Rassegna stampa 4 marzo

 

Giustizia: sistema penitenziario, ormai il collasso è alle porte

di Gennaro Santoro (Coordinatore Associazione Antigone)

 

Aprile on-line, 4 marzo 2007

 

L’approfondimento Se anche qui da noi si continua a percorrere la strada della carcerazione di massa, come accade in America, si avrà la fine di quelle conquiste che sembravano irreversibili. La commissione Pisapia ha elaborato un progetto di codice penale che garantirebbe maggiore efficacia della giustizia e dunque maggior sicurezza delle vittime, così come degli imputati e dei condannati

Gli Stati Uniti, esportatori di diritto, vantano una popolazione carceraria superiore a quella di qualsiasi altro Paese al mondo: 2milioni e 300mila persone private della libertà. Seguono la Cina, con 1 milione e mezzo di persone in carcere, e la Russia con 890mila detenuti. L’Europa, culla dei diritti, mantiene le distanze con i suoi 600mila detenuti.

Nell’Unione Europea il tasso medio di carcerazione è di 125 detenuti ogni 100mila abitanti. In America è di mille ogni 100mila (un detenuto su 100 abitanti). Carceri etniche, quelle private e americane, se nel 2006 un afro-americano su 15 era in prigione (uno su 9 se si guarda alla fascia di età compresa tra i 20 e i 34 anni), contro la presenza dietro le sbarre di un americano bianco su 106.

Ma il modello della disuguaglianza americana, quello della repressione totale a scapito del welfare state, sembra influenzare le politiche criminali dei paesi UE, dove in 23 stati su 27 è aumentata costantemente la popolazione carceraria. Dove Sarkozy propone il carcere a vita per i recidivi. Dove l’Italia vanta il suo primato per i tempi biblici della giustizia e il 60% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, presunta innocente. E non scherza il nostro paese neanche in tema di detenzione etnica: i detenuti stranieri superano il 35% della popolazione carceraria (nel 1990 rappresentavano l’8%) e gli africani sono i detenuti non autoctoni maggiormente presenti.

Intanto nelle patrie galere è di nuovo allarme sovraffollamento: quasi 51.000 i detenuti, oltre 7.700 detenuti in più rispetto la capienza regolamentare. Un dato preoccupante che sarebbe diventato tragico (72.000 detenuti) se non vi fosse stato nel frattempo il tanto contestato provvedimento di indulto.

Ma le leggi criminogene sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva (ex Cirielli) continueranno a far aumentare gli ingressi in carcere, con una crescita media mensile di circa 1.000 detenuti.

Un carcere - discarica sociale dove finisce solo la manovalanza del crimine se i condannati detenuti per mafia rappresentano il 3,2% e quelli per reati contro l’amministrazione sono il 3,7% della popolazione carceraria. Un carcere che continua a caratterizzarsi per uno "standard sociale" da far tremare i polsi: il 23,4% è tossicodipendente, il 64% ha un grado di istruzione tra analfabeta e licenza media inferiore, oltre il 35% è di origine straniera. Il collasso della giustizia ipertrofica e inefficace è alle porte.

La commissione Pisapia ha consegnato al paese un progetto di codice penale che garantirebbe maggiore efficacia della giustizia e dunque maggiore sicurezza dei diritti delle vittime, così come degli imputati e dei condannati. Un codice di ispirazione garantista che ridurrebbe il numero complessivo dei reati e permetterebbe ai magistrati di concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia. Ma nel circo politico si è più attenti ai pacchetti sicurezza che, come insegnano Bauman e la storia, portano più voti e permettono alla politica di nascondere le proprie responsabilità sul tramonto del welfare state.

Il carcere, come sostenevano Gramsci e i costituenti, è la cartina di tornasole di una società. Il nostro è una discarica sociale inefficace dove il 68% dei detenuti, una volta fuori, commette nuovamente un crimine. Bisogna investire su una riforma organica della materia e sulle misure alternative perché abbattono la recidiva al 19%. Bisogna trovare gli strumenti per far capire che soltanto un potenziamento delle politiche sociali può garantire (anche) più sicurezza urbana. Altrimenti la deriva americana della carcerazione di massa spazzerà quelle conquiste del dopo guerra che sembravano irreversibili. Altrimenti la dignità della persona umana non sarà più il fondamento e la ragion d’essere dello Stato.

Giustizia: la campagna elettorale fatta sulla pelle dei detenuti

di Davide Varì

 

Liberazione, 4 marzo 2007

 

Non bastava l’uscita di Veltroni che non più di una settimana fa "non escludeva" la castrazione chimica per i pedofili; ora è la volta del leader di An Gianfranco Fini il quale - non potendo sopportare l’idea di un sorpasso a destra - ha pensato bene di rilanciare chiedendo nientemeno che i lavori forzati per chi commette reati.

Ben inteso, "nulla a che vedere con l’immagine del detenuto con la palla al piede", ma un lavoro coatto che può prevedere una pena di un "certo numero di ore o giorni di lavoro fino a quando non si è pagato il debito con lo Stato".

Insomma, tempi duri per il popolo dei detenuti. È infatti evidente che una parte della campagna elettorale si sta giocando proprio sulla loro pelle. Del resto, studiosi come Slavoj Zizek e intellettuali come Stefano Rodotà - che parla esplicitamente di "fabbrica della paura" - vanno denunciando da tempo che la "paura" dei cittadini e il conseguente tema della sicurezza ha un grande impatto mediatico e un buon tornaconto elettorale.

Ma Fini non si ferma di certo, e già pensa a come rendere legge questa sua idea: "Ampliamo le normative già esistenti". E a chi gli ricorda che la Costituzione non prevede certo lo sfruttamento del lavoro - neanche in caso dei condannati - trova la dura difesa di Maurizio Gasparri, "chi sbaglia deve pagare. Anche con il proprio lavoro per risarcire chi ha subito reati".

Stavolta neanche Antonio Di Pietro, non certo un campione di garantismo, è d’accordo con la boutade finiana: "È assurdo dire che il detenuto debba andare a lavorare per pagare il danno che ha compiuto alla società, quando neanche i giovani che non hanno commesso reato trovano lavoro", ha commentato il leader dell’Italia dei Valori. "Per fare lavorare un detenuto - conclude Di Pietro - in una azienda ci vogliono 10 poliziotti che lo controllano e allora quanto ci costa? Teniamo i piedi per terra perché la campagna elettorale è una buona cosa, ma le sparate grosse hanno le gambe corte".

E che si tratti di una boutade ne è convinto anche Franco Corleone. Il presidente di "Fuoriluogo" parla infatti di "trovata elettorale per solleticare la pancia della "gente". Corleone parla senza mezzi termini di imbarbarimento del dibattito e si chiede se Fini, quando pensa ai lavori forzati, pensi ai "colletti bianchi" o alle migliaia di poveracci che popolano le patrie galere. "Il lavoro in carcere è una cosa seria - continua Corleone - è uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale. Ma deve essere un lavoro retribuito così come è previsto dall’ordinamento".

Stesse valutazioni, grosso modo, arrivano da Patrizio Gonnella di Antigone: "È un ritorno all’800 - dice a Liberazione - un ritorno alla pena corporale. Forse, se uno leggesse un po’ di letteratura e manualistica, capirebbe che si parla di un modello superato dalla storia. A questo punto - conclude - spero che tra i due schieramenti politici non inizi una rincorsa a chi la spara più grossa".

Anche l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria, il secondo per numero di iscritti, si dice "sbalordito" dalla proposta di Fini. Partendo dal sindacato, e che in questo senso il lavoro potrebbe anche essere un utile strumento, nella proposta di Fini "sembra che manchino proprio quelle finalità cui deve tendere la pena, e ci sbalordisce il modo con cui sono ventilate certe logiche di riscatto che soverchiano i principi democratici, e di considerazione dell’uomo, su cui si basa la Costituzione italiana".

A far inorridire gli agenti di polizia penitenziaria, spiega il segretario dell’Osapp Beneduci, è "il messaggio di chi considera il delinquente ancora come scarto della società, costretto a lavorare "tanti giorni e tante ore quanti ne servono a pagare il debito con lo Stato"". Ma al di là della proposta, il sindacato non ci sta a sentire Fini parlare di "rispetto delle forze dell’ordine", perché "neppure la destra, per l’affanno delle uscite elettorali sorprendenti, è in grado, oggi, di porsi su posizioni nuove e coraggiose".

Poi l’affondo: se proprio, conclude Beneduci, la destra "vuole avere il rispetto dei 42.000 agenti del corpo che l’Osapp rappresenta, inizi il presidente Fini ad interrogarsi sugli effetti che hanno causato i provvedimenti che portano anche il suo nome, e forse - conclude - solo in quel caso, potremo indirizzare il dibattito sulle gravi questioni che tormentano il nostro sistema". Infine Francesco Caruso che parla di "proposta arcaica e per nulla originale, in quanto contemplata nell’art. 276 del regolamento penitenziario entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1891". "Poi fortunatamente il mondo è andato avanti - spiega - è stata promulgata nel novembre del 1950 la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che all’art. 4 sancisce appunto che nessun detenuto può essere costretto a compiere un lavoro obbligatorio".

Giustizia: Caruso; proposta Fini su lavoro forzato è del 1891

 

Apcom, 4 marzo 2008

 

"La proposta di Fini di obbligare al lavoro i detenuti come forma di risarcimento sociale è una proposta arcaica e per nulla originale, in quanto contemplata nell’art. 276 del regolamento penitenziario entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1891". Lo sottolinea in una nota il deputato no-global del Prc Francesco Caruso.

"Poi fortunatamente - prosegue Caruso - il mondo è andato avanti, è stata promulgata nel novembre del 1950 la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che all’art.4 sancisce appunto che "nessun detenuto può essere costretto a compiere un lavoro obbligatorio", ma Fini forse non se ne è accorto che la democrazia e i principi democratici in Europa si sono radicati e sviluppati in questi ultimi 117 anni, per lui l’obiettivo è tornare al 1891". "Speriamo solo - conclude la nota - che Veltroni non lo insegua anche in questo delirio securitario ottocentesco".

Giustizia: Moroni (Fi); la proposta di Fini? se ne può discutere

 

Apcom, 4 marzo 2008

 

"Io sono una iper-garantista, ma non bisogna confondere il garantismo con il buonismo o il perdonismo a qualunque costo". Così l’azzurra Chiara Moroni, commenta la proposta di Gianfranco Fini di punire i delinquenti facendoli lavorare. "Il garantismo - aggiunge - significa che devono essere date tutte le garanzie dopo di che esiste la questione la certezza della pena". "Visto che non mi pare che Fini abbia proposto i lavori forzati - aggiunge - mi sembra che, visto anche il sovraffollamento delle carceri, ipotizzare che i criminali scontino la pena facendo dei lavori socialmente utili mi sembra una proposta della quale discutere. Mi sembra che vada anche nel senso della giustizia non punitiva ma rieducativa. Il lavoro socialmente utile è più rieducativo del carcere".

Giustizia: l'Italia è il Paese dove non si va mai in carcere?

di Stefano Zurlo

 

Il Giornale, 4 marzo 2007

 

Solo 67 criminali su 100mila adulti sono in prigione: è il numero più basso in Europa. Il 78,8% dei reati rimane senza un colpevole.

Un cittadino sprovveduto, dopo aver letto i dati in arrivo da Londra, scambierebbe l’Italia per un paese quasi senza criminalità. Anzi, il paese virtuoso per eccellenza. Possibile? Non abbiamo la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta? E un numero senza fine di rapine, furti, scippi? Però dopo aver studiato le tabelle dell’International Centre for Prison Studies del King’s College, sappiamo che l’Italia è lo stato con meno carcerati in rapporto alla popolazione.

In testa alla lista, lontanissimi, gli Usa con 2.300.00 detenuti, in pratica un abitante su 100, 750 ogni centomila adulti secondo le valutazioni degli esperti della capitale britannica. A scendere l’Inghilterra (più il Galles) con 80.229 detenuti, ovvero 148 ogni 100mila adulti; poi la Spagna che ne ha 66.129, dunque 147 su 100mila; più in basso la Germania che si ferma a 76.629 detenuti, 93 per 100mila adulti e la Francia che è a quota 52.009, equivalenti a 85 su 100mila abitanti.

L’Italia? Non c’è paragone con nessuno: siamo il paese degli angeli, anche se nessuno se n’è accorto, con 39.348 carcerati. O meglio, solo la Danimarca, nel suo piccolo fa come noi con 67 detenuti ogni 100mila adulti. Digeriti i numeri resta la sostanza: il quadro, lo capirebbe pure un bambino, stride. C’è un senso di insicurezza percepito ovunque, da Milano a Palermo, e con cadenza quotidiana i giornali lanciano l’allarme. Abbiamo regioni intere infestate dalla grande criminalità, abbiamo semisconosciuti e poco invidiabili record. Uno per tutti, le rapine in banca: nel 2005 sono state 2.735 contro le 728 della Germania e le 122 del Regno Unito. In pratica, il 48,11 per cento degli assalti agli istituti di credito in Europa si verifica in Italia. Eppure la nostra popolazione carceraria è bassissima.

Certo, i dati raccolti dagli specialisti del King’s College vanno interpretati e risentono dell’effetto indulto: dopo aver raggiunto quota 60.710 detenuti, nell’estate 2006 le nostre prigioni si sono svuotate o quasi e l’esercito dei detenuti è precipitato sotto le 40mila unità. Ora la risalita è ripresa e siamo intorno a quota 50mila. Presto, con un incremento di mille unità al mese, si tornerà alla barriera dei 60mila, ma anche con numeri del genere siamo sotto la media Ue. Spagna e Inghilterra sono lontanissime per non parlare degli Usa che hanno cifre per noi spaventose.

E allora conviene fare un passo indietro e allineare tre dati: in un anno vengono commessi in Italia circa 2,8 milioni di delitti. Un insieme sterminato di furti, rapine, omicidi e quant’altro. Attenzione: il 30,6 per cento delle vittime non denuncia neanche l’episodio che gli è capitato. Infine, il 78,8 per cento dei reati resta impunito. Ecco il dato che riassume il disastro italiano e spiega, forse, la scarsa frequentazione delle carceri. Tre reati su quattro, anzi di più, non trovano un colpevole. Che però c’è e va tranquillamente in giro.

Dunque, il numero così esiguo dei nostri detenuti è il segnale del fallimento del nostro sistema, non di un’inesistente declino della criminalità. In Italia l’azione penale è obbligatoria, ma in pratica diventa una lotteria: un certo reato viene perseguito, un altro no, moltissime volte - pensiamo ai furti in casa - le indagini sono nominali o poco più; come se non bastasse i processi, e pure le indagini, durano un’eternità, i tribunali sono ingolfati da milioni di procedimenti, spesso la sabbia nella clessidra della giustizia finisce e quel procedimento viene dichiarato prescritto.

Insomma, vista dal punto di vista dei delinquenti la macchina giudiziaria è una pacchia. Siamo in affanno, siamo in ritardo, non garantiamo la sicurezza invocata dai cittadini, in compenso - altro dato preoccupante - l’Italia ha 1,39 giudici ogni diecimila abitanti contro gli 0,91 della media Ue. Come mai? Cosa non va? Eppure, con 50-60mila detenuti le nostre strutture carcerarie vanno al collasso. Non ce la fanno e l’indulto, sia pure controvoglia, appare l’unica soluzione: più delinquenti in giro, meno in carcere.

Giustizia: lettera Sindacato Autonomo Infermieri Penitenziari

 

Lettera alla Redazione, 4 marzo 2008

 

Alla cortese attenzione dell’On. Leda Colombini

Presidente del Forum per il Diritto alla Salute del Detenuto

 

Pensavo che ci sarebbe stato il tempo, dopo gli interventi della Ministro e dell’assessore, e visto anche l’orario, per avviare un giro di dichiarazioni degli intervenuti al convegno di Firenze (29.02.08) nel quale poter fare presente alla platea, in modo più tecnico rispetto all’intervento politico del nostro segretario, il punto di vista del nostro sindacato per dare un contributo alla stesura dei decreti attuativi.

Avrei voluto contestare le affermazioni di chi ha parlato di carenze di farmaci negli Istituti, informandolo che da quando è in vigore la 230/99, per avere un farmaco basta riempire una ricetta e mandarlo a prendere nella più vicina farmacia garantendo a tutti qualsiasi farmaco in fascia A alla pari di ogni cittadino, e se fosse vero quanto affermato, significa che non si è lavorato come si sarebbe dovuto.

Avrei voluto far presente al vice capo del Dap che, come più volte affermato, abbiamo sempre apprezzato il loro buon senso nell’emanazione di alcune disposizioni, ma poi sistematicamente abbiamo dovuto criticare l’assoluta loro mancanza di controllo nell’applicazione delle circolari, ultima per esempio, c’è mai stata applicazione reale della circolare sui nuovi giunti? Nel mio Istituto no!, e ha mai fatto qualcosa il Dap per valorizzare e tutelare il proprio personale sanitario? A nostro parere no!, tanto che da diverso tempo sosteniamo la completa inutilità degli uffici sanitari nel Dap.

Avrei voluto dire alla Ministro che la nostra adesione al progetto della 230/99 c’è stato nella convinzione che se invece di essere infermieri del Servizio Sanitario Penitenziario fossimo stati infermieri del Servizio Sanitario Nazionale impegnati nell’assistenza ai detenuti, in assenza dell’ottusità del Ministero della Giustizia, avremmo potuto esplicare al meglio le nostre funzioni che ci inquadrano quali "professionisti della salute" favoriti anche dal fatto che siamo inseriti in un settore come quello carcerario uniformemente giudicato come foriero di malattia e dove quindi maggiormente c’è richiesta della piena applicazione del concetto di Salute che non vuol dire solo guarigione da una malattia ma anche il far sì che un individuo non ammali; mentre nel leggere le linee guida del nuovo progetto assistenziale elaborato non solo dal Ministero della Giustizia il cui pensiero nei confronti degli infermieri è da tempo ben noto, ma anche da quel Ministero della Salute nel quale confidavamo per una valorizzazione della nostra professione, ci accorgiamo invece che per i nuovi giunti "è necessaria una valutazione medica e psicologica" a sancire quindi che della salute del detenuto c’è l’assoluto menefreghismo in quanto è sufficiente salvaguardarsi degli aspetti medico legali e non assistenziali.

Avrei voluto far presente ad altre OO.SS. ed Associazioni mediche, che se nel corso degli anni passati non avessero agito solo a salvaguardia del loro orticello ma ci avessero seguiti ed assistiti sulla scelta di salvaguardia della professionalità e normalizzazione dei rapporti di lavoro di tutti mettendo però al centro delle nostre rivendicazioni l’assistenza ai detenuti, probabilmente chi sarà chiamato ad applicare la legge, si sarebbe trovato ad agire su una strada già segnata e tutte le figure professionali, oggi impiegate, avrebbero già un futuro delineato senza correre i rischi che oggi ognuno di noi sarà chiamato a correre.

Ma soprattutto avrei potuto chiedere a tutti i presenti, da professionisti che lavorano tutti i giorni a stretto contatto con i detenuti, che è ora di farla finita con affermazioni tipo "finalmente anche i detenuti avranno una sanità alla pari degli altri cittadini" perché così non potrà mai essere: se noi, liberi, abbiamo un forte mal di denti e non vogliamo o non possiamo aspettare i tempi del servizio sanitario, abbiamo la possibilità, pagando, di entrare nel primo studio medico aperto ed ottenere ciò che vogliamo o se ci viene richiesto di prender un medicinale in fascia C, entriamo in farmacia e l’acquistiamo, mentre la persona detenuta tale privilegio non l’avrà mai in quanto, anche pagando, prima di ottenere tutti i permessi occorrenti, sia nel primo che nel secondo caso dovrà attendere almeno una settimana con tutti gli effetti negativi del caso, e tali differenziazioni, che, unitamente ai continui rinvii di visite od esami esterni determinati dall’indisponibilità dei Nuclei Piantonamento e Traduzione, a nostro avviso sono quelle che più determinano le lamentele nei confronti della sanità penitenziaria, c’erano ieri e ci saranno domani.

Ed infine avrei voluto ricordare a tutti che è vero che la 230/99 è una ottima legge e che era inevitabile che prima o poi un paese civile l’avrebbe dovuta elaborare ed applicare, ma è altrettanto vero che anche la 180 a suo tempo era un’ottima legge ma che la sua attuazione senza una preventiva istituzione di nuovi ed efficienti organismi per affrontare il nuovo, ha provocato, e tutt’ora sta provocando morti e preoccupazione negli stessi utenti che proprio quella legge voleva proteggere.

 

Sandro Quaglia, SAI

Giustizia: nelle carceri scoppiano tutti… gli agenti e i detenuti

di Massimo Pandolfi

 

Il Resto del Carlino, 4 marzo 2008

 

Le carceri scoppiano, ve l’abbiamo raccontato nei giorni scorsi. Nelle celle dell’Emilia Romagna "abitano" 1.500 detenuti in più del consentito; come dire, l’effetto indulto è già svanito.

Scoppiano tutti: agenti di polizia penitenziaria e detenuti. "Guardie" e "ladri". Enrico era una "guardia", aveva 47 anni, e faceva l’ispettore penitenziario a Ferrara. Si è impiccato un mese fa, nella sua abitazione, solo-soletto, lontano centinaia e centinaia di chilometri dalla sua Campania. Non ce la faceva più. È solo l’ultimo della serie.

Negli ultimi 14 mesi ben cinque agenti di polizia penitenziaria (sui neanche duemila in servizio) non ce l’hanno fatta più nella nostra regione. Si sono ammazzati. E sarà anche una coincidenza (speriamo siano delle coincidenze), ma il numero fa comunque spavento. Come fa spavento sapere che settanta agenti, in Italia, si sono suicidati negli ultimi dieci anni. Gente che in media - numeri alla mano - salva dieci detenuti a settimana dal possibile suicidio e che poi finisce per entrare prepotentemente nelle categorie a rischio morte: per sfinimento, forse. L’Emilia-Romagna vanta anche questo record: oltre ad avere le carceri più affollate, ha anche il maggior numero di suicidi fra le guardie.

"E gliene fornisco anche un terzo di record - fa Giovanni Durante, commissario, segretario generale nazionale aggiunto del Sappe, sindacato di categoria - siamo la regione messa peggio di tutte le altre nel rapporto detenuti-agenti". A fronte di quasi 3.722 carcerati, le guardie effettivamente presenti sono 1.757 (l’organico previsto dal decreto ministeriale del 2001 parla di 2.401 agenti: siamo a - 644). Di nuove assunzioni non se ne parla. Gli ultimi abili e arruolati sono datati 2006, 450 in tutta Italia. Da noi dovevano essere 100, poi 87, alla fine sono arrivati in 54.

Scoppiano gli agenti di polizia penitenziaria. "A volte mi fanno pena e tenerezza - dice l’avvocato Desi Bruno, che è il garante dei detenuti ma visitando le carceri vede anche la situazione delle guardie - capita che debbano coprire due piani a testa. E mi creda, non è facile".

Gli stipendi, poi, sono quelli che sono: se non sei graduato parti da 1.100 euro al mese. Con tante ore di straordinario e 6-7 notti al mese, arrivi a sfiorare 1.500 euro. La maggior parte degli agenti sono del sud Italia. "Pochi di quelli che lavorano a Bologna (400) - spiega Durante - si sono portati dietro le famiglie. Costa troppo una casa".

Si arrangiano. Dormono in caserma, oppure prendono un monolocale. O ancora: in due o tre dividono un appartamentino. Come gli universitari. Ma i loro esami non li hanno in facoltà; gli esami li fanno tutti i giorni nell’inferno del carcere, magari faccia a faccia con un ergastolano che può anche non avere nulla da perdere.

Dovrebbero lavorare sei ore al giorno, molti finiscono per arrivare a otto perché se non si fanno tre turni quotidiani di otto ore, anziché sei, il cerchio non si chiude. "La situazione più difficile per gli agenti - sottolinea Durante - è sicuramente a Bologna, al carcere della Dozza. Per noi è complicatissimo tenere i contatti con i detenuti, quasi al 70% stranieri.

Non si scherza neppure a Parma, dove c’è il carcere con i detenuti più pericolosi. Ma la verità è che non si scherza da nessuna parte". E non è un caso se anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, ha lanciato un grido disperato al capo dello Stato. Ora che nella prossima agenda politica italiana non è previsto l’indulto, siamo davvero al collasso. Scoppiano tutti: le carceri, i "ladri", ma anche le "guardie". Gente che è lì solo per fare il proprio lavoro e guadagnarsi da vivere.

Giustizia: Gravina; per Pm "no alla scarcerazione del padre"

 

Corriere della Sera, 4 marzo 2008

 

A sorpresa la procura della Repubblica di Bari ha espresso parere negativo sulla scarcerazione di Filippo Pappalardi, il padre dei piccoli Francesco e Salvatore, i cui corpi sono stati ritrovati dopo 20 mesi in una cisterna a Gravina in Puglia. È quanto si apprende da fonti vicine all’ufficio della procura (ascolta l’audio dell’inviato Giusi Fasano), che ha depositato intorno alle 13.30 presso l’ufficio del gip, Giulia Romanazzi, il parere del pm, Antonino Lupo, e del procuratore capo Emilio Marzano.

"Omicidio" - Nel dare il proprio parere contrario alla scarcerazione, la procura ha ribadito la validità del proprio impianto accusatorio e l’accusa di duplice omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela e dai futili motivi. Secondo il ragionamento degli inquirenti, Pappalardi, tra le altre cose, non ha ancora chiarito cosa ha fatto nelle due ore di buco seguite alla scomparsa dei suoi figli e ha detto una serie di bugie.

A quanto trapelato, i magistrati inquirenti hanno ribadito nel lungo e motivato parere inoltrato al gip Giulia Romanazzi, che spetta ora a Pappalardi chiarire la propria posizione su quanto accadde la sera del 5 giugno 2006, quando l’uomo (alle 21.30) prelevò - come afferma il testimone - i figli da piazza delle Quattro Fontane. Sulle discordanze contestagli sui movimenti di quella sera - ragionano gli inquirenti - Filippo Pappalardi ha continuato a dire non ricordo, mentre ricorda benissimo particolari irrilevanti.

Il significato, poi, dei colloqui intercettati - secondo fonti della procura - non è stato neppure scalfito dal ritrovamento dei cadaveri dei due fratellini, sulla causa della morte dei quali si attende l’esito degli accertamenti medico-legali. La procura avrebbe inoltre deciso di chiedere al gip un incidente probatorio per raccogliere, nel contraddittorio delle parti e davanti ad un giudice, la testimonianza del supertestimone. Nel parere contrario alla scarcerazione di Filippo Pappalardi, la procura di Bari ha scritto che non si può escludere che Filippo Pappalardi abbia avuto un ruolo nella "precipitazione" dei fratellini nella cisterna.

Per questo motivo i magistrati inquirenti confermano l’accusa di omicidio volontario aggravato nei confronti dell’uomo. La polizia ha anche in corso indagini per accertare se Filippo Pappalardi conosceva l’interno della vecchia masseria disabitata, anche al fine di accertare se l’uomo fosse in grado di muoversi con disinvoltura nel vecchio caseggiato, che è da anni abbandonato, pur essendo protetto da un muro di recinzione.

"Macigno accusatorio" - Gli indizi finora raccolti a carico di Filippo Pappalardi costituiscono "un macigno accusatorio rispetto al quale il ritrovamento delle povere salme, invece di rappresentare la smentita dell’accusa, vale allo stato degli attuali accertamenti a confermarla, sullo sfondo di un "padre-padrone" che quella sera ha recuperato i figli disobbedienti ed è stato l’ultimo a vederli, fino al ritrovamento del 25 febbraio scorso". Lo scrive la procura motivando il parere contrario alla scarcerazione di Pappalardi.

Ora il Gip - Un provvedimento destinato a suscitare polemiche di carattere giuridico. In molti infatti si aspettavano in questi giorni un parere positivo della procura, man mano che si rafforzava l’ipotesi che i bambini non sono stati uccisi o spinti dal padre nel pozzo ma che vi sono caduti per errore. Invece è arrivato un no alla scarcerazione. Il parere del pm è in ogni caso non vincolante per il giudice per le indagini preliminari che dovrà decidere in autonomia. Il verdetto del gip è atteso entro sabato. Lo stesso giudice ha dichiarato: "La situazione è molto complessa, ma in questo momento non c’è fretta di decidere, bisogna fare le cose con calma, mi prenderò il tempo necessario per valutare bene le carte".

 

Intervista a Giuliano Pisapia

 

Se il parere dei Pm è davvero quello riportato dalla stampa non si può che rimanere allibiti in quanto si pone in aperto e totale contrasto con la legge e le regole base di uno Stato di diritto". Giuliano Pisapia, avvocato e presidente della commissione per il nuovo codice penale, non ha dubbi: "Non si può confondere, come fa il Pm, il proprio convincimento personale con la sussistenza di quegli elementi probatori tali da giustificare la carcerazione preventiva: Filippo Pappalardi va liberato".

Le motivazioni dei magistrati non sono sufficienti per tenerlo in carcere? "Il problema è che d si dimentica, nel parere, che per mettere una persona in carcere devono sussistere gravi indizi di colpevolezza, e vi devono essere esigenze processuali concrete ed effettive. Ma qui emerge esattamente l’opposto, nel senso che si fa riferimento a presunzioni, dubbi, sospetti, dimostrando di fatto che sono venuti meno i presupposti della misura cautelare".

L’ipotesi più probabile infatti sembra essere la caduta accidentale. "Pare proprio così. Ma è ben difficile in questa fase processuale, tanto meno se non si conoscono gli atti, sapere se Pappalardi sia colpevole o innocente, ma è certo che dopo le ultime scoperte, anche se all’epoca c’erano gravi indizi tali da giustificare una misura cautelare, ora questi indizi sono venuti meno. L’articolo 299 del codice di procedura penale è tassativo: ogni misura coercitiva deve essere immediatamente revocata quando, per nuovi fatti ne sono venuti meno i presupposti, come in questo caso".

Ma scarcerare significa ammettere che i bambini nel pozzo sono caduti da soli mentre giocavano? "fa questa situazione scarcerare non significa smettere di indagare, fa caso di nuovi indizi c’è sempre la possibilità di ottenere un’altra misura cautelare. Pappalardi resterebbe comunque indagato a piede libero e i pm possono benissimo proseguire gli accertamenti.

Il dato positivo del nostro ordinamento, quando si parla di libertà personale, è che a decidere è un giudice e non un pm". Cosa l’ha colpita di più in tutta questa "L’incapacità da parte di chi può incidere sulla libertà personale di ammettere eventuali errori, di fare autocritica, di fare un passo indietro. Riconoscere i propri errori è particolarmente apprezzabile, mentre perseverare nell’errore può provocare danni irreversibili"

Bologna: Provveditore; carceri piene? trasferiamo i detenuti

di Massimo Pandolfi

 

Il Resto del Carlino, 4 marzo 2008

 

Ci telefona, preoccupato: "Ehi, ma qui non state creando un po’ troppo allarmismo?". Nello Cesari, 62 anni, è abituato a navigare in un mare di problemi: da una vita lavora nel campo dell’amministrazione penitenziaria. Ha diretto i carceri più difficili, ha gestito emergenze nazionali, ha lavorato a fianco di ministri; in Emilia Romagna aprì il carcere della Dozza, ora fa il provveditore regionale. Un lavoraccio: lui ci mette la faccia, mentre a Roma... non ci mettono i soldi.

 

Caro Provveditore, come detenuti siamo già ai numeri del pre-indulto. L’Emilia Romagna è la regione più sovraffollata d’Italia.

"Mettiamoci in testa una cosa: presto l’Italia avrà 60mila detenuti, cioè 10mila più di ora, e l’Emilia Romagna oltre 4mila".

 

E nelle nostre carceri non ce ne stanno neanche tremila... Quindi?

"Serve creare nuovi posti".

 

Intanto a Ravenna i detenuti si sono ribellati perché non riuscivano neppure più a farsi la doccia...

"Provvederemo in fretta, nell’emer-genza stiamo trasferendo i carcerati in altri istituti, In Emilia Romagna siamo strapieni, ma in Sicilia, ad esempio, c’è posto".

 

Creare nuovi posti: ma come?

"A Parma, Modena e Castelfranco sono previsti degli ampliamenti delle strutture; speriamo che entro il 2010 sia tutto a posto. A Forlì presto sorgerà un carcere nuovo: conto sia pronto per il 2011. Con 800 posti complessivi in più respireremo".

 

Ma fino al 2010-2011?

"Dovremo arrangiarci. Sposteremo i detenuti al sud".

 

Chissà come saranno contenti....

"Alla Dozza il 70% è costituito da stranieri. Per molti di loro Bologna o Sicilia è la stessa cosa".

 

Lei ha citato il carcere della Dozza. Fra veleni, sovraffollamento e guai veri, la situazione è feribile.

"Non esiste un carcere senza problemi. Ma non le nascondo che secondo me a Bologna c’è il carcere più complesso d’Italia. E glielo dice uno che è stato a Milano, a Nuoro durante le rivolte terroristiche, all’Asinara".

 

Vede che i problemi ci sono, Provveditore?

"Faccio tutti i giorni il braccio di ferro con Roma, ma è dura, glielo assicuro. E a Bologna è durissima".

 

Ci faccia un esempio.

"A livello regionale ci mancano 650 agenti di Polizia Penitenziaria. Per averne uno in più è una lotta".

 

Un altro esempio...

"La nuova normativa prevede che ci siano i bagni con l’acqua calda dentro ogni cella. Stiamo ristrutturando le case circondariali. A Parma abbiamo già fatto la gara d’appalto, ma ho dovuto bloccare tutto: mancano i soldi".

 

Ma quanto costa il pianeta carcere in Emilia Romagna?

"120 milioni di euro: e pensi che nel mio ufficio non c’è neanche un ragioniere".

Agrigento: accusato di pedofilia, picchiato da compagno cella

 

La Sicilia, 4 marzo 2008

 

Vincenzo Iacono, il piazzaiolo di Agrigento accusato di avere abusato della nipote di appena 4 anni poco dopo essere stato scarcerato nell’ambito di un’altra indagine per pedofilia, è stato picchiato dal detenuto suo compagno di cella, all’interno del carcere di "Cavadonna" a Siracusa. Iacono era stato trasferito nel penitenziario siracusano da quello di Agrigento perché si temeva che nella casa circondariale di contrada Petrusa potesse incappare in ritorsioni da parte di altri detenuti.

Secondo quanto si è appreso, appena Iacono è stato assegnato alla cella non avrebbe avuto neanche il tempo di disfare la borsa che il compagno di reclusione lo ha aggredito a calci e pugni. Iacono è stato prima medicato in infermeria, poi trasferito in un’altra cella del penitenziario di Siracusa. L’avvocato del pizzaiolo, Raimondo Cipolla, si è detto pronto a presentare un esposto-denuncia per accertare i fatti.

Parma: esame in videoconferenza per uno studente detenuto

 

In Toscana, 4 marzo 2008

 

Esami in videoconferenza per uno studente del corso di laurea in sociologia della facoltà di scienze politiche "Cesare Alfieri" di Firenze, che è detenuto nella casa di reclusione di Parma. Sosterrà due esami con i docenti nel capoluogo toscano. Il collegamento video permetterà allo studente detenuto di sostenere gli esami di sociologia economica, con il professor Carlo Trigilia e di sistemi sociali comparati", con il prof. Gianfranco Bettin.

In occasione della prova d’esame un’aula del Polo delle Scienze sociali di Novoli sarà collegata in videoconferenza con una saletta dell’istituto penitenziario, dove un ufficiale del corpo di polizia penitenziaria assisterà alla prova e attesterà che si svolga senza impedimenti di alcun genere e nella massima regolarità.

Bologna: seminari su tema riforma del processo e della pena

 

Comunicato stampa, 4 marzo 2008

 

L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale, che ha tra i compiti istituzionali quello di svolgere una attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, propone una serie di incontri sulle riforme legislative, già avviate o auspicabili, capaci di incidere sul processo e sulla pena attraverso modifiche improntate al recupero dei valori costituzionali e al rispetto della persona nonché sulla prevista introduzione di una figura nazionale di garanzia per le persone a qualunque titolo ristrette .

Ciò è tanto più necessario a fronte del fallimento del sistema della giustizia penale, bisognoso di processi giusti e celeri, di una ridefinizione delle fattispecie penali e di una gamma di sanzioni alternative al carcere, riservando la privazione della libertà personale ai fatti di maggior disvalore, valorizzando le possibilità di reinserimento sociale ed assicurando una effettiva tutela delle vittime.

Il carcere degli adulti e dei minori è per lo più abitato da persone disagiate, da tossicodipendenti, il cui numero non accenna a diminuire, da cittadini stranieri, la cui condizione di irregolarità spesso concorre a facilitare comportamenti devianti.

Le riforme possibili potrebbero incidere anche in positivo su quel sentimento di insicurezza collettivo, che ha ragioni oggettive, ma a cui si devono dare risposte anche altre rispetto allo strumento penale. Gli incontri vogliono essere un contributo significativo, per l’autorevolezza dei partecipanti, affinché un programma di riforme possa giungere a positiva conclusione. I seminari saranno introdotti da una breve relazione della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno e, proseguiranno con gli interventi dei relatori designati. Al termine gli intervenuti potranno interloquire con i relatori.

 

Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio - Piazza Maggiore 6. Giovedì 6 marzo 2008, dalle ore 15.00 alle ore 18.30, si terrà il primo incontro, tema: "la riforma del Codice Penale" relatori: Avv. Giuliano Pisapia, Presidente della Commissione di Riforma del Codice Penale del Ministero di Giustizia; Prof. Stefano Canestrari, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna.

Agli Avvocati partecipanti, l’Ordine degli Avvocati di Bologna, riconoscerà 3 crediti formativi per ogni seminario, secondo la normativa sulla formazione continua approvata dal C.N.F.. L’attestazione di partecipazione verrà rilasciata al termine di ogni seminario. La partecipazione dei seminari è gratuita. Per l’iscrizione inviare e-mail: garantedirittilibertapersonale@comune.bologna.it, oppure fax al n. 051.2194366. Le iscrizioni si accettano sino a due giorni prima del seminario.

Venezia: iniziativa alla Giudecca per la Giornata della Donna

 

Comunicato stampa, 4 marzo 2008

 

Si terrà venerdì 7 marzo, in occasione della Giornata della Donna, l’iniziativa, giunta ormai all’ottava edizione, organizzata dall’Associazione "Il Granello di Senape" e rivolta alle detenute della Casa di Reclusione Femminile della Giudecca.

L’appuntamento, non aperto al pubblico, è stato pensato in collaborazione con la Direzione degli Istituti Penitenziari, le cooperative sociali "Il Cerchio" e "Rio Terà dei Pensieri" e promosso con il sostegno del servizio Cittadinanza delle Donne e Cultura delle Differenze del Comune di Venezia ed il contributo dell’Auser Mestre.

L’iniziativa ha l’obiettivo di far incontrare donne libere e donne a cui momentaneamente la libertà è stata negata e portare all’interno del carcere la rappresentanza di quella rete di persone e soggetti istituzionali che hanno scelto di sostenere e supportare il reinserimento di coloro che hanno concluso il percorso di detenzione.

Il programma prevede la condivisione del pranzo offerto alle detenute, uno spettacolo di musiche etniche del gruppo "Klezrum", la piantumazione di un albero di mimosa negli orti e la consegna di un omaggio ad ogni detenuta. All’incontro saranno presenti, tra le altre, anche le Assessore del Comune di Venezia.

 

Associazione "Il Granello di Senape"

Roma: intervista allo scrittore e insegnante Edoardo Albinati

di David Frati

 

www.mangialibri.com, 4 marzo 2008

 

Che importanza ha nelle cose che scrivi Roma? Sembra che sia uno dei tuoi personaggi preferiti, se non il più ricorrente...

È vero, Roma più che un ambiente è un personaggio con una sua fisionomia molto ambigua e controversa, scompare e riappare come Vautrin nei romanzi di Balzac, sotto vesti diverse, ora è grassa e unta come nel Polacco lavatore di vetri, ora è lo schermo magico del viaggio di un bambino sulla linea del tram del mio racconto 19 . Negli Orti di guerra è soprattutto un luogo mistico e sapienziale, dove vengono emessi oracoli stranamente scettici, come se ci fosse una Bocca della Verità che si diverte a ingannare gli ingenui visitatori e invece di mordergli la mano, li spaventa e li prende in giro.

 

Da cosa nasce la scelta di riproporre Orti di guerra a distanza di dieci anni?

Bisogno di soldi. E un editore come Fandango disponibile e inventivo. E poi ancora il fatto che il libro è stato letto e amato in modo viscerale… ma da pochissime persone, veramente quattro gatti, quando è apparso la prima volta. Dunque uno dopo dieci anni ci riprova: forse i tempi ora sono diversi, le mie azioni sul stock market letterario si sono un po’ risollevate, e soprattutto il tema ispiratore delle guerra, a cui negli anni ‘90 non pensava nessuno, è diventato nuovamente di attualità. Purtroppo, aggiungo.

 

La musica di Fabrizio de Rossi Re e le parole di Edoardo Albinati: che matrimonio è?

Più che un matrimonio è un lungo flirt, molto sexy, un’attrazione fisica. Con de Rossi Re abbiamo suonato varie volte gli Orti in pubblico con un affiatamento che ci ha fatto capire come l’unione tra parole e suoni non fosse pretestuosa o casuale. Mi piace l’eclettismo e la melodicità spiccata di Fabrizio, i suoi stacchi jazz, le sue impennate ironiche e sentimentali che somigliano a quelle della mia scrittura. Il Cd accluso al libro è una specie di bonus, di regalo senza secondi fini, e andrebbe, più che ascoltato, fischiettato, così, sovrappensiero.

 

Nei tuoi libri c’è spesso anche molto di te, della tua vita. Vedremo mai un romanzo del tutto slegato dalla realtà, dalla quotidianità - che so, un thriller firmato Albinati? E se no, perché?

Ma io sto appunto adesso scrivendo un thriller! Solo che è fatto di cose in parte realmente accadute, e tutti sapranno prima di cominciare a leggerlo come va a finire… cioè, chi è l’assassino. Quindi non lavoro sul chi, ma sui perché e soprattutto sui come. E li mescolo a dei segreti che solo io posso sapere, o meglio, che saprò davvero quando avrò finiti di scriverli, sempre che riesca a farlo come si deve. È una questione di tonalità della scrittura, difficile da trovare perché al tempo stesso impersonale e molto intima. Mi piace lavorare su storie autobiografiche ma non devono per forza essere le mie, com’è successo con Tutto al più muoio. Lì il protagonista era Filo, cioè Filippo Timi, l’altro autore del romanzo: le sue avventure avevano la vitalità anche oscena dell’esperienza vissuta però lo abbiamo trattato come fosse un personaggio di pura finzione, una specie di Pinocchio. Comunque ho in mente una storia finale, un epilogo, in cui il personaggio Edoardo Albinati apparirà per l’ultima volta. Dopodiché temo mi toccherà solo inventare, inventare…

 

Quanto ha contato nel tuo percorso di uomo e di scrittore il tuo lavoro a Rebibbia?

Lavorare in galera per quattordici anni mi ha levigato, stondato, allisciato - come una pietra pomice che a forza di sfregare si è però anche rimpicciolita… ancora qualche anno e resterà di me ben poco, quasi niente… il che non è affatto un male. Sulla scrittura in senso stretto, il fatto di insegnare a dei detenuti ha influenza pari a zero. L’importante però è che una volta finito il lavoro in galera mi restano forze e tempo solo per scrivere, e questo è un bel cordone sanitario.

 

Che lettore è Edoardo Albinati? Quali sono gli scrittori e i libri che preferisci leggere e come ti ci approcci?

Ho letto moltissimo da bambino e da ragazzino. Anzi per me la lettura è la chiave che gira nel buco dell’infanzia. Ora leggo perlopiù libri di documentazione o relativi al tema intorno a cui sto scrivendo, per cui ritorno molte volte sulle stesse pagine, cerco di strizzarne il succo, di farlo colare in una forma nuova, in un discorso mio… in questi giorni sono immerso nella palude infocata della Volontà di potenza di Nietzsche, sarà la terza o quarta volta che lo attraverso. Poi leggo i libri che mi arrivano per posta, tra gli ultimi mi sono piaciuti il romanzo di Elisabetta Rasy L’estranea, e un esordio divertente, Via Ripetta 218 di Sivia Pingitore. In verità mi piacerebbe come una volta sfogliare fumetti, ero molto appassionato. Ritrovo qualcosa di originale nelle illustrazioni di Luca Buoncristiano per il libro Mary e Joe uscito da poco da Fazi. Sono un lettore impaziente e cattivo, se un libro è scritto male lo tiro contro il muro.

Orvieto: Fabrizio Corona arrestato per spendita di soldi falsi

 

Ansa, 4 marzo 2008

 

Un altro passo falso. La vita spericolata di Fabrizio Corona non conosce limiti. Dopo i guai giudiziari di Vallettopoli, quei foto-ricatti per cui sarà processato a maggio, la guida senza patente (ritirata) della sua lussuosissima Bentley (è a quota 4 denunce), per il "re dei paparazzi" si riaprono le porte del carcere.

Ieri mattina, alle 5.30 in punto, è stato pizzicato a Orvieto mentre cercava di fare benzina con una banconota da 100 euro, falsa. Il benzinaio, infatti, si è subito accorto che quei soldi erano contraffatti ma non ha fatto in tempo a bloccare il fotografo e gli altri due ragazzi che viaggiavano con lui, perché l’allegra compagnia ha pensato bene di premere l’acceleratore e scappare ad alta velocità. Quindi l’uomo ha allertato la polizia stradale: una pattuglia è arrivata nell’area di servizio, un’altra ha invertito la marcia e si è messa all’inseguimento della Bentley con a bordo Corona e i suoi amici. Fino a raggiungerla, bloccando l’auto poco prima del casello della città umbra. Ormai senza scampo, i tre hanno lanciato dall’auto un sacchetto di plastica con altri soldi, sempre falsi, da 100 euro. In tutto sono state rinvenute 16 banconote contraffatte, più un’altra spesa dal benzinaio di Badia al Pino, nel tratto aretino dell’A1. Corona e i due compari, il fiorentino 23enne F.F. e il 25enne di Udine B.T., sono quindi finiti in carcere per detenzione e spendita di denaro falso.

Subito sono scattate le perquisizioni anche nell’abitazione milanese del paparazzo, in via De Cristoforis, a due passi da corso Como, dove sono state trovate altre banconote false, per circa duemila euro. Non solo. La polizia ha sequestrato anche una pistola, "di piccolo calibro". La confisca dell’arma (comunicato al pm di turno Laura Pirotta) è stata effettuata per accertare che sia regolarmente detenuta. Fabrizio Corona, dicono gli inquirenti, è apparso "tranquillo". Ha mantenuto un atteggiamento sereno e piuttosto disteso durante le fasi del controllo. E si è soprattutto difeso: "Sono stato truffato, quei soldi sono stati il compenso per una serata, non ne so niente".

Versione interamente confermata dal suo legale, Giuseppe Strano Tagliareni: "È tutto spiegabile, si tratta di banconote provenienti da pagamenti di altre persone che riteniamo di aver già individuato. In ogni caso si tratta di inezie, piccole cose che non creano nessun allarme per la posizione di Fabrizio Corona". Intanto le indagini si estendono anche ad altre città. Si cerca infatti di capire da dove fosse partita l’auto con a bordo i tre, proveniente comunque dal Nord Italia. E, soprattutto, se Corona e amici abbiano fatto shopping - sempre con soldi falsi - senza essere scoperti. Con i suoi giovani compagni di furbate, Corona rischia dai 3 ai 12 anni di carcere. L’ultima bravata del paparazzo per eccellenza finisce così in uno squallido autogrill.

Francia: Sarkozy nella bufera per la "linea dura" anti-crimine

 

Agi, 4 marzo 2008

 

Nuova bufera su Nicolas Sarkozy. Giovedì scorso la Corte costituzionale francese si è pronunciata contro la legge anti-crimine approvata dal Parlamento francese, giudicata incostituzionale in alcune sue parti. Nel mirino dell’Alta corte è finita in particolare la proposta di creare centri di detenzione per i criminali "pericolosi" recidivi che si dimostrino inadatti al reinserimento nella società dopo aver scontato la pena. Il tribunale ha criticato l’effetto retroattivo che la nuova legge dovrebbe avere nelle intenzioni del governo. Il capo dell’Eliseo ha risposto alle critiche, a cui si sono uniti magistrati e opposizione, e ha difeso la proposta di legge, perché, a suo giudizio, "non si può lasciare dei mostri in libertà dopo che hanno scontato la loro pena".

In base al testo approvato dal Parlamento, la misura dovrebbe applicarsi a tutti i condannati ad almeno 15 anni di detenzione per crimini gravi contro minori e adulti (omicidio, violenza sessuale e tortura). Dopo aver scontato la pena, questi ultimi dovrebbero essere internati in centri di sicurezza per almeno un anno, con possibilità di rinnovo senza limiti, se giudicati recidivi dagli esami medici specifici.

Gibuti: sacerdote accusato di pedofilia rilasciato dopo 4 mesi

 

Apcom, 4 marzo 2008

 

Don Sandro De Pretis, sacerdote trentino a Gibuti, accusato di pedofilia, è stato rilasciato. Ha trascorso 118 giorni nel carcere di Gabode. A dare la notizia è lui stesso in una lettera diffusa dal Sir, l’agenzia della Cei. "Se ho fatto bene i calcoli - scrive nella missiva - ho passato 118 giorni in prigione. È solo una cifra, cui bisognerebbe anche aggiungere i 20 giorni di libertà provvisoria all’inizio, con tutte le tensioni del non sapere cosa sarebbe successo, i contatti con l’avvocato, e chi cercava di approfittarne. E prima ancora, il sapere che da anni c’era chi diffondeva le voci contro di me. Una diffamazione in effetti decennale".

Al religioso sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. In una lettera inviata a don Ivan Maffeis, direttore del settimanale della diocesi di Trento (Vita Trentina), e pubblicata sull’ultimo numero del giornale, De Pretis riflette sull’esperienza vissuta. "In una società occupata a raccontarsi notizie vere o false che siano per gran parte della giornata - scrive il sacerdote - immagino che ora moltissimi gibutini sappiano tutto di me, e che importa se è tutto falso! Probabilmente, almeno in senso negativo, la caratteristica del mio apostolato a Gibuti sarà riassunta da queste voci nascoste, dagli insulti che di tanto in tanto affiorano, e alla fine da questo essere un capro espiatorio in un affare di Stato".

"Grazie a Dio - prosegue De Pretis - la mia vita negli ultimi 15 anni non finisce qui; ci sono talmente tanti aspetti positivi. Prima di tutto la gente, pur se dura nella scorza, ma buona quando la si conosce; il mare e il deserto; l’amicizia col mio vescovo; tanti che hanno confermato nella prova il loro affetto per me. Vorrei tanto - aggiunge il religioso - poter considerare col cuore la prigionia come una gioia, basata invece com’è sulla menzogna: è quello che dicono Pietro e Paolo nelle loro lettere... Non ne sono capace, e me ne trattiene il sentimento che forse è indipendente dal mio essere cristiano". Intanto, aggiunge il missionario, "prego che finalmente io ne esca, che chi è all’origine di questa vicenda si penta del giocare così con la vita e la reputazione degli altri...". De Pretis rivolge quindi un "grazie" a "tutta la Chiesa di Trento" e a "tutti coloro che mi hanno accompagnato finora con la preghiera".

Il sacerdote trentino era in carcere dallo scorso 28 ottobre per "detenzione preventiva", con accuse che variavano dalla pedofilia alla corruzione di minori. L’arcivescovo di Trento Luigi Bressan, nel ringraziare la comunità trentina della vicinanza espressa in questi mesi, ha auspicato che il processo - previsto per il prossimo mese - "possa riconoscere la piena innocenza di don Sandro".

 

 

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