Rassegna stampa 15 ottobre 2008

 

Giustizia: carceri sovraffollate, queste le "soluzioni" di Alfano

 

Il Velino, 15 ottobre 2008

 

Gli effetti dell’indulto "sono stati del tutto provvisori": lo ribadisce il ministro della Giustizia Angelino Alfano che, in occasione della festa del corpo di polizia penitenziaria alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano, torna a parlare dello stato delle carceri italiane, sempre più affollate, e dei rimedi che il governo intende adottare.

"Nel periodo fra agosto 2006 e settembre 2008 - spiega Alfano - si è assistito a una crescita media mensile della popolazione carceraria pari a poco meno di 800 unità al mese, con alcune punte, tra novembre 2007 e febbraio 2008, che hanno raggiunto mille unità mensili".

Il ministro ha sottolineato che "il nostro sistema carcerario è afflitto da non pochi problemi", ma ha speso numerose parole di lode per l’attività della polizia penitenziaria, definendo i suoi membri "operatori di una conversione laica all’onestà". Il Guardasigilli ha identificato fra le cause di questo del sovraffollamento delle carceri "l’aumento delle criminalità dei cittadini stranieri con i connessi problemi di gestione di gruppi di detenuti delle più varie etnie e l’effetto "porta girevole" cui si assiste in conseguenza dei numerosi e doverosi arresti per reati contro il patrimonio o la persona dopo il quali segue una fase di convalida dinanzi al giudice che spesso si conclude con forme premiali di definizione del procedimento da cui deriva l’immediata scarcerazione. Abbiamo calcolato - ha detto il ministro - che questo turnover, nel corso del 2007, ha coinvolto circa 94mila soggetti, dei quali oltre 24mila sono stati scarcerati entro il terzo giorno".

Quindi il ministro ha esposto la strategia del governo per porre rimedio allo "stress da sovraffollamento delle carceri che colpisce non soltanto i detenuti, ma anche il personale della polizia penitenziaria, rendendo più oneroso e difficile l’adempimento dei compiti d’istituto". Il governo ha elaborato "una strategia complessiva multisettoriale che, senza alcuno sconto sulle esigenze di sicurezza dei cittadini, possa garantire un sostanziale miglioramento delle condizioni di detenzione".

In particolare, Alfano ha ricordato che il governo "intende sollecitare le opere di completamento di alcune nuove strutture carcerarie e quelle di ampliamento di numerosi padiglioni esistenti". Inoltre, il governo "intende percorrere la strada degli accordi bilaterali nel quadro di una strategia finalizzata a ottenere che i detenuti stranieri condannati a pene detentive brevi possano scontare la pena nei loro paesi di origine, a prescindere dal loro consenso al rimpatrio e con la certezza che scontino effettivamente la pena e che non ritornino in Italia".

Una terza linea di intervento che l’esecutivo intende intraprendere è quella del controllo tecnologico a distanza dei detenuti a più bassa pericolosità. "Un sistema - ha sottolineato il ministro - che potrà essere introdotto ed incentivato solo se offrirà garanzie di sicurezze credibili sia al giudice che alla collettività". Il ministro ha poi fatto alcune considerazioni sul 41-bis, il regime del carcere duro.

Nei confronti di tutti i detenuti, mafiosi o terroristi, sottoposti al regime di custodia speciale previsto dal 41 bis, "è vitale l’interruzione dei flussi di comunicazione con l’esterno - ha detto Alfano - in modo da limitarne e, se possibile azzerarne la pericolosità anche durante i periodi di detenzione". I detenuti sottoposti al 41 bis - ricorda il ministro - sono 585, appartenenti in massima parte ad organizzazioni criminali di stampo mafioso ma anche alcuni terroristi che sembrano riemergere come rigurgiti di un passato, che sotto il profilo criminale non è ancora del tutto sepolto".

Alfano ha riconosciuto alla Polizia Penitenziaria di svolgere "egregiamente" un compito di prima linea, "che non è soltanto di pura e semplice vigilanza ma che è anche di osservazione attenta e di controllo dei più minuti dettagli che possano rivelare i mezzi sempre ingegnosi e fantasiosi con i quali questi criminali provano a comunicare con l’esterno, con l’intento di dar corso a nefaste imprese criminali".

Quella del ministro Alfano è stata giudicata una relazione "rigida e puntuale" dal presidente della Camera Gianfranco Fini, presente alla cerimonia. "Com’è doveroso fare per un ministro - ha detto Fini - Alfano ha fatto le sue precise osservazioni, ha indicato i problemi e ha prospettato anche le soluzioni". I dati esposto dal ministro, ha aggiunto Fini, "dimostrano che tutto il paese deve essere riconoscente all’impegno e al sacrificio degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria". I rimedi che il governo intende adottare per far fronte all’emergenza carceraria sono stati al centro dell’audizione di ieri Alfano in commissione Giustizia della Camera. Ecco, nel dettaglio, la relazione del ministro.

 

Edilizia carceraria

 

Alfano, durante l’audizione, ha snocciolato una serie di dati relativi ai diversi filoni di intervento del governo: edilizia penitenziaria, gestione del personale, gestione dei detenuti, regime di detenzione delle donne madri e regime del 41-bis. Nei 205 istituti di detenzione sparsi sul territorio nazionale c’è una capienza regolamentare di una capienza regolamentare di 43.262 posti. Capienza che sale fino a un numero di 63.568 posti, dei quali però solo il 59 per cento è utilizzabile, per la precisione 37.742. Il motivo? Scarse condizioni igieniche oppure carenza del personale. Il Guardasigilli ha fatto un lungo elenco di centri di detenzione da ampliare e altri dove è possibile costruire nuove strutture. Però, ha sottolineato, è importante ricordare che tirare su un padiglione di 200 posti comporta una spesa inferiore ai dieci milioni di euro, mentre costruire da capo un nuovo penitenziario fa lievitare la cifra a 45 milioni, con la stessa capienza. E, in tempi ragionevoli, il governo pensa di riuscire ad aumentare i posti disponibili di più di quattromila unità.

 

Personale di Polizia Penitenziaria

 

Naturalmente l’edilizia carceraria è collegata al numero di funzionari di polizia penitenziaria impegnati a lavorare nelle carceri. Infatti, ha spiegato Alfano, la costruzione di nuove carceri senza nuove assunzioni nel settore rischia di produrre una situazione "quasi insostenibile": si tratterebbe di "interventi sterili se non accompagnati da una politica" di ampliamento delle risorse umane. I numeri non sono confortanti: gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 45.121, ma sono in deficit di 4.171 unità; il personale del comparto dei ministeri prevede 8.872 dipendenti, ma ne mancano 2.535. Infine, dei 537 dirigenti previsti ne mancano 16.

 

Gestione dei detenuti

 

Capitolo detenuti. "Questa notte - ha riferito Alfano - hanno dormito nelle nostre strutture 57.187 detenuti. Di questi 21.366 sono stranieri, il 38 per cento, provenienti da 150 paesi diversi, in primis Marocco, Albania, Tunisia ed ex-Jugoslavia". L’effetto dell’indulto è ormai svanito: tra l’agosto del 2006 e il settembre del 2008, ha spiegato il ministro, si è assistito a una crescita media mensile pari a poco meno di 800 unità al mese, con punte tra novembre 2007 e febbraio 2008 di mille unità mensili. Sale anche il numero dei detenuti stranieri: al nord ce ne sono più che nelle altre carceri d’Italia. Il problema, ha notato il ministro, è che "non riesce a decollare la politica delle espulsioni. Nel 2007 solo 282 detenuti sono stati scarcerati per l’espulsione, quest’anno solo 158". La maggior parte delle persone in carcere risulta essere in attesa di un giudizio definitivo: sono 16.179 i detenuti in attesa del primo giudizio, 9.782 gli appellanti, 3.544 i ricorrenti, 1.669 quelli con una "posizione mista", 24.285 i detenuti condannati con sentenza definitiva, 1.597 internati e 131 da impostare. Interessante, secondo Alfano, i numeri sui flussi di ingressi e uscite dalle carceri: ogni anno c’è una movimento di circa 170 mila persone. Siamo davanti a un "rilevante" numero di detenzioni minori di dieci giorni, cosa che rende inattuabile il disposto costituzionale che istituisce il principio della pena educativa.

 

Madri e bimbi in carcere

 

Le donne in carcere sono sempre meno, 2.599, in calo rispetto agli anni precedenti quando erano di poco sotto la soglia delle tremila unità. Ma quello che il governo vuole risolvere è il nodo delle madri con bimbi in carcere. "Mai più bimbi nelle carceri" si chiama infatti il progetto del ministro della Giustizia volto a rendere "morbida" la detenzione delle detenute con figli piccoli per evitare loro eventuali danni psicologici. Si pensa a struttura con luoghi aperti, dai quali i bambini possono uscire liberamente, senza, ovviamente, complicare il lavoro delle forze dell’ordine. Sono, a oggi, 1.207 le donne-madri detenute.

 

41-bis

 

Infine alcune considerazioni sul 41-bis. Le persone sottoposte al regime del carcere duro sono 585: 579 uomini e solo 6 donne. Nel 2008 sono stati 76 decreti di prima applicazione del 41-bis, mentre sette detenuti hanno assunto status di collaboratore. La posizione giuridica dei sottoposti al carcere duro vede 135 condannati, 257 imputati, 192 misti e 1 internato. E i detenuti per reati di camorra sono più di quelli arrestati per mafia: 204 i primi, 180 i secondi. Poi ci sono 23 persone appartenenti ad altre mafie siciliane, 18 alla "stidda" (un’altra mafia siciliana), 25 alla Sacra Corona Unita, una alla mafia calabrese, una alla criminalità comune e tre in carcere duro per reati di terrorismo.

Giustizia: Napolitano; lavoro agenti polizia è per rieducazione

 

Apcom, 15 ottobre 2008

 

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, in occasione del 191° anniversario di fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria, il seguente messaggio: "Desidero esprimere, a nome della Nazione e mio personale, sentimenti di stima e gratitudine per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che con professionalità e quotidiana dedizione svolgono il complesso e peculiare compito di garantire l’ordine e la sicurezza degli istituti e di concorrere, nel contempo, al perseguimento del fine rieducativo della pena in attuazione del dettato della Carta Costituzionale".

"Il mio apprezzamento - prosegue Napolitano - è particolarmente sentito perché so quanto il vostro lavoro sia reso ancor più difficile e prezioso dall’incremento della popolazione penitenziaria e dalla presenza in essa di detenuti, di etnie e di culture diverse, con i quali siete chiamati a confrontarvi quotidianamente. La vostra professionalità, di anno in anno accresciuta grazie ai programmi di formazione e aggiornamento portati avanti dall’Amministrazione, vi consentirà di affrontare adeguatamente anche la sfida connessa all’auspicato ripensamento del sistema sanzionatorio".

"A loro volta - conclude il capo dello Stato - le nuove scelte organizzative dei circuiti penitenziari e lo sviluppo dei sistemi di controllo anche esterni agli istituti, vi chiamano a fornire un supporto ancora più ampio e puntuale all’attività giudiziaria, quale parte integrante delle altre Forze di polizia e nel rispetto delle specifiche competenze che la legge attribuisce a ognuna di esse. Con questi sentimenti e con il pensiero rivolto ai vostri colleghi caduti nell’assolvimento dei loro compiti, giungano a tutti voi, ai vostri colleghi non più in servizio e alle vostre famiglie, i più fervidi voti augurali".

Giustizia: Ionta (Dap); situazione drammatica, ma da governare

 

Asca, 15 ottobre 2008

 

Gli "effetti deflattivi dell’indulto" sulle sovraffollate carceri italiane "sono ormai esauriti ed il tasso di incremento della popolazione detenuta ha assunto ritmi preoccupanti che, in tempi rapidi, condurranno ai livelli raggiunti nella fase precedente al provvedimento di clemenza". Lo afferma Franco Ionta, direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in occasione della festa della Polizia Penitenziaria.

Ionta avverte che "non bisogna farsi atterrire dal fenomeno, ma piuttosto imparare a governarlo", aggiungendo che "farei torto alla vostra intelligenza, ma anche all’impegno ed alla generosità di coloro che mi hanno preceduto in questo prestigioso incarico se dicessi che abbiamo la soluzione, efficace e rapida, per risolvere tale drammatica questione".

Tuttavia, continua," esistono delle direttrici di marcia che possiamo impegnarci a coltivare e sviluppare. Non vi sono soluzioni d’incanto, ma - rileva Ionta - un ragionevole programma di sviluppo che consenta di recuperare all’interno del carcere condizioni di maggior serenità, le sole capaci di restituire a tutti gli operatori quella necessaria tranquillità nel servizio, presupposto essenziale perché ciascuno possa esprimere al meglio tutto il suo valore e le sue capacita"‘.

Giustizia: Udc; linee di Alfano condivisibili, però non ha risorse

 

Apcom, 15 ottobre 2008

 

I propositi e le linee generali sulle carceri esposte dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sono per il deputato Udc Roberto Rao "condivisibili", ma fanno emergere un quadro chiaro: "Non è che non voglia lanciare proposte e soluzioni, semplicemente con le risorse assegnate non può realizzarle".

"Molti spot del governo - rileva Rao - sono destinati a rimanere tali: dalla sperimentazione dei braccialetti elettronici, comunque di dubbia affidabilità tecnologica, alla ristrutturazione delle vecchie sedi carcerarie per cui mancano i fondi, fino all’espulsione dei detenuti stranieri che nella maggior parte dei casi fallisce per mancanza di accordi internazionali con i paesi da cui provengono".

"È giusto chiedersi perché in Italia ci siano più imputati che condannati in carcere, fenomeno che di per sé denuncia l’abuso del ricorso alla carcerazione preventiva", sostiene il deputato centrista, aggiungendo che "non è possibile affrontare il problema della situazione delle carceri senza reperire risorse per il personale, non solo per quello di vigilanza ma anche per coloro che svolgono una funzione rieducativa come gli educatori penitenziari e gli psicologi, molto sotto organico e le cui assunzioni sono bloccate da anni, nonostante si siano conclusi due concorsi per circa 400 posti complessivi". "In definitiva dall’audizione del ministro Alfano - conclude Rao - emerge un quadro chiaro: non è che non voglia lanciare proposte e soluzioni, semplicemente con le risorse assegnate non può realizzarle".

Giustizia: Lega; positiva la "frenata" sul braccialetto elettronico

 

Apcom, 15 ottobre 2008

 

Plaude la Lega Nord alle parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul braccialetto elettronico: "Valutiamo positivamente - spiegano i deputati del Carroccio Luca Rodolfo e Nicola Molteni - il freno posto dal Ministro Alfano in merito alla sperimentazione dei braccialetti elettronici, salvo che garantiscano margini di certezza e di controllo del condannato, simili a quelli in vigore in altri Paesi europei.

Il braccialetto deve assicurare che la possibilità di evasione sia pari a zero". "L’indulto voluto dal Governo Prodi - aggiungono - è stato un fallimento totale. I dati che oggi ha fornito il Ministro Angelino Alfano in Commissione Giustizia ne sono la prova tangibile: dall’agosto 2006 al settembre 2008 le presenze in carcere sono cresciute a ritmo di 800 unità al mese".

"Il problema dell’esubero di detenuti nei penitenziari - continuano i parlamentari leghisti - può essere risolto solo attraverso due vie: la costruzione di nuove carceri da un lato, e l’ampliamento di quelle già esistenti dall’altro. Proprio sulla linea di quanto ha fatto e perseguito l’ex Guardasigilli Roberto Castelli".

I due deputati del Carroccio si dicono preoccupati per il dato sull’applicazione della sanzione amministrativa dell’espulsione degli stranieri "tale per cui - concludono - auspichiamo che nel più breve tempo possibile si rafforzino forme di cooperazione internazionale per far scontare la pena ai colpevoli nel loro Paese natale".

Giustizia: Camere Penali; mai rimosse cause sovraffollamento

 

Agi, 15 ottobre 2008

 

Il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane "ha raggiunto nuovamente i numeri del periodo pre-indulto": le cause del sovraffollamento carcerario "non sono state rimosse". Lo sottolineano i penalisti in una nota, nella quale ricordano quali siano le principali cause della situazione nei penitenziari: in primis, scrive l’Ucpi, "l’uso indiscriminato e massiccio della misura cautelare estrema della custodia in carcere in contrasto con l’art. 27 della Costituzione è segnalata da un rilevantissimo numero di detenuti in attesa di processo", nonchè "l’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario e la legge ex Cirielli sulla recidiva" che "limitano fortemente il meccanismo di sospensione dell’ordine di carcerazione e il conseguente accesso alle misure alternative alla detenzione come previsto dalla legge Gozzini, costringendo soggetti già reinseriti nel contesto civile e sociale, condannati per fatti commessi molti anni fa, a rientrare in carcere".

Inoltre, il sovraffollamento, secondo le Camere penali, è conseguenza anche della legge Bossi-Fini, che prevede il ricorso alla pena detentiva per i cittadini extracomunitari soggetti ad espulsione, così come della normativa sugli stupefacenti (legge Fini-Giovanardi) che consente l’arresto anche per chi detiene sostanza stupefacente leggera.

"La modifica delle suddette leggi, così come di quelle del Pacchetto sicurezza - osservano i penalisti - è la prima condizione possibile per ridurre il sovraffollamento ed impedire il collasso del sistema carcerario. Tale scelta di politica criminale va certamente accompagnata con un concreto impegno per la sicurezza dei cittadini e occorre scegliere un percorso di prevenzione attraverso un razionale ed adeguato impegno delle forze di polizia a presidio del territorio al fine di ridurre il numero dei reati che allarmano l’opinione pubblica".

Nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti e in consonanza con le normative della Comunità Europea, poi, rileva l’Ucpi, "va regolata la presenza dei cittadini extracomunitari sul territorio italiano, privilegiando provvedimenti di natura amministrativa per chi è soggetto ad espulsione piuttosto che ricorrere alla pena detentiva". Le Camere penali, infine, sottolineano come "le misure alternative al carcere previste dalla legge Gozzini dimostrano, nella loro applicazione pratica, una forte capacità rieducativa e di risocializzazione.

Chi è stato sottoposto a una misura Gozzini fa registrare una recidiva decisamente minima (0,6%)". Tali dati, conclude l’Ucpi, "devono pertanto determinare una precisa scelta politica: potenziare le misure Gozzini, favorendo il duplice risultato di tutelare la collettività e decongestionare le carceri, anziché ridurla come invece prevedono proposte pendenti avanti il Parlamento".

Giustizia: Garanti dei detenuti; servono più misure alternative

 

Redattore Sociale - Dire, 15 ottobre 2008

 

Introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura ai sensi della Convenzione Onu in del 1984, firmata e ratificata anche dall’Italia, e promuovere le misure alternative al carcere. Sono queste le altre richieste avanzate oggi alla Conferenza dei Garanti dei diritti dei detenuti riunitisi ieri a Roma, presso la Camera dei Deputati.

Ad oggi sono relativamente pochi i detenuti che scontano la propria pena seguendo misure alternative, nonostante i possibili destinatari siano di gran lunga più numerosi di chi ne usufruisce. "Secondo alcune ricerche fornite dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria - afferma Adriana Tocco, Garante per la Campania -, la detenzione generica a dicembre 2007 era utilizzata per oltre mille persone, mentre erano in carcere con anche meno di due anni da espiare oltre 8 mila persone. Di questi molto probabilmente, anche se non tutti, almeno la metà avrebbero potuto usufruire all’alternativa".

La difficoltà più grande, spiega ancora Adriana Tocco, è affrontare l’allarme sociale dei nostri giorni e la forte sensibilità verso i fenomeni delinquenziali. "Offrire al detenuto la possibilità del reinserimento sociale - ricorda infine il Garante della Campania -, attraverso delle misure alternative deve essere un principio di base, mentre noi sappiamo che le misure alternative ad oggi sono poco utilizzate".

Sull’urgenza dell’inserimento del reato di tortura, i garanti mettono in guardia da possibili false credenze. "Ritengo che oggi vi sia una diffusa e purtroppo erronea convinzione - spiega Angiolo Marroni, Garante per la Regione Lazio -, una sorta di leggenda metropolitana dovuta ad elementari regioni di buon senso, secondo cui nel nostro Paese la tortura costituisce già un reato punito autonomamente. Purtroppo, però, oggi la realtà è che il torturatore non è punito come tale, ma semplicemente perché pone in essere condotte di volta in volta qualificate come violenza privata, lesione volontarie, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, omicidio".

Nonostante l’Italia abbia già preso più volte parte a discussioni internazionali sulla condanna della tortura, la fattispecie di reato non c’è ancora. "L’Italia ha aderito ed ha sottoscritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo - afferma Lino Buscami, segretario generale della Conferenza dei Garanti regionali -, dove non c’è un accenno diretto alla parola tortura, ma c’è condanna ad ogni forma di trattamento degradante. Abbiamo anche sottoscritto la Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e in questo caso c’è una conferma esplicita.

L’Italia ha recepito con legge la convenzione Onu contro la tortura. Se sottoscrive e promuove documenti e impegni internazionali non si riesce ancora a capire quali siano gli ostacoli al riconoscimento del reato". Il vuoto normativo, spiega inoltre Marroni, rende giuridicamente inadempiente il nostro Paese verso organizzazioni internazionale come le Nazioni unite o il Consiglio d’Europa.

Giustizia: Corleone; legge su droga contribuisce all’affollamento

 

Notiziario Aduc, 15 ottobre 2008

 

"Tra qualche mese assisteremo allo scoppio delle carceri. È una previsione facile, il numero di detenuti è ormai superiore a 56 mila unità, con una media di ingresso di mille ogni mese. A breve saremo quindi oltre il numero presente prima dell’indulto che era 62 mila e al momento in cui si arriverà a queste cifre il livello di invivibilità sarà terribile e quindi anche la gestione delle carceri non facile".

Lo ha detto il garante dei detenuti di Firenze Franco Corleone a margine della presentazione di 4 progetti dedicati ai detenuti in Palazzo Vecchio. Secondo Corleone "la mancanza di una politica di riforma ha innescato una bomba a orologeria. Quando scoppierà non lo so ma è una responsabilità grande quella di non aver approfittato dell’occasione irripetibile dell’indulto per fare una riforma del codice penale, delle leggi criminogene che riempiono le carceri come quella sulle droghe, sulla recidiva e sull’immigrazione". Corleone ha poi spiegato che "qualcuno ha giocato a criminalizzare l’indulto invece di approfittarne per ammodernare le carceri e per una riforma legislativa perché le carceri non si riempissero più".

Giustizia: Radicali; e nel 2008 sono già morti più di 90 detenuti

 

Ansa, 15 ottobre 2008

 

"La grave situazione del sovraffollamento delle carceri italiane è senz’altro una delle cause dell’aumento dei decessi di detenuti. Rispetto allo stesso periodo del 2007 c’è stato quest’anno un incremento del 5% dei decessi". A sostenerlo è Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd, che a tale proposito ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano.

Nel 2008, su un totale di una novantina di decessi in carcere (91, per l’esattezza, se si conta quello di per cause ancora ignote di Vincenzo M., il primo ottobre scorso, nel carcere di Viterbo), il 33% sarebbe causato da suicidi". "La situazione - denuncia la parlamentare - è gravissima e dimostra un vero e proprio stato di emergenza che non è più possibile ignorare. Nessuno può far più finta di nulla".

Quanto all’audizione del ministro Alfano, aggi alla Camera, sulla situazione carceraria, Bernardini esprime preoccupazione per la totale mancanza di consapevolezza dello stato di illegalità del nostro sistema penitenziario, determinato dalla politica di tutti i Governi che si sono succeduti. Si continua a dire, per esempio, che non ci sono fondi, senza considerare che decine di milioni di euro della Cassa delle Ammende anziché essere spesi per gli scopi propri dell’Istituto vengono dirottati per l’acquisto di titolo di Stato, come ha recentemente rilevato la Corte dei Conti.

Giustizia: Osapp; Alfano dia poteri straordinari a Capo del Dap

 

Agi, 15 ottobre 2008

 

Il Ministro della Giustizia Alfano deve dare poteri straordinari a Ionta di cui ci fidiamo: e i contatti pochi e scarsi avuti ci presentano una persona preparata, seria e disponibile a risolvere una volta per tutte le vere questioni.

È quanto afferma, in una nota, il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci per il quale "le parole dette da Alfano oggi ci fanno pensare che abbiamo davanti un Ministro della Giustizia ma non il Ministro delle carceri in Italia".

Ed in merito ai "dati forniti ci dicono di una realtà che già conoscevamo e che il Ministro non riferisce completamente: i numeri sono incerti e non la dicono lunga sulle vere carenze che il sistema detentivo soffre attualmente". Per fare solo un esempio - dice il dirigente dell’Osapp - "4.175 agenti di Polizia Penitenziaria non sono la carenza reale che manca negli istituti ma quella che risulta sulla carta e relativa ai concorsi interni che si sono svolti". Poi, "se il 30% del personale dei ruoli tecnici ed amministrativi manca - nota l’Osapp - certamente è la polizia penitenziaria demandata a sostituirli: un approccio prudente del Governo e del Ministro potevamo giustificarlo all’inizio della Legislatura, adesso la situazione non permette più altri indugi", conclude Beneduci.

Giustizia: Sappe; situazione grave, servono soluzioni condivise

 

Agi, 15 ottobre 2008

 

"Ci auguriamo che l’impietosa fotografia delle carceri italiane fatta oggi dal ministro della Giustizia Angelino Alfano in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati induca tutta la classe politica e di Governo alla ricerca di soluzioni condivise per risolvere il grave sovraffollamento penitenziario, che si ripercuote principalmente in difficoltà operative e disagiate condizioni di lavoro per le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, e l’altrettanto pesante carenza di organico dei Baschi Azzurri".

È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe alla luce dell’audizione odierna del Guardasigilli in Commissione Giustizia a Montecitorio. Capece sottolinea per l’ennesima volta la grave situazione di sovraffollamento penitenziaria: "attualmente abbiamo circa 57mila persone (più di 2.500 le donne).

Gli istituti di pena nel nostro Paese potranno ospitare al massimo altri 6mila detenuti, limite tollerabile rispetto alla capienza regolamentare degli istituti già abbondantemente superata pari a 42.992 posti. Dei 57mila detenuti, ben il 53% sono gli imputati e quasi 21mila gli stranieri. Si pensi che alla data del 31 luglio 2006, il giorno dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti.

Approvato l’indulto, esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità". Tutto ciò, spiega il leader del Sappe, "aggrava notevolmente i carichi di lavoro dei poliziotti penitenziari: siamo tornati ai tempi drammatici in cui un solo agente controlla 100/150 detenuti.

Il confronto tra queste cifre dimostra l’occasione persa dalla classe governativa e politica quando, approvato l’indulto, non ha raccolto l’auspicio del Sappe di ripensare, allora, il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano".

Governo e Parlamento, secondo Capece, "non possono tralasciare ulteriormente la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri penitenziari e devono porre l’emergenza carceraria tra le priorità di intervento, anche riservando fondi ad hoc nella Finanziaria".

Giustizia: i detenuti sono troppi, questure usate come carceri?

di Sara Menafra

 

Il Manifesto, 15 ottobre 2008

 

Sottratte al controllo politico, all’occhio di medici e personale specializzato. Piccole, spesso con dimensioni inferiori a quelle considerate vitali (quattro metri quadrati). Protagoniste di fattacci di cronaca e di morti sospette, addirittura tre solo nell’ultimo mese e mezzo. Nonostante la pessima fama che le accompagna, è sulle camere di sicurezza di caserme, questure e posti di polizia che il ministro della giustizia Angelino Alfano punta per ridurre il sovraffollamento carcerario.

Ieri mattina, davanti alla commissione giustizia della camera, ha tenuto a spiegare di persona la grave situazione in cui versano le patrie galere. E a buttar lì questa proposta "su cui sta studiando anche Ò Dap", per vedere l’effetto che fa.

Effettivamente, gli istituti di pena italiani sono di nuovo vicini al collasso. La notte del 13 ottobre ultimo scorso, sotto quei tetti hanno dormito 57.187 persone, sebbene la capienza delle 205 strutture italiane sarebbe di 37.748 e la "soglia massima di tollerabilità" (definizione tutt’altro che chiara) sia stata fissata a 63.568 unità. Al netto delle leggi che di giorno in giorno istituiscono reati per cui è previsto il carcere, sarà raggiunta presto. Dall’agosto 2006 al settembre 2008, dice il ministro, sono aumentati al ritmo di 800 al mese, con un picco di 1000 unità mensili tra il novembre 2007 e il febbraio 2008.

Alfano ha poche soluzioni da proporre. Dice e ripete che il 38% di questi detenuti, 21.366, sono stranieri provenienti soprattutto da Marocco, Albania, Tunisia ed ex Jugoslavia e che nei prossimi mesi implementerà il meccanismo delle espulsioni che al momento funziona poco, "nel 2007 ne sono state eseguite 282 e, fino al giugno 2008, 158".

Visto però che l’accelerazione sul punto difficilmente arriverà in tempi rapidi - l’accordo su cui dovrebbe basarsi, con la Romania, è del 13 settembre 2003 - e che il braccialetto elettronico è stato definitivamente archiviato, il ministro Alfano ha spiegato che sul suo tavolo c’è uno studio che punta a implementare l’uso delle "camere di sicurezza" di questure, caserme, posti di polizia o dei vigili urbani, stazioni ferroviarie.

Vuole metterci i 13.000 soggetti che ogni anno arrivano in carcere solo per attendere per 48 ore il processo per direttissima, più o meno quanto aspettano i "fermati" - che già finiscono in cella di sicurezza e non nel carcere - prima della convalida davanti al giudice.

Posto che la legge attuale non consente di trasformare quelle celle in istituti penitenziari, via Arenula non sembra badare al fatto che, solo nell’ultimo mese, dentro alle stanze di sicurezza - a Roma coprono 100 posti letto, ce n’è persino una nella stazione Termini - sono morte tre persone. Il penultimo, Stefano Brunetti, è stato portato nella questura di Velletri l’8 settembre scorso. Secondo la polizia, gli agenti sono stati "costretti a intervenire", perché l’uomo ha dato in escandescenza Certo è che il giorno dopo è stato ricoverato nell’ospedale locale e prima di morire ha detto al medico di essere stato picchiato.

C’è un inchiesta in corso sulla sua vicenda, come su quella di Federico Cuomo, 22 anni, portato nella questura di Napoli il 5 settembre perché non si era fermato ad un posto di blocco e morto poche ore dopo e sull’uomo georgiano arrestato a Milano l’8 ottobre, dopo un furto, e trovato senza vita giovedì mattina all’interno della camera di sicurezza della questura di via Fatebenefratelli. Viva ma mal ridotta era invece la prostituta nigeriana fermata a Parma l’il agosto, la cui immagine, accovacciata e impolverata, ha fatto il giro del paese.

Per tutti questi fatti di cronaca, e, più in generale, perché è al momento dell’arresto o del fermo che si rischiano i maggiori abusi e che bisognerebbe assicurare ogni garanzia, già oggi l’Italia è sotto accusa da parte di alcuni organismi internazionali e della Commissione europea sulla prevenzione della tortura. Come se non bastasse, nelle stanze di sicurezza non possono e non potranno entrare neppure i parlamentari. E, secondo le associazioni sui diritti dei carcerati, spesso è la loro presenza, almeno nelle grandi città, a limitare o impedire gli abusi peggiori. Chissà se il presidente Napolitano, oggi alla festa della polizia penitenziaria, farà cenno anche a questo.

Giustizia: 6mila i terroristi arrestati, 71 quelli ancora in carcere

 

Corriere della Sera, 15 ottobre 2008

 

Per la libertà condizionale concessa a Francesca Mambro, l’ex terrorista "nera" condannata a svariati ergastoli, c’è chi ha gridato allo scandalo. E così per la decisione francese di non estradare l’ex brigatista rossa Marina Petrella, ergastolana anche lei, rifugiata in Francia dal 1993. Sulla Mambro due autorevoli deputati del Partito democratico hanno presentato perfino un’interrogazione parlamentare, per sapere dal ministro della Giustizia le ragioni della decisione presa dal tribunale di sorveglianza di Roma.

Naturalmente il Guardasigilli non potrà che riportare le motivazioni dei giudici. I quali per concedere il beneficio all’ex terrorista ufficialmente colpevole anche della strage alla stazione di Bologna del 1980 (85 morti e 200 feriti, un’eccidio del quale la condannata continua a proclamarsi innocente) hanno seguito la giurisprudenza che da qualche tempo ha avallato questa particolare chiusura dei conti con la giustizia (non ancora definitiva, peraltro) per decine di ex militanti del "partito armato". Tra questi alcuni brigatisti autori del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro - Barbara Balzerani, Anna Laura Braghetti, Raffaele Fiore, Bruno Seghetti - e di altri delitti, o gli aderenti a sigle diverse della galassia eversiva degli anni Settanta.

Francesca Mambro - che nel 2009 compirà 50 anni, arrestata quando ne aveva 23, fuori dal carcere già da un paio di lustri per il "lavoro esterno" e la maternità - è solo l’ultima ad essere uscita dalla porta prevista dall’articolo 176 del codice penale. E sarà una delle ultime perché la maggioranza degli ex terroristi ergastolani c’è già passata. Quattro anni fa toccò a suo marito, Valerio Fioravanti, che si trova nella stessa situazione giuridico-giudiziaria della moglie, senza troppi clamori.

Per i condannati a vita la norma prevede la possibilità di usufruire della "condizionale" dopo 26 anni di pena scontati (che con la "buona condotta", diventano 22 grazie allo sconto previsto da un’altra legge), e siccome la grande maggioranza dei terroristi è stata arrestata nei primi anni Ottanta, dall’inizio dei Duemila i tribunali di sorveglianza stanno vagliando le istanze degli ergastolani. Col risultato che in galera restano sempre meno prigionieri cosiddetti "politici".

La contabilità aggiornata dei "detenuti appartenenti a movimenti eversivi" offre cifre bassissime rispetto ai circa 6.000 passati dalle prigioni italiane durante e dopo gli "anni di piombo". Oggi sono meno di cento, esattamente 97, così suddivisi per aree di appartenenza: 70 di sinistra, 21 di destra e 6 definiti anarchici.

Di questi però, 26 sono in semilibertà, cioè escono dal carcere ogni mattina per lavorare fuori e rientrano la sera: 23 di sinistra (l’ultimo, in ordine di tempo, Paolo Persichetti, ex militante dell’Ucc, unico estradato dalla Francia nel 2002) e 3 di destra. Chi prima e chi dopo, anche loro potranno arrivare alla possibilità della "condizionale".

Quelli che ancora non mettono il naso fuori dalla cella, quindi, sono solo 71. Anche questo numero, però, va scomposto per scoprire che non tutti i detenuti "a tempo pieno" sono dei terroristi ancora "in servizio". Concentrandosi sul più consistente gruppo di militanti delle Br e sigle affini, ad esempio, i prigionieri che non usufruiscono di alcun beneficio restano 47. Ma in questa cifra rientrano i neobrigatisti arrestati dopo il 2003 (tra cui i responsabili degli omicidi D’Antona e Biagi) e gli aspiranti combattenti del Partito comunista politico-militare, catturati nel 2007.

Quelli della "vecchia guardia" , dunque, sono una trentina, e tra loro sono compresi autonomisti sardi ed ex detenuti comuni "politicizzati" in carcere, senza più velleità. Soltanto la metà di questa pattuglia continua a lanciare proclami di guerra contro lo Stato e si può definire composta da "irriducibili", mentre gli altri non hanno più nulla a che fare con la lotta armata.

Come Cristoforo Piancone, Br arrestato nel 1978 dopo l’omicidio di una guardia carceraria, ammesso alla semilibertà nel 2004 ma sorpreso un anno fa a compiere una rapina in banca: nessun "autofinanziamento" sul modello dei tempi andati, solo un tentativo di guadagno personale che gli è costato la revoca dei benefici. Prima di lui avevano preso la stessa strada Giorgio Panizzari (ex Nuclei armati proletari, addirittura graziato nel 1998 da Oscar Luigi Scalfaro), e un ex appartenente all’Unione dei comunisti combattenti.

Tra le donne c’è Rita Algranati, brigatista della "colonna romana" che nel 1979 lasciò le Br e l’Italia, si rifugiò prima in Nicaragua e poi in Algeria. Solo nel 2004 fu arrestata grazie a una "consegna" concordata tra il servizio segreto italiano e le autorità algerine, che dalla sera alla mattina la fece ritrovare in Egitto dove alcuni di funzionari di polizia arrivati da Roma l’hanno presa e portata in carcere. Da quel momento ha cominciato a scontare i cinque ergastoli a cui è stata condannata, quando la sua storia con le Br era chiusa già da un quarto di secolo.

Sul fronte del terrorismo "nero", tra i detenuti senza benefici c’è Pierluigi Concutelli, che un mese fa s’è visto revocare la semilibertà perché trovato con qualche grammo di hashish addosso, non certo per aver ricominciato a sostenere le idee "rivoluzionarie " e omicide d’un tempo. Nella stessa categoria viene contabilizzato l’ex "pentito" Angelo Izzo, che durante i precedenti permessi ha commesso crimini efferati che con la politica non avevano niente a che vedere.

Delle migliaia di persone passate dalle carceri per reati di matrice politica, insomma, ne restano dentro poche decine, e solo in parte con le stesse idee che ce l’hanno portate. Tutti gli altri hanno ottenuto da tempo i benefici o la liberazione condizionale, e le percentuali di chi è tornato a commettere reati (non più di natura politica) incidono pochissimo. Questo a dimostrazione che come venticinque anni fa la magistratura fu artefice della repressione del fenomeno eversivo, grazie ai "pentiti" e alle leggi speciali, così oggi alla stessa magistratura è stato lasciato il compito di chiudere quella stagione facendo tornare alla società persone che hanno sparato e ucciso in nome di un’ideologia.

Tutto è delegato al momento giudiziario, con valutazioni sui singoli casi affidate alla discrezionalità dei singoli giudici (che seguono orientamenti diversi, ad esempio tra Milano e Roma, la città dove è stata concessa la maggior parte dei benefici). Senza alcun atto politico che mettesse un punto su quelle vicende.

Attraverso questa "delega" non dichiarata i magistrati si sono fatti carico di restituire alla collettività i protagonisti del sequestro e dell’assassinio di Moro, ma anche il fondatore del sanguinario Partito Guerriglia Giovanni Senzani - condannato tra l’altro per l’efferato omicidio di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio -, un fratello e l’ex marito di Marina Petrella (ergastolani pure loro) e altri ancora. Di solito nella disattenzione generale, con decisioni confermate dalla Cassazione quando la pubblica accusa ha fatto ricorso, senza troppe proteste o grida di scandalo.

Per la liberazione condizionale la legge prescrive un "comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento" del condannato. E secondo le ultime decisioni dei giudici, "la certezza o quantomeno l’elevata e qualificata probabilità" di quel ravvedimento non passa più soltanto dalla "revisione critica" del proprio passato violento, ma anche dalla riconciliazione (almeno tentata, attraverso dei contatti epistolari) con le vittime dei crimini commessi. Percorso faticoso, accidentato e dall’esito molto incerto. In fondo al quale l’Italia ha forse cominciato a intravedere - senza rendersene conto, e affidandosi ai verdetti altalenanti dei giudici che variano a seconda dei tribunali - la fine del tunnel degli "anni di piombo".

Roma: l’ultima relazione del Garante dei detenuti è "sparita"!

di Sara Dellabella

 

www.rivistaonline.com, 15 ottobre 2008

 

All’indomani dell’elezione di Gianni Alemanno a Sindaco di Roma, Gianfranco Spadaccia si dimise con una lettera dal suo incarico di Garante dei detenuti. Qualche settimana prima Spadaccia inviò al Consiglio comunale una relazione dettagliata sullo stato delle carceri romane. Il rapporto è passato nel silenzio, eppure nelle sue 70 pagine vi è un disegno minuzioso della situazione carceraria capitolina, anche il relazione alla legislazione vigente, spesso disattesa. "Lo stravolgimento delle regole dettate dalla riforma penitenziaria, la trasformazione multietnica della popolazione carceraria, gli effetti sociali restrittivi, etc.

Senza contare che la redazione di Rivist@ ha accolto una segnalazione dal Direttore dell’ufficio gel Garante dei detenuti della provincia di Milano, che ci avverte che dal giorno delle dimissioni di Spadaccia, Alemanno ancora non ha conferito nuovo incarico ad alcuno. In parole povere a Roma, il Garante dei detenuti non esiste più. La relazione si divide in temi, evidenziando i punti di maggiore criticità del sistema romano.

 

Inadeguatezza degli strumenti del sistema rieducativo

 

Lo scopo principale della pena secondo la Costituzione dovrebbe essere la rieducazione del detenuto, ma questo non è possibile dove mancano gli educatori. Il loro numero è pressoché nullo, solamente a Rebibbia a fronte di una popolazione carceraria di 1300 persone operano 13 operatori. Si finisce così per aiutare solo quelli che hanno accesso ai benefici della pena, che possono usufruire di permessi e lavori esterni. Invece la pena detentiva dovrebbe essere capace di organizzare meglio il tempo, anziché ridursi solo ad una penosa attesa. Come per gli operatori anche gli psicologi, la stessa carenza numerica si verifica anche per gli assistenti sociali, per gli psicologi, per i mediatori culturali (questi ultimi quasi del tutto assenti in alcuni istituti nonostante l’alta percentuale dei detenuti stranieri). Proprio per ovviare a questa carenza la Regione Lazio, per iniziativa dell’Assessore al Bilancio Luigi Nieri, ha approvato recentemente una legge che prevede la possibilità che gli Enti locali concorrano al trattamento dei detenuti con personale finanziato con fondi regionali.

 

Suicidi

 

Dopo anni si registra un aumento dell’autolesionismo e Spadaccia nella sua relazione non ha mancato di attingere dati dalla rubrica "Morire in carcere" dell’agenzia "Ristretti Orizzonti", (osservatorio della vita penitenziaria), che ha rilevato nel mese di giugno 7 suicidi (due a Roma), un numero che non si registrava da 18 mesi, dal febbraio 2006, quando nelle carceri erano stipati oltre 60mila detenuti a fronte di 44mila. Nel trimestre aprile-giugno i suicidi erano stati 18, una media mai riscontrata negli ultimi cinque anni. Bisogna infatti risalire al 2001 per trovare un trimestre più nero.

 

Assistenza Sanitaria

 

Nel comprensorio di Rebibbia, che comprende ben quattro istituti di pena, la Asl Rm/B ha provveduto all’istituzione di un Ser.T. (Servizio tossicodipendenze) autonomo. A Regina Coeli la cura delle tossicodipendenze è invece affidata al Ser.T. cittadino di Via dei Riari della Asl Rm/A. Per le malattie infettive è operante una convenzione con l’Osp. Spallanzani. I maggiori problemi si presentano per quegli accertamenti diagnostici che non possano essere assicurati dalle infermerie dei diversi istituti, per i quali sono previste molto spesso lunghe attese. Le ristrettezze di bilancio del Ministero della Giustizia hanno determinato in alcuni casi la riduzione di alcune visite specialistiche mentre ormai da anni l’Amministrazione non passa ai detenuti che ne abbiano bisogno le protesi dentarie.

 

La percentuale dei tossicodipendenti e il loro trattamento

 

La percentuale di tossicodipendenti si aggira sul 30%. Molti tossicodipendenti finiscono in carcere per aver commesso reati al fine di potersi procurare le sostanze stupefacenti ma molti, moltissimi vi finiscono in forza di un reato presuntivo dipendente dalla quantità di sostanza di cui sono trovati in possesso se questa supera anche di pochissimo la quantità consentita per essere considerati semplici consumatori.

 

Aumento degli stranieri

 

Gli italiani in carcere erano 340, poco più del 40%, gli altri tutti non italiani e di questi ben 236 romeni (circa il 34%), di cui solo una parte rom. Nettamente distanziate le altre nazionalità: 30 del Marocco, 23 dall’Algeria, 15 dalla Tunisia, 15 dalla Polonia, 28 complessivamente i detenuti latinoamericani, 20 quelli dei paesi dell’Est (esclusi Romania e Polonia), solo 7 i detenuti provenienti dall’Africa non mediterranea e solo 4 i cittadini di paesi asiatici. La situazione è ancora più accentuata nel Centro di Prima Accoglienza per i minori e nell’istituto minorile di Casal del Marmo: i minori italiani sono ormai una piccola minoranza, detenuti in genere in forza di reati assai gravi.

Qui la maggioranza è rappresentata ormai da ragazzi romeni e rom. A proposito degli stranieri va segnalato un altro fenomeno. Per effetto della nuova legge i clandestini che non ottemperino all’ordine di espulsione sono passibili per questo solo fatto di condanne fino a quattro anni di reclusione. Poiché tuttavia ci sono numerosi Stati che non riconoscono gli espulsi dall’Italia come propri cittadini e non sono disposti a farli rientrare nei propri paesi, al momento dell’uscita dal carcere si crea un circolo vizioso che li porta dal carcere al Ctp, dal Ctp all’ordine di espulsione, dalla inottemperanza dell’ordine di espulsione alla clandestinità e dalla clandestinità di nuovo in carcere. E d’altra parte per tutti questi casi non è ovviamente neppure realizzabile un ordine coattivo di espulsione.

Roma: 29 le mamme e 30 i bambini dietro le sbarre a Rebibbia

 

Vita, 15 ottobre 2008

 

Nel carcere romano di Rebibbia, in sole 10 settimane, hanno varcato i cancelli una decina di detenute con bambini piccoli ed è stata superata la capienza massima (15 posti letto) che consente di "ospitare" i bambini costretti a seguire le mamme in prigione: 29 mamme detenute e 30 bambini, due dei quali gemellini.

Ne dà notizia il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza dal proprio sito www.minori.it, lanciando l’allarme sulla situazione dei piccoli dietro le sbarre, attualmente 58 in tutta Italia.

"Alle madri é consentito di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido", stabilisce l’art. 11 della legge 354 del 26/07/1975 sul Trattamento penitenziario. "E in base a questa legge, creata per salvaguardare del rapporto madre-figlio, oggi in Italia ci sono 58 i bambini che hanno la sfortuna di vivere in carcere insieme alle loro mamme. L’età dei piccoli è inferiore ai 3 anni e praticamente trascorrono la loro vita rinchiusi dietro le sbarre, un ambiente triste e squallido nel quale non esiste la sfera familiare", si legge nella news del Centro documentazione.

La maggioranza dei bambini si trova negli istituti di pena di Lombardia e Lazio. La Lombardia ha due sezioni nido funzionanti e una nel Lazio, a Rebibbia che ha il nido accanto alle celle. Tra le detenute delle carceri italiane anche 36 donne incinte delle quali due terzi carcerate nelle prigioni di Lazio (13) e Lombardia (11).

Rovigo: Livio Ferrari diventa Garante comunale dei detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 15 ottobre 2008

 

Livio Ferrari, direttore del Centro Francescano di Ascolto, da vent’anni attivo nel volontariato carcerario, esperto di problemi carcerari è il garante per i detenuti del Comune di Rovigo.

Con decreto del 3 ottobre il Sindaco del Comune di Rovigo Fausto Merchiori lo ha nominato garante dei diritti delle persone private della libertà personale. L’ufficializzazione della nomina è avvenuta stamani a Palazzo Nodari alla presenza del Sindaco Merchiori e dell’assessore Moschin, con Ferrari che ha annunciato tra i primi suoi interventi di voler "verificare perché sia così alta la percentuale di persone che entrano negli istituti sani e ne escono malati, circa l’80% secondo i medici penitenziari, e di chi siano le responsabilità".

Il Consiglio Comunale di Rovigo, nella seduta di ieri 23 settembre, aveva definitivamente e all’unanimità approvato l’istituzione del Garante per i diritti della persone detenute, progetto presentato dall’assessore alle politiche sociali, Giancarlo Moschin, e la scelta è caduta su Ferrari, esperto nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani e delle attività sociali negli istituti penitenziari, e con un lungo curriculum che lo ha visto protagonista in diversi ruoli a livello nazionale.

Nominare un garante per i detenuti, perché ne tuteli i diritti e le opportunità di recupero e riabilitazione è quanto ha voluto perseguire l’assessore alle politiche sociali Giancarlo Moschin, e per il Veneto è la prima di queste figure a nascere, sulla scia di altre città, province e regioni italiane.

"Abbiamo sentito l’esigenza - spiega l’assessore - di fare quanto già adottato in altre città, ossia avere una persona che segua i problemi di chi è recluso. Il carcere è luogo di rieducazione e questa figura rappresenta un atto di attenzione e civiltà nell’aiutare a riscattarsi e a reinserirsi nella società chi ha sbagliato".

Le funzioni del garante saranno il promuovere i diritti e le opportunità di partecipazione alla vita comune, come formazione professionale, tutela della salute e così via. Allo stesso modo dovrà promuovere incontri pubblici di sensibilizzazione sugli aspetti della detenzione e se serve, lavorare insieme al difensore civico comunale. Potrà anche segnalare violazioni dei diritti dei reclusi e confrontarsi con le autorità competenti sulle condizioni nelle quali vivono, fino a rapportarsi con le associazioni interessate ai problemi penitenziari. Tutto il suo operato sarà sottoposto annualmente al giudizio del Comune e delle associazioni specifiche, fino al tavolo sul carcere. Resta in carica 5 anni e può essere confermato solo per un altro quinquennio. Riceverà anche un’indennità simbolica di 1.200 euro l’anno, oltre al rimborso delle spese.

Firenze: il Comune crea "educatore-ponte" per gli ex detenuti

 

Vita, 15 ottobre 2008

 

Aiutare i detenuti nel percorso di re-inserimento nella società tramite l’inserimento di un "educatore ponte" con funzione di collegamento con i servizi territoriali, che avrà in carico detenuti prima dell’uscita dal carcere, offerta di inserimento lavorativo esterno al carcere, ma anche la ricerca di aziende industriali, artigianali e commerciali che possano contribuire con i loro prodotti al fondo per gli indigenti. Sono solo alcune delle attività che fanno parte di quattro progetti per il carcere presentati dall’assessore all’accoglienza e integrazione del Comune di Firenze, Lucia De Siervo.

Nell’occasione è stato presentato anche il video documentario, realizzato da Nicola Melloni, sul "Giardino degli Incontri", ultima opera firmata da Giovanni Michelucci, pensata per i momenti di incontro dei detenuti con le loro famiglie ed in particolare i bambini. I progetti, finanzianti dalla Regione Toscana e con l’adesione degli Uffici Penitenziari Fiorentini e la Provincia di Firenze, sono "Albatros", "Leccio" e "Minias", che hanno come filo conduttore il miglioramento delle buone pratiche di sostegno sociale ai detenuti in via di scarcerazione, e il sostegno al reinserimento al lavoro e al miglioramento della conoscenza dei propri diritti e doveri; infine il progetto "AIS", di Servizio Civile al Centro Diurno Attavante per detenuti ed ex-detenuti.

"Oggi presentiamo i quattro progetti sostenuti dalla Regione Toscana - ha spiegato l’assessore all’accoglienza e integrazione Lucia De Siervo - per testimoniare che intendiamo investire ancora sull’area carcere, attraverso progetti mirati principalmente al sostegno e all’inserimento degli ex detenuti nella comunità. È importante questo, perché coloro che sono venuti a contatto con il carcere possono avere un’altra chance attraverso un’opportunità lavorativa oppure o un inserimento guidato nel nostro territorio". Il progetto "Albatros" prevede la creazione della figura educativa dell’Educatore-Ponte (E.P.), inserita nel carcere di Sollicciano come rafforzamento del sistema carcere-territorio.

L’Educatore Ponte svolge una funzione di collegamento con i servizi territoriali per la presa in carico dei soggetti in esecuzione penale in vista della dimissione dal circuito penitenziario o della conclusione della misura alternativa. Il costo del progetto è di 30.826 euro, ed ha un finanziamento regionale di 24.000 euro. È un progetto del Comune di Firenze in collaborazione con l’Associazione Ciao e il nuovo complesso penitenziario di Sollicciano.

Bologna: per Ipm sovraffollamento e taglio dei finanziamenti

 

Il Bologna, 15 ottobre 2008

 

Il carcere minorile di Bologna ha anche il problema dei consulenti psicologi, in attesa di rinnovo di contratto: senza potrebbero non esserci il prossimo anno. Tra le note dolenti, c’è pure il capitolo delle attività culturali e formative. La Direzione del carcere e il Centro di giustizia minorile ne progettano molte, ma alcune sono a rischio. Quanto alla situazione degli ospiti della struttura, invece, la Garante pone l’accento ancora una volta sul sovraffollamento. Sarebbe questo il problema numero uno. Mala situazione fa ben sperare perché una volta ristrutturato il nuovo edificio, il Pratello, si ritroverebbe il problema risolto. Il carcere minorile bolognese ospita, oggi, 16 ragazzi, ma la capienza sarebbe di dodici. Di questi solo un terzo è italiano. Gli altri, sono stranieri, e tra questi crescono i ragazzi cinesi.

Brescia: al via XXIV edizione Campionato di calcio a Verziano

 

Comunicato stampa, 15 ottobre 2008

 

Per il "Progetto-Carcere" dell’Uisp di Brescia, realizzato in collaborazione con la Direzione Penitenziaria, con l’Associazione "Carcere e Territorio" e sostenuto dall’Assessorato Allo Sport della Regione Lombardia, nella Sezione di Reclusione di Verziano, dopo la conclusione del 31° torneo di volley tra gruppi esterni e detenute, è giunto l’attesissimo momento dell’inizio del Campionato di calcio, che si svilupperà ininterrottamente per tutti i sabato pomeriggio da ottobre 2008 a giugno 2009.

Sabato 18 ottobre, infatti , prenderà il via la 24° edizione del Campionato di calcio a 7 giocatori in memoria di Giancarlo Zappa, Magistrato di Sorveglianza, fondatore e Presidente dell’Associazione "Carcere e Territorio" e che vedrà in campo undici formazione: tre formate dai detenuti e otto esterne.

Il programma della prima giornata di sabato prossimo : i campioni in carica della Tipografia Gandinelli Ghedi affronteranno i Detenuti " B", mentre I Bonvicino la formazione dei Detenuti "A". Sabato 25 ottobre i Detenuti "C" con l’Unione Equo Solidale Flero e il G.S. Mimi Boys Onoranze Funebri Alfio Remondina con la Carrozzeria Bra-Car Torbole Casaglia. Il 1 novembre sosta per festività, sabato 8 novembre in campo ASD Xadet 2002 - Polisportiva Euplo Natali Brescia e Detenuti "B"- Croce Rossa Ghedi.

Anche nel carcere cittadino di Canton Mombello si stanno verificando le condizioni per la programmazione dei corsi di scacchi, del 2° torneo di volley in palestra e del 29° torneo di calcetto tra detenuti e scuole cittadine.

Per tutti gli operatori sportivi, dirigenti, volontari importante appuntamento per sabato 22 novembre a Villa Brescianelli di Castiglione Delle Stiviere, dove al mattino ci sarà il convegno su "Lo sport tra aggressività e rispetto delle regole" e nel pomeriggio il seminario/confronto tra tutti coloro che entrano in carcere per proporre iniziative tese al miglioramento della quotidianità della vita carceraria.

Napoli: Roberto Saviano dopo le minacce vuole lasciare l'Italia

di Giuseppe D’avanzo

 

La Repubblica, 15 ottobre 2008

 

Andrò via dall’Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà", dice Roberto Saviano. "Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo.

"Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni!

E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me".

La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d’animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un’imprevedibile popolarità, dall’odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall’invidia di molti.

Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo. "Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all’anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi".

È come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell’attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell’energia sociale che - come un’esplosione, come un sisma - ha imposto all’agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. È la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me.

Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto?

Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.

I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? È una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?".

Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna.

Capita anche in queste ore, qui e lì. È poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l’autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l’esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.

È poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l’ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l’inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.

Lo sento addosso come un cattivo odore l’odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l’onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano.

E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell’infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell’esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell’infame ha scritto il libro. E quest’argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più.

Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l’intera comunità può liberarsi della malattia che l’affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell’inciviltà e dell’impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso?

Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. È il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l’informazione.

Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castel Volturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza.

Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L’ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare.

Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza.

Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest’ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robè, tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"".

A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.

La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un’area d’indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.

Roma: da venerdì gli "Avvocati di strada" sbarcano a Roma

 

Comunicato stampa, 15 ottobre 2008

 

Conferenza stampa: Gli avvocati di strada sbarcano a Roma. Luogo: Aula Agostini, Istituto San Gallicano, Via di San Gallicano 25/A.

Venerdì 17 ottobre 2008, nella Giornata Mondiale Onu della lotta alla Povertà, presso l’Ospedale San Gallicano viene inaugurata la sede di Roma dell’Associazione Avvocato di strada Onlus. Grazie al protocollo d’intesa stipulato tra l’Inmp Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti e per il Contrasto delle Malattie della Povertà e Avvocato di strada Onlus, si è resa possibile la realizzazione di uno sportello che dà inizio ad un’attività d’interesse pubblico indispensabile per la città di Roma nell’intervento giudiziale contiguo all’assistenza sociosanitaria verso gli ultimi.

L’Inmp e Avvocato di Strada intendono sviluppare attività convergenti con le proprie energie e funzioni per determinare concretamente il diritto alla salute per le persone senza dimora ed in stato di emarginazione.

Interventi: dott. Aldo Morrone, Direttore Inmp; avv. Antonio Mumolo, Presidente Associazione Avvocato di strada Onlus; Sveva Belviso, Assessore Politiche Sociali Comune di Roma; avv. Andrea Pique, Referente Avvocato di strada Roma.

Esiste un indubbio rapporto che lega fenomeni complessi tra loro quali l’espansione delle migrazioni e la crescita della povertà (56 milioni cittadini europei a rischio, Fonte Eurostat), riducendo la capacità dei sistemi sanitari. Una ricerca europea ha dimostrato quanto le cure siano scarse per i pazienti più poveri e a volte inesistenti se immigrati; il 45,6% dei medici interpellati in Gran Bretagna, Italia, Norvegia e Svizzera, ha riportato esperienze di pazienti che non hanno potuto accedere alle cure perché non in grado di sostenerne i costi, e precisamente in nessuno dei paesi membri dell’Ue si rispetta fino in fondo il diritto d’assistenza medica dei migranti senza documenti. Si può anche morire se non si è in regola con le norme nazionali.

La Struttura Complessa di Medicina Preventiva all’Ospedale San Gallicano di Roma, in oltre trent’anni di lavoro ha seguito oltre il 40% della popolazione degli homeless di Roma. 11 mila persone di regola malnutrite o denutrite, sottoposte a stress psico/emotivi; immuno-depressi sulla strada o in ambienti sovraffollati vittime di patologie della povertà per vettori a trasmissione interumana: rosolia, tbc, e tutte le malattie per contagio sessuale (12% seriopositivo ed il 17% con disturbi sessuali), mali neuropsichiatrici (10,2%), malattie epatiche per alcolismo e/o tossicodipendenza (il 15%). È la gente che vive nelle favelas di Roma, il 20% non raggiunge i 25 anni, un’età media maschile tra i 18 ed i 34 anni, più alta per le donne, il 20% degli Sfd. Ma il popolo indigente comprende anche frange disperate dei 50.000 pensionati che vivono con la retta sociale, per le strade a chiedere soldi insieme agli 8000 minori che vivono d’accattonaggio e che difficilmente raggiungeranno i 55 anni di età.

Ad iniziare dalla sede di Roma, la prima in una grande metropoli, Avvocato di strada Onlus e l’Inmp, a fronte delle grandi sfide che attendono, collaboreranno a livello locale e nazionale attraverso le proprie strutture territoriali allo scopo di: raccogliere dati, monitorare le singole realtà locali, favorire l’emersione di buone prassi di tutela socio-sanitaria delle persone emarginate.

L’Associazione Avvocato di strada offre gratuitamente consulenza e assistenza legale a tutte le persone senza dimora con problemi legali, che potranno presentarsi agli sportelli senza appuntamento e senza dover essere inviati da nessun servizio. Ci saranno ad attenderli avvocati professionisti volontari che offriranno tutela in via giudiziale e stragiudiziale. Organizzazione operante in Italia dal 2001, Avvocato di strada oggi è presente in 18 città sull’intero territorio nazionale: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Ferrara, Foggia, Jesi, Lecce, Macerata, Modena, Napoli, Padova, Pescara, Reggio Emilia, Rovigo, Taranto, Trieste. Fanno parte di Avvocato di strada circa cinquecento avvocati volontari, che dal 2001 ad oggi hanno aperto più di tremila pratiche. È duro vivere la strada senza un tetto, ma un medico e un avvocato in soccorso possono far sentire più riparati.

Immigrazione: proposta Lega; classi separate per gli stranieri

 

Corriere della Sera, 15 ottobre 2008

 

"Proposta abietta, si inserisce la discriminazione nella scuola", dice Piero Fassino, Pd. "La mia proposta serve a prevenire il razzismo e punta a realizzare una vera integrazione", afferma il capogruppo della Lega alla Camera Roberto Cota. Argomento del contendere la mozione della maggioranza sull’istituzione nella scuola dell’obbligo di classi riservate agli alunni stranieri che non parlano o parlano poco la nostra lingua, le "classi d’inserimento", primo firmatario Roberto Cota. La mozione è passata tra le polemiche con una maggioranza di venti voti: 265 sì e 246 no e un astenuto. È stato necessario il cambiamento di alcuni termini per scongiurare una spaccatura nella stessa maggioranza: "classi di inserimento" piuttosto che "classi ponte", un sostantivo che lascia dei dubbi sull’attraversamento, e sottolineando che la finalità del provvedimento è quella di "favorire" l’ingresso piuttosto che "autorizzarlo", dal momento che le autorizzazioni con la formazione non hanno molto in comune.

L’ingresso degli studenti stranieri nelle nostre scuole in futuro dunque potrebbe avvenire attraverso nuove regole: somministrazione di test e altre prove di valutazione. Chi non le supererà verrà inserito in apposite classi che dovrebbero favorire l’apprendimento della lingua italiana, propedeutico all’ingresso nelle classi tradizionali. Altra novità: non sarà consentito l’inserimento degli studenti stranieri nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno e la loro distribuzione dovrà essere proporzionata al numero complessivo degli alunni.

Francia: a Strasburgo, suicidio in cella di detenuto minorenne

 

Associated Press, 15 ottobre 2008

 

Si è conclusa l’agonia di un ragazzo di 16 anni, detenuto nel carcere di Strasburgo, che giovedì scorso aveva tentato il suicidio. Il ragazzo è morto ieri sera nell’ospedale della capitale alsaziana. La Procura ha aperto un fascicolo per chiarire le "cause della morte". Il ragazzo era in coma dal giorno in cui era stato ritrovato dalle guardie carcerarie appeso ad un lenzuolo, all’interno della sua cella. L’adolescente, in precedenza, era rinchiuso nel centro detentivo di Metz, dove condivideva la cella con Nabil L., un giovane che si è suicidato il 6 ottobre scorso. L’ispettore dei servizi giudiziari, André Ride, ha presentato proprio ieri sera le conclusioni relative al primo suicidio, valutando che "non sussistono motivi per criticare il modo in cui hanno agito" i magistrati e il personale della struttura penitenziaria. I servizi di assistenza penitenziaria avevano scritto alcune raccomandazioni per evitare che il dramma si ripetesse e avevano anche auspicato che il minore compagno di cella venisse portato davanti a un magistrato prima di essere nuovamente incarcerato.

Usa: pena di morte; ucciso detenuto obeso che s’era appellato

 

Adnkronos, 15 ottobre 2008

 

È stato dichiarato morto dalle autorità dell’Ohio alle 10.28 ora locale Richard Wade Coey, il condannato a morte che aveva tentato di bloccare la sua esecuzione sostenendo di essere troppo grasso per essere ucciso con l’iniezione letale. Lo scorso agosto il 41enne Cooey aveva presentato ricorso, sostenendo di essere troppo grasso per non subire crudeli sofferenze con l’iniezione letale. I legali di Cooey, che pesava tra i 121 e i 125 chili per 1,73 metri di altezza, avevano spiegato che a causa della sua obesità sarebbe stato molto difficile trovargli la vena per l’iniezione. Uno dei due ricorsi contro l’esecuzione della condanna è stato respinto ieri dalla corte federale di Appello di Cincinnati e dalla Corte suprema dell’Ohio perché non presentato entro i termini di legge.

Iran: altre tre impiccagioni, già 189 morti dall’inizio dell’anno

 

Associated Press, 15 ottobre 2008

 

Ieri nel carcere iraniano della città di Zahedan sono stati impiccati tre trafficanti di droga, colpevoli di avere detenuto e venduto in tutto 322 chilogrammi di eroina. Salgono così ad almeno 189 le impiccagioni in Iran dall’inizio dell’anno, secondo notizie di stampa. Nel 2007, secondo Amnesty International, erano state 317, una cifra che aveva posto la Repubblica islamica al secondo posto per numero di esecuzioni capitali dopo la Cina.

 

 

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