Rassegna stampa 12 settembre

 

Giustizia: più galera per tutti, il Paese è malato di "carcerite"

di Antonio Polito

 

Il Riformista, 12 settembre 2008

 

Nuovi reati e prigione per prostitute, clienti, ultra e furbetti del telepass; ma dove sono le carceri?

L’euforia sta dando alla testa al governo. Euforia da alta quota, sotto l’ecstasy dei sondaggi. Da quando è in carica, il governo Berlusconi propone nuovi reati penali a getto continuo: e poi dicono che il Pdl è un partito di avvocati Ieri è toccato alla Carfagna varare, in un tripudio di ottimi sentimenti, una legge che vuole nientemeno mettere in carcere l’intero mondo della prostituzione. Non solo gli sfruttatori, i magnaccia, i boss del racket delle ragazzine slave, che già sarebbe molto. Ma proprio tutti, lucciole e clienti. Arresto da 5 a 15 giorni e ammenda da 200 fino a 3.000 euro. Il governo italiano ha deciso di mettere fine al mestiere più vecchio del mondo. Voi direte: ma no, puniscono la prostituzione in strada e la mettono nelle case chiuse. Nient’affatto: restano vietate anche le case chiuse perché alla Carfagna "come donna, fanno rabbrividire".

Resterebbe la possibilità di prostituirsi a casa propria, o in un albergo. Ma la Carfagna non dà il via libera nemmeno alla soluzione Mele (il deputato dell’Udc che ospitava le call girls nel suo hotel): "La prostituzione in luoghi chiusi - ha precisato - non è legale e non è reato". Se un carabiniere trova una coppia in albergo, vorrà dire che la manderà nel limbo. Ma il punto è: dove li metteranno tutti questi carcerati, ammesso che li arrestino?

Appena l’altro ieri Angiolino Alfano, co-firmatario del disegno di legge Carfagna, proponeva di scarcerare 4.000 detenuti col sistema del braccialetto elettronico perché le carceri scoppiano. Ieri, come se niente fosse, ha presentato una legge che, se applicata, porterebbe decine di migliaia di persone in carcere. Le nostre carceri sono di nuovo sovraffollate ad appena due anni dall’indulto. E ora la Carfagna ci vuol mandare un quindici per cento, a dir poco, della popolazione maschile adulta: nove milioni di clienti? Più cinquantamila prostitute?

Ma non c’è mica solo la Carfagna La carcerite dilaga. Sempre ieri Antonio Matarrese, presidente della Lega calcio, ha aggiunto le sue prigioni "Costruiamo celle negli stadi per mettervi dentro chiunque delinque". Avete capito bene: celle negli stadi italiani Sotto le curve dove comandano gli ultra e la polizia non può entrare.

Qualche giorno prima un altro buontempone aveva proposto il carcere per i furbetti dell’autostrada che succhiano il telepass alla macchina davanti Si potrebbero costruire delle celle ai caselli. Del resto Maroni, per introdurre il reato di immigrazione clandestina, ipotizzò di ospitare migliaia di nuovi carcerati in piccoli e confortevoli lager a cielo aperto. Ma vi pare serio?

La "soluzione carceraria", intendiamoci, è una strada. In America la praticano. Solo che lì le carceri ci sono, costruzione e gestione affidate ai privati: sarà un sistema un po’ sbrigativo di risolvere il problema della devianza sociale ma almeno funziona perché ci sono le strutture. Ma in Italia il governo, prima di darci a bere che si metteranno in galera tutte le prostitute e tutti i clienti d’Italia, almeno dovrebbe presentare un piano di edilizia carceraria all’altezza delle sue ambizioni repressive.

Tutto ciò sempre ammettendo che tutti questi nuovi delinquenti possano essere davvero prima arrestati e poi processati. Ci si lamenta ogni giorno che non ci sono abbastanza fondi per la polizia e abbastanza agenti per le strade, tant’è che abbiamo dovuto sopperire con i soldati. E chi arresterà tutte queste puttane con relativi clienti? I parà della Folgore? E i processi?

Sbagliamo, o appena un paio di mesi fa il governo proponeva una norma blocca-processi per ridurre il numero esorbitante di procedimenti inevasi nei tribunali, mestamente destinati alla prescrizione, con grande sperpero di risorse umane e materiali? Già adesso i tribunali processano inutilmente gente che non andrà mai in carcere perché c’è l’indulto.

La risposta sensata sarebbe depenalizzare i reati minori. Invece il governo penalizza ciò che reato fino a ieri non era, rischiando un ingolfamento ulteriore di un sistema giudiziario che già vanta il maggior numero di magistrati pro-capite d’Europa e i processi più lunghi d’Europa. Il rischio boomerang di questa politica dell’annuncio è elevato: quando la gente vedrà che è una burla, s’incazzerà. E cosi sarà. Ricordate l’estate dei divieti, con i sindaci che proibivano zoccoli in città, massaggi in spiaggia, uomini in canottiera e vu cumprà? Ebbene, leggiamo su Libero che tutta quella messe di divieti ha prodotto una decina di multe in tutta Italia. La legge Carfagna farà la stessa fine.

Giustizia: contro il "tintinnar di manette" la ragione non vale

di Giancarlo Dotto

 

La Stampa, 12 settembre 2008

 

Ricetta infallibile. Manette (e gogna) agli ultras di ogni tipo, a quelli del sesso a pagamento sulle strade e a quelli della violenza gratuita negli stadi. Gli uni e gli altri liquidati come scarto sociale, delinquenti da mettere al bando. Vecchia storia. La politica che mostra i muscoli confessa pubblicamente due cose, il suo fallimento strategico oltre che il suo deficit intellettuale. Ovvero, l’incapacità di meditare sul tema. Se poi a mostrare i muscoli non è Ignazio La Russa ma Antonio Matarrese, l’effetto esilarante è garantito. Da tempo i comizi di Tonino surclassano quelli di Totò in quanto a comicità. La gente fa la fila come al cabaret. Nella smania di mostrarsi più duro del duro Maroni, il presidente della Lega stavolta ha esagerato.

Matarrese ha detto: "Se necessario mettiamo delle celle negli stadi. O siamo forti o ci arrendiamo, noi non ci arrendiamo". Attorno a lui, tutto un darsi di gomito e di risatina, a cominciare dallo stupefatto Roberto Maroni che, fino a un attimo prima, era convinto di essersi seduto a un tavolo istituzionale.

Tonino a parte, il clima che si respira oggi un po’ ovunque è questo: bastonare uguale semplificare. Gli stadi non sono ancora sicuri? Lungo i marciapiedi dilaga il vizio? Chiudere gli stadi, perimetrare i marciapiedi. Totale sintonia tra Mara, intesa come Carfagna, e Maroni. Matarrese a parte, non sono al sicuro nemmeno i comici. Ritornano divise, pagelle e insegnati unici. A quando il ripristino della censura al cinema per decreto regio? Il modello politico imperante è Giorgio Bracardi in versione Catenacci: tutti in galera!

Se la politica è occupata a bastonare e ad amputare, proviamo noi a ragionare. E a distinguere. Meretricio e violenza. Nel primo caso c’è la pena, ma non esiste il delitto. Nel secondo c’è il delitto, ma non si capisce bene quale sia la pena. Si chiamavano cortigiane e poi lucciole, puttane, prostitute, ma quella del sesso mercenario è storia che va avanti da millenni. Dalla legge Merlin ai giorni nostri è tutta una pirotecnica di proposte, uno strepitare di proclami, purché nulla accada.

Incapaci di regolamentare e di educare, non ci resta che stroncare. Stroncare il racket? No, criminalizzare il cliente. Si alza la voce per negare il problema. Tutti in galera! Ottimo. Riapriamo allora i bordelli? C’inventiamo i quartieri a luci rosse, recintiamo l’orrida pulsione? Macché. Zero.

Si finge di non sapere che appiccicare la lettera scarlatta a prostitute e clienti è solo un modo per fuorviare la meditazione sulla donna offesa. La donna che si prostituisce forse, ma anche quella spesso degradata a macchina di riproduzione, umiliata a schiava del sesso, condizione sancita e prescritta dall’alibi di un contratto matrimoniale.

E ancora. Sono davvero tutti patologici gravi i nove milioni d’italiani che, secondo i dati forniti dallo stesso dipartimento delle Pari Opportunità, il ministero della Carfagna, cercano sesso a pagamento? La Mara si sente certo bene quando si dice dentro il suo impeccabile tailleur "Come donna le case chiuse mi fanno rabbrividire...".

Fosse per lei, avrebbe schiaffato in galera miliardi di malafemmine e di uomini depravati, inclusi Baudelaire, Picasso e Simenon, per non parlare di Fellini. Più illuminata di Solone, che istituì le prime case di piacere ad Atene, e di Camillo Benso conte di Cavour, che per arruffianarsi i francesi autorizzò le prime case di tolleranza in Italia.

Dovere di un ministro è identificarsi con i suoi cittadini. Ha mai provato la leggiadra Mara a identificarsi con il ripugnante settantenne ancora sessualmente vispo, disgrazia sua, anche perché, dalla farmacia oggi gli passano di tutto, tra Viagra e Cialis, e nelle promozioni televisive gli spiegano che la vecchiaia non esiste, che è un pregiudizio e lui poveraccio ci crede?

Ancora scorciatoie. Blindare gli stadi, vietare le trasferte, risultato garantito. Ma a che prezzo? E quale la prospettiva? Vincenzo Paparelli fu trapassato da un razzo ostile il 28 ottobre del 1979, quasi trent’anni fa. Una vita. Da allora, solo la spettacolare resa delle istituzioni rispetto a un fenomeno che si poteva e si doveva controllare. Solo polizia e muro contro muro. Lo Stato che fa concorrenza al teppista, nella sfida del "odia il prossimo tuo almeno quanto odi te stesso".

Giustizia: Berlusconi; sulla riforma noi andremo avanti da soli

di Barbara Fiammeri

 

Il Sole 24 Ore, 12 settembre 2008

 

Il federalismo "cambierà l’Italia", "diminuirà le imposte", "renderà più responsabili e più vicini ai cittadini gli amministratori pubblici". Adesso tocca alla giustizia. Al centro della riforma la separazione delle carriere: "I pm si chiameranno avvocati dell’accusa e come i loro colleghi della difesa daranno del lei al giudice, entreranno bussando alla porta con il cappello in mano: solo così avremo giudici davvero terzi". Silvio Berlusconi rilancia.

Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al federalismo fiscale, il premier torna al suo cavallo di battaglia. Gli alleati - dice - sono con lui. Quanto all’opposizione "è ancora prigioniera dell’ideologia marxista". In altre parole: il dialogo non è percorribile.

Il Cavaliere ha ripreso dal guardaroba la camicia blu utilizzata in campagna elettorale. Arrotola le maniche invitando i giovani di An, che lo hanno voluto, anche quest’anno. Accanto a lui, a "Il cavaliere che fece l’impresa" (questo il leader scelto per l’occasione prendendo a prestito il titolo del film di Pupi Avati), siede la padrona di casa, il ministro per le Politiche giovanili Giorgia Meloni.

Berlusconi sfoggia tutto il suo repertorio, barzellette comprese. Parte dalle promesse mantenute dal governo: l’abolizione dell’Ici, l’emergenza rifiuti, la detassazione degli straordinari. Cita i sondaggi "con imbarazzo": 670% per il premier e 62% per l’intera compagine ministeriale mentre Pd e l’Idv nelle intenzioni di voto arrivano assieme al 32%.

"Siamo al record, oltre si può solo scendere, visto che il 30% che manca all’appello è ideologicamente contrario". Già perché in Italia - aggiunge dopo aver schiacciato una "zanzara comunista" che gli ronzava attorno - c’è ancora chi non s’è rassegnato alla sconfitta.

Ecco perché - spiega - con loro il dialogo è impossibile. "I signori della sinistra sono nati con questa filosofia nella testa. Quando fingono di aprirsi al dialogo con noi sulle riforme devono dimostrare di averla superata. Ma, purtroppo devo dirvi questo, non è avvenuto per nessuno dei protagonisti della sinistra".

Sulle riforme dunque la maggioranza andrà avanti da sola. Vale per la legge sulle europee e anche sulla giustizia, del resto i numeri la maggioranza li ha, e non c’è motivo di temere dissensi all’interno dell’alleanza di governo, visto che "quelli che volevano dividere (leggasi Udc, ndr) sono rimasti fuori". Dalla platea gli chiedono di dare assicurazioni ai precari, a chi è in cerca di lavoro. Una giovane di An cita la legge Biagi sostenendo che spesso è un "alibi" per sfruttare i ragazzi con contratti a progetto. La risposta di Berlusconi è netta: "Datevi da fare, siate ambiziosi, tirate fuori l’imprenditore che c’è in ciascuno di voi".

Si parla anche del recente accordo con la Libia, delle garanzie che offre all’Italia sul fronte dell’approvvigionamento energetico. Il Cavaliere cita l’opera di Italo Balbo ("Ho detto a Gheddafi che ha fatto cose buone") raccogliendo gli applausi entusiasti della platea che invece rimane silenziosa quando, a proposito degli extracomunitari che partono dalle coste libiche, ricorda che "anche noi siamo stati un popolo di emigranti".

Giustizia: Acli; un italiano su due... non si fida della "gente"

 

Redattore Sociale - Dire, 12 settembre 2008

 

Indagine Acli. Con l’incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali. Alto il livello di preoccupazione circa i rischi connessi alla criminalità. Sicurezza: un italiano su 2 non si fida della "gente". Anche questo emerge dall’indagine esplorativa presentata dalle Acli oggi a Perugia.

Con l’incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali. Sul lavoro la fiducia nei colleghi sopravanza la diffidenza di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%, mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso). Ci si fida (molto o abbastanza) dei parenti (85%), dei vicini (74%), ma per il resto si vive sul chi va là, se a stento 1 italiano 2 (50,5%) due dichiara di nutrire fiducia nei confronti della "gente" in generale. Nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere il grado di fiducia, com’era prevedibile, è ancora più basso (36%).

Il livello di preoccupazione circa i rischi connessi alla criminalità è alto. Gli italiani temono di subire furti in casa (molto o abbastanza, 62%), di essere aggrediti da un malvivente sconosciuto (62%), di rimanere vittima di scippi e borseggi (61%). Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55). Solo il 3% degli intervistati, tuttavia, mostra fiducia nella difesa auto organizzata dei cittadini, come ad esempio le ronde. Gli italiani chiedono senz’altro pene più severe contro la criminalità e il pugno di ferro delle forze dell’ordine (46%), ma si dicono anche consapevoli (44%) che è necessario anche agire sulle cause e spingono le persone a delinquere.

Giustizia: Censis; nel 2007 ha subito reati il 10% delle famiglie

 

Avvenire, 12 settembre 2008

 

Nell’ultimo anno e mezzo circa 10% delle famiglie italiane è stata vittima di un reato. Lo rivela uno studio del Censis, che sarà presentato al World Social Summit, iniziativa della Fondazione Roma che si terrà dal 24 al 26 settembre per discutere delle questioni legate all’evoluzione sociale a livello internazionale. In particolare, ha subito almeno un reato l’11 di famiglie nel Nord est e l’8,9% nel Nord ovest (per un totale di 18,9% in tutto il Settentrione), il 10,3% al centro e il 7,9% al sud. Sono le città più grandi, inoltre, ad apparire più insicure: nei comuni con oltre 250mila abitanti le famiglie vittime di episodi criminosi sono l’11,2%, contro il 6,9% dei comuni fino a 5mila abitanti.

Analizzando le tipologie di reato, la più diffusa è il furto in appartamento: ad averlo subito è il 37,5% delle famiglie italiane, con una prevalenza al Centro, dove si registra una percentuale del 52,5%, seguito dal 36% del Sud, dal 33% del Nord ovest e dal 30% del Nord est Al furto in appartamento seguono il borseggio, con una percentuale complessiva del 14%, e il furto di veicoli, con il 12,5%, particolarmente frequente al Sud, dove la percentuale si attesta sul 20%.

Accanto ai dati ufficiali, per questo tipo di reati c’è anche una rilevante percentuale di "sommerso", ovvero reati subiti ma non denunciati: sia per il furto in appartamento che per il borseggio la percentuale è del 19%, e arriva al 35,7% soltanto nel Nord ovest, area con il tasso di sommerso più alto. Ma quali sono i luoghi o le situazioni in cui gli italiani si sentono più insicuri?

Attraversare una zona frequentata da tossicodipendenti è la maggiore ansia per il 36,8% degli intervistati, in prevalenza uomini (42%) rispetto alle donne (33,5%). Il 22,9%, invece, ha indicato come fonte di insicurezza l’attraversare una zona ad alta presenza di immigrati (i più timorosi sono i giovani con una percentuale del 3%), mentre il 20% segnala l’uscire dalla banca o dalla posta dopo aver ritirato denaro contante. Essere solo a casa di notte, nonostante la grande frequenza di furti in appartamento, è motivo di paura solo per il 10,9% degli intervistati, in prevalenza donne (13,2%).

Giustizia: Sott. Caliendo; investire in educazione dei detenuti

Intervista al Sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo

 

www.ilsussidiario.net, 12 settembre 2008

 

L’educazione e la formazione al lavoro dei detenuti come strumento principale per ridurre i casi di recidiva. Questa, secondo il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, la strada maestra da percorrere per creare un rapporto più sereno tra il mondo del carcere e la società esterna, senza andare a toccare la sicurezza dei cittadini. E in questo diventerebbe estremamente utile e funzionale, anche in forme diverse rispetto a quelle discusse finora, l’utilizzo del braccialetto elettronico.

 

Sottosegretario Caliendo, una delle critiche che vengono mosse al governo, per quanto riguarda le misure annunciate in tema di riduzione del sovraffollamento delle carceri, è il fatto che bisognerebbe piuttosto pensare alla costruzione di nuovi istituti penitenziari: cosa risponde?

Per costruire nuove carceri è evidentemente necessario un certo lasso di tempo, e nel migliore dei casi si parla di 5 o 6 anni: pensare solo a quello sarebbe quindi semplicemente rinviare il problema. Il programma che il governo vuole mettere in atto, soprattutto attraverso il rimpatrio dei detenuti stranieri e l’utilizzo del braccialetto elettronico, non esclude comunque possibili ampliamenti di carceri, soprattutto dove questi già sono stati predisposti, o in quei casi dove tali ampliamenti possono ora essere realizzati. Le due cose non si escludono a vicenda; ma resta il fatto che non possiamo concepire solo interventi in là negli anni, altrimenti nel frattempo ci troveremmo in una situazione di ingovernabilità.

 

Il rimpatrio dei detenuti stranieri, per far scontare loro la pena nei paesi d’origine, è una strada effettivamente percorribile, alla luce degli accordi con i paesi da cui proviene principalmente l’immigrazione?

Sì, è una strada percorribile, soprattutto alla luce di alcuni accordi che già sono stati realizzati: andando indietro negli anni già il ministro Martelli aveva stipulato un accordo con l’Albania. Per parlare invece di un esempio recentissimo, l’accordo bilaterale con la Libia può incidere su questi provvedimenti. Su questi accordi che già sono in atto bisogna lavorare per ottenere risultati; poi vedremo quali altre strade percorrere.

 

Per quanto riguarda invece l’utilizzo del braccialetto elettronico, ci sono garanzie sull’effettiva efficacia, anche dal punto di vista tecnico, di questo provvedimento?

Il braccialetto elettronico, indipendentemente da quelle che saranno poi le valutazioni precise sui costi qui in Italia, è già stato applicato in altri paesi, ad esempio in Francia, dove di fatto non sono stati registrati incrementi di evasioni. Non è certo una cosa da realizzare da un giorno all’altro: ma ci sono esempi positivi che ci dicono che questo provvedimento possa essere attuato senza ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini.

 

Potrebbe anche essere esteso per sostituire interamente il carcere con gli arresti domiciliari?

Si può pensare anche a un’applicazione di questo genere, purché ci siano naturalmente i presupposti per l’applicazione degli arresti domiciliari e dopo aver adeguatamente testato l’efficacia dello strumento.

 

Qual è secondo lei il punto essenziale su cui puntare per ridurre al minimo la percentuale di recidiva negli ex-detenuti?

Innanzitutto dobbiamo avere un numero maggiore di educatori. Con la previsione della finanziaria 2007 abbiamo già fatto un concorso per 397 persone, delle quali però, in base ai fondi stanziati, possiamo assumere per il 2009 solo una parte, e poi nel 2010 i rimanenti. Vedremo se con la nuova finanziaria potremo anticipare l’assunzione di questi educatori. Certo si tratta sempre di elementi che contribuiscono ad eliminare la recidiva, ma non possono debellare il fenomeno completamente. Dipende poi dalle posizioni soggettive dei detenuti.

 

Quanto incide da questo punto di vista la formazione al lavoro dei carcerati?

Ha un’importanza fondamentale: gli educatori devono innanzitutto avere la finalità di formare al lavoro. Inoltre, mi permetto anche di far notare che il braccialetto elettronico, una volta introdotto e una volta verificatane la funzionalità e l’efficienza, potrà essere utilizzato, per i detenuti che fossero disponibili, per lavori al servizio della società. Negli Stati Uniti ci sono esempi di utilizzo di detenuti per lavori di costruzione di strade, o per riparazioni, o in altri servizi civili. Si tratta solo di individuare un sistema che naturalmente non comporti, per ogni detenuto, la necessità di impiego di personale della polizia penitenziaria, altrimenti sarebbe evidentemente insostenibile dal punto di vista dei costi. Ma mi sembra una strada percorribile, con effetti positivi sia sulla società che sui detenuti stessi.

Giustizia: Lega Calcio; celle negli stadi e aree per gli ubriachi

di Guglielmo Buccheri

 

La Stampa, 12 settembre 2008

 

Immaginare un campo da calcio con piccole prigioni nella sua pancia, da ieri, è una variabile che suona come una via d’uscita piuttosto rumorosa alla violenza. Provocazione o strada da percorrere, intanto l’idea di una cella per i teppisti dentro lo stadio sta a fotografare lo stato d’animo di un presidente di Lega abituato a stupire e, per una volta, in direzione opposta a quella di solito preferita. Antonio Matarrese lo dice con tono fermo: "Se necessario costruiamo celle negli stadi per mettervi dentro chi delinque. Poi, in un secondo momento, effettueremmo il trasporto nelle carceri: o siamo forti o è meglio arrendersi subito".

Matarrese entra in tackle sul nuovo giro di vite che dal ministero degli Interni è piombato sul calcio italiano: la via Maroni alla lotta contro la follia dei violenti da stadio è un percorso senza tappe durante il quale si moltiplicano i settori degli impianti chiusi e i viaggi dei tifosi vietati.

Il destino del pallone italiano appare "commissariato" come mai lo è stato prima, una svolta che svuota di contenuti comitati di vecchia conoscenza (l’Osservatorio) e di nuova formazione (il Casms) lasciando sul tavolo una scia piena di interrogativi e perplessità. Se, la scorsa stagione, il rischio del corto circuito nasceva dal rapporto presidenti-prefetti che più volte ha capovolto le scelte dell’Osservatorio, la novità nata dai fatti di Roma-Napoli ha spostato il baricentro delle decisioni sull’ordine pubblico sull’asse ministro-prefettura.

Dal giorno dopo le scene di violenza alle stazioni di Napoli e della Capitale (ieri, in appello, è stata ridotta la chiusura delle curve del San Paolo da quattro a tre giornate, ma la società non si ritiene soddisfatta e il direttore generale Marino annuncia il ricorso al Coni per ottenere la revoca), è il responsabile del Viminale ad aver preso in mano il calendario delle partite a rischio segnando sull’agenda del campionato con il rosso le città negate ai tifosi ospiti.

Ultimi "ribaltoni": Inter-Catania, Fiorentina-Bologna e Livorno-Pisa, sfide "aperte" per Osservatorio e Casms, accessibili solo ad interisti o abbonati per il ministro. "Il nostro obiettivo - così Maroni - è tolleranza zero nei confronti della violenza. Non c’è alcun contrasto con l’Osservatorio o con il Casms, ma come autorità nazionale di pubblica sicurezza spetta a me l’ultima parola". Tradotto: al Viminale c’è chi si interroga, disorientato, sul proprio ruolo all’interno di strutture che, oggi, appaiono superate nei fatti dal filo diretto fra il ministro degli Interni e le autorità provinciali di pubblica sicurezza.

Matarrese parte in contropiede affiancando per la prima volta l’offensiva delle istituzioni non sportive. È lontana la richiesta a gran voce per una ri-partenza del campionato senza ostacoli per i tifosi e con il pieno di fiducia: l’unico motivo di frizione fra il gran capo della Lega e Maroni si consuma sul terreno dell’autonomia difesa con le unghie da Matarrese.

"Ognuno faccia quello che sa fare altrimenti si corre il rischio di delegittimare il lavoro del giudice sportivo e di farne un bersaglio dei tifosi". Difesa d’ufficio che Maroni respinge in un duetto davanti alla platea: "Ho solo auspicato un’intesa ancora maggiore tra chi ha la responsabilità dell’ordine pubblico e la giustizia sportiva". Il pallone "commissariato" fa conoscenza, per la prima volta, con ipotesi che apparivano inimmaginabili e che, ora, hanno l’effetto di far nascere malumori come quello della Fiorentina colpita "da un provvedimento contraddittorio che - si legge in una nota del club - penalizza una tifoseria considerata solo la scorsa settimana come la più virtuosa".

Matarrese parla di "celle negli stadi", l’Uefa lo bacchetta: "Meglio impedire che i violenti entrino piuttosto che metterli in gabbia", dice William Gaillard, portavoce di Platini mentre il collega Jonathan Hill, capo dell’ufficio Uefa a Bruxelles critica il comportamento delle forze dell’ordine colpevoli "di non creare il clima giusto per il loro atteggiamento troppo violento". Da oggi, in tv e sui maxischermi degli stadi, ci sarà spazio per lo spot anti-teppisti: una magia di Ibra per far riflettere.

Giustizia: il ddl Carfagna contro la prostituzione, luci e ombre

 

Vita, 12 settembre 2008

 

Intervista a Paolo Ramonda, responsabile della Papa Giovanni XXIII: "Un passo storico, ma la norma non tocca le case chiuse e sui minori si poteva fare meglio".

È stato approvato all’unanimità al Consiglio dei Ministri il disegno di legge contenente "Misure contro la prostituzione" predisposto dal ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna in coordinamento con i ministri Maroni e Alfano. "Per la prima volta dal 1958 ad oggi s’interviene su questo argomento, nell’intento di dare uno schiaffo durissimo al mercato della prostituzione", ha spiegato il ministro Carfagna in conferenza stampa. "La strada è infatti il luogo privilegiato in cui si consumano fenomeni vergognosi: tratta, riduzione in schiavitù e gravissime forme di abuso ai danni delle minorenni, dallo stupro fino all’omicidio". Il testo, composto di 4 articoli, punta a punire allo stesso modo cliente e prostituta colti sulle strade o in luoghi aperti al pubblico. Una seconda parte del ddl riguarda invece il "rimpatrio assistito" dei minori. "Una forma particolare di rimpatrio", ha spiegato la Carfagna, "Che sarà esteso anche ai minori extracomunitari non accompagnati attraverso un emendamento al ddl sulla sicurezza in discussione al Senato".

Sull’argomento Vita ha interpellato il responsabile generale dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo Ramonda, che da anni è in prima linea per liberare dalla schiavitù le prostitute.

 

Qual è la vostra opinione su questo disegno di legge?

Contiene luci e ombre. Da un lato è condivisibile la volontà di togliere dalle strade il fenomeno, ma ci rammarica che il ministro Carfagna, contrariamente a quanto ci aveva promesso, non abbia esteso la lotta anche alle case chiuse, agli appartamenti e ai luoghi chiusi in cui si consuma comunque lo sfruttamento e l’abuso.

 

È stata però prevista per la prima volta la punibilità del cliente...

Questo è invece un traguardo storico, una misura che certamente aiuterà a contrastare il fenomeno, dal momento che in Italia i clienti sono oggi almeno 3 milioni. La punibilità del cliente è una leva fortissima: in Svezia, dove è già prevista, ha funzionato molto bene.

 

Parliamo del rimpatrio dei minori...

Su questo punto invece userei molta più cautela. L’idea del ricongiungimento familiare, ad esempio, deve essere attuata con estrema attenzione. Sappiamo per esperienza che spesso le famiglie delle giovani prostitute sono loro stesse nelle mani del racket, sotto la minaccia di gravi vendette. Oppure hanno disposto in proprio la "vendita" della loro figlia per il mercato della prostituzione.

 

Siete preoccupati?

Su questo fronte sì, anche perché le minorenni sono numerose. Non è infrequente intercettare ragazzine di 13-14 anni che si trovano già ad essere schiave sulle strade. Riteniamo che la soluzione non possa essere il rimpatrio tout court, servirebbe almeno un periodo di protezione presso le associazioni italiane che le tutelano, in modo da chiarire la loro situazione.

 

Le altre reazioni

 

Save the Children esprime "forte preoccupazione" per il disegno di legge sulla prostituzione voluto dal ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. In particolare, l’organizzazione che difende i diritti dell’infanzia teme che il ddl "non possa garantire tutela e assistenza ai minori stranieri, soprattutto a quelli coinvolti nella prostituzione, spesso vittime di tratta e sfruttamento". Save the Children contesta l’articolo 3 del ddl Carfagna. Questo prevede infatti l’emanazione di procedure accelerate e semplificate, per l’adozione del provvedimento di rimpatrio assistito del minore che abbia esercitato la prostituzione, al fine di favorirne il reinserimento presso le famiglie d’origine o, in mancanza, presso le apposite strutture presenti nel Paese d’origine. L’organizzazione sottolinea come il rimpatrio assistito di un minore debba avvenire, solo se ciò risponde al suo superiore interesse e solo dopo aver valutato: l’eventuale rischio di violenze o abusi che il minore potrebbe subire, in caso di rimpatrio in una nazione afflitta da guerre; la situazione sociale del Paese di origine; la disponibilità dei genitori o parenti ad accogliere il minore, accertandosi prima della loro estraneità da comportamenti pregiudizievoli nei confronti del ragazzo o ragazza; infine, il grado di inserimento del minore in Italia. "Nel determinare il suo superiore interesse - sostiene Save the Children - il minore deve essere ascoltato". Save the Children chiede quindi, che nel corso dell’iter parlamentare del disegno di Legge sulla prostituzione, "sia stralciato il secondo comma dell’articolo 3, in modo che resti applicabile la normativa in materia di rimpatrio assistito prevista per tutti i minori migranti presenti sul territorio italiano, compresi quelli coinvolti in attività di prostituzione".

"Stiamo attenti e vigili, la prostituzione si è spostata dalle strade ai marciapiedi virtuali dove il controllo diventa sempre più difficile perché molto più globale". Lo dichiara don Fortunato Di Noto, sacerdote siciliano presidente della Associazione Meter, commentando il disegno di legge contro la prostituzione approvato questa mattina in Consiglio dei ministri, soprattutto le norme riguardanti quella minorile. "La vergogna della prostituzione minorile sulle strade (anche quelle virtuali) - afferma don Di Noto - è il segnale di una società fallimentare che ha posto il mercato del sesso ai laboratori del rispetto e della dignità delle persone, partendo dai bambini e dal sostegno concreto alle famiglie. Dietro una minore corrotta c’è sempre un grande corruttore. Bene il ddl contro la prostituzione, soprattutto quella minorile, ma non si abbassi mai la guarda di questo assurdo e strisciante fenomeno che si confonde con la pedo-criminalità, strutturata in Internet (basti pensare alle Guide Mondiali del Sesso). Nei paesi di origine delle minori, che dovrebbero essere rimpatriati ci sia una vera e corretta assistenza, ci preoccupa se vanno a fare le prostitute nei loro paesi, alimentando così il turismo sessuale". "È fondamentale rompere la catena dello sfruttamento attraverso accordi di cooperazione tra Stati - dice ancora don Di Noto - la merce oggetto del business è venduta e sfruttata, ma non soltanto in loco. è anche trasportata e consegnata a chi la richiede perché sia immessa in un mercato che collega il paese di provenienza con quello di destinazione. La catena dello sfruttamento è ben organizzata ed estremamente pericolosa e raffinata".

"L’odioso fenomeno della prostituzione minorile ha in questo modo una risposta ferma e severa da parte delle istituzioni: purtroppo sulle strade si prostituiscono ragazze sempre più giovani, ed era giusto cominciare a colpire sia chi le sfrutta che chi permette a questo fenomeno di perpetuarsi andando come cliente a cercare proprio le minorenni". Il Moige - Movimento Italiano Genitori - interviene a commento del ddl Carfagna sulla prostituzione che prevede, tra le altre misure, la reclusione (da 6 mesi fino a 4 anni) e una multa che potrà oscillare tra i 1500 e i 6 mila euro per chi compie atti sessuali con minori di età tra 16 e i 18 anni. "È giusto inasprire le pene per chi compie reati contro i minori, - ha affermato Maria Rita Munizzi, Presidente nazionale del Moige. "Ci sembra che questo disegno di legge risponda anche ad una tendenza in atto ormai da anni, cioè quella che vede i cosiddetti clienti andarsi a cercare prostitute sempre più giovani, alimentando così uno squallido mercato che spesso ha come bacino d’utenza i minori dei paesi più poveri. Di più, aggiungiamo, crediamo che la politica debba nei prossimi anni seguire la strada dell’inasprimento delle pene per tutti reati che coinvolgono i minori, a cominciare da quelli legati alla pedofilia".

 

Il testo del disegno di legge

 

Art. 1

(modifiche alla legge 20 febbraio 1958, n. 75).

 

1. All’art. 1 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: "Chiunque esercita la prostituzione ovvero invita ad avvalersene in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l’arresto da cinque a quindici giorni e con l’ammenda da duecento a tremila euro.

Alla medesima pena prevista al secondo comma soggiace chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione o le contratta".

 

Art. 2

(prostituzione minorile e rimpatrio assistito).

 

1. L’articolo 600-bis del codice penale è sostituito dal seguente:

"Art 600-bis (Prostituzione minorile) È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.000 a euro 150.000 chiunque:

a) recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto;

b) favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i sedici ed i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità, è punito con la reclusine da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000..

Se i fatti di cui al primo e secondo comma sono commessi nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Le circostanze attenuanti eventualmente concorrenti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, non possono essere ritenute equivalenti rispetto alla presente aggravante e le diminuzioni di pensa si operano sulla quantità di pena risultante dall’applicazione della stessa.

Se l’autore dei fatti di cui al secondo e terzo comma è minore di anni diciotto la pena è ridotta da un terzo a due terzi".

2. I soggetti minori stranieri non accompagnati che esercitano la prostituzione nel territorio dello Stato, sono riaffilati alla famiglia o alle autorità responsabili del Paese di origine o di provenienza, nel rispetto dei diritti garantiti al minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria e con modalità tali da assicurare il rispetto e l’integrità delle condizioni psicologiche del minore, attraverso la procedura di rimpatrio assistito di cui al comma 2-bis dell’articolo 33 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni. Con regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 1 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o di Ministro delegato, di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali, degli affari esteri, dell’interno e della giustizia, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite procedure accelerate e semplificate per l’adozione del provvedimento di rimpatrio assistito del minore che abbia esercitato la prostituzione.

 

Art. 3

(Associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione).

 

1. All’articolo 416 del codice penale è aggiunto il seguente comma:

"Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dall’articolo 600-bis ovvero i delitti di reclutamento, induzione, agevolazione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi di cui al primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma".

 

Art. 4

(Norme finanziarie e abrogazioni)

 

1. Dall’attuazione del comma 2 dell’articolo 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Alle attività previste dalla presente legge le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

2. È abrogato l’articolo 5 della legge 20 febbraio 1958, n. 75.

 

Emendamento

 

Dopo l’articolo 18 aggiungere il seguente: Art. 18 - bis (Rimpatrio assistito di minore cittadino dell’Unione europea).

1. Le disposizioni relative al rimpatrio assistito di cui all’articolo 33, comma 2-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, si applicano ai minori cittadini dell’Unione europea non accompagnati presenti nel territorio dello Stato, quando sia necessario nell’interesse del minore stesso, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.

Giustizia: sulla prostituzione "passo indietro" di mezzo secolo

di Gad Lerner

 

La Repubblica, venerdì 12 settembre 2008

 

Il principale canale televisivo pubblico di questo paese sta dedicando ben quattro prime serate al concorso di Miss Italia, in cui vengono scrutati e votati centinaia di corpi femminili. Dubito che ciò accada in altre nazioni progredite. La più nota manifestazione culturale di un partito di governo si chiama Miss Padania, celebrata alla presenza del suo segretario politico che è anche ministro della Repubblica.

Notevole clamore suscitò la presenza al Telegatto del futuro ministro alle Pari Opportunità, particolarmente ammirata in tale circostanza dall’attuale presidente del Consiglio. La stessa Mara Carfagna, del resto, deve la sua prima notorietà a spettacoli televisivi incentrati sull’esibizione seduttiva della femminilità.

La mercificazione del desiderio sessuale maschile è un fenomeno esasperato da tale offerta consumistica, che viene riconosciuta fra le cause principali del boom della prostituzione. Comprare le prestazioni di una donna - in un contesto culturale che autorizza la mortificazione pubblica della sua dignità - è scorciatoia considerata sempre meno riprovevole, come dimostra l’espansione del mercato anche fra i giovani e le fasce sociali abbienti. La fatica di un rapporto sentimentale, la ricerca di partner gratificanti in quanto corrispondono al modello pornografico televisivo, determinano fenomeni crescenti di violenza sopraffattrice e di impotenza. Moltiplicano il bisogno di incontri occasionali e le frustrazioni di coppia.

Eludendo tale enorme questione culturale, che incrementa il mercato delle ragazze dell’est e di colore con il falso mito della loro sottomissione, oggi il governo accomuna nella sbrigativa nozione di "reato" le prostitute e i loro clienti. Si illude di fare pulizia, compiendo un passo indietro di mezzo secolo. Al contempo bacchettona e sporcacciona, nel segno dell’ipocrisia, la destra di governo legifera sovrapponendo il volto di uno Stato intrusivo nel magma dell’eros da marciapiede. Quelle ragazze si vendono sotto giganteschi tabelloni pubblicitari di cui riproducono la volgarità. Tanto bastò, nel giugno scorso, perché un emendamento al decreto sulla sicurezza poi ritirato le indicasse tra le "persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità". Un binomio ideologico che è tutto un programma: "sicurezza" e "pubblica moralità", ovvero Autorità e Valori.

Ma ora che il disegno di legge Carfagna aggiunge tra i colpevoli pure i loro clienti, il decisionismo governativo deve per forza autolimitarsi, occupandosi solo della visibilità del fenomeno: punibile sarà la prostituzione di strada, indubbiamente sgradevole per molte categorie di cittadini perché contribuisce al degrado urbano.

Il ministro Carfagna dichiara "orrore" di fronte alle persone che vendono il loro corpo, senza distinguere fra coloro che lo fanno per scelta (quanto libera?) e quelle sfruttate da organizzazioni criminali. Si espone così all’obiezione della portavoce delle prostitute Carla Corso, la quale le ricorda che - sebbene in forma diversa - anch’essa ha utilizzato la desiderabilità del suo corpo per conseguire il successo professionale. Ma pur senza addentrarsi nel rapporto elusivo e insincero con il proprio passato del ministro Carfagna, è lecito chiederle: se la prostituzione è un "orrore", perché vietarla solo per strada?

Vietare la prostituzione di strada sarebbe accettabile - così come la legge già punisce i rapporti a pagamento con minorenni e il racket - se contemplasse ambiti legali e tutelati per il sesso mercificato. Invece la falsa categoria dell’"orrore" - che è solo un’invettiva, una manifestazione di disprezzo, e consente di chiudere gli occhi di fronte alla malattia dell’amore degradato - viene esibita per negare pure l’alternativa di una prostituzione esercitata in luoghi più degni. Cioè per evitare scelte politiche che la stessa dottrina cattolica accetta come "riduzione del danno".

Non stupisce allora che la stessa Caritas si opponga al nuovo reato di "prostituzione di strada", denunciando il rischio di favorire lo sfruttamento nella clandestinità delle persone più deboli. Così come il "reinserimento nel paese d’origine" dei minorenni risponde più a una logica di espulsione sbrigativa che di accudimento pietoso.

Se davvero venisse applicato l’arresto e l’incarcerazione di prostitute e clienti, al di là di qualche retata spettacolare da trasmettere nei telegiornali, le nostre prigioni ne verrebbero ben presto saturate. Suppongo che le forze dell’ordine impegnate sul fronte del crimine abbiano altre priorità, e dunque non si preveda di andare oltre l’effetto dissuasivo e simbolico. Anche se con la capienza degli istituti di pena non si può scherzare a lungo: tra non molto, c’è da giurarci, il decisionismo governativo troverà il modo di importare pure in Italia il business delle carceri private, unica soluzione per una popolazione detenuta destinata a rapido incremento.

Avremo con ciò un paese più pulito o più sporco? Davvero qualcuno crede che la lezione di morale sessuale del ministro Carfagna risulti credibile ai suoi stessi elettori? E che questa destra diretta emanazione dello show business televisivo, specializzato in vallettopoli, sappia tutelare il rispetto per il corpo femminile?

La prostituzione è un fenomeno alimentato dalla povertà e dalla misoginia reazionaria, cause difficili da estirpare. E infatti secoli di storia del potere italiano, clericale e libertino, narrano di vizi occultati e di svergognate colpevoli puttane. Il futuro non promette di meglio.

Opera: detenuto paraplegico impiccato, è dubbio sul suicidio

di Ivano Tolettini

 

Giornale di Vicenza, 12 settembre 2008

 

Il giostraio vicentino Jonny Montenegrini è stato trovato morto ieri nel carcere di Opera a Milano. I familiari e l’avvocato Benvegnù sollevano perplessità sul decesso e chiedono sia fatta chiarezza. Per oggi è stata disposta l’autopsia.

Per i familiari e l’avvocato la sua morte è un giallo. Non credono all’ipotesi del suo suicidio. Lo hanno trovato impiccato in una cella del carcere di Opera a Milano. Il giostraio bassanese Jonny Montenegrini, 32 anni, era stato arrestato il 20 giugno dai carabinieri di Vicenza per una rapina avvenuta l’11 maggio a Camisano. Era paraplegico e perciò non aveva l’uso delle gambe. Era ritenuto l’autista del commando che aveva alleggerito la biglietteria degli autoscontri di Renzo Rizzi.

"I familiari sono sconvolti e non credono alla tesi del suicidio - spiega l’avvocato Riccardo Benvegnù di Padova, difensore della vittima -. Del resto, io stesso nutro delle perplessità. Ci sono circostanze che non mi quadrano. L’avevo visto di recente ed era fiducioso sull’esito dell’inchiesta della procura di Vicenza perché mi ripeteva di non essere stato lui a guidare l’auto della fuga. Per capirci, non lasciava certo intendere che fosse in una critica situazione psicologica".

Quest’oggi la procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per capire cos’è realmente accaduto, incaricherà il medico legale di eseguire l’autopsia. Lo stesso avvocato Benvegnù ha incaricato il dott. Massimo Aleo di Milano di seguire come consulente di parte l’esame autoptico. Montenegrini è stato rinvenuto privo di vita ieri all’alba. La morte risaliva a qualche ora prima. Nessuna delle guardie presenti si è accorta di nulla.

Viste le sue condizioni di salute dopo l’emissione dell’ordine di custodia firmato dal gip Agatella Giuffrida su richiesta del pm Claudia Dal Martello, titolare dell’inchiesta, era stato trasferito al carcere di Opera perché ci sono delle celle attrezzate per i disabili. Montenegrini, gravato da qualche precedente, era accusato di avere guidato la Fiat Tipo bianca dalla quale la sera del 11 maggio scesero due individui che, incappucciati, aggredirono un componente della famiglia Rizzi e arraffarono 500 euro.

Il colpo avvenne alle 22.30 in centro a Camisano e a quell’ora di gente in giro ce n’era parecchia. Per questo i carabinieri del luogotenente Sartori raccolsero testimonianze per individuare come presunto autista della banda proprio Montenegrini. Il pm Dal Martello di recente aveva chiesto al gip un confronto all’americana (la cosiddetta ricognizione di persona) in tribunale a Vicenza nella forma dell’incidente probatorio. "Montenegrini era tranquillo - aggiunge l’avv. Benvegnù - ed era un soggetto tutt’altro che depresso. Tra l’altro, le modalità di quello che dagli inquirenti è ritenuto come un suicidio sono complicate, tenuto conto che era invalido. Pesava oltre 80 chili ed aveva degli obiettivi problemi per architettare un suicidio di quel tipo. Sono davvero molto perplesso".

Ma quali elementi hanno i familiari, che risiedono a Bassano in via Boito 26, per ritenere che le probabilità che il congiunto sia stato vittima di un suicidio sono poche? E se fosse vero, chi mai avrebbe potuto volere la morte di un invalido in carcere? Tra l’altro, era sempre stato coinvolto in fatti di cronaca nera non particolarmente eclatanti. Chi mai poteva volerlo ucciso?

"La sua morte per noi è un mistero e presenta comunque molti punti oscuri - conclude Benvegnù. C’erano stati degli sgarbi in carcere e ne aveva parlato. Ci attendiamo già dall’autopsia le prime risposte importanti".

Roma: muore detenuto tossicodipendente, forse per percosse

 

Il Velino, 12 settembre 2008

 

Un detenuto di 41 anni è morto martedì pomeriggio nell’ospedale di Velletri a causa di alcune percosse subite il giorno precedente, ma è giallo sulle cause del decesso. Per l’associazione Antigone, che ha denunciato l’episodio, a provocarne la morte sarebbero state le violenze subite dopo l’arresto, ma il direttore del carcere di Velletri, Giuseppe Makovec, frena: "Non è possibile stabilire il nesso di causa-effetto tra le fratture riportate dalla vittima e il decesso e ancora meno se queste possano essere state provocate dalla colluttazione in cui l’uomo era coinvolto o dalle fasi concitate dell’arresto", ha affermato al Velino.

Il detenuto, un tossicodipendente italiano di 41 anni con diversi precedenti per droga era arrivato in carcere lunedì sera dalla questura di Anzio, dove era stato condotto da una volante di polizia al termine di una rissa e in seguito era stato arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.

L’uomo, affetto da cirrosi epatica, aveva diverse fratture e secondo quanto stabilito dal medico della casa circondariale presentava "un grave stato di sofferenza epatica". Martedì mattina, alla terza visita nel giro di poche, dopo un’ecografia l’uomo è stato ricoverato in ospedale per la gravità delle sue condizioni, ma durante gli accertamenti al pronto soccorso, verso le 15, è deceduto.

Sarà il responso dell’autopsia, eseguita ieri mattina, a dover sciogliere i dubbi sul possibile nesso con le violenze subite e chiarire se queste possano essere state riportate durante la rissa o in un secondo momento. Non ha dubbi, invece, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale, tanto da aver istituito un osservatorio sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. "Abbiamo aspettato un paio di giorni in attesa che la notizia venisse diffusa dalle autorità: visto che non si è mosso nulla, lo abbiamo fatto noi - ha affermato -. Chiediamo un intervento delle autorità amministrative affinché facciano chiarezza sull’episodio e segnaleremo il caso agli organismi internazionali che si occupano di tortura".

E l’intervento dei ministri della Giustizia Angelino Alfano e dell’Interno Roberto Maroni affinché avviino indagini sulla vicenda è stato chiesto da Pino Sogbio, della segreteria nazionale del Pdci. "I ministri dell’Interno e della Giustizia avviino un’indagine su quanto denunciato dall’associazione Antigone a Velletri - ha detto Sgobio in un comunicato - Sull’episodio è opportuno che chi di dovere faccia piena luce, nell’interesse della civiltà giuridica del nostro paese".

 

Nieri (Lazio): chiarezza sul detenuto morto a Velletri

 

"La notizia segnalata dall’associazione Antigone, se corrisponde al vero, è di gravità inaudita". Così l’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri commenta la notizia diffusa dall’associazione secondo la quale, qualche giorno fa, un detenuto tossicodipendente sarebbe stato picchiato dalla polizia municipale di Velletri, e poi condotto in carcere, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale.

Le sue condizioni in cella si sarebbero aggravate e trasportato in ospedale, l’uomo è morto. "È dovere di chiunque abbia un ruolo istituzionale - afferma l’assessore - fornire chiarimenti sulla vicenda. Se i fatti corrispondessero a verità sarebbe evidente il nesso con un clima di violenza e di intolleranza che si respira nell’aria a causa di irresponsabili opzioni politiche della destra al governo. Auspico, pertanto, che si faccia luce sull’episodio, tanto più che, come sempre - conclude Nieri - la vittima non pare essere un pericoloso criminale bensì una persona rispetto alla quale era prioritaria un’azione di sostegno sociale".

Nuoro: detenuto marocchino inala gas e muore nella sua cella

di Antonello Palmas

 

La Nuova Sardegna, 12 settembre 2008

 

Quasi certamente ha inalato una dose letale di gas dalla bomboletta del fornellino in dotazione per stordirsi, ma senza l’intenzione di uccidersi: così sarebbe morto due sere fa, verso le 21,15, un detenuto marocchino (del quale non sono state rese note le generalità) nel bagno della sua stanza nel carcere di Badu ‘e Carros. I compagni (siamo in periodo di Ramadan, pare che dopo cena avessero anch’essi assunto gas e fossero alterati) non si sarebbero subito resi conto del fatto, se non quando non c’era più nulla da fare.

Indaga la magistratura e si attendono maggior certezze dall’esito dell’autopsia. Carlo Murgia, il sociologo garante dei detenuti, commenta: "È l’ulteriore conferma di quanto all’interno del carcere sia diffusa l’abitudine dell’uso di sostanze nel tentativo di alleviare lo stato di sofferenza." Si apre una finestra su un mondo del quale si ha spesso una percezione sbagliata: "L’opinione pubblica è convinta che questo non sia un luogo di pena, ma una specie di ostello dove si guarda la tv o si studia. Invece non si socializza affatto, l’ingranaggio più oscuro dello Stato, l’immagine opaca della società" dice amaramente Murgia.

E gli stranieri stanno peggio: "Soffrono di certo più di altri - risponde - per la lingua, per le difficoltà di socializzazione e per la provenienza da culture differenti". Murgia ricorda come la legge preveda che l’Asl acquisisca il reparto sanitario degli istituti di pena, ma ciò non accade per le lentezze della burocrazia regionale e la mancanza di fondi: "Significa che i detenuti andrebbero curati esattamente come tutti gli altri cittadini - spiega - ma non è così.

Così il carcere diviene valvola di sfogo delle aggressività individuali e collettive, e le patologie sadomaso di realizzano con totalità e quotidianamente". Il sindacalista Cisl Giorgio Mustaro: "Incide il problema delle strutture non adeguate nonostante i rattoppi, la mancanza di un numero adeguato di educatori (due per 300 detenuti). Tra le esigenze c’è anche quella di avere un direttore da non dividere con Sassari, come accade ora".

Padova: programmi reinserimento per maggioranza detenuti

Intervista ad Ornella Favero a cura di Andrea Volpicelli

 

Ecopolis, 12 settembre 2008

 

Al penitenziario Due Palazzi di Padova, la maggioranza dei detenuti è coinvolta in programmi alternativi e di reinserimento. Il risultato? La recidiva scende al 19% per coloro che sono usciti prima dal carcere con misure alternative, contro una media del 70% di chi non ne usufruisce.

Ecco perché Ristretti Orizzonti, la redazione del bimestrale che informa dal e nel carcere, è impegnata nella difesa della Legge Gozzini. Intervista ad Ornella Favero.

La realtà delle carceri risulta molto complessa e problematica, pertanto, complici anche le informazioni superficiali spesso passate dai media, facilmente si corre il rischio di banalizzarla ed imbattersi nello stereotipo del detenuto "alieno", dimenticando che, sebbene abbia un passato di errori, talvolta gravi, è innanzi tutto una persona.

Per capirne di più, siamo entrati nel Penitenziario Due Palazzi di Padova, dove abbiamo incontrato Ornella Favero, coordinatrice di Ristretti Orizzonti, la testata bimestrale dell’associazione di volontariato penitenziario Granello di Senape, che si occupa di informazione per i detenuti e di sensibilizzare la società, le istituzioni e i media sui temi del carcere.

Un aspetto positivo del Due Palazzi, ci dice Ornella, è che molti dei circa 700 detenuti con condanne definitive, sono impegnati in programmi alternativi e di reinserimento: si svolgono attività lavorative, come la pasticceria, la cucina, produzione di manichini etc. o attività scolastiche che coprono l’intero ciclo di studi, università compresa. Un’importanza particolare va riconosciuta all’attività di Ristretti Orizzonti che con la sua testata giornalistica, il Tg2 Palazzi e il gruppo Rassegne Stampa, si occupa di fare informazione nel e dal carcere. La redazione è composta da circa trenta detenuti di diverse nazionalità, impegnati direttamente nella stesura degli articoli per il giornale dell’associazione, inoltre curano uno spazio loro dedicato sul Mattino di Padova. Alcuni detenuti preparano le pagine web per il sito, www.ristretti.it, altri sono attivi presso uno sportello che presta assistenza ai detenuti per l’orientamento giuridico.

Inoltre il comune impegno di volontari e detenuti ha reso possibile la realizzazione del progetto di educazione alla legalità "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere", che quest’anno ha portato nel Due Palazzi più di mille ragazzi per sensibilizzarli sulle reali responsabilità che ognuno di noi porta nell’agire quotidiano, ma anche sulla funzione rieducativa che il carcere deve offrire a chi ha commesso un errore, nella consapevolezza che, dice Ornella Favero, "i detenuti sono Persone, non reati che camminano".

Da una parte il lavoro che permette alle persone detenute di rendersi economicamente indipendenti senza dover pesare sulle famiglie, dall’altra l’opportunità di crescere culturalmente e mantenere i contatti con la realtà esterna, descrivono una situazione positiva della realtà carceraria di Padova, in cui molti detenuti possono gradualmente integrarsi nella società, senza uscire a fine pena in uno stato di totale abbandono, prima causa, questa, di ritorno a delinquere.

Del resto i dati parlano chiaro: da un’indagine del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risulta che tra chi sconta l’intera pena in carcere senza misure di integrazione in società, circa il 70% torna a commettere reati; la recidiva scende invece al 19% per coloro che sono usciti prima dal carcere, ma seguendo un percorso di graduale reinserimento.

È difficile pensare ad un cambiamento per i carcerati se emarginati dalla società, quindi, sostiene la direttrice di Ristretti Orizzonti, "più galera non vuol dire affatto più sicurezza".

Ristretti Orizzonti compie proprio quest’estate dieci anni di attività e può gioire per il raggiungimento di importanti traguardi, perché oggi un giornale fatto da dilettanti occupa un ruolo importante nel campo dell’informazione ed è un punto di riferimento anche per i media di professione.

Tra le battaglie che attualmente porta avanti Ristretti Orizzonti, c’è la difesa della legge Gozzini: quella legge che allo sconto di pena totale senza misure alternative, preferisce avviare i detenuti ad un lento cammino di reintroduzione in società, per esempio attraverso permessi premio o la semilibertà, al fine di dar loro la possibilità di allacciare una serie di sane relazioni con il mondo esterno, evitando l’impatto traumatico di un’uscita improvvisa a fine pena che facilmente li potrebbe riportare sulla vecchia strada.

La legge Gozzini però si vede continuamente minacciata da una serie di scelte politiche di senso opposto che tendono a ridurre drasticamente i "benefici penitenziari", correndo in realtà il grosso rischio di infierire negativamente sullo stato di sicurezza del paese.

Un altro importante obiettivo per il quale si sta battendo Ristretti Orizzonti si chiama "Sto imparando a non odiare": un’iniziativa per far dialogare vittime e autori di reato, per aprire un confronto significativo sul senso della pena.

Cuneo: lavoro in carcere; Pres. Provincia incontra operatori

 

www.targatocn.it, 12 settembre 2008

 

Il lavoro in carcere è una condizione importante per il recupero del detenuto e il suo reinserimento nella società civile. È quanto ribadito dall’incontro che si è svolto martedì in Provincia tra il presidente Raffaele Costa, l’assessore provinciale al Lavoro Angelo Rosso, i rappresentanti del coordinamento dei Gol (Gruppo operativo locale), dell’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) e dei Centri per l’Impiego di Cuneo, Alba-Bra, Fossano, Mondovì e Saluzzo. Per le direzioni degli istituti penitenziari della Granda, tutte invitate, erano presenti i rappresentanti di Cuneo e Fossano. L’incontro è servito a far il punto sulla situazione occupazionale dei detenuti in generale e anche del Cuneese. A livello nazionale, su più di 50mila detenuti, solamente il 27% lavora e, di questi, appena il 3% lavora alle dipendenze di ditte esterne, mentre il 24% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria per lavori di manutenzione e pulizia.

A Cuneo, come ha spiegato il rappresentante dell’istituto penitenziario, sono 43 su 217 i detenuti impiegati esclusivamente nel lavoro interno. Le difficoltà a far lavorare i detenuti sono tante, a partire dalla mancanza di una legislazione che offra un reale interesse alle imprese esterne. La popolazione carceraria, oltre a non essere stabile, è molto cambiata negli ultimi anni e risulta composta in gran parte da stranieri spesso non occupabili e con bassa scolarizzazione. Inoltre, come ha sottolineato la dirigente della Provincia, è in corso una riduzione di circa il 10% dei finanziamenti finalizzati alla formazione professionale anche in carcere. L’importanza del lavoro in carcere è stata sottolineata anche dai rappresentanti dei Gol. Tra le ipotesi concrete anche il ritorno al lavoro a cottimo, già praticato prima del 1975 quando la legislazione vigente lo permetteva. Da allora sono poi entrate in vigore nuove norme sulla sicurezza sul lavoro e prescrizioni che hanno ridotto le possibilità di lavoro. "Prenderò contatto a livello locale con le aziende - ha concluso Costa - per cercare di aprire nuove opportunità lavorative per i detenuti e chiederò al Parlamento modifiche di legge che, pur nel rispetto della sicurezza, creino le condizioni necessarie affinché dall’esterno delle carceri vi sia qualcuno disposto ad affidare ai detenuti un lavoro retribuito, realmente formativo e produttivo".

Immigrazione: blitz nel campo rom, 70 agenti e un elicottero

di Davide Varì

 

Liberazione, 12 settembre 2008

 

"Sono arrivati alle 6.30 quelli della polizia municipale e hanno iniziato a prendere alcuni di noi. Poi li hanno fatti salire su un pullman e li hanno portati via. Così, senza avvertirci. Ci stanno togliendo i gruppi elettrogeni e tutte le nostre cose". Seliva parla con la voce rotta dal pianto, ha ancora negli occhi la retata, e racconta la dinamica del vero e proprio rastrellamento compiuto ieri mattina all’alba dalla polizia municipale nel campo rom Casilino 900 di Roma.

Un campo storico della capitale che ospita decine di famiglie e circa 150 bambini, tutti scolarizzati. Nel corso del rastrellamento - che la polizia preferisce però definire "operazione" - dieci persone, tra cui, sembra, 2 minorenni, sono state fermate e condotte in questura.

Seliva ha poi riferito che la stessa polizia avrebbe fermato anche donne incinta e persone molto anziane e persone malate. "Ci hanno chiesto gli scontrini di tre gruppi elettrogeni che abbiamo nel campo per dimostrare che fossero davvero nostri. Hanno portato via anche il padre di un bambino down che ha crisi epilettiche e che deve essere sottoposto a delle visite quotidianamente. Come si può fare questo?".

Il blitz, si diceva, è scattato all’alba, alle 6 e mezza di ieri. Imponenti i mezzi utilizzati dalle forze dell’ordine: 70 agenti di polizia municipale e un elicottero che si è alzato in volo per segnale e bloccare eventuali fughe. Insomma, più che un’operazione di polizia, quello di ieri è sembrato più un blitz militare che, per qualche ora, ha trasformato il quartiere Casilino in una periferia di Bagdad. Una volta sul posto gli agenti hanno passato al setaccio le circa 150 baracche nelle quali vivono donne, vecchi e bambini. Tanti bambini.

I vigili parlano poi di refurtiva rinvenuta: "Tute mimetiche dell’esercito, idranti per spegnere le fiamme, con il sigillo del ministero dell’Interno senza bocchettoni di rame, motorini con il numero di telaio alterato, tre gruppi elettrogeni nuovi.

Sulla vicenda è intervenuta Anna Pizzo, consigliere di rifondazione della regione Lazio: "Quello che è avvenuto nel campo rom di Casilino 900 è inaudito. Si è trattato di vero e proprio rastrellamento: la polizia ha intimato agli abitanti di salire sul pullman senza fornire alcuna spiegazione, ispezionando baracca per baracca e togliendo loro i gruppi elettrogeni e i pochi effetti personali". "Oltre a rincorrere chi delinque all’interno del campo rom - ha poi dichiarato Pizzo - le forze dell’ordine dovrebbero ispezionare le stanze del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno per capire come sia finita a Casilino 900 la refurtiva con il marchio dei due Ministeri".

Anche l’europarlamentare di Rifondazione Giusto Catania parla di rastrellamento e aggiunge: "Non sembra casuale che le operazioni di censimento del Casilino 900, e i rastrellamenti di ieri, siano stati avviati proprio all’indomani della decisione del PE di visitare questo campo nomadi nell’ambito della delegazione di europarlamentari che sarà a Roma il 18 e 19 settembre prossimi. Tutto questo assomiglia a un film già visto, come quando nel 2005 il governo italiano ripulì nottetempo il Cpt di Lampedusa prima della visita della delegazione del PE. Non vorremmo - continua Catania - che anche questa visita si trasformasse in una farsa. Chiediamo a Gerard Déprez, Presidente della commissione Libe e capodelegazione, di farsi portavoce presso il Ministro Maroni delle nostre preoccupazioni per garantire il corretto svolgimento della visita degli eurodeputati".

Disappunto arriva anche dalla Croce rossa italiana, incaricata di seguire le operazioni di censimento ordinate dal ministro Maroni: "Il blitz di questa mattina non c’entra niente con il censimento che inizierà oggi. Non si può fare il processo alle intenzioni anche se si potrebbe dire che stamani ci sia stato un eccesso di zelo", ha dichiarato Massimo Barra, presidente della Croce rossa italiana.

Immigrazione: aumentano gli sbarchi… aumentano le stragi

 

Aprile on-line, 12 settembre 2008

 

Più sbarchi, più stragi. Secondo Fortresse Europe, raddoppiano le vittime dell’immigrazione nel Canale di Sicilia, di pari passo con l’aumento degli arrivi. Sempre più grave il bollettino dalle frontiere europee. I migranti e rifugiati morti ad agosto alle porte dell’Ue sono almeno 270, secondo le notizie censite sulla stampa, 179 dei quali tra la Libia, Malta e l’Italia. È il bilancio più grave dall’inizio dell’anno. Vittime anche tra l’Algeria e la Sardegna (14), in Spagna (45), Iran (30), Turchia (1) e Egitto (1). Continua il viaggio di Fortress Europe attraverso il Mediterraneo.

Ecco il reportage dal Centro di Identificazione ed Espulsione di Trapani del giornalista Gabriele Del Grande: sorge nel centro di Trapani il primo centro di identificazione e espulsione aperto in Italia. Venne inaugurato nel luglio del 1998. La legge Turco-Napolitano, che istituiva i centri di permanenza temporanea (cpt), era stata appena approvata, e il capo della polizia Fernando Masone, assieme al sottosegretario di Stato per l’interno Giannicola Sinisi inauguravano la struttura, ricavata in una sezione dell’istituto geriatrico Rosa Serraino Vulpitta, che un anno dopo sarebbe andata a fuoco provocando sei vittime. Il centro è disposto su tre piani in un’ala dell’ospizio.

Al piano terra si trovano l’ufficio immigrazione della questura e gli uffici amministrativi dell’ente gestore, la cooperativa Insieme. Salendo le scale, al primo piano c’è l’infermeria h 24 e l’assistente sociale. I detenuti invece stanno al secondo piano. Dalle sbarre del cancello si intravedono le porte delle celle aperte sul ballatoio. Le balaustre sono circondate da reti metalliche. Sotto, le palme del giardino del Vulpitta. Il ballatoio è chiuso sui due lati da cancelli grigi di ferro. I lucchetti si aprono quattro volte al giorno. Per i pasti, e per l’ora d’aria concessa nel pomeriggio, per giocare nel campetto di calcio nel parcheggio all’ingresso, sotto la vigilanza della polizia.

Lungo lo stretto corridoio del ballatoio, si affacciano due sezioni, per un totale di 57 posti. Dall’inizio del 2008 ne è attiva soltanto una. I trattenuti sono ex detenuti, lavoratori migranti fermati sul territorio senza documenti, oppure tunisini respinti alla frontiera dopo essere sbarcati sull’isola trapanese di Pantelleria. In comune hanno una sola cosa: l’assenza di un documento di soggiorno e un ordine di espulsione non rispettato. Ricevono una scheda telefonica ogni dieci giorni, sigarette e assistenza medica e sociale. In ogni cella ci sono quattro brandine. Una delle camere è stata adibita a moschea. Nel primo semestre del 2008 sono transitate dal Vulpitta 94 persone, soprattutto tunisini e marocchini. Al momento i presenti sono 29.

Con questi numeri, le condizioni del trattenimento sono più vivibili. E a malapena si riesce a immaginare come nei primi anni di apertura, nel 1998 e 1999, il centro potesse contenere fino a 180 persone, con 12 o 13 persone per ogni stanza. Furono anni di ribellioni e tentativi di fuga. Il più drammatico si concluse con la morte di sei persone. Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. Alcuni ragazzi appiccarono il fuoco ai materassi nella propria cella. La porta sul ballatoio era chiusa a chiave. Il fuoco divampò e prima che arrivassero i soccorsi morirono tre persone tra le fiamme. Altri tre si spensero nelle settimane successive, ricoverati al Centro grandi ustioni. Il prefetto in carica Leonardo Cerenzìa, fu imputato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo, per poi essere assolto con formula piena il 15 aprile del 2004.

Yemen: denuncia Organismo diritti civili; cristiani arrestati

 

Asia New, 12 settembre 2008

 

Middle East Concern lancia una campagna per chiedere alle autorità yemenite di rispettare i diritti umani degli imprigionati. La famiglia dell’unico del quale si sa il nome esprime timori che venga torturato in carcere.

Arresti di cristiani vengono denunciati nello Yemen. Nel silenzio delle autorità si conosce il nome solo di uno di loro, Hani el-Dahayni, il primo ad essere preso dalla polizia, poco prima del 20 maggio. Altri sette arresti sarebbero avvenuti in agosto. Per tutti il timore è che possano essere torturati in carcere e la preoccupazione è la pena di morte prevista per l’apostasia, ossia per i musulmani che abbandonano l’islam per un’altra religione.

Le notizie vengono da Middle East Concern, una organizzazione che si occupa della libertà di religione in Medio Oriente, che lancia anche una campagna internazionale, scrivendo, anche tramite le ambasciate yemenite, al presidente della Repubblica, generale Ali Abdullah Saleh, al ministro per i diritti umani Houda Ali Abdullatif al-Baan ed al ministro per la giustizia, Ghazi Shaif Al-Aghbari per chiedere il rispetto dell’Accordo internazionale sui diritti civili e politici - sottoscritto anche da Sana - e garantire che saranno rispettati i fondamentali diritti umani di el-Dahayni e degli altri detenuti e che sia loro consentito di vivere secondo le loro convinzioni, liberamente raggiunte, nel loro Paese.

A quanto si sa, la famiglia di el-Dahayni ha confermato che il giovane, 30 anni, è stato arrestato al termine di una perquisizione condotta dalla polizia nel suo ufficio, nel corso della quale sono stati sequestrati dei computer. La famiglia si dice preoccupata per la possibilità che egli sia torturato in prigione, pratica della quale le autorità sono comunemente accusate. Un recente rapporto dello sesso ministro per i diritti umani ha denunciato le dure condizioni di vita nelle prigioni yemenite e le pratiche normalmente compiute contro i detenuti.

Secondo quanto diffuso da Sahwa Net, poi, il 18 agosto la polizia ha arrestato sette persone nella provincia occidentale di Hudayda, con l’accusa di fare propaganda cristiana. Tali arresti sono stati confermati, ma non si sanno ancora i nomi delle persone imprigionate.

 

 

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