Rassegna stampa 13 maggio

 

Giustizia: 45 suicidi, 2 omicidi, 76 morti per "cause naturali"

 

Ansa, 13 maggio 2008

 

È allarme aggressioni tra i detenuti nelle carceri italiane: nel 2007 sono state 2.093, con un risultato di 2 morti e 2.091 feriti. A queste si aggiungono 202 manifestazioni di protesta con 13.728 detenuti coinvolti, 45 suicidi e 610 tentativi di suicidio tra i reclusi. Settantasei detenuti sono morti per cause naturali, mentre sono stati 3.687 gli atti di autolesionismo e 3.726 gli scioperi della fame. Le evasioni sono state 107, e 1.004 gli atti di danneggiamento ai beni dell’amministrazione. Dodici, inoltre, i suicidi di agenti penitenziari in meno di un anno. I dati aggiornati al 30 aprile dicono che i detenuti nelle carceri sono 52.992: 50.706 uomini e 2.286 donne. Gli stranieri sono 20.096, il 37,73% del totale. In quattro mesi la popolazione carceraria è aumentata dell’8,8% e il 30% di chi ha beneficiato dell’indulto è tornato dietro le sbarre: 9.393 su 27.375 beneficiari. (Vedi anche il dossier "Morire di carcere" del 2008)

Giustizia: oggi un vertice ministeriale e il Decreto in Cdm il 21

 

La Repubblica, 13 maggio 2008

 

Una settimana di lavoro intenso e poi il ministro dell’Interno Roberto Maroni si dice pronto a far varare il pacchetto sicurezza dal Consiglio dei ministri che si terrà mercoledì 21 maggio a Napoli. La bozza dovrebbe essere messo a punto entro venerdì. Per preparare l’insieme dei provvedimenti - alcuni decreti e alcuni disegni di legge - oggi alle 16 si terrà a Palazzo Chigi un incontro tra i ministri interessati per un "giro d’orizzonte" sul provvedimento da adottare.

L’annuncio del ministro Maroni è arrivato dopo il discorso del premier Silvio Berlusconi a Montecitorio. Dopo i ministri, sarà la volta delle parti sociali, delle categorie di settore e di Marco Minniti, omologo di Maroni nel governo ombra. Nel pomeriggio di ieri il titolare del Viminale ha incontrato il sindaco di Roma, oggi sarà la volta di Letizia Moratti, primo cittadino di Milano. Giovedì mattina l’incontro clou: il ministro vedrà alle 11 il presidente dell’Anci e sindaco di Firenze, Leonardo Domenici.

Per venerdì la bozza sarà pronta e mercoledì della settimana prossima sarà portata in Consiglio dei ministri a Napoli per l’approvazione. A Palazzo Chigi saranno presenti il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, quello della Difesa Ignazio La Russa, il titolare degli Esteri, Franco Frattini e quello delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. "Metteremo sul tavolo le idee - ha spiegato Maroni - ascoltando anche le critiche come quelle di oggi di Beppe Pisanu, e poi nei giorni successivi mi occuperò di fare una sintesi e un testo da sottoporre al presidente del Consiglio".

L’intenzione di Maroni è quella di "portare il provvedimento, che per il carattere dell’urgenza sarà un decreto, in Cdm mercoledì a Napoli, direttamente per l’approvazione". Il titolare del Viminale ha annunciato che dopo i ministri ascolterà "i sindacati e Confindustria, poi i magistrati e i penalisti, la Caritas e le altre associazioni che si occupano di immigrazione" per poi arrivare a una proposta "entro venerdì". Tra gli altri, spiega Maroni, sentirà anche il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, perché la sicurezza "non riguarda solo l’immigrazione, ma anche la criminalità organizzata".

Maroni ha spiegato che sul tema sicurezza intende anche sentire Marco Minniti: "Il ministro ombra l’ho già sentito nei giorni scorsi, con Minniti abbiamo avuto uno scambio di opinioni. Ma lo risentirò senz’altro anche perché voglio sentire il suo parere sul provvedimento che stiamo studiando". Il ministro dell’Interno ha precisato di non considerare il suo omologo come un antagonista, ma come "una persona che ha interesse come me a fare le cose giuste per il paese, magari da una prospettiva diversa dalla mia. Da lui mi aspetto critiche ma anche contributi".

Giustizia: i 5 punti nel "Piano sicurezza" del ministro Maroni

 

La Stampa, 13 maggio 2008

 

Nel "pacchetto sicurezza" che la settimana prossima verrà discusso dal Consiglio dei ministri ci sarà anche un capitolo relativo alla criminalità organizzata. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nella conferenza stampa al Viminale seguita all’incontro con il sindaco di Milano Letizia Moratti. I capitoli del provvedimento - che oggi Maroni discuterà in un vertice a Palazzo Chigi con i colleghi della Difesa, della Giustizia, degli Esteri e delle Politiche comunitarie - saranno fondamentalmente cinque.

"Il primo - ha spiegato Maroni - riguarderà il contrasto all’immigrazione clandestina dai Paesi extracomunitari, il secondo la gestione dei rapporti con i Paesi neocomunitari, in particolare la Romania, il terzo il ruolo delle comunità locali, sindaci in testa e la prevenzione e gestione dei fenomeni criminosi".

Il quarto capitolo riguarderà "le sanzioni penali per alcuni nuovi reati, tra cui quello di immigrazione clandestina: punto, questo, che dovrà essere valutato con attenzione con il ministro della Giustizia". Quinto capitolo quello della "sicurezza legata alla criminalità organizzata, con una serie di provvedimenti urgenti tesi a migliorare la sicurezza dei cittadini".

Intanto, dopo il vertice con Letizia Moratti, arriva anche la prima delle soluzioni per il territorio milanese. "Entro la fine della settimana nominerò il commissario straordinario per l’emergenza rom" ha detto il numero due leghista. L’incarico sarà affidato al prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, che avrà poteri straordinari, come previsto nel Patto per la sicurezza per la città di Milano siglato nella precedente legislatura. La nomina del commissario straordinario, dopo la dichiarazione dell’emergenza rom nel capoluogo milanese nel marzo 2006, ha sottolineato il ministro Maroni, era "rimasta inattuata".

"Dopo due anni molto difficili in cui ho cercato il dialogo con le istituzioni senza vedere risultati concreti, ora si dimostra che la sicurezza è veramente una priorità per questo Governo: guardiamo quindi con sollievo a questa nuova fase" ha detto Letizia Moratti.

Giustizia: Pisanu; troppa improvvisazione, temo un disastro

di Guido Ruotolo

 

La Stampa, 13 maggio 2008

 

"Vedo tanta improvvisazione. E chi seriamente vuole fare qualcosa di concreto in tema di sicurezza e immigrazione rischia il fallimento. Perché con l’improvvisazione si creano grandi aspettative e grandissime delusioni". Non parla, ufficialmente. Si limita a un cortese "è troppo presto, aspettiamo di vedere il governo all’opera".

Chi ha modo di frequentarlo in questi giorni, assicura che "la sua delusione non deriva certo dal fatto che non sia diventato ministro, né tantomeno presidente del Senato, possibile candidatura bipartisan tramontata un minuto dopo i risultati elettorali". Sarà pure così, ma il silenzio di Beppe Pisanu, ex ministro dell’Interno, nasconde in realtà una grave preoccupazione. E in questi giorni, Pisanu si è limitato a dare risposte stringate a chi nella maggioranza lo ha sollecitato su temi a lui cari da ex ministro dell’Interno: sicurezza e immigrazione.

Insomma, i primi giorni del governo Berlusconi su questi temi, per Pisanu, sono segnati dall’"improvvisazione": respingimento in mare dei clandestini; sospensione del trattato di Schengen; reato di immigrazione clandestina; deportazione di rom e romeni; trasformazione dei Cpt in luoghi di detenzione. Al "caminetto" delle nuove idee e proposte che dovranno trasformarsi in decreti leggi e disegni di legge, Pisanu ha più volte inviato messaggi in controtendenza: "L’unica strategia efficace di lotta all’immigrazione clandestina - è stato il suo ammonimento - è l’uso intelligente dell’immigrazione regolare. Le altre sono solo misure parziali e alla fine inefficaci".

Proprio Pisanu, negli anni in cui ha retto il ministero dell’Interno, ha dovuto fronteggiare il flusso di migliaia e migliaia di clandestini che arrivavano dalla Libia. E più volte ha messo in gioco la sua credibilità nei confronti dei libici per neutralizzare le prese di posizione dei suoi alleati di governo, i leghisti ("Respingeremo i clandestini sparando cannonate...").

Adesso si riparla di respingimento in mare. E Pisanu avverte: "Quelli che attraversano il Mediterraneo sono i più disgraziati, uomini e donne senza nulla, neppure la dignità che hanno consegnato ai trafficanti. Loro sono le prime vittime di questo immondo traffico. E poi - ha spiegato Pisanu ai suoi interlocutori - quelli che arrivano via mare dalla Libia sono il 5-10% del totale dei clandestini che varcano i nostri confini nazionali".

L’ex ministro dell’Interno ironizza nei confronti degli sponsor di queste proposte: "A loro ricordo le convenzioni internazionali che obbligano tutti al soccorso in mare. In particolare la Convenzione di Montego Bay (10 dicembre del 1982, ndr) che è il verbo in tema di diritto internazionale del mare, e il cui principio ispiratore è la solidarietà. Non troveranno un comandante di una qualsiasi imbarcazione che rifiuterà il soccorso in acque internazionali, altro che accostare le navi di clandestini e farle girare la prua verso le coste da dove sono salpate".

Retate di rom e romeni, smantellamento di campi nomadi, espulsioni, sospensione del trattato di Schengen. Da ex ministro "dei diritti civili" (più che dalla sua cultura cattolica solidaristica), Beppe Pisanu lancia strali al vetriolo: "Sento argomenti e proposte discriminanti che nessun governo europeo potrebbe avallare. Lo Stato moderno è nato anche con il Trattato di Westfalia sulla libertà di andare e venire".

E a lui che ha studiato da ministro dell’Interno tutte le implicazioni del Trattato di Schengen, l’idea di una sua sospensione prolungata appare inverosimile: "Il trattato di Schengen si può sospendere al massimo per un tempo limitato, ripristinando così le frontiere intra-europee, in occasione di eventi particolari, come la visita di un Capo dello Stato, un meeting internazionale, come un G8. Come possiamo sospenderlo selettivamente, cioè solo per certi cittadini e non altri, per un tempo prolungato?".

Queste cose, Pisanu le ha dette ai suoi interlocutori. Ma evidentemente senza successo. Ed è forse per questo che il Pisanu politico sembra essere votato al silenzio. Troppo distante la sua posizione da quella di chi oggi chiede l’arresto dei clandestini e la trasformazione dei Cpt in centri di detenzione. "Io ho sempre pensato che la migliore arma per combattere la clandestinità è quella di una efficace e positiva politica di integrazione nei confronti degli immigrati regolari.

Ma, nello stesso tempo, è giusta una politica ferma e articolata di contrasto alle organizzazioni di trafficanti di merce umana e all’immigrazione clandestina, ma nel rispetto dei diritti umani, delle Convenzioni internazionali e naturalmente delle nostre leggi". Il suo successore, Giuliano Amato, ha sospeso il respingimento individuale dei clandestini alla frontiera, inviandoli nei paesi di transito, la Libia, che a sua volta provvedeva al rimpatrio verso i paesi d’origine.

Il Pisanu pensiero di oggi: "Forse ci vorrebbe uno sforzo in questa direzione: rafforzare gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine e di transito, perché questi accettino il rimpatrio dei loro concittadini". "Se l’Esercito può essere utile anche per compiti interni si vedrà, è una possibilità che al momento non mi sento di scartare perché la sicurezza nel Paese è prioritaria", dice il ministro della difesa Ignazio La Russa a "La Sicilia", ricordando "l’esempio positivo dei Vespri siciliani", quando i militari vennero impiegati nell’isola, in concorso alle forze di polizia, in una fase acuta dell’emergenza mafia.

"Un’operazione come quella c’è stata e può esserci ancora", aggiunge La Russa, precisando però che, "per la verità, nemmeno nel pacchetto sicurezza c’è al momento un’ipotesi del genere". È vero, continua il ministro, "l’Esercito viene impegnato per difesa esterna e non interna, ma non escludo nulla, bisognerà valutare con attenzione. Sulla sicurezza avremo un incontro con i ministri Maroni e Alfano e discuteremo anche di questa eventualità".

Giustizia: Bruno Contrada non chiederà più la scarcerazione

 

Ansa, 13 maggio 2008

 

Il Giudice di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, ha rigettato l’ennesima richiesta di scarcerazione per gravi motivi di salute di Bruno Contrada, detenuto nel carcere militare campano per scontare una condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno all’associazione. Secondo quanto annunciato ieri dallo stesso ex funzionario del Sisde quella respinta dal magistrato sarà l’ultima richiesta di differimento della pena avanzata dall’ex poliziotto per "motivi di dignità personale".

Il legale di Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera, contesta la decisione del giudice Della Pietra presa, sostiene, "nonostante un quadro clinico che fa letteralmente atterrire e impaurire" ed esprimendo "il concetto che può essere scarcerato solo il detenuto in coma irreversibile o malato assolutamente terminale". Il penalista si chiede "come mai non può essere scarcerato Contrada mentre gli arresti domiciliari per motivi di salute furono concessi a Erich Priebke, a Ovidio Bombressi prima della grazia e a Silvia Baraldini".

Cagliari: ala del carcere chiusa per consentire ferie di agenti?

 

Adnkronos, 13 maggio 2008

 

La proposta del direttore del carcere di Buoncammino Gianfranco Pala, che per rimediare alla grave carenza di Agenti di Polizia suggerisce di chiudere temporaneamente un’ala dell’Istituto di Pena, rappresenta il grave sintomo di una condizione insostenibile per gli operatori e un paradosso molto esplicito di un bisogno ineludibile e di un diritto negato.

Lo afferma in una nota la consigliera regionale della Sardegna, Maria Grazia Caligaris (Partito Socialista), componente della Commissione Diritti Civili, con riferimento all’esito di un incontro tra i vertici dell’amministrazione penitenziaria, il direttore e i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria per affrontare il problema della carenza di organici e delle 1.000 ore di ferie arretrate.

È evidente insomma - ha aggiunto Caligaris - che si tratta di una sorta di provocazione per evidenziare un disagio insopportabile. Se dovesse essere adottata la chiusura di un ala del Penitenziario per consentire agli Agenti di fruire delle ferie, peraltro un’esigenza legittima visto che molti non ne godono da oltre due anni, si creerebbero condizioni di totale invivibilità per i detenuti oltre che per gli stessi agenti. A Buoncammino, infatti, il numero dei detenuti rasenta ormai il limite e un’ala in meno significherebbe determinare un sovraffollamento insostenibile anche perchè nei mesi estivi si registra la massima insofferenza tra i ristretti soprattutto per quelli le cui condizioni di salute sono particolarmente delicate.

Quello del numero insufficiente di agenti - ha detto ancora l’esponente socialista - è un problema che deve essere affrontato e risolto dal Dap e dal Ministero considerando la realtà di ogni singolo Istituto Penitenziario dell’isola. L’eventuale razionalizzazione deve contemplare una rivisitazione delle assegnazioni tenendo conto anche delle donne-agenti che vivono una condizione ancora più difficile per l’esiguità del numero. Troppo spesso si dimentica che gli Agenti sono figure di garanzia per gli equilibri della galassia carcere sottoposti a un lavoro stressante e difficile per l’ambiente umano, sociale e fisico in cui operano. La loro carenza determina un aggravio di impegno con oggettive difficoltà a mantenere il controllo. Molti incidenti nelle carceri vengono evitati grazie agli Agenti.

In un periodo in cui il tema della sicurezza è sulla bocca di tutti - ha concluso Caligaris - bisognerebbe non trascurare quei luoghi dove non solo è indispensabile ma fondamentale. Uno sforzo in questo senso a partire da Buoncammino sarebbe necessario. Ritengo che in attesa dell’apertura delle nuove carceri, il Presidente della Regione potrebbe sollecitare al neo Ministro della Giustizia Angelino Alfano e ai vertici del Dap una specifica valutazione delle situazioni nei diversi Istituti dell’isola affinché il problema degli organici degli Agenti sia considerato anche in relazione ai detenuti. Un’applicazione del principio della territorializzazione della pena, previsto dall’accordo Regione-Ministero e da un ordine del giorno del Consiglio regionale, ridimensionerebbe infatti decisamente il numero dei ristretti nelle carceri sarde e quindi anche il carico di lavoro. Senza dimenticare che gli ammalati non devono stare nelle carceri.

Roma: Garante; vademecum in 6 lingue su malattie infettive

 

Roma One, 13 maggio 2008

 

Consentire ai detenuti della casa di reclusione di Rebibbia di avere un pratico strumento a disposizione per conoscere, ed eventualmente combattere, le malattie più diffuse e più pericolose in carcere: Hiv, Tubercolosi, Epatiti Virali e malattie psichiatriche. Sono questi gli scopi della Guida Informativa in Sei lingue (italiano, arabo, spagnolo, romeno, francese e inglese), intitolata " Conoscere e Prevenire", edita dal Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che lo stesso garante ha consegnato ai detenuti di Rebibbia.

La guida - che contiene anche un capitolo introduttivo intitolato "Vademecum del Nuovo Giunto" - è stata redatta in collaborazione con le Asl Rm B e Viterbo, con l’Ordine degli Psicologi del Lazio, la Simspe e l’Ospedale San Gallicano di Roma. L’opuscolo è composto da quattro capitoli. Il primo è un "Vademecum del nuovo giunto", gli altri tre sono dedicati alla "Malattia da Hiv in carcere", alla "Tubercolosi" e alle "Epatiti Virali". Per ognuna delle malattie sono indicate le informazioni di base, come ci si ammala, come si trasmette, come si manifesta, come si cura e sa come si previene. Infine, una indicazione sui Centri specialistici cui rivolgersi.

Alla consegna degli opuscoli ai detenuti erano presenti, oltre al Garante Marroni, il direttore del carcere Ricca e i rappresentanti dei Circoli Albatros Uisp, Cisdi, Aclu e del Polo scolastico.

Secondo i dati ufficiali in possesso del Garante, il 3,33% dei detenuti delle carceri del Lazio ha il virus dell’Hiv. Solo a Regina Coeli, Rebibbia e Civitavecchia, circa 3 mila persone sono seguite dal reparto di malattie infettive dell’Ospedale "Spallanzani" e di queste, il 6% ha l’Hiv. La maggior causa dell’infezione resta la tossicodipendenza. Inoltre, un rapporto della Società Italiana di Medicina e Sanità penitenziaria (Simspe) ha evidenziato che, su un campione di 1.300 detenuti su scala nazionale, più della metà della popolazione carceraria ha varie patologie. Tra queste oltre all’Hiv, la cifra più allarmante è il 17% di detenuti con patologie virali croniche fra cui l’epatite C. "Al di là del far conoscere più da vicino ai detenuti queste malattie - ha detto il Garante Regionale dei Detenuti Angiolo Marroni - questo vademecum serve anche a far capire all’opinione pubblica che i reclusi non sono solo un problema di sicurezza sociale, ma sono persone titolari di diritti, come quello alla salute, che non perdono una volta entrati in carcere "

Orvieto: disordini nel carcere, al via un’indagine ministeriale

 

www.orvietosi.it, 13 maggio 2008

 

Disordini in carcere, al via l’indagine ministeriale. È già arrivata, presso il carcere di Orvieto, la commissione ministeriale incaricata di seguire le indagini sulla presunta rivolta di detenuti extracomunitari che si sarebbe verificata la notte del 2 maggio dietro le sbarre di via Roma. All’interno della casa di reclusione sarebbero già partiti anche gli interrogatori al fine di appurare come siano andate effettivamente le cose.

Sui fatti in questione le versioni del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) e del direttore del carcere restano profondamente contrastanti e, in parte, lo sono anche quelle fornite dai vari sindacati. Simone Fanti, segretario regionale Osap (organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria) dopo aver ribadito lunedì la versione del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, vuol precisare infatti "di non aver avuto conoscenza diretta dei fatti accaduti all’interno del carcere". "Prima di esprimere ogni giudizio - ha dichiarato il dirigente sindacale - attendiamo con fiducia l’esito delle indagini ministeriali e giudiziarie.

Resta immutata, tuttavia, la richiesta di maggior attenzione per il lavoro dei colleghi di Orvieto". Intanto ieri, a sostegno della versione del Sappe che parlava di lamette di barba e minacce al personale è arrivata una nota congiunta di Sappe, Cgil - funzione pubblica e Si.a.l.po. Le associazioni sindacali si dicono "perplesse" per come il direttore Giuseppe Donato ha ridimensionato la vicenda. "È l’ennesima dimostrazione di indifferenza per le legittime aspettative del personale e per la salvaguardia della dignità e dell’incolumità propria e delle rispettive famiglie", dicono i responsabili sindacali Andrea Marchetti, Fabrizio Bonino e Luciana Cordoni rispettivamente per Sialpe, Sappe e Cgil.

I firmatari della nota, infine, tornano a chiedere con forza la rimozione del direttore della struttura orvietana parlando di frattura insanabile con il sindacato. Per anni il carcere di Orvieto ha avuto fama di una struttura modello, versione che il direttore, tramite il proprio legale, ha ribadito con decisione, riconducendo le proteste a vecchi rancori sindacali. La verità adesso è attesa dalla doppia indagine in corso: quella ministeriale e quella della magistratura. Autorità per le quali tutte le parti in causa hanno più volte manifestato la piena fiducia.

Bologna: il Garante promuove progetto "Galeotto fu il libro"

 

Comunicato stampa, 13 maggio 2008

 

L’Ufficio del Garante nei mesi passati si è fatto promotore, più volte, di campagne di sensibilizzazione della cittadinanza sulla necessità di integrare la disponibilità di libri e riviste presenti nelle 9 biblioteche della Casa circondariale della Dozza, alla quale accedono i molti detenuti presenti. In questo contesto, e con soddisfazione, vanno ringraziati tutti coloro che hanno mostrato sensibilità e vicinanza alle necessità delle persone ristrette.

È stato avviato in questi giorni il progetto "Galeotto fu il libro", promosso dall’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, con alcuni gruppi di lettura tra detenuti, attraverso i quali vengono stimolate osservazioni e puntualizzazioni sui vari aspetti che possono scaturire dalla lettura di un libro.

Nell’ambito del progetto alcune Librerie (Feltrinelli, Rizzoli, Iperborea, Terra di Mezzo, Instarlibri) hanno deciso di donare libri che, oltre ad arricchire le biblioteche del carcere, possono prestarsi in modo particolare ad interessanti spunti di riflessione. L’Ufficio del Garante, nei mesi passati, si è fatto promotore di campagne di sensibilizzazione della cittadinanza sulla necessità di integrare la disponibilità di libri e riviste presenti nelle 9 biblioteche della Casa circondariale della Dozza, alla quale accedono i molti detenuti presenti. In questo contesto, e con soddisfazione, vanno ringraziati tutti coloro che hanno mostrato sensibilità e vicinanza alle necessità delle persone ristrette.

Occorre inoltre tenere presente l’alta presenza di persone detenute di nazionalità straniera, la maggioranza delle quali di origine araba, che hanno spesso difficoltà a utilizzare libri in lingua italiana.

Nei mesi passati l’Ufficio del Garante ha diffuso un appello alla cittadinanza per il reperimento di libri in lingua araba da donare alla Casa circondariale della Dozza e al Centro di permanenza temporanea. Anche in questa occasione la risposta è stata positiva, ed infatti sono stati i donati al carcere un centinaio fra libri e riviste in lingua araba e una trentina di libri al Centro di permanenza temporanea. Le donazioni sono pervenute dal professore Fabrizio Bonoli, dell’Università di Bologna, dal Ministro di culto del gruppo volontari testimoni di Geova, sig. Scalise, e gli avvocati Gabriele Manca, Luisella Manca e Stefano Mannironi di Nuoro, ai quali va un profondo ringraziamento per la disponibilità e la sensibilità dimostrata, anche a nome dei detenuti. L’ufficio del Garante desidera inoltre ringraziare la Books International, alla quale va il merito di essersi inserita in questa gara di solidarietà offrendo la sua disponibilità a donare al carcere circa 400 libri in lingua inglese e francese per i detenuti stranieri.

L’ufficio del Garante ha già collaborato per la stesura di una convenzione tra la Sala Borsa e la Casa Circondariale della Dozza, attraverso la quale è stata avviata una procedura di prestito per permettere a qualsiasi detenuto del carcere bolognese di richiedere, in occasione di permessi premio, recandosi presso la Sala Borsa, il prestito di volumi presenti nel catalogo della Biblioteca comunale. Questa è stata sicuramente una conquista per il diritto all’informazione del detenuto e di incremento dei suoi potenziali strumenti di crescita personale.

Il diritto all’informazione nel mondo carcerario è puntualmente curato e approfondito da un quotidiano on-line "Ristretti Orizzonti" realizzato dall’Associazione di Volontariato "Granello di Senape Padova" in collaborazione con la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia e grazie al finanziamento della Regione Veneto, del C.S.V. di Padova e del Comitato di Gestione del Fondo Speciale per il Volontariato del Veneto.

Questo quotidiano si contraddistingue per la professionalità e per l’alto grado di approfondimenti che ospita nel suo sito, dal quale viene pubblicato un periodico bimensile denominato "Ristretti".

In ragione della alta qualità di informazioni che questo periodico può offrire alla popolazione detenuta e nello stesso tempo per offrire supporto a questo tipo di informazione nata dall’intenzione di volontari e detenuti di ampliare il più possibile la conoscenza dei vari aspetti del mondo carcerario, l’Ufficio del Garante si è impegnato nell’acquisto di 9 abbonamenti che verranno destinati alle biblioteche della Casa Circondariale della Dozza.

Il frutto degli sforzi e della solidarietà dimostrata hanno così portato ad un sicuro arricchimento degli strumenti che ogni detenuto potrà scegliere di utilizzare nel suo percorso di crescita personale.

Varese: detenuti partecipano a progetto educazione legalità

 

Varese News, 13 maggio 2008

 

"Non commettete i nostri errori e siate responsabili delle vostre azioni". Il messaggio che quattro detenuti del Carcere Miogni hanno trasmesso ai ragazzi dell’Isis di Varese si può riassumere così. L’istituto varesino ha aderito al progetto di "Educazione alla legalità" proposto dalla Casa circondariale di Varese in collaborazione con l’Ufficio Epe (Ufficio esecuzione penale esterna).

L’iniziativa è partita all’interno del carcere con un percorso formativo che ha portato i detenuti coinvolti a lavorare sul tema dell’adolescenza, della regolarità e del riscatto sociale. Lo staff del progetto - formato da Maria Mongiello, capo dell’Area Trattamentale, Rosario Arcidiacono, ispettore di Polizia penitenziaria, Antonella Tiso, Assistente sociale Uepe, Paola Rudilosso, esperta ex art.80 e Sergio Preite, agente di rete - ha incontrato un gruppo di venti allievi delle classi quarte dell’Isis che si sono iscritti al percorso di educazione alla legalità per prepararli al dialogo. "Il contatto tra il giovane e il detenuto è un’esperienza importante e diretta - ha spiegato il direttore del carcere di Varese, Gianfranco Mongelli -. Ascoltare i consigli di una persona che ha sbagliato e che sta pagando per i propri errori è un momento fortemente utile per un adolescente".

Le testimonianze e gli incontri sono stati alternati da momenti di lavoro con una psicologa e da lezioni - sul significato della pena, sulla struttura di Varese e sulle conseguenze di alcuni dei reati più diffusi - tenuti dagli uomini della polizia penitenziaria. Il progetto si chiuderà giovedì 15 maggio, con il concerto di Davide Van De Sfroos all’interno del carcere Miogni.

Palermo: ex detenuti in protesta bloccano portone municipio

 

Agi, 13 maggio 2008

 

Un centinaio di ex detenuti hanno protestato in piazza Pretoria a Palermo, davanti a Palazzo delle Aquile, sede del municipio. I manifestanti, che hanno lamentato la mancanza di lavoro, hanno impedito a dipendenti e utenti l’ingresso nel palazzo comunale per circa 2 ore. La protesta è rientrata poco dopo le 14. Gli ex detenuti hanno chiesto un incontro al sindaco. La polizia, i carabinieri ed i vigili urbani hanno presidiato gli ingressi per prevenire tentativi di entrare a Palazzo delle Aquile.

Immigrazione: 650mila i "clandestini" che hanno un lavoro

di Roberto Farneti

 

Liberazione, 13 maggio 2008

 

In Italia ci sono almeno 650mila immigrati che lavorano al nero perché clandestini, ma che non sono affatto dei delinquenti, come la destra vorrebbe far credere. Si tratta di persone oneste, che vorrebbero pagare le tasse e godere dei diritti di cittadinanza ma che non possono farlo a causa di una legge assurda che, di fatto, glielo impedisce, negando loro il permesso di soggiorno. Altro che il presunto "buonismo" della sinistra: basta guardare i dati del primo "censimento" dei clandestini sul territorio nazionale, resi noti ieri dal quotidiano Il Sole 24 Ore, per rendersi conto di quali disastri abbia prodotto in questi anni la Bossi-Fini.

A fare chiarezza è una indagine del Dipartimento di Demografia dell’Università Milano Bicocca realizzata sulla base delle 724mila domande presentate dai datori di lavoro italiani per il decreto flussi 2007. Viene fuori che gli stranieri presenti sul nostro territorio in maniera irregolare sono in media 11 ogni mille abitanti e che la capitale dei clandestini è Brescia "con 32 ogni mille abitanti - informa l’articolo - seguita a ruota da Mantova, con 30 e da altre otto città del Nord". Se però si passa a misurare il "tasso di clandestinità", ovvero quanti privi di permesso ogni cento immigrati presenti, la graduatoria si capovolge: al top salgono le città del Sud. Crotone e Messina comandano questa classifica con il 35-38%, mentre a Napoli uno straniero su tre (31,7%) è irregolare. Secondo la mappa, inoltre, la densità più elevata è in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Coglie la palla al balzo la destra per riproporre il ritornello dell’Italia "colabrodo d’Europa". Stefano Galieni, responsabile immigrazione del Prc, scuote la testa: "La presenza di migranti in Italia, nonostante il forte incremento degli ultimi anni, è ancora - ricorda Galieni - al di sotto della media europea". Quanto alla percentuale alta di irregolari, "essa è dovuta in gran parte - sottolinea il responsabile immigrazione del Prc - all’impossibilità per queste persone di regolarizzare la propria presenza in Italia. A conferma che è la legge Bossi-Fini che crea i clandestini".

Secondo Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, "oggi il miglior alleato dei trafficanti di immigrazione clandestina è chi propone un irrigidimento degli ingressi legali. Lacci e lacciuoli non possono fermare un fenomeno di dimensioni epocali e che per essere governato ha bisogno di regole giuste ed efficaci". L’Arci ha calcolato che per ogni immigrato espulso attraverso i Cpt, il costo di ogni rimpatrio è di circa 25mila euro a testa, tra i soldi che vengono spesi per il mantenimento di queste strutture, i passaggi aerei ecc. "Tra far emergere il lavoro nero, facendo così incassare parecchi soldi allo Stato, e inasprire la guerra agli immigrati, che tanto costa all’erario, mi sembra più logico - osserva Miraglia - scegliere la prima soluzione. Consiglierei al ministro Maroni di farsi almeno un po’ di conti, se proprio non gli basta il fatto che stiamo parlando di esseri umani".

Il fatto che ogni volta le domande presentate per il decreto flussi siano di gran lunga eccedenti le quote fissate dai governi, è la conferma di quanto la nostra economia abbia bisogno dei migranti. Questo spiega anche perché Brescia sia diventata la capitale dei clandestini. "Si tratta di una città - ricorda Dino Greco, membro del direttivo nazionale della Cgil e ex segretario della Camera del Lavoro bresciana - dove ci sono 140mila immigrati regolari su una popolazione di un milione e 50mila abitanti. Più una quota di clandestini fisiologica perché, come sempre accade in questi casi, la domanda di lavoro che proviene dalle imprese supera l’offerta". Si verifica così un paradosso, per cui le leggi di mercato si rovesciano contro i loro ideologi. "Perché la gente - spiega Greco - va dove il lavoro c’è. E le imprese glielo danno perché ne hanno bisogno. I lavori più disagiati, più pericolosi, più insalubri, dalle stalle industriali alla siderurgia, li fanno i migranti. A Brescia sono gli indiani sikh che mungono le vacche".

Oltre che fornire un sostanzioso contributo alla nostra economia, i migranti hanno anche un ruolo fondamentale nel nostro sistema di welfare: "Oramai certe forme di assistenza che la struttura pubblica non riesce a garantire vengono assolte privatamente e al "nero" da badanti straniere", sottolinea ancora Stefano Galieni. Dino Greco consiglia perciò a "quei signori che hanno trasformato sciaguratamente la questione della immigrazione in una questione di ordine pubblico" di farsene una ragione: "Il tasso di immigrati presenti nella popolazione italiana e bresciana - avverte il sindacalista - continuerà fatalmente ad aumentare. Non fosse altro per la bassa natalità dei cittadini italiani".

Immigrazione: carcere per i clandestini, arma a doppio taglio

di Valerio Onida (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)

 

Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2008

 

La politica criminale, nel nostro Paese, rischia spesso di oscillare come un pendolo fra due estremi entrambi censurabili: da un lato forme di "iper-garantismo", che portano ad accumulare limiti all’esercizio della potestà punitiva fino al punto di renderla talvolta inefficace, per esempio prolungando oltre il ragionevole i tempi dei procedimenti; dall’altro, forme di impiego esasperato ed eccessivo della stessa potestà punitiva, utilizzata per obiettivi politici non coerenti con le caratteristiche di uno Stato democratico. Che poi i due eccessi riguardino spesso diverse categorie di reati e di colpevoli, può essere rivelatore degli interessi che stanno a cuore ai legislatori, ma non elimina la contraddizione, bensì la rende anche socialmente meno accettabile.

Ora si ventila un inasprimento del trattamento penale dell’immigrazione illegale degli stranieri extracomunitari, fino a configurare tout court un "reato" di clandestinità. Ma lo strumento penale, e in particolare la pena detentiva, non sono, in uno Stato democratico, utilizzabili ad libitum dal legislatore, anche se esso conserva un ampio potere di apprezzamento circa le condotte da punire e le pene da applicare. Lo strumento penale può legittimamente essere impiegato solo per la tutela di beni costituzionalmente rilevanti, solo quando non produca all’individuo e alla società pregiudizi sproporzionati rispetto ai vantaggi, e solo allorché gli altri strumenti non offrano adeguata tutela ai beni protetti (cosiddetto principio di sussidiarietà): in questo senso, da tempo, si è espressa la giurisprudenza costituzionale, che considera il ricorso alla sanzione penale una extrema ratio (fra le tante, sentenze n. 409 del 1989, n. 160 del 1997, n. 455 del 1998).

In materia di immigrazione, vale la pena di ricordare due recenti interventi della stessa Corte costituzionale. Dapprima essa ha ritenuto irragionevole, e quindi dichiarato illegittima, la norma (introdotta dalla legge nel 2002) che prevedeva l’arresto obbligatorio in flagranza dello straniero trattenutosi senza giustificato motivo nel territorio dello Stato nonostante l’ordine di allontanamento emesso dal Questore, benché allora si trattasse di una semplice contravvenzione, che non consentiva l’utilizzo della custodia cautelare (sentenza n. 223 del 2004).

In seguito, di fronte alla risposta del legislatore, che ha aggravato sensibilmente la pena per lo stesso reato, trasformato in delitto, prevedendo nuovamente l’arresto obbligatorio, la Corte ha bensì negato di poter sindacare l’uso fatto dal legislatore della propria discrezionalità, ma non ha mancato di sollevare delle perplessità.

Si ha infatti una incriminazione che "prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili"; il livello della sanzione prevista "presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa". In definitiva la Corte ha rilevato "l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie" evidenziate (sentenza n. 22 del 2007).

L’attuale disciplina, si noti, configura come reato l’ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato in violazione di un legittimo ordine di allontanamento, non seguito da accompagnamento alla frontiera. Ora, a quanto pare, si vorrebbe incriminare anche la sola presenza illegale sul territorio, indipendentemente da un ordine di allontanamento.

Gli stranieri irregolari - se bene si intendono le iniziative annunciate - sarebbero bensì soggetti alla espulsione: ma questa sarebbe preceduta da un processo penale (con ulteriore appesantimento della già ingolfata macchina della giustizia) e dall’applicazione di una pena detentiva, che verrebbe presumibilmente scontata (con conseguente ulteriore affollamento delle carceri) in tutti i casi in cui, e fino a quando, l’esecuzione dell’espulsione risultasse impossibile, per esempio per la mancata collaborazione dello Stato di provenienza dello straniero.

Il tutto indipendentemente da una valutazione concreta della pericolosità sociale dell’interessato, a cui si imputerebbe come unica violazione la presenza sul territorio nazionale in mancanza di un valido titolo di ingresso o di soggiorno. Insomma lo Stato, che non riesce a impedire l’ingresso né a eseguire le espulsioni, non troverebbe di meglio, per rimediare alla impotenza della propria amministrazione, che applicare allo straniero una pena detentiva. Un caso tipico, sembra di poter dire, di uso improprio dello strumento penale.

Immigrazione: rafforzare i Cpt? servono centinaia di milioni

 

Redattore Sociale, 13 maggio 2008

 

Parla il coordinatore nazionale del Dipartimento Immigrazione di Rifondazione comunista Stefano Galieni. "Attualmente 30 milioni servono per pasti, personale e assistenza sanitaria. A questi se ne aggiungono 60 per la sorveglianza".

L’intenzione del governo è quella di rafforzare i Centri di Permanenza Temporanea e di farne uno dei pilastri del contrasto all’immigrazione clandestina, trasformandoli in veri centri di detenzione. Ma quanto costano attualmente quelli che oggi tutti chiamano con la sigla Cpt? A capirlo ci aiuta Stefano Galieni, coordinatore nazionale del dipartimento immigrazione di Rifondazione comunista, a cui Redattore Sociale ha chiesto di ricostruire il quadro.

"I centri di permanenza temporanea costano circa 30 milioni di euro l’anno - esordisce Galieni. - Si tratta però di costi di gestione che comprendono i pasti, il personale, l’assistenza medica e così via, ma non includono la sorveglianza esterna che dipende invece dal ministero dell’Interno e che va garantita 24 ore su 24". Una voce di non secondaria importanza "visto che le stime delle associazioni indicano un costo aggiuntivo di circa 60 milioni di euro che, sommati ai 30 milioni della gestione, porterebbero a ben 90 milioni l’anno". E per fare capire con quale facilità possano lievitare le spese Galieni adduce un esempio: "Basti pensare che i prefetti che hanno un Centro di Permanenza Temporanea all’interno della propria provincia devono avere un vice prefetto, un questore o comunque un altro funzionario che si occupi del Cpt".

"Tra il 1 gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 - prosegue Galieni - il Cpt di Bologna avrà un costo di gestione di 4.048.574 euro, pari a 2.024.287 l’anno e a 72 euro a persona al giorno. Un costo che potrebbe anche aumentare nel caso in cui gli ospiti superassero le 78 unità di presenze giornaliere previste dalla convenzione. Per lo stesso periodo di tempo il Cpt di Milano costerà 4.928.814 euro, con una retta giornaliera di 75 euro a ospite".

E anche in questo caso la spesa aumenterebbe quando e se le presenze superassero le circa 90 previste giornalmente. Stesso discorso per Roma dove "la convenzione che parte dal 16 gennaio 2007 e finisce il 31 dicembre 2008 prevede una spesa totale di 8.065.200 euro per 47 euro a ospite al giorno e per 240 presenze medie giornaliere. Ma visto che i posti disponibili sono circa 300 anche in questo caso i costi potrebbero aumentare".

Quanto ai costi dei rimpatri di cui il governo appena insediatosi promette di fare largo uso si possono fare soltanto delle stime. "Direi che un rimpatrio può costare tra 10mila e 25mila euro - conclude il coordinatore del dipartimento immigrazione di Rifondazione -. "In questa cifra vanno infatti contati i costi del fermo in questura, del trasferimento e trattenimento nel Cpt più vicino, dell’udienza di convalida per il trattenimento e dell’udienza di convalida per l’espulsione, dell’aereo e degli agenti di polizia che accompagnano la persona al paese di origine".

Droghe: Giovanardi torna in carica, carceri sono già allertate

di Daniele Farina

 

Liberazione, 13 maggio 2008

 

Una notizia buona il nuovo governo ce l’aveva data: Carlo Giovanardi non ha giurato da ministro. Purtroppo la notizia è buona solo a metà perché, da ieri è sottosegretario, alla presidenza del Consiglio con deleghe in materia di famiglia, droghe e servizio civile ovvero. Tralasciando le prime due competenze, per la terza è il caso di dire: "il colpevole ritorna sempre sul luogo del delitto". Avendo Giovanardi fortemente contribuito alla legge vigente in materia di sostanze stupefacenti, qualcuno avrà pensato utile fargli finire il lavoro. Quale? Lo raccontano bene i dati a due anni dall’approvazione della norma: consumi stabilizzati ai massimi, diminuzione dell’età di prima assunzione, decremento del prezzo di mercato di quasi tutte le sostanze.

Potrà sembrare fuori luogo, in temi così seri e delicati, l’ironia. Ma in Italia parlare seriamente di droghe è quasi impossibile. Bastino a conferma i numerosi fatti che hanno reso impraticabile nei due anni del governo Prodi il cambiamento di quella legge sbagliata o anche soltanto una seria discussione in materia: dai dati statistici miracolosamente capaci di sostenere un’argomentazione quanto il suo contrario, a presunte associazioni di consumatori che ricorrono al Tar, vincendo, contro il buon senso di qualche timido decreto ministeriale, alla disarmante paralisi della ex maggioranza. Nulla di nuovo, certo, ma quanto è bastato ad un elettore attribuente una qualche rilevanza al tema per starsene a casa, in estesa compagnia. Sulle disgrazie del governo precedente, evidenti come montagne all’orizzonte, inutile insistere. C’è già il nuovo di cui occuparsi.

Va tenuto presente che Giovanardi era un moderato (vietato ridere), e proprio questa sua moderazione è ritenuta la causa dell’insuccesso della legge 49/2006, giudicata anche da qualche suo collega di coalizione una "coglionata olimpica", testuale. Olimpica perché infilata nel decreto sulle olimpiadi invernali di Torino e coglionata va da sé.

Ma il cardine della legge, a parte la semplificazione scriteriata della moltitudine delle sostanze stupefacenti in un’unica entità metafisica definita "droga", è la dose media singola; che corredata di moltiplicatori (apparentemente dettati dai cartelli colombiani piuttosto che dal ministero della Salute), identificava originariamente una soglia il cui superamento era condizione sufficiente a definire il reato di spaccio. Una certa quantità insomma entro la quale si finiva in galera oppure si veniva avviati al girone dei semplici consumatori.

Nella stesura definitiva della legge pare che proprio l’Udc, nel quale il nostro Carlo militava prima di passare a Berlusconi, abbia ridotto questa soglia quantitativa a condizione necessaria ma non sufficiente, lasciando alla magistratura la valutazione di altri elementi costituenti la condotta di cui al reato di spaccio. Ragione principale per cui fino ad ora le galere non si sono smodatamente riempite di semplici consumatori (e solo qualche drammatico fatto umano e di cronaca ci ricorda quante migliaia ne transitino normalmente). Ora è probabile che il nuovo governo corregga questa mancanza e ritorni all’impostazione originaria, sommando disastro a disastro. Per cui a Giovanardi nessun augurio di buon lavoro.

Iran: preoccupa la salute di attivista diritti umani detenuto

 

Agi, 13 maggio 2008

 

Il giornalista e noto attivista per i diritti umani in Iran, Emadeddin Baghi, è attualmente ricoverato nell’infermeria della prigione di Evin, a Teheran, ma non si hanno dettagli sulle sue condizioni di salute. A riferirlo è il quotidiano riformista Kargozaran, che ha spiegato che Baghi è tornato in prigione ad aprile dopo avere trascorso tre mesi agli arresti domiciliari perché malato. Il giornalista deve scontare un anno di galera per aver reso noti, dieci anni fa, documenti e dossier segreti della Repubblica islamica.

Per il suo legale, Saleh Nikbakht, Baghi è tornato in carcere prematuramente e senza essersi ancora ripreso dal forte esaurimento nervoso che lo ha colpito a dicembre. Nelle sue attuali condizioni, ha avvertito l’avvocato, la prigionia potrebbe aggravare il suo stato di salute.

Docente universitario, scrittore e giornalista, Baghi, 45 anni, il mese scorso si è aggiudicato il British Press Awards, premio internazionale di giornalismo, per i suoi scritti e la sua strenua attività a tutela dei diritti umani in Iran. In carcere dal 2000 al 2003 per le sue critiche al regime, Baghi è uscito di prigione, nel 2004 e ha fondato il quotidiano Jomhouriyat (Repubblica), chiuso per direttiva del procuratore generale della provincia di Teheran al dodicesimo giorno di pubblicazioni. La sua attività si è allora spostata all’interno del carcere, dove ha fondato un gruppo per la tutela dei diritti dei detenuti che ha tra i suoi principali obiettivi l’abolizione della pena di morte.

 

 

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