Rassegna stampa 30 maggio

 

Giustizia: più polizia, più carceri, più Cpt… ecco la "ricetta"!

di Enzo Mangini

 

Carta, 30 maggio 2008

 

Il capo della polizia Antonio Manganelli e il direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in audizione alla Commissione Riunita Affari Costituzionali e Giustizia del Senato presentano i loro dati, concentrati sul ruolo della "criminalità straniera".

È stata una mattinata intensa alla Commissione Riunita Affari Costituzionali e Giustizia del Senato. La prima da quando si è insediato il nuovo parlamento. I senatori hanno ascoltato le audizioni di Antonio Manganelli, da quasi un anno successore di Gianni De Gennaro al vertice della polizia, e di Ettore Ferrara, direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che gestisce tutte le prigioni italiane. L’analisi della situazione dei due alti funzionari pubblici è quasi la stessa e si concentra soprattutto sul ruolo dei migranti.

Manganelli ha detto che "è opportuno aumentare il numero dei Centri di Permanenza Temporanea [Cpt]", perché, secondo il capo della polizia, il numero di espulsioni effettivamente eseguite nel 2007 [circa 2.400] è dovuto al fatto che i posti nei Cpt sono pochi. Il capo della polizia ha detto che lo scorso anno sono stati notificati 10.500 provvedimenti di espulsione, ma nella stragrande maggioranza dei casi non hanno seguito, perché senza i Cpt i provvedimenti vengono semplicemente ignorati.

Un’analisi che farà molto contento il ministro dell’interno Roberto Maroni che qualche giorno fa ha proposto una sorta di "federalismo" della sicurezza, con la costruzione di un Cpt in ogni regione. I Cpt in funzione oggi sono dieci, e quindi Maroni prevede di raddoppiarli, anche usando caserme dismesse.

Di questo starebbe già parlando con il ministro della difesa Ignazio La Russa. Manganelli ha anche criticato l’applicazione delle norme sulle richieste di asilo politico. Non perché, come ha segnalato più volte l’Ue e come ha ricordato nel nuovo rapporto Amnesty International, l’Italia manchi di una legge ad hoc sui rifugiati, ma perché, secondo il capo della polizia "bisogna scongiurare un uso strumentale di queste richieste".

Il fatto è, ha spiegato Manganelli, che nei centri per i richiedenti asilo, i Cara, "si può uscire di giorno per rientrare di sera, e quindi qualcuno non rientra affatto". Non una parola, stando ai resoconti delle agenzie di stampa, sul fatto che le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato politico arrivano a durare anche più di un anno, durante il quale le persone vivono in un limbo giuridico, esposte allo sfruttamento e senza la possibilità di cercarsi un lavoro.

Manganelli ha proseguito la sua audizione alla commissione affari costituzionali attaccando "l’indulto quotidiano" che avverrebbe in Italia a causa della "mancanza vergognosa di certezza della pena". Colpa, secondo il capo della polizia, delle leggi che rendono molto difficile perseguire i reati, che al 30 per cento sono commessi da stranieri. La risposta, quindi, sono più Cpt e procedure più certe e più snelle per le espulsioni.

Dopo Manganelli è toccato a Ettore Ferrara, direttore del Dap. Anche il suo intervento si è concentrato sull’ "allarmante" ritmo di crescita della popolazione carceraria e in particolare dei detenuti stranieri, che oggi sono 20.123 su un totale di 53.700 reclusi. I dati forniti da Ferrara indicano che il 70 per cento dei detenuti stranieri proviene da otto paesi: Romania, Albania, Marocco, Algeria, Nigeria ed ex Jugoslavia. Secondo Ferrara, l’effetto dell’indulto si già esaurito da tempo e ci si sta rapidamente avvicinando alla soglia dei 62 mila detenuti [a fronte di una capienza teorica di 43 mila] che nel luglio del 2006 convinse il parlamento ad approvare l’indulto.

Ferrara, al contrario, chiede che siano costruite nuove carceri, anche perché di quelle esistenti solo il 20 per cento è stato costruito negli ultimi cento anni e un 20 per cento addirittura prima del 1600. Il 50 per cento dei 94 mila nuovi entrati nel 2007 è rimasto in cella meno di un mese. Il che rimanda alla questione principale: la metà dei detenuti italiani non è condannata in via definitiva ma in attesa giudizio, percentuale che sale fino a due terzi nel caso di detenuti stranieri. Ma questo nessuno dei senatori della Commissione lo ha chiesto.

Giustizia: 196mila arresti nel 2007, ma solo 1 su 3 in carcere

 

N.d.R. - All’articolo di Marco Ludovico ci sembra doveroso premettere una piccola nota, concedendo all’autore e al Sole 24 Ore il "beneficio del dubbio" di aver elaborato un ragionamento senza conoscere a fondo i meccanismi della Giustizia.

Nel 2007 le forze dell’ordine hanno arrestato oltre 196.000 persone, ma quelle che effettivamente sono state immatricolate in un Istituto di pena sono state 90.441… questo perché, evidentemente, per le restanti 106.000 circa non c’erano nemmeno gli estremi per richiedere la convalida dell’arresto al Gip! Tra le 90.441 persone entrate in un carcere 22.423 sono uscite entro 48 ore e tutti coloro che conoscono bene la giustizia e il carcere sanno che questo è potuto succedere solo perché il GIP (Giudice delle Indagini Preliminari) non ha convalidato l’arresto, ritenendo insussistenti o insufficienti le motivazioni per disporre la custodia cautelare in carcere. Concludendo, dei 196.000 arresti eseguiti nel 2007, soltanto 70.000 erano realmente motivati dalle disposizioni di legge vigenti (motivi cautelari o di esecuzione della pena).

 

La Redazione

 

Oltre 196.000 arresti nel 2007: solo uno su quattro in carcere più di 10 giorni

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2008

 

Carcere virtuale. Nel 2007 sono usciti dagli istituti di pena circa 85 mila detenuti. A guardare le statistiche aggiornate del Dap (il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria presso il ministero della Giustizia) sulla loro permanenza, si nota che sono rimasti in cella soltanto per uno o due giorni 22.423 persone, tra imputati e condannati. Per quelli che hanno scontato da tre fino a 10 giorni, il totale ammonta a 13.157. Se sommiamo anche i 7.146 carcerati rimasti fino a un mese dietro le sbarre, il totale complessivo supera le 42mila unità.

In sostanza, la metà degli 85 mila detenuti è rimasta in prigione per un periodo minimo, quasi simbolico. Se poi aggiungiamo chi, dopo essere stato arrestato, in carcere non ha messo mai piede, si arriva a un dato per cui in un solo caso su quattro si resta in carcere oltre 10 giorni.

Cifre, queste, che stridono con quelle dell’attività delle forze di Polizia. Perché gli ultimi dati del Viminale dicono che l’anno scorso le persone denunciate in stato di libertà sono state oltre 665mila, mentre quelle arrestate o fermate sono quasi 200 mila.

Un dato, quest’ultimo, che consolida la crescita continua degli anni precedenti. Davanti ad un andamento altalenante dei reati (che ha visto un incremento fino al primo semestre 2007 e una flessione a partire dal secondo), le statistiche sugli arresti sono a senso unico e dicono che Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza oggi arrestano e fermano più criminali (presunti) di ieri: quasi il doppio in quattro anni, da 124 mila a 196 mila.

Forse invano, però. Perché, a incrociare i numeri del Dap con quelli del ministero dell’Interno, sembra che l’attività delle forze dell’ordine rischia di essere quella di svuotare il mare col secchiello. Da qui la denuncia contenuta nell’audizione di ieri al Senato del capo della Polizia, Antonio Manganelli.

La certezza (che non c’è) della pena è un tema oggi politicamente forte, che tuttavia è passato, senza risultati, per ogni agenda del ministro dell’Interno: per ultimi l’avevano rilanciato sia Giuliano Amato che Beppe Pisanu, predecessori di Roberto Maroni. Amato, in particolare, aveva varato un ddl ad hoc, rimasto però nei cassetti del Parlamento.

I dati attuali testimoniano un problema irrisolto. Nelle 85 mila uscite dell’anno scorso dalle carceri sono compresi anche 10mila detenuti che hanno avuto una pena da 12 fino a 18 mesi: nel 2007, quindi, erano già reclusi. Se li sottraiamo al totale, il risultato è che dal carcere sono entrati e usciti in un anno in 75mila, a fronte delle circa 200mila persone arrestate o fermate dalle forze di Polizia. In teoria, quindi, oltre 100mila incriminati - con un provvedimento del giudice o comunque convalidato dall’autorità giudiziaria - l’istituto di penitenza non l’hanno neanche visto.

I motivi sono molteplici. Intanto ci sono coloro che passano il periodo del fermo in una caserma dei carabinieri, per esempio, e poi sono messi in libertà dal giudice. Poi scattano altri meccanismi, come la sospensione della pena o le riduzioni per i benefici di legge: l’articolazione delle possibilità è molto frastagliata. Il risultato finale, comunque, è quello di una larga permanenza in carcere per la durata di un weekend: sia che si tratti di imputati (oltre il 30%) sia dei condannati (26%). Da tre a 10 giorni le cifre sono sempre alte: il 18,4% degli imputati, il 15% dei condannati. In percentuale, sono le quote più grandi.

Sul tema ieri il direttore del Dap, Giovanni Ferrara, in Parlamento ha sottolineato come ci sia oggi "l’inversione del rapporto storico tra detenuti in attesa di giudizio e detenuti definitivi: i primi rappresentano il 60% del totale, a conferma - fa notare Ferrara - che la lentezza dei processi incide in modo pesante sulle difficoltà di gestione del sistema". Gli istituti di pena, peraltro, restano insufficienti rispetto alla popolazione carceraria. Il direttore del Dap ha spiegato che "con l’indulto il numero dei detenuti era sceso dai 62mila del luglio 2006 a 38mila. Dopo venti mesi, siamo tornati a quota 54mila, già oltre il limite previsto dall’attuale sistema".

Il paradosso del pacchetto sicurezza, ora in discussione in Parlamento, è che il reato di immigrazione clandestina rischia di portare al tracollo dei penitenziari. Il Governo si è affrettato a precisare che la norma vale per i nuovi ingressi, da quando sarà in vigore il disegno di legge. Applicarla subito avrebbe significato una débacle.

Nel 2007, il 50% dei 90mila nuovi entrati nelle carceri italiane erano stranieri. Lo ha reso noto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, nella audizione davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia del Senato. "La percentuale di stranieri in carcere - ha spiegato - è in costante crescita. Agli inizi degli anni ‘90 era ancora attestata intorno al 15%, oggi rappresenta invece il 38%", con conseguenti, inevitabili "problemi di funzionamento".

"In particolare - ha aggiunto Ferrara -, circa 16.100 dei detenuti stranieri proviene da Paesi extracomunitari, il 72% da Marocco, Albania, Tunisia, Algeria, Nigeria, ex Jugoslavia e Senegal: i comunitari sono circa 3.800, e il 73% di questi ultimi (in termini assoluti, circa 2.400) romeni".

Infine, la proposta: "Ogni detenuto ci costa 200 euro al giorno, se proponessimo ai paesi d’origine dei clandestini un pagamento di 50 euro al giorno per ogni immigrato che viene riaccolto in patria, forse potremmo sollecitare una collaborazione nel contrasto alla clandestinità".

Giustizia: Berselli (Pdl); disegno di legge modifica la "Gozzini"

 

Ansa, 30 maggio 2008

 

Il Presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli definisce "necessario" il decreto sicurezza messo a punto dal governo, ma sottolinea come, per risolvere la questione della certezza della pena in Italia sia necessaria "rimettere mano alla legge Gozzini".

Il parlamentare del Pdl, avverte, ha già presentato a Palazzo Madama un disegno di legge come primo firmatario, proprio per modificare la normativa che prevede benefici e sconti di pena per i detenuti (S.623 - Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e al codice di procedura penale, in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione).

"Sulla questione sicurezza - sottolinea Berselli - tutti noi sapevamo della preoccupante situazione nella quale versa il nostro paese. Oggi ne abbiamo avuto una inequivocabile conferma da parte del prefetto Manganelli che ha lanciato un vero e proprio grido di allarme sulla certezza della pena".

"Manganelli - prosegue il presidente della commissione Giustizia - denuncia una sorta di indulto quotidiano confermando che in tema di sicurezza, negli ultimi anni, molto si è detto, ma concretamente poco è stato fatto. Manganelli ha ragione nel lanciare questo grido di allarme sulla certezza della pena, ma quando si parla di certezza della pena dobbiamo essere conseguenti e quindi riformare la legge Gozzini".

"Io ho presentato come primo firmatario un disegno di legge per modificare varie parti di questa normativa. E sfido quindi il Pd a confrontarsi con noi e ad approvare velocemente quelle modifiche della Gozzini che, sole, possono garantire la certezza della pena".

"L’ampio consenso elettorale - conclude il senatore del Pdl - ci ha consegnato un impegno sulla tutela della sicurezza dei cittadini non più differibile, una responsabilità politica di cui il governo, e anche l’opposizione, non possono non tenerne conto"

Giustizia: La Russa; facciamo in fretta, siamo alla catastrofe

 

La Stampa 30 maggio 2008

 

"Facciamo alla svelta la luna di miele finisce". Lo dice Manganelli, che è un galantuomo, e quindi c’è da crederci. Non parla certo per piaggeria politica, anche se l’ha messo lì la sinistra. Si, questa è la situazione della sicurezza che abbiamo registrato. Non dico "trovato" perché la conoscevamo bene". Ignazio La Russa, ministro della Difesa nonché reggente di An, ha sentito le parole del capo della polizia e sa che tra poco potrebbe finire la luna di miele tra gli italiani e il nuovo governo. "C’è da fare in fretta".

 

Ministro, una catastrofe…

"Sì, e porre rimedio è apparentemente semplice perché non è difficile varare qualche nuova norma. Ma difficile sarà invertire la rotta".

 

Cominciamo con i problemi. Manganelli dice che i Cpt sono pochi, i tempi stretti, mancano i soldi, così le espulsioni non si riescono a fare. Che farete?

"Dieci nuovi Centri: li faremo presto. Ho già dato un elenco di possibilità a Maroni nel nostro incontro di qualche giorno fa. Ora sta a loro valutarli. Comunque sono ex caserme o ex depositi in buono stato. Ci stavano fino a poco tempo fa i soldati, con poca spesa potrebbero ospitare chi non vuole farsi identificare, e cerca di aggirare l’espulsione".

 

Le leggi troppo lassiste. Avete fatto molte promesse. Quand’è che metterete mano a questa materia?

"In parte l’abbiamo già fatto: nel decreto che è una norma di cui s’è poco parlato. Abbiamo alzato i minimi di pena per molti reati. Il problema, in Italia, non sono le pene massime, che sono già molto alte, ma quelle minime. Servono basse perché l’ultima parola è alla discrezione dei giudici, ma non può esserci neanche un "tana liberi tutti". Con i minimi più alti, ora quella porta girevole che è all’ingresso delle carceri è più stretta".

 

Avevate annunciato anche ritocchi alla Gozzini…

"E li faremo. È previsto. Aspettate il disegno di legge. L’idea è di ritoccare i benefici a chi commette reati in serie. I recidivi si devono aspettare una stretta. La Gozzini, lo dico da avvocato e uomo di destra, non si può abolire: è indispensabile per garantire un clima civile nella celle. Ma chi compie dieci scippi al giorno si dovrà aspettare un trattamento più duro di chi, per esempio, ha fatto una rapina e basta. Quest’idea di ritoccare la Gozzini, comunque, viene da lontano. Quindici giorni prima che cadesse il governo Prodi, quando non ci aspettavamo certo lo sconvolgimento che poi è venuto, a una riunione con Fini avevamo addirittura deciso di lanciare un referendum su questa base".

 

Intanto sembra sgonfiarsi sulla vostra strada l’ultima polemica, quella su una presunta matrice di destra dietro i fatti dei Pigneto, a Roma. Soddisfatto?

"Ho visto che il responsabile sarebbe un ragazzo di estrema sinistra. Ma la questione non cambia. Destra, sinistra, svastica, Che Guevara... Chi ragiona con questi schemi è vecchio, arcaico, antico. Mi fa dire che la sinistra è scomparsa perché fissata su schemi superati. Destra o sinistra, qui abbiamo un ragazzotto che ha deciso di farsi giustizia da sé. E allora noi è su questo punto che dobbiamo intervenire. Dobbiamo essere in grado di distinguere tra l’immigrato che viene per lavorare e chi arriva per delinquere. Perché altrimenti saranno sempre più quelli tentati dalla giustizia fai-da-te. E chi dice "accogliamoli tutti" o chi grida al "razzismo" se qualcuno si arrabbia, fa l’errore più grande. Se non governiamo il problema, drammaticamente saranno sempre più quelli tentati di fare da soli".

Giustizia: Serra (Pd); pene certe? nessuno ha mai fatto nulla

di Fabio Perugia

 

Il Tempo, 30 maggio 2008

 

Achille Serra, ex prefetto e senatore del Pd: "Lavoriamo in Parlamento per l’immediatezza della condanna" "Certezza della pena? Si dice da anni ma nessuno ha fatto nulla". "Manganelli dice una cosa sacrosanta, ma è il momento di riformulare la risposta a questo fenomeno. Una risposta positiva, perché l’immigrazione di oggi è solo la punta dell’iceberg".

Achille Serra ha passato una vita "sul campo" prima di diventare senatore del Pd. L’ex prefetto ha lottato contro la criminalità da Milano a Palermo, passando per Roma. A Firenze ha anche tentato di creare un Cpt, senza successo. Lui Manganelli lo conosce bene, "quello che dice gli fa onore. Non da oggi diciamo che tutti si nascondono dietro la certezza della pena. Qualsiasi maggioranza, tutti si adoperano per non fare".

 

Chi sono i primi a risentire di questa situazione?

"Immagini cosa vuol dire tutto questo per chi lavora nelle forze dell’ordine. Il loro duro lavoro viene vanificato. Ho visto poliziotti morire per correre in auto a duecento chilometri orari dietro un delinquente. Mentre ho visto mettere le manette a ladri condannati per 4 o 5 mesi e poi tornati in libertà poco dopo".

 

Con quali effetti?

"Primo si demotivano le forze dell’ordine. Secondo si contribuisce a creare insicurezza nella nazione. Terzo, al ladro non arriva altro che un messaggio di impunità".

 

Lei che farebbe?

"Prima di pensare alla questione della certezza della pena, penserei all’immediatezza della pena. Facciamolo subito, maggioranza e opposizione assieme. Inutile prevedere riti direttissimi o carceri per tutti. Dobbiamo mandare in galera chi se lo merita".

 

Il caso dell’immigrazione in Italia però è un problema che riguarda anche le strutture.

"Parla dei Cpt?"

 

Sì.

"Io vorrei fossero prima di tutto centri di identificazione dal profilo umano più alto".

 

Che intende?

"A Roma per esempio ci sono delle sbarre altissime e dormono anche sette immigrati in una cella. Guardi che non esiste il reato di clandestinità, ma questi vengono ospitati come fossero in un carcere".

 

Il 30% dei reati è commesso da immigrati. L’immigrazione che fenomeno è?

"Positivo. Noi gli immigrati dobbiamo accoglierli, se non commettono reati. Le dico una cosa".

 

Cosa?

"Questa non è la punta massima dell’immigrazione, nei prossimi anni il fenomeno sarà molto più grande. Il pugno di ferro, quindi, va usato solo con chi delinque. È necessario governare l’immigrazione".

 

Come?

"Non abbattiamo i campi se non ci sono alternative. Facciamo i campi della solidarietà, delle casette prefabbricate, con un centro per portare questa gente nel mondo del lavoro. Poi andiamoci a prendere i loro bambini e mandiamoli a scuola. Sia chiaro, nessuno sottovaluta la sicurezza, ma serve un progetto".

 

Il ministro Roberto Maroni ce l’ha?

"Per ora il governo ha fatto solo annunci. Maroni è uno dei più seri, ma con lui potremo tirare le somme solo a dicembre".

Giustizia: "manca la certezza della pena", i commenti politici

 

Ansa, 30 maggio 2008

 

Veltroni (Pd): bene Manganelli, serve effettività pena

 

"Il capo della Polizia Manganelli ha perfettamente e ripete quello che ho detto per tutta la campagna elettorale: il vero problema italiano è l’effettività della pena, chi è responsabile di fatti di violenza deve scontare la pena". Il segretario del Pd, Walter Veltroni, condivide in pieno le affermazioni del capo della Polizia, che ha svolto stamattina un’audizione al Senato. "Manganelli - evidenzia Veltroni - parla della fatica di fare gli arresti. La certezza della pena è centrale come garanzia di sicurezza, altro che ronde, ed è anche ciò che motiva il sacrificio delle forze dell’ordine".

 

Donadi (Idv): capo Polizia ha ragione, mancano i mezzi

 

"Il capo della Polizia ha tutte le ragioni per dire che in Italia non ci sono mezzi sufficienti per contrastare l’immigrazione criminale, noi lo abbiamo sempre detto ed è anche per questa ragione che la nostra proposta prevede di rimandare a casa gli immigrati che delinquono anziché tenerli in carcere a spese dello Stato". È il commento di Massimo Donadi, capogruppo alla Camera per l’Idv, sull’ammissione di non avere strumenti adeguati fatta dal capo della Polizia Antonio Manganelli davanti alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato.

 

Casson (Pd): il Decreto si sta dimostrando inapplicabile

 

"L’intervento del capo della Polizia Antonio Manganelli nel corso della sua audizione al Senato è stato istituzionalmente corretto e rispettoso, ma ha dato alcune indicazioni numeriche e valutazioni di fatto che demoliscono l’efficacia e l’effettività del decreto del governo. Il problema è che questo provvedimento contiene delle norme vuote, delle norme manifesto che non danno alla Polizia gli strumenti necessari per intervenire in modo adeguato.

Almeno due gli aspetti fondamentali che mancano al decreto: la mancata individuazione delle risorse da destinare alle forze dell’ordine e il non affrontare il tema centrale dei rapporti e dei contatti con gli Stati esteri dai quali arrivano i clandestini in Italia. Il fatto poi che non si conosca ancora il testo del disegno di legge del governo sulla sicurezza, annunciato a gran voce ma mai presentato in Parlamento, rende impossibile una valutazione complessiva sulla realizzabilità di quanto previsto dal decreto. È infine sicuramente condivisibile l’allarme lanciato da Manganelli sulla certezza della pena in Italia. Tema sul quale, va ribadito, questo decreto non interviene in alcun modo". Lo sostiene Felice Casson, capogruppo Pd commissione Giustizia del Senato.

 

Bertolini (Pdl): confermata la bontà delle misure per la sicurezza

 

"Il capo della Polizia conferma che il Governo Berlusconi ha imboccato la strada giusta nella lotta contro l’immigrazione clandestina". Lo ha affermato Isabella Bertolini, deputato del Pdl, che ha osservato: "Manganelli, in audizione oggi al Senato, denuncia che gli immigrati irregolari in Italia sono autori del 30% dei reati, con picchi del 70% nel Nord-Est, che l’incertezza della pena impedisce una risposta efficace dello Stato, che i Cpt sono pochi, che il sistema legale degli ingressi è facilmente aggirabile.

Nel pacchetto sicurezza approvato dal Governo Berlusconi sono contenute risposte efficaci a questi problemi: più Cpt, prolungamento del tempo di permanenza nei centri di identificazione, espulsioni più facili, previsione del reato di immigrazione clandestina, misure per migliorare la certezza della pena, restrizioni per i ricongiungimenti familiari. Unitamente a questi provvedimenti assolutamente necessari, dopo due anni di tagli operati dal Governo Prodi, occorre tornare ad aumentare la dotazione di mezzi e uomini a disposizione delle forze dell’ordine. Il Paese ci chiede fermezza e noi del Pdl siamo intenzionati a tener fede alle promesse elettorali".

 

Associazione Prefettizi: le parole di Manganelli sono raggelanti

 

"Raggelano le dichiarazioni rese dal Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, prefetto Antonio Manganelli, alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato della Repubblica". È quanto si legge in una nota dell’Associazione prefettizi. Secondo l’associazione "Manganelli ha ragione nell’individuare nell’incertezza della pena la causa della vanificazione dell’azione di contrasto condotta da polizia e magistratura".

Tuttavia vi sono anche altri fattori da considerare. Fra questi "quello della cesura che può realizzarsi tra azione di prevenzione e azione di repressione, in quanto le autorità responsabili della prima sono diverse da quelle titolari della seconda (e reciprocamente autonome) e, negli ambiti di rispettiva competenza, possono ritrovarsi a perseguire obiettivi differenti, con grave dispersione di già scarse risorse e mortificazione dell’attività complessiva".

Per questo, secondo il sindacato del personale della carriera prefettizia "occorre ragionare se non sia il caso di ricondurre sotto un unico soggetto la responsabilità complessiva, anche e forse soprattutto politica e sottoposta al giudizio dei cittadini, della sicurezza. Andrebbe verificata cioè la possibilità che alle autorità preposte alla sicurezza venga affidata sia l’attività di prevenzione, sia quella conseguente scaturente dalla commissione di reati".

In questo modo "verrebbe a sottrarsi all’autorità giudiziaria il coordinamento delle indagini, ma alla stessa resterebbe riservata la funzione essenziale, propria di ogni Stato autenticamente democratico, di vigilanza e di controllo sulla legalità dell’azione delle forze di polizia, in tale funzione compresa la piena titolarità dei poteri di adozione (o di autorizzazione all’adozione) di provvedimenti che incidano sui diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini".

 

Associazione nazionale forense: con processo a clandestini si rischia paralisi

 

"Siamo d’accordo con il capo della Polizia Manganelli quando dice che in Italia vige l’assoluta incertezza della pena. Questo è vero anche per il contrasto all’immigrazione clandestina: non servono nuovi reati o riformulazioni di reati esistenti, serve qualcuno che garantisca l’esecuzione delle espulsioni. Ad esempio un reparto di polizia specializzato con il compito di accompagnare alla frontiera i clandestini". È quanto si legge in una nota dell’Associazione nazionale forense che commenta le dichiarazioni rese dal capo della Polizia Antonio Manganelli alle commissioni Affari istituzionali e Giustizia del Senato che hanno iniziato l’esame del dl sicurezza.

"Il decreto varato nei giorni scorsi dal governo, ancora una volta, interviene in via d’urgenza sulle norme sostanziali (e il metodo non va bene) e non si preoccupa di garantire in modo efficace l’espulsione dello straniero autore di reati - prosegue la nota -. Valutiamo positivamente le norme di coordinamento della polizia giudiziaria anche se la soluzione migliore sarebbe quella di creare un reparto di polizia specializzata sull’immigrazione clandestina con il compito specifico di gestire e garantire l’espulsione degli stranieri condannati. Essenziale, come ha anche sottolineato Manganelli, rafforzare gli accordi internazionali. Ci risulta, purtroppo, che il ministero degli Esteri non abbia alcuna struttura dedicata ad affrontare la questione".

"Preoccupa molto, invece - sottolinea l’associazione -, l’introduzione, immediata e diretta, dei processi per il mancato rispetto dell’ordine del giudice di espulsione. Rischia di paralizzare l’intera macchina giudiziaria, dai Tribunali (notoriamente già ingolfati, in questo momento sono letteralmente bloccati dallo sciopero dei trascrittori) alle carceri (notoriamente sovraffollate). Sui nuovi poteri in materia di misure preventive conferiti ai Procuratori della Repubblica, dobbiamo ribadire che i magistrati in Italia sono pochi e se gli si affidano sempre nuove competenze è assolutamente necessario aumentarne il numero avviando nuovi concorsi". "Infine - si conclude -, sulle norme relative alla guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti a giudizio dell’Anf si è scelto di valorizzare l’aspetto punitivo e repressivo dello Stato senza alcun intervento a favore delle persone offese dal reato".

 

Marziale (Osservatorio Diritti dei Minori): sostegno a denunce capo Polizia

 

"Piena adesione e convinto sostegno alle dichiarazioni rese in commissione Affari Costituzionali e Giustizia del Senato dal prefetto Antonio Manganelli, capo della Polizia di Stato". A pronunciarsi è il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, secondo il quale "dietro lo stato di indulto permanente di cui gode l’immigrazione clandestina si celano atroci forme di abuso nei confronti dell’infanzia, come la costrizione all’accattonaggio anche in tenera età". Per Marziale "è necessario che la società civile, impegnata a coadiuvare le istituzioni nel processo di tutela dei diritti fondamentali delle fasce più deboli, esprima a Manganelli la più ampia solidarietà per il coraggio dimostrato nello squarciare, con le sue dichiarazioni, il velo di ipocrisia innalzato da strumentalizzazioni politiche, che di fatto ostacolano la via a soluzioni rapide in fatto di sicurezza pubblica".

"Il dire del capo della Polizia - incalza il sociologo - è riscontrato quotidianamente da un’opinione pubblica esacerbata dal proliferare del crimine e dal perdonismo vigente nel nostro paese, che ha portato il segretario del Partito dei Rumeni in Italia a definirlo paradiso dell’impunibilità". Secondo il parere del presidente dell’Osservatorio "il ruolo super partes del capo della Polizia deve spronare le forze politiche rappresentate nell’arco costituzionale a sveltire i tempi di applicazione delle annunciate misure di contrasto al crimine". Per Marziale, infine "porre rimedio all’immigrazione clandestina significa impedire che l’Italia acquisti posizioni di preminenza nella classifica della tolleranza dell’abuso all’infanzia, verso le cui vette, favorita dalle condizioni denunciate da Manganelli, viaggia speditamente".

Giustizia: Manganelli; far scontare la pena nel paese d’origine

 

Ansa, 30 maggio 2008

 

La "madre di tutte le soluzioni" per contrastare il fenomeno clandestini in Italia è quella di stipulare accordi bilaterali con i Paesi dai quali provengono gli stranieri ‘irregolarì. A sostenerlo è il Capo della Polizia Antonio Manganelli nella sua audizione alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato sul decreto sicurezza. Manganelli, che sottolinea l’importanza di dotare le forze dell’ordine di risorse e strumenti adeguati "per contrastare l’immigrazione clandestina", fa riferimento ad un "modello di straordinaria valenza" che è quello dell’accordo internazionale ("che abbiamo ad esempio con gli Usa") secondo il quale il detenuto può scontare la sua pena nel paese di provenienza. "In Italia però - spiega Manganelli - abbiamo recepito questo trattato prevedendo che serva comunque pure l’assenso del detenuto". E questo, per il capo della Polizia, non facilita le cose visto che in molti paesi la situazione delle carceri è peggio che in Italia. "L’ultima volta che sono stato a Bucarest, ad esempio - ricorda - c’erano in una sola cella 43 letti per 23 detenuti...".

 

Sappe: espellere i detenuti immigrati

 

Espellere i detenuti stranieri dall’Italia verso le carceri dei paesi d’origine: è quanto propone Donato Capece, segretario generale del Sappe, oggi in visita al carcere genovese di Marassi. "L’immigrazione - ha detto Capece - è un’emergenza anche penitenziaria, rispetto alla quale auspichiamo interventi decisi da parte del Governo, come l’espulsione obbligatoria di tutti i cittadini stranieri detenuti, per far scontare loro la pena nei penitenziari dei Paesi di provenienza".

Il rappresentante nazionale dei dodicimila iscritti del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria ha aggiunto: "La presenza degli stranieri determina spesso problemi con i detenuti italiani, aggravando le già precarie condizioni di lavoro e sicurezza dei nostri agenti. Basti pensare al periodo del ramadan, in cui spesso si verificano frizioni tra detenuti musulmani e non. I detenuti stranieri potrebbero benissimo scontare la pena nei penitenziari dei loro Paesi, considerato che il loro numero incide notevolmente sulla popolazione carceraria".

Giustizia: Ferrara (Dap); 560 i detenuti sottoposti al "41 bis"

 

Agi, 30 maggio 2008

 

Sono 560 i detenuti attualmente soggetti al regime carcerario del 41 bis. Ad aggiornare la contabilità è Ettore Ferrara, ascoltato dalle commissioni riunite Affari costituzionali e giustizia di palazzo Madama. "Le strutture che li ospitano - spiega Ferrara - sono in tutto una quindicina, anche se la maggior parte di loro è concentrata in pochi istituti: alcuni sono ospiti di strutture di tipo ordinario, in sezioni riservate.

Personalmente, credo che il sistema di vigilanza, per quanto stretto, non potrà mai impedire del tutto che un qualche messaggio possa arrivare all’esterno attraverso magari un coniuge o un difensore, considerato che - come giustamente ribadito dalla stessa Corte costituzionale - anche ai detenuti al 41 bis vanno riconosciuti alcuni diritti base. Mi viene in mente il caso recente di un camorrista al 41 bis e della moglie che, una volta diventata collaborante, ci ha raccontato di un sistema di comunicazione basato sugli sguardi".

La vigilanza - ha concluso Ferrara - va dunque "ulteriormente accentuata", per quanto possibile, ma "anche le nuove strutture penitenziarie andrebbero costruite in un certo modo, in modo ad esempio da disporre le celle su un unico lato del corridoio e non le une di fronte alle altre".

Giustizia: Pd; azzerato il fondo contro la violenza sulle donne

 

Dire, 30 maggio 2008

 

"È incredibile che il Governo per finanziare l’indiscriminato sgravio fiscale dell’Ici sulla prima casa abbia deciso di azzerare completamente il fondo per il Piano contro la violenza sulle donne istituito dal governo Prodi nella passata legislatura". Lo dicono le deputate del Pd Emilia De Biasi, Manuela Ghizzoni e Carmen Motta. Che si domandano: "Ma il governo non era l’alfiere della sicurezza?". E poi, "dove sono finite le belle intenzioni e le prediche contro il lassismo che ripetevano quotidianamente in campagna elettorale? Sono finite in fumo".

Secondo le tre esponenti del Pd, "la violenza alle donne è un fenomeno preoccupante e in ascesa. E un paese civile dovrebbe combatterla senza esitazioni e con il massimo dispiegamento di risorse economiche, politiche e culturali. Purtroppo- concludono- constatiamo che dopo le autostrade e le televisioni la nuova priorità del governo è proprio l’abolizione dei 20 milioni di euro per il Piano contro la violenza alle donne". Si tratta di "un assurdo abbassamento della guardia che riporta il fenomeno della violenza sulle donne nel segreto delle famiglie mentre, come è noto, la maggior parte delle violenze alle donne avviene proprio in ambito familiare".

 

Pollastrini: "Una vergogna tagliare il fondo contro la violenza sulle donne"

 

"Sono indignata. È una vergogna. Ma anche amareggiata per i livelli di cinismo che, con questa destra, può raggiungere la politica". Barbara Pollastrini, ex ministro delle Pari opportunità, promotrice di quel Piano nazionale contro la violenza alle donne sostenuto, nella Finanziaria 2008, con un fondo di 20 milioni di euro, protesta contro l’intenzione del governo di attingere proprio a questo fondo per coprire il taglio dell’Ici. "Durante la campagna elettorale - prosegue la deputata del Pd - hanno fatto promesse sull’onda di delitti efferati e di drammi che hanno annichilito le donne. In concreto, vediamo il trionfo dell’indifferenza". Infatti, afferma, "si intende tagliare il Fondo destinato alla prevenzione, ai numeri verdi, all’informazione a quante si sentano minacciate, ai centri antiviolenza, alle case per le donne maltrattate e offese, al monitoraggio delle molestie".

 

Lussana: "Il governo non vuole ridurre i fondi"

 

"La scelta del governo non è sicuramente quella di destinare meno fondi al contrasto della violenza sulle donne, ma di adottare iniziative efficaci e strumenti adeguati e non meramente propagandistici o di facciata". Infatti, "occorre che i fondi non vengano solo previsti, ma che le risorse siano effettivamente utilizzate a favore di progetti e iniziative per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, prima causa di morte fra i 16 e 44 anni". Lo sostiene Carolina Lussana, responsabile donne e vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, commentando le dichiarazioni polemiche del Pd sull’impiego dei fondi destinati al Piano contro la violenza sulle donne per coprire il taglio dell’Ici.

Secondo la parlamentare leghista, proprio contro la violenza che colpisce le donne italiane "avrà una grandissima importanza il pacchetto sicurezza Maroni che prevede un contrasto severo all’immigrazione clandestina, proprio per colmare quel deficit di legalità di cui molto spesso le donne sono le maggiori vittime". Quindi, conclude, "la sinistra apre una polemica strumentale su un argomento estremamente grave mentre su questi temi bisognerebbe essere seri e concordi".

Lettere: mi sento poco sicuro, perché ho paura degli italiani!

 

Kataweb, 30 maggio 2008

 

Mi guardo intorno con un po’ di sgomento e mi rendo conto che da qualche tempo ho cominciato ad avere paura. Non mi sento più sicuro in questo paese. Guardo il telegiornale e assisto impotente ad una serie di servizi sulla criminalità degli stranieri. La prima notizia tratta di una rumena che ha cercato di rapire un bambino. La seconda di un extracomunitario che ha violentato una ragazza. La terza notizia parla di furti in villa commessi da stranieri.

Io però non ho paura degli extracomunitari, in questo momento, in questo paese, ho paura dei miei connazionali. Ho paura degli italiani. Da anni ormai l’informazione lavora a creare un clima razzista. Io credo che chi sbaglia, a prescindere da sesso, razza e religione, debba rispondere delle proprie azioni. Rimango però stupito nell’apprendere che il rumeno che uccide rimane sui giornali per settimane mentre l’italiano che commette lo stesso reato ha il privilegio di venire immediatamente dimenticato dai mass media. Ora, mi rendo conto che occorra trovare dei capri espiatori per far credere agli ingenui che la situazione italiana non sia colpa degli italiani stessi e di una classe politica inadatta, ma possibile che la gente creda veramente che, in un paese in cui ci sono la mafia e la camorra, l’emergenza sicurezza sia da attribuire ai rom?

Vedo in tv uno speciale sulla criminalità, intervistano brave famiglie di Reggio Emilia, sono tutti indignati per la presenza di stranieri. Il giornalista chiede se questi delinquono e la gente risponde: "no, no… anzi…". Il vero problema è che siamo razzisti.

Senza scuse né giri di parole. Vogliamo la forza lavoro, vogliamo pagarli poco, magari farli lavorare in nero e poi vogliamo che quelle stesse persone che sfruttiamo scompaiano nel nulla alla fine del turno. Non li vogliamo nel nostro stesso palazzo, neghiamo loro i diritti che ogni cittadino dovrebbe avere e pretendiamo che questi stiano zitti solo perché "sono in casa nostra".

Non vogliamo vedere gli stranieri nei nostri bar, nelle nostre piazze, nelle nostre scuole. Non vogliamo concedere loro la possibilità di mescolarsi con i nostri figli, di pregare il proprio Dio, di diffondere la loro cultura. Perché li riteniamo esseri inferiori, carne da macello destinata alla produzione senza pensare che dietro a quei nomi stranieri che fatichiamo a pronunciare ci sono uomini e donne che hanno rischiato la vita per assicurare un futuro migliore ai propri figli.

Che poi è la stessa cosa che abbiamo fatto noi italiani sino a non molto tempo fa, quando emigravamo in America e venivamo sottoposti alle stesse umiliazioni che oggi infliggiamo agli stranieri. Però ce ne siamo dimenticati perché è più facile vedere solo il proprio pezzetto di giardino piuttosto che avere una visione globale del problema e se qualcuno ci fa notare questa cosa subito ci indigniamo e diciamo "eh ma è successo tanto tempo fa".

Sento i discorsi della gente in treno, dicono che gli stranieri puzzano, che parlano sempre ad alta voce, che i rom devastano ogni cosa, che gli stranieri fanno pipì per la strada e poi fanno quella cosa strana, come si chiama, quel Ramadan. Ma si può? In un paese cristiano come il nostro! È una vergogna… una vergogna.

Eppure le fabbriche hanno bisogno di queste persone, gli imprenditori hanno bisogno di gente ricattabile e senza diritti e anche la malavita organizzata italiana (che, a sentire i telegiornali, è scomparsa) ne ha bisogno.

Io cammino per le vie di Bologna, la città in cui lavoro, e percepisco la paura delle persone che stanno per la strada. Quando ti fermi a chiedere un’informazione la gente scappa e ti guarda terrorizzata, se cammini più velocemente degli altri e ti avvicini troppo a qualcuno quello subito si volta a guardarti e afferra la propria borsa come se tu volessi rubargli il portafogli. Ho sentito ragionamenti del genere "tutti a casa propria" oppure "I soldi devono rimanere nelle regioni di provenienza", a un certo punto (sempre in treno, sono pendolare) qualcuno teorizzava di mandare a casa tutti gli extracomunitari, di curare tutti i "froci" e di dividere il nord dal sud. Beh, almeno lui aveva le idee chiare. Quello che è un po’ confuso e spaesato sono io.

Sino ad un anno fa si parlava di Pacs, di integrazione, di voto agli stranieri e oggi si dà fuoco ai campi Rom e si parla di tolleranza zero. Mi devo essere perso qualche passaggio, la società italiana si è trasformata improvvisamente da una società desiderosa di andare "avanti" ad una società chiusa e razzista.

E poi mi chiedo ma tolleranza zero verso chi? Verso i ragazzi (italiani) che a Verona hanno ucciso un ragazzo per un futile motivo? Verso i bulli (italiani) che hanno incendiato i capelli ad un loro amico e che avevano, sul computer, foto e siti neonazisti? Verso i ragazzi (italiani) che hanno violentato e ucciso una loro compagna di classe di quattordici anni? Verso l’italiano che ha stuprato una ragazza rumena? O la tolleranza zero deve valere solo per gli extracomunitari e i nostri figli devono essere lasciati liberi di delinquere? Sì, io mi sento meno sicuro in questo paese e ho molta paura. Degli italiani però.

 

Marino Buzzi

Lazio: Laurelli e Mariani (Pd);  dare attuazione a diritti detenuti

 

Asca, 30 maggio 2008

 

Tre mesi per verificare concretamente se il tavolo interassessorile per il trattamento intramurario previsto dalla legge quadro che disciplina gli interventi a sostegno della popolazione detenuta nella Regione Lazio (legge 7/2007) possa effettivamente funzionare o se, al contrario, debbano essere individuati altri metodi di lavoro.

Questa la proposta dell’assessore agli Affari istituzionali Daniele Fichera (Pd) raccolta dai presidenti delle commissioni ‘Sicurezza, contrasto all’usura, integrazione sociale e lotta alla criminalità" Luisa Laurelli (Pd) e "Lavoro, pari opportunità, politiche giovanili e politiche sociali" Giuseppe Mariani (Verdi) riunitesi oggi in sede congiunta.

In apertura dei lavori, infatti, l’assessore Fichera, cui la normativa attribuisce compiti di conduzione dei lavori del tavolo, ha segnalato la difficoltà di realizzare un coordinamento tra gli assessorati interessati ed aveva sollevato la necessità di verificare, entro breve, se vi fossero reali possibilità di funzionamento dell’istituto.

Sono, poi, intervenuti gli assessori alla Sanità Augusto Battaglia (Pd), alle Politiche sociali Anna Salome Coppotelli (Sdi), all’istruzione Silvia Costa (Pd) e al Bilancio Luigi Nieri (Prc), la consigliera Annamaria Grazia Massimi (Pd), Giuseppe D’Agostino per il Garante dei Detenuti, Vincenzo Saulino presidente del Forum regionale salute in carcere e Daniela Pezzi, presidente della Consulta regionale per la salute mentale.

Presenti il Presidente del Consiglio Guido Milana (Pd), l’Assessore al Lavoro e politiche giovanili Alessandra Tibaldi (Prc), Edoardo Levantini per l’Osservatorio Tecnico-scientifico sulla sicurezza, i consiglieri Pietro Di Paolantonio (An), Aldo Forte (Udc), Enzo Foschi (Pd), Massimiliano Maselli (Udc), Bruno Prestagiovanni (An).

"Prendiamo atto con rammarico che nonostante i tempi celeri di approvazione della legge solo ora si è riusciti a costituire il tavolo interassessorile - ha dichiarato la presidente Laurelli - adesso ritengo indispensabile che il tavolo si riunisca in tempi brevi perché è necessario che si pongano in essere politiche concordate e concertate. D’altra parte la creazione dell’istituto nasce proprio dall’esigenza di avere una visione omogenea di tutti gli aspetti e di tutte le esigenze che coinvolgono i detenuti. A settembre - ha aggiunto - le due commissioni si riuniranno nuovamente in seduta congiunta con l’assessore Fichera per valutare i progetti avviati nei settori del sociale, della formazione e del lavoro, anche con l’impegno dei fondi comunitari in aggiunta al milione e mezzo di euro già stanziato dalla Regione. Per quanto attiene al passaggio alle Asl delle competenze in materia di salute dei detenuti (il decreto entra in vigore il 30 maggio) chiedo all’assessore Battaglia di inviare periodicamente una breve relazione di aggiornamento".

"Alla presenza di sei assessori e del presidente del Consiglio oggi abbiamo compiuto un passaggio storico - ha poi sottolineato il presidente Mariani - attraverso il quale intendiamo dare concreta attuazione ad una legge molto importante per la nostra regione. Assicurare un effettivo dialogo tra tutti i soggetti coinvolti, a livello interassessorile ed interistituzionale, è indispensabile per dare completezza al percorso intrapreso con l’approvazione della legge. Non possiamo perdere quest’occasione - ha concluso - specialmente in una situazione di emergenza per gli istituti penitenziari come quella attuale". All’assessore Fichera, che aveva sottolineato, le difficoltà incontrate nei rapporti con il Ministero della Giustizia per impegnare i fondi regionali di parte corrente e di investimento dell’anno 2008, infine, le commissioni congiunte hanno ribadito la necessità di rafforzare e semplificare i rapporti l’amministrazione statale per poter assicurare la piena applicazione della legge quadro.

Lazio: accordo per migliorare le cure sanitarie negli ex Cpt

 

Asca, 30 maggio 2008

 

Migliorare l’assistenza sanitaria degli immigrati ospiti dei Cie, Centri di identificazione ed espulsione: è questa la finalità del primo protocollo d’intesa inter-istituzionale stipulato tra la Regione Lazio, l’ufficio del Garante dei detenuti regionale e la Prefettura di Roma. È il primo esempio di progetto integrato tra istituzioni per offrire in modo organico una serie di servizi sanitari per la cura degli ospiti di Cie, così come stabilito da un articolo del testo del decreto legge del Pacchetto Sicurezza.

"Con la firma del protocollo si aggiunge un piccolo tassello di sicurezza sociale, di avanzamento della politica che vuole dare delle risposte", ha detto Piero Marrazzo. "Un modo di unire la sicurezza alla salute per mettere in grado chi è in difficoltà di avere una vita dignitosa. Perché all’interno dei Cpt - ha concluso Marrazzo - c’è un’umanità raccolta che ha diritto di essere assistita".

Secondo il prefetto di Roma, Carlo Mosca "queste politiche integrate danno l’esatto contenuto a un modo di essere dell’amministrazione dello Stato, e soprattutto del ministero dell’Interno, che è istituzione di garanzia, non solo di polizia". "Con quest’accordo - ha spiegato Angiolo Marroni, il Garante dei Detenuti della Regione Lazio - potremmo dare ai cittadini trattenuti nei Cie un aiuto adeguato perché la loro permanenza sia meno dolorosa e faticosa". In particolare l’ufficio del Garante dei detenuti ha proposto una collaborazione stabile per migliorare le condizioni di vita degli ospiti dell’ex Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, l’unico presente sul territorio del Lazio.

La durata dell’accordo è di due anni, durante i quali l’Ufficio del Garante della Regione Lazio offrirà prestazioni gratuite finalizzate totalmente al miglioramento della vita delle persone all’interno dei Centri, al fine di garantire loro tutte le necessarie cure sanitarie e i controlli per la prevenzione di ogni tipo di patologia.

In particolare per la cura, il ricovero e l’assistenza urgente delle persone sieropositive all’Hiv o affette da Aids o da una patologia tubercolare, il protocollo avvierà rapporti istituzionali tra Cie e l’ospedale Spallanzani di Roma. Per la cura delle patologie odontoiatriche il Garante regionale metterà a disposizione una odonto-ambulanza attrezzata di ortopantomografo digitale.

Roma: strage del Circeo, in affidamento Guido, uno dei killer

 

Corriere della Sera, 30 maggio 2008

 

Anche dopo quella notte di fine settembre 1975, la notte del massacro del Circeo, Angelo Izzo ha continuato a fare il massacratore. Andrea Ghira, invece, è finito sepolto a Melilla, nel cimitero dei legionari spagnoli. Solo di Gianni Guido non si era saputo più nulla. Ma ecco la novità: dall’11 aprile è "affidato ai servizi sociali".

Quindi Gianni Guido non è già più un "detenuto". Dopo il lavoro, cioè, non deve tornare in carcere. La sera rientra nella casa dei genitori (a due passi dalla Nomentana) e dorme nel suo letto. Secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), finirà di pagare del tutto il suo conto con la giustizia tra poco più di un anno, nell’agosto 2009. Ma intanto è un uomo libero. E non è poco. Oggi Guido ha 52 anni e gli ultimi 14 li ha passati in cella, ha studiato, si è laureato in Lingue e Letterature Straniere e non ha mai voluto farsi intervistare da nessuno. Il papà Raffaele e la mamma Maria avrebbero preferito ovviamente che la notizia non trapelasse. In cuor loro, è naturale, vorrebbero tanto che questa storia venisse dimenticata per sempre. Ora temono, invece, lo scatenarsi di nuove polemiche, nuovi veleni. "Mio figlio ha pagato. E comunque non sarà facile rifarsi una vita alla sua età - sospira la signora Maria, discendente di un’importante famiglia di armatori napoletani Noi di sicuro in tutti questi anni non l’abbiamo mai abbandonato ". "Cosa farà Gianni dopo aver espiato fino in fondo la sua pena? Non importa - aggiunge il padre, altissimo dirigente Bnl ora in pensione C’è qui la sua famiglia, ci siamo noi. La famiglia, secondo me, è l’unico posto dove un detenuto possa riuscire a reinserirsi. L’unica vera comunità di recupero, chiamiamola così, per chi esce dal carcere".

Nel momento in cui parliamo con gli anziani genitori, seduti nel salotto di casa, la sensazione fortissima, condivisa da un testimone, è che ci sia anche il figlio, Gianni, presente in una stanza attigua. Papà Raffaele, gentilissimo ma inflessibile, non consente però altre domande. Dall’11 aprile, dunque, Gianni Guido è diventato uno dei 450 "affidati" (ma prima dell’indulto erano dieci volte di più) in carico all’Ufficio di esecuzione penale esterna di Roma e Latina. Del feroce terzetto che quella notte assassinò Rosaria Lopez e pensava di averlo fatto anche con la sua giovane amica, Donatella Colasanti, soltanto di lui si erano perse in qualche modo le tracce. Nel maggio ‘94, questa l’ultima notizia disponibile, fu catturato dalla squadra speciale del ministero dell’Interno (Digos, Ucigos e Interpol) a Panama, dove viveva sotto falso nome, quello di Claude Daniel Ibrahim Laurian, con tanto di passaporto libanese. Dopo l’estradizione, infine, fu rinchiuso a Rebibbia. Il 29 luglio 1976, dopo sette ore di camera di consiglio, i giudici di primo grado condannarono all’ergastolo Izzo, Guido e Ghira (l’unico latitante) per il massacro del Circeo. Le femministe presenti in aula esultarono. Giovani, belli e dannati. Ricchi e spavaldi, fanatici di destra ("Ci sentivamo cavalieri in guerra", disse una volta Izzo per descrivere la follia che li animava).

Solo Guido, in appello, ottenne la riduzione e se la cavò con 30 anni. Ma da quel momento, per l’ex studente del San Leone Magno, compagno di classe di Izzo nell’istituto privato più esclusivo di Roma, iniziò un’altra vita, altrettanto pericolosa, fatta di fughe e clandestinità. Nell’81 evase dal carcere di San Gimignano. Due anni dopo fu arrestato in Argentina. Nell’85, dal penitenziario di Buenos Aires, nuova evasione. Poi sei anni di buio, più nessuna traccia. Finchè il 23 novembre del ‘91 arriva a Panama, con un nome falso e un passaporto libanese pieno di visti. Ad attenderlo ci sono personaggi influenti. Il 2 dicembre in uno studio notarile costituisce una società finanziaria. Ma è solo una copertura, la società in realtà non opera sul mercato però gli serve per ottenere un permesso di residenza e il porto d’armi. Quindi, Guido si trasferisce a La Chorrera, sulla Carretera interamericana in direzione del Costa Rica. Abita in una casa bassa, non ancora ultimata che ha a fianco quattro capannoni per l’allevamento di migliaia di polli. Ormai, però, gli investigatori italiani sono sulle sue tracce.

Hanno captato una telefonata tra il padre e un alto prelato del Vaticano. Il monsignore usa un linguaggio misterioso: "La mamma sta bene". Poi salta fuori anche un estratto conto con movimenti di denaro consistenti. La sua latitanza dorata termina il 28 maggio 1994. Oggi non c’è più, purtroppo, Donatella Colasanti a cui chiedere un commento su tutta questa storia. Donatella morì a 47 anni, il 30 dicembre 2005, per un tumore al seno. L’ultimo sopruso ricevuto dalla vita. Quando seppe che Izzo, nell’aprile 2005, aveva ammazzato nelle campagne di Mirabello Sannitico, vicino Campobasso, anche Maria Carmela Linciano e sua figlia Valentina, appena una bambina, la superstite del massacro di 30 anni prima tuonò contro la giustizia: "Perché Izzo non era in carcere? Perché la semilibertà?". Aveva scritto per anni al Csm, a tutti i ministri della Giustizia, chiedendo duri interventi per i responsabili. E invece ecco l’unica risposta che aveva avuto: altre due donne seppellite in un campo. "Ma Gianni non è come Izzo", è l’ultima cosa che dicono i genitori di Guido, prima di salutarci. E lo dicono convinti, quasi protestando, anche se sanno che ormai la partita è chiusa. E tutti in fondo hanno perso.

Lamezia: giudici e avvocati firmano intesa per udienze veloci

 

www.lameziaweb.biz, 30 maggio 2008

 

Un protocollo per la gestione delle udienze dibattimentali penali, collegiali e monocratiche, del tribunale lametino. L’intesa è stata sottoscritta dal presidente della sezione penale del tribunale Giuseppe Spadaro, che l’ha proposta, dal procuratore della Repubblica Raffaele Mazzotta, dal presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati Fulvio Amendola, da Pino Zofrea che guida le camere penali, dal dirigente di cancelleria Antonino Aprignani e da Giampiero Scarpino che dirige gli uffici Unep.

Tra gli obiettivi del protocollo, oltre che un miglioramento del servizio, c’è quello di consentire il dialogo diretto e informale tra gli operatori della giustizia nel circondario, adottando semplici criteri di razionalizzazione delle attività.

Tra le altre cose, si è stabilito di comune accordo che l’inizio dell’udienza penale dibattimentale monocratica e collegiale è alle 9 del mattino, allorquando l’ufficiale giudiziario, o meglio l’incaricato del servizio di chiamata alle udienze, in aula avrà avuto modo di curare l’afflusso delle parti, degli ausiliari del giudice, e dei testimoni che provvederà ad identificare. Lo scopo è quindi quello di migliorare il servizio svolto nelle aule giudiziarie, ottimizzando i tempi, in modo da consentire un costante dialogo tra gli operatori della giustizia.

Importante ancora il fatto che il giudice rinvierà i processi ad orario sia nel settore monocratico sia in quello collegiale, su tre fasce fissate a discrezione dell’organo giudicante.

All’udienza di prima comparizione si procederà alla verifica della regolare costituzione delle parti, alla discussione delle questioni preliminari ed altro, e non si assumeranno prove, esami di imputati, periti o consulenti tecnici, né potranno essere citati testimoni.

Particolare attenzione è stata riservata nel protocollo ai giudizi nei quali siano presenti testimoni, detenuti, portatori di handicap, e donne (anche avvocati donne) in evidente o documentato stato di gravidanza. Tante e significative le novità intervenute alle quali, è stata data dai sottoscrittori, ognuno nel proprio ambito, ampia pubblicità.

Il protocollo in parola, come formulato, può sicuramente dirsi esser stato realizzato al solo ed esclusivo interesse degli utenti della giustizia. Nell’intesa viene anche stabilito che ogni anno tra settembre e ottobre, il presidente della sezione penale Spadaro, operata una consultazione con tutti gli altri sottoscrittori del protocollo, organizzerà un incontro pubblico per eventualmente apportare all’intesa sottoscritta quelle variazioni suggerite dall’esperienza e che avranno trovato diffusa condivisione.

Grande compiacimento è stato attribuito dai sottoscrittori del protocollo al presidente Giuseppe Spadaro per aver voluto, proposto e realizzato "un così importante e significativo strumento di gestione della giustizia nel circondario lametino".

Arezzo: nel carcere uno spettacolo dell’Orchestra Multietnica 

 

In Toscana, 30 maggio 2008

 

L’assessore all’integrazione del Comune di Arezzo Aurora Rossi e gli assessori provinciali Mirella Ricci ed Emanuela Caroti, hanno assistito martedì 27 maggio nel carcere circondariale di Arezzo all’esibizione dell’Orchestra Multietnica e alla cerimonia finale del concorso nazionale organizzato da Edda Ardimanni, con il contributo di Comune e Provincia, "Dal disagio alla poesia" che ha coinvolto gli stessi detenuti alle prese con i versi scritti da loro omologhi dei vari carceri italiani. Ogni anno, ad Arezzo vengono premiate le tre opere poetiche vincitrici: nell’occasione, i detenuti di Arezzo hanno dimostrato coinvolgimento e capacità di lettura "poetica" come dei veri attori. Il primo premio è andato a un cittadino straniero detenuto in Puglia, il secondo a un detenuto lombardo, il terzo dell’Umbria. Le poesie pervenute sono state 692.

"Il carcere di Arezzo - hanno sottolineato i tre rappresentanti di Comune e Provincia - è da anni un luogo di cultura oltre che di reclusione. Gli spettacoli teatrali di Gianfranco Pedullà hanno fatto per così dire da apripista a tutta una serie di attività, rispetto alle quali il direttore della struttura Paolo Basco si è sempre dimostrato sensibile, adatte al riscatto e alla crescita di chi sta generalmente dietro le sbarre ma viene coinvolto per l’occasione in ruoli di recitazione. L’Orchestra Multietnica di Arezzo è stata poi particolarmente apprezzata e le sue musiche scandite da reiterato battito di mani. In seguito all’entusiasmo suscitato, è stata costretta a promettere la replica dell’esibizione durante estate".

Immigrazione: Galan (Veneto); sì a sanatoria per le badanti

 

Italia Oggi, 30 maggio 2008

 

Il rigore verso i clandestini non deve danneggiare il lavoro delle assistenti familiari, indispensabile per le politiche sociali e per le famiglie. Nel Veneto le casse regionali, i bilanci regionali risparmiano centinaia di milioni di euro l’anno. Le badanti consentono, infatti, di mantenere l’anziano o il disabile in casa, con costi molto più contenuti rispetto all’istituzionalizzazione che viene pagata dalla regione Veneto con 440 milioni di euro l’anno per quanto concerne la non autosufficienza.

Nel 2007 sono state 3 mila le persone che hanno chiesto alla regione Veneto l’assegno di cura per stipulare un contratto di lavoro con una badante. L’ultima stima, del 2006, ipotizza che nella regione Veneto le assistenti familiari, regolari e non, siano entro una forbice tra le 29 mila e le 33 mila. I lavoratori domestici stranieri regolarmente occupati in Veneto sono il 72% del totale degli occupati in questo settore. Una giusta quanto irrinunciabile politica di rigore nei confronti degli stranieri irregolari, non deve, insomma, trasformarsi in un danno per le famiglie italiane che si prendono cura in casa propria di un anziano o di un disabile, soprattutto tenendo conto delle trasformazioni sociali del nostro paese".

 

Giancarlo Galan, governatore della regione Veneto

Immigrazione: Milano; sugli autobus è "caccia ai clandestini"

 

La Repubblica, 30 maggio 2008

 

Controlli a tappeto sui mezzi pubblici della città di Milano a caccia di immigrati clandestini. Lo riferiscono alcuni cittadini, testimoni di interventi messi in atto su tram e bus dalla polizia locale nei confronti dei cittadini stranieri trovati senza documenti.

I viaggiatori raccontano di persone che verrebbero controllate e portate via a bordo di cellulari o autobus con grate alle finestre. "Si stanno anticipando le norme del governo", ha detto Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas Italiana, secondo cui questi interventi sarebbero una "prova" dei provvedimenti attualmente all’esame dell’esecutivo, che ha parlato di introdurre il reato di "clandestinità". Il vicesindaco della giunta Moratti, De Corato, risponde che "chi protesta non utilizza i mezzi pubblici e non conosce un certo tipo di frequentazione su certe linee, da parte di ladri e borseggiatori". Anche oggi Letizia Moratti, a margine della presentazione di un festival di musica gitana, ha ribadito: "Abbiamo l’esigenza di dare sicurezza ai cittadini". Dura la risposta dell’Arci, secondo cui "tanti controlli creano un clima persecutorio". E Nicotra, segretario del Prc Lombardia, accusa: "I raid alimentano l’odio".

Droghe: Giovanardi; vietato manifestare per cannabis libera

 

Notiziario Aduc, 30 maggio 2008

 

Una legge per dire basta alle manifestazioni pubbliche che si trasformino in una sorta di sagra della droga, anche se leggera. L’intenzione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche antidroga, Carlo Giovanardi, è quella di "introdurre strumenti normativi per non permettere più che manifestazioni propagandistiche, come la tre giorni sulla canapa (terapeutica, ndr) a Bologna, in programma dal 30 maggio al 1 giugno, possano svolgersi liberamente".

Intervistato dal sito dei "Circoli della Liberta" di Michela Vittoria Brambilla, Giovanardi spiega: "Vogliamo dire basta alla cultura della droga. E per farlo vogliamo introdurre nell’ordinamento una norma che impedisca di fare propaganda, anche indiretta, a tutte le droghe, comprese quelle cosiddette leggere". "Questo anche alla luce dell’eccessiva e preoccupante leggerezza nei confronti delle droghe, che ha contribuito a creare le condizioni per casi quali quello di Roma, dove un tossicodipendente ha investito con l’auto e ucciso due giovani fidanzati, e quello di Milano, dove una banda di spacciatori adolescenti, sgominata dai carabinieri, riforniva di droga i propri compagni di scuola".

Piobbichi Francesco (Politiche Sociali del Partito Rifondazione Comunista) ha così commentato: Se il nuovo sottosegretario con delega sulle droghe vuol contribuire a ridurre la cultura dello sballo cominci a proporre una legge per limitare nelle tv del presidente del consiglio le pubblicità dirette degli alcolici che legano piacere e successo con l’utilizzo della sostanza. Vietare una manifestazione, come quella di Bologna sulla cannabis invece contribuisce a criminalizzare decine di migliaia di persone che non fanno niente di male, se non discutere del loro stile di vita. La legge italiana inoltre già prevede sanzioni per chi incita all’utilizzo di droghe, andare oltre vuol dire di fatto limitare la libertà di parola discrezionalmente. Se i primi atti della destra sono la negazione del patrocinio e di piazza Navona per il gay pride e l’annuncio di limitare manifestazioni come quella bolognese sulla cannabis, ci troviamo di fronte ad una classe politica che fa scempio della democrazia utilizzando di volta in volta i capri espiatori di turno per legittimarsi.

Scozia: più soldi per la disintossicazione... e per i penitenziari

 

Ansa, 30 maggio 2008

 

Lanciato dal Governo un piano di cinque punti per combattere le droghe. L’obiettivo principale è di aiutare le persone a disintossicarsi e a vivere per sempre lontane dalle droghe. Il ministro per la sicurezza sociale Fergus Ewing ha dichiarato che saranno aumentati del 3,8% i fondi per i programmi disintossicanti, mentre gli istituti penitenziari riceveranno un extra di 49 milioni di sterline per i prossimi tre anni. Nel Paese è stimato che ci siano 52 mila consumatori di droghe e 22 mila nei programmi di somministrazione del metadone. Ci sono circa 420 decessi l’anno connessi agli stupefacenti. I parlamentari la prossima settimana discuteranno del programma. Secondo i dati del Governo, le droghe costano complessivamente 2,6 miliardi di sterline l’anno.

Albania: la criminalità gestisce il mercato europeo dell’eroina

 

Ansa, 30 maggio 2008

 

Quasi tutta l’eroina che circola in Europa è gestita da trafficanti albanesi, un giro d’affari che supera il prodotto interno lordo di molti Paesi dei Balcani: non usa giri di parole l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulla criminalità ad est dell’Adriatico che non esita a definire il lato oscuro dell’Albania, ovvero la sua criminalità organizzata, una vera e propria "minaccia per l’Unione europea".

È la posizione geografica del Paese, spiega il rapporto, che favorisce la crescita del business che è la maggiore fonte di guadagno per la criminalità organizzata dell’area balcanica e dell’Europa sud-orientale. A metà strada tra il maggior produttore del mondo di eroina e cocaina (Afghanistan) e il mercato con la domanda più alta (l’Europa occidentale), l’Albania lascia passare ogni anno 100 tonnellate di polvere bianca, intascando dai 25 ai 30 miliardi di dollari. Un traffico simile, spiega il rapporto, non può che esistere grazie alla complicità di parte della polizia, guardacoste (il traffico passa soprattutto via mare), funzionari e popolazione locale, considerazione che porta ad una delle conclusioni del rapporto: il legame tra crimine organizzato, politica e mondo degli affari è ancora il problema maggiore dei Balcani.

L’Italia, sottolinea l’Onu, è uno dei Paesi preferiti dai trafficanti albanesi, che lavorano in tandem con la Sacra Corona Unita. Stando ai dati delle autorità di Roma, dal 1998 al 2006 sono state sequestrate 15 tonnellate di eroina, di cui 10 di provenienza albanese. Ma la matrice albanese del traffico di droga internazionale va ben al di là dei dati disponibili: assieme ai criminali con passaporto di Tirana, spiega il rapporto, bisogna considerare tutti coloro che hanno cambiato nazionalità ma che sono dentro in giro illecito perché legati ai loro connazionali grazie alla forte identità etnica. Il secondo traffico illecito dei Balcani è quello di esseri umani.

Epicentro della tratta di uomini e donne, così come lo definisce il rapporto dell’Onu, i Balcani introducono in Europa circa 120.000 immigrati all’anno, clandestini o meno, ma tutti destinati ad allargare le fila della prostituzione, del lavoro nero e dello sfruttamento. E il Paese più afflitto dal traffico è ancora una volta l’Albania. L’ultimo dato preoccupante, secondo l’Onu, riguarda la corruzione, un fenomeno talmente diffuso da risultare ormai normale per gli abitanti dell’area. Per l’85% degli imprenditori in Albania è scontato versare tangenti, e dello stesso parere sono anche il 63% dei capi di aziende bosniache, il 49% dei croati, il 76% dei bulgari e il 73% dei romeni, due Paesi che, pur entrati nella Ue, continuano ad avere caratteristiche simili ai loro vicini dei Balcani. A dimostrazione che la prospettiva europea, brandita da Bruxelles come soluzione a tutti i mali, non è certo una soluzione rapida.

 

 

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