Rassegna stampa 2 maggio

 

Giustizia: il magistrato; cosa ci aspettiamo dal nuovo ministro

di Aldo Morgigni (Magistrato)

 

www.radiocarcere.com, 2 maggio 2008

 

All’indomani delle elezioni anche la magistratura dovrà confrontarsi con un nuovo scenario politico, con una maggioranza più stabile ed un’opposizione più compatta degli ultimi anni. La speranza è che si metta mano ad una riforma della giustizia e non della magistratura.

È in quest’ottica che speriamo si muoverà soprattutto il nuovo ministro della giustizia, che da sempre - anche con il suo staff - è l’interfaccia tra la politica e la magistratura. Le prime dichiarazioni in tema di giustizia saranno determinanti, perché la magistratura non si farà sfuggire nessuna occasione di dialogo nell’interesse del reale miglioramento del servizio che i cittadini si attendono dalla giustizia.

Se ci saranno segnali di distensione anche da parte della politica, si giungerà più semplicemente a riforme rapide, condivise ed utili. Al contrario, il rischio, soprattutto in caso di aperto attacco a valori fondanti dell’assetto costituzionale, sarà quello di una chiusura assoluta ed intransigente verso ogni proposta di riforma, con l’ulteriore pericolo di una nuova stagione di contrapposizioni tra politica e magistratura a danno dell’interesse dei cittadini.

Le ultime due legislature sono state caratterizzate, infatti, da un’ossessiva attenzione per l’ordinamento giudiziario, senza che siano stati adottati provvedimenti efficaci per accorciare effettivamente la durata dei processi e per migliorare le condizioni di lavoro degli operatori della giustizia.

Dopo sette anni di "riforme della magistratura" i magistrati sperano in "riforme del processo", civile e penale. La riduzione dei tempi della giustizia passa per l’unificazione dei riti processuali civili, con un rito semplificato ed uniforme in primo grado, sul modello di quello già esistente per il processo cautelare. È indispensabile l’introduzione di filtri effettivi all’attuale indiscriminata possibilità di agire in giudizio anche per la tutela di pretese manifestamente infondate.

È evidente il fallimento di un sistema di controllo della qualità degli avvocati rimesso solo alle scelte della clientela. Dovrebbero essere introdotte, perciò, serie ed effettive valutazioni di professionalità anche per chi esercita la professione forense, tenendo conto del numero di processi in cui la pretesa fatta valere è manifestamente infondata o temeraria, per responsabilizzare i difensori e ridurre a monte il numero di controversie.

È indifferibile, infine, la semplificazione del sistema delle notificazioni e la stretta individuazione di tutti i motivi di impugnazione, anche per i casi di appello nel merito, per evitare che si abusi del proprio diritto a difendersi al solo fine di comprimere il pari diritto della controparte.

Nel settore penale le pressanti richieste di sicurezza dei cittadini dimostrano che la politica deve assumersi l’onere di individuare casi ulteriori di applicazione "obbligatoria" delle misure cautelari, attualmente previste solo per i reati di mafia ma non per altri gravi reati di elevato allarme sociale. Per il terrorismo, gli omicidi, le violenze sessuali, le rapine a mano armata, infatti, la scelta della misura cautelare - quando ci sono gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari - è rimessa interamente al pubblico ministero ed al giudice, che operano sulla base di criteri molto generici in base ai quali è tuttora possibile non applicare alcuna misura cautelare anche a chi ha compiuto delitti gravissimi ed è stato colto in flagrante.

Lo stesso vale nel campo della determinazione e dell’esecuzione delle pene, dove gli spazi di discrezionalità del giudice nell’individuazione della pena da applicare sono amplissimi e dove l’incertezza sull’effettiva espiazione della sanzione irrogata regna sovrana, anche per chi è autore di fatti gravi o di innumerevoli reati.

Tutto questo passa per l’inevitabile, consapevole e condivisa assunzione di responsabilità da parte della politica, che deve concretizzare i programmi elettorali - effettivamente molto simili in materia di giustizia - restituendo efficienza al processo civile e penale e approntando le strutture indispensabili, anche con l’aiuto delle regioni, ormai mature per un salto di qualità anche nell’intervento nel settore dell’edilizia giudiziaria, del personale e dell’informatizzazione.

La magistratura è pronta a dialogare sulle proposte concrete che verranno avanzate, con la lealtà che ha sempre contraddistinto i magistrati che quotidianamente fronteggiano difficoltà operative e rischi personali. I magistrati si aspettano, a loro volta, forti aperture al dialogo da parte di chi dovrà provvedere alle riforme, nella certezza che i risultati verranno solo con un atteggiamento reciproco di serietà e serenità. Sine spe ac metu, cioè senza illusioni e timori.

Giustizia: Tribunali aboliscono fax e lettere, valide solo e-mail

 

Corriere della Sera, 2 maggio 2008

 

Addio alla carta. Proprio nel proverbiale regno della carta. Da domani tutte le comunicazioni tra gli uffici giudiziari italiani dovranno avvenire "unicamente" sotto forma di posta elettronica certificata. La piccola rivoluzione sta nell’avverbio: anche per le comunicazioni tra magistrati che richiedano una prova del fatto che siano davvero pervenute al destinatario, la carta (giudiziaria) andrà definitivamente in archivio.

E lo stesso, sempre da domani, varrà anche per tutte le comunicazioni tra gli uffici giudiziari italiani e il Ministero della Giustizia, nonché tra gli uni e l’altro nei confronti del Consiglio superiore della magistratura. La conversione definitiva alla e-mail giudiziaria è logica conseguenza anche dell’obiettivo fissato dall’ultima legge Finanziaria, che ha imposto al dicastero di via Arenula di superare la soglia del 50% di comunicazioni via e-mail, pena (in caso di fallimento e di non raggiungimento di questa soglia) una penalizzazione che prenderebbe la forma di un "taglio" del 30% al capitolo di bilancio per le spese postali (lettere e fax). Ed è proprio questo, come intuibile, il versante materiale sul quale il passaggio senza ritorno alle e-mail dovrebbe far sentire immediatamente i propri effetti economici, riducendo circa della metà i 7 milioni e 200mila euro che nel 2006 sono stati spesi per le comunicazioni cartacee tra uffici giudiziari, Ministero e Csm.

Come tutte le rivoluzioni all’italiana, però, anche questo primo maggio dell’e-mail togata porterà con sé un piccolo paradosso: mentre tutti gli altri uffici giudiziari comunicheranno tra loro e con il Ministero via e-mail su indicazione del Ministero, proprio il Ministero continuerà invece a usare la carta per le comunicazioni interne tra le proprie articolazioni, come pure nei rapporti con le altre Pubbliche Amministrazioni. Da un lato perché non tutte queste altre amministrazioni pubbliche si sono dotate di posta elettronica certificata, e dunque verso loro si continuerà a ricorrere alla posta tradizionale.

E poi, sull’altro versante, perché l’attuale piattaforma informatica del Ministero non consente di protocollare in via informatica e diretta la mail, e non permette la modifica necessaria a evitare la beffa dell’altrimenti forzata duplicazione con il passaggio comunque alla stampa della e-mail (che poi sarebbe da protocollare in modo tradizionale, scannerizzare e infine reinviare via mail). Per adesso, insomma, è già tanto questo piccolo passo (extraprocessuale, solo organizzativo) che una branca consistente della pubblica amministrazione, come la Giustizia, fa nelle comunicazioni via mail tra uffici. Prodromo al miraggio di notifiche via mail anche all’indirizzo degli studi legali degli avvocati per tutte le scadenze e gli atti giudiziari.

Giustizia: storia di un imputato distrutto da stampa e processo

di Leo Mercurio

 

www.radiocarcere.com, 2 maggio 2008

 

Mi è stato insegnato che bisogna difendersi nel processo. Nella mia esperienza professionale ho potuto verificare, però, che non sempre i mezzi a disposizione per la difesa tecnica garantiscono l’accertamento della verità in tempi ragionevoli. Anzi, la lentezza della macchina giudiziaria, le campagne mediatiche, l’opinione pubblica, finiscono per segnare, anche irrimediabilmente, la persona indagata.

È il caso di un imprenditore romano, Enzo Fregonese, titolare della Panaviation una società che operava nel settore del commercio di pezzi di ricambio per aeromobili con più di 15 dipendenti. Nei primi mesi del 2001 un’indagine giudiziaria della Procura di Tempio Pausania porta al sequestro dell’intera attività. Le contestazioni sono gravissime: tentato disastro aereo ed altro. È la prima indagine in Italia che ha ad oggetto la commercializzazione di materiale aeronautico. Gli inquirenti arrivano ad ipotizzare il coinvolgimento della Panaviation in molti disastri aerei nazionali ed internazionali (Genova, New York).

Scattano gli arresti domiciliari per il titolare della società, la figlia e due collaboratori, tutti immediatamente rimessi in libertà dal Tribunale del riesame di Sassari. L’imprenditore settantacinquenne, mai neppure sfiorato da un’indagine penale, protesta la sua innocenza, ma la lotta è impari. La Procura blocca l’azienda. L’imprenditore annaspa sino a quando è costretto a licenziare tutti i dipendenti.

Dopo quasi tre anni di indagini la Procura notifica ufficialmente le contestazioni circa una ventina di capi d’imputazione. Si arriva così alle scelte processuali, tra queste si opta per il patteggiamento. La scelta è quasi obbligata: o si affronta un lunghissimo dibattimento o si chiude. L’imprenditore, con grande sofferenza sceglie il patteggiamento anche perché l’accordo prevede una pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione per soli 4 capi d’imputazione mentre le restanti numerose contestazioni vengono archiviate. Vengono, altresì, archiviate le posizioni della figlia e dei due dipendente rimasti coinvolti nella vicenda giudiziaria.

A contorno di tutto ciò, viene disposto il dissequestro di tutto il materiale aeronautico, più di 80.000 pezzi. L’imprenditore vede la luce. Ma non è così! La campagna mediatica ha già prodotto conseguenze irreparabili. Tutti i quotidiani nazionali e le riviste internazionali del settore hanno dipinto Fregonese come "Belzebù". Nessuno gli da più fiducia. Lo sconforto è totale. Più volte Fregonese ha chiesto: "ma che giustizia è questa?", "Perché non ho diritto ad essere processato in tempi brevi?".

La lentezza della macchina giudiziaria è un dato che non accettava. Così come non accettava di essere considerato, dagli addetti ai lavori e dai cittadini comuni, un "appestato". Colui che avrebbe attentato alla sicurezza dei passeggeri. Era un cruccio troppo grande per chi aveva per oltre 40 anni lavorato con grande scrupolo e riconosciuta professionalità. Da tale cruccio Fregonese si è liberato nel momento in cui un terribile male lo ha colpito ed in breve tempo ne ha vinto le residue resistenze.

Mi è stato insegnato che bisogna avere fiducia nella giustizia. Ecco, lo ammetto, in questo caso la mia è stata un’illusione. Ancora peggio, però, è stato constatare come la gogna mediatica a cui è stato sottoposto Fregonese abbia finito per avere conseguenze ben più gravi di quelle prodotte dall’indagine penale.

È stato un continuo riportare, da parte dei mass-media, di notizie attinte dagli atti dell’indagine nonostante il segreto istruttorio. Ipotesi investigative, mai riscontrate, sono state riportate come fatti acclarati. Ed allora, è necessaria una seria riflessione sui rapporti indagine penale e mass-media per evitare che una dannata consuetudine diventi regola generale. Anche perché, diciamola tutta: l’indagine passa, la gogna mediatica resta.

Giustizia: Lele Mora; vi racconto l’indagine e gogna mediatica

 

www.radiocarcere.com, 2 maggio 2008

 

L’indagine

 

12 marzo 2007, Lele Mora è sottoposto a misura cautelare del divieto di espatrio su richiesta della Procura di Potenza. 16 marzo 2007, Mora è interrogato dal Pm di Potenza, dr. J. Woodcook. 30 marzo 2007, l’indagine sull’ipotesi di estorsione è trasferita a Milano. 24 aprile 2007, Mora è interrogato dal Gip di Milano. 27 aprile 2007, il Gip di Milano revoca a Mora il divieto di espatrio. 27 febbraio 2008, il Gup di Milano proscioglie Lele Mora dall’accusa di estorsione. 21 aprile 2008, nell’avviso di conclusione delle indagini notificato dal Pm di Potenza dr. J. Woodcook, non compare il nome di Lele Mora. Si profila una richiesta di archiviazione.

 

L’intervista

 

Come ha saputo di essere indagato?

Era la mattina del 5 dicembre 2006 e, mentre guardavo la rassegna stampa in tv, ho visto la mia faccia sbattuta in prima pagina sui giornali con una notizia sconvolgente.

 

Quale notizia?

Che ero coinvolto in un giro di ricatti per delle fotografie, in un giro di prostituzione, di droga, associazione a delinquere, chi ne ha più ne metta. Ero allibito.

 

Perché allibito?

Perché ero come un mostro sbattuto in prima pagina, senza sapere né il perché né per cosa. Mi sono sentito come se mi fosse passato sopra un caterpillar.

 

E poi?

L’12 marzo del 2007 un altro brutto risveglio. Alle 5 di mattina sento bussare alla porta. Mi sveglio e un po’ assonnato vado ad aprire. Davanti mi trovo 8 poliziotti in borghese che dicono: "È lei Mora Gabriele?" rispondo: "Si". "Dobbiamo perquisire la casa e dobbiamo consegnarle un mandato". Mi è crollato il mondo addosso. 8 poliziotti che vengono a casa tua a quell’ora, è ovvio che vengono ad arrestarti!

 

La reazione?

Una grande paura. I poliziotti entrano in casa e tirano fuori un plico molto grande con sopra il timbro della Procura di Potenza. Gli chiedo: "Mi arrestate?". E loro: "no, dobbiamo fare la perquisizione, notificarle la misura cautelare del divieto di espatrio e ritirarle il passaporto. Presto il Pm Woodcock la interrogherà".

 

La perquisizione?

Sono stati molto gentili. Hanno fatto tutto senza crearmi altri traumi. Cercavano, frugavano senza mettere troppo in disordine e sempre con rispetto per me che ero abbastanza sconvolto. Sequestrato qualcosa? Non hanno trovato nulla. Si sono portati via un computer.

 

Lele Mora come ha reagito?

I media erano il mio primo pensiero. Dall’indagine potevo difendermi, ma dalla stampa no. Pensi che proprio l’12 marzo dovevo andare a Roma, perché alla Rai c’era la prima puntata del programma di Alda D’Eusanio. Finita la perquisizione io ero a pezzi. Ero soprattutto terrorizzato per quello che avrebbero scritto e detto su di me. Mi sono fatto coraggio e mi sono detto: Lele prendi l’aereo e vai a Roma. Così sono uscito, ma arrivato all’aeroporto ero fissato da tutti, perché la notizia era stata già diffusa da giornali e tv, e la gente…

 

La gente?

Tutti mi guardavano come se fossi un mostro. Sembravano pensare: che fa questo in giro? Dove va? Ho provato un grande disagio.

 

E a Roma?

Arrivato alla Rai mi bloccano al cancello e non mi fanno entrare. Cosa mai successa prima. Mi è venuta a prendere Alda D’Eusanio e una volta entrati in Rai mi è piombato addosso un gruppo di telecamere per intervistarmi. È stato brutto. Ma era solo l’inizio.

 

L’inizio di cosa?

Della spettacolarizzazione dell’indagine che la riguardava.

È stato uno stillicidio. Ogni settimana usciva un articolo che mi descriveva come uno spacciatore, un magnaccia, un ricattatore, di tutto. Come se mi avessero già condannato, quando invece si trattava di fatti che erano in fase di indagine. Ma non solo. Spesso mi capitava di aprire un giornale e leggere notizie su di me parziali, per non dire distorte e colme di supposizioni. Questo significa distruggere una persona.

 

Le conseguenze?

Devastanti. Ho avuto momenti in cui ho pensato: perdo tutto. Tutti i sacrifici fatti in trent’anni di lavoro ora vengono distrutti da un’indagine che riguarda fatti che non conosco. Un’indagine sovraesposta su giornali e tv. Spesso ho provato tanta amarezza per cose meschine.

 

Tipo?

Che non mi facevano lavorare in Rai perché ero indagato.

Mentre prima mi chiamavano ogni giorno per far partecipare i miei artisti ai vari programmi, dopo l’12 marzo la Rai non mi ha più telefonato. Ma c’è di peggio, pensi che in Rai a molti dei miei artisti gli veniva detto: se vuoi lavorare qui devi dichiarare che non fai parte della scuderia di Lele Mora. Per me è stata molto, molto dura. Anche i telefoni hanno smesso di squillare. Se prima dell’indagine ricevevo una media di circa 300 telefonate al giorno. Invece durante le indagini sono scese a 10. Addirittura in alcuni giorni i telefoni erano proprio muti.

 

Parliamo di soldi. Quanto ha inciso questa indagine sui suoi guadagni?

Il danno economico è stato grande. In un anno di indagine abbiamo fatturato solo il 10% di quanto fatturavamo l’anno prima.

 

Ovvero?

Come dire: mentre prima ero un uomo da 50 milioni di fatturato all’anno, ora sono un uomo da 2 milioni all’anno. Le dico che per poter continuare a pagare i miei dipendenti ho venduto alcuni immobili. Ma l’ho fatto anche per dare un segnale all’interno dell’azienda. Cioè che bisognava andare avanti.

 

I colpevoli: i mass media?

È certo! Ho le prove, le lettere scritte dei clienti: "Causa l’indagine di Potenza si dichiara disdetto il contratto". Parlo di contratti importanti, da milioni di euro all’anno!

 

Non si sente corresponsabile di questo tipo di informazione urlata?

Beh, non solo l’unico a fare questo lavoro…

 

Ora, non faccia il reticente

No, le rispondo. In parte sono colpevole. Mi spiego. Nel senso che ho alimentato un sistema, quello del gossip, che vende e che crea personaggi. Ma la giustizia è un’altra cosa. Un’indagine penale non è un gossip, non è un varietà in tv. E un’informazione errata su un’indagine lascia macchie indelebili su una persona.

 

L’indagine ora sembra avviarsi verso l’archiviazione. Sente di aver subito un danno maggiore dall’inchiesta o dai media?

Nessun dubbio. Dai media. L’indagine poteva essere svolta diversamente. La perquisizione e il ritiro del passaporto forse potevano essere evitati. Ora, l’inchiesta ha seguito la sua strada e come era ovvio ha accertato la mia innocenza. Ma nessuno potrà cancellare le menzogne scritte sui giornali. Nessuno e nessun risarcimento mi restituirà ciò che ho perso. E non mi riferisco solo all’aspetto economico.

Giustizia: Ugl; allarme su sovraffollamento e carenza organico

 

Comunicato Ugl, 2 maggio 2008

 

Le elezioni che si sono tenute nei giorni 13 e 14 aprile u.s. hanno sentenziato una nuova maggioranza molto più forte di quella precedente che fa ben sperare per una stabilità di governo che ci auguriamo possa lavorare in direzione di un miglioramento complessivo dello stato della sicurezza, stante la storica propensione della compagine del centro destra verso tale importantissima tematica, fondamentale per lo sviluppo della società.

Nei giorni scorsi abbiamo assistito ad innumerevoli dichiarazioni sullo stato in cui versano le strutture penitenziarie, sottolineo che abbiamo assistito, perché sarebbe stato troppo facile avanzare richieste elettorali di ogni tipo a politici che cercavano il consenso. Oggi, finita la scia delle promesse elettorali, finalmente possiamo far sentire la nostra voce con la nuova maggioranza che governerà l’Italia, si spera per il prossimo quinquennio, per sottolineare lo stato drammatico in cui versano cronicamente le carceri, ma anche connesso all’aumento inarrestabile della popolazione detenuta.

Con un trend di circa 1.000 ingressi al mese, a settembre (e non a dicembre) saremo nuovamente sopra quota 60.000 detenuti ristretti, ovvero in uno stato di sovraffollamento che non è degno di nessun paese civilizzato. Il dato più allarmante è che l’effetto dell’indulto, che doveva dare respiro alle carceri, provvedimento che notoriamente l’Ugl non ha mai considerato risolutivo e come poi si è purtroppo constatato, fortemente limitante della sicurezza della società, è svanito e oggi siamo di nuovo allo stato di allerta, con le celle stracolme e carceri per osmosi diventate come quelle polveriere dove si maneggiano (con inadeguati mezzi strumentali, strutturali e organizzativi) fuochi artificiali che rischiano sempre di esplodere. Il 35% dei ristretti è costituito da detenuti stranieri, un’altissima percentuale è tossicodipendente, un’altra ha patologie che mettono a rischio la salute in particolare del personale addetto alla custodia, la Polizia Penitenziaria che è un vero e proprio baluardo dello Stato nella lotta impari alla rieducazione del reo.

In questo quadro assai compromesso riteniamo indispensabile chiedere al nuovo Governo un programma di interventi immediato e che affronti il problema carceri con provvedimenti straordinari e, soprattutto adeguando gli stanziamenti per la Giustizia, depauperati negli anni di oltre il 70 % delle risorse. Basta pensare che per l’anno in corso le risorse stanziate in finanziaria non saranno sufficienti neanche a soddisfare le ordinarie spese di manutenzione degli istituti, senza parlare delle dotazioni strumentali (quali sistemi di sicurezza e automazione) che dovrebbero essere adeguate alle attuali esigenze di sicurezza, mentre si assiste al progressivo invecchiamento di tutti i mezzi in dotazione anche per le traduzioni dei detenuti (blindati da rottamare già in uso ai Carabinieri prima del 95), che ormai registrano una percorrenza chilometrica che supera i 300.000 km.

Il tutto da contestualizzare con le carenze strutturali dei penitenziari esistenti (il 20% costruiti prima del 1500 e oltre il 50% prima del 900 ) che può ben far comprendere come siano urgenti provvedimenti adeguati. Si tratta di interventi necessari principalmente a ridare dignità alla detenzione, senza dimenticare di valorizzare il lavoro di chi con la propria azione garantisce la sicurezza della Repubblica. Si pensi alla riforma del Regolamento d’Esecuzione che prevedeva la detenzione in celle dotate di servizi privati ed in particolare di docce all’interno delle stesse, ancora oggi è una vera utopia, oltre che per la limitazione dovuta alla conformazione delle strutture esistenti, anche per la spesa che ciò comporterebbe, sicché sono poche le carceri che hanno potuto usufruire di fondi adeguati per ristrutturare alcune sezioni detentive, mentre la maggior parte delle docce sono quasi da terzo mondo.

L’allarme sovraffollamento non è da sottovalutare e deve riguardare tutta la società, un problema che va affrontato a nostro avviso come un problema non solo dell’Italia ma di tutta l’Europa, essendo la nostra Nazione la porta del vecchio continente che più risente del confine con i paesi dove la popolazione che fugge, a causa dello stato di indigenza, è costretta a delinquere per sopravvivere. Fermo restando la certezza della pena, ad avviso dell’Ugl va modificato il funzionamento della macchina della giustizia, troppo lento, e occorre anche una profonda modifica del codice penale che porti ad una progressiva depenalizzazione dei reati che non creano allarme sociale, ipotizzandosi, per contro, un annullamento o la riduzione degli sconti di pena a chi reitera gravi reati (quali ad esempio quelli connessi alla pedofilia, allo stupro, ai sequestri di persona, oltre ai reati associativi e terroristici).

È una cura necessaria che non può più essere rinviata, ma oltre a ciò va riconsiderato anche l’uso del braccialetto elettronico, che potrebbe far aumentare il ricorso a diverse modalità di esecuzione della pena, sempreché si risolvano i problemi connessi alla eseguibilità delle misure restrittive in caso di mancato rispetto temporaneo delle prescrizioni. Un altro nodo da sciogliere è quello delle carcerazioni brevi, ovvero del transito nei penitenziari di soggetti che vengono rimessi in libertà dopo neanche una settimana o al massimo dopo dieci giorni. Si tratta di un numero che porta a più di 90.000 i detenuti che "transitano" annualmente all’interno delle carceri italiane anche a causa delle lungaggini nella conferma della misura restrittiva da parte delle autorità giudiziarie (ad esempio per l’udienza di convalida dell’arresto davanti al Gip o per il riesame della misura di custodia cautelare da parte del Tribunale della Libertà), che in certi casi potrebbe avvenire prima ancora dell’arrivo dei soggetti nelle strutture penitenziarie, potenziando eventualmente le camere di sicurezza delle stazioni delle forse dell’ordine che hanno proceduto all’arresto.

Non si può pretendere che la macchina dell’Amministrazione Penitenziaria, si ingolfi per gli adempimenti iniziali connessi all’ingresso in istituto, che rappresentano un momento delicatissimo. Una serie di operazioni altrimenti non necessarie. Quando si scrive che è opportuno un coinvolgimento dell’Europa, si pensa anche all’ipotesi di adottare un sistema teso a nazionalizzare la detenzione di detenuti comunitari, ricordando che la presenza dei detenuti stranieri ha un incidenza significativa rispetto agli anni passati (dal 10% degli anni ottanta, al 35-40% della popolazione detenuta attuale).

Nazionalizzare la detenzione potrebbe essere una soluzione perseguibile attraverso un adeguamento della normativa comunitaria e in tale direzione si solleciterà il nuovo Governo affinché studi la possibilità di richiedere l’intervento del Parlamento europeo. Unitamente alla ricerca di soluzione di tali ed importanti problematiche non meno importante la necessità di migliorare la qualità del lavoro del personale di Polizia Penitenziaria, ridotta a livelli di insopportabilità tali da avere causato solo negli ultimi mesi ben quattro suicidi. Svolgendo la funzione di verifica della salubrità dei posti di lavoro, prevista dall’attuale normativa contrattuale l’Ugl ha appurato in più occasioni carenze organiche endemiche in quasi tutte le strutture visitate (tra cui recentemente quelle di Milano, Roma, Viterbo, Bologna ecc., ecc.). Ma il fatto che il personale sia insufficiente è un fatto noto a tutti visto che non può non risaltare agli occhi anche di parlamentari spesso in visita negli istituti, che avranno avuto modo di constatare la presenza sotto la soglia minima di sicurezza degli agenti nelle sezioni detentive.

Del resto i servizi espletati dalla Polizia Penitenziaria, ormai sono molteplici e altri vorremmo fossero affidati in relazione alla specifica funzione istituzionale del Corpo, ad esempio, rispetto all’esecuzione penale esterna, ma occorre ridefinire le piante organiche che ad oggi sono bloccate ad un contesto in cui molte delle attuali attività istituzionali non erano ancora state assegnate al Corpo di Polizia Penitenziaria.

È un dato di fatto che il personale di Polizia Penitenziaria, sta attraversando una fase molto delicata e l’aumento dei suicidi è strettamente connesso a questioni riconducibili ad uno stato di stress e di disagio che affiora appena, come una punta di un iceberg. Si tratta di un disagio legato anche allo scollamento che c’è tra chi dirige e il personale stesso, infatti esiste un problema di fondo nella strutturazione delle gerarchie che compongono l’amministrazione penitenziaria, che da un lato vede figure non appartenenti al Corpo dirigere gli istituti e dall’altro la sicurezza affidata a funzionari del Corpo il cui potere organizzativo e funzionale non viene valorizzato.

È sostanzialmente per questi motivi che riteniamo si debba seriamente discutere con il nuovo Governo di una profonda modifica della Legge di riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria (L.395/90), costituendo una Direzione del Personale di Polizia Penitenziaria diretta da Dirigenti provenienti dall’interno del Corpo stesso. È il personale stesso che lamenta demotivazione rispetto ad un’assenza certa di punti di riferimento. In tutto questo "caos calmo" (ci si consenta la citazione cinematografica) neanche più tanto, è incalcolabile l’effetto che provocherà il passaggio della Sanità Penitenziaria alle Asl. Sia ben chiaro che l’Ugl ritiene fondamentale un miglioramento dell’assistenza sanitaria nei confronti dei detenuti ristretti, ma c’è il forte rischio che aumentino le esternalizzazioni delle cure con conseguente carico di lavoro per i Nuclei Traduzioni e Piantonamenti già molto sollecitati dalle Autorità Giudiziarie in innumerevoli traduzioni.

Ciò senza tener conto di quanti degli attuali addetti alle infermerie sceglieranno di non somministrare più i medicinali ai soggetti ristretti e opteranno per essere impiegati fuori dalle strutture penitenziarie. La prospettiva è che a farlo non sarà personale esperto ma unità assunte a termine con le conseguenze che ben si possono immaginare. In definitiva riteniamo che l’emergenza carceri sia solo all’inizio del percorso che lentamente porterà all’implosione dei problemi. Certo è che allo stato attuale non è anormale che si trovi una motosega in possesso di un detenuto o che si sequestri un agente (fatti successi a Bologna). Altro non è che la conseguenza di uno stato di difficoltà a gestire un numero così alto di detenuti, con le esigue risorse umane disponibili che rendono necessario ridurre i livelli di sicurezza.

Ma questi sono solo gli episodi più eclatanti di cui paga le conseguenze il personale di Polizia Penitenziaria, mentre oggi ancora nulla si può fare rispetto alla cancellazione del reato di oltraggio, di cui pure continueremo a chiedere la reintroduzione. Confidiamo quindi nella sensibilità del nuovo governo al quale sin d’ora chiediamo con forza di affrontare il "problema carcere" nel suo complesso, con la stessa incisività con cui si intendono affrontare altri problemi contingenti del Paese. In conclusione, occorrono risorse per costruire nuove strutture che garantiscano la dignità dei ristretti ripristinando il rapporto detenuto/spazio previsto dalle direttive del Ministero della Salute e che siano adeguatamente automatizzate per ottimizzare l’impiego del personale.

Occorre anche che il Governo stanzi risorse idonee ad adeguare gli ambienti ricreativi dedicati al personale di Polizia Penitenziaria, che è costretto a lavorare lontano dalle proprie famiglie e vivere per giorni in caserme vetuste e in ambienti di lavoro che non ne salvaguardano la salubrità, oltre a misure per l’edilizia agevolata al fine di ricongiunge le famiglie. È con questa speranza che attendiamo il nuovo Ministro per dare come sempre il nostro contributo in favore della funzione che lo Stato deve esercitare per garantire la sicurezza della Repubblica.

Lazio: Stefano, Mihai e Orazio, 3 detenuti morti in sette giorni

 

Liberazione, 2 maggio 2008

 

Sono morti nel giro di una settimana all’interno di tre carceri del Lazio, Frosinone, Viterbo e Regina Coeli, ed avevano una cosa in comune: erano affetti da gravi problemi psichici. La notizia del duplice decesso è stata resa nota dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni.

Stefano M., 40 anni, invalido al 100%, è morto la notte tra il 22 e il 23 aprile a Regina Coeli dove era da un anno in custodia cautelare. Stefano (con diversi ricoveri in ospedali giudiziari alle spalle) aveva avuto comportamenti aggressivi verso se stesso e verso gli altri e, per questo, dopo essere stato anche ricoverato in osservazione psichiatrica.

Orazio I., 35 anni, tossicodipendente, era arrivato nel carcere di Frosinone, proveniente da Regina Coeli, il 5 aprile scorso. È stato trovato senza vita l’altro ieri mattina nel reparto d’isolamento. Subito dopo essere arrivato a Frosinone, aveva avuto comportamenti violenti e aggressivi, tentando più volte di farsi del male da solo e dando fuoco alla cella.

Si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. È accaduto nella tarda serata di ieri l’altro a Mammagialla. Vittima Mihai, un giovane romeno (era nato il 1° gennaio dell’88) residente nella Tuscia che era detenuto nel carcere viterbese dove doveva scontare un breve periodo di pena per una tentata rapina. Sentenza emessa dal Tribunale di Viterbo alla quale il giovane si era appellato.

Verso le 21 la macabra scoperta. Gli agenti addetti al controllo passando nuovamente davanti alla sua cella e non vedendolo sul letto hanno voluto vederci chiaro. Un ulteriore controllo da un altro spioncino ha permesso di constare che il ventenne romeno giaceva esanime con un laccio ricavato dal lenzuolo intorno al collo.

I soccorsi sono stati immediati ma per il poveretto non c’era più nulla da fare. Dopo le formalità di rito, protrattesi fino a notte inoltrata, la salma del giovane detenuto è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale di Civita Castellana dove, su disposizione del magistrato inquirente, verrà eseguita l’autopsia. Un gesto inatteso quello di Mihai che ha colto di sorpresa tutti quelli che lo conoscevano come una persona molto tranquilla. E anche a Mammagialla non aveva mai creato problemi a nessuno.

Lazio: infermieri penitenziari; "no" ai malati mentali in carcere

 

Ristretti Orizzonti, 2 maggio 2008

 

Nel vostro notiziario di ieri, ho letto la notizia di due morti nelle carceri laziali nell’ultima settimana; detenuti affetti da problemi psichiatrici che, a detta del Garante, non avrebbero dovuto essere nelle carceri, sostenendo che le cose avrebbero potuto essere diverse se fossero stati curati dai servizi territoriali e non carcerari, e che pertanto è necessario accelerare il passaggio della Sanità Penitenzieria nel Ssn.

Nel leggere la notizia, sono logicamente rimasto dispiaciuto perché nella mia logica politico-religiosa non mi auguro la morte neanche del mio peggior nemico, ed essendo, oltre che infermiere in attività presso il carcere di Velletri anche un infermiere psichiatrico, tali fatti mi addolorano anche di più, ma non posso fare a meno di obiettare a ciò che ha affermato il Garante per due ben precisi motivi: che non si può addossare la responsabilità di una morte per suicidio ad un Servizio Sanitario di qualunque natura esso sia (Penitenziario o Ssn) e che dovrebbe informarsi di più sui servizi di salute mentale territoriali (specialmente nel Lazio) prima di affermare che avrebbero potuto agire diversamente; che l’individuo dentro il carcere viene messo e tenuto da Giudici, e che pertanto occorrerebbe agire sulle leggi tenendo però ben presente che: o ci sono leggi che non permettano neanche l’accesso in carcere a persone malate, o, altrimenti, è necessario continuare a mantenere ben efficiente l’assistenza sanitaria all’interno del carcere in quanto, con le attuali normative, il malato cui viene privata la libertà entra comunque in carcere e necessita di quanto di meglio in attesa che vengano avviate le procedure, anche di natura medico legale, per rimetterlo in libertà.

 

Sandro Quaglia, Sindacato Autonomo Infermieri

Bologna: il Garante; 1.080 detenuti, la Dozza sta scoppiando

 

Il Domani, 2 maggio 2008

 

In questi giorni la media delle presenze al carcere di Bologna è di circa 1.080 persone (circa 40 le donne per i lavori di ristrutturazione in corso), in crescita costante, di cui il 70% stranieri e il 30% tossicodipendenti . Meno di 200 i condannati in via definitiva , tutti gli altri ancora in custodia cautelare. Coesistono varie tipologie di detenuti, da chi è quasi di passaggio, con periodi inutili e dannosi di brevissime carcerazioni, con un turn-over di migliaia di persone all’anno che impone uno sforzo di accoglienza oltre ogni possibilità, e di cui è difficile capire il senso, alla presenza di ergastolani, ai ristetti in alta sicurezza, che vivono in regime differenziato, alla sezione dei protetti e degli autori di violenza sessuale.

Un mondo articolato e complesso, con poche risorse, al limite della sopportazione numerica, a cui non è più possibile far fronte, è bene dirlo con chiarezza. I 10 metri quadri destinati a 3 persone costituiscono violazione dei diritti umani, e le relazioni della Usl hanno costantemente segnalato il problema del sovraffollamento.

Nonostante i molti sforzi e i risultati raggiunti per migliorare le condizioni di vita, la struttura resta fatiscente, bisognosa di interventi strutturali, a cui solo in parte potrà porre rimedio l’ordinanza sindacale in tema di igiene e sanità, la cui attuazione andrà attentamente monitorata, e che ha fotografato una realtà non certo edificante.

Nelle altre carceri dell’Emilia Romagna la situazione rispecchia lo stesso andamento, con presenze ormai in misura identica a quello del periodo prima del tanto vituperato provvedimento di indulto, che ha impedito che il sistema carcerario andasse in corto circuito con conseguenze disastrose. A questo problema si è promesso di rispondere con il trasferimento di un numero importante di detenuti, circa 200, da Bologna in altri istituti, che soprattutto al Sud appaiono ad oggi meno caratterizzati dal sovrannumero inaccettabile di quelli delle grandi aree urbane. Il rimedio però a volte appare peggiore del male, se i trasferimenti avvengono in palese violazione di una norma, l’art. 42 O.P., che impone di tener presente quali criteri di assegnazione delle sedi la vicinanza con la famiglia, e ragioni di studio, lavoro e allontanano i detenuti dal luogo dove poi torneranno per reinserirsi interrompendo percorsi trattamentali utili per il reinserimento nel territorio.

Questo dimostra la difficoltà di affrontare il problema a causa della mancata approvazione delle riforme legislative che avrebbero dovuto ridurre le presenze in carcere, senza prospettive di risoluzione, se è vero che le riforme già preannunciate nella nuova legislatura appaiono indicare la strada, speriamo solo apparente, dell’aumento della carcerizzazione, della costruzione di nuove carceri non per sostituire quelle esistenti, quasi tutte in condizioni inaccettabili, ma per ospitare nuovi reclusi, a prescindere dalla verifica della congruità della sanzione detentiva rispetto alle condotte contestate.

La stessa amministrazione penitenziaria, in uno studio recentissimo, ha reso noto che solo un quarto delle celle degli istituti penitenziari è regolamentare, a distanza di otto anni dall’approvazione di quel regolamento di esecuzione che imponeva di adeguare entro cinque anni dall’emanazione (avvenuta nel 2000) le strutture esistenti a norme igienico-sanitarie adeguate.

Peraltro anche da un punto di vista economico non solo la costruzione di nuovi istituti in aggiunta comporterebbe oneri finanziari e-normi, se si pensa che il costo che lo stato affronta per un detenuto è di circa 250 euro al giorno, di cui solo uno-due destinati al vitto. La costruzione di nuove carceri in sostituzione di quelle impraticabili, e la ristrutturazione di quelli esistenti, dove possibili, è un fatto scontato: preoccupa invece la indicazione di dover costruire ulteriori istituti per far fronte ad un incremento della popolazione carceraria che si ritiene inarrestabile, ben sapendo che, anche in questi anni, l’aumento delle presenze non ha migliorato né la percezione della sicurezza da parte della collettività, né in concreto ha inciso sulla diminuzione di comportamenti recidivanti, su cui ha inciso in modo importante la presa in carico del detenuto attraverso le misure alternative, anche queste messe in discussione nonostante i risultati straordinari da tutti riconosciuti.

Varese: educare a legalità; il diritto a scuola, i diritti nella vita

 

www.varesenews.it, 2 maggio 2008

 

Legalità attraverso l’educazione: è questo il tema di un progetto che il liceo Sacro Monte cura da ormai due anni. L’iniziativa è nata su alcune sollecitazioni giunte con un documento del luglio 2006, a cura di due ministeri congiunti, quello di Grazia e Giustizia e quello dell’Istruzione.

Con questo documento si invitavano i docenti a realizzare iniziative che potessero da un lato avvertire del rischio continuo, da parte dei giovani, della caduta in gesti illegali e pericolosi e dall’altro di formare una mentalità solidale e aperta all’integrazione.

Nell’anno scolastico 2006-2007 gli studenti delle classi terze e quarte hanno compiuto un percorso avviato con un questionario anonimo sui comportamenti illegali e proseguito con conferenze e lezioni che hanno portato a conoscenza del mondo del reato e della detenzione.

Il tutto si è concluso con una visita alla casa di reclusione di Milano Bollate, incontro inteso come momento non certo di curiosità, ma di conoscenza e di scambio di opinioni con alcuni detenuti. Un gruppo più ristretto di questi studenti ha chiesto durante l’anno scolastico 2007-2008 di continuare e approfondire questa conoscenza.

Si è così realizzato un cineforum in quattro tappe, il sabato pomeriggio, dal titolo: "Liberi dentro". Dentro alle coscienze, se possibile, per gli studenti. Dentro al carcere, se possibile, per i detenuti. In questo stesso anno scolastico altre scuole hanno compiuto percorsi in questa direzione. Gli alunni di una classe quarta del liceo Tenca di Milano, per esempio, hanno trascorso un’intera giornata al tribunale minorile.

Gli alunni delle classi quarte e quinte del liceo Leone XIII di Milano hanno vissuto esperienze di gioco, ogni giovedì sera, all’istituto Beccaria di Milano. Dall’incontro dei docenti coordinatori è nata l’idea di far incontrare questi ragazzi, per uno scambio di esperienze, un confronto di motivazioni, una verifica dell’impegno svolto.

Il tutto porterà al convegno "Il diritto a scuola i diritti nella vita" che si terrà al liceo Sacro Monte sabato 10 maggio dalle ore 16 alle ore 18. Interverranno i docenti, accompagnati dagli alunni che hanno partecipato ai differenti progetti. Il convegno è aperto alla città È possibile prendere contatti con il docente referente prof. Paola Saporiti: 347.093113; 0331.275480.

Bolzano: ginnastica alle 6 di mattina per magistrati e impiegati

 

Corriere Alto Adige, 2 maggio 2008

 

Cuno Tarfusser passa dalla toga alla tuta. Il Capo della Procura promuove il progetto "Giustizia snella": due volte alla settimana di corsa davanti al Tribunale.

Dalla toga alla tuta, il capo della Procura Cuno Tarfusser, che di recente ha ottenuto dall’ex ministro Clemente Mastella la certificazione di qualità dell’Unione Europea per il lavoro dei suoi uffici, è tra coloro che aderiscono al progetto "Giustizia snella".

Di cosa si tratta esattamente? Con questo slogan il Tribunale ha lanciato non un programma centro le pastoie della giustizia, ma un progetto per la salute che dichiara guerra a pancia, pancetta, maniglie dell’amore. "In questo nuovo clima improntato all’efficienza che siamo riusciti a creare in Procura - assicura il procuratore - si è rafforzato anche lo spirito di squadra: i collaboratori sono pieni di iniziative. L’idea è venuta ad un nostro collaboratore, Urbano Ferrazzi, grande sportivo, maratoneta e fondista".

Appuntamento, due volte alla settimana: lunedì e giovedì, purché non piova. Alle sei di mattina ci si trova davanti al palazzo del Tribunale in tenuta da jogging e con i bastoncini da nordic walking: una disciplina, praticata da tempo nei Paesi nordici, che consiste nel camminare a passo veloce impugnando gli appositi bastoncini per mettere in gioco oltre alle gambe anche le braccia.

Il percorso è di cinque chilometri. Si attraversa corso Italia e da via Amba Alagi si arriva direttamente sui prati del Talvera. Un’ora di esercizi. Doccia e poi di corsa in ufficio. "Al momento - spiega Ferrazzi - siamo solo cinque-sei ma il numero è destinato ad aumentare. La prova costume si avvicina e tutti vogliono essere in forma per quell’appuntamento. Comunque sono soddisfatto, perché proprio in questi giorni abbiamo totalizzato 100 chilometri da gennaio ad oggi".

E della squadra non poteva non far parte anche il capo della Procura: "Sono abituato a svegliarmi presto e quando, posso sono anch’io della partita. Un po’ di sana attività fisica al mattino contribuisce a migliorare le prestazioni sul lavoro".

Non tutti però concordano con questa teoria. C’è anche chi sostiene che la sveglia anticipata riduce l’efficienza in ufficio e suggerisce di spostare gli allenamenti al pomeriggio. La cosa è fattibile perché i dipendenti del Tribunale in genere alle 14 finiscono di lavorare.

"In effetti - ammette Ferrazzi - si potrebbe fare anche il pomeriggio-sera: ho già una serie di richieste. Ma io quando sono partito ho puntato sugli orari che preferisco: ovvero, il mattino presto, il momento della giornata prediletto dai maratoneti".

Ma com’è nata l’idea? "Mi è venuta quando - spiega Ferrazza - l’ascensore del Tribunale è rimasto fuori uso per alcuni giorni: sembrava la fine del mondo. Dopo una rampa di scale c’era chi aveva già il fiato corto, di qui l’idea del progetto Giustizia snella".

Ancona: 19 detenuti di Montacuto interpretano la "Traviata"

 

Ansa, 2 maggio 2008

 

"La Traviata" interpretata da 19 detenuti del carcere di Montacuto ad Ancona. L’opera è stata realizzata grazie alla Fondazione del Teatro delle Muse, che l’ha inserita nel suo ultimo cartellone lirico e andrà in scena i prossimi 6, 7 e 8 maggio. Il dramma verdiano è stato rielaborato da Vito Minoia, docente di teatro di animazione all’Università di Urbino, a cui si è unito, nella riscrittura drammaturgia, Gilberto Popolo, detenuto a Montacuto e autore di racconti e romanzi.

L’opera sarà tutta interpretata al maschile e ruota intorno al rapporto conflittuale padre-figlio, già presente nel testo originale. Intitolata "Una storia antica", la Traviata dei detenuti anconetani si avvicina alla contemporaneità e multiculturalità.

Roma: i "Presi per caso" vanno in scena con "Recidivo recital"

 

Ansa, 2 maggio 2008

 

Nell’ambito del progetto "Teatro come strumento di educazione sociale", lo Stabile Teatro 7 di Roma ospiterà dall’8 al 18 maggio un spettacolo cinico e dissacrante sulla realtà del carcere firmato dai "Presi per caso" e dal titolo "Recidivo recital". Detenuti, ex, e non, racconteranno ironicamente storie, usi e consumi del carcere e del crimine sfatando alcuni falsi miti della triste realtà penitenziaria. In scena andrà una sorta di recital moderno dove la musica avrà notevole spazio e insieme ad elementi multimediali.

Immigrazione: Vaticano; rom e immigrati non vanno cacciati

 

La Repubblica, 2 maggio 2008

 

"Rom ed immigrati non vanno cacciati. La Chiesa è sempre vicina a chi ha bisogno, agli ultimi ed ai più deboli. Ci auguriamo che i nuovi amministratori romani se lo ricordino". Il Vaticano ufficialmente finora ha taciuto sul brusco cambio di guardia del Campidoglio. Ma a qualche alto prelato non va proprio giù il giro di vite su campi nomadi e immigrazione annunciato dal neo sindaco Gianni Alemanno.

Come rivela il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto della Congregazione vaticana per le Cause dei santi, il quale, oltre ad esprimere "rispetto per l’esito del voto", ricorda "ai nuovi amministratori che cacciare i poveri non è la via giusta da seguire". Particolare messo in risalto, non a caso, anche dal giornale della Santa Sede, l’Osservatore Romano che nel dare la notizia della vittoria di Alemanno in prima pagina cita anche "gli sgomberi degli 85 campi rom". Nega, pure, Saraiva Martins, che nella capitale sia esplosa una emergenza-sicurezza. "A Roma succede né più, né meno quello che succede nelle grandi metropoli, per cui è giusto dare serenità ai cittadini, ma non vedo emergenze".

Dello stesso parere, monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, che "in attesa di vedere le prime mosse dei nuovi amministratori romani", ricorda che "le attese dei cattolici romani sono sempre quelle per le quali nel corso degli ultimi 15 anni hanno ben lavorato in sintonia e in buona armonia le giunte Rutelli-Veltroni e il variegato mondo associativo cattolico capitolino".

Attese che - avverte Nozza - "pongono sempre al centro della loro attenzione poveri, ultimi, anziani, ammalati e immigrati". Ecco perché, il settimanale Famiglia Cristiana titola l’editoriale sul ballottaggio, "Stacchiamo gli assegni delle promesse elettorali", augurandosi che, qualora si faccia un ministero della Famiglia, non sia "di copertura, per illudere le aspettative dei cattolici", ma affronti grandi priorità come "lavoro, fisco, casa, aiuti".

Luigi Alici, presidente dell’Azione cattolica (in congresso dall’1 al 4 maggio), da parte sua dice che "l’Associazione si riserva di giudicare i comportamenti dei nuovi eletti sulla base delle loro scelte perché non siamo sul libro paga di nessun partito" e denuncia che la società italiana è ormai "vittima del virus dell’individualismo". Il Sir, l’agenzia stampa della Cei, invita, infine, "il nuovo governo e i nuovi amministratori a riportare al centro dell’attenzione i principi dell’identità italiana a partire dalla famiglia fondata dal matrimonio tra un uomo e una donna".

Usa: detenuto ingiustamente per 27 anni, test dna lo scagiona

 

Apcom, 2 maggio 2008

 

"Abbiamo sempre pensato che questa prova non reggesse", ha sottolineato Natalie Roetzel, il direttore di Innocence Project in Texas. Cosa ancor più grave per Woodard, elementi che lo avrebbero potuto scagionare al momento del processo non furono mai trasmessi alla difesa. La notte dell’omicidio, Beverly Ann Jones fu infatti vista da un certo Theodore Blaylock, mentre saliva su un’automobile insieme a tre uomini che il testimone non fu però mai in grado di descrivere. Un anno dopo, Blaylock fu a sua volta ucciso da una donna che tentava di violentare nella sua automobile. La sua testimonianza non fu mai presa in considerazione dall’accusa: una palese violazione della procedura, ma che non è passibile di sanzioni secondo le leggi del Texas.

Nel luglio 1981, Woodard fu dunque condannato all’ergastolo per violenza sessuale e omicidio per strangolamento. Da allora, ha inoltrato sei richieste di revisione del processo e due di test del dna, senza successo. I "suoi ricorsi furono talmente numerosi che fu accusato di approfittare del sistema", ha sottolineato Natalie Roetzel.

È al programma realizzato dal nuovo procuratore distrettuale, Craig Watkins, che Woodard deve la risoluzione del suo caso. Fin dalla sua elezione, questo ex avvocato organizza un programma in collaborazione con "Innocence Project" che permette a studenti di diritto di riesaminare casi di colpevolezza dubbi. La perseveranza di un giovane studente ha consentito a Woodard di vedere alla fine accettata una delle sue richieste di esame del dna. Inequivocabili i risultati: non poteva essere lui né il violentatore né l’assassino della sua amica.

James Woodard è il 216esimo condannato a essere stato scagionato grazie a un test del dna. È il 18esimo considerando la sola contea di Dallas, che detiene il record del numero di detenuti scagionati dopo questo esame."Questo non vuole inevitabilmente dire che la contea ha commesso il numero più cospicuo di errori giudiziari, ma che oggi il suo sistema per scoprirli è più efficace", ha indicato però Natalie Roetzel.

All’uscita dal tribunale, martedì, James Woodard ha alzato le braccia in segno di vittoria. "Quello che ho realmente desiderio di fare, è respirare una bella boccata di aria fresca". Avrà diritto a 50.000 dollari all’anno per l’ingiusta reclusione. "Ma il governo preleva il 43 per cento di imposte", ha sottolineato Natalie Roetzel, "alcuni innocenti preferiscono rinunciare a questa somma e perseguire lo stato per danni e interessi".

Gran Bretagna: polizia; no punizioni più severe per marijuana

 

Notiziario Aduc, 2 maggio 2008

 

Il governo britannico intende considerare la cannabis una droga pericolosa, passandola alla categoria "B"; ma i vertici della polizia, afferma oggi The Guardian, non intendono modificare le procedure che adottano attualmente nei confronti di chi detiene questa droga per consumo personale. Nel 2004, la cannabis era stata "declassata" a droga di tipo C, la stessa categoria dei tranquillanti. L’esecutivo di Gordon Brown ha dichiarato che intende riportarla alla categoria B che fu creata nel 1971 appositamente come stadio intermedio fra le droghe "leggere" e quelle "pesanti" come l’eroina (categoria A).

Attualmente, chi viene trovato in possesso di cannabis per consumo personale si vede confiscare la droga e riceve un "avvertimento" ma non viene portato in commissariato. L’Associazione dei Dirigenti di Polizia (Acpo) ha confermato ieri al Guardian che intende continuare con questa prassi. Il Guardian cita diverse voci contrarie alla riforma, fra cui quella di Roger Howard, già consulente del governo e ora presidente della Uk Drug Policy Commission, organo indipendente che studia le strategie in materia di lotta agli stupefacenti. Secondo Howard "al passaggio della cannabis in classe B non corrisponderanno nuovi poteri o nuove risorse per la polizia". A suo parere, la decisione non manderà poi nessun "messaggio" utile ai giovanissimi: nei 4 anni in cui la cannabis è stata in classe C, afferma Howard, il numero di ragazzini in età scolare che vogliono provare lo spinello si è dimezzato.

 

 

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