Rassegna stampa 23 ottobre

 

Giustizia: Antigone; convegno sul razzismo e la tortura in Italia

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 23 ottobre 2008

 

Nel 2000, in uno dei tanti incontri pubblici organizzati da Antigone nei quali si affrontava il tema della tortura, l’allora capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria affermò candidamente: "questa associazione porta oggi meritoriamente alla nostra attenzione un problema gravissimo per i paesi del terzo mondo". Sfuggiva a quel signore come Antigone non volesse affatto chiacchierare di terzo mondo, bensì dell’Italia stessa, e magari di quegli occidentalissimi Stati Uniti d’America che di lì a poco avrebbero dato prova di sé al mondo intero quali maestri torturatori.

Nell’autunno 2008, a sessant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la rivista Reset pubblica un dossier sui diritti umani, dal quale emerge come la strada da fare sia ancora lunga. Nelle parole di Mauro Palma, presidente del Comitato per la prevenzione della tortura, l’organismo del Consiglio d’Europa che ha compiti ispettivi sui luoghi di privazione della libertà: "Che maltrattamenti e torture siano ben vive anche nel nostro mondo democratico non è del resto cosa nuova per chi ha compiti di indagine e ispezione nei luoghi opachi della privazione della libertà: nelle celle delle polizie, nei primi interrogatori dopo l’arresto, nelle carceri, nei luoghi di detenzione degli immigrati irregolari.

Ovviamente non si tratta di un comportamento ordinario - sarebbe un errore non vedere l’evoluzione che, per esempio, ha avuto in Europa la cultura delle forze dell’ordine - ma di un comportamento pronto a manifestarsi quando la situazione evolve verso un rapporto totalizzante di inimicizia nei confronti di singoli, gruppi, minoranze". Come ad esempio oggi in Italia accade nei confronti degli stranieri.

A partire dal dossier - che contiene tra le altre cose anche un intervento di Antonio Marchesi e un’intervista a Emma Bonino - si è discusso di razzismo e tortura in un incontro organizzato da Antigone, Reset e Medici contro la tortura presso la Fondazione Basso, in via della Dogana Vecchia a Roma. I lavori sono stati aperti da Luigi Ferrajoli, che ha detto: "Non è certo questa la fase storica che saprà regalare al paese una legge che introduca il reato di tortura nel nostro codice penale, legge che da anni il diritto internazionale e le organizzazioni non governative italiane vanno sollecitando. Ma varrà la pena di capire se qualcuno che siede in parlamento considera questa battaglia simbolica, seppur persa in partenza, una priorità culturale".

Giustizia: Antigone; il "quadro" delle carceri in Italia ed Europa

 

Redattore Sociale - Dire, 23 ottobre 2008

 

Sono 57.239 i detenuti presenti nelle prigioni italiane a fronte di 43.084 posti letto previsti. Negli ultimi nove mesi sono cresciuti di circa 1.000 unità al mese.

I detenuti sono oggi 57.239 a fronte di 43.084 posti letto regolamentari. Che in altre parole, vuol dire, 14.155 persone in più rispetto ai posti letto disponibili. I dati diffusi dall’associazione Antigone sono aggiornati 22 ottobre 2008. Il 31 dicembre del 2007 i detenuti erano 48.693. In nove mesi sono cresciuti di poco meno di 9 mila unità. Mille detenuti in più al mese. Erano 39.005 il 31 dicembre del 2006. Per tutto il 2007 il tasso di crescita mensile è stato di 807 detenuti.

Il 31 dicembre del 2005, ossia sette mesi prima dell’approvazione dell’indulto, la popolazione detenuta ammontava a 59.523 unità. Si consideri che il 31 dicembre del 2001 i reclusi erano 55.275. Il tasso di crescita nel quadriennio del primo governo Berlusconi (2001-2005) è stato quindi di circa mille unità l’anno. Il 31 dicembre del 1996 i detenuti erano 47.709. Nei cinque anni di governo del centro-sinistra i detenuti sono cresciuti di poco più di 1.500 unità l’anno. L’aumento progressivo del tasso di crescita carcerario - spiega Antigone - è l’effetto di due leggi: la ex Cirielli sulla recidiva e la Bossi-Fini sull’immigrazione. Leggi del 2005 e del 2002 che oggi iniziano a produrre i loro effetti inflattivi.

 

Il 55,32 % dei reclusi è in attesa di condanna definitiva

 

Il 55,32 % della popolazione detenuta è in attesa di condanna definitiva. Il tasso medio europeo dei detenuti in attesa di giudizio è invece ben inferiore al 25%. In Italia si incarcerano i presunti innocenti in modo più che doppio rispetto agli altri paesi dell’area Ue - spiega l’associazione Antigone che ha diffuso i dati - dura di più la custodia cautelare, durano molto di più i processi. Il 29,5% dei reati ascritti alla popolazione detenuta consiste in delitti contro il patrimonio. Il 16,5% in reati contro la persona. Il 15,2% commette violazioni della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Il 3,2% dei reati consiste in crimini di associazione a delinquere di stampo mafioso. 1.390 sono gli ergastolani. Circa 9 mila detenuti devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni. Oltre 10 mila i casi seguiti in misura alternativa.

Le donne sono 2.599 pari al 4,3% del totale. Una percentuale invariata nell’ultimo quindicennio e corrispondente ai tassi di detenzione femminile a livello europeo. Sono1.207 le donne-madri detenute, 23 le donne in stato di gravidanza, 68 le detenute madri che hanno figli in carcere e 70 i bambini di età inferiore ai tre anni.

I detenuti stranieri sono 21.366 pari al 37,3% del totale della popolazione carceraria. Nel 2000, ossia prima dell’approvazione della legge Bossi-Fini, la percentuale era del 29,31%. Il 21,9% dei detenuti stranieri proviene dal Marocco, il 13,6% dalla Romania, il 12,1% dall’Albania, l’11% dalla Tunisia. Il 29,1% ha commesso reati contro il patrimonio e il 24,3% ha commesso reati in violazione della legge sugli stupefacenti. E solo 0,3% ha commesso un crimine di associazione a delinquere di stampo mafioso. Sono già circa 2 mila gli stranieri in carcere per violazione della legge Bossi-Fini, ossia per irregolarità nell’ingresso in Italia.

 

Letti a castello a 3 piani, spazi troppo stretti: è dura la vita in cella

 

In Emilia Romagna i detenuti sono 3.915 rispetto a una capienza regolamentare pari a 2.270. In Lombardia ci sono 8311 presenze per 5382 posti letto. In Abruzzo e Sardegna, invece, vi sono meno detenuti rispetto alla capienza regolamentare.

Tra le carceri più sovraffollate vi è sicuramente Monza, dove 777 detenuti sono stipati nei 420 posti letto esistenti e oltre 100 persone dormono sui materassi. Anche a Torino, che "ospita" 1.438 detenuti per 1.092, molti sono costretti a dormire sui materassi. Ci sono poi la Dozza a Bologna (1046 detenuti nei soli 483 posti letto regolamentari), Poggioreale a Napoli (2296 detenuti nei 1387 posti letto), Milano San Vittore (1461 detenuti per 702 letti regolamentari).

Nella sezione maschile di Venezia i letti a castello sono oramai a tre piani. A Latina in alcune celle vivono sei persone in letti a castello a tre piani in 16mq complessivi, avendo quindi a disposizione meno di 3mq a persona. Nella sezione femminile di Latina ci sono 36 detenute per 18 posti letto, quindi il doppio della capienza regolamentare. Nella casa circondariale di Ravenna in celle di 7,5 metri quadrati vivono 3 detenuti, il letto a castello è a 3 piani, le dimensioni del tavolino consentono di mangiare al massimo a due persone per volta e nello spazio della cella le tre persone non possono stare in piedi contemporaneamente.

Inoltre il livello di sovraffollamento - fa notare Antigone - comporta una preoccupante sproporzione tra numero dei detenuti e quello degli operatori penitenziari. Si è infatti ancora in attesa di assumere 400 nuovi educatori su scala nazionale - rileva l’associazione - nonostante il concorso bandito nel novembre 2003 sia già stato chiuso da molto tempo chiuso.

 

Più di 20 mila stranieri nelle prigioni italiane

 

Sono 20.439 i detenuti stranieri presenti nelle 205 prigioni italiane al 31 luglio 2008, di cui 19.375 uomini e 1.074 donne, quasi il 37% dell’intera popolazione carceraria. Una percentuale che però - fanno sapere dall’Ufficio del garante regionale dei detenuti del Lazio - può alzarsi in maniera molto sensibile da regione a regione e da carcere a carcere: a Regina Coeli, per esempio, gli stranieri rappresentano il 63% dei detenuti. Ma il dato si spiega con la particolarità della situazione del Lazio e della città di Roma, che rappresenta uno snodo e una sorta di regione cerniera tra l’Italia e i Paesi di immigrazione.

Inoltre, secondo il quinto Rapporto sul sistema penale e penitenziario pubblicato lo scorso luglio da Antigone, il numero dei detenuti stranieri presenti nelle carceri straniere è andato aumentando in misura costante nel corso degli anni. La percentuale sul totale della popolazione carceraria è, infatti, passata dal 15% degli anni Novanta a percentuali vicine al 34% subito prima dell’indulto, fino ad assestarsi al 37% di fine dicembre 2007 (e tuttora costante). Tuttavia, avverte Antigone, questo aumento incessante ha subito una forte accelerazione negli ultimi tempi: nel 2007, infatti, gli ingressi in carcere di persone non italiane è stato di ben il 48%. Riguardo alla nazionalità, poi, il 20,8% dei detenuti stranieri arriva dal Marocco, il 12,2% dall’Albania e il 10,2% dalla Tunisia. Invece i cittadini comunitari rappresentano il 19,8%, una percentuale riconducibile sostanzialmente al recente ingresso della Romania nell’Unione Europea.

Ma quali sono le principali ragioni della permanenza in carcere dei detenuti stranieri? Sempre secondo Antigone, in circa il 29,5% dei casi si tratta di reati contro il patrimonio (percentuale sostanzialmente analoga a quella dei loro colleghi italiani), nel 24,8% dei casi si tratta di reati legati alla normativa sulle droghe e nel 19,2% di reati contro la persona. Dunque - commenta Antigone - quasi la metà dei detenuti stranieri si trova in carcere per reati contro il patrimonio o per detenzione e spaccio di stupefacenti, le due condotte più tipiche delle persone in situazione di maggiore difficoltà economica.

 

Circa 600 mila i detenuti in Europa

 

Sono circa 600mila i detenuti, definitivi o in attesa di giudizio, nelle carceri dei Paesi dell’Unione Europea. Secondo i dati diffusi oggi dall’associazione Antigone, di questi circa 131mila sono in attesa di giudizio. Le donne rappresentano intorno al 5% dell’intera popolazione carceraria. Negli ultimi anni nella Ue la popolazione detenuta è aumentata costantemente in 23 Stati su 27. I Paesi con maggiori problemi di sovraffollamento sono la Grecia (168%), la Spagna (140%), l’Ungheria (137%) e l’Italia (133%). Tra i Paesi che non superano il limite della capienza regolamentare, il primato spetta invece alla Slovenia, seguita da Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia. I tassi di carcerazione (numero di detenuti ogni 100 mila abitanti) sono elevatissimi. Il primato spetta all’Estonia (321.6), seguita da Lettonia (285.3), Lituania (237.0), Polonia (229.9) e Repubblica Ceca (185.6). Nell’Europa occidentale il primato spetta al Lussemburgo (163.6), seguito da Spagna (146.1) e Inghilterra (145.1). Il Paese con il minore tasso di carcerazione è la Slovenia (65.0) seguita da Danimarca (69.2), Finlandia (70.6), Irlanda (74.3) e Svezia (79.0). L’Italia supera di poco i 100 detenuti ogni 100 mila abitanti.

Giustizia: la pena non è affatto l’uomo che fa violenza all’uomo

di Piero Ostellino

 

Corriere della Sera, 23 ottobre 2008

 

È una notizia che dovrebbe far riflettere non solo sul livello di efficienza del nostro sistema carcerario, ma sul tasso stesso di civiltà del Paese. Il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano ha chiesto al ministro della Giustizia che cessino in alcuni reparti di San Vittore e nel carcere di Monza le attuali condizioni di esecuzione della pena. A San Vittore, ci sono sei persone in celle di tre metri per due, che dormono in letti a castello tripli e che, perciò, non possono stare in piedi contemporaneamente. A Monza, i detenuti dormono sui materassi per terra, fra gli scarafaggi.

Scriveva Cesare Beccaria oltre 250 anni fa: "Quando si provasse che l’atrocità delle pene... fosse solamente inutile... essa sarebbe non solo contraria a quelle virtù benefiche che sono l’effetto d’una ragione illuminata... nella quale si faccia una perpetua circolazione di timida crudeltà, ma lo sarebbe alla giustizia" (Dei delitti e delle pene, 1764-1769). Charles de Montesquieu: "La pena non discende dal capriccio del legislatore, ma dalla natura delle cose; e non è affatto l’uomo che fa violenza all’uomo" (L’esprit des lois, 1748).

I detenuti nelle nostre carceri - che per essere in regola ne dovrebbero ospitare 43.084 - sono 57.239. Poiché crescono di mille al mese, a febbraio supereranno quelli alla vigilia dell’indulto (61.264, il 30 giugno 2006). Basterebbero queste cifre per provare che: 1) l’indulto non ha avuto gli effetti sperati; 2) la situazione è tornata a essere quella di prima e, fra pochi mesi, peggiorerà; 3) l’indulto, che è bersaglio di polemica politica, non era poi stato una decisione del tutto campata in aria, ma rispondeva sia all’invocazione alla più elementare carità cristiana verso esseri umani costretti a vivere in condizioni disumane, rivolta da Giovanni Paolo II al Parlamento il giorno della sua visita, sia a un’esigenza reale, più volte denunciata nelle battaglie condotte dai radicali.

Poiché la sospensione della pena pare impensabile e il trasferimento dei detenuti in soprannumero a Milano e a Monza in altri stabilimenti - sovraffollati quanto i due - poco praticabile, non resterebbero che la ristrutturazione delle carceri più disastrate (come è già stato fatto in parte a San Vittore) o la costruzione di altre. I soldi, e il tempo, scarseggiano.

Ma non si tratta solo di un problema contabile e congiunturale. Decidere se sia prioritario l’aiuto alle imprese in difficoltà per la crisi economica; ovvero se lo debba essere la soluzione della situazione in cui versano le carceri. Il dilemma è culturale, prima che politico. Riguarda il Paese nel quale vogliamo vivere. Se in un sistema che contemperi la logica di mercato - per la quale spetta soprattutto al mondo della produzione risolvere i propri problemi - con la funzione dello Stato, cui spetta, fra gli altri, il compito di perseguire la sicurezza nella giustizia. Per Luigi Einaudi, il liberalismo economico era "una tesi morale". Egli avrebbe respinto una sopravvivenza del capitalismo che fosse frutto di elargizione pubblica e non dello sforzo degli uomini. Ma anche evitare che la giustizia diventi - per dirla con Montesquieu - "l’uomo che fa violenza all’uomo" è una tesi morale.

Giustizia: Alfano; nelle carceri 5.000 posti in più entro il 2009 

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 23 ottobre 2008

 

"Questa notte hanno dormito nelle nostre strutture penitenziarie 57.187 detenuti", spiegava la settimana scorsa il ministro della Giustizia davanti alla commissione Giustizia della Camera. In pochi giorni, però, il "contatore delle carceri" è già scattato a quota 57.239 presenze (22 ottobre) e si stima che a Natale balzerà in avanti di altre duemila unità. Dunque, il livello di guardia pre-indulto (61.264, il 30 giugno del 2006), verrebbe superato con tutta probabilità tra gennaio e febbraio 2009.

Osserva Patrizio Gonnella di Antigone-onlus: "L’aumento progressivo del tasso di crescita carcerario è dovuto soprattutto all’effetto di due leggi, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Cirielli sulla recidiva, che portano l’Italia ad incarcerare presunti innocenti, cioè i detenuti in attesa di giudizio, in modo più che doppio rispetto alla media Ue".

Ma le fredde cifre totali non spiegano bene la drammaticità della situazione, almeno così come l’ha illustrata il Guardasigilli Angelino Alfano alla festa della Polizia penitenziaria lo scorso 15 ottobre: "Si assiste a un effetto porta-girevole che genera ingressi conseguenti ad arresti che, subito dopo la convalida del giudice, si risolvono con forme premiali". In altre parole, il ministro avverte che il sistema rischia di diventare ingovernabile perché il 25 per cento dei detenuti esce dopo appena 3 giorni. E con il ddl sicurezza (c’è un generale aggravamento delle pene anche se il reato di clandestinità dovrebbe essere punito non con il carcere ma con un’ammenda) e il ddl Carfagna (che punisce clienti e prostitute) c’è il rischio che la situazione diventi davvero esplosiva. Così, Alfano è arrivato a chiedere che gli imputati nei processi per direttissima rimangano nelle camere di sicurezza delle questure e delle stazioni dei carabinieri senza transitare per il carcere suscitando grandi perplessità tra gli avvocati.

Entro il 2009, il ministero della Giustizia e il Dap, affidato di recente alla guida del procuratore antiterrorismo Franco Ionta, contano di avere a disposizione altri 5 mila posti grazie anche alle iniziative messe in cantiere dal governo di centrosinistra. Tuttavia, ha spiegato Alfano, "più che costruire nuove carceri bisogna ristrutturare e ampliare quelle esistenti".

Il perché di questo ragionamento il ministro lo ha spiegato facendo due conti: "Per realizzare ex novo un padiglione di 200 posti la spesa è inferiore a dieci milioni di euro. Un nuovo carcere con gli stessi posti costerebbe, invece, 45 milioni di euro". Ecco dunque che nei piani del governo ci sono alcuni lotti per ampliare la capienza ufficiale delle 205 carceri italiane: 37.748 posti nel 2007, 43.263 nel 2008, forse 48 mila alla fine del 2009.

Anche per questo il governo aveva pensato alla scorciatoia del "braccialetto elettronico" ma né Alfano né il collega Roberto Maroni, a questo punto, sembrano fidarsi di uno strumento insicuro e anche costoso. E anche la trattativa con la Romania che dovrebbe accogliere i detenuti romeni colpiti da sentenza definitiva emessa in Italia va assai a rilento.

Per questo, il bollettino del sovraffollamento emesso settimanalmente da Antigone segnala i casi limite delle grandi carceri metropolitane del Centro-Nord: "In Emilia-Romagna la percentuale del sovraffollamento è del 172 per cento mentre in Lombardia ci sono 8.311 detenuti per 5.382 posti letto con una percentuale di sovraffollamento del 154 per cento".

Tra le carceri "più affollate c’è quello di Monza, 777 detenuti stipati nei 420 posti letto, con oltre 100 persone che dormono sui materassi". Non va meglio a Torino: "1.438 detenuti per 1.092 posti letto con molti materassi per terra che ora occupano anche la sezione destinata agli studenti universitari". A Venezia (sezione maschile) "i letti a castello ormai sono a tre piani mentre a Latina (sezione femminile) ci sono 36 detenute per 18 posti letto". Il doppio della capienza consentita sulla carta.

Giustizia: Asl Milano; fuorilegge carceri di San Vittore e Monza 

 

Corriere della Sera, 23 ottobre 2008

 

Almeno in alcuni reparti del carcere di San Vittore a Milano e della casa circondariale di Monza "le condizioni igieniche e di vivibilità", documentate da due rapporti riservati dell’Asl, "sono pessime" al punto tale da violare "l’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività", e l’articolo 27 per il quale "in nessun caso" la legge può determinare come pene "trattamenti contrari al senso di umanità".

E poiché queste condizioni di invivibilità sono "non rimediabili con l’indiscusso impegno del personale", il neopresidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Pasquale Nobile De Santis, ricorre a una norma dell’ordinamento penitenziario del 1975, e cioè all’articolo 69, per rappresentare per iscritto e direttamente al Guardasigilli Angelino Alfano una necessità da ultima spiaggia: "Assoluta l’esigenza che vengano a cessare le suddette modalità di esecuzione della pena e di custodia dei detenuti". Come dire: che vi sia da dare finalmente corso alle ristrutturazioni di padiglioni in attesa di lavori finanziati o da sgomberare questo o quel raggio trasferendo altrove i detenuti che vi sono pigiati, almeno in alcuni reparti di queste due carceri la legge è violata, non si può continuare a far finta di non vedere che sia così, e soprattutto non si può continuare a far espiare in questo modo la pena.

L’iniziativa di Nobile De Santis, ex presidente di una sezione del dibattimento penale, da pochi mesi al timone del Tribunale di Sorveglianza che da Milano ha la responsabilità (anche sotto il profilo delle condizioni di vita) sugli 8.311 reclusi in 12 carceri lombarde, nasce da un giro che il neodirigente ha cominciato a fare in estate, e intende via via proseguire, nei vari penitenziari. Di fronte alle prime impressioni, ben note a tutti gli operatori del settore di solito però assuefatti a una litania di doglianze che periodicamente si ripetono spesso senza ascolto e quasi sempre senza costrutto, Nobile De Santis ha chiesto all’Asl una più dettagliata documentazione sul campo.

E l’esito è stato per certi versi choc. A Busto Arsizio, a Varese, a Monza, e a Milano-San Vittore (dove l’altro giorno la Direzione ha contato 1.424 detenuti nello spazio che al massimo ne potrebbe contenere 900) non vengono segnalate soltanto le "gravi disfunzioni" collegate al "superamento anche ampio" sia della capienza regolamentare sia perfino "della capienza tollerabile": convenzione burocratica per la quale, sebbene in Italia i posti regolamentari nel totale delle 205 carceri siano 43.084, si ritengono "tollerabili" (da chi legifera sulle carceri, non da chi vi è detenuto) fino a 63.544 presenze (e il bello è che a fine 2007 anche i posti effettivamente disponibili erano in realtà molti meno, e cioè 37.748). Data dunque quasi per scontata una dose standard di sovraffollamento, il Dipartimento di Prevenzione dell’Asl indica però anche due situazioni di particolare criticità.

A Monza per "infiltrazioni d’acqua", e più ancora per la "presenza di scarafaggi" nelle celle dove "1 detenuto su 3 dorme su materassi direttamente adagiati sul pavimento", cioè proprio su quella terra solcata dagli insetti che - ricorda l’Asl - possono "fungere da veicolo per parassiti e agenti patogeni pericolosi per l’uomo". A San Vittore, invece, la situazione è molto differenziata. Nei reparti terzo (detenuti lavoranti) e quinto (nuovi arrivati), che sono stati ristrutturati, le condizioni sono "molto buone" sia nelle celle sia negli spazi comuni.

Ma altri due reparti, il secondo e il quarto, sono chiusi senza prospettive d’inizio dei lavori, né come date né come finanziamenti deliberati. E, di conseguenza, il sovraffollamento si scarica altrove, soprattutto sul sesto raggio, "prevalentemente" occupato da extracomunitari, dove l’Asl descrive "nei casi più gravi" una situazione a tratti surreale: "celle di 3 metri per 2 metri con doppio letto a castello a tre piani", sicché le 6 persone detenute "non possono stare contemporaneamente tutte in piedi" perché non c’è lo spazio fisico per stare in piedi tutti insieme, e qualcuno a turno deve sempre restare appollaiato nel suo letto a castello per far muovere due passi (letteralmente) ai compagni di cella.

Inoltre, sempre in base ai due rapporti dell’Asl posti alla valutazione anche della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, "i servizi igienici sono inadeguati", "le docce sono insufficienti per un uso quotidiano per tutti", "nessuno spazio esiste per la socialità". Rispetto a queste punte di criticità, per i miracoli delle Direzioni e dei 700 agenti di custodia (altri 200 sono assorbiti dalle traduzioni) non c’è più spazio: fanno e hanno già fatto (come d’estate l’autoclave recuperata per sopperire a un picco di carenza d’acqua in pieno agosto) tutti i miracoli possibili, ormai queste situazioni sono "non rimediabili con l’indiscusso impegno del personale".

E se non possono fare più niente di utile loro, neppure può il magistrato di sorveglianza, che pure tra le proprie funzioni ha quella di "vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena". E allora Nobile De Santis si aggrappa proprio alla seconda parte del primo comma dell’articolo 69 dell’ordinamento penitenziario del 1975, che tra le competenze del magistrato di sorveglianza contempla anche quella di "prospettare al ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo".

Ed è sulla base di questo spunto, un poco forzato nel porre a rigore non un problema di "trattamento rieducativo" (quasi un lusso) ma ormai una questione di sopravvivenza pratica nelle celle, che il presidente del Tribunale di Sorveglianza milanese rivolge ad Alfano l’ultimo Sos in una lettera datata 8 ottobre. Un Sos che il presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Grechi, pure destinatario della missiva, e a Pasqua già protagonista di un brusco monito ("le condizioni del carcere sono un’autentica vergogna, il cardinale Tettamanzi l’ha visitato e all’uscita mi ha detto: "sono inorridito""), traduce in un commento tanto pubblico quanto crudo: "Ora anche l’Asl dice che siamo sotto il limite di umanità. Che la situazione è insopportabile. Che noi stiamo attuando una specie di tortura. A 500 metri dal Duomo".

Giustizia: Dap; al 41-bis vietati televisione e giornali di cronaca

 

www.casertanews.it, 23 ottobre 2008

 

Informazione "censurata" per i camorristi. È una disposizione del Dap (Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria), che mira a inasprire la condizione detentiva di alcuni soggetti ed evitare che abbiano informazioni sui territori dove opera il loro clan di riferimento. E così, il boss Francesco Schiavone detto Sandokan non potrà più guardare la televisione mentre gli altri detenuti napoletani e casalesi che si trovano ristretti al 41-bis (carcere duro) non potranno più leggere le cronache della Campania.

Un provvedimento del Dap vieta quindi per i camorristi la lettura di tutti i quotidiani napoletani. La notizia è stata riportata oggi dal quotidiano Il Napoli. Il provvedimento è comunque più ampio e riguarda tutti i detenuti ristretti nel regime di "carcere duro" in qualsiasi provincia italiana che potranno leggere solo quotidiani che vengono editati nella regione dove esiste il penitenziario all’interno del quale i boss soggiornano.

Ad esempio, chi risiede nel carcere milanese di Opera potrà leggere solo i giornali lombardi. Il provvedimento amministrativo anticipa il contenuto del disegno di legge del ministro della Giustizia Angelino Alfano per inasprire misure contro i boss.

Giustizia: il ddl per dire "basta" ai bimbi detenuti con le madri

 

Apcom, 23 ottobre 2008

 

È sottoscritto da maggioranza e opposizione il disegno di legge che mira alla creazione di "case famiglia" per le detenute con i figli minori, presentato oggi in conferenza stampa da parlamentari radicali e del Pdl, e che ha visto la partecipazione del sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati.

"Non ci si può rassegnare a vedere crescere un bambino in una struttura con esigenze di sicurezza che, di per sé, non è concepita per la crescita di un bimbo" si legge nel testo del ddl che prevede quindi la creazione di apposite strutture, fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che "tengano conto in modo adeguato delle esigenze psico-fisiche dei minori".

A luglio 2008 i minori di età inferiore ai tre anni erano 70, mentre, secondo i dati forniti dall’associazione Antigone,erano 23 le donne detenute in stato di gravidanza. "Quello che ci preoccupa sono i tempi - hanno sottolineato le radicali, elette nelle fila del Pd Donatella Poretti e Rita Bernardini - Da tempo si discute di ipotesi simili, bisogna avere più concretezza. Un governo che ha trovato modi per velocizzare molti provvedimenti, e attuarli in tempi brevissimi dovrebbe rendere altrettanto celere anche questa norma".

La legge Finocchiaro - ha poi spiegato Luigi Manconi, ex sottosegretario alla giustizia - prevedeva che stessero fuori dal carcere le donne con bambini minori di tre anni, ma non è riuscita a coprire interamente l’esigenza di tenere fuori dalle galere i più innocenti degli innocenti. Basterebbero sei appartamenti, in sei città diverse, per risolvere questi problemi".

Proprio per ovviare ai limiti della precedente legislazione il ddl estende il diritto di scontare la pena in "case famiglia" alle madri con bambini fino ai 10 anni, limiti che il magistrato sarà chiamato a valutare. Tra le altre possibilità ci sarà quella di prevedere il ricongiungimento per i bambini che vivono all’estero, e quello, per il genitore, di accompagnare, in caso di necessità, il bambino in ospedale. "C’è l’impegno forte del governo. È intollerabile che un bambino resti in carcere - ha assicurato il sottosegretario alla Giustizia Casellati - si tratta di una discriminazione intollerabile".

Giustizia: Pd; su sedi disagiate provvedimento-spot del governo

 

Ansa, 23 ottobre 2008

 

"Inefficace, un ennesimo provvedimento manifesto che non contribuisce al miglioramento della funzionalità del sistema della giustizia e che non risolve il problema delle carenze di organico nelle sedi disagiate".

Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, giudica il decreto legge governativo in discussione alla Camera in materia di funzionalità del sistema giudiziario, che prevede incentivi per i magistrati che chiederanno il trasferimento in nelle sedi disagiate.

"Nel corso delle audizioni parlamentari è emerso chiaramente che davanti alla gravità della questione - oltre il 40% delle sedi giudiziarie nei distretti a maggior rischio di criminalità organizzata si trova con una pianta organica incompleta - il provvedimento del governo è inefficace perché si limita a prevedere incentivi economici e di carriera senza introdurre correzioni a quella norma che prevede il divieto di assegnazione dei magistrati di prima nomina alle funzioni requirenti e alle funzioni monocratiche penali, comprese quelle di giudice per le indagine preliminare e di giudice dell’udienza preliminare.

Non correggere questa norma, che rappresenta una delle cause del problema, vuol dire non dare fiducia ai circa 300 magistrati di prima nomina che a breve entreranno in servizio e che potrebbero essere destinati proprio ai posti vacanti nelle sedi disagiate. Non si tratta - conclude - di giudici ragazzini ma di donne e uomini, perlomeno trentenni, che hanno maturato un’alta preparazione teorica e pratica anche nel corso dei tirocini presso gli uffici giudiziari a cui la società".

Giustizia: Berlusconi; polizia contro le occupazioni delle scuole

 

Corriere della Sera, 23 ottobre 2008

 

Lo definisce un "avviso ai naviganti" Silvio Berlusconi: "Non permetteremo che vengano occupate scuole e università - dice - perché non è un fatto di democrazia ma di violenza nei confronti di altri studenti, delle famiglie e dello Stato". Linea della fermezza, quindi, con la possibilità di far ricorso a poliziotti e carabinieri: "Convocherò il ministro dell’Interno - dice ancora il presidente del Consiglio - e gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire con le forze dell’ordine per evitare che queste cose succedano".

La conferenza stampa del premier e del ministro Mariastella Gelmini era stata organizzata per "smascherare le bugie della sinistra", come dice l’opuscolo distribuito all’uscita. Berlusconi contesta sì le accuse che gli arrivano dalla "sinistra che cavalca la piazza", accusa poi i giornali di "aver divorziato dalla realtà" e la televisione pubblica di "diffondere ansia". Ma è ai manifestanti che si rivolge: "Noi faremo lo Stato, chi compie un reato lo sappia". E si scalda quando una giornalista gli chiede se la polizia potrebbe essere usata anche contro le maestre: "Lo Stato deve garantire il diritto dei cittadini. Avete 4 anni e mezzo di tempo, fateci il callo. Non retrocederò di un millimetro".

Linea dura, durissima che spiazza e crea preoccupazione al ministero dell’Interno. L’incontro con Roberto Maroni arriva nel pomeriggio. Berlusconi chiede un "forte segnale di discontinuità", dice che "l’occupazione dei luoghi pubblici non è tollerabile", che a protestare è una minoranza. E paragona la situazione ai blocchi contro le discariche in Campania. Oggi la situazione sarà discussa al Viminale, con una riunione presieduta dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Al momento si esclude che le forze dell’ordine possano entrare nelle università mentre è possibile che vengano sgomberate le aree esterne. Per fermare la protesta si pensa piuttosto alla cosiddetta moral suasion, cioè a parlare con rettori e presidi, a convincere gli occupanti. Ma a far discutere sono le parole di Berlusconi sull’uso della forza.

Walter Veltroni lo accusa di "soffiare sul fuoco", di affrontare il problema "in modo provocatorio e semplificato" e spiega: "Il governo si assume la responsabilità di trasformare un problema sociale in un problema di ordine pubblico. A tutti è capitato di stare al governo e subire una contestazione: è il sale della democrazia". Il suo vice Dario Franceschini si appella al premier "perché agli studenti non venga toccato un capello".

Giustizia: scuola e università, inutile pugno duro di Berlusconi

 

www.rassegna.it, 23 ottobre 2008

 

Il Cavaliere minaccia l’intervento delle forze dell’ordine. Epifani: "Non si risponde a questo movimento con le minacce". Occupato l’ateneo di Torino. E l’Unione degli universitari aderisce alla manifestazione organizzata dai sindacati per il 14 novembre.

"È una violenza, convocherò oggi pomeriggio Maroni (ministro dell’Interno, ndr) per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell’ordine. Non permetteremo che vengano occupate scuole e università". Il premier Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha annunciato la linea dura contro le mobilitazioni studentesche. "La realtà di questi giorni - ha detto il Cavaliere - è la realtà di aule piene di ragazzi che intendono studiare e i manifestanti sono organizzati dall’estrema sinistra, molto spesso, come a Milano, dai centri sociali e da una sinistra che ha trovato il modo di far passare nella scuola delle menzogne e portare un’opposizione nelle strade e nelle piazze alla vita del nostro governo".

Affermazioni che non sembrano però arrestare le proteste. A Catania si tiene una manifestazione degli studenti nella Facoltà di Lingue. A L’Aquila proseguono le assemblee, a Perugia è previsto un Consiglio di Facoltà aperto a tutti gli studenti. Proteste sono previste anche a Napoli, a Roma, a Firenze, a Bologna, Teramo e Macerata.

Continua a Torino l’occupazione di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, iniziata ieri: le lezioni proseguono regolarmente all’interno dell’edificio, mentre alle 14 si è tenuta un’assemblea in Rettorato. Sempre a Torino occupata anche la facoltà di Fisica, mentre davanti al Dipartimento di Scienze della Terra studenti e ricercatori hanno manifestato questa mattina chiedendo simbolicamente l’elemosina.

Intanto l’Unione degli universitari annuncia la propria adesione alla manifestazione nazionale organizzata dai sindacati per il 14 novembre, affermando che in vista di questa data "intende condividere con le associazioni studentesche non confederate all’Udu un percorso di mobilitazione nazionale che passi attraverso manifestazioni regionali".

 

Epifani: Berlusconi sbaglia

 

"Non oso neanche pensare che si possa rispondere a questo movimento con delle minacce". A dirlo è il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, commentando le affermazioni del premier. Dice Epifani: "Il governo sappia dialogare, apra dei canali con questa protesta nuova, vasta e pacifica. Questo vale anche per il sindacato confederale: non si può far mancare un tavolo di confronto". E ribadisce: "Sarebbe profondamente sbagliata una scelta di rispondere al movimento con una modalità che non sia quella del dialogo". Così conclude il leader della Cgil: "La mobilitazione nel mondo della scuola e dell’università contro i provvedimenti governativi non va giudicata attraverso vecchi schemi politici. Non ha senso paragonarla al ‘68 o tanto meno al ‘77, sbaglia chi ci vede dietro qualcuno o qualcosa. Le richieste che fanno e che noi condividiamo, sono di investire di più in informazione: questa è gente che chiede di studiare di più e meglio. Il governo sbaglia a sottovalutare questo movimento o a catalogarlo in termini di schematismi politici". Anche il segretario del Pd Walter Veltroni, dai microfoni di Radio anch’io, afferma che di fronte a proteste così ampie e diffuse contro la riforma della scuola, il governo dovrebbe ritirare il decreto Gelmini e le misure con i tagli alla scuola e all’università, dandosi comunque degli obiettivi di finanza pubblica che affrontino il problema della diminuzione della spesa.

Giustizia: ex ministro Mannino assolto dopo 14 anni di processi

 

Il Tempo, 23 ottobre 2008

 

Ci sono voluti più di quattordici lunghi anni. Quasi tre lustri per accertare che l’ex ministro democristiano e attuale senatore Udc Calogero Mannino era innocente.

Ieri, dopo quattro ore e mezza di camera di consiglio, i giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Palermo lo hanno assolto dall’accusa di concorso in associazione mafiosa, per la quale l’accusa aveva chiesto otto anni di reclusione. E sono proprio i numeri a sorprendere in quest’ennesima vicenda di giustizia all’italiana, in cui il braccio della legge è così lento da risultare estenuante e gli indagati diventano subito colpevoli per togliersi di dosso l’etichetta criminale solo dopo che le loro carriere e le loro vite sono state devastate.

Mannino aspettava questa giornata dal febbraio del 1994. Fu allora che i pm palermitani gli notificarono un avviso di garanzia. L’anno dopo finì in carcere e ci restò nove mesi, per passarne poi altri 13 ai domiciliari. Contro di lui c’erano le dichiarazioni di alcuni pentiti. Il primo, Rosario Spatola, le rese al compianto Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala. Le indagini vennero trasferite per competenza a Sciacca (dove Spatola aveva collocato i "summit mafiosi" che avrebbero avuto per protagonista anche l’allora deputato Dc), e archiviate in pochi mesi.

Le nuove accuse arrivavano da Angelo Sino, "ministro dei lavori pubblici" di Riina e ora collaboratore di giustizia. Mannino, riferì il pentito, aveva partecipato alle nozze del boss Leonardo Caruana e a una cena nella trattoria "Mose" con altri esponenti di Cosa Nostra. I pm Teresi e Principato chiesero 10 anni di carcere. Il tribunale, il 5 luglio 2001, aveva invece assolto l’ex ministro "perché il fatto non sussiste", la stessa formula utilizzata per Andreotti.

La procura aveva presentato ricorso e l’8 aprile 2003 era cominciato il processo d’appello. Nel corso del dibattimento erano state acquisite le dichiarazioni di un altro pentito, Antonino Giuffré. I giudici avevano condannato Mannino a cinque anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ma non era finita. La Cassazione aveva annullato il verdetto, dettando criteri più rigorosi per la configurabilità di tale reato, e disposto un nuovo giudizio di secondo grado, quello che si è concluso ieri con l’assoluzione. In tutto, il senatore ha subito quattro processi fra primo e secondo grado, una sentenza della Suprema Corte e un pronunciamento di costituzionalità della Consulta. Ma si è conclusa davvero l’odissea giudiziaria di Mannino?

Ieri, dopo che il figlio Salvatore gli aveva dato la buona notizia, l’ex ministro ha affermato: "Non so cosa faranno adesso i miei accusatori, ma non riesco a capire come ci si possa appellare dopo che la Cassazione ha detto la sua in modo così perentorio...". Invece Vittorio Teresi, rappresentante dell’accusa (com’è suo diritto) ci sta riflettendo: "Valuteremo - ha spiegato - solo dopo aver letto le motivazioni".

Mai dire mai, insomma. Tanto più che proprio mentre i giudici di Palermo assolvevano Mannino, si apprendeva che la sera precedente il pm Cristina Pigozzo aveva chiesto la sua condanna a 6 anni e 4 mesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode vinicola, falso, truffa ai danni dello Stato e minacce a pubblico ufficiale. Il senatore, ritenuto "dominus" di fatto dell’azienda vinicola di Pantelleria "Abraxas Srl" , di cui è socio di maggioranza il figlio, avrebbe messo in commercio come genuini vini doc realizzati in violazione del "disciplinare" di produzione previsto per il moscato dell’isola sicula. L’odissea continua.

Lettere: madre di Lonzi; mi metterò in tenda davanti a cimitero

 

Lettera alla Redazione, 23 ottobre 2008

 

Dalla morte di mio figlio Marcello, avvenuta nel carcere di Livorno, sono trascorsi 5 anni e 3 mesi. Da quella maledetta sera ne ho sentite tante di versioni, ma quella più sconcertante è che sia stato il compagno di cella ad uccidere mio figlio!

Dopo la prima archiviazione del caso da parte del dott. Pennisi è difficile credere ancora nella giustizia. Perché ho capito che non è uguale per tutti, e la dimostrazione è chiara, come mai dopo cinque anni salta fuori il compagno di cella e non subito? Chi copre per rischiare una condanna a 20 anni? Oppure cosa gli è stato promesso?

Di fatto le guardie carcerarie stanno ancora al loro posto, il medico legale dott. Bassi Luciani (autore della prima perizia che portò all’archiviazione) pure e mio figlio è morto e nessuno me lo riporterà. Se questa è la legge italiana, mi vergogno di essere nata in Italia.

E non parlo solo per me, ma anche per tutte le persone che muoiono nelle carceri, come Aldo Bianzino morto nel carcere di Capanne (Pg), stesso sistema, come Marcello, alla fine l’archiviazione. Ogni volta che apro un giornale che parla di Marcello leggo: "la madre non si è mai arresa".

Ma ora sono arrivata ad un punto che non ce la faccio più, per un anno ho sostenuto le spese del mio avvocato da sola, poi nel 2004 ho conosciuto dei giovani dei centri sociali che devo ringraziare per avermi aiutata a pagare le spese per la nuova perizie e per le ulteriori spese legali, senza quei giovani non so se ce l’avrei fatta.

Oggi mi trovo ad avere lo sfratto non perché non pago l’affitto, ma non ho potuto pagare le spese condominiali, così il comune ha anticipato i soldi che adesso rivuole indietro. Ci tengo a precisare che non ho mai chiesto alcun tipo di aiuto né al comune di Pisa, né ad alcun altro ente pubblico, ora però non so proprio come fare.

So solo che io a Pisa non ho nessuno e che mio figlio è a Livorno, piazzare una tenda davanti al cimitero per me è la stessa cosa, almeno sarò più vicino a Marcellino. Sempre che non mi scaccino pure da lì.

 

Maria Ciuffi

 

Chi volesse aiutare Maria può versare un contributo sul c/c postale n° 66865767. ABI 07601 CAB 14000

Lombardia: consiglio regionale boccia Odg di An contro l'indulto

 

Adnkronos, 23 ottobre 2008

 

È stato bocciato dall’aula del Consiglio Regionale lombardo l’ordine del giorno di Silvia Ferretto Clementi, consigliere regionale di An, che chiedeva di assumere una posizione di netta contrarietà rispetto a qualsiasi futura iniziativa legislativa di concessione di amnistia e/o indulto.

L’odg chiedeva anche di ricevere dati aggiornati al 2008 sugli effetti dell’indulto nella regione e sui risultati ottenuti dalle iniziative regionali a favore dei detenuti (per la loro inclusione sociale, per il loro reinserimento nel mondo del lavoro e per il recupero di quelli tossicodipendenti).

"Un risultato che non comprendo - commenta l’esponente regionale di An - le iniziative intraprese dalla Giunta e presentate nella relazione in discussione oggi sono condivisibili, ma per verificarne e migliorarne l’efficacia è indispensabile monitorarne i risultati".

"Da dati del Dap (Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato) - continua la Ferretto - aggiornati al 15 luglio 2008, emerge un quadro davvero preoccupante. A distanza di soli 2 anni, infatti, delle quasi 4.000 persone uscite dagli istituti penitenziari lombardi per effetto dell’indulto, il 34,9% è già tornato a delinquere ed è rientrato in carcere.

Una situazione confermata anche da dati diffusi dal Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) e aggiornati al settembre scorso, secondo i quali, a livello nazionale, nel solo ultimo anno, la popolazione carceraria è aumentata di ben 11.000 unità, delle quali ben il 70% è recidivo".

Piemonte: nasce dipartimento per tutela della salute in carcere

di Adriano Moraglio

 

Il Sole 24 Ore, 23 ottobre 2008

 

È imminente la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della delibera con quale la Giunta piemontese, tra le prime in Italia, ha istituito il Servizio Sanitario Penitenziario Regionale. Si tratta dell’atto (Dgr 14-9681 del 30 settembre 2008) col quale la Regione attribuisce a sé l’organizzazione del sistema sanitario nelle carceri, ereditandolo dal ministero della Giustizia.

"Il modello, di carattere sperimentale, che la Regione intende adottare in questa fase di avvio - dice l’assessore alla Salute, Eleonora Artesio - si concretizza nell’istituzione di un Dipartimento interaziendale denominato Dipartimento regionale per la tutela della salute in carcere (Drtsc, ndr). Tale struttura ha il compito precipuo di coordinare le funzioni sanitarie esplicate dalle Asl sedi di carcere, per garantire una omogeneità dell’intervento sul territorio e di sovrintendere allo svolgimento dell’intero processo di riordino".

È prevista, inoltre, la costituzione di due strutture operative complesse, una all’Asl T02 di Torino, denominata "Presidio sanitario per la tutela della salute Lorusso e Cutugno" e l’altra all’Asl di Alessandria denominata "Tutela della salute in carcere". Il Dipartimento manterrà un collegamento costante con l’Ufficio regionale per la tutela della salute in ambito penitenziario (ha sede presso l’assessorato Tutela della salute), che ha il compito di definire e di indicare il progetto regionale di riforma della sanità penitenziaria. Le aree tematiche a cui si rivolge il Servizio sanitario penitenziario della Regione sono numerose: epidemiologia, prevenzione e promozione della salute, salubrità degli ambienti di vita e di lavoro, e igiene degli alimenti; medicina generale e prestazioni specialistiche, valutazione dello stato di salute dei nuovi ingressi; sistema di urgenza-emergenza; malattie infettive; prevenzione, cura e riabilitazione per gli stati di alcol e tossicodipendenza. E ancora: prevenzione, cura e riabilitazione nel campo della salute mentale; tutela della salute delle detenute e delle minorenni sotto poste a provvedimenti penali e, la loro prole; minori; integrazione sociosanitaria; stranieri.

Soddisfazione è stata espressa dal Forum piemontese per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute, presieduto da Anna Greco, che in questi mesi ha sollecitato. l’avvio della riforma e che lunedì scorso ha tenuto un’assemblea straordinaria degli operatori sanitari penitenziari. "Il passaggio al Ssr - rileva Anna Greco - deve significare un miglioramento della qualità della vita per i detenuti e di quella del lavoro degli operatori".

Campania: il programma di iniziative del garante dei detenuti

 

Ansa, 23 ottobre 2008

 

Le attività, le funzioni e il programma di iniziative dell’ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale ed osservatorio regionale sulla detenzione. Sono i temi di una conferenza stampa che si è tenuta stamattina alle 11, nella sala "Caduti di Nassiriya" della sede del Consiglio Regionale, al Centro Direzionale di Napoli.

Garantire in base ai principi della costituzione i diritti dei detenuti. Questo l’obiettivo dell’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale ed Osservatorio regionale sulla detenzione, istituito dal consiglio regionale della Campania e presentato questa mattina dal presidente Sandra Lonardo. All’incontro hanno partecipato il garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Adriana Tocco. Collaborando con varie associazioni di volontariato, il garante avrà il compito di assicurare alle popolazioni carcerarie prestazione per garantire il diritto alla salute, all’istruzione, all’assistenza religiosa. Tra le funzioni previste, anche l’avviamento di attività di formazione professionale finalizzate al recupero sociale dei detenuti una volta fuori dal regime carcerario.

Caserta: detenuto 32enne s'impicca in C.C. di S.M. Capua Vetere

 

www.ecodicaserta.it, 23 ottobre 2008

 

Un detenuto si è impiccato alla finestra della cella, scontava una pena che terminava nel 2017. Un termine forse troppo lungo, un’insofferenza tale che ha portato il poveretto ad attuare il folle piano del suicidio.

È accaduto martedì sera alle 23.30 circa, nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. L’uomo si chiamava Massimiliano Longo, nato l’11 marzo del 1976, era originario di Tricase in provincia di Lecce. Massimiliano aveva alle spalle una lunga serie di reati che andavano dalla rapina alla rapina aggravata, all’uso e spaccio di stupefacenti nella sua città. Fu arrestato la prima volta qualche anno fa, fu condannato e trasportato nel carcere di Bollate a Milano. I reati erano svariati e la permanenza era lunga. Nonostante tutto dopo qualche tempo che era ospite della comunità milanese, all’uomo erano stati dati i beneficio di poter disporre di alcuni giorni di permessi premio. Si trattava di 45 giorni di permessi dilazionati nell’arco dell’anno.

Il beneficio nonostante i reati per cui era stato condannato, servivano al Longo, a non perdere del tutto i contatti con la famiglia e con la realtà che lo circondava, in modo da non rendere troppo difficile il suo futuro reinserimento nella società, il giorno in cui sarebbe stato rimesso in libertà. Invece l’uomo, durante uno dei permessi non era rientrato, dopo dodici ore dalla sparizione è stato inoltrato l’allarme evasione. L’uomo oltre che per rapina era diventato un ricercato anche per il reato di evasione.

Riacciuffato poco tempo, alcuni giorni fa in provincia di Caserta, il detenuto è stato di nuovo arrestato e trasportato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e stavolta non avrebbe goduto di alcun beneficio premio. Il poveretto proveniva da una situazione familiare molto difficile, anche per questo gli erano stati concessi i giorni di permesso, che dovevano servire a stabilire i contatti con i familiari.

Ma l’uomo non aveva rispettato gl’impegni presi ed è sparito. È solo da alcuni giorni che Massimiliano era ospite della comunità sammaritana, e stavolta non sarebbe uscito fino alla scadenza. Triste e solitario, purtroppo l’uomo pensava a tutto il tempo che avrebbe dovuto passare in cella, in compagnia solo dei suoi compagni. Allora, realizzato tutto ciò, l’altra sera, poco dopo il controllo del personale carcerario, si è impiccato. Ha preso e strappato un lenzuolo che ha usato come cappio, ha avvolto un lembo al collo e l’altro, lo ha legato alla griglia della finestra. È salito sul termosifone, ha stretto il cappio e poi si è lasciato cadere.

Tutto questo nel giro di circa cinque, dieci minuti. Poco dopo, mentre stava morendo, al successivo controllo, le due guardie si sono accorte che all’interno della cella c’era del movimento strano, hanno aperto ed hanno visto il corpo penzoloni di Massimiliano. Immediatamente i due uomini si sono attivati per liberare il detenuto dal cappio, uno dei due ha preso le gambe e lo ha sorretto per evitare che la corda tirasse e stringesse ancora il collo, l’altro ha usato l’accendino per bruciare il lenzuolo nella speranza di fare in tempo per salvare il poveretto. Subito dopo i dipendenti hanno chiamato in aiuto il medico della comunità, i sanitari sono arrivati con il defibrillatore ed hanno cominciato ad effettuare un massaggio cardiaco. Purtroppo non c’è stato nulla da fare.

Poco dopo è arrivata anche l’ambulanza locale con gli strumenti adatti, ma il poveretto era spirato, troppo tardi, per lui non si è potuto fare altro che constatare il decesso per impiccagione. Il comandante della comunità carceraria Luigi Mosca e i dipendenti della comunità sono sconvolti, come sempre quando accadono queste cose. "Per noi è un fallimento" spiega il comandante "sono dispiaciuto per quello che è accaduto anche se il poveretto era qui solo da qualche giorno. Io stesso ho chiamato una sua sorella che si trova in Svizzera per lavoro e con grande rammarico, le ho dato la terribile notizia. La signora ora sta tornando a casa.

La salma dello sfortunato giovane si trova nel reparto di medicina legale dell’ospedale San Sebastiano e Sant’Anna di Caserta a disposizione dell’Autorità giudiziaria, in attesa di una visita autoptica disposta dal sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, il dott. Alessandro Cimmino. Aspettare una libertà agognata era troppo dura, ed il poveretto ha deciso di porre fine alla sua vita in modo atroce. Dietro la sua fine si trova una storia pesante, fatta di sofferenze, di rapporti difficili, di povertà. Poi la droga e per questa, le rapine, più volte perpetrate ai danni dei cittadini.

Milano: le caserme dismesse alloggeranno i detenuti semiliberi?

 

www.cronacaqui.it, 23 ottobre 2008

 

Le carceri esplodono, il Cpt di via Corelli scoppia, eppure Milano è piena di caserme dismesse. Decine di strutture semivuote che invece potrebbero essere trasformate in centri di permanenza temporanea o in luoghi di accoglienza per detenuti che devono scontare pene alternative.

Se ne parla da tempo, ma niente o poco è stato fatto. Da quando, poi, il sevizio di leva non è più obbligatorio (1 gennaio 2005) le caserme della città sono deserte. O, comunque, sottoutilizzate. Vere e proprie fortezze, con tanto di mura di cinta, sbarre alle finestre e sistemi infallibili di controllo. Il tempo passa, gli edifici invecchiano e l’emergenza "carceri" è sempre all’ordine del giorno. Le strutture, infatti, continuano ad essere utilizzate per qualche convegno o al massimo come dormitori per ospitare i militari in trasferta a Milano, ma non sono più attive a pieno regime. Non sono, insomma, né valorizzate né sfruttate.

E di esempi se ne potrebbero fare tanti. Dal centro alla periferia. Dall’ex genio civile di via Pagano, ovvero la caserma "Carroccio", alla Santa Barbara di piazzale Perrucchetti, la cui costruzione è datata 1931 e raccoglieva uno dei reggimenti più famosi, il "Voloire" dell’artiglieria a cavallo. Lo spazio c’è, e basterebbe poco per attrezzarle ad ospitare i detenuti che devono scontare delle pene per reati di minore gravità.

Senza dimenticare la "Mameli" di viale Suzzani, che fino a poco tempo fa ha legato le sue tradizioni soprattutto alla presenza dei bersaglieri recentemente sfrattati o la "Teuliè" del centralissimo corso Italia, che negli anni ha ospitato ospedali, bersaglieri fino a diventare una scuola militare.

Poi ci sono le strutture "minori", quelle in via di trasferimento dal Demanio allo Stato. Il precedente governo ha infatti creato uno strumento ad hoc per la gestione degli ex immobili della Difesa: una "concessione di valorizzazione" di 50 anni. Insomma, basta presentare un progetto, dimostrare la sostenibilità economica e finanziaria per assicurarsi per mezzo secolo un affitto al Demanio, ovvero alle casse dello Stato.

Con il progetto "Valore Paese" sono stati trasferiti i primi immobili, di cui 6 tra Milano e provincia, la maggior parte dei quali sono nei quartieri centrali della città come l’area demaniale di via Padova, l’ex Deposito "La Canavese", l’ex magazzino Sanitario, i magazzini di commissariato Taliedo, il deposito materiali a Lentate sul Seveso e il Telegruppo a Peschiera Borromeo.

Mentre il progetto della cittadella giudiziaria a Porto di Mare per è fermo sulla carta - come auspica il ministro dell’Interno Roberto Maroni - "si potrebbe cominciare a investire sulle caserme dismesse".

 

I politici si dividono sulle alternative agli istituti penitenziari

 

Se ne parla da anni. Nulla si è mosso. Poi l’emergenza sicurezza del 2007 ha ridato vita al dibattito: perché non usare le vecchie caserme milanesi ormai in via di dismissione per servizi di pubblica utilità, tra i quali anche carcere e centri di permanenza temporanea? In realtà il perché lo si evince proprio dalle risposte di segno diverso che arrivano dagli amministratori della città. Anche perché all’orizzonte non prima del 2015 - c’è il progetto di creare una vera e proprio Cittadella della Giustizia a Porto di Mare che integri Carcere e Tribunale.

Il vice sindaco Riccardo De Corato resta l’alfiere di questa soluzione. "Lo abbiamo proposto più volte perché le carceri non potevano reggere la pressione della criminalità, segnatamente quella legata all’immigrazione". Ma Alberto Garocchio (Forza Italia) già presidente della commissione Carceri del Comune non sembra poi così convinto della soluzione.

"Che Milano sia sotto emergenza lo dicono i numeri. Ma non mi si racconti la storia delle caserme da ristrutturare come carcere perché è solo un bluff. Le spese per ripristinare e convertire ad uso agenti e detenuti le ex strutture militari sono altissime. Penso sia una proposta possibile solo per soluzioni temporanee, sotto emergenza, magari per chi di notte dorme in carcere e di giorno lavora". Scettico anche Giulio Gallera, capogruppo di Forza Italia: "Le caserme sono risorse importanti per la città così come le stazioni dismesse. Bene anche un centro di accoglienza temporaneo ma non dimentichiamoci che Milano la sua scelta l’ha già fatta optando per una Cittadella della Giustizia a Porto di Mare".

Chi invece apre all’ipotesi di reimpiego è Francesco Rizzati dei Comunisti Italiani: "È un passaggio obbligatorio dato dal fatto che San Vittore è saturo e per costruire nuove strutture servono soldi. Potrebbero essere usati anche come centri di recupero".

Minore la disponibilità del Pd che prima di parlare di caserme e nuove carceri punta il dito contro le leggi che finiscono per soffocare ogni spazio disponibile. Così la pensa ad esempio il consigliere Carmela Rozza: "Se il problema sono i clandestini da parcheggiare in attesa di rimpatrio si cambi la legge e si faccia un accordo con i paesi, così le caserme non servono".

Un uso temporaneo sembra la mediazione possibile. Se ne fa portavoce Carmine Abbagnale di Forza Italia: "Se gli spazi sono da utilizzare temporaneamente come per chi è in attesa di processo per direttissima sono d’accordo, ma se devono diventare caserme no, perché comporterebbe anche un pericolo dato che non sono infrastrutturate adeguatamente e i problemi maggiori per i detenuti sono proprio i primi giorni".

Mentre Aldo Ugliano (Pd) sottolinea: "In giro per l’Italia ci sono almeno una quindicina di carceri inutilizzate per mancanza di personale. Allora sarebbe meglio utilizzare quelle invece che le caserme, che rientrano in un piano di riqualificazione della città".

Milano: associazione parenti vittime, sit-in davanti a S. Vittore

 

www.cronacaqui.it, 23 ottobre 2008

 

"Io ho perso mia figlia. Me l’hanno uccisa, massacrata di botte il 14 ottobre 2005 a Montorio di Verona. Il dolore era troppo grande e ho cercato di condividerlo con chi ha vissuto la stessa straziante esperienza. In questo modo è nata l’associazione italiana vittime della violenza".

Comincia così il racconto di Paola Caio, 58 anni, presidente del movimento che ieri si è riunito di fronte al carcere di San Vittore con un gruppo di aderenti che è arrivato da tutta Italia per protestare contro le "scarcerazioni facili con uno sciopero della fame a oltranza". Una protesta che andrà avanti anche oggi, fino a quando non riusciranno a incontrare il ministro della Giustizia.

"Abbiamo più di 300 iscritti sparsi in tutta la penisola - continua Caio - staremo qui due giorni, non ci sposteremo fino a quando non riusciremo ad incontrare il ministro Angelino Alfano".

Gli occhi sono quelli di una mamma che ha perso, senza una spiegazione, sua figlia e che ora vuole solo che la pena per chi ha commesso il reato sia garantita. I parenti delle vittime, già contrari all’indulto, manifestano contro "ogni sconto di pena", perché "è assurdo pensare che chi uccide senza motivo si faccia solo pochi anni di galera. L’esempio di Pietro Maso è solo uno dei tanti". Anche la determinazione di Maria Teresa D’Abdon è frutto di un omicidio assurdo che le ha tolto per sempre sua figlia, Monica, uccisa a botte e pugni. Il suo assassino si è beccato 14 anni di carcere per omicidio preterintenzionale e il monito è che non esca prima: "Deve scontare fino all’ultimo minuto in carcere la sua pena".

Storie di ordinaria follia, di violenza gratuita e criminale che accomunano gli aderenti al movimento. "Mia sorella aveva 43 anni quando è stata sgozzata - racconta Silvano Algeri con la tristezza di chi non può dimenticare - era in montagna con il suo compagno, insieme alla figlia. Tutto era normale, stavano preparando i bagagli per ritornare in città quando è successo il dramma. Inspiegabile. Me l’ha uccisa con un coltello, le ha tagliato la gola. Il suo assassino si è fatto solo 2 anni di carcere, uno di domiciliari e adesso gode della semilibertà".

Parole piene di rabbia di chi non solo deve sopportare il dramma di aver perso una persona cara ma anche la beffa per non aver ricevuto la giustizia che si aspettava. Presente al sit-in anche l’assessore al Territorio e all’Urbanistica della Regione Lombardia Davide Boni: "C’è un forte legame umano che mi lega a queste persone per questo sono presidente onorario di questa associazione. Loro chiedono che la pena venga scontata fino in fondo perché troppe volte succede che non ci sia equità tra il reato e la pena scontata". Oggi si replica. L’onorevole Daniela Santanchè ha già garantito la sua presenza.

Varese: con sovraffollamento a rischio le iniziative di recupero

 

Varese News, 23 ottobre 2008

 

Più di quattrocento persone nello spazio di centocinquanta e non è un caso isolato in Italia. Stiamo parlando della situazione nelle carceri italiane e i numeri appena citati sono quelli della casa circondariale di Busto Arsizio. Non va meglio a Varese dove il carcere dei Miogni ospita 123 persone al posto di 53: tempo fa c’era un progetto per farne uno nuovo, ma tutto è sfumato. Anche nel resto della Lombardia la situazione è complessa se non al limite del collasso.

A metterlo - nuovamente - in evidenza sono due rapporti dell’Asl di cui oggi il Corriere della Sera pubblica alcuni stralci. Nell’articolo si parla di condizioni igieniche e di vivibilità pessime in alcuni istituti, di sovraffollamento che va ben oltre una "capienza tollerabile", di sei persone costrette a dormire in celle di due metri per tre che, solo a turno, possono scendere dal letto per fare due passi.

Per avere un’idea più chiara di cosa accade nella nostra regione - che ha in totale, fra case di reclusioni e circondariali, 19 istituti e il 15,1 per cento dei detenuti italiani - basta fare un giro sul sito del Ministero della Giustizia.

Secondo i dati statistici aggiornati al 30 giugno 2008 in Lombardia dovrebbero esserci 5.382 reclusi, ma in realtà sono più di ottomila. A San Vittore sono 1.527 invece che 702, mentre va "meglio" in realtà più piccole come Cremona, Lecco e Como. Unica eccezione che conferma la regola è Bollate, carcere sperimentale, che invece dei 903 detenuti potenziali ne ha 663.

"Non siamo all’altezza della situazione - spiega Sergio Preite Agente di rete nelle due strutture della provincia -, ma non dipende da Busto e Varese che, come altri, subiscono la situazione. È chiaro che se qualunque struttura, un carcere, un albergo, una nave si ritrova con il doppio delle persone ha dei problemi di gestione. I penitenziari sono pensati per erogare un servizio, sia per i detenuti che per la comunità. Se invece che 100 ci sono 200 persone, non si possono realizzare le attività pensate".

Per Preite non è solo un problema di condizioni igieniche, ma anche di possibilità di riabilitazione. "Un ristorante che ha più clienti rispetto a quelli per cui è abilitato chiude. Qui stiamo parlando di luoghi in cui viene collocata la marginalità della società, sono persone con caratteristiche particolari. È evidente che è una soluzione sbagliata che può portare solo al fallimento. Se metto delle persone incattivite in queste realtà al collasso, prima o poi pagherò le conseguenze".

Il timore però, espresso dagli stessi detenuti ovvero i redattori di "Ristretti Orizzonti" il giornale del carcere di Padova, è che tutti questi allarmi cadano velocemente nel dimenticatoio. "Notizie che si dimenticano il giorno dopo. Mentre lo scempio si protrae indisturbato. È certo comprensibile che i cittadini comuni non badino troppo a tali realtà. Meno comprensibile è l’indifferenza mostrata dalla maggior parte di avvocati e magistrati. [...]. Una distrazione che è fonte di grande responsabilità. Perché concorre, se pur inconsapevolmente, ad alimentare l’illegalità che, in luoghi chiusi come il carcere, diventa immediata ferita sulla persona. Si preferisce volare alto. Il giusto processo. La separazione della carriere. Il lodo Alfano. Si preferisce trattare della Luna, anziché dell’infiltrazione d’acqua che minaccia la nostra casa".

Viterbo: il numero dei detenuti è tornato sui livelli pre-indulto

 

Ansa, 23 ottobre 2008

 

Il numero dei detenuti è tornato sui livelli pre-indulto, mentre la carenza del, personale, in particolare degli agenti di custodia, è ulteriormente aumentato, arrivando a sfiorare il 30%. Questa, in sintesi, la situazione del carcere Mammagialla di Viterbo, illustrata dal direttore Pierpaolo D’Adria, in occasione della celebrazione del 191mo anniversario della fondazione del corpo di polizia penitenziaria. "All’inizio del 2007 - ha detto D’Adria - la popolazione detenuta era scesa a circa 400 unità, mentre oggi è arrivata a 560 e tende a raggiungere le 600 nei prossimi mesi".

D’Adria ha aggiunto che sono aumentati anche i detenuti sottoposti al 41 bis, oltre 50, e al regime di sorveglianza speciale, circa 100. Gli stranieri sono 200 e rappresentano più di un terzo dell’intera popolazione reclusa. "La grave carenza d’organico - ha sottolineato il direttore di Mammagialla - non ha comunque rallentato l’impegno degli agenti di polizia penitenziaria, che negli ultimi 12 mesi hanno eseguito 213 perquisizioni, 320 segnalazioni all’autorità giudiziaria, 150 sequestri, 7 dei quali di stupefacenti, e circa 1.300 traduzioni".

 

Raccolta differenziata rifiuti per detenuti

 

Raccolta differenziata dei rifiuti, corsi di formazione professionale per la realizzazione di pannelli fotovoltaici e di informatica. Sono le nuove attività in cui saranno impegnati i detenuti del carcere Mammagialla di Viterbo, illustrate dal direttore Pierpaolo D’Adria in occasione del 191mo anniversario della fondazione del corpo di Polizia Penitenziaria.

"Nei prossimi giorni - ha affermato D’Adria - partirà il progetto di raccolta differenziata dei rifiuti in collaborazione con la Provincia di Viterbo e finanziato dalla Regione Lazio. È in fase di avanzamento - ha aggiunto il direttore del carcere - un altro progetto curato dal Dap e cofinanziato dalla Provincia, per la formazione professionale di detenuti nel campo dei pannelli fotovoltaici che saranno installati nell’istituto".

‘La Regione Lazio ha inoltre finanziato un’attività di formazione che, tra l’altro, ha permesso l’allestimento di una sala multi-mediatica per corsi di informatica. Il Comune di Viterbo - ha concluso D’Adria - attraverso l’iniziativa "Conosci il lavoro", ha fornito un importante contributo. Positiva la valutazione di D’Adria sul passaggio alla Asl dell’assistenza sanitaria ai reclusi.

Nuoro: iniziato processo per le violenze nel carcere di Mamone

di Simonetta Selloni

 

La Nuova Sardegna, 23 ottobre 2008

 

Un piccolo colpo di scena ha caratterizzato la prima udienza al processo nei confronti di otto agenti penitenziari del carcere di Mamone imputati di minacce, violenza privata, e per uno, detenzione illegale di munizioni. Il tribunale di Nuoro ha infatti escluso i testimoni dell’accusa perché il pm, nella sua lista, non ha indicato su quali circostanze avrebbero dovuto deporre.

Il dibattimento si è aperto ieri davanti al tribunale in composizione collegiale (presidente Morra, giudici De Angelis e Palmas). La vicenda, che risale al 2002, aveva destato molto scalpore per le accuse rivolte agli imputati, ai confini con l’intolleranza religiosa: alcuni detenuti musulmani (di nazionalità marocchina e tunisina) sarebbero stati costretti a baciare la statua della Madonna e a omaggiare la bandiera italiana.

Dal dibattimento sono usciti invece due degli imputati iniziali, che però erano accusati di peculato per i furti della merce prodotta all’interno della casa di reclusione all’aperto. Uno ha patteggiato undici mesi, mentre un altro agente è stato condannato con rito abbreviato a un anno e otto mesi.

Gli otto "superstiti" hanno sempre respinto in blocco le accuse e, attraverso i loro legali, hanno chiesto il vaglio processuale per fare chiarezza sulla storia. Si tratta di Bachisio Pira, Efisio Torazzi, Antonio Sanna, Salvatore Pala, Piero Sulas, Marco Pitzalis, Giovanni Mazzone e Natalino Ghisu.

Ma ieri, all’apertura del dibattimento, l’avvocato Ramazzotti, (gli altri legali sono Gianluigi Mastio, Concetta Sirca, Lorenzo Soro e Simonetta Pinna) ha chiesto l’inammissibilità della lista dei testimoni prodotta dal pubblico ministero, per la mancanza di indicazioni delle circostanze sulle quali avrebbero i testimoni avrebbero dovuto deporre.

Il tribunale ha deciso di accogliere l’eccezione, e ha quindi estromesso dal processo i testimoni dell’accusa, compresi i due agenti citati per l’udienza di ieri. Subito dopo, la difesa ha annunciato la volontà di rinunciare ai suoi testimoni, richiesta sulla quale il pm si è riservato di interloquire alla prossima udienza. Che è stata già fissata per il due dicembre.

È comunque quasi scontato che i testimoni "perduti" verranno reintrodotti dal tribunale utilizzando l’articolo 507 del codice di procedura penale, che consente l’ammissione di nuove prove da parte del giudici che ne ravvisi l’assoluta necessità per stabilire la verità dei fatti. Diversamente, l’andamento del dibattimento sembrerebbe quasi a senso unico, con accuse pesanti da una parte, ma senza testimoni dall’altra.

A denunciare gli episodi di intolleranza e fanatismo religiosi, ma anche lesioni per presunte violenze, erano stati i detenuti, una volta lasciato il carcere. Avevano aperto uno squarcio su una realtà, che, se accertata processualmente, sarebbe terribile. Altro che finalità rieducative della pena, altro che integrazione. Si prosegue il 2 dicembre.

Pavia: casa-famiglia arredata con mobili fabbricati dai detenuti

di Simona Bombonato

 

La Provincia Pavese, 23 ottobre 2008

 

Arredi fabbricati artigianalmente dai detenuti di San Vittore: la casa accoglienza che la fondazione Exodus sta allestendo nell’ex orfanotrofio femminile Serafini, in piazza San Rocco, ribadisce la propria finalità sociale anche ammobiliando i locali, in vista dell’inserimento delle mamme in difficoltà economica con bambini (gli ospiti naturali della struttura), previsto non prima della fine dell’anno. Nei giorni scorsi sono stati consegnati i primi mobili, che la fondazione di don Mazzi, collegata a Ex.it, ha voluto far realizzare ai ragazzi detenuti a San Vittore.

Un tassello dopo l’altro, si avvicina il momento cruciale. Ad agosto, l’amministrazione comunale ha chiuso l’iter burocratico consegnando le chiavi dell’immobile ai responsabili di Exodus, con cui è stata sottoscritta la convenzione per cui il Comune risponderà delle opere di manutenzione straordinaria e di un contributo una tantum di 10mila euro.

Un passaggio importante, seguito ai lavori di ristrutturazione che la giunta Spialtini ha completato in appena sei mesi, per una spesa complessiva di 200mila euro, di cui 165 a titolo di finanziamento regionale a fondo perduto. "Ho visto i mobili - ha sottolineato l’assessore ai Lavori pubblici, Enzo Rossato -. Sono ben fatti. I miei complimenti ai falegnami".

Alghero: corso di pasticceria per i detenuti, svolto saggio finale

 

La Nuova Sardegna, 23 ottobre 2008

 

Si è tenuto nei giorni scorsi nella Casa di Reclusione di via Vittorio Emanuele il saggio finale del progetto di pasticceria, decorazione e intaglio, finanziato con fondi regionali e proposto dal gruppo di progetto dell’Istituto Alberghiero. I destinatari dell’intervento sono stati alcuni studenti delle tre classi del corso Ipsar attive all’interno del carcere che guidati dal professor Ermanno Pirinu si sono esercitati per 35 ore nella preparazione di prodotti dolciari di vario tipo e nell’intaglio di frutta e verdura a scopo decorativo per l’allestimento dei buffet.

L’evento ha dimostrato i risultati raggiunti dai detenuti nell’arte pasticcera. Il direttore della Casa di reclusione, Francesco Gigante, ha sostenuto l’iniziativa manifestando soddisfazione per l’operato di educatori e insegnanti nel recupero e nella riqualificazione professionale dei reclusi.

Un ruolo indubbiamente importante è stato svolto dalla polizia penitenziaria i cui uomini hanno manifestato disponibilità nonostante le carenze di organico. In occasione del saggio oltre agli studenti del corso alberghiero e della scuola media erano presenti l’assessore alla Pubblica istruzione, Giuseppe Sanna, l’assessore provinciale al Lavoro, Salvatore Marino.

Tra le finalità del progetto da segnalare che rientra tra gli obiettivi la possibilità di frequentare uno stage presso aziende locali, pasticcerie e ristoranti, che si rendano disponibili ad accogliere un detenuto nelle proprie cucine, anche per brevi periodi. Da segnalare che alcuni detenuti che hanno conseguito il diploma dell’Alberghiero stanno attualmente frequentando diverse facoltà dell’Università di Sassari a completamento del loro ciclo di studi.

Rovigo: convegno per i 20 anni del Centro francescano d’ascolto

 

Redattore Sociale - Dire, 23 ottobre 2008

 

Oggi il convegno "20 anni accanto agli ultimi senza andare fuori tempo", che vedrà come relatori don Ciotti (Gruppo Abele e Libera), Alessandro Margara (Fondazione Michelucci), don Nozza (Caritas italiana) e il prof. Giuseppe Mosconi.

Voleva festeggiare i suoi vent’anni decretando la fine delle attività per "inutilità". Ma del Centro francescano d’ascolto oggi come ieri il territorio ha ancora bisogno. È dunque un anniversario agrodolce per l’associazione rodigina, che coglie l’occasione per denunciare una regressione in materia di politiche sociali statali. Non cala l’emarginazione, ma cambia. Non migliora la situazione carceraria, ma torna all’invivibilità.

Di questo si parlerà oggi nel convegno "20 anni accanto agli ultimi senza andare fuori tempo", che si aprirà alle 17.30 e che vedrà come relatori don Ciotti (Gruppo Abele e Libera), Alessandro Margara (Fondazione Michelucci), don Nozza (Caritas italiana) e Giuseppe Mosconi (docente di Sociologia dell’Università di Padova).

"Noi speravamo davvero che ormai non ci fosse più bisogno di noi - racconta Livio Ferrari, fondatore e direttore del Centro francescano d’ascolto -, mentre invece le cose anziché migliorare peggiorano. Ci siamo illusi che la situazione stesse cambiando in meglio ma era, appunto, un’illusione". È duro il giudizio sulla società attuale: "Il Governo non si interessa della povertà, anzi ne crea di nuove. Nelle carceri sono tornate a esserci condizioni invivibili. Si reprime di più, se si pensa anche all’idea della polizia nelle scuole. A questo punto il volontariato si dovrà necessariamente interrogare sul proprio rapporto con lo Stato".

Quando nel 1988 esordì con la sua attività, il Centro si trovò a operare in un territorio che iniziava a confrontarsi con delle emergenze, come l’Aids, la tossicodipendenza, il carcere. "Appena nati, scoprimmo che il nostro territorio, seppur piccolo, aveva un grande bisogno di aiuto - ricorda Ferrari -. Basti pensare che solo pochi giorni dopo la nostra nascita venimmo contattati da un detenuto, che ci chiese di fargli visita perché voleva raccontarci qual era lo stato delle cose e come venivano trattati nella struttura".

Da allora la società è molto cambiata e con essa sono mutate anche le emergenze, le marginalità: "Ora c’è molto di più l’emarginazione sommersa, quella delle persone che vengono lasciate e vivono da sole. Vivere in questo periodo comporta una fatica diversa rispetto al passato, perché siamo lasciati a noi stessi, senza aiuto né punti di riferimento. C’è davvero molta solitudine".

Di tutti questi aspetti della società odierna si parlerà nel corso del convegno, grazie soprattutto al contributo di don Ciotti e di don Nozza, che hanno il polso della situazione in due ambiti centrali come la mafia e la povertà. L’appuntamento è all’Accademia dei Concordi di Rovigo (Sala degli arazzi), nella centrale piazza Vittorio Emanuele II a partire dalle 17.30.

Immigrazione: concluso il censimento per oltre 12mila nomadi

 

Sesto Potere, 23 ottobre 2008

 

Si è concluso il censimento nei campi nomadi effettuato nelle città di Roma, Milano e Napoli. I prefetti Carlo Mosca, Gian Valerio Lombardi e Alessandro Pansa, Commissari straordinari per il superamento dell’emergenza degli insediamenti nomadi, hanno consegnato oggi al ministro dell’Interno Maroni un rapporto dettagliato sulle operazioni di censimento. Sono stati individuati complessivamente 167 accampamenti, di cui 124 abusivi e 43 autorizzati, ed è stata registrata la presenza di 12.346 persone, tra le quali 5.436 minori.

Nel corso della conferenza stampa al Viminale, il ministro Maroni ha però precisato che "almeno altrettanti nomadi rispetto a quelli censiti, circa 12.000, si sono allontanati dai campi dall’inizio di giugno". Una stima calcolata grazie alle informazioni e alle interviste raccolte nei campi, agli studi fatti dalle associazioni e alle rilevazioni aeree eseguite sulle città. "Lo svuotamento dei campi - ha spiegato Maroni - è l’effetto più importante dell’iniziativa voluta dal governo". Molti nomadi, infatti, si sarebbero trasferiti in altri Paesi: in Spagna, in Francia e in Svizzera.

L’obiettivo che Maroni intende raggiungere "entro maggio, massimo giugno del prossimo anno", come annunciato già con l’ordinanza del 30 maggio 2008, è quello di "passare dai campi nomadi autorizzati o tollerati, ovvero quelli abusivi, al modello del villaggio attrezzato", che prevede la realizzazione di una struttura in regola con le norme igienico-sanitarie e con le prestazioni e i servizi erogati dai comuni, come la fornitura di acqua, di luce e la raccolta dei rifiuti.

Conclusa la fase del censimento, infatti, il ministro porterà avanti un programma articolato nei seguenti quattro punti: sgombero dei campi abusivi e ripristino delle condizioni igienico-sanitarie minime nei campi attrezzati; individuazione di altri siti idonei per i campi che saranno chiusi; realizzazione dei primi interventi per la nascita dei cosiddetti villaggi attrezzati; adozione dei piani di scolarizzazione per i minori.

Tale modello, che potrà essere esteso a tutti gli enti che lo richiederanno, permetterà, ha spiegato Maroni, "di ospitare chi, tra coloro che oggi vivono nei campi, ha diritto a stare". "Non consentiremo - ha poi aggiunto - l’apertura di nuovi campi abusivi". Il ministro ha annunciato, inoltre, che nei prossimi giorni avrà una nuova riunione con i Commissari nel corso della quale saranno stabiliti i primi interventi che coinvolgeranno gli Enti locali, i ministeri dell’Istruzione e del Welfare, l’Unicef e la Croce Rosse Italiana.

"Il nostro è un piano ambizioso, importante, - ha sottolineato Maroni - che vuole mettere fine a questo sconcio e creare in Italia un modello di best practice che possa essere attuato in tutta Europa. Nei villaggi attrezzati devono poter entrare tutti coloro che viaggiano e vogliono sostare o transitare. In un paese civile anche chi viaggia deve poter trovare un luogo con tutti i servizi. Si tratta di una svolta vera, di una politica di interventi che abbiamo iniziato ad attuare nonostante le critiche iniziali".

Immigrazione: i Cpt sono centri di accoglienza, o sono prigioni?

di Giulia Cerasi

 

www.voceditalia.it, 23 ottobre 2008

 

La difficile accoglienza di un clandestino che arriva in Italia tra fermi, schede telefoniche ed espulsioni. Ecco le criticità del nostro modello immigratorio.

Vent’anni, incinta, dolori lancinanti all’addome. La ragazza, di origini ghanesi, non riesce a rientrare in tempo nel Centro d’accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo dove è ospite e, per lo stress, abortisce. Questa triste vicenda risale a qualche giorno fa ed è l’ultima in ordine di tempo delle tante storie dal sapore amaro che provengono dai centri di permanenza ed accoglienza temporanei per immigrati presenti sul nostro territorio nazionale.

I centri di permanenza temporanea (Cpt), ora denominati centri di identificazione ed espulsione (CIE), sono strutture istituite dall’articolo 12 della legge Turco-Napolitano (n° 40/1998), per tutti gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile" ed hanno la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, ovvero di trattenere persone in attesa di un’espulsione certa a seguito di un illecito amministrativo (mancanza dei documenti di viaggio e/o del vettore).

I Cpt sono affollati da centinaia di clandestini, molti dei quali hanno viaggiato giorni e giorni in condizioni estreme per raggiungere le coste italiane, o semplicemente da immigrati irregolari fermati dalla polizia per le strade delle città. All’interno dei centri gli stranieri si trovano con lo status di trattenuti (o ospiti) e non di detenuti, poiché questa misura non può assimilarsi ad una sanzione detentiva ed è adottata al di fuori del circuito penitenziario.

Pur non avendo commesso alcun reato gli "ospiti" si ritrovano scaraventati in una cella, insieme ad altri estranei, senza avere la possibilità di avvertire la famiglia o l’avvocato, senza acqua ne cibo, senza capire cosa sta accadendo. Le impronte della mano scannerizzate per la schedatura, la visita medica, una maglietta pulita e quando va bene anche una scheda telefonica. Pochi si rendono conto di dove sono e cosa fanno lì: è un privilegio di chi parla inglese - quando l’istruzione degli agenti che lavorano nei campi lo consente - poiché nella maggior parte dei casi non esistono traduttori o mediatori culturali.

Da più parti (amministrazioni locali, Ong, associazioni di avvocati) si sono levate voci contro la cattiva gestione, se non addirittura l’esistenza stessa, dei Cie. Nel suo rapporto del 2004, Medici Senza Frontiere ha monitorato i circa venti campi italiani denunciandone numerosi aspetti critici, come alloggi inadeguati (container o strutture fatiscenti), sovraffollamento, condizioni igieniche carenti, cibo scadente, mancanza di forniture di vestiti e biancheria pulita. Molto spesso, inoltre, nei centri non è previsto un ambiente riservato agli ex-carcerati, l’assistenza medica è insufficiente (a volte manca addirittura il servizio di sostegno psicologico) e quella legale quasi inesistente.

Nel rapporto "Presenza temporanea diritti permanenti" Amnesty International ha anche denunciato la costante violazione dei diritti umani, segnalando la presenza di abusi di matrice razzista, aggressioni fisiche e uso eccessivo della forza da parte degli agenti di pubblica sicurezza e da parte del personale di sorveglianza, in particolare durante proteste e in seguito a tentativi di evasione.

Con la modificazione della Turco-Napolitano ad opera della legge Bossi-Fini (n. 189/2002) i clandestini sono costretti a rimanere nei centri permanenza temporanei per 60 giorni (trenta giorni prorogabili per altri trenta), anche se a seguito del varo del cosiddetto "pacchetto sicurezza" nel marzo scorso, il periodo di detenzione è stato elevato a 18 mesi.

Una volta entrato nel Cpta, il trattenimento dello straniero deve essere convalidato da un giudice: viene emesso un decreto di espulsione dal territorio italiano che verrà eseguito o accompagnando immediatamente lo straniero alla frontiera (in caso di pericolosità del clandestino per motivi di pubblica sicurezza) o rilasciando un foglio di via che intima di lasciare il paese entro 15 giorni.

Questa azione di contrasto delle immigrazioni clandestine, come sottolineato anche dalla "Commissione De Mistura" del Ministero degli Interni che ha svolto un’analisi sui CPT, "non risponde alle complesse problematiche del fenomeno e non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare". Il sistema di detenzione amministrativa, infatti, non raggiunge l’obiettivo di combattere in maniera adeguata i flussi di migranti clandestini e, soprattutto, non sempre rispetta i diritti e la dignità umana.

Immigrazione: Msf; a rischio diritto salute di immigrati irregolari

 

Asca, 23 ottobre 2008

 

Medici Senza Frontiere è seriamente allarmata per l’intenzione di porre delle barriere all’assistenza sanitaria per gli immigrati irregolari, mettendo in pericolo il principio universale di accesso alle cure mediche. La salute è riconosciuta come diritto fondamentale dalla Costituzione italiana e la legge Turco-Napolitano (1998) e la Bossi-Fini (2002) confermano tale diritto anche per tutti i cittadini stranieri, con o senza permesso di soggiorno.

In questi giorni è in via di discussione alla Commissione congiunta Affari Costituzionali e Giustizia in Senato, un emendamento al Disegno di Legge 733 sull’immigrazione che punta ad eliminare per i medici il principio di ‘non segnalazione all’autorità’. In sostanza si intende sopprimere il punto fondamentale del decreto 286/1998 che dice: "l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano" (comma 5, articolo 35).

"MSF chiede che venga mantenuto - dichiara Loris de Filippi, responsabile delle operazioni di MSF in Italia - il principio di ‘non segnalazione all’autorità’ degli stranieri privi di permesso di soggiorno che chiedono assistenza sanitaria, per evitare di porre barriere all’accesso alle cure mediche e di condannare queste persone ad una pericolosa marginalizzazione sanitaria".

Inoltre preoccupa l’intenzione, contenuta nell’emendamento, di legare la segnalazione all’autorità competente anche all’impossibilità dello straniero irregolare di partecipare alle spese per la prestazione sanitaria ricevuta, ledendo, anche in questo caso, il principio costituzionale per cui la Repubblica "garantisce cure gratuite agli indigenti". Il timore è che venga esacerbato il processo di esclusione sociale ai danni di queste persone, con il rischio che diventino così ancora più vulnerabili.

Dal 2003 ad oggi Medici Senza Frontiere ha attivato e gestito sull’intero territorio nazionale 35 ambulatori Stp per stranieri privi di permesso di soggiorno visitando 18.000 pazienti, grazie a protocolli d’intesa con l’Asl locale di riferimento, per favorire l’applicazione delle normativa italiana che riconosce il diritto alla salute come un diritto umano fondamentale.

"Come organizzazione medica, Msf è seriamente preoccupata - aggiunge Loris de Filippi - perché si sta cominciando a mettere in discussione uno dei diritti fondamentali dell’uomo, quello alla salute. La proposta di questi giorni si aggiunge ad altre avanzate nell’ultimo periodo in tema di immigrazione, come quella di introdurre il reato di immigrazione clandestina o quello di estendere a 18 mesi il tempo massimo di permanenza all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie)".

Droghe: Giovanardi; i Ser.T. non si toccano, io credo al recupero

di Anna Fiorino

 

Il Tempo, 23 ottobre 2008

 

Parte la campagna antidroga in tv e fa un certo effetto. Con quelle lampadine al posto del cervello che ti scoppiano in testa, simbolo di un disadattamento progressivo e di una condanna definitiva. Le luci non si fulminano, scoppiano. La campagna shock del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri è il primo passo di un progetto che il sottosegretario Carlo Giovanardi ha voluto fondare su due linee guida: i risultati della ricerca scientifica sui danni delle droghe al cervello e l’aiuto, (ma soprattutto il coinvolgimento) alle famiglie per promuovere il dialogo con i figli come "fattore protettivo".

Gli spot sono l’espressione, la prima visibile, di una strategia di comunicazione che vuole mostrare gli effetti dannosi delle sostanze psicoattive evidenziati dalle ultime ricerche scientifiche e promuovere prevenzione e protezione. Dietro gli spot, un consistente aggancio ai siti internet, un opuscolo che sarà distribuito e il lavoro del nuovo Comitato scientifico composto dai maggiori esperti internazionali di psichiatria, neurologia tossicologia e neuroscienze che danno la loro collaborazione gratuitamente e avranno il compito di riferire costantemente sui risultati della ricerca mondiale rispetto ai danni provocati dalla droga. Il lavoro del Comitato riparte da zero, al punto da poter utilizzare anche fondi non spesi negli anni scorsi a causa di quella che Giovanardi chiama "immobilità del governo Prodi".

Mentre la campagna del sottosegretario parte in grande stile e punta a portare la questione al centro del dibattito, contemporaneamente il ministro dell’Interno, Maroni, avvisa che per prendere la patente sarà necessario un test tossicologico che escluda l’uso di stupefacenti; a Milano, il sindaco Letizia Moratti (stesso schieramento di governo di Maroni e Giovanardi, Pdl) annuncia che multerà con 500 euro chi consuma droga in pubblico e spinge per un inasprimento della legge che fissa a 500 milligrammi (15-20) spinelli la quantità massima consentita per non incorrere nella presunzione dello spaccio di droga; il suo vice, Riccardo De Corato, agguanta l’occasione per dire che i Sert, i servizi pubblici di assistenza e accoglienza dei tossicodipendenti vanno chiusi: sono solo un covo di spacciatori.

L’uscita milanese arriva nell’ufficio di Giovanardi a Palazzo Chigi come un passo indietro rispetto alla legge che il governo non ha alcuna intenzione di compiere. Una ipotesi che privilegia le comunità di recupero ai servizi pubblici (Sert) che non trova terreno fertile, anzi.

 

Mi dica, senatore, volete chiudere i Sert?

"Assolutamente no, noi vogliamo una collaborazione fra strutture private e Sert, non una contrapposizione. I Sert non si chiudono. Con gli operatori abbiamo aperto un confronto molto più sereno di quello che non riuscimmo ad avere qualche anno fa. Tanta acqua è passata sotto i ponti".

 

De Corato li definisce luoghi di spaccio.

"Un conto è ciò che accade fuori dai Sert, un conto è ciò che accade dentro. Drogarsi è illecito, non c’è un diritto a drogarsi, il consumatore è una vittima e va recuperata. Distinguo la vittima dal criminale. E questo è un caposaldo".

 

La proposta di inasprimento lanciata dalla Moratti riapre un dibattito pericoloso.

"Siamo stati accusati dalla sinistra negli ultimi due anni di voler mettere in carcere migliaia di giovani. I dati dimostrano che non è affatto vero. Non c’è stata alcuna retata di giovani. La legge contiene un equilibrio che si è consolidato, apprezzato dai magistrati e dagli operatori. Non si può condannare nessuno sulla presunzione di quello che farà con ciò che ha in tasca. Il principio attivo, la soglia, è servita a poliziotti, carabinieri e magistrati. Prima della nostra legge, la valutazione sul mezzo grammo o sul chilo di sostanza detenuta dipendeva dalla libera interpretazione in tribunale. È molto difficile, oggi, se uno viene trovato con un principio attivo superiore alla soglia, dire che non è uno spacciatore, c’è una giurisprudenza consolidata. Superare la soglia è un indizio forte, ma non è una condanna. Una linea, la nostra, apprezzata anche dall’Onu".

 

Resta la divergenza con il sindaco di Milano.

"Un conto sono i consumatori, un altro gli spacciatori. Le sanzioni amministrative mi stanno bene, anche quella di punire chi consuma droga in pubblico, è un comportamento asociale, illecito, ma fra sanzione amministrativa e sanzione penale c’è una bella differenza".

 

Nel contempo c’è chi, come don Gallo, insiste nel dire che esistono droghe leggere, innocue e che l’unico modo per sconfiggere i narcotrafficanti sia la liberalizzazione.

"Ho visto don Gallo e ho confutato quel che pensa. Anzi. I suoi esperti danno ragione agli scienziati del Comitato del Dipartimento. Non si può parlare di droghe leggere e pesanti in relazione ai danni provocati al cervello. Tutte fanno male".

 

Ha parlato di metodologie diverse e di interventi finalizzati al recupero. Serve un aggiornamento continuo per fronteggiare le nuove emergenze, occorrono soldi.

"Ho una grande attenzione a ciò che si sta modificando, la diffusione della cocaina, l’acquisto di sostanze via web, i negozi della droga furba che abbiamo trovato il modo di chiudere. La droga non è un fenomeno facile da contrastare. L’eroina è tornata sotto forma di fumo con i magazzini dei trafficanti pieni e gli spacciatori che vendono a prezzi stracciati per acquistare clienti che per vent’anni dipenderanno da loro".

 

Danni al cervello, ma anche danni sociali, li ha considerati?

"Sono danni enormi: dagli incidenti stradali a quelli provocati nel loro lavoro da chi ha responsabilità sociali: professionisti, manager politici. L’uso di sostanze rende psicologicamente fragili e, soprattutto ricattabili. Anche il danno sociale va combattuto, in considerazione del fatto che la popolazione dedita all’uso di droghe rappresenta lo 0,1% del totale. Insomma una battaglia che si può vincere, perché se anche ammettiamo che il 2-3 per cento dei ragazzi fa uso di spinelli, c’è sempre un 97 per cento che non l’acquista".

 

Se è vero che sulla liberalizzazione la maggioranza ha una posizione unica, l’esempio di Milano dimostra che sulle politiche da adottare ci sono ancora ampie divergenze.

"A Modena si dice "battere pari". Famiglia, scuola, politica, chiesa devono dire tutti la stessa cosa. Dinanzi all’evidenza dei danni al cervello non è più possibile sentir cantare messaggi contrastanti. Lo ricordino don Gallo, qualche cantante, i radicali e chi si aggiunge al coro. Ad ogni modo c’è sempre la Consulta che è aperta alla discussione. Senza dimenticare, però, che la ricerca scientifica e i frutti che ha portato la legge conducono in una sola direzione, il governo sta seguendo una strada giusta sostenuta dai fatti".

 

Belli i progetti, grandi gli scienziati. Ma per una politica corretta di prevenzione e cura servono soldi.

"L’Italia è un Paese complesso. I fondi sociali sono di competenza delle Regioni. Il tentativo che faremo nella Consulta è rendere omogenee le politiche. Non in tutte le regioni esiste un rapporto fra operatori pubblici e privati, ci sono regioni che pagano rette ragionevoli ai Sert e altre che pagano poco e tardi. La libertà di scegliere fra assistenza pubblica e privata accreditata deve essere un diritto, come accade nella sanità".

 

Insomma si può scegliere fra galera, recupero e abbandono.

"Il tossico deve essere recuperato, le metodologie sono molto diverse, c’è chi punta sulla promozione umana, chi sulla Cristoterapia e chi usa il metadone a scalare. Ogni metodologia è accettabile purché sia finalizzata al ritorno alla vita. Sono contrario alle stanze del buco: lasciano che la situazione si cronicizzi, precipiti aspettando che il tossicodipendente muoia. Il mio no è alla liberalizzazione. Il mio sì convinto è per il lavoro svolto nei Sert".

 

I piccoli spacciatori che finiscono in galera non sono pochi. Spesso lo diventano per sopravvivere alla dipendenza.

"Torniamo al discorso del reinserimento: una volta condannato, invece di tenere il tossicodipendente in carcere è bene che lo si occupi in opere di pubblica utilità come prendersi cura dei barboni oppure che affronto un percorso di riabilitazione in comunità".

 

Non mi ha spiegato le ragioni del no alla liberalizzazione.

"Semplice. Il massimo consumo di droga nella storia e il maggior numero di morti si hanno nel 1908 con la liberalizzazione in Cina. Fino al ‘45 il consumo crolla in coincidenza di politiche decise. Poi risale senza mai arrivare ai livelli del 1908. Ciò dimostra che le politiche repressive funzionano. Se aprissimo alla liberalizzazione, la droga diventerebbe un business".

Droghe: la Federserd contro la furia proibizionista di De Corato

 

Notiziario Aduc, 23 ottobre 2008

 

"Incredibili e gravissime": così il presidente nazionale di Federserd (federazione dei servizi pubblici per le dipendenze), Alfio Lucchini, definisce le parole pronunciate ieri dal vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, che ha definito i Sert milanesi "luoghi di spaccio" auspicandone la chiusura.

"Non pensavamo di dover sentire nel terzo millennio parole sprezzanti come queste, lesive della dignità prima ancora che del lavoro di tutti noi, i professionisti dei Sert hanno bisogno di lavorare con serenità con le migliaia di giovani e meno giovani, che a Milano come in tutta Italia si rivolgono sempre più ai servizi pubblici per affrontare percorsi spesso lunghi e difficili".

"A chi vuole trovare scorciatoie ricordiamo di analizzare l’andamento dei fenomeni di abuso e dipendenza nel nostro Paese e le azioni messe in campo per affrontarlo: negare la complessità dell’intervento e la necessità della integrazione nelle varie fasi del percorso terapeutico e riabilitativo delle persone tra i Sert e le Comunità non solo è antistorico, ma anche fonte di conseguenze negative per la salute dei singoli e lo sviluppo della società".

"Ci auguriamo che l’interesse per i Sert animi a ogni livello chi deve garantire in mezzi e strutturare gli interventi di cura sanciti dalla costituzione italiana e dai livelli essenziali di assistenza".

Turchia: il Comitato Ue per prevenzione di tortura visita le carceri

di Gabriella Mira Marq

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 23 ottobre 2008

 

Alcuni rappresentanti del "Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti" - guidati dall’italiano Mauro Palma, presidente del Cpt - si sono recati nei giorni scorsi ad Ankara per colloqui con Mehmet Ali Sahin, ministro della Giustizia e con alti funzionari dei ministeri della Giustizia, Interni, Esteri, Difesa e forze armate turche.

Fra le questioni discusse durante i colloqui, le condizioni di detenzione di Abdullah Öcalan, che è stato detenuto per più di nove anni, come unico ospite del carcere dell’isola di Imrali, ma si è parlato anche delle recenti accuse di maltrattamenti dei detenuti da parte delle forze dell’ordine e dei funzionari della prigione, e della situazione dei cittadini stranieri detenuti.

 

 

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