Rassegna stampa 26 novembre

 

Giustizia: senza uguaglianza la democrazia diventa un regime!

di Gustavo Zagrebelsky (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)

 

La Repubblica, 26 novembre 2008

 

Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un’associazione di idee.

Se il "regime", inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c’è un regime significa se c’è "il" o "un" fascismo; oppure, più in generale, se c’è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc. Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all’analisi, della demonizzazione politica, funzionale all’isteria e allo scontro.

Ma "regime" è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di "Ancien Régime", di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l’appunto, di regime fascista. Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l’essenziale sta nell’aggettivo.

Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da "esiste attualmente un regime" in "il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente"? Che l’Italia viva un’esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall’esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l’ha preceduta: almeno di questo non c’è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste.

Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell’incubazione. La covata è a mezzo. L’esito non è scritto. La Costituzione del ‘48 non è abolita e, perciò, accredita l’impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l’esito. Forze potenti sono all’opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico.

Che cosa significa "costituzione in bilico"? Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano. Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell’Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l’esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell’incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte.

È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento. I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono. Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia.

Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L’accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi.

Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall’uno all’altro, è l’atteggiamento di fronte all’uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall’uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario. Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli.

Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia. Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi. Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale. Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione. Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione. Nell’essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale.

Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest’ultima (il voto, i partiti, l’informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli.

Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale.

Ciò vale a iniziare dalla parola "politica": forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l’etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l’integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all’uguaglianza.

Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell’uguaglianza. In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell’uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge "ferrea". È la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l’uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell’azione politica. La costituzione - questa costituzione che assume l’uguaglianza come suo principio essenziale - è in bilico proprio su questo punto.

Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c’è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d’interesse, per i quali, anche, non c’è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d’ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino. Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza.

Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall’intervento privato, dove chi più ha, più può. Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato.

Analogamente, anche l’organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L’oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l’allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall’alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso.

È una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L’indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata. Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato.

La causa è sempre e solo una: l’appannamento, per non dire di più, dell’uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del "regime". Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici.

Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i "dispotismi asiatici", dove tutto sembrava dipendere dall’arbitrio di uno solo, kahn, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese. Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più "orientale" dei signori dell’Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, "si comportava con i barbari come con animali o piante", cioè meri oggetti di dominio, "così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni". Sarà pur vero che comportamenti di quest’ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore.

Giustizia: veto della Lega e di An, bocciata la "messa in prova"

di Liana Milella

 

La Repubblica, 26 novembre 2008

 

Servizi sociali invece del carcere per i reati fino a quattro anni? La cosiddetta "messa in prova"? Niente da fare. Non ci stanno né Maroni, né La Russa. Meglio nuove carceri da realizzare in sei mesi con un piano straordinario.

Questa volta il niet di Lega e An è definitivo e pronunciato davanti a Berlusconi in un vertice sulla giustizia convocato d’urgenza a palazzo Chigi. L’allarme sovraffollamento (i detenuti sono a quota 58mila) bussa di prepotenza alla porta del Cavaliere e preoccupa il Guardasigilli Alfano. Il premier organizza una cena. Commensali Letta, i ministri dell’Interno Maroni e della Giustizia Alfano, i titolari della Difesa La Russa e delle Infrastrutture Matteoli, l’avvocato e consigliere giuridico del premier Ghedini.

Doveva essere l’ultimo tentativo per condurre in porto l’ultimo ddl di Alfano, ampiamente sponsorizzato da Ghedini. Due interventi per garantire la certezza della pena, con la stretta sulla sospensione condizionale (non va in carcere chi è condannato a due anni) concessa in cambio di lavori socialmente utili e un minor ricorso ai processi e al carcere con la messa in prova. Da approvare, come caldeggiava Ghedini a poche ore dal vertice, venerdì nel consiglio per le misure economiche. Sarebbe stato "un segnale importante far passare il solo principio". Ma è andata a buca.

Nettissimo il dissenso di Maroni e La Russa. Come una settimana fa quando Alfano inviò ai colleghi il ddl. Ironico La Russa: "La messa in prova? Se la terrà Di Pietro nel suo ddl". Allusione al fatto che il testo di via Arenula era molto simile a quello dipietrista. Dice La Russa: "Abbiamo dato ad Alfano la possibilità di riscrivere la norma, lui è stato molto disponibile, ma non se ne farà nulla, così come della condizionale. Faremo cose molto più interessanti".

Un consiglio dei ministri prima di Natale dedicato alla giustizia, in cui il Guardasigilli farà le sue proposte su certezza della pena, processo penale, carceri. Sulla necessità di mettere mano a un piano straordinario per l’edilizia penitenziaria gli alleati sono compatti e Berlusconi lascia palazzo Chigi e commenta: "Dobbiamo andare avanti tutti insieme sulla riforma della giustizia, in modo compatto".

Sul piano carceri, il vertice dà mandato pieno ad Alfano, che ha già avuto più di un incontro con Matteoli. Da cui emerge con prepotenza l’idea di coinvolgere i privati nell’offerta di nuovi edifici in cambio di vecchi istituti nei centri storici che "magari sono pessimi come carceri ma hanno un alto valore immobiliare".

Rinviate le riforme costituzionali alla primavera, quando la Consulta si sarà pronunciata sul lodo Anfano, restano intercettazioni e lodo Consolo. Sulle prime Berlusconi dà un secco altolà: "Bisogna sbloccare l’impasse, il nostro ddl deve uscire dalla commissione Giustizia della Camera. O il consiglio dei ministri fa un emendamento o lo si faccia in Parlamento". Il premier insiste: ascolti solo per i reati gravissimi, non per i colletti bianchi. Ma An e Lega sono contrari.

Lodo Consolo. Con Matteoli come commensale era d’obbligo parlare della norma che cambia le regole dei reati ministeriali, presentata dal suo avvocato per toglierlo dagli impicci di un’accusa di favoreggiamento. Il lodo ha profili di dubbia costituzionalità, ma è giunto alla stretta degli emendamenti e a breve la maggioranza dovrà decidere se fare una nuova battaglia o demordere.

Giustizia: maggioranza in tensione sulle pene extra-carcerarie

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 26 novembre 2008

 

An e Lega chiedono di mandare in soffitta il ddl Alfano sulla messa alla prova (reati puniti con pena massima fino a 4 anni) e insistono su un piano straordinario per le carceri sovraffollate. È un pacchetto giustizia articolato quello che il premier ha dovuto affrontare con gli alleati convocati a cena a Palazzo Chigi per parlare di riforme, di intercettazioni telefoniche e di emergenza penitenziaria alla presenza del sottosegretario Gianni Letta.

Il Guardasigilli Angelino Alfano ha evidenziato la crescita della popolazione carceraria: 1.000 detenuti al mese, in tutto 58.462 a fronte di una capienza di 42.562. È matematico, dunque, che a febbraio-marzo verrà superato il limite tollerabile di 63 mila carcerati. Per questo, a cena da Berlusconi, c’era anche il ministro Altero Matteoli (Infrastrutture) che ha competenze chiave sulla costruzione delle carceri.

Tuttavia la coperta finanziaria è corta e per questo si impongono misure tampone prima che venga realizzato un vero piano di edilizia carceraria: utilizzazione delle camere di sicurezza delle questure e dei carabinieri per i detenuti in attesa del processo per direttissima e la riapertura di Pianosa e dell’Asinara per il 41 bis. Sulle preoccupazioni espresse da Alfano si è inserita una discussione politica: può un governo che basa le sue fortune elettorali sul rigore proporre una messa alla prova con sospensione del processo ed estinzione del reato?

Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier, ha insistito sulla bontà della probation di origine anglosassone che nelle intenzioni di Berlusconi avrebbe già dovuto passare in Consiglio dei ministri insieme a un giro di vite per la sospensione condizionale della pena non più gratuita. Tuttavia il ministro Roberto Maroni ha insistito sul piano straordinario per le carceri, confermando le sue forti perplessità sulla messa alla prova perché sotto i 4 anni ci sono anche reati tipici degli immigrati clandestini. E anche il ministro Ignazio La Russa non ha fatto sconti.

Davanti a tanti dubbi, Berlusconi avrebbe concesso un abbassamento a tre o a due anni del tetto della messa in prova pur di incassare subito la sospensione condizionale non più gratuita. Ma per La Russa vengono prima le carceri: "Abbiamo affidato ad Alfano il compito di riscrivere la norma ma credo che non se ne farà nulla, così come sulla concessione della condizionale solo se il condannato è disposto a svolgere lavori di pubblica utilità". E così il premier avrebbe deciso di rallentare il ddl Alfano, annunciando un Consiglio dei ministri sulla giustizia per dicembre: "Dobbiamo andare avanti tutti insieme sulla riforma in modo compatto".

Giustizia: Li Gotti (Idv); "messa in prova" è una norma giusta

 

Corriere della Sera, 26 novembre 2008

 

L’avvocato Luigi Li Gotti dell’Idv dice che il Governo "mancherebbe di coraggio" se alla fine decidesse di stralciare la parte del ddl Alfano dedicata alla messa alla prova. Li Gotti parla così perché un suo ddl, firmato da altri 13 senatori dipietristi, prevede, seppure con un tetto di pena massima più basso, lo stesso meccanismo di estinzione del reato immaginato dal Guardasigilli.

 

Il governo dunque farebbe un errore se cancellasse la messa in prova?

"Nella misura in cui la pena massima è di 3 anni, io continuo a ritenerlo un istituto molto utile considerando che questa non è gente destinata a finire in carcere. Stiamo parlando di indagati che alla fine del processo ottengono comunque l’affidamento in prova. Ecco, io rimango convinto della bontà di questa soluzione".

 

Perché An e Lega temono questo ddl?

"Perché, probabilmente, pensano che si tratti di un provvedimento che impatta sul numero dei detenuti. Ma del resto anche il mio partito la pensa allo stesso modo...".

 

C’è un filone culturale trasversale...

"Oggi stiamo vivendo una stagione panpenalistica. Tutto è penate, tutto è condanna e nuovi reati. La messa alla prova sarebbe un atto in controtendenza".

 

Qualora limitasse il tetto a tre anni, quello del Governo sarebbe un atto di coraggio?

"Di coraggio e di realismo. Perché fare i processi se poi devi giungere allo stesso risultato? L’Anm è d’accordo sui 2 anni, noi lo abbiamo riproposto a 3 anni, il nostro governo Prodi aveva proposto tre anni".

 

Di Pietro vi ha chiesto di cancellare la messa in prova dal vostro ddl. Che farete?

"Lui, al Corriere, ha detto questo. Certo, c’è la disciplina di partito. Ma io continuo ad essere convinto della bontà del nostro ddl".

Giustizia: Alfano; le nuove carceri saranno costruite da privati

 

Vita, 26 novembre 2008

 

Un Consiglio dei ministri prima di Natale riguardante un pacchetto di misure sul tema della giustizia. È quanto ha annunciato il ministro della Giustizia Angelino Alfano nel corso della conferenza di presentazione del protocollo di intesa firmato dal ministero di via Arenula con il ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta, per l’innovazione digitale nella giustizia.

Il Guardasigilli ha sottolineato che come è accaduto per il pacchetto sicurezza, anche sul tema della giustizia verrà presentato il pacchetto di misure che spazierà su vari argomenti, tra cui "le carceri, il processo penale, la condizionale e la messa alla prova. Valuteremo - ha aggiunto Alfano - la coalizione come è orientata su questi argomenti. Ieri, è stata assunta una decisione politica importante, quella di procedere alla costruzione di nuove carceri come risposta al problema del sovraffollamento, anche con il coinvolgimento dei privati per la realizzazione e la costruzione delle nuove strutture penitenziarie". Quale sarà la soluzione tecnica per il piano carceri "è presto per dirlo", ha detto ancora Alfano, ma se ne saprà di più "nel Consiglio dei Ministri che si terrà prima di Natale, che sarà dedicato ai temi della giustizia".

Il tema del carcere e della possibilità che a costruirne altri siano soggetti privati è incandescente. Oggi è intervenuto anche Luigi Vitali (Pdl), componente della commissione giustizia della Camera, in modo esplicito: "Non c’è tempo da perdere", ha detto, "bisogna risolvere il problema dell’affollamento delle carceri prima che sia troppo tardi". Vitali ha anche caldeggiato la costruzione di nuove carceri da parte di privati e l’affidamento a questi ultimi dei servizi accessori, annunciando una mozione in questo senso.

"La cosa migliore sarebbe costruirne di nuove. Ma le lungaggini burocratiche e la impossibilità, almeno per ora, di reperire i fondi necessari, farebbe fallire l’iniziativa. Perché, allora, non utilizzare i privati come in America, ai quali affidare oltre che la costruzione tutti i servizi accessori lasciando alla Polizia Penitenziaria il controllo e la gestione dei detenuti?

Ho detto al Ministro Alfano, che non è pregiudizialmente contrario all’idea, che presenterò una mozione in tal senso in Commissione: sarà l’occasione", ha concluso Vitali, "per discuterne senza strumentalizzazioni".

La risposta non si è fatta attendere: "Le parole pronunciate dall’onorevole Luigi Vitali, sottosegretario in pectore alla Giustizia, rappresentano una confessione sugli intenti di certa politica, che finalmente getta la maschera: si vogliono affidare le carceri, dalla costruzione in poi, ai privati. E questo è uno scandalo", afferma Roberto Greco, segretario nazionale del Col.Edu.Pen (Collettivo educatori penitenziari), rappresentativo di oltre 300 iscritti in Italia.

"Non ci sono i soldi per assumere gli educatori penitenziari vincitori di concorso - aggiunge Greco - ma già ci si muove per trovare i soldi da mettere in mano ai privati. Nessuno, dal ministro in giù, si preoccupa delle condizioni di vita negli istituti di pena, ma tutti studiano soluzioni per favorire non chi vive e lavora nelle carceri, ma imprenditori privati, pronti a lucrare anche sulle carceri. A via Arenula e dintorni dovrebbero vergognarsi".

Giustizia: Osapp; carceri private? sistema già fallito una volta

 

Il Velino, 26 novembre 2008

 

"Dalle dichiarazioni di La Russa di ieri sera, che il ministro della Difesa ha prontamente ritrattato oggi, sembra emergere come il ddl sulla "messa alla prova" sia stato temporaneamente accantonato, in attesa che qualcuno costruisca nuovi istituti di pena".

Lo dichiara Leo Beneduci segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia penitenziaria a proposito del vertice sulle carceri promosso ieri a Palazzo Chigi. "Si conferma - prosegue - come si sia parlato di tutto tranne che delle vere questioni attinenti il carcere: del personale che manca, di una situazione finanziaria del dipartimento a dir poco da bancarotta, dei provveditorati che non riescono ad assicurare i servizi ordinari nelle periferie, delle condizioni igieniche precarie".

"D’altra parte - aggiunge Beneduci - l’istituto della "messa alla prova" non interessa né ai condannati, e né alle vittime dei reati, non serve al problema del sovraffollamento perché le persone coinvolte non andranno mai in galera e purtroppo non risarciranno mai il danno. Ma dell’emergenza detentiva non fanno parte nemmeno il lodo Consolo, o il disegno sulle intercettazioni".

"Ribadiamo come la situazione - sottolinea il segretario generale Osapp - sia allarmante, come a febbraio arriveremo ad avere gli stessi reclusi del pre-indulto senza che nel frattempo sia stato fatto qualcosa. Ma quello che più preoccupa, e che affiora dalle ultime parole del ministro della Giustizia, anche oggi in conferenza stampa, è la possibilità che le vicende carcerarie possano diventare presto opportunità per nuovi affari da parte dei privati".

"Ricordiamo molto bene - afferma Beneduci - il progetto promosso dal precedente governo Berlusconi, il progetto Dike, e quale sorte abbia poi avuto. Ma se gli intenti non sono questi, solo immaginare un sistema, come quello delle case di detenzione a pagamento, che concepisca una Giustizia di serie A, accessibile a pochi, e una di serie B, diffusamente accessibile ai molti, è comunque inaccettabile.

Che si debba costruire e in tempi brevi - conclude - è giusto, e sottoscriviamo qualsiasi iniziativa del governo che vada in questa direzione, però la cella non è una stanza d’albergo e a parte la dignità umana del detenuto che conta, e che deve essere sempre rispettata (a questo punto aggiungiamo anche quella del poliziotto penitenziario), ci auguriamo sempre che la finalità a cui assurge la pena sia sempre il punto di riferimento".

Giustizia: ancora morti di carcere, è Guantanamo all’italiana

di Vito Totire (Direttivo Nazionale di Medicina Democratica)

 

Liberazione, 26 novembre 2008

 

Le cronache di oggi riferiscono di un ennesimo morto nel carcere di Bologna; un suicidio attuato con uno dei mezzi più frequenti: una bomboletta del gas. Ogni anno si verificano in Italia 6-7mila atti di "autolesionismo", 600-700 tentativi di suicidio con circa 50-60, purtroppo, riusciti; i soggetti più a rischio sono giovani al primo anno di detenzione; il tasso di suicidi in carcere è almeno 13 volte superiore a quello che si verifica tra le persone in libertà (G. Tanburino, 2005). Questi sono, nudi e crudi, i dati "epidemiologici"; dietro ogni "numero" sofferenze, drammi e lutti infiniti.

La "società civile" non reagisce adeguatamente e non è in grado di fare prevenzione. Qualche tempo fa abbiamo inviato alla procura della Repubblica di Bologna un esposto con un contenuto molto semplice: il carcere è "inagibile"; oggi ribadiamo infatti che, alla luce di una valutazione secondo elementari criteri di igiene edilizia, la Dozza va dichiarata inagibile.

Ma questa banale considerazione continua ad essere rimossa; il sovraffollamento, le modalità di consumazione dei pasti, la commistione tra servizio igienico e gestione delle stoviglie,il sovraffollamento, nonché numerosi altri elementi fanno della Dozza un luogo mostruoso; semplici osservazioni di tipo prossemico sconsiglierebbero chiunque di adibirla a luogo deputato alla rieducazione ed alla risocializzazione.

Lo status quo è garantito anche dalle modalità con cui la Ausl è costretta ad intervenire che non sono quelle riguardanti tutti gli altri luoghi di vita e di lavoro secondo una dinamica di ispezioni, disposizioni e prescrizioni: con questi criteri la Dozza sarebbe stata già chiusa; la Usl deve "osservare" e "riferire" ad una miriade di interlocutori che non traggono quasi mai alcune delle conclusioni che sarebbero ovvie.

Allora cerchiamo di essere consequenziali:se per la Dozza si accettano standard inaccettabili per altre strutture ricettive, se la Dozza è una "terra di nessuno", una istituzione totale, statale e pubblica la cui peculiarità è la violazione delle regole di convivenza, una Guantanamo all’italiana (come quasi tutte la altre carceri), smettiamola di chiamarla "casa circondariale", allora chiamiamola "penitenziario", cioè luogo dedicato alla penitenza, a finalità di tipo afflittivo e smettiamola di pronunciare frasi di circostanza ad ogni episodio di suicidio.

Non rispettare la dignità umana è una azione suicidogena e i suicidi sono anche la conseguenza della negazione del dettato costituzionale in materia di esecuzione delle pene. Certo essi (la prevenzione del suicidio è infatti una strategia complessa) non sarebbero azzerati se la Dozza fosse dichiarata inagibile e fosse ristrutturata (abbiamo per esempio proposto la trasformazione di due celle in una, per due persone, con la separazione netta tra bagno ed angolo cucina, evidentemente con anche l’uso di mezzi diversi dalla bomboletta del gas, senza voler affatto indulgere in ipotesi superficialmente custodialistiche); tuttavia il rispetto dei diritti umani è un antidoto contro la disperazione e i diritti vanno rispettati con i fatti e non solo con le dichiarazioni.

Evidentemente la strada per il passaggio totale delle competenze alle Usl è ancora molto lunga perché chi si oppone al cambiamento non vuole cedere e chi sarebbe investito dal cambiamento non scalpita per facilitarlo, prova ne è l’esclusione dai rapporti semestrali delle Usl dell’altra importante strutture penitenziaria di Bologna che è il Cpt di via Mattei.

Nell’esprimere il nostro sentimento di lutto per la morte di Kamel (aveva appena 23 anni! l’Italia si deve vergognare di quello che è successo) intendiamo dire basta a chi, intenzionalmente o per inerzia, vìola la Costituzione, l’etica ed il senso di umanità, con conseguenze che pregiudicano la salute e la vita degli esseri umani.

Giustizia: Berselli (An); fondi carceri e sicurezza tagliati di 30%

 

Asca, 26 novembre 2008

 

Un emendamento alla Finanziaria per limitare esclusivamente ai casi "di assoluta ed effettiva" necessità e urgenza la possibilità di ridurre le quote minime a favore del settore giustizia ed interni del Fondo Unico istituito dal governo. È quello che annuncia il Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, che di fatto fa proprio un ordine del giorno dell’opposizione che va nello stesso senso.

"Al di là delle valutazioni politiche dell’ordine del giorno dell’opposizione, che non mi possono trovare d’accordo - ha spiegato Berselli al termine della commissione riunita per esprimere il parere sulla Finanziaria per quanto attiene ai provvedimenti inerenti al comparto - concordo sulla necessità di limitare ai casi di assoluta necessità ed urgenza l’esercizio del potere di riduzione delle quote minime assegnate dal governo alla giustizia ed agli interni del fondo unico, attualmente fissate in misura del 30% ciascuno con l’ulteriore 30% da gestire. Presenterò un emendamento aggiungendo l’indicazione assoluta ed effettiva necessità ed urgenza per la possibilità riconosciuta al governo, tramite un Dpcm, di riduzione di queste quote minime".

Dal canto suo il Pd ha presentato un rapporto di minoranza sui provvedimenti della Finanziaria inerenti al settore giustizia in cui esprime un parere contrario, criticando in particolare il drastico taglio delle attribuzioni e degli accantonamenti finanziari che si aggiungono ai tagli di spesa previsti in altri provvedimenti sempre inerenti al comparto.

"Tali disposizioni e in particolare le previste riduzioni di spesa relativamente al ministero della Giustizia - si legge nel documento - rischiano di aggravare ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese".

I tagli insomma "non consentiranno di affrontare l’emergenza del sistema penitenziario ed aggraverà le condizioni di sovraffollamento e disfunzionalità che si riscontra in molte carceri italiane", ma soprattutto, sottolineano ancora i senatori Pd, "le forti riduzioni di spesa sia per il ministero ella Giustizia sia per il coperto sicurezza, ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l’identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto promesso dalla maggioranza in campagna elettorale, nonché con quanto asserito dagli esponenti del governo e della maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell’ambito di dichiarazioni rese alla stampa".

Giustizia: Casson (Pd); da governo tagli e gioco delle tre carte

 

Apcom, 26 novembre 2008

 

Sulla giustizia e sulla sicurezza il governo "continua nel gioco delle tre carte: dopo tanti annunci gli unici fatti concreti parlano di tagli e di messa in crisi di tutto il settore". Lo denuncia il senatore Felice Casson, capogruppo del Pd in commissione Giustizia a Palazzo Madama, ricordando che la legge di bilancio "prevede una riduzione del 4,1% degli stanziamenti del ministero della Giustizia".

"La riduzione che interessa la missione Giustizia - aggiunge Casson - rispetto al precedente esercizio finanziario, ammonta a 341, 7 milioni di euro dei quali circa 240 milioni di euro sono relativi allo stanziamento per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti. Di assoluto rilievo sono poi le riduzioni previste alle dotazioni per l’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile, pari rispettivamente a 19.2, 32.5 e 4.7 milioni di euro, una palese contraddizione con l’indirizzo di politica di persecuzione del crimine promosso dal Governo. Non si comprende, infatti, come l’aumento della popolazione penitenziaria possa essere affrontato con una simile politica di riduzione delle risorse per il sistema penitenziario. E meno risorse sono inoltre destinate ai giudici di pace, ai vice procuratori onorari, al funzionamento dell’amministrazione della giustizia, alla Scuola superiore della magistratura , destinata a formare i neo-auditori giudiziari, al fondo per la solidarietà alle vittime di mafia".

"È evidente - prosegue il capogruppo del Pd in commissione Giustizia - che quanto previsto dalla Finanziaria in materia di giustizia e sicurezza rischia di aggravare ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese. Il rischio - avverte - è di arrivare in breve a un vero e proprio collasso con un aggravamento ulteriore della condizione di sovraffollamento, disfunzionalità e disagio che si riscontra in molte delle carceri italiane, mentre per la sicurezza i tagli ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche di contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l’identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto promesso dalla maggioranza in campagna elettorale, nonché con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza".

Giustizia: misure per "alleggerire" il lavoro della Cassazione

 

Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2008

 

Filtro in Cassazione affidato alle sezioni ordinarie, limitata la prova testimoniale in forma scritta e delega sui riti per sfoltire il caos oggi esistente e ricondurre il più possibile al Codice di procedura. Prende corpo la manovra del ministero della giustizia sul processo civile.

All’attenzione del Guardasigilli Alfano e Affari costituzionali del Senato è stato presentato un pacchetto di emendamenti al collegato giustizia che rivede alcuni aspetti chiave della riforma già approvata alla Camera.

Per quanto riguarda il "filtro" in Cassazione, la nuova proposta del ministero della Giustizia va nel senso della soppressione del collegio di tre giudici, affidando le decisioni di ammissibilità alle stesse sezioni della Cassazione. Il primo screening sui ricorsi resterà caratterizzato dalla forma del precedente della Cassazione. Preso il fatto così come ricostruito dal giudice di merito, la valutazione dovrà andare a verificare se non ci sono contrasti, se la questione non è nuova e se sono stati applicati pertinenti precedenti della Cassazione: se c’è stata uniformità rispetto al diritto vivente non si andrà al giudizio di merito.

La testimonianza scritta inoltre verrà limitata ai casi in cui la prova riguarda fatti non complessi, semplici e univoci. La delega sul riordino dei riti prevede la riduzione della gran parte delle variabili processuali previste fuori dal codice a tre modelli di base: il rito ordinario, quello del lavoro caratterizzato dalla maggiore concentrazione e quello sommario di cognizione, introdotto dallo stesso disegno di legge collegato nei casi in cui è necessaria una semplificazione della fase istruttoria (a quest’ultimo rito sommario potrebbero essere ricondotte le possibilità oggi disciplinate in camera di consiglio). Le regole processuali sulla famiglia, proprietà industriale e Statuto dei diritti dei lavoratori resterebbero invece in piedi. Quanto al societario, l’ultima versione della delega non dovrebbe porre la questione in termini ultimativi ma affidare la Governo la scelta finale sulla soppressione.

Giustizia: Brunetta; tornelli per i giudici imposti da legge Prodi

 

Ansa, 26 novembre 2008

 

L’introduzione dei tornelli per controllare le entrate e le uscite dei magistrati dai palazzi di giustizia si avvicina sempre più. Il ministro per l’Innovazione della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, rispondendo a una domanda specifica nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi per presentare il protocollo d’intesa per la realizzazione di programmi di innovazione digitale per la giustizia, ha detto che "in Italia c’è una legge, voluta dal precedente governo, quello Prodi, che impone che, in tutte le strutture della pubblica amministrazione nelle quali si erogano prestazioni soggette a straordinari, ci siano sistemi di rilevazione delle presenze".

Quando è stato fatto notare al ministro che dopo le sue parole è stata chiesta la convocazione di un plenum straordinario del Csm con la partecipazione del ministro della Giustizia, Brunetta si è limitato a ribadire: "c’è una legge del governo Prodi".

Giustizia: Don Rigoldi; le nostre periferie sono terra di nessuno

 

Milano Cronaca, 26 novembre 2008

 

Quanto dista dal centro Quarto Oggiaro? O la Barona, o Quinto Romano, o piazzale Corvetto? Poche migliaia di metri se si guarda una mappa. Anni luce se si osservano lo stato delle strade, le facciate delle case popolari, gli sguardi della gente. E si ascoltano le storie. Ieri l’ennesimo appello contro il degrado delle periferie milanesi è arrivato da don Gino Rigoldi, lo storico cappellano del carcere per minori Beccaria. L’occasione è stata la conclusione dei lavori per la ristrutturazione della palestra all’interno dell’istituto, inaugurata ieri mattina.

Al Beccaria, negli ultimi due anni, gli italiani sono tornati a superare gli stranieri, compresi i magrebini e i romeni che da tempo erano i più numerosi. "Finiscono qui per reati sempre più gravi", denuncia don Rigoldi, convinto che siano due le cause principali di questo trend: "Da una parte - spiega il sacerdote - le nostre periferie sono terra di nessuno, dove l’unica impresa attiva è la malavita. Dall’altra, l’allarme sicurezza è un veleno che spinge molti giovani italiani a inventarsi dei nemici che non esistono. E alla fine sono i più disillusi, con cui è ancora più difficile lavorare in carcere".

Molti problemi derivano anche dai pochi fondi a disposizione. "Ormai con i soldi pubblici non si va da nessuna parte e sono costretto a fare "fund-raising" - allarga le braccia il cappellano - un ambiente più dignitoso spingerebbe i giovani detenuti ad avere più rispetto per sé e per gli altri e ridurrebbe la tendenza a lasciarsi andare".

Parole che pesano come macigni e che don Rigoldi ha pronunciato a margine della riapertura della palestra del carcere, tornata agibile dopo due anni e ristrutturata con tanto di bagni e docce grazie ai contributi delle fondazioni Vodafone e Laureus, e della Provincia di Milano, che hanno stanziato rispettivamente 100mila, 40mila e 20mila euro.

"Siamo finalmente contenti, ne avevamo bisogno", sorride uno dei venti giovani che, sotto gli occhi di due testimonial, come l’ex rugbista Alessandro Troncon e l’ex pugile Marvin Hagler, hanno inaugurato la palestra con una partita di calcetto. "Ora, alle attività di laboratorio possiamo aggiungerne altre che serviranno ai ragazzi per scaricare tensioni e aggressività", dice Sandro Marilotti, direttore del Beccaria.

Lazio: il Garante chiede Osservatorio sulla salute dei detenuti

 

Ansa, 26 novembre 2008

 

Istituire un Osservatorio Regionale Permanente sulla salute di detenuti ed internati, a tutela e garanzia del pieno diritto alla salute di questa categoria sociale. È la proposta che il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha avanzato nell’audizione alla Commissione Sanità del Consiglio Regionale presieduta da Luigi Canali per discutere delle priorità sanitarie del sistema carcerario del Lazio.

Del nuovo organismo potrebbero essere chiamati a far parte rappresentanti dei soggetti istituzionali che, a vario titolo, concorrono alla tutela della salute della popolazione degli istituti penitenziari. "L’Osservatorio - ha detto Marroni ai commissari - potrebbe diventare una sorta di cabina di regia, il luogo preposto a ricevere indicazioni sulle criticità che, di volta in volta, si presentano, ma anche per delineare le azioni programmatiche e gli interventi prioritari, per prevedere le modalità di verifica delle azioni e il monitoraggio dei risultati".

Nel corso della sua audizione il Garante ha ricordato che le priorità del sistema sanitario carcerario regionale sono quelle di "garantire ai 5.433 detenuti attualmente ristretti livelli adeguati di prestazioni lavorando, in una situazione critica come quella in cui versa la Sanità laziale, a qualificare e a migliorare l’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari".

Marroni ha ricordato che, dal 1 ottobre, le competenze sanitarie nelle carceri (funzioni, rapporti di lavoro, risorse finanziarie, attrezzature e beni strumentali) sono state trasferite dal Ministero della Giustizia ai Servizi Sanitari Regionali e, da questi, alle Asl. In virtù di ciò, sono le Aziende sanitarie locali che devono occuparsi dell’erogazione dei servizi sanitari anche ai detenuti negli istituti che ricadono sul loro territorio. "La Giunta regionale, con Delibera n. 470 del luglio scorso - ha detto Marroni - ha recepito il Decreto ministeriale sul trasferimento al Sistema sanitario delle funzioni di sanità penitenziaria. Si è trattato di un passo importante e non più rinviabile".

Per oltre un’ora e mezza Marroni ha risposto alle domande dei commissari affermando che, in sostanza, nonostante questo primo passo comunque importante in prospettiva, le criticità in termini operativi restano molte: Marroni ha indicato alla Commissione alcuni esempi che testimoniano le difficoltà di chi è costretto a ricorrere alle cure mediche in carcere. Ad esempio, il Garante ha citato le attrezzature obsolete e i locali non a norma un po’ ovunque, il gabinetto odontoiatrico del carcere di Regina Coeli chiuso perché un macchinario è rotto, la riduzione del 30% degli orari degli psicologi e degli psichiatri per carenza di fondi. Ed inoltre, il sovraffollamento, l’elevato tasso di rotazione dei detenuti,il preoccupante aumento di malattie come la tubercolosi, e di tutte le malattie da contatto (scabbia e pidocchi).

"Di carcere non si può parlare solo in termini di sicurezza e di certezza della pena - ha concluso Marroni - L’esperienza ha, infatti, dimostrato che quello alla salute è uno dei diritti più vilipesi in carcere, non per cattiva volontà degli operatori, ma per la oggettive carenze di personale, strutture e fondi. L’impegno profuso in questi mesi dalla Regione nonostante le ben note difficoltà ha garantito una importante affermazione del diritto alla salute anche in carcere".

Pordenone: Asl ispeziona il carcere; se non a norma chiuderà 

 

Il Gazzettino, 26 novembre 2008

 

Il sindaco Sergio Bolzonello ha firmato ieri mattina il decreto che impone all’Asl 6 di ispezionare a fondo il carcere di Pordenone. Non solo. L’Azienda per i servizi sanitari dovrà farlo entro 15 giorni e poi inviare al primo cittadino una dettagliata relazione.

"Voglio capire una volta per tutte - spiega Bolzonello - se il Castello è idoneo a proseguire nella sua attività di Casa Circondariale. Nel caso in cui l’esito delle visite igienico sanitarie e strutturali effettuate dai tecnici dell’Asl 6 dovessero indicare che i locali non sono idonei, passerò al secondo atto con la firma di chiusura del carcere di Pordenone".

Un documento, quello firmato dal sindaco che impone all’Asl 6 di effettuare le ispezioni, molto dettagliato che parte dal 1957, anno in cui per la prima volta si parò in provincia di realizzare una nuova struttura penitenziaria. Bolzonello ripercorre le tappe da allora sino ad oggi, riportando, però, tutte le segnalazioni in cui - a vario titolo - le Istituzioni hanno lamentato carenze igienico sanitarie e strutturali. Ma la parte più importante del decreto riguarda i quesiti che il sindaco ha posto all’Asl 6. C’è da ricordare, infatti, che ogni sei mesi i tecnici dell’Azienda sanitaria effettuano visite al Castello, ma sino ad ora non è mai successo nulla.

"So che all’interno del carcere non ci sono i topi e quindi le ispezioni che vengono svolte regolarmente non hanno mai portato alla chiusura - va avanti Bolzonello - ma questa volta ho preteso ispezioni più dettagliate e circostanziate". Per prima cosa sono state chieste le "verifiche necessarie, avvalendosi di tutte le collaborazioni opportune per una idonea attività istruttoria, tecnica e amministrativa, per accertare le reali condizioni igienico sanitario e strutturali del fabbricato". Non è tutto. Gli ispettori dell’Asl 6 dovranno anche valutare se la struttura è in possesso dei requisiti minimi per continuare ad essere destinata a Casa circondariale e nel caso la risposta sia positiva dovranno però indicare quali interventi siano necessari per il rispetto della normativa vigente e quali sono i tempi compatibili in relazione all’urgenza per far fronte alle carenze riscontrate.

Proprio per evitare fraintendimenti il primo cittadino, forte delle vecchie relazioni, ha chiesto all’Asl 6 se "permane la situazione segnalata il 12 giugno 1984 dal prof. Ennio Gallo - allora responsabile del Settore igiene pubblica - in base alla quale la struttura complessiva risultava carente a tal punto da ridurre notevolmente, se non addirittura vanificare ogni sforzo diretto a migliorare la situazione igienica".

Bolzonello ha anche preteso che l’Asl 6 certifichi, nero su bianco che - come invece sottolineato dall’allora pretore di Pordenone, Attilio Passanante, sono state superate le "gravi carenze sotto l’aspetto igienico-sanitario e le gravi carenze sotto l’aspetto dell’igiene del lavoro al quale sono adibiti gli ospiti e gli agenti di custodia". L’amministratore ha anche messo insieme tutti i riscontri e le verifiche effettuate sino al 2008 da più Istituzioni che sancivano l’inagibilità del Carcere sotto più aspetti. L’Asl 6, insomma, dovrà chiarire se tutte quelle condizioni negative sono state superate. In caso contrario - come appare evidente - Sergio Bolzonello entro fine anno firmerà l’ordinanza di chiusura che lascerà comunque alcuni mesi di tempo all’organizzazione penitenziaria per trovare altre soluzioni.

Catania: "Detenuto per un minuto", la cella virtuale è in piazza

 

Comunicato stampa, 26 novembre 2008

 

Dopo le tappe di Enna e Palermo, la manifestazione "Detenuto per un minuto" si conclude Venerdì 28 novembre 2008 a Catania. Catania -Venerdì 28 Novembre 2008 - in Piazza Stesicoro, angolo Corso Sicilia, sotto i portici del Banco di Sicilia, dalle ore 10 alle 17, "Detenuto per un minuto": una cella virtuale sarà installata per far conoscere ai cittadini le vicissitudini cui soggiacciono i soggetti fermati e poi trasferiti negli istituti di pena.

Il Garante Sen. Fleres: "Detenuto per un minuto" è un progetto di educazione alla legalità e si inserisce nel più vasto programma di tutela e conoscenza dei diritti umani. Venerdì 28 novembre avrà luogo a Catania la manifestazione "Detenuto per un minuto". In pratica attraverso l’allestimento di una struttura prefabbricata (che comprende una cella e gli uffici di polizia giudiziaria e penitenziaria) si intende far conoscere ai cittadini e soprattutto ai giovani, mediante un percorso virtuale, quali sono le vicissitudini cui soggiace una persona quando viene fermata e poi trasferita in un carcere.

Con richiami visivi e sonori si determinerà anche, nei confronti dei visitatori, la convinzione di trovarsi davvero davanti agli operatori del carcere e dentro una cella di una qualsiasi prigione siciliana arredata secondo i regolamenti penitenziari vigenti. Ai cittadini che visiteranno la cella virtuale verrà consegnato il manuale "L’ora d’aria", edito dal Garante dei diritti fondamentali dei detenuti per la Regione Siciliana ed un attestato relativo alla loro partecipazione.

Presenzieranno alla manifestazione, il Garante Sen. Salvo Fleres, il Segretario Generale della Conferenza Nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti, Avv. Lino Buscemi, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dott. Orazio Faramo e le autorità civili e militari della provincia.

Nuoro: presentazione di libro e di dvd sulla storia di Mamone

 

La Nuova Sardegna, 26 novembre 2008

 

La prima, Nicolina Carta, ci è vissuta per quindici intensissimi anni, la seconda, Pj Gambioli, se n’è innamorata al primo sguardo. E così, da quei quarantamila ettari di terra, volti e speranze che si scorgono "Oltre la sbarra" della colonia penale di Mamone, sono nati per la prima volta un romanzo e un documentario. Frutto di un anno di lavoro duro e appassionato, di un anno speso a chiedere con tenacia permessi e autorizzazioni, di un anno consumato a studiare carte, foto e documenti. "È stata dura ma ce l’abbiamo fatta" dicono oggi con soddisfazione Pj e Nicolina Carta. Regista la prima, artista e scrittrice la seconda.

Entrambe nuoresi, dotate di quel tanto di sana testardaggine che ci vuole ogni volta che si tenta di vincere una scommessa apparentemente impossibile. Perché raccontare la colonia penale di Mamone è stata proprio una vera avventura. Succede che un annetto fa, Nicolina Carta, fa leggere all’amica Pj la bozza del suo romanzo su Mamone. Un libro che trae tanto dalla sua biografia: Nicolina, a Mamone, ci è praticamente nata. Il padre, Giovanni Carta, faceva il guardia-carcere. Pj lo legge e di quel luogo, di quei volti, di quelle storie, se ne innamora. Decide di raccontarli a modo suo: attraverso lo sguardo di una telecamera. A giugno di quest’anno arrivano le autorizzazioni alla riprese.

"Tutto - racconta Pj con entusiasmo - abbiamo ripreso tutto: interni, esterni, per vedere meglio Mamone sono salita anche in elicottero. E poi abbiamo intervistato tanti testimoni, ovvero i guardia-carcere in pensione e alcuni agenti di polizia penitenziaria, alcuni detenuti". Con una preziosa testimonianza-perla: la mamma dell’avvocato nuorese Priamo Siotto, ovvero la nipote di quel Corrado Fiaccavento, storico direttore della colonia penale.

"È stato un vero pioniere nell’amministrazione carceraria - spiegano Pj e Nicolina - uno che aveva trasformato Mamone nella terza azienda agricola d’Italia". E così, insomma, è venuta fuori una Mamone-story che si dipana tra documentario e romanzo. Due lavori complementari, che corrono paralleli e che faranno parte di un unico prodotto in vendita. Il documentario dura 36 minuti. Le musiche, splendide, sono del maestro Ignazio Pes. La voce narrante è quella dal timbro caldo di Franco Stefano Ruju, le foto di Maria Carmela Folchetti.

C’è un contributo del Comune di Bitti ma per il resto è stato tutto fatto in casa. Finanziato dall’associazione culturale Janas della stessa Pj Gambioli. "L’obiettivo del nostro lavoro - spiegano Pj e Nicolina - è soprattutto quello di far cogliere a tutti, attraverso il libro e il documentario, l’aspetto sociale che c’è dietro le sbarre di Mamone. Mamone non è un carcere ma una colonia penale dove i detenuti hanno uno stipendio, imparano un mestiere, vivono all’aria aperta e recuperano nell’attesa di rientrare nella società.

Con il nostro lavoro vogliamo far conoscere a tutti questo tipo di realtà. Queste realtà vanno sostenute, sarebbe uno sbaglio chiuderle". Libro e documentario verranno presentati il 2 dicembre a Nuoro, alle 18.30, nell’auditorium della biblioteca Sebastiano Satta. Interverranno il presidente del consorzio bibliotecario, Priamo Siotto, il direttore, Tonino Cugusi, Ugo Collu, Nicolina Carta e Pj Gambioli. Tra gli ospiti ci sarà anche il provveditore regionale della polizia penitenziaria, Francesco Massidda.

Droghe: il Messico insegna; proibizionismo, una via sbagliata

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 26 novembre 2008

 

Gli "zar antidroga" in Messico, da qualche anno a questa parte, fanno tutti una brutta fine: o in galera, corrotti dai narcos, o morti ammazzati sempre per mano dei trafficanti. Chiunque sia adepto della teoria di Milton Friedman e di Antonio Martino sull’antiproibizionismo come unica strategia per un’efficace lotta al narcotraffico ha sotto gli occhi il caso del Messico. L’ultimo esempio, in senso cronologico, è quello di Noè Ramirez Mandujano arrestato tre giorni fa a Città del Messico: non era più lo zar antidroga da un mese perché doveva andare all’Onu a fare il vice di Antonio Maria Costa nell’impari lotta alla droga delle Nazioni Unite che tutti sanno l’effetto che ha avuto negli ultimi sessanta anni.

Ma non ha fatto a tempo a insediarsi con tutti gli onori perché nel frattempo lo hanno arrestato. Pare che Mandujano ricevesse circa 450mila dollari al mese dai trafficanti per chiudere un occhio, magari due, sulle massicce esportazioni di cocaina verso gli Stati Uniti. Il procuratore capo di Città del Messico, Eduardo Medino Mora, racconta che l’uomo è stato arrestato dopo che un testimone protetto dalla Dea americana, (Drug Enforcement Agency), ha indicato il Mandujano come partecipante a diverse riunioni con i boss del cartello del Pacifico.

Uno di essi, boss del cartello di Sinaloa, lo aveva conosciuto quando era detenuto e si era recato da lui a interrogarlo. Poi evidentemente si devono essere invertiti i ruoli. Mandujano, come si accennava, non è il primo "zar antidroga" del Messico a finire in galera e forse non sarà neanche l’ultimo: prima di lui nel 1997 era stato condannato per complicità con i narcos anche il suo predecessore Jesus Gutierrez Rebollo che si era venduto al boss Armando Carrillo Fuentes.

Poi c’è il caso recentissimo, dell’immediato successore di Mandujano, lo zar Josè Louis Santiago Vasconcelos morto in uno strano incidente aereo insieme al ministro degli Interni messicano Juan Camillo Mourino lo scorso 4 novembre. Una strana esplosione in volo che molti credono non essere stata accidentale. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che linseme a Mandujano le indagini della Dea hanno portato in carcere anche il capo dell’Interpol messicana Rodolfo Gutierrez Vargas, abbiamo il quadro della Caporetto provocata dalla politica proibizionista in uno dei Paesi che è tra i maggiori nel mondo per il transito di cocaina e marijuana.

L’operazione che ha portato a questi due arresti eccellenti è stata ribattezzata "Operacion Limpieza", e non serve un interprete dallo spagnolo per capire cosa significhi. Persino il Presidente della Repubblica, Felipe Calderon Hinojosa, si è congratulato con la Dea per questa vicenda. Ma le mani pulite nella lotta alla droga, in molti cominciano a chiederselo, chi ce le ha veramente? Settanta anni e passa di proibizionismo, instauratosi in sospetta coincidenza con la fine di quello dell’alcool, hanno portato quasi ovunque a situazioni analoghe a quella del Messico: Colombia, Perù, Thailandia, Birmania, Afghanistan, Pakistan, Vietnam, Laos, Cambogia e quasi tutti i Paesi dell’Africa hanno vissuto vicende simili.

Ma la corruzione dei narcos non riguarda ovviamente solo i Paesi che la droga la producono o quelli in cui transita: anche le nazioni dei Paesi del progredito Occidente, dove la cocaina e l’eroina vengono consumate dalle masse e importate dalle mafie, hanno probabilmente scheletri simili nell’armadio. L’atmosfera è quella di Chicago anni ‘30. Parafrasando la battuta finale dell’indimenticabile "Gli intoccabili", film che parla del proibizionismo alcolico, forse anche dopo l’abolizione del proibizionismo sulle droghe finalmente gli addetti ai lavori potranno andarsi a rilassare facendosi una bella canna tutti insieme.

Droghe: Giovanardi; allarmato per il referendum in Svizzera

 

Redattore Sociale - Dire, 26 novembre 2008

 

"Se le autorità svizzere sono allarmate per una vittoria nel referendum voluto dagli antiproibizionisti, per la possibilità di un’invasione di consumatori alla ricerca di zone franche dove utilizzare marijuana, ancor più lo siamo noi che prevediamo, in quel caso, un aumento del consumo e del numero dei tossicodipendenti nelle regioni a ridosso con il confine svizzero". Lo afferma Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle tossicodipendenze, in merito ad un’eventuale liberalizzazione in Svizzera della marijuana.

"Già qualche anno fa - aggiunge Giovanardi - un esperimento di liberalizzazione dei prodotti a base di cannabis in Svizzera determinò un preoccupante pendolarismo tra la Lombardia e il Canton Ticino, pericoloso non solo per la salute dei consumatori, ma anche per la sicurezza pubblica". E prosegue il sottosegretario: "Suona falso e demagogico lo slogan dei promotori, che recita politiche della canapa che siano ragionevoli e proteggano efficacemente i giovani, perché - conclude - la vera protezione per la salute dei giovani, considerati i devastanti danni neurologici, ormai documentati scientificamente, procurati dall’uso della marijuana e dell’hashish, è non usare mai alcun tipo di sostanze stupefacenti".

Iran: 10 detenuti condannati per omicidio sono stati impiccati

 

Adnkronos, 26 novembre 2008

 

Una esecuzione di massa di 10 detenuti iraniani condannati per omicidio, tra i quali una donna, è avvenuta nel carcere Evin di Teheran. L’agenzia Fars ha precisato che l’esecuzione della condanna a morte è avvenuta per impiccagione. La detenuta donna, Fatemeh Haqiqat-Pajuh, aveva ucciso e tagliato a pezzi il marito nel 2001. Nel corso degli interrogatori aveva spiegato che si trattava di una vendetta perché l’uomo aveva abusato della figlia avuta da un matrimonio precedente. L’esecuzione della donna era stata rinviata diverse volte a causa delle proteste internazionali. In Iran la pena di morte è applicata per l’omicidio, la rapina e il traffico di oltre 5 chili di droga.

Iraq: Bbc; nelle carceri sovraffollamento e condizioni terribili

di Ornella Sangiovanni

 

Osservatorio Iraq, 26 novembre 2008

 

Le carceri irachene sono sovraffollate, e i detenuti vivono in condizioni terribili. Non è propriamente una novità, ma questa volta a sollevare l’attenzione sul problema è la Bbc, il cui corrispondente a Baghdad è riuscito a visitare la prigione di Rusafa, dove ha potuto constatare che circa 150 detenuti stavano in una stanza grande quanto un’aula scolastica.

Non solo, molti di loro sono in carcere senza che nei loro confronti siano state ancora formulate accuse specifiche, perché il sistema giudiziario iracheno non ce la fa a smaltire tutti i casi che dovrebbe esaminare.

Andrew North, questo il nome del giornalista, è stato accompagnato a visitare la prigione di Rusafa, che si trova nella parte est della capitale irachena, da funzionari del ministero degli Interni di Baghdad, dopo aver chiesto di verificare di persona le accuse di torture e abusi nelle carceri che circolano da molto tempo.

È la prima volta che in un carcere iracheno vengono fatti entrare media stranieri, dall’invasione Usa del marzo 2003, sottolinea l’emittente britannica. Il quadro che si è presentato al reporter conferma cose che erano già state riferite, ma questa volta c’è un filmato a documentarle.

North sottolinea che in un primo momento non è riuscito a rendersi conto di quanti prigionieri ci fossero nelle celle: sui letti a castello in ferro c’erano arrampicate dalle quattro alle cinque persone. Altre persino sotto, sul pavimento. Tre bagni e una doccia, dietro una tenda, servono per più di 100 persone. Altri dettagli sono venuti fuori dai detenuti, con i quali il giornalista dice di aver potuto parlare liberamente, senza che le conversazioni venissero monitorate. Uno di loro ha definito le condizioni nella struttura "terribili", dicendo, ad esempio, che non hanno quasi mai la possibilità di uscire dalle celle, in quanto nel carcere manca un’area adibita a questo scopo. E non è tutto. "Ci sono alcuni che dormono accanto ai bagni. Alcuni stanno in piedi in modo che altri possano dormire", ha detto il detenuto.

"Dobbiamo fare i turni per lavarci, una volta ogni tre giorni", ha spiegato un altro. Alcuni prigionieri hanno riferito di essere stati picchiati al momento dell’arresto, ma il problema principale che emerge è quello del grave sovraffollamento, sottolinea il giornalista. Al ministero degli Interni ne ammettono l’esistenza, ma dicono che dipende dal fatto che negli ultimi anni le condizioni della sicurezza hanno portato all’arresto di migliaia di persone, fra cui sospetti insorti accusati di gravi reati. Molte di esse, riferisce North, aspettano mesi, e anche anni prima di sapere se sono accusate di qualcosa - e di cosa - perché il sistema giudiziario iracheno non riesce a tenere il passo con gli arresti.

Una situazione che potrebbe peggiorare, e di molto, sottolinea il corrispondente della Bbc, se il Parlamento iracheno approverà l’accordo cosiddetto di "sicurezza" firmato da Washington e Baghdad, che prevede, fra l’altro, che tutti i detenuti iracheni (circa 16.000) attualmente in custodia degli americani vengano trasferiti al sistema giudiziario iracheno perché ne esamini i casi e decida il da farsi.

 

 

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