloggiati" il triplo dei detenuti consentiti

 

La Repubblica, 15 agosto 2009

 

Dietro le sbarre, al carcere bolognese della Dozza, ci sono 1.150 persone al posto delle 437 al massimo che dovrebbero esserci. Condizioni di sovraffollamento tali per cui lo psichiatra Vito Totire, portavoce del circolo Chico Mendes e professore di psicologia sociale e del lavoro all’Università di Venezia, chiede di "demolire, non solo metaforicamente, la Dozza", magari abbattendo muri per ampliare i locali.

Questo il titolo dell’esposto diffuso oggi ed inviato anche al Quirinale e alle Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ma, soprattutto, alla Procura di Bologna, "perché valuti, se lo ritiene opportuno, la violazione degli articoli 571 e 572 del codice penale (abuso di mezzi di correzione)". In ogni caso, assicura Totire, "siamo disponibili a patrocinare persone detenute che abbiano accusato danni alla salute psicofisica correlati alle condizioni di costrittività imposte e vissute". Nel Ferragosto in cui parlamentari di diverse formazioni politiche visitano le carceri italiane ("pressoché inutile il pellegrinaggio di osservatori esterni se questo non va ad incidere su alcuni elementi strategici di fondo che sottolineeremo in questo documento", si legge nella denuncia), il circolo Mendes sintetizza in alcuni punti i guai del carcere felsineo.

Al primo posto c’è proprio l’annoso sovraffollamento della struttura, che sembra avviato a triplicare la capienza massima pensata in origine. In queste condizioni, assicura Totire, "un programma di riabilitazione e di risocializzazione è influenzato negativamente da condizioni di costrittività fisica e psicologica".

Arezzo: sovraffollamento, carenza organico e struttura antica

di Donatella Poretti

 

www.arezzonotizie.it, 15 agosto 2009

 

Nell’ambito dell’iniziativa "Ferragosto in carcere" organizzata da Radicali Italiani, questo quanto ho rilevato stamane nella mia visita ispettiva. La Casa Circondariale di Arezzo, una struttura risalente al 1920, presenta le caratteristiche classiche dell’attuale sistema penitenziario: sovraffollamento e carenza di organico, uniti ad un edifico antico che abbisogna di interventi. Tutto affidato alla buona volontà della direzione e del personale penitenziario e all’autodisciplina dei detenuti. Dovevano partire a giugno e ora sono previsti interventi e lavori di ristrutturazione per 2 milioni e mezzo di euro e una durata di 18 mesi. Vedremo, ma alcune carenze, come la mancanza di uno spazio verde resteranno!

Stamani i detenuti erano 114, di cui 74 stranieri, a marzo avevano toccato picchi di 140, la capienza regolamentare è di 65 e quella tollerata di 91. Al 10 agosto gli agenti penitenziari erano 82 in pianta organica, in servizio 62 da cui detrarne 7 per distacchi vari e una decina in ferie. 1 educatore e 1 psicologo. 30 i detenuti con sentenza definitiva, 44 alcol o tossicodipendenti di cui 9 in trattamento metadonico, 1 sieropositivo, 16 posti per lavori all’interno, 1 detenuto in semilibertà. I reati sono così suddivisi: 59 violazione leggi sulla droga, 39 reati contro la persona, 9 violazione leggi sulle armi, 1 associazione stampo mafioso, 10 violazione leggi sugli stranieri.

A fronte di un unico reparto, il seminterrato con celle singole e aperte, gli altri due, piano terra e primo presentavano celle da 4 e 8 persone con un bagno (la doccia è esterna e può essere fatta ogni due giorni) e sempre chiuse. Unico momento di socialità le 4 ore d’aria (dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15) nel cortile in cemento a tutto sole. La palestra, accessibile una volta alla settimana, non è più in funzione da un anno e mezzo per carenza di organico. Vengono organizzati corsi di formazione, ma non nei mesi estivi sempre per la mancanza del personale e per le ferie.

La visita l’ho effettuata in compagnia della consigliera regionale di Sinistra e Libertà, Bruna Giovannini, del responsabile Uil Penitenziari, Mauro D’Asti e da Giuseppina Nibbi e Lorenzo Bianchi dell’associazione aretina Liberaperta, accompagnati sia dal direttore Paolo Basco, che dal comandante degli agenti.

Il cortile di cemento è pericoloso per giocare a pallone, chi cade può farsi male e la responsabilità sarebbe dell’amministrazione penitenziaria. Dopo una lunga trattativa con il direttore e il comandante, i detenuti domattina dovrebbero sottoscrivere una autodichiarazione per esentare il carcere da eventuali responsabilità e forse domani si terrà la tanto agognata partitella di pallone in occasione del ferragosto!

Pordenone: carcere inadeguato; Regione chiede nuovo Istituto

 

Asca, 15 agosto 2009

 

"Il carcere di Pordenone è inadeguato a soddisfare la rieducazione dei detenuti, ma la Regione sta operando affinché ci sia una nuova Casa Circondariale". Lo rende noto il consigliere del Pdl alla Regione Friuli Venezia Giulia Franco Dal Mas dopo una visita alla struttura.

"Il problema del nuovo carcere - scrive Dal Mas - risale agli anni ‘70. Nel 2006, quando si era deciso il finanziamento per realizzarlo, l’allora ministro alla Giustizia Mastella decise di utilizzare quelle risorse per una struttura di sicurezza a Benevento".

"La Regione sta facendo la sua parte - precisa l’esponente di maggioranza - e lo scorso giungo il presidente della Regione Tondo ed il ministro della Giustizia Alfano hanno siglato un protocollo d’intesa per l’edilizia penitenziaria e per la costruzione di un nuovo penitenziario a Pordenone".

"Siamo i primi in Italia ad applicare concretamente il federalismo fiscale e la Regione si è detta disposta a cofinanziare una nuova struttura - conclude Dal Mas - Terrò personalmente aperta la questione con il presidente Tondo". Quanto ai dati, il consigliere ha comunicato che la struttura di Pordenone può ospitare 53 detenuti fino ad una tollerabilità di 68 mentre attualmente sono 79, con picchi anche di 90. Anche l’organico del carcere è in sofferenza, perché dispone di 49 unità di polizia penitenziaria su 59 previste.

Genova: 274 i detenuti in esubero e con 163 poliziotti in meno

 

Asca, 15 agosto 2009

 

Il Sen. Giorgio Bornacin e il Consigliere Regionale Pdl Gianni Plinio hanno visitato stamane il carcere di Marassi incontrando la Vice Direttrice Paola Penco ed una folta delegazione di agenti della Polizia Penitenziaria guidata dal Comandante Luca Morali.

"Abbiamo trovato un carcere in efficienza anche a Ferragosto soprattutto grazie al senso del dovere ed all’impegno sacrificale del personale e degli agenti della Polizia Penitenziaria che abbiamo voluto incontrare ed a cui abbiamo manifestato la solidarietà e la gratitudine dei cittadini genovesi - hanno detto Bornacin e Plinio.

A differenza di altri politici che scoprono il carcere per far un po’ di passerella tra i detenuti a Ferragosto, costante è il nostro impegno per migliorare la situazione carceraria ligure a fianco degli agenti di custodia e del personale ivi impiegato. Allarmanti sono i dati che abbiamo oggi registrato a Marassi con 274 detenuti in esubero rispetto alla capienza regolamentare e con 163 poliziotti in meno e con oltre il 60% dei detenuti costituito da immigrati extracomunitari e con il 20% dei reclusi che sono tossicodipendenti di cui numerosi sieropositivi. Presenteremo sia a livello ministeriale che regionale le risultanze del sopralluogo odierno per i provvedimenti urgenti del caso ed alla Giunta Comunale -che sembrerebbe voler istituire un’area blu davanti al carcere- chiederemo di esentare dal pagamento del posteggio almeno il personale e gli agenti della penitenziaria che lo utilizzano per cause di servizio".

Cagliari: la Regione interviene su sanità, ma l’emergenza resta

 

Agi, 15 agosto 2009

 

"Sono qui per conoscere i vostri problemi a nome del governatore Cappellacci. Negli istituti di pena non si trovano male solo i detenuti, molte volte ci si dimentica di chi svolge il proprio lavoro nelle carceri.

Mi riferisco all’impegno quotidiano degli agenti di polizia penitenziaria". Con questa affermazione è iniziata la visita di cortesia del capo di Gabinetto della Presidenza della Regione Sardegna Giandomenico Sabiu all’istituto di pena cagliaritano di Buoncammino. L’incontro con il direttore Gianfranco Pala è servito per raccogliere le istanze di chi da dieci anni consecutivi guida una struttura dove, per una ricettività programmata di 380 detenuti ed una massima tollerabilità prevista a 456 unità, oggi sono presenti 506 carcerati di cui 29 donne.

"Il nostro grande problema, ha dichiarato il direttore Pala, è quello della carenza di fondi per la sanità penitenziaria. Una grana, che io definirei un bubbone, che è addirittura superiore alle problematiche della sicurezza. Basti pensare, ha puntualizzato il direttore, che un terzo degli oltre 500 detenuti di Buoncammino è rappresentato da tossicodipendenti con tutte le problematiche del caso".

Sabiu ha promesso il massimo impegno della Regione ma ha anche ricordato il milione di euro stanziato nella Finanziaria 2009 per la sanità penitenziaria regionale.

In Sardegna, i reclusi sono oltre 2mila, gli istituti di pena sono 12, e di questi 9 sono case circondariali e 3 di reclusione. In ordine di grandezza, e di importanza, Buoncammino precede Maimone e Bade Carros.

Il direttore Pala ha anche sottolineato che dal 2000 in poi è iniziato il preoccupante fenomeno della corsa al pensionamento nell’ambito dei ranghi della polizia carceraria e che l’età media di chi lavora a Buoncammino è molto alta (oggi si attesta sui 47/48 anni). A fronte di un numero di agenti programmato a quota 267 oggi sono in attività nel carcere cagliaritano 204 unità compresi i 32 agenti incaricati delle traduzioni. Da qui l’appello per un pronto intervento della Regione che è stato formalizzato al capo di Gabinetto Sabiu. Concluso il colloquio con il direttore ed il rappresentante della polizia penitenziaria il rappresentante della Presidenza della Regione ha fatto visita ai vari reparti dell’istituto di pena del capoluogo, uno dei due carceri di massima sicurezza dell’isola.

Cagliari: Schirru (Pd) visita penitenziario minorile di Quartucciu

 

Adnkronos, 15 agosto 2009

 

"Sono 14, tra cui 2 sardi, i ragazzi ospiti del carcere minorile di Quartucciu che ho incontrato stamane in occasione del Ferragosto in carcere. Con una capienza di 25 posti l’istituto di pena fortunatamente non soffre, come la maggior parte degli istituiti italiani, della piaga del sovraffollamento. La struttura ha bisogno di una manutenzione più approfondita ma resta nel suo insieme decorosa anche per l’impegno dei giovani ospiti che mantengono le celle ordinate e pulite e per il costante lavoro degli operatori e delle guardie". Lo afferma il deputato del Pd Amalia Schirru, che oggi ha visitato il carcere minorile di Quartucciu, nell’hinterland di Cagliari nell’ambito dell’iniziativa Ferragosto in carcere.

"Se da un lato non ho raccolto lamentele da parte dei ragazzi sulle condizioni di vita in istituto, il problema maggiore è rappresentato invece dalla forte carenza dell’organico. Tra personale penitenziario e operatori - afferma la Schirru - siamo infatti sotto del 40% rispetto ai numeri necessari, il che costringe a turni massacranti di 12 ore o addirittura di 24 ore nei casi di emergenza".

"La fatica e lo stress cui il personale è sottoposto, mette a rischio la stessa sicurezza e mina la qualità del lavoro e il rapporto di relazione che si deve necessariamente instaurare tra gli educatori, le guardie e i giovani reclusi. Altra problematica - afferma la Schirru - riscontrata è quella di garantire continuità ai servizi di rieducazione e formazione: i laboratori, la biblioteca, sono ad oggi in stand-by per i ritardi nell’organizzazione delle attività integrative. Attività affidate all’esterno ma per le quali i finanziamenti regionali, deliberati e inseriti in bilancio, saranno disponibili solo nel prossimo autunno".

Agrigento: appello di De Rubeis; aiutateci, è terribile vivere qui

 

La Sicilia, 15 agosto 2009

 

Dino De Rubeis durante l’arresto "Aiutateci! Vivere qui dentro è contro la Costituzione". È il drammatico appello dell’ex sindaco di Lampedusa e Linosa, Bernardino De Rubeis, rinchiuso al carcere di contrada Petrusa, ad Agrigento, dallo scorso 21 luglio, quando la guardia di finanza di Agrigento lo arrestò con l’accusa di concussione.

"Viviamo in una situazione disumana. Tre persone all’interno di una cella di 14 metri quadrati. È assurdo. È contro la Costituzione! È terrificante stare dentro questa piccolissima cella, con l’aria asfissiante, un caldo terribile. Abbiamo una sola doccia che utilizziamo in tantissimi".

Bernardino De Rubeis avrebbe incontrato stamani i rappresentanti del Partito democratico che hanno aderito all’iniziativa "Ferragosto in carcere 2009", tesa a conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti. Ad incontrare l’ex sindaco di Lampedusa sarebbero stati Benedetto Adragna, Maurizio Bonomo, Angelo Capodicasa, Giandomenico Vivacqua e Emilio Messana.

I cinque esponenti del Pd, durante la visita al carcere Petrusa, hanno preso atto della drammatica situazione in cui vivono i carcerati. Sarebbero infatti 444, in totale, i detenuti nella casa circondariale di contrada Petrusa, tra cui 421 uomini e 23 donne. Ma la capienza dell’istituto penitenziario si aggirerebbe a circa 190 posti in casi normali, e, al massimo, circa 350 in caso di "emergenza sovraffollamento". Tra i 444 carcerati, inoltre, ci sarebbero circa 120 stranieri, 108 tossicodipendenti e 3 sieropositivi.

La situazione che si è presentata ha toccato gli esponenti del Partito democratico. Visibilmente provati, Adragna, Bonomo, Vivacqua, Capodicasa e Messana hanno lasciato il carcere Petrusa ripromettendosi di non dimenticare questo grave problema e, quindi, di prendere provvedimenti.

Savona: tempi lunghi per il nuovo carcere, ma problemi attuali

 

Il Secolo XIX, 15 agosto 2009

 

Tempi ancora lunghi per il nuovo carcere di Savona, almeno stando a quanto è emerso dal sopralluogo del Sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliente che ha visitato la struttura penitenziaria del Sant’Agostino di Savona. Accompagnato dal direttore Nicolò Mangraviti e dal Provveditore regionale Giovanni Salomone, il Sottosegretario ha voluto constatare la situazione del carcere savonese, alle prese con il problema del sovraffollamento, carenze per i detenuti e l’esiguo organico della polizia penitenziaria.

Solo di striscio è stato affrontato il problema della seconda tranche di finanziamenti per realizzare il nuovo carcere in località Passeggi (al confine tra Savona e Quiliano). Al momento il Ministero ha messo a disposizione risorse per un restyling dell’attuale struttura, a cominciare dalle celle dei reclusi, dall’ammodernamento di alcuni spazi ed il riutilizzo di aree dismesse.

Il Sant’Agostino ospita attualmente 79 detenuti sui 45 regolamentari dei quali 20 con condanna definitiva e 59 ancora in attesa di giudizio. Circa il 60% dei reclusi è extracomunitario mentre 33 sono i tossicodipendenti dichiarati. Il Sant’Agostino si conferma "carcere di passaggio": ottocento sono gli ingressi l’anno e oltre mille i trasferimenti verso altre strutture, liguri e non. Per quanto riguarda gli agenti ce ne sono 52 contro i 59 previsti dalla pianta organica. Sul fronte delle attività scolastico-lavorative la struttura ha solo una convenzione con una scuola media che si occupa anche dell’alfabetizzazione degli stranieri; 13 sono i detenuti-lavoratori interni al carcere e quattro i lavoratori esterni, i cosiddetti "semiliberi".

Intanto questa mattina si sono recati in visita al carcere savonese il consigliere regionale dei Verdi Carlo Vasconi e Alessandro Rosasco, membro della Giunta di Radicali Italiani, che hanno ribadito la loro netta contrarietà ad una ipotesi di dislocazione del nuovo carcere a Passeggi: "Credo che sarebbe solo uno scempio ambientale, la nuova struttura deve rimanere in centro città, vicina all’ospedale e ai centri di assistenza e reinserimento dei detenuti - ha sottolineato Vasconi alla webtv di ivg.it -.

Non bisogna dimenticare che in carcere ci sono persone che hanno certamente sbagliato, ma a loro deve essere concessa una possibilità di recupero sociale". Sull’attuale status del carcere Sant’Agostino: "Certamente le condizioni della popolazione carceraria e degli operatori che ci lavorando è difficile. Inoltre ho riscontrato una situazione di degrado della struttura e carenze sotto l’aspetto igienico-sanitario. Mi auguro che a breve ci siano le risorse adeguate per una soluzione definitiva al problema carcere", ha sottolineato Vasconi.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Alessandro Rosasco: "Vogliamo sperare che questa sia stata l’ultima visita a quel carcere e che la prossima volta potremo visitare una nuova struttura più moderna e rispettosa della legalità della detenzione e a questo proposito sosteniamo l’eventualità di scegliere la struttura già esistente della scuola agenti di Cairo Montenotte. Resta invece contraria la nostra posizione rispetto al progetto di realizzare il nuovo carcere a Passeggi al confine con Quiliano in quanto ecologicamente insostenibile e troppo lontano dalla città e dai servizi essenziali ad un carcere".

Torino: il carcere minorile "Ferrante Aporti" è senza educatori

di Marco Trabucco

 

La Repubblica, 15 agosto 2009

 

La situazione delle carceri continua a destare allarme anche a Torino: i detenuti sono in costante aumento, e vivono in situazioni ben diverse da quelle che ci imporrebbe l’Unione Europea, la polizia penitenziaria è sotto organico, soprattutto nel Nord Italia, le condizioni di vita sono al limite dell’umano.

E al Ferrante Aporti in pratica non ci sono più educatori, quelli che servirebbero al recupero dei giovani detenuti. A lanciare l’allarme è una delegazione bipartisan di parlamentari che ieri ha visitato il carcere delle Vallette Lorusso-Cutugno e l’istituto Ferrante Aporti per minorenni nell’ambito dell’iniziativa organizzata dai Radicali in tutta Italia "Ferragosto in carcere" "Anche qui, come nel resto di Italia la condizione delle carceri, è devastante", ha sottolineato all’uscita dalle Vallette Igor Boni, segretario dell’associazione radicale Adelaide Aglietta. Nel carcere torinese i detenuti sono 1.564, contro una capienza prevista di 1.024 posti. La maggior parte, 986, sono in attesa di giudizio. Ben 893 sono gli stranieri.

A fronte di questo gli agenti di custodia sono circa 800 contro un organico previsto di mille persone. "È una realtà difficile - che necessità di un monitoraggio costante - ha aggiunto il radicale Boni - che per questo ha lanciato un appello al Consiglio regionale - perché sblocchi l’istituzione del garante delle carceri, come prevede una proposta di legge ferma ormai da tre anni".

Situazione difficile anche al Ferrante Aporti, dove ci sono 30 detenuti, la maggior parte stranieri e in attesa di giudizio. Ma dove gli educatori sono solo 4 contro i 12 previsti e anche gli agenti di custodia sono sotto organico. " È grave perché il fine della pena non deve essere solo quello di punire - ha precisato il senatore del Pd, Mauro Marino - ma anche una dare un’occasione di recupero". "Il Governo sta predisponendo - ha ricordato il senatore del Pdl Andrea Fluttero - un piano che dovrebbe garantire 5 mila nuovi posti in carcere nei prossimi 24 mesi".

Torino: mancano le "celle di sicurezza"? provvede il Comune

di Diego Longhin

 

La Repubblica, 15 agosto 2009

 

Per risolvere l’emergenza camere di sicurezza destinate ai detenuti giudicati per direttissima interviene il Comune. La proposta è stata lanciata dal sindaco Sergio Chiamparino durante il tavolo provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico. Un piano "B", che prevede l’allestimento di celle in commissariati di polizia e caserme dei carabinieri, più economico e rapido da mettere in pratica rispetto all’ipotesi di attrezzare l’aula bunker del carcere delle Vallette.

Due settimane fa il responsabile delle carceri piemontesi, Aldo Fabozzi, aveva annunciato che da settembre la casa circondariale Lorusso e Cotugno non avrebbe più accettato gli arrestati in flagranza di reato accompagnati da polizia e carabinieri. Ogni anno qualche migliaio di persone che stanno in cella al massimo tre giorni. Perché? "Ormai il carcere è pieno, non possiamo fare altrimenti", aveva detto Fabozzi.

La questione è stata discussa durante il comitato di ieri, alla presenza anche del sottosegretario agli Interni, Michelino Davico, per evitare che a settembre le forze dell’ordine non sappiano dove portare le persone fermate durante il compimento di un reato. Chiamparino ha proposto di realizzare le celle al commissariato San Paolo, in stazioni di carabinieri di proprietà del Comune e al comando della polizia municipale in via Bologna. Una soluzione alternativa alla ristrutturazione della vecchia aula bunker delle Vallette che, secondo i calcoli fatti dalla prefettura, sarebbe costata circa 650 mila euro. "La realizzazione delle camere di sicurezza in queste strutture sparse per la città - ha spiegato il sindaco - costerebbe circa 400 mila euro. Fondi che in parte potrebbe mettere la città.

Abbiamo poi chiesto al sottosegretario Davico di verificare con il ministero se si possano trovare risorse aggiuntive". E la risposta di Davico è stata positiva: "I lavori potrebbero partire già subito dopo la fine dell’estate e lo Stato e darà il suo contributo economico", ha sostenuto Davico.

Soddisfatto il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, il primo a porre la questione camere di sicurezza al prefetto Paolo Padoin: "Ringrazio il sottosegretario Davico e il sindaco per questo impegno istituzionale ad affrontare e a risolvere insieme un problema che rischia di diventare un’emergenza".

L’ipotesi bunker delle Vallette è saltata del tutto? No, ma il costo sembra proibitivo e con l’allestimento delle celle nei commissariati e nelle caserme alla fine si otterranno 20 camere, quattro in meno che nel bunker del Lorusso e Cotugno.

Durante il comitato in prefettura si è discusso anche di ronde e del trasferimento dei profughi dall’ex clinica di corso Peschiera nella caserma di via Asti. L’albo con le associazioni pronte a fare ronde non è ancora partito e "nessuno si è proposto per organizzarle, né i cittadini le hanno chieste: tutto si è fermato a qualche mese fa, alla provocazione politica di Azione Giovani - ha sostenuto il sindaco - comunque nessuna decisione sarà presa al di fuori del tavolo della prefettura". Sull’operazione trasferimento rifugiati in via Asti nessuna retromarcia. "Il progetto va avanti come è stato predisposto - ha spiegato il prefetto Padoin - continua il dialogo con le persone interessate.

L’obiettivo è di trovare una soluzione condivisa, ma al di là di certi limiti non potremo andare anche per quanto riguarda le regole del centro temporaneo". In via Asti saranno ospitate poco più di 200 persone, mentre nella clinica San Paolo sono circa 320 gli ospiti. La differenza dove verrà sistemata? "Stiamo studiando diverse ipotesi - dice Padoin - poi bisogna verificare il luogo di residenza. Visto che è compito dei Comuni l’inserimento, non escludiamo di trasferire chi viene da fuori nella città dove è registrato".

Bari: i visitatori di Ferragosto in questi nostri "gironi infernali"

di Nazareno Dinoi

 

Terra, 15 agosto 2009

 

Sovraffollamento, sporcizia, strutture fatiscenti, inadeguatezza del personale. Bari, San Severo e Taranto, tra le caserme più invivibili d’Italia, saranno visitate a Ferragosto da deputati, di destra e sinistra, originari di quei luoghi.

"Siamo in 270 in un carcere che ne può ospitare 120. Mi trovo in una cella da un posto ma siamo in due e se uno si alza l’altro deve stendersi. Il bagno è in mezzo alla stanza dove non c’è porta e nemmeno un tramezzo, in pratica è come andare in campagna ma almeno lì sei da solo. Dal corridoio passano le fogne che puzzano e ci sono scarafaggi che entrano nelle celle, un periodo ci sono stati anche i pidocchi nelle docce. Il mio compagno di cella ha l’epatite C, io devo fare una risonanza alla gamba ma l’aspetto dal 2 aprile".

Così scrive il giovane Carmine, detenuto nel carcere di Lucera, in provincia di Foggia. Ed è con le lettere come la sua che si apprendono le notizie dai penitenziari pugliesi dove il sovraffollamento ha raggiunto il 62,4 per cento di media. Se una struttura è nata per ospitare 100 internati, di fatto ne contiene più di 162. Con casi limite come il carcere di Lecce dove sono presenti 1.321 detenuti a fronte dei 659 previsti e Bari con 545 reclusi per un massimo di 296. Poi Foggia (696 su 403). "Depositi di vite umane", li ha definiti il segretario generale della Uilpa penitenziari, Eugenio Sarno.

Di questo vorranno rendersi conto i parlamentari, sia di centrosinistra sia di centrodestra, che hanno deciso di passare questo ponte ferragostano nelle celle dei dannati di Puglia. L’iniziativa, lanciata dai Radicali, qui in Puglia ha già visto l’adesione del deputato del Pd, Ludovico Vico che si recherà nelle carceri di Trani e Brindisi, del componente della Commissione giustizia della Camera, onorevole Luigi Vitali, del Pdl, la cui presenza è prevista a Lecce e Taranto, del senatore Giuseppe Caforio (Idv) a cui è toccato il penitenziario di Bari, della deputata Pd, Cinzia Capano che andrà a Turi e infine dell’onorevole dipietrista, Pierluigi Zazzera, a Trani.

Tutti parlamentari pugliesi. Un’anticipazione di quello che vedranno in questi giorni la descrive Domenico Mastrulli, segretario generale dell’Osapp, il sindacato autonomo secondo più rappresentato degli agenti di custodia. Mastrulli parla di "caserme fatiscenti soprattutto a Bari, Turi, San Severo, per non parlare di Taranto dove le segnalazioni presentate all’assemblea descrivono scantinati allagati con infiltrazioni alle pareti e spazi di passeggio impraticabili ". Tutto questo si ripercuote sulla vivibilità e sui rapporti tra reclusi e guardie. "In Italia negli ultimi anni abbiamo contato 800 aggressioni di poliziotti, un centinaio solo in Puglia.

A questo si aggiunge l’inadeguatezza del personale: "Il rapporto medio è di 80, 120 detenuti per ogni agente", fa la conta Federico Pilagatti del Sap. E qui s’inserisce un’altra polemica con il ministero. "La carenza dei penitenziari del Nord Italia - sostiene Mastrulli - viene colmata con il trasferimento di personale dalle regioni del Mezzogiorno". Intanto "i dannati" come Carmine lanciano appelli all’esterno e se la prendono con tutti.

"Le educatrici e gli assistenti sociali - scrive ancora nella lettera - sono molto lenti e non ci aiutano. Se una persona c’ha da scontare poco, qui ti fanno fare tutta la vita. L’infermeria spesso non ha farmaci che poi arrivano dopo 4 o 5 giorni e questo è dovuto al fatto che siamo troppi. Vedi la legge com’è cattiva? Come faccio a reagire al sistema malato che dice: male hai fatto e male ti faccio? Qui sono come quelli del carcere minorile dove mi picchiavano e dove mi hanno rovinato. Sai, ho perso l’occhio sinistro, vedo solo ombre. Ci vorrebbe un bell’articolo per tutto questo", conclude il recluso. Carmine ha solo 21 anni e domani, ferragosto, se avrà fortuna e per quello che potrà servire, potrà dire tutto questo a uno dei parlamentari che andrà a visitare il suo girone d’inferno.

Rimini: 12 detenuti in 16 metri quadri, ci servono nuovi spazi

 

www.newsrimini.it, 15 agosto 2009

 

Nell’iniziativa Ferragosto in carcere di Radicali Italiani che si svolgerà anche domani e domenica nei 221 istituti penitenziari italiani, stamattina il consigliere regionale del partito socialista Stefano Casadei, ha visitato il carcere di Rimini. "Il problema è reale. In Regione chiederemo fondi per ampliamento".

L’emergenza sovraffollamento al carcere di Rimini è reale. Lo hanno verificato con i loro occhi stamattina Sergio Giordano e Ivan Innocenti, esponenti del partito radicale riminese, che hanno accompagnato il consigliere regionale del partito socialista Stefano Casadei in visita alla Casa Circondariale di Rimini nell’ambito dell’iniziativa nazionale Ferragosto in carcere.

Dovrebbero essere al massimo 100, ad oggi, sono 242. Di questi 64 con condanna definitiva, 82 in attesa di giudizio. 140 sono stranieri, 120 tossicodipendenti di cui 5 sieropositivi. Il cocktail di detenuti perdi più ammassati in celle che dovrebbero contenere 4 persone, crea problemi, oltre che di convivenza, anche di ordine igienico/sanitario e di tensione tra con le guardie penitenziarie. Nel 2009 sono state registrate due aggressioni al personale ed un suicidio.

"Stamattina quando passavamo nei corridoi, i detenuti ci segnalavano il numero 12 con le mani - ha detto Sergio Giordano dei radicali Rimini - a dire che sono stipati in 12 persone in celle da quattro. Il problema è anche che sono tutti insieme, indistintamente i condannati e quelli ancora in attesa, i sani con i malati,in una situazione in cui il malessere è totale".

Uno spazio ricreativo è stato trasformato in cella, era stata presa in considerazione anche l’ipotesi di utilizzare la cappella, poi ritenuta inopportuna. Due sezioni sono ferme: una da due anni, chiusa per problemi sanitari, perché non ha ottenuto i permessi per la ristrutturazione, l’altra perché in ristrutturazione. Nel 2009 sono state registrate due aggressioni al personale e un suicidio.

Due sezioni sono ferme: una da due anni, chiusa per problemi sanitari, perché non ha ottenuto i permessi per la ristrutturazione, l’altra perché in ristrutturazione. Nel frattempo uno spazio ricreativo è stato trasformato in cella, era stata presa in considerazione anche l’ipotesi di utilizzare la cappella, poi ritenuta inopportuna.

Da parte della polizia penitenziaria - ha detto Stefano Casadei - Consigliere Regionale Partito Socialista. c’è stata disponibilità nel far conoscere la situazione reale. Quello che bisogna puntare a fare, e che porterò in consiglio regionale, oltre alla questione sanitaria in cui bisognerà stabilire bene il ruolo dell’Ausl, Stefano Casadei - Consigliere Regionale Partito Socialista. È cercare di finanziare gli ampliamenti per il carcere in modo di avere, come stabilisce la corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, almeno 7 mq per ogni detenuto".

Oltre al sovraffollamento, ci sono i problemi della carenza di personale, su 148 agenti in pianta organica, solo 100 sono in servizio (con 25/30 ore di straordinario mensili), e di dirigenti: la direttrice del carcere di Rimini Laura Benassi, attualmente dirige contemporaneamente anche le carceri di Ferrara e Forlì per sostituire i colleghi in ferie.

Trento: anche 10 o 12 detenuti in una cella e il carcere scoppia

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Celle con dieci, o perfino dodici detenuti stipati assieme. Spazi e servizi comuni praticamente inesistenti. Possibilità di reinserimento lavorativo limitate. Ma, soprattutto, un numero di carcerati, 153, quasi doppio rispetto a quello, 90, previsto per la struttura. È in queste condizioni che le onorevoli Letizia De Torre e Laura Froner e il senatore Giacomo Santini hanno trovato la casa circondariale di Trento ieri mattina, nel corso della loro visita a via Pilati organizzata nell’ambito del progetto "Ferragosto 2009 in carcere", promosso in tutta Italia dai diversi gruppi parlamentari sensibili ai problemi dei detenuti e del personale carcerario.

"E purtroppo - ha detto Santini al termine della visita - la direttrice degli istituti penitenziari di Trento e Rovereto, Antonella Forgione, ha lasciato chiaramente intendere che fino all’apertura del nuovo carcere di Spini di Gardolo ci sarà ben poco margine per dei miglioramenti". Detto in giorni in cui è appena entrato in vigore un "pacchetto sicurezza" caratterizzato dall’individuazione del reato di immigrazione clandestina, non proprio una buona notizia: a prescindere dall’applicazione "alquanto lasca" che delle nuove misure si starebbe dando, secondo le lamentazioni della Lega Nord, al Tribunale di Trento. I numeri.

Solo tre anni fa, l’indulto: tutto inutile, siamo già punto e a capo. "Il carcere di Trento è costruito per ospitare 90 detenuti, 95 al massimo - hanno detto i parlamentari trentini all’uscita dalla visita -. Ora siamo a 153, di cui 101 extracomunitari, 32 tossicodipendenti di cui 9 sottoposti a terapie metadoniche, 1 sieropositivo, e solo 29 persone messe nelle condizioni di poter lavorare.

Con una situazione di simile sovraffollamento, che purtroppo ricalca quella della maggior parte delle realtà carcerarie italiane, e in mezzo a tante situazioni problematiche da gestire con soli 103 agenti, di cui appena 90 effettivi, è impossibile pensare che alle richieste fatteci da alcuni detenuti, migliorare le loro condizioni o esser trasferiti in penitenziari più vicini a casa, possa esser data risposta positiva".

In questa situazione è già un miracolo, cui la professionalità del personale di via Pilati è tutt’altro che estranea, che nel 2008 e nel 2009 ci siano stati solo un morto ad anno nel carcere trentino: ed in entrambi casi non per suicidio, come invece accaduto in molti casi in altri penitenziari italiani. Il nuovo carcere. A rendere più difficile la situazione dei carcerati di via Pilati peraltro, oltre al caldo agostano, il fatto che nella casa di detenzione di Trento siano "ospitate" solo persone in attesa di giudizio, 72, o condannati, 81, ma con pene inferiori ai cinque anni.

Permanenze considerate "di passaggio", insomma, che quindi vengono gestite con spazi ed infrastrutture ben diverse da quelle dei grandi penitenziari, attrezzati ad ospitare chi deve scontare pene fino all’ergastolo. Insomma, per un po’ a Trento le cose non andranno di certo meglio. Poi, con l’apertura del nuovo maxi-carcere di Spini di Gardolo, che secondo quanto riferito da Forgione alla delegazione di parlamentari trentini, la Provincia potrebbe ultimare entro la prossima primavera, potrebbe esserci la svolta. "Sempre che - ha puntualizzato Froner - venga risolto il nodo del personale.

Se cento agenti, pur con professionalità e umanità straordinarie come qui a Trento, sono pochi per 150 detenuti, quanti addetti alla sicurezza serviranno quando a Spini ci saranno il triplo di carcerati?". Una domanda a cui, secondo Santini, il governo dovrebbe poter dare risposta con il reclutamento di 5.000 nuovi agenti di sicurezza sul territorio nazionale, un paio di centinaia dei quali si spera di veder arrivare in Trentino. "Resta il fatto - ha concluso De Torre - che per quanto necessarie le nuove aperture di carceri non sono le risposte di cui una società come la nostra ha bisogno. Si dovrebbe invece fare il possibile per ridurre il numero dei detenuti, con progetti di crescita sociale mirati".

Palermo: il carcere dell’Ucciardone somiglia a discarica sociale

 

Adnkronos, 15 agosto 2009

 

"Il carcere palermitano dell’Ucciardone somiglia ormai ad una discarica sociale: la struttura è inadeguata, le celle sono sovraffollate e il personale è insufficiente". Lo dice Pino Apprendi, parlamentare regionale siciliano del Partito democratico, che questa mattina ha visitato la struttura penitenziaria palermitana insieme con Donatella Corleo dei Radicali.

"Bisogna intervenire per adeguare e migliorare la struttura - aggiunge Apprendi - innanzitutto realizzando una zona d’attesa all’esterno del carcere, di fronte Piazzetta della pace: è inaccettabile che fin dall’alba familiari, soprattutto donne e ragazzi, stazionino ore ed ore in strada sia in estate che in inverno in attesa di poter fare visita ai propri parenti".

"C’è poi - aggiunge - un forte problema legato al sovraffollamento, considerato che in una struttura che dovrebbe ospitare 500 persone ve ne sono oltre 700, mentre gli agenti penitenziari, che dovrebbero essere 500, non appena 350. Insomma - conclude il parlamentare del Pd - la situazione all’interno dell’Ucciardone è drammatica, in molti casi inaccettabile, anche se un segnale incoraggiante arriva dall’ottava sezione, divenuta un’area moderna ed efficiente, che sarà inaugurata nei prossimi mesi. Ma non bisogna fermarsi

 

La Camera penale di Palermo lancia l’allarme

 

"La notizia dell’invito, accolto da taluni parlamentari, di trascorrere la giornata del Ferragosto facendo visita ai detenuti di alcune case circondariali della nostra nazione, se pur lodevole, lascia alquanto perplessi. Non tanto per l’umanità del gesto, di alto valore morale, ma perché in coincidenza di un giorno festivo ed in un particolare contesto politico dimentica la vera emergenza, rappresentata dal sovraffollamento carcerario".

Si legge in una nota della Camera Penale di Palermo. "Più volte la Camera penale di Palermo, infatti, - prosegue il comunicato - ha sollecitato interventi legislativi, tesi alla valorizzazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, che non si limitassero ai consueti inasprimenti di sanzioni nei confronti soltanto di talune categorie deboli di soggetti che delinquono, come avvenuto con le recenti misure urgenti in materia di sicurezza pubblica. Speriamo allora che l’iniziativa possa essere foriera di ulteriori momenti di riflessione del legislatore e non un’occasione per parlare un solo giorno di aspetti che meritano decisamente più attenzione".

Lecce: superaffollato; 1.340 detenuti, capienza massima di 640

 

Agi, 15 agosto 2009

 

Il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari domani si recherà in visita alla Casa Circondariale di Lecce. "Ho scelto Lecce anche in maniera simbolica perché - spiega Sarno - è uno degli istituti in cui si rilevano tutte le criticità proprie del sistema penitenziario in questo momento. È uno degli istituti più affollati in cui si trovano allocati 1.340 detenuti a fronte di una capienza massima di 640 ed è anche un istituto in cui si afferma una grave promiscuità che determina ed alimenta forti tensioni interne.

Questa commistione di soggetti diversamente appartenenti alle varie mafie dovrebbe essere opportunamente indagata. Lo abbiamo già denunciato ma pare non accadere nulla. Il personale di polizia penitenziaria, di contro, paga un tributo ai propri diritti fondamentali non tanto per la deficienza organica quanto per una organizzazione del lavoro che non riesce a decollare. È doveroso, quindi, che in una giornata dedicata per antonomasia al riposo e alle ferie io stia accanto a chi è penalizzato proprio rispetto alla possibilità di riposare e godersi le ferie".

Ravenna: i detenuti di Port’Aurea? uomini come topi, fra i topi

di Carlo Raggi

 

Il Resto del Carlino, 15 agosto 2009

 

Il carcere sarà sottoposto a un radicale intervento di derattizzazione. E mensilmente verrà monitorato. È l’Ausl ora a dettare legge, la legge dell’igiene, per quanto possibile, dentro la casa circondariale, dopo il sopralluogo effettuato venerdì su disposizione del sindaco. Matteucci, saputo della presenza di grossi topi dentro al carcere, alcuni dei quali la scorsa settimana avevano aggredito un agente della polizia penitenziaria, aveva chiesto l’immediato intervento dell’Ausl.

Avrebbe dovuto farlo la direzione del carcere, ma da via Port’Aurea è sempre silenzio. Istituzione totale, il carcere vive da qualche anno un isolamento dalla città altrettanto totale, come corpo estraneo e come se l’estraniazione dell’istituzione fosse corollario necessario dell’ormai chiaro atteggiamento maggioritario che, ignorando Costituzione e principi giuridici che si ritenevano consolidati, attribuisce alla pena valenza esemplare e funzione esclusivamente punitiva, vendicativa, di esclusione, non rieducativa.

L’iniziativa del sindaco muoveva da un duplice fronte: la necessità di verificare lo stato igienico della struttura anche a fronte del suo ignobile sovraffollamento (fra i 160 e i 170 detenuti, ma il numero varia a seconda degli arresti effettuati giornalmente) e la necessità di acquisire elementi tali per cui, se fosse stata superata la soglia dell’igiene minimamente accettabile, ciò avrebbe legittimato un’urgente ordinanza di chiusura della struttura per la salvaguardia della salute dei suoi ospiti comprese le persone che per motivi professionali quotidianamente entrano a contatto con i detenuti.

Per il momento una decisione in tal senso è scongiurata, ma sembra chiaro che il profilo igienico che si ritiene salvaguardato è di ben basso spessore: la struttura è invasa da topi enormi, è abitata da un numero di detenuti oltre tre volte superiore a quello per il quale venne realizzata (59 reclusi), non ha adeguati servizi igienici perché il ministero non ha il denaro per intraprendere le opere necessarie, i detenuti vivono anche in quattro in celle di pochi metri quadrati, o in quindici in locali comuni, in grande promiscuità pur in presenza di malattie possibilmente contagiose, in estate la temperatura è rovente e le docce sono scarse. Se questo è considerato un non allarmante livello di insalubruità certamente non è un livello accettabile dal punto di vista delle più elementari regole di vita civile, in uno stato che si ritiene moderno e nel XXI secolo.

Il sopralluogo dell’Ausl, si è detto, si è svolto venerdì scorso ed è stato condotto dal dottor Bevilacqua, dell’Igiene pubblica il quale ha incontrato la più ampia disponibilità della vicedirettrice, essendo spesso assente la direttrice. L’ispezione ha contemporaneamente riscontrato i gravissimi ritardi nell’attuazione dei lavori indispensabili per migliorare il livello igienico della struttura e che erano stati imposti con ordinanza del sindaco un anno fa.

Inevitabilmente il carcere di Ravenna, con o senza i suoi enormi topi, cova in sé i germi di una possibile rivolta, al pari di quasi tutte le carceri italiane che stanno vivendo un periodo di emergenza proprio in relazione all’orientamento legislativo adottato dell’implementazione dei casi di obbligatorietà o facoltà di arresto, di obbligatorietà o quasi degli inasprimenti per i recidivi, dell’abolizione di quei molteplici istituti di attenuazione della pena varati proprio al fine della rieducazione.

Attualmente in Italia la popolazione carceraria è di quasi 64mila unità, i metri quadrati a disposizione di ogni detenuto, in gran parte peraltro extracomunitari, sono meno di tre contro i sette imposti dal Parlamento Europeo. Proprio per denunciare la pericolosissima situazione, dannosa per i reclusi, per la polizia penitenziaria e per la futura tenuta del sistema, un centinaio di parlamentari ha deciso di trascorrere la pausa ferragostana proprio visitando le carceri. A Ravenna arriveranno Massimo Calearo, del Pd ed esponenti radicali.

"Sono sconcertato - evidenzia il sindaco Fabrizio Matteucci - per la sfrontata risposta del Ministero di Giustizia a una delle mie lettere di sollecitazione per adeguati interventi nel carcere e in vista della necessaria realizzazione di una nuova struttura. Il ministero ha avuto il coraggio di affermare che l’attuale sovraffollamento del carcere corrisponde a ‘una capienza di necessità’, affermazione mai sentita prima e che esce dal cappello a cilindro del ministro Alfano. Allora mi chiedo a quando l’utilizzo dei bagni come celle, visto che già si utilizza una stanza che era per uso comune e lì sono relegati ben quindici detenuti".

A Ravenna solo il sindaco e l’Associazione giuristi democratici leva la propria voce a fronte di tale disumana situazione. E vengono a memoria gli "uomini come topi" dell’allora arcivescovo Ersilio Tonini all’indomani della sciagura della Elisabetta Montanari. Come non ritenere "uomini come topi fra i topi" i detenuti reclusi nel carcere di Ravenna?

Milano: oggi detenuti-volontari, al fianco della Protezione civile

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Ripuliranno le rive del torrente Gura tra Besiano e Masate poi torneranno nei carceri di Opera e Bollate.

Per il secondo anno a Ferragosto i detenuti si impegnano in una giornata di lavoro a sostegno della Protezione civile. Oggi, infatti, 72 ospiti delle carceri di Bollate e Opera aiuteranno i volontari a ripulire le sponde del torrente Gura fra Basiano e Masate, nel Milanese. L’operazione durerà un paio d’ore, dalle 10 alle 12 e i detenuti saranno forniti di guanti e sacchi dell’immondizia.

Sarà però soprattutto una giornata di festa alla quale parteciperanno i loro familiari, ai quali i volontari della protezione civile mostreranno le tecniche di prevenzione antincendio, il montaggio delle tende da campo e il soccorso con il trasporto per teleferica da una sponda all’altra, in caso di esondazione del torrente. Alla fine pranzo per 250 persone, preparato nel refettorio allestito sul posto dai volontari dell’Associazione nazionale Alpini.

La giornata è organizzata dalla Regione e dal provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria. Dice l’assessore regionale alla Protezione civile, Stefano Maullu: "Cerchiamo, insieme con l’amministrazione carceraria, di sensibilizzare i detenuti sul piano della cultura civile. La Protezione civile è una istituzione di grandissimo valore civico. L’impegno profuso dai funzionari e dai volontari per il soccorso delle persone vittime di emergenze è un esempio di assoluto valore sociale".

Massa: arresti per droga, da rifare squadra calcio dei detenuti

 

La Nazione, 15 agosto 2009

 

Le trasferte fuori dalle sbarre sarebbero servite per i rifornimenti di droga. Il presidente Lorenzo Porzano, invita a non criminalizzare: "Ci sono persone per bene che hanno messo faccia, impegno, cuore e tempo libero per la Galeotta. Non ci arrendiamo. Ripartiamo. La squadra sarà composta da detenuti affidati ai servizi sociali o in semilibertà e lavorerà fuori dal carcere. Ma ci sarà".

Galeotta, è tutto da rifare. La squadra è da ricostruire e la credibilità da recuperare. E pensare che fino a pochi mesi fa sembrava tutto perfetto: un esperimento ben riuscito e un campionato concluso al quarto posto in classifica. Poi, improvvisa, la doccia fredda. E non quella degli spogliatoi degli stadi di Terza categoria, ma quella che gela con una brutta storia di uso e spaccio di marijuana in carcere.

La sostanza - stando alle prime indagini - sarebbe entrata all’interno della casa circondariale di Massa grazie ai detenuti che usufruivano di permessi per giocare le gare del campionato di Terza categoria. Perché la Galeotta altro non è che la squadra del carcere massese ed è composta da guardie penitenziarie, carabinieri, finanzieri, volontari e da 6 detenuti scelti fra i più meritevoli. La squadra è nata su volontà del direttore del carcere, Salvatore Iodice, con l’intento di facilitare il recupero e il reinserimento dei detenuti. Perché, e di questo il direttore è ancora convinto, "la sicurezza non si garantisce soltanto con la repressione, ma anche indicando una strada di recupero morale e umano".

E, così, la Galeotta è stata iscritta al campionato, ha lasciato il carcere per giocare in trasferta, ed ha ‘rischiato’ la promozione. Soltanto ora, quando una nuova stagione calcistica sta per prendere il via, si è scoperto che di quella squadra dalla maglia a strisce verticali bianco e azzurre, è rimasto un unico giocatore-detenuto. Tutti gli altri sono stati trasferiti in altre case circondariali.

Un provvedimento a scopo precauzionale perché certezze giuridiche ancora non ce ne sono - l’inchiesta è in corso ed è affidata al procuratore di Massa, Umberto Panetta -, ma accuse e sospetti sono gravi: si parla di droga-party in carcere e di traffico di sostanze stupefacenti. Come dire: le trasferte sarebbero servite a qualcuno dei fortunati in permesso a fare rifornimento. Iodice si dice "deluso", ma tenta di abbassare i toni parlando "di un fisiologico momento di debolezza" e "di pochi spinelli regalati", mentre il presidente della Galeotta, Lorenzo Porzano, invita a non criminalizzare: "Ci sono persone per bene - spiega - che hanno messo faccia, impegno, cuore e tempo libero per la Galeotta. Non ci arrendiamo. Ripartiamo. La squadra sarà composta da detenuti affidati ai servizi sociali o in semilibertà e lavorerà fuori dal carcere. Ma ci sarà".

Immigrazione: "racial profiling" e discriminazione istituzionale

di Donatella Poretti (Senatrice Radicali - Pd)

 

www.imgpress.it, 15 agosto 2009

 

La recente introduzione del reato di clandestinità, oltre a sanzionare penalmente uno status piuttosto che un comportamento (la fattispecie di reato è essere, non fare), provocherà un ulteriore incremento dell’odiosa pratica che va sotto il nome di racial profiling.

Il racial profiling è la modalità con cui le istituzioni (in particolare le forze dell’ordine) individuano le persone da fermare, ispezionare, controllare. Brutalmente, per un nero sono molto più alte le probabilità di essere fermato per un controllo dei documenti, rispetto a un bianco. Risultato: a parità di infrazioni o reati commessi, il nero avrà maggiori possibilità di essere multato o di finire in carcere.

Le carceri, dunque, si riempiono di immigrati, condannati non solo alle pene detentive, ma anche all’immobilità sociale una volta usciti. Si va così ad alimentare una situazione che in molti Paesi è divenuta insostenibile, ossia la creazione di veri e propri ghetti sociali (gli afro-americani nei centri urbani degli Stati Uniti, i francesi di discendenza araba nelle periferie francesi, etc.).

Purtroppo, se negli Usa e in Francia questa pratica è effettivamente vietata dalla legge e vi sono periodici controlli e studi in merito, l’Italia consente alla pubblica autorità (polizia giudiziaria, polizia amministrativa, e dunque stradale ecc...) di procedere liberalmente "all’esercizio delle proprie funzioni". Se quindi in altri Paesi viene controllato l’operato delle forze dell’ordine per limitare questa forma di discriminazione istituzionale basata sulla razza e l’etnia, in Italia è ormai prassi quotidiana che questure e prefetture rilascino esaltanti comunicati stampa sui risultati di controlli di polizia mirati esclusivamente agli immigrati.

In altre parole, in Italia il racial profiling è prassi accettata e spesso anche elogiata. Ma è e rimane una intollerabile forma di razzismo, con l’aggravante della sua istituzionalizzazione. È indispensabile agire per contrastare questa pratica, sia perché incivile e profondamente ingiusta, sia perché è un insormontabile ostacolo all’integrazione e negli anni provocherà enormi conflitti sociali.

Alla ripresa delle attività parlamentari, rivolgerò una interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno con due semplici domande: quale percentuale di controlli di polizia riguarda persone non bianche? Quale percentuale di persone non bianche sottoposte a controlli di polizia è stata individuata sulla base di criteri diversi dall’apparenza fisica?

Immigrazione: proteste nei Cie; dopo Gorizia, Milano, Lamezia

 

Apcom, 15 agosto 2009

 

Si amplia la protesta nei Cie, i centri di identificazione e espulsione per immigrati. Dopo la rivolta la scorsa notte nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, a Milano, dove un gruppo di immigrati ha scatenato, poco dopo le 19 di ieri, una protesta per la decisione di prolungare il trattenimento di 15 persone nella struttura un’altra protesta è stata messo in atto, nel Cie di Lamezia Terme, che ospita 45 immigrati. Alcune suppellettili sono state bruciate dagli ospiti del centro che protestavano contro il prolungamento, da due a sei mesi, dei tempi di trattenimento nei centri come previste dalle norme contenute nel pacchetto sicurezza entrate in vigore lo scorso 8 agosto. La notizia dell’entrata in vigore delle nuove norme contenute nel pacchetto sicurezza come un tam tam si stanno diffondendo nei Cie.

Qualche giorno fa proteste si erano registrate nel Cie di gradisca d’Isonza a Gorizia. Alcuni ospiti del Centro erano stati trasferiti nel Cie di via Corelli dove ieri sera c’è stata la rivolta. Tutto è cominciato con l’incendio di alcuni materassi e suppellettili in un settore maschile, al quale si sono poi uniti anche un settore femminile e un altro gruppo di detenuti maschi.

La situazione è poi ulteriormente degenerata e il primo gruppo di immigrati ha divelto dei termosifoni e con questi ha spaccato le panchine di pietra della struttura, usando poi le macerie per colpire le forze dell’ordine. Carabinieri e polizia hanno arrestato 14 persone (quattro donne nigeriane, una del Gambia, quattro uomini marocchini, tre algerini, uno della Costa d’Avorio e uno di nazionalità non specificata, ma nato in Portogallo) e 11 uomini delle forze dell’ordine sono rimasti contusi.

In giornata, i 14 arresti sono stati convalidati dal gip di Milano: l’accusa è danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, incendio doloso e lesioni. Il giudice ha fissato il processo per direttissima al prossimo 21 agosto quando gli immigrati decideranno se chiedere il rito abbreviato, patteggiare oppure procedere con il giudizio ordinario. Intanto, non mancano le polemiche. "i Cie sono come carceri", ha detto ai microfoni di Radio Cnr Massimo Barra, già presidente della Croce Rossa Italiana e Vicepresidente della Standing Commission della Croce Rossa Internazionale.

"Quando io proposi - continua - che la Croce Rossa potesse gestire delle prigioni, mi attaccarono. Ma i Cie cosa sono se non carceri? Quindi, di fatto, stiamo di fatto gestendo da un punto di vista umanitario delle carceri con tutti i problemi connessi alle carceri. Dove per di più ci sono persone che di fatto non hanno commesso reati. Nei Cie - conclude Barra - noi facciamo quello che possiamo, riduzione del danno". La Croce rossa è presente nei Cie di via Corelli e nel Cie di Ponte Galeria, a Roma.

Immigrazione: una battaglia silenziosa dei "trattenuti" nei Cie

di Andrea Onori

 

Periodico Italiano, 15 agosto 2009

 

Chissà quante persone hanno "assaggiato" le sbarre dei Cie italiani e chissà quante persone hanno subito ripetute violazioni dei diritti umani all’interno di quei lager. Molti avvocati, parlamentari, giornalisti e Ong da sempre denunciano gli abusi e la mancanza di strumenti adatti per le politiche migratorie. Vi sono notizie di condizioni igieniche carenti, di cibo scadente, e soprattutto di mancate forniture di vestiti puliti, biancheria e lenzuola.

Come emerge da tantissime testimonianze, il migrante si trova chiuso in una prigione senza sapere nulla né del perché si trova lì dentro, né di cosa gli accadrà in seguito. L’assistenza medica nei centri è del tutto inadeguata e in particolare, molto frequente è l’eccessiva prescrizione di sedativi e tranquillanti.

Oggi, è il quarto giorno che i migranti rinchiusi nel Cie di corso Brunelleschi di Torino, stanno effettuando lo sciopero della fame per le condizioni in cui vivono all’interno del lager, per le continue umiliazioni che devono subire e per l’inasprimento delle leggi entrate in vigore dall’8 agosto.

Dopo aver rifiutato il cibo a colazione e pranzo, ieri, le autorità hanno deciso di passare al contrattacco vietando ai migranti di bere, se continuano a rifiutare il cibo: "o mangiate e bevete, oppure nulla" mi ha raccontato un ragazzo recluso nel Cie, contattato telefonicamente. Soltanto in serata la Croce Rossa cede e distribuisce l’acqua a tutti i reclusi.

Ho chiamato il ragazzo nel primo pomeriggio di ieri e la situazione tra i detenuti nel Cie era piena di delusione ma non di rassegnazione. Il ragazzo che ho contattato è un tunisino rinchiuso da 41 giorni dentro il Cie, soffre di calcoli ai reni e per questo motivo sta andando avanti a pasticche e punture dategli dall’infermeria del centro "ma continuo a sentire forti dolori, non ne posso più". Mi ha riferito che ieri erano al terzo giorno di sciopero della fame ed ora devono cercare di sopravvivere anche senza acqua. Era preoccupato per la salute di alcuni reclusi svenuti per i primi effetti dello sciopero: "Ci sono giorni che non si alzano dal letto, ci danno la terapia per calmarci ma non devi parlare, basta che stai sempre zitto". Nei Cie, a causa della forte repressione, sono anche frequentissimi casi di autolesionismo.

La televisione gli è stata negata dice il migrante, ma secondo i carcerieri è solo una questione di "problemi tecnici". Ha raccontato che l’altro ieri "c’è stato un casino, sono entrati con il manganello, ma noi siamo rimasti fermi, immobili e non ci hanno fatto nulla." Ma, la notte, la polizia è entrata dentro le camere effettuando una perquisizione con i cani ed hanno sequestrato ai migranti tutte le macchine fotografiche che avevano.

Nella telefonata, il migrante, mi ha raccontato che i "carcerieri" sono molto formali ed attenti al rispetto dei loro diritti: "ci trattano male, ci prendono in giro. Fanno sorrisi falsi, ci trattano come animali come degli schiavi". Per molti è difficile sopportare simili vessazioni e molti per la disperazione cercano una via d’uscita che può essere anche la morte. Ad esempio, un suo amico, esasperato ha iniziato a prendere a testate un muro ferendosi gravemente.

Droghe: la politica d’agosto, gli spinelli… e le carceri strapiene!

 

Liberazione, 15 agosto 2009

 

Beppe Grillo lancia un’altra provocazione e dice sì alla depenalizzazione delle canne: "Troppe persone sono arrestate e non tornano più a casa per uno spinello".

A Beppe Grillo piace provocare, si sa. L’ultima provocazione d’agosto è molto sensata, ma viste le condizioni della politica italiana resta pur sempre una provocazione. Dal suo blog Grillo ha appena fatto la sua proposta: "Agosto è il mese degli appelli. Dopo quello per la difesa della Rete dalle querele, oggi il nuovo appello riguarda la depenalizzazione delle droghe leggere". Il comico genovese sostiene che "per risolvere il problema dell’affollamento delle prigioni è sufficiente depenalizzare la marijuana. Per risolvere il problema di strani suicidi e di infarti improvvisi in cella è sufficiente depenalizzare la marijuana".

D’altra parte lo sanno tutti, basta uscire in strada e andare verso il centro di ogni grande città o piccolo paese di provincia per trovare chi spaccia hascisc e marijuana. Basta avere pochi spiccioli per acquistare droghe leggere, anche se in Italia non è legale farlo, anche se chi spaccia rischia il carcere e chi consuma illecitamente rischia sanzioni amministrative e penali.

Grazie infatti alla legge Fini-Giovanardi le droghe leggere e pesanti vengono accorpate in un’unica tabella, senza distinzione. Per dosi inferiori ai 500 mg di cocaina, 200 mg di eroina, 0,05 mg di lsd, 300 mg di mdma, 200 mg di metadone, 200 mg di morfina/oppio, 150 mg di cannabis e derivati, 50 mg di anfetamina viene contestato il consumo illecito e scattano sanzioni amministrative, per dosi superiori viene contestato il reato di spaccio e vengono applicate sanzioni penali.

Inasprite le sanzioni amministrative che si allungano da quattro mesi a un anno, e, ai fatti, consistono nel ritiro della patente di guida, del passaporto, del porto d’armi, del permesso di soggiorno turistico (per gli extracomunitari). Le sanzioni penali vanno da sei a venti anni. Scatta l’arresto da 3 a 18 mesi per l’inosservanza delle sanzioni e misure disposte dal prefetto. E intanto le carceri si riempiono. Grillo quindi ha probabilmente ragione, ma la replica di uno dei rappresentanti del governo, Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl non si è fatta attendere: "Grillo, l’unico presunto politico a pagamento, cerca pubblicità per rimpinguare le casse di casa con i biglietti delle sue carnevalate. In Italia non sarà mai resa libera la circolazione di droghe".

Iran: l’opposizione denuncia; detenuti torturati fino alla morte

 

Apcom, 15 agosto 2009

 

Il leader dell’opposizione iraniana Mahdi Karoubi non intende abbassare la guardia e per tenere viva la tensione politica in Iran insiste attirando l’attenzione su un tema cha ha colpito anche la comunità internazionale, le violenze indicibili compiute nelle carceri contro i detenuti.

Ieri il candidato riformista, sconfitto alle presidenziali insieme al moderato Mir Hossein Mousavi, ha scritto sul suo sito web di aver raccolto testimonianze secondo cui nella prigione di Kahrizak, a Teheran, i manifestanti, arrestati in seguito ai disordini esplosi per la rielezione in giugno del presidente Mahmoud Ahmadinejad, vengono torturati fino alla morte. Già domenica scorsa Karoubi aveva denunciato i numerosi stupri che sarebbero stati compiuti nel famigerato carcere contro detenuti di entrambi i sessi. Le autorità, scrive la Bbc, negano che siano state compiute violenze sessuale, ma ammette che sono avvenuti abusi dietro le sbarre. "Alcuni giovani sono stati picchiati a morte solo per aver cantato degli slogan durante le proteste", scriveva ieri Karoubi che ha poi chiesto che venga creata una commissione d’inchiesta indipendente per far luce "in un’atmosfera calma".

Messico: almeno 19 detenuti morti, in scontri tra gang carcere

 

Apcom, 15 agosto 2009

 

All’interno della prigione si sono avvertiti spari ed è stato visto del fumo fuoriuscire. Secondo le autorità carcerarie, le violenze sono esplose per rivalità tra gang all’interno del penitenziario. Al momento la situazione è tornata alla normalità, ma nelle ore degli scontri l’edificio si era trasformato in una sorta di "bomba", ha raccontato un testimone. Molti dei criminali coinvolti negli scontri appartengono ai cartelli della droga contro cui il presidente messicano Felipe Calderon ha dichiarato guerra impiegando 40mila forze dell’ordine.

Spagna: "braccialetti elettronici" con Gps, per gli uomini violenti

 

Ansa, 15 agosto 2009

 

Il primo braccialetto è stato allacciato qualche giorno fa nel comune di Valencia: 24 ore al giorno indicherà alla polizia e alla vittima dove si trova chi lo indossa, un uomo condannato per maltrattamenti in famiglia, un ex marito che non potrà più avvicinarsi alla donna che per anni ha maltrattato. È solamente il primo dei tremila braccialetti con sistema gps che la Spagna ha consegnato alle forze dell’ordine perché, su richiesta dell’autorità giudiziaria, li sfrutti contro i violenti.

L’iniziativa è piaciuta a Nicolas Sarkozy che sta seriamente pensando di seguire l’esempio del socialista Josè Luis Rodriguez Zapatero. Non ci sono, infatti, differenze politiche che tengano di fronte alla piaga delle violenze coniugali, alle botte che quotidianamente si abbattono sulle donne da parte di mariti, ex mariti o conviventi. Ad annunciare la riflessione del governo francese sulla misura assunta a Madrid è stata il ministro della Famiglia, Nadine Morano, "sarkozista" decisa, ricordando che in Francia "ogni tre giorni una donna muore per le botte del suo convivente o ex".

Secondo gruppi e associazioni femministe francesi il bilancio è ancor più drammatico: una donna muore ogni due giorni per i maltrattamenti subiti da parte del suo uomo. Non solo: crescono a ritmo vertiginoso le denunce delle donne per violenze subite e le chiamate al numero verde destinato alle vittime - il 3919 - sono state 60.000 solo nei primi nove mesi dell’anno scorso. Numeri e tendenze che avvicinano Parigi e Madrid: in Spagna la violenza machista è stata ritenuta responsabile di 63.000 reati e della morte di 70 persone.

Solo nei primi mesi del 2009 sono state 26 le donne uccise da mariti o ex compagni. Così, in un’intervista a Le Figaro, la Morano ha annunciato che porterà il dibattito sulla misura del braccialetto elettronico "a livello governativo", auspicandone la sperimentazione come si fa "in Spagna". Ma il lavoro da fare parte da lontano, dalla scuola: "Voglio che venga insegnato ai ragazzi, a partire dalla scuola, che non si ha il diritto di alzare una mano contro una ragazza", ha spiegato il ministro della Famiglia.

I 3.000 braccialetti elettronici messi a disposizione della giustizia spagnola dal governo di Zapatero sono dell’ultima generazione. Quando il marito o ex marito riceve il braccialetto alla donna viene fornito un dispositivo che avvisa lei e la polizia se l’uomo si avvicina a meno di 500 metri. Un segnale d’allarme che potrebbe essere decisivo per evitare nuove violenze.

 

 

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