Rassegna stampa 4 giugno

 

Giustizia: Berlusconi; clandestinità, non reato ma aggravante

di Liana Milella

 

La Repubblica, 4 giugno 2008

 

Una frase di Berlusconi in una conferenza stampa davanti al francese Sarkozy e il reato di clandestinità fa flop. Tra l’entusiasmo alle stelle del Pd, dell’Udc, dell’Idv. Al punto che Pd e Udc firmano persino una nota congiunta. Ci restano decisamente male il ministro dell’Interno Maroni e tutta la Lega. Anche An con il titolare della Difesa La Russa è perplesso. Il portavoce del Cavaliere Bonaiuti cerca di "interpretare" il premier e nega "contrasti nella maggioranza", ma la querelle ormai c’è tutta, anche se Niccolò Ghedini, primo estensore del testo del reato, dice: "Il presidente non ha mai cambiato idea".

Partiamo da Berlusconi. Intorno alle 17, a palazzo Chigi, a chi gli domanda come giudichi il reato d’immigrazione clandestina risponde: "Penso che non si possa perseguire qualcuno per una permanenza irregolare nel nostro Paese arrivando a condannarlo con una pena. Penso che possa essere un’aggravante per chi commette reati". Conclude: "La proposta è all’esame del Parlamento, che è sovrano e deciderà secondo coscienza e buon senso". E dunque, è la lettura di tutti, Berlusconi ha cancellato il reato di clandestinità dal disegno di legge approvato a Napoli che lo ospita e che, ancora a ieri, non era arrivato al Senato.

Chi immediatamente chiama Roberto Maroni ne coglie la sorpresa e la reazione perplessa. Quando interviene ufficialmente, uscendo da un dibattito bipartisan sul libro "Ndrangheta", dell’ex presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione, il titolare del Viminale conferma la meraviglia: "L’aggravante c’è, sta nel dl, ed è già entrata in vigore. Il reato sta nel ddl che porta come prima firma quella di Berlusconi e poi la mia. Io non ho cambiato idea. E la mia è la posizione del governo".

Ignazio La Russa, nei toni, pare più sfumato: "Se il reato si mantiene nel ddl io sono soddisfatto". Tutta la Lega invece sta con Maroni e contro Berlusconi, dal capogruppo alla Camera Cota ("Siamo favorevoli al reato e lo sosterremmo in Parlamento") all’eurodeputato Borghezio ("Stia attento Berlusconi a non deludere i milioni di persone che ci hanno votato").

L’opposizione reagisce entusiasta. Il leader del Pd Veltroni è convinto che il premier "cancelli" il reato di clandestinità ("Dà ragione alle voci critiche che si erano levate e dà torto a quanti, nella sua maggioranza, si erano intestarditi in questa formulazione"). Quello dell’Udc Casini conferma la sua idea ("Quel reato è solo uno slogan, che però intaserà tribunali e carceri") ed è soddisfatto che Berlusconi esprima "un convincimento nuovo frutto anche di un’opposizione che non sta sull’Aventino". La presidente dei senatori Pd Finocchiaro boccia sia il reato che l’aggravante. Ma Pd e Udc fanno di più: il vice capogruppo centrista alla Camera Vietti e i ministri ombra democratici Minniti e Tenaglia firmano assieme un comunicato per prendere atto che il reato di clandestinità "è archiviato", che c’è "un passo indietro esplicito e inequivocabile rispetto a chi finora nel governo ha sostenuto una politica della sicurezza fondata su quel reato".

Ma il reato adesso che fine farà? Il ministro per i rapporti con il Parlamento Vito assicura che "nelle prossime ore" il ddl che lo contiene "arriverà alle Camere". Della "latitanza", nonostante il testo sia stato approvato nel consiglio di Napoli del 21 maggio, s’era lamentato il Pd Casson ("Il centrodestra non riesce neppure a mettersi d’accordo").

E Niccolò Ghedini assicura che non solo il reato ci sarà, ma continuerà ad esserci. "Berlusconi ha solo ripetuto quello di cui, da garantista, è convinto. Il reato deve colpire solo il clandestino pericoloso, quello che vuole delinquere, e non certo la badante che arriva in Italia per lavorare. È lo stesso meccanismo dell’associazione a delinquere. Il reato si perfeziona quando sul soggetto che si è introdotto in Italia si hanno elementi di fatto sulla sua volontà di delinquere". E dunque il reato resta? "A Berlusconi non piace la formula usata per definire il reato, che è poi di Francia, Inghilterra, Germania, Grecia. Lui vuole che solo chi delinque venga colpito, e naturalmente si rimette al Parlamento".

 

Nessuna marcia indietro su immigrazione

 

"Non sono preoccupato. Ieri non ho fatto nessuna marcia indietro". Così Silvio Berlusconi ha risposto ai giornalisti, durante la conferenza stampa con il presidente egiziano Hosni Mubarak, ad una domanda sui titoli dei giornali che riportavano le sue dichiarazioni di ieri contro la possibilità di indicare la condizione di immigrato clandestino come reato.

"Non c’é stata nessuna marcia indietro" da parte mia sulla questione dell’immigrazione clandestina. "Ho solo espresso certe considerazioni, premettendo che era solo una mia opinione personale", ha detto Berlusconi ricordando che grazie al suo intervento le misure in questione sono state inserite in un disegno di legge, invece che nel decreto legge, dando la possibilità "al Parlamento di approfondire la materia e la sua fattibilità".

 

Interventi per facilitare rimpatri immigrati

 

Sono in preparazione "una serie di interventi ed aiuti" - anche alcune scuole - per facilitare le politiche di rimpatrio di cittadini "africani" che entrano illegalmente in Italia. Lo ha annunciato il premier Silvio Berlusconi in una conferenza stampa con il presidente egiziano Hosni Mubarak. Berlusconi ha aggiunto che sono "in agenda" anche una serie di incontri con i Paesi dai quali partono i flussi di immigrazione.

"Come fatto nei cinque anni in cui sono stato al governo, riprenderò i contatti con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo: penso anche all’apertura di scuole in modo da preparare professionalmente le persone che possono venire in Italia a darci una mano in settori occupazionali dove siamo deficitari". È la proposta che il premier Silvio Berlusconi lancia nel corso della conferenza stampa al termine del vertice intergovernativo con il presidente egiziano Hosni Mubarak.

"Il nostro scopo - aggiunge Berlusconi - è intensificare i tantissimi accordi che già esistono, aumentare la nostra presenza sul piano economico, penso a Eni, Enel e Finmeccanica, a diffondere il nostro know-how e la nostra grande ricchezza, che è il talento imprenditoriale. Insieme a loro possiamo portare benessere e sviluppo. Non è solo un dovere di solidarietà ma abbiamo anche la convenienza, perché solo diffondendo benessere potremo avere pace".

 

Carcere per i clandestini? non ha concretezza

 

"Una norma che preveda il carcere per, mettiamo caso, 4 mila immigrati clandestini che entrano al giorno, vuol dire avere tantissimi magistrati capaci di operare, altrettante carceri dove ospitarli. È un fatto che non ha nessuna concretezza". Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa con Hosni Mubarak, torna sul reato di clandestinità ribadendo che, su questa materia, "il Parlamento è chiamato a dire la sua".

Giustizia: per evitare carceri strapiene e scontri col Vaticano

di Claudio Tito

 

La Repubblica, 4 giugno 2008

 

"Non vado allo scontro con il Vaticano, il mondo cattolico e anche con il Partito Democratico, rischiando di ritrovarmi un’emergenza con le carceri strapiene". Per Silvio Berlusconi il reato di immigrazione clandestina presenta troppe incognite. Nel rapporto costi-benefici, i primi superano di gran lunga i secondi. Così accenna al problema nella conferenza stampa con Nicolas Sarkozy e spiazza molti dei big del centrodestra.

A Palazzo Chigi arrivano subito le telefonate degli alleati. A partire da quella del ministro degli Interni, Roberto Maroni. Che non ne vuole sapere di "derubricare" il reato di immigrazione. Ricorda i patti sottoscritti. Soprattutto fa presente come proprio in quel momento il disegno di legge del governo è stato depositato al Senato dopo la firma del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Un testo che prevede, appunto, il reato che punisce l’ingresso clandestino nel Paese. Stesse perplessità da parte di Alleanza nazionale. Che, però, evita lo scontro diretto.

Proteste, però, che non convincono il Cavaliere: "Non sono d’accordo? Non ci posso fare niente". Il capo del governo punta a coinvolgere l’intero Parlamento nella scelta. La convergenza bipartisan sulle misure per affrontare l’"affaire rifiuti" a Napoli è, a suo giudizio un esempio da seguire. Tant’è che nell’ultimo week end l’argomento è stato discusso direttamente con il leader della Lega, Umberto Bossi. Il premier lo aveva avvertito che su quel punto sarebbe servita un’ulteriore riflessione. Con lui ha discusso i possibili passi per imboccare una via "più morbida".

Dal Senatur non è arrivato un formale via libera. Eppure non può essere un caso che nel più classico dei raduni lumbard, quello di domenica scorsa a Pontida, il ministro delle riforme abbia già versato una bella dose di "ammorbidente" nelle acque del Po: "Non vogliamo la guerra agli immigrati, ma una via pacifica alle riforme. Però non ci devono ingannare". Anche il Senatur, insomma, preferisce far pendere l’ago della bilancia sul federalismo piuttosto che sulle misure anti-immigrati più aspre. Certo, niente di ufficiale. Ma anche con il Cavaliere, Bossi non ha alzato le barricate.

E del resto, gli ostacoli che si sono levati sul punto hanno impressionato non poco l’inquilino di Palazzo Chigi. L’allarme lanciato dai magistrati e dall’amministrazione penitenziaria ha aperto una prima breccia. Quello di una giustizia in tilt è un vero e proprio incubo per il premier. Anche il leghista Roberto Calderoli ammette che il reato va accompagnato ad una procedura che consenta di condannare per direttissima i clandestini "senza spedirli in galera ma a casa".

Il resto, poi, l’ha fatto il Vaticano. I richiami della Santa Sede sono stati evidenziati con la biro rossa dal presidente del consiglio: "Al 99% - ha spiegato ai suoi - il peso maggiore lo hanno avuto quelle osservazioni". Anche perché venerdì prossimo dovrà varcare il soglio pontificio per la sua prima udienza con Papa Ratzinger. E presentarsi davanti a Benedetto XVI con il fianco scoperto non lo tranquillizzava affatto. Una preoccupazione che tra i cattolici del Pdl era diventata uno spauracchio. "È evidente - dice ad esempio il forzista di estrazione Cl, Maurizio Lupi - che bisogna affrontare la questione con realismo. Bisognerà arrivare ad una mediazione intelligente".

Quindi il Cavaliere adesso non nasconde ai suoi fedelissimi di "aver avuto già dei dubbi in fase di preparazione del provvedimento. E quei dubbi non sono superati". Tanto che le sue perplessità le ha confessate pure a Sarkozy: "potrebbe essere un’idea" quella di trasformare solo in aggravante l’immigrazione clandestina.

Un’opzione che ha preso in contropiede anche i ministri di An. I quali, però, non hanno alcuna intenzione di andare allo scontro con il capo del Pdl. "Preferirei il reato - dice Andrea Ronchi - ma l’importante è che non ci siano più i clandestini. Siamo pronti a recepire le istanze del Parlamento". Sta di fatto che in questa fase Berlusconi non vuole rompere il clima di dialogo che si è avviato con l’opposizione. "Soprattutto se si tratta di una legge probabilmente ingestibile".

Giustizia: la clandestinità non sarà reato, le reazioni politiche

 

Dire, 4 giugno 2008

 

Veltroni: Berlusconi cancella il reato di immigrazione clandestina

 

"Berlusconi, con le sue parole, cancella il reato di immigrazione clandestina. Dà ragione così a quanto ha detto l’opposizione, e alle altre voci critiche che si erano levate, e contemporaneamente dà torto a quanti nella sua maggioranza si erano intestarditi in questa formulazione". Così il segretario del Pd, Walter Veltroni, commenta quanto detto dal Presidente del Consiglio.

 

Maroni: Sorpreso dalle dichiarazioni di Berlusconi

 

"Ho sentito le dichiarazioni di Berlusconi e devo dire che sono un po’ sorpreso". Così il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, reagisce alle parole del presidente del Consiglio sul reato di clandestinità pronunciate alla Fao. Il premier, infatti, ha detto: "Deciderà il Parlamento, ma meglio non definire reato l’immigrazione clandestina. Sia solo aggravante".

"L’aggravante c’è già - sottolinea, invece, Maroni, parlando a margine della presentazione di un libro sulla ‘ndrangheta di Francesco Forgione - ed è entrata in vigore perché è nel decreto legge. Il reato di clandestinità, invece, nel disegno di legge che il Consiglio dei ministri ha approvato due settimane fa all’unanimità e che - ricorda il ministro - porta come prima firma quella del presidente Berlusconi, la seconda è la mia". "Non ho cambiato opinione, ritengo sia utile inserirlo (il reato di immigrazione clandestina, ndr). Sono d’accordo con Berlusconi che il Parlamento è sovrano e potrà decidere ciò che vuole, ma resto della mia opinione, che è l’opinione del Cdm", ha concluso.

 

Sacconi: Clandestini, nessun dietrofront da Berlusconi

 

"Non credo proprio sia un dietrofront, vedremo come le cose si ricomporranno nelle prossime ore". Sorride e getta acqua sul fuoco, Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, quando, nel corso della trasmissione Omnibus su la7, gli si domanda se Silvio Berlusconi ha fatto marcia indietro ieri sostenendo di preferire che la clandestinità sia una aggravante, e non un reato. Una presa di posizione, quella del presidente del Consiglio, che ha provocato un irrigidimento negli alleati di governo della Lega Nord.

Secondo Sacconi, è importante "programmare e non subire i flussi migratori uscendo dalla modalità in cui li abbiamo concepiti finora. C’è un giustificato allarme sociale legato alla sicurezza dei cittadini, soprattutto per ciò che riguarda i reati predatori", per i quali "non si può non vedere il nesso con alcuni flussi migratori". In vista della visita di dopodomani di Berlusconi in Vaticano, il ministro bolla come una "dietrologia eccessiva" l’associare le parole di ieri sulla sicurezza con le critiche al ‘pacchettò arrivate da Oltretevere nei giorni scorsi. "L’esigenza di un rigoroso contrasto della criminalità rimane un punto fermo - avverte il responsabile del dicastero di via Veneto - non si può non pensare all’esigenza di avere contemporaneamente il bastone della dura repressione dei flussi clandestini, e la carota di un percorso d’ingresso ordinato e programmato, frutto di intese con i paesi di origine".

 

Fini: Xenofobia? Non è nella natura del nostro popolo

 

"Il diritto di vivere una situazione di sicurezza è un valore assoluto" e "non credo che in Italia ci siano xenofobia o razzismo, perché non è nella natura del nostro popolo". Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervistato da Gente. Sui rischi di razzismo e xenofobia Fini nota che "il valore della sicurezza e della legalità non è un valore di destra o di sinistra, è un’esigenza primaria" che "le istituzioni hanno il dovere di garantire".

Anche alla luce del fatto che "negli ultimi anni, per tante cause, la sicurezza del cittadino è venuta meno, perché non si è affermato il principio della certezza della pena. Invece, chi sbaglia deve pagare". E poi "non sempre si è affermato il necessario sostegno alle forze dell’ordine e alla magistratura". Sul rischio di razzismo, Fini invita a prestare comunque "attenzione, perché se le istituzioni non rispondono sulle questioni della sicurezza e della legalità e non garantiscono un’effettiva solidarietà e integrazione dello straniero, il rischio di spinte xenofobe esiste".

 

Zapatero: Berlusconi ha chiarito, norme meno incisive

 

Quello con Silvio Berlusconi è stato un incontro "molto positivo" in cui il premier italiano "mi ha spiegato le misure legislative prese dal governo italiano e ha chiarito alcuni punti dicendo che hanno un effetto minore rispetto a quello apparso attraverso i media". Così il premier spagnolo Josè Luis Zapatero, in conferenza alla Fao, a proposito del faccia a faccia con il presidente del Consiglio italiano. Zapatero ha assicurato che l’intenzione di Madrid e di Roma è di "lavorare insieme" e di trovare "una politica comune europea", perché così "le decisioni della Ue avranno maggior forza".

Il premier spagnolo ha smorzato le polemiche delle ultime settimane dicendo che, tra l’altro, "non si tratta di vedere chi è più o meno europeo. Si tratta- ha sottolineato- di affrontare la questione dei flussi migratori insieme", tenendo presenti i principi di "integrazione e coesistenza". Zapatero offre una ricetta: "La risposta a questo fenomeno va trovata attraverso una maggior cooperazione con i Paesi di origine, che vuol dire che questi devono riprendere i cittadini entrati illegalmente in Europa". "Vorrei precisare e chiarire che il governo spagnolo non ha mai usato questo termine nei confronti del governo italiano". precisa inoltre il premier spagnolo rispondendo alla domanda di un giornalista che gli chiede conto delle accuse di "xenofobia" fatta dalla Spagna all’Italia e apparse sui media nelle ultime settimane.

 

Pezzotta e Carra: Nessun bisogno del reato di immigrazione

 

"L’Italia non ha bisogno di un nuovo reato di immigrazione clandestina per arricchire ulteriormente il suo voluminoso compendio legislativo". Lo sostengono i deputati Enzo Carra (Pd) e Savino Pezzotta (Rosa per l’Italia).

"Alla sfida che ci viene portata - sottolineano - possiamo rispondere con tutta la severità delle leggi che già ci sono, rendendo più efficienti i mezzi di contrasto e le strutture di prevenzione e di accoglienza". Invece, "il più grave degli errori è la tentazione di fare da soli senza l’Europa e le autorità sovrannazionali". Inoltre, "ancora più grave è trascurare il fattore umano, affrontare una tragedia come un qualunque fatto criminale". Secondo Carra e Pezzotta, quindi, "il governo e la maggioranza, particolarmente quanti si richiamano ai valori cristiani, devono sentire questa responsabilità sapendo che le opposizioni sono pronte a fare la loro parte".

 

Berselli: Chiuso dibattito, martedì licenziamo il decreto sicurezza

 

Entro martedì prossimo le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato licenzieranno il decreto sicurezza. È quanto dice il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli, correlatore del provvedimento. "Abbiamo chiuso la discussione generale - spiega Berselli - e oggi alle 15.30 ci saranno le repliche dei relatori mentre giovedì alle 13, ossia dopodomani, abbiamo fissato il termine per gli emendamenti che discuteremo e voteremo nella giornata di martedì 10 anche prevedendo, se necessario, una seduta notturna". Tra sette giorni quindi, sottolinea il Presidente della Commissione Giustizia, "licenzieremo il provvedimento per l’aula".

Berselli si dice "soddisfatto" per la "rapidità" con cui le Commissioni del Senato stanno procedendo all’esame del decreto. "Approvarlo martedì sarà un successo", aggiunge. Quanto alle richieste di modifica avanzate dall’opposizione spiega: "Non si tratta di proposte che stravolgono l’impianto del testo, stiamo riscontrando collaborazione e quindi esamineremo gli emendamenti che arriveranno con serenità e disponibilità". Sul disegno di legge, che dovrebbe contenere anche l’ipotesi del reato di clandestinità, Berselli ribadisce che "ancora non sono noti i tempi" del suo arrivo in Senato. "Per ora - conclude - approviamo il decreto - conclude - poi ci occuperemo del disegno di legge".

 

Vito: ddl nelle prossime ore in Senato

 

Il ddl sulla sicurezza "arriverà in Senato nelle prossime ore". Ad assicurarlo è il ministro dei rapporti con il Parlamento, Elio Vito, al termine della conferenza dei Capogruppo di Palazzo Madama. A Palazzo Madama, nelle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia, intanto sta procedendo l’esame del Decreto sicurezza in cui la clandestinità è considerata aggravante delle pene per i reati commessi dagli immigrati.

 

Arci: Clandestinità aggravante? Ancora più illogico

 

"Se questo è un primo passo verso una marcia indietro è una buona cosa, ma io spero che si ricredano del tutto su questa norma. Introdurre l’aggravante sembra ancora meno coerente e più illogico, incomprensibile, perché introduce una disparità che nega l’articolo 3 della Costituzione per il quale tutte le persone sono uguali di fronte alla legge". È quanto afferma Filippo Miraglia, responsabile Arci per l’immigrazione, in merito alle affermazioni del premier Berlusconi che ritiene possibile che "la clandestinità possa essere un’aggravante nei confronti di chi commette reati" e non più un reato di per sé.

"Mi pare che sinora il centrodestra - sottolinea Miraglia - abbia suscitato su questa norma solo preoccupazione e reazioni negative: hanno avuto un coro di no nonostante la campagna di criminalizzazione nei confronti degli immigrati". Perché questi ultimi, spiega Miraglia, "non nascono in questo modo né lo scelgono, ma è la legge in vigore che li obbliga e, poiché non si può entrare in Italia che in maniera clandestina, visto che la chiamata nominativa non è praticabile, non fanno altro che penalizzare chi è costretto ad essere clandestino da una scelta dello stesso governo". Al di là delle conseguenze che questa cosa potrebbe avere, conclude il rappresentante dell’Arci, "io credo che sia il primo passo esplicito verso una negazione dell’articolo 3 della Costituzione. Ma non è una novità, perché del resto la Bossi-Fini è una delle leggi che ha avuto più accezioni di incostituzionalità nella storia della Repubblica".

 

Casini: positivo ripensamento di Berlusconi

 

"Il reato di immigrazione clandestina è uno slogan. Peraltro inefficace, perché respingimenti con la strada amministrativa sono rapidi, immediati, mentre intasare i tribunali e le carceri certamente non è positivo per nessuno. Sono lieto che il presidente Berlusconi prenda atto di questa realtà ed esprime, oggi, un convincimento nuovo. Credo sia anche il frutto di un lavoro serio, di un’opposizione che non sta sull’Aventino". È quanto ha affermato il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, commentando il cambiamento di posizione di Berlusconi sull’introduzione del reato di clandestinità.

E a chi gli ha chiesto se questo potrà favorire il dialogo, Casini ha risposto: "La presa di posizione di Berlusconi sull’immigrazione clandestina, un reato che se introdotto sarebbe inefficiente perché la pratica delle espulsioni amministrative è la via giusta, è certamente una presa di posizione positiva che va nel senso auspicato dalla minoranza che produce politica". Per quanto riguarda invece l’ipotesi della clandestinità come aggravante? "L’aggravante è un’altra cosa... una cosa su cui si può ragionare".

Ma anche qui sono state espressi dubbi di costituzionalità? "Bisogna vedere in concreto come verrà declinata".

 

Calderoli: reato clandestinità, per rendere rapide le espulsioni

 

"La previsione di un reato di immigrazione clandestina non è certo finalizzata a mettere in galera tutti coloro che lo dovessero commettere, ma è finalizzata ad ottenere due obiettivi: il primo, di carattere preventivo, è quello di dare un messaggio che disincentivi chi intende partire e di conseguenza gli ingressi irregolari, il secondo, di carattere repressivo, non è tanto il periodo di carcere quanto una misura che pesa ben di più per l’irregolare ovvero l’espulsione immediata dopo la sentenza". il senatore Roberto Calderoli, Ministro per la Semplificazione Normativa e Coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, difende l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, dopo le cautele avanzate in merito oggi dal premier Berlusconi. "L’obiettivo, quindi, non è certo il riempire le carceri di clandestini ma il trovare uno strumento adeguato che ne consenta l’allontanamento in tempi certi e rapidi" spiega Calderoli.

 

La Russa: reato o aggravante equivalenti, deciderà il Parlamento

 

"L’effetto di deterrenza fra la previsione del reato di immigrazione clandestina e l’introduzione dell’aggravante è presso ché equivalente ed è quello che conta, all’inizio del percorso legislativo avevamo previsto entrambe le possibilità, deciderà il Parlamento quando vaglierà il Disegno di legge". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa avvicinato a Montecitorio, dopo che il premier Berlusconi, in conferenza stampa con il presidente francese, aveva mutato l’indirizzo del governo esprimendo la sua preferenza per l’aggravante.

 

Borghezio: Berlusconi ricordi, non si governa coi paternostri

 

L’eurodeputato della Lega Nord Mario Borghezio critica il premier Silvio Berlusconi perché tentenna sulla posizione di fermezza verso gli immigrati e in particolare sul reati di clandestinità. "Rinunciare all’impostazione data dal ministro Maroni e dall’intero governo, dietro ai tentativi di intimidazione che sono arrivati soprattutto dall’estero, sarebbe un cedimento molto difficile da far comprendere ai nostri elettori. I quali - dice Borghezio - non sono razzisti e xenofobi, ma hanno le idee molto chiare su quale sia la causa maggiore dell’insicurezza nelle nostre città e nei nostri paesi. Infine il presidente del Consiglio, che è una persona che conosce bene il mondo e l’Europa, dovrebbe maggiormente tenere in considerazione il fatto che paesi di sicura tradizione democratica e assolutamente non sospettabili di xenofobia e di razzismo, come ad esempio Francia e Gran Bretagna, se lo tengono ben saldo (il reato di clandestinità, ndr)".

"Questo principio connette una sanzione di natura penale all’entrata illegale nel territorio del paese. E questo principio, d’altronde, non trova alcuna controindicazione nella nostra Costituzione e neanche nel Trattato di Lisbona, quindi non si vede proprio per quale motivo dovremmo rinunciare a un antidoto formidabile e assolutamente indispensabile per ridare sicurezza e tranquillità ai nostri cittadini".

Quindi come valuta le dichiarazioni del premier? "Berlusconi è un uomo di Stato e un uomo di Stato si deve ricordare una massima di un grandissimo italiano, Niccolò Machiavelli: non si governano gli Stati con i Paternostri".

 

Bobba: da Onu e Vaticano pietra tombale sul reato di clandestinità

 

In merito alle affermazioni fatte da Louise Arbour (Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu) e da monsignor Agostino Marchetto (Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti), relativamente all’ipotesi di introduzione del reato di immigrazione clandestina, il senatore del Pd Luigi Bobba ha scritto questa dichiarazione:

"Le nette critiche rivolte da Onu e Vaticano all’ipotesi di introduzione in Italia del reato di immigrazione clandestina rappresentano una pietra tombale per la folle idea del Governo. Innanzitutto pensare di trasformare un illecito di tipo amministrativo, quale è la clandestinità, in un reato che porta a una limitazione della libertà personale è un qualcosa che evidentemente violerebbe i principi costituzionali di eguaglianza, ragionevolezza e di proporzionalità tra pene e reati e su ciò la Corte Costituzionale si è già chiaramente espressa (sentenza 22/2007), nonché l’articolo 35 della Costituzione stessa, sia con le normative europea e internazionale in tema di diritti delle persone.

"Inoltre", prosegue Bobba, "si dimostrerebbe assolutamente inefficace e inapplicabile, in quanto centinaia di migliaia di persone potrebbero finire in carcere, visto che si calcola che in Italia gli immigrati irregolari sono tra i 700 mila e il milione. Quindi si tratta di una ‘norma-manifestò, pensata semplicemente per blandire gli istinti più bassi che sono stati solleticati in campagna elettorale e che ora si vogliono accontentare. Piuttosto bisogna decidersi a varare una politica concreta ed equilibrata per l’immigrazione. Altri Paesi europei come la Gran Bretagna e la Germania, propongono, infatti, una politica di incentivazione dell’immigrazione qualificata, attraverso una classifica a punti, basata sulle qualifiche professionali e sulla conoscenza della lingua: più punti l’immigrato extracomunitario raggiunge, più ha possibilità di ottenere un visto di ingresso".

"I cittadini italiani", conclude il senatore, "chiedono sicurezza ma non dobbiamo e non possiamo permettere che un pregiudizio diffuso trasformi i nostri diritti in un pretesto per violare i diritti fondamentali della persona. Quattro italiani su dieci, infatti, sono convinti che gli autori dei reati siano cittadini stranieri, mentre solo il 46,7% pensano siano commessi in ugual misura. Di diverso avviso il Ministero della giustizia secondo cui su 157.593 reati ascritti a detenuti negli istituti penitenziari, al 31 dicembre 2007, solo il 24,5% è imputabile a cittadini stranieri. Piuttosto occorrerebbe ripristinare i fondi destinati ai Comuni, tagliati dalla finanziaria, per attività, servizi, iniziative finalizzate all’integrazione degli immigrati e provvedere a stipulare accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei cittadini stranieri al fine di realizzare una politica realmente capace di garantire sicurezza, certezza della pena ma anche solidarietà, multiculturalismo e integrazione. Ciò che serve è l’introduzione di norme efficaci sul versante del contrasto della criminalità e ragionevoli dal punto di vista dell’integrazione socio-lavorativa degli immigrati che criminali non sono".

Giustizia: Giuristi Democratici contrari a reato di clandestinità

 

Comunicato stampa, 4 giugno 2008

 

Con le norme contenute nel cosiddetto "pacchetto sicurezza" il governo crea nuovi reati e nuove aggravanti per gli stranieri e introduce ostacoli al ricongiungimento familiare e alla permanenza di chi ha richiesto l’asilo politico. Contraddice persino la politica non certo progressista dell’Unione Europea, che, pur mettendo in primo piano la volontà di prevenire e reprimere l’immigrazione illegale, chiede allo stesso tempo agli Stati membri di agevolare l’inserimento degli immigrati regolari, il loro diritto all’unione familiare, il loro pieno diritto d’asilo. Il reato di "immigrazione clandestina" è un vero e proprio tragico paradosso.

Da un lato l’Italia da anni ostacola gli ingressi legali, spinge di fatto i migranti nelle mani dei trafficanti di uomini, chiude un occhio nei confronti di chi utilizza il lavoro nero degli stranieri senza permesso, e dall’altro lato costringe gli stranieri irregolari a partecipare all’ipocrita lotteria dei "decreti flussi" per sanare la propria posizione (e si sa bene che il 90% delle domande riguardano stranieri che già vivono e lavorano in Italia e non, come prevede la legge, che stanno nei loro paesi) e, da domani, li costringe a cercare di diventare ancora più clandestini per evitare il carcere.

Il reato di "immigrazione clandestina" secondo qualcuno, giustamente, è solo propaganda. Propaganda sì, ma tragica. È propaganda perché lo straniero che intende o è costretto a migrare, non è spaventato dal carcere (già oggi rischia la vita attraversando deserti e mari o facendosi trasportare dentro a intercapedini in un camion). È propaganda perché non è con gli arresti che si allontana lo straniero senza permesso di soggiorno e lo sappiamo bene noi che da anni vediamo ogni mattina le inutili e costose udienze direttissime celebrate contro chi non ha ottemperato all’ordine del Questore di allontanarsi dall’Italia.

È tragica propaganda perché sottrae tempo, mezzi e denaro alle forze dell’ordine e alla magistratura, costretti ad occuparsi di marginalità e non di delitti. È tragica propaganda perché renderà ingovernabili le carceri. È tragica propaganda perché si abbatterà sulla pelle di quegli uomini e di quelle donne a cui la stessa Italia ha reso impossibile l’ingresso legale con una legge che pretende che lo straniero entri legalmente in Italia solo quando un datore di lavoro, che per la legge non lo conosce e non l’ha mai visto, faccia richiesta proprio di lui.

I Giuristi Democratici invieranno nei prossimi giorni un dettagliato appello ai parlamentari perché le norme del cosiddetto "pacchetto sicurezza" non siano in contrasto con quanto previsto dalla nostra Costituzione, dai trattati internazionali e dalle ripetute pronunce della Corte Costituzionale, che anche recentemente ha avvertito con la sentenza 22 del 2007 che la legislazione italiana sugli stranieri "presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa".

 

Associazione Nazionale Giuristi Democratici

Giustizia: le opposizioni all’attacco su decreto legge sicurezza

 

Dire, 4 maggio 2008

 

Opposizione all’attacco sul decreto sicurezza. Mentre nelle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato procede l’esame congiunto del provvedimento varato dal Consiglio dei ministri a Napoli, Partito Democratico, Italia dei Valori e Udc, puntano i piedi su alcune norme che definiscono "incostituzionali": aggravante delle pene per i reati commessi dai clandestini, carcere e confisca degli immobili affittati a irregolari, cambio del nome dei Cpt in Centri di identificazione ed espulsione senza la previsione di un cambio di funzioni. Su questo le opposizioni stanno lavorando per mettere a punto gli emendamenti il cui termine, nelle commissioni competenti di Palazzo Madama, probabilmente sarà fissato per le 18 di giovedì.

"Contiamo di chiudere la discussione generale tra oggi e domani - spiega il capogruppo del Pd in commissione Affari Costituzionali, Enzo Bianco - il calendario è sostanzialmente concordato e prevede che il termine per le proposte di modifica sia fissato a giovedì pomeriggio. Dedicheremo la prossima settimana alla discussione degli emendamenti, per poi licenziare il testo velocemente cercando di far coincidere il percorso rapido del decreto con tutti i necessari approfondimenti che richiede una materia delicata come quella sulla sicurezza".

Inoltre quello che le opposizioni contestano è che il governo "nicchia" sul disegno di legge annunciato giorni fa come imminente ma non ancora approdato in Parlamento. Probabilmente, dice Felice Casson (Pd), "Il centrodestra non riesce a trovare l’accordo al suo interno sul reato di clandestinità contro il quale l’Onu e il Vaticano hanno messo il carico da 90". Sul ritardo della presentazione del ddl Giampiero D’Alia, presidente del gruppo Udc-Svp-Autonomie, ha un’altra idea. "Oltre al problema politico all’interno della maggioranza, sull’opportunità di inserire il reato di clandestinità - spiega - il governo non riesce a trovare la copertura finanziaria al provvedimento visti i tagli che la finanziaria 2008 ha imposto al dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno. La verità è che non sanno dove reperire le risorse".

D’Alia spiega quindi che non sapere il contenuto del ddl crea anche delle difficoltà sulla messa a punto degli emendamenti. "Ora magari, senza saperlo - sottolinea - ne prepariamo alcuni su materie che sono contenute nel disegno di legge facendo così un lavoro inutile".

Quanto alle proposte di modifica ecco quale sarà l’orientamento delle opposizioni. Dal Pd, dice Enzo Bianco, arriverà innanzitutto, un emendamento soppressivo dell’aggravante della clandestinità a cui in subordine ci sarà la richiesta che l’aggravante sia applicata solo agli stranieri irregolari espulsi che rientrano sul territorio nazionale. E poi la richiesta di stralcio della norma che cambia il nome dei Cpt.

Ma anche l’inserimento di norme non previste attualmente dal dl come un inasprimento delle pene per i reati di violenza contro le donne e la creazione di una banca dati delle impronte digitali "per rendere più rapidi e certi i processi di identificazione". Il Pd, sottolinea Bianco, "considera la sicurezza un tema fondamentale per il Paese, quindi saremo aperti a ogni misura che solleciti verso misure che la garantiscano, ma siamo contrari alla politica degli annunci che non risolve i problemi. Se da parte della maggioranza ci sarà un atteggiamento favorevole alle nostre proposte bene, altrimenti ci irrigidiremo anche noi".

Dall’Udc arriverà anche la proposta di creare un’Autorità unica per il contrasto al crimine, ampliando i poteri della Procura nazionale antimafia anche in tema di lotta internazionale al terrorismo di traffico di clandestini. L’Udc inoltre, solleverà dubbi sulla costituzionalità dei poteri ai sindaci in materia di sicurezza urbana, la cui definizione, spiega D’Alia, "deve essere in conformità alle direttive del ministero dell’Interno e non lasciata all’interpretazione dei primi cittadini".

Quanto all’Idv, spiega l’ex Sottosegretario alla Giustizia Luigi Li Gotti, il decreto sicurezza è carente "sui temi della tutela dei minori e degli anziani, sulle molestie insistenti, sulle violenze sessuali e sui delitti in ambito familiare" ovvero su quei "reati di grave allarme sociale che meritavano più attenzione, mentre il decreto si limita a inasprire le pene per lesioni e omicidio colposo".

Giustizia: se il lavoro in carcere cambia il volto dei detenuti…

Intervista a Giovanni Maria Pavarin (Magistrato di Sorveglianza di Padova)

 

www.ilsussidiario.net, 4 giugno 2008

 

Dott. Pavarin, si è parlato, anche su queste pagine, di filiera della sicurezza. Cioè che alla certezza della pena deve corrispondere la certezza del recupero: in vista di che cosa?

In vista del reinserimento sociale del condannato, che è garantito dall’articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Nel concetto di rieducazione, che è uno degli scopi per non dire l’obiettivo principale della pena, è insito anche quello del reinserimento sociale. Al punto che si dice, ad esempio, che l’ergastolo è costituzionalmente legittimo in quanto può venir meno a seguito della concessione di benefici, come ad esempio la liberazione condizionale. Una pena eterna non sarebbe rieducativa, perché non preluderebbe al reinserimento sociale del condannato, garantita a qualsiasi persona accetti il trattamento penitenziario. Infatti questo prevede il rappacificamento del soggetto con quei valori che ha leso commettendo il reato. Se uno non vuole aderire a questo percorso può anche rimanere in galera per tutta la vita, dice la Corte costituzionale, ma se uno vuole, tramite il trattamento può aspirare al reinserimento. E uno degli elementi di punta del trattamento penitenziario è proprio il lavoro.

 

Come va concepito, a suo modo di vedere, il lavoro in carcere?

Tradizionalmente la triade del trattamento era la religione, l’istruzione e il lavoro. Quest’ultimo, in base alla legge penitenziaria, costituisce l’oggetto di un obbligo da parte dello Stato, che è tenuto a far lavorare i detenuti o di dare lavoro, cui corrisponde il dovere del detenuto di prestare lavoro. Il lavoro non è però concepito come avveniva nel passato, cioè come elemento che fa parte della punizione, della retribuzione della pena. Mentre in passato la concezione dei "lavori forzati" aveva come presupposto che la penosità, la fatica del lavoro facesse parte del castigo. Oggi non è più così.

 

Quindi in passato aveva unicamente una funzione risarcitoria?

In passato aveva una dimensione risarcitoria della comunità, al punto che il lavoro non era retribuito. In origine l’ergastolo era proprio la pena al lavoro forzoso, dal greco ergàzomai, "io lavoro". Era una pena, anche temporanea, che non presupponeva necessariamente la pena perpetua, ma il contenuto pregante era il lavoro gratis come servizio alla collettività. Così era anche nel diritto romano la condanna ad metalla, che presupponeva il lavoro gratis in miniera per lo Stato, per la comunità.

Oggi invece il lavoro penitenziario ha prima di tutto carattere retribuito, è oneroso, non è gratis. Al punto che il giudice del lavoro ha competenze sulle controversie che possono sorgere tra l’istituzione penitenziaria e il detenuto e in secondo luogo serve ad indurre mutamenti positivi nella persona che sta in carcere. Da noi sono pochi i detenuti in carcere che lavorano perché l’amministrazione non ha mezzi sufficienti. Diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti: nel sistema penitenziario cinese, per esempio, non c’é detenuto in carcere che non abbia la possibilità di lavorare. Là però il lavoro è gratis.

 

Chi dà lavoro ai carcerati?

Il lavoro in carcere può essere svolto sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, sia alle dipendenze di imprese che vengono da fuori, come fanno al carcere di Padova la cooperativa Giotto o il consorzio Rebus, che con la loro azione riescono ad ottenere un utile di impresa anche nelle difficili condizioni in cui si può lavorare all’interno di un carcere. Però, come ha detto Cantone, un’amministrazione sensibile può adeguare i ritmi interni in modo tale da non collidere con le esigenze della produzione e con quelle di chi ha bisogno di entrare e uscire dal carcere.

 

Che esperienza ha lei della positività del margine di successo di questi esperimenti di lavoro?

Intanto le posso dire che il detenuto cambia radicalmente l’espressione del volto. Io vado una volta al mese in carcere a fare colloqui ai miei detenuti di Padova, e quando vedo un detenuto, prima che apra bocca, capisco che c’è qualcosa di diverso. Di solito i casi sono due: o ha avuto una bella notizia da casa, un permesso, oppure l’hanno ammesso a lavorare. Cambia sensibilmente, diventa meno rancoroso, inizia una nuova vita. Intanto iniziando a percepire un po’ di soldi si sente di nuovo utile e spesso soprattutto gli extracomunitari riescono a mandare qualche soldo a casa. 50 euro in Italia non sono niente, ma altrove è molto diverso.

I detenuti riescono così a riscattare la loro immagine fatta a pezzi dalla condanna, perché i rapporti spesso si incrinano con la famiglia, con la società, con gli amici; quindi il riuscire a contribuire al mantenimento di un figlio, a fare un regalo, mandare qualcosa fuori, significa dire "io valgo ancora qualcosa", rimane una parte di umanità che viene ancora valorizzata e sulla quale qualcuno investe.

Poi c’é qualcuno che accede al lavoro dopo aver fatto un corso di formazione, per cui gente che entra senza sapere ne leggere ne scrivere acquista un diploma (licenza media, quinta elementare), fa un corso di formazione, comincia a essere utile e viene inserito in una filiera che gli consente di mettersi in gioco.

Si apprezza il denaro. Chi era abituato ad avere diecimila euro al giorno facendo il delinquente, non avrebbe mai immaginato che per guadagnare cento euro ci volessero otto ore di lavoro e questo fa scoprire a molti una dimensione della vita sulla quale non avevano mai riflettuto. E questo contribuisce ad aumentare il grado di revisione critica circa il disvalore delle condotte compiute. La prova dell’utilità del lavoro sta anche nel fatto che quando il lavoro viene meno e viene fatto fare a rotazione, e il detenuto non lavora più e passa in cella 20 ore su 24, è spesso soggetto a crisi depressive.

 

E nel caso di detenuti disturbati o afflitti da problemi psichici?

Il lavoro viene usato anche per i soggetti che hanno delle patologie psichiche. Mettendo dei soggetti seminfermi di mente a fare qualcosa, si è trovato che il lavoro ha una valenza terapeutica. Questi soggetti hanno un canale preferenziale e vengono messi a lavorare prima di altri. Altri ancora vengono ammessi in base all’anzianità di detenzione, alle condizioni della pena, alle condizioni economiche, al numero di carceri nei quali sono passati. Ci sono infine, in carcere, dimensioni del lavoro che mutuano quello che avviene nella società civile.

 

Può spiegare meglio?

Sono previsti addirittura accordi sindacali di intervento di enti di formazione professionali, di intervento della Regione, di aziende pubbliche o private convenzionate, un sistema di collocamento del lavoro all’interno del carcere. Che, purtroppo, è largamente disapplicato.

Purtroppo non si è attuato fino in fondo quello che l’ordinamento penitenziario ha previsto in materia.

Bisogna anche dire che non tutto lo stipendio va al detenuto, perché una parte va trattenuta dall’amministrazione a rimborso delle spese di giustizia e di mantenimento del carcere. Anche le mercedi - non si chiama stipendio o retribuzione, purtroppo c’é ancora questo vecchio termine di mercedi - dovrebbero essere stabilite da una commissione composta dal direttore dell’amministrazione penitenziaria, dal direttore dell’ufficio, da un rappresentante del Ministero del Tesoro e del lavoro, dai rappresentanti sindacali, un sistema che purtroppo è rimasto largamente inattuato anche se previsto dall’articolo 22 della legge penitenziaria. C’è una parte importante di questa legge confezionata bene che però è rimasta disapplicata. Ma non mi chieda il perché.

 

Quanto si sente esposto in termini di responsabilità alla libera scelta del detenuto tra la scelta di affidarsi ad un percorso lavorativo e la scelta - una volta fuori - di tornare a delinquere?

Ogni volta che si concede un beneficio a una persona che ha avuto una o più condanne si corre un rischio ineliminabile. L’importante è che questo rischio sia ragionevole. Una persona che ha commesso un reato è per definizione pericolosa perché ha dato mostra di aver violato una o più volte la legge penale. Dobbiamo valorizzare il cammino che ha intrapreso questa persona e concordare con lui una riammissione all’esterno. Se il rischio è ragionevole non ritengo che il magistrato abbia responsabilità. Purtroppo è successo nel recente passato che la giustizia disciplinare, cioè il Consiglio Superiore della Magistratura, abbia sanzionato i nostri comportamenti.

 

Si riferisce a qualche caso particolare?

A quella in cui è incorso il Tribunale di Sorveglianza di Palermo, che ha concesso la semilibertà al signor Izzo. Da quella sentenza in poi sembra quasi che si sia affermata una sorta di responsabilità oggettiva in capo di magistrati di sorveglianza per le condotte poste in essere da soggetti che godono di benefici penitenziari, applicando la vecchia logica del post hoc, ergo propter hoc, ovvero "è successo dopo aver dato la semilibertà, quindi è colpa tua". Speriamo che la Corte di Cassazione cambi i parameri di valutazione di quella che mi pare a tutti gli effetti l’esito di una logica deterministica.

 

L’attuale ordinamento aiuta del tutto il Magistrato di Sorveglianza?

No, lo espone a un rischio notevole anche perché la pubblica opinione è un giudice ancor più severo degli esperimenti che finiscono male. Poiché la legge ci autorizza e non ci impone la concessione delle misure alternative e degli altri benefici, quando applichiamo questo nostra facoltà e l’esperimento va male è ovvio che la gente addita noi come responsabili. Questo può anche essere giusto, ma tenga conto che l’attività di osservazione della personalità in carcere è molto limitata e carente, ci sono pochissime figure di educatori e di psicologi che aiutano i magistrati a cogliere l’intima essenza della personalità.

In base alla legge ogni persona dovrebbe intraprendere, una volta entrata in carcere, una riflessione sulla condotta giuridica posta in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative che ha creato per l’intero Stato, per le vittime, per i suoi familiari e dovrebbe riflettere sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato incluso il risarcimento del danno. Lo dice l’articolo 27 del regolamento penitenziario. A Padova però su 700 detenuti abbiamo 2 educatrici, che riescono a vedere il condannato mezz’ora ogni anno e mezzo. Ed è francamente insufficiente l’informazione che assumiamo noi con i colloqui che, una volta al mese, facciamo in carcere tentando di conoscere più da vicino il detenuto.

 

E questi colloqui sono condotti da voi magistrati?

Sì. Noi magistrati di sorveglianza abbiamo l’obbligo di fare i colloqui ai detenuti. Sono indispensabili perché prima di concedere qualcosa a qualcuno bisogna averlo visto in faccia e avergli parlato a viso aperto. Lo porto in ufficio, ho una sua foto e di lì a un anno, quando lo vedo, cerco di affidarmi il più possibile alla sua storia, a quel che dice di sé, perché se uno non capisce perché l’altro ha delinquito dà un giudizio privo di fondamento logico.

 

Sono sempre di più gli extracomunitari nelle nostre carceri. Cosa ne pensa del reato di immigrazione clandestina appena istituito?

A prescindere dalla valutazione giuridica, che non mi compete, di fatto avrà un impatto terribile sul sistema. Chi, naturalmente nel futuro e non nel passato, entra in Italia senza il permesso, commetterà un reato per il quale si prevede l’arresto in flagranza e il processo per direttissima. Il giudice, anziché applicare la pena da sei mesi a quattro anni, ha l’obbligo di espellere il soggetto. Altro non è che un invito a lasciare il territorio. Se il soggetto non ottempera all’ordine del giudice commette un altro reato, punito con una pena da 1 a 4 anni. A quel punto il giudice del secondo reato potrà decidere se dare o meno la sospensione condizionale della pena, ma la sospensione non può essere data se il giudice non ha elementi per dire che il soggetto non delinquerà più. Essendo reato il mero fatto di stare in Italia senza permesso, il giudice non potrà mai presumere che il soggetto si asterrà per il futuro dal commettere lo stesso reato, e dovrà metterlo in carcere.

 

Il che vorrà dire costi e sovraffollamento…

Il sovraffollamento c’é già perché in Italia entrano in carcere 700 detenuti al mese. Siamo quasi al livello del 30 luglio 2006.

 

Vuole spiegare al lettore cosa significa quella data che ha citato?

Il 30 luglio 2006 è il giorno della approvazione del provvedimento di indulto. Alla data del provvedimento c’erano in carcere 63mila persone. Con l’indulto se ne è andata quasi la metà. Abbiamo respirato, c’era spazio, c’era un clima buono, ma un po’ alla volta sono tornati in carcere o gli stessi soggetti o altri che hanno delinquito e adesso in carcere stiamo a 54-55mila. Tra qualche mese torneremo pieni come eravamo prima.

 

Sta facendo una considerazione quantitativa o sta entrando nel merito dell’indulto?

Non entro nel giudizio di merito né dell’indulto né del reato di immigrazione clandestina. Dico che è impossibile gestire questo nuovo reato e che una norma penale si delegittima nella misura in cui si sa già che non potrà essere applicata. Se entrano in Italia 100mila clandestini l’anno non possiamo fare 100mila arresti, né processi per direttissima, né eseguire espulsioni. È illusorio.

 

Un istituto clemenziale come l’indulto sembra venire in contrasto con il percorso di reinserimento di un detenuto attraverso il lavoro…

Certamente sì: viene cancellata una parte di pena in cambio di nulla. È stato un provvedimento ispirato a ragioni solo umanitarie. L’affollamento delle carceri era disastroso, è stato un gesto di umanità. C’era stato anche l’appello umanitario della Chiesa, dei volontari e dei politici che avevano frequentato i nostri istituti e avevano visto in che condizioni erano le nostre carceri. Si conoscevano bene i rischi e i pericoli sul terreno della sicurezza, è andata abbastanza bene perché in fondo i soggetti indultati tornati a delinquere non sono stati poi moltissimi. Adesso però le condizioni che c’erano al tempo dell’indulto si stanno ricreando. La popolazione carceraria, con questa nuova legge sull’immigrazione clandestina, è destinata ad aumentare di migliaia di unità.

Roma: in arrivo George Bush… servono posti a Regina Coeli

 

Ansa, 4 giugno 2008

 

In previsione dell’arrivo a Roma, la settimana prossima, del presidente degli Stati Uniti George W. Bush, ben 220 detenuti di Regina Coeli sono stati trasferiti negli istituti di tutta Italia, "per consentire al carcere romano di far fronte agli eventuali fermi legati a possibili disordini e contestazioni". È quanto rende noto il Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, che commenta ironico: "È da tempo che andiamo dicendo che Regina Coeli è un carcere sovraffollato. Visto quanto sta accadendo, basterebbe che un capo di stato venisse a Roma una volta al mese ed ogni problema sarebbe risolto".

Secondo le informazioni in possesso di Marroni, "la scorsa settimana sono già stati trasferiti, in altre carceri del Lazio, un centinaio di detenuti: accanto alle normali 40 unità se ne sono aggiunte, infatti, una sessantina trasferite in via straordinaria". Inoltre nell’arco dei prossimi 4 giorni altri 60 detenuti dovrebbero essere smistati nei penitenziari della Regione, e ulteriori 63 nel resto delle carceri di tutta Italia.

Si tratta in tutto di 220 detenuti, che saranno trasferiti "per consentire di liberare due piani della settima sezione di Regina Coeli, quelli dove dovrebbero essere ospitati i responsabili degli eventuali incidenti legati alla visita di Bush a Roma". Come se non bastasse, denuncia ancora Marroni, "per la maggior parte dei casi ad essere trasferiti sono detenuti appellanti o giudicabili, che dovranno dunque tornare a Roma per i processi che li riguardano, con inevitabili costose spese di trasferimento a carico dello Stato. Quelli trasferiti fuori regione, poi, sono al 90% stranieri".

A Regina Coeli, d’altronde, il sovraffollamento è una costante: la struttura di via della Lungara potrebbe contenere al massimo 800 detenuti ma più volte, nelle ultime settimane, si è sfiorata la soglia record di mille unità. Per questo Marroni afferma: "Siamo sempre favorevoli a misure che possano ridurre il sovraffollamento, ma non a questi trasferimenti di massa improvvisati, che non tengono in nessun conto dei diritti e degli affetti dei detenuti. Ci sono reclusi che a Roma lasciano genitori, mogli e figli che non potranno seguirli in giro per l’Italia".

Milano: premiazioni del concorso "Da noi a voi, scambi positivi"

 

Ansa, 4 giugno 2008

 

L’Istituto Giovanni Pascoli di Sesto San Giovanni (Milano), e l’Itis Von Neumann del carcere romano di Rebibbia sono i vincitori del concorso "Da Noi a Voi - Scambi Positivi", organizzato da "La Fabbrica", gruppo milanese esperto di comunicazione sociale ed educazione e dedicato a come è vissuto il carcere da chi sconta una pena e da chi invece lo vede dall’esterno. Il concorso, cui hanno partecipato gli alunni di 15 scuole di Milano, Roma e della provincia di Campobasso (una menzione speciale è andata all’istituto Itis del carcere di Larino), oltre che gli studenti detenuti nelle carceri di San Vittore, Rebibbia e Larino, prevedeva l’elaborazione di testi sul tema "carcere immaginato, carcere vissuto".

Per l’istituto lombardo ha vinto Chiara Baroncini, mentre per quello carcerario romano si è aggiudicato il premio Giancarlo Camerlengo. Una giuria composta tra gli altri da Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti dei detenuti della Provincia di Milano e rappresentante della Onlus Antigone - informa una nota degli organizzatori - ha selezionato i vincitori, scegliendoli da una rosa di 400 concorrenti, tenendo conto della spontaneità dei testi e della riflessione sul ruolo dell’istruzione come strumento utile per il riscatto sociale.

L’organizzazione ha previsto che a tutti gli istituti carcerari saranno forniti dei materiali didattici utili a migliorare la condizione degli detenuti-studenti.

Torino: nasce Premio Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

 

www.teknemedia.net, 4 giugno 2008

 

Da oggi le opere delle artiste vincitrici della prima edizione del Premio Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli sono installate in via permanete lungo il corridoio di snodo tra le sale colloquio e le sale per gli avvocati e i magistrati del Carcere Le Vallette di Torino Il Premio Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, è nato con l’obiettivo di sostenere e promuovere gli studenti delle Accademie: al premio sono stati invitati a partecipare dieci studenti provenienti da altrettante Accademie di Belle Arti italiane (da Milano a Palermo), segnalati da dieci docenti di Storia dell’Arte o Critici d’Arte, degli stessi Istituti.

La prima edizione, presentata lo scorso novembre ad Artissima, è stata vinta ex aequo dalle artiste Margherita Moscardini e Jessica Ballerini che hanno presentato due progetti con interventi precisi e minimali che cambiano la percezione dello spazio evidenziando l’importanza del suono e della luce. Ad ogni candidato era stato chiesto di elaborare un’opera appositamente concepita per una struttura pubblica della città di Torino individuata nel "carcere delle Vallette" e precisamente nel corridoio di passaggio tra la zona detentiva e le sale-colloquio, luogo di contatto tra l’interno e l’esterno.

Le artiste vincitrici hanno ricevuto un premio in denaro offerto dalla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, destinato a coprire le spese di realizzazione dell’opera e quelle di soggiorno; Robe di Kappa ha offerto alle artiste una casa studio all’interno del Basic Village dove vivere e lavorare per un periodo di 2 mesi durante i quali hanno potuto realizzare i progetti.

La residenza a Torino ha permesso alle artiste di confrontarsi con la realtà artistica locale, incontrando e conoscendo galleristi, curatori e artisti torinesi. Per questo luogo simbolico Margherita Moscardini ha proposto un intervento strutturale sullo spazio sostituendo le sbarre verticali di due finestre con un reticolo irregolare, identico nel colore e nei materiali. Tale scelta è subordinata alla volontà di modificare il disegno luminoso riflesso sul muro, attraverso un’azione che si inserisce in modo mimetico.

La giovane artista, selezionata dal professor Roberto Daolio, dell’Accademia di Belle Arti di Bologna parla di "un’esperienza di intensità rara". Alcuni detenuti e alcune guardie hanno lavorato attivamente, ai sopralluoghi, alle misurazioni, all’installazione dei ponteggi, ma soprattutto all’osservazione dei comportamenti del sole, hanno osservato la terra muoversi, e loro stessi con lei". L’opera di Jessica Ballerini, selezionata dal professor Stefano Chiodi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, ha ripercorso invece un’idea di silenzio.

"Mi sono voluta relazionare con la quotidianità nei luoghi inusuali dell’arte, indagare sul cambiamento psicofisico dovuto all’incontro con diversi soggetti e in diversi spazi, per creare un rapporto con lo spettatore". Per uno dei luoghi di passaggio più trafficati del carcere ha concepito l’installazione "Seek me in silence", una lunga linea blu sovrapposta al pavimento originale. I vincitori sono stato selezionati da una giuria internazionale composta da Paolo Colombo (curatore, Roma), Lara Favaretto (artista), Samuel Keller (direttore ArtBasel, Basilea), Francois Pinault (collezionista, Parigi).

Il Premio Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli avrà cadenza biennale. La prossima sede sarà Casa Ugi "Stazione Regina" - la casa di accoglienza che ospita le famiglie e i bambini/ ragazzi in terapia presso i reparti onco-ematologici del vicino Ospedale Regina Margherita - e al progetto verranno coinvolti gli studenti delle Accademie pubbliche italiane.

Il Premio Pinacoteca è stato realizzato con il Patrocinio del Comune di Torino e grazie ad Artissima, Unicredit, Unicredit Privare Banking, Robe di Kappa. Partner dell’iniziativa la casa editrice Johan & Levi.

Alla prima edizione del Premio, hanno partecipato Riccardo Amabili selezionato da Umberto Palestini, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Urbino;Jessica Ballerini selezionata da Stefano Chiodi, Accademia di Belle Arti di Macerata; Cerbero selezionati da Marco Di Capua, Accademia di Belle Arti di Napoli; Crocus selezionati da Luca Beatrice, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano; Silvia Giambrone selezionata da Cecilia Casorati, Accademia di Belle Arti di Roma; Margherita Moscardini selezionata da Roberto Daolio, Accademia di Belle Arti di Bologna; Igor Scalisi Palminteri selezionato da Sandro Scalia, Accademia di Belle Arti di Palermo; Silvia Elisabetta Ruata selezionata da Maria Teresa Roberto, Accademia di Belle Arti di Torino; Sanasi e Goffredo selezionati da Lea Mattarella, Accademia di Belle Arti di Lecce; Giuseppe Teofilo selezionato da Lia De Venere, Accademia di Belle Arti di Bari.

Roma: arrestato ex produttore di cinema Vittorio Cecchi Gori

 

Ansa, 4 giugno 2008

 

L’ex produttore cinematografico Vittorio Cecchi Gori è stato arrestato ieri sera ed è detenuto in stato di isolamento nel carcere di Regina Coeli. Il reato è la bancarotta fraudolenta della società Safin, che controllava molte sale cinematografiche su tutto il territorio italiano, tra cui il prestigioso cinema Adriano di Roma in Piazza Cavour. Nel 2005 il tribunale di Roma mise all’asta le sette sale romane, fra cui appunto la multisala Adriano, l’Atlantic, il New York, l’Ambassade, il Royal, il Reale e il Volturno, per estinguere un debito ingente con un istituto di credito. Per Cecchi Gori è il terzo fallimento dopo quello della squadra di calcio Fiorentina e quello della società Finmavi. In questo ultimo caso era esposto con un istituto di credito per 25 milioni di euro, circostanza che ha reso necessario l’arresto.

Roma: l'immobiliarista Coppola, ai domiciliari, tenta il suicidio

 

La Stampa, 4 giugno 2008

 

Lexotan è un ansiolitico a base di bromazepan. Nelle giuste dosi serve a tenere sotto controllo quel po’ di angoscia che molti si portano addosso. Ma un intero flacone di Lexotan, inghiottito in un colpo solo e mischiato a un cocktail imprecisato di altre pasticche, può spedire al Creatore. Ieri pomeriggio l’immobiliarista Danilo Coppola, ai domiciliari nella sua casa romana, lo hanno afferrato letteralmente per i capelli. Ambulanza, ospedale, lavanda gastrica. Alle 9 di ieri sera Vittorio Emanuele Falsitta, il commercialista che lo assiste, può dire "È fuori pericolo" con il tono di chi ha visto la tragedia a un passo.

Mancava solo questo, per trasformare l’odissea giudiziaria di uno dei giovani leoni del mattone italiano - i quattro self made man che sembrava dovessero cambiare volto alle città italiane, Coppola, Ricucci, Zunino e Statuto - in un dramma a fosche tinte. Che l’inchiesta della Procura di Roma per bancarotta fraudolenta avesse minato pesantemente dopo l’equilibrio finanziario di Coppola anche l’equilibrio interiore lo si era capito già in dicembre, quando era evaso dagli arresti domiciliari per andare a farsi intervistare da Sky.

Un altro detenuto, al posto suo, sarebbe stato richiuso in carcere. Ma, almeno in quell’occasione, il Tribunale fu comprensivo, e si convinse di essere davanti a un uomo in crisi più che a un pericoloso fuggiasco. Così Coppola rimase ai domiciliari, e il processo andò avanti. Ed è in quel processo, nella "totale sordità" (parole di Falsitta) dei giudici alle sue ragioni che sta una delle spiegazioni della sua crisi sempre più acuta. Culminata nella boccetta di Lexotan, la strada più veloce per girare pagina. Tutte le pagine, di colpo. Chiudere il libro.

Qualche segnale, in realtà, era già arrivato. Il 29 maggio, alla nuova udienza del processo per bancarotta fraudolenta, era venuto a testimoniare in aula Falsitta. Il commercialista di Coppola aveva spiegato ai giudici come l’imputato starebbe cercando di risarcire il fisco del gigantesco "buco" di cui è accusata la Micop, la cassaforte dei suoi affari andata a gambe all’aria per i suoi debiti con l’erario. Falsitta aveva anche spiegato come Coppola ormai sia un ex immobiliarista, un ex imprenditore che si sta liberando di tutte le sue proprietà, e quindi non potrebbe tornare a delinquere. Al termine dell’udienza, i difensori di Coppola - Gaetano Pecorella e Michele Gentiloni - avevano presentato una nuova istanza di liberazione. L’ennesima: appena due settimane prima, si erano sentiti dire di no. "Se ci diranno ancora di no potremmo fare un gesto clamoroso", avevano detto, e probabilmente alludevano alla rinuncia al mandato. Ma il loro assistito li ha anticipati.

Per un uomo comune è forse difficile da capire come arresti domiciliari confortevoli come quelli di Coppola possano risultare tanto insopportabili. Ma i pochi che hanno parlato con Coppola di recente dicono che a segnarlo così sia la rabbia, l’impotenza. Davanti ai suoi giudici, certo. Ma ancora di più di fronte a quelli che non lo hanno mai amato e ora si preparano a divorare il suo impero. Un esercito che, dicono i difensori "stringe i tempi per strappare a Coppola, esausto e malato, Porta Vittoria e il Lingotto a metà del loro valore".

Libro: "Direttò... io andrò in paradiso", Pino Ciociola sull’Ipm

 

Asca, 4 giugno 2008

 

Si intitola "Direttò io andrò in paradiso" il nuovo libro del giornalista Pino Ciociola. Una testimonianza della realtà dell’istituto minorile attraverso le voci dei minori, in cui si intrecciano colpe, ricordi e percorsi di riabilitazione.

"Direttò io andrò in paradiso. Storie dal carcere minorile di Nisida", il nuovo libro di Pino Ciociola edito da Àncora, è ciò che potrebbe definirsi la narrazione di "un’apertura fenomenologica" al mondo del carcere minorile, che non si limita a descrivere la realtà del penitenziario ma la racconta attraverso un vissuto personale, l’esperienza dell’autore nel carcere minorile dell’isola di Nisida (Napoli), dove ha soggiornato per diverso tempo insieme ai ragazzi detenuti. Attraverso le porte "magiche" del carcere, lungo i corridoi, le celle, i rumori dei chiavistelli, lo stridio dei gabbiani, l’autore incontra una realtà di ragazzi smarriti, prime vittime delle loro stesse colpe, proprio perché spesso il crimine è stato per loro l’unica via percorribile: "perché infatti si possa scegliere la strada giusta", dice l’autore "bisogna almeno che te l’abbiano indicata".

Il testo documenta come la detenzione, in particolare nel caso di minori, si riveli efficace solo quando accompagnata da un percorso riabilitativo ed educativo che si avvale anche di strumenti "non convenzionali" per un carcere come possono essere un laboratorio teatrale, un forno per cuocere la ceramica, un reparto di falegnameria, una pasticceria, una sartoria, un laboratorio di pittura. Convogliare le energie verso l’esercizio della creatività, la cura degli spazi verdi, il lavoro e l’auto-produzione diventano tappe di un percorso riabilitativo mirato quando possibile a restituire a questi giovani la dignità necessaria per un positivo reinserimento nella società.

Risulta evidente quindi come la sconfitta della criminalità minorile non si risolva nella repressione, da vedere più come un insuccesso per la società che non una vittoria sulla delinquenza, ma parta dal lavoro delle istituzioni educative, dalla capacità di immedesimazione in situazioni di difficoltà e indigenza piuttosto che dalle facili stigmatizzazioni di devianza nelle quali spesso si rifugge la reale comprensione di contesti problematici. Il riscatto sociale, tanto quello dei ragazzi quanto quello delle istituzioni fallimentari, passa anche attraverso la capacità di saper accogliere questi giovani una volta usciti dal carcere, aprendo le porte a quelle possibilità di un futuro che il passato aveva loro negato.

Nel testo sono gli stessi giovani detenuti a raccontare le proprie storie, spesso drammatiche, talvolta storie di mafia, droga, violenze, talvolta di omicidi, dietro le quali emergono i volti di ragazzi vulnerabili, disorientati, con percorsi di vita dolorosi, ricordi che pesano, colpe che angustiano. L’auspicio di Ciociola è quello che attraverso e oltre il testo, gli adulti riescano a guardare al di là del reato, "guardare i volti dei ragazzini, dentro e dietro i loro occhi". L’autore riflette sulla colpe e sui meriti, sul peso dell’arbitrio e della volontà e su quello delle circostanze e della contingenza, si domanda e ci domanda chi sono davvero le vittime e chi i carnefici. La prerogativa di questo libro è proprio quella di aprirsi alla realtà del penitenziario senza emettere sentenze o trincerarsi dietro moralismi e pietismi preconfezionati, mostrando le contraddizioni, il dolore profondo ma anche la tremenda banalità del male, la terribile normalità dei giovani colpevoli.

Immigrazione: a Cagliari aperto un Cpt, domani i primi arrivi

 

Redattore Sociale, 4 giugno 2008

 

Una ringhiera alta tre metri circonda l’ex caserma degli avieri nella base dell’aeronautica militare di Elmas. Da domani ospiterà i primi cento somali: hanno tutti chiesto asilo politico

Una ringhiera alta circa tre metri che circonda l’intera ex caserma degli avieri trasformata nel primo centro di permanenza temporanea della Sardegna. Ma non sarà una prigione. Una parte degli ospiti, quelli già identificati, potranno uscire durante il giorno (accompagnati), per poi tornare entro le 20. Restaurato da cima a fondo, nel pomeriggio il complesso è stato presentato ufficialmente alle autorità e alla stampa, pronto per entrare in funzione già dalle prossime ore. Domani mattina, infatti, arriveranno da Lampedusa con un charter i primi cento immigrati di nazionalità prevalentemente somala: sono già stati tutti identificati e hanno chiesto asilo. Resteranno a Elmas in attesa di ricevere lo status di rifugiati politici. Verranno ospitati al secondo piano dell’edificio, dove sono presenti le camerate con i servizi, mentre al piano terra è stata allestita una mensa e l’infermeria. Potranno uscire durante il giorno, mai da soli, ma dovranno tornare per la notte.

Complessivamente, il nuovo Cpt cagliaritano potrà contare su 220 posti letto, in buona parte destinati agli immigrati clandestini che sbarcheranno quest’estate nelle spiagge sarde. In questo caso, al contrario di chi è in attesa di risposta per l’asilo politico, il centro servirà oltre che per la primissima accoglienza, anche per le visite mediche e per l’identificazione. "Resteranno 48 ore per la foto-segnalazione - spiega Bruno Corda, vice-prefetto di Cagliari - poi saranno avviati ai centri nazionali di identificazione e espulsione, sempre che non richiedano l’asilo politico".

La gestione del centro di permanenza temporanea sarà la società siciliana Connecting People, che già si occupa dei centri di Siracusa e Gorizia: per ciascun immigrato incasserà 29 euro al giorno, mentre la sorveglianza sarà affidata a 20 carabinieri del Battaglione Sardegna e altrettanti poliziotti del reparto celere, più medici della Asl e qualche agente che sarà addetto all’identificazione. Già previsto, però, un rafforzamento degli uomini, in vista dell’estate e dell’annunciato sbarco massiccio di immigrati clandestini provenienti in modo particolare dall’Algeria. È Hannaba, infatti, il principale porto di partenza dei tanti migranti che sbarcano nell’Isola.

E durante la visita al complesso, i funzionari della Prefettura hanno anche diffuso i dati sul crescente fenomeno degli sbarchi, sebbene le autorità tendono già ad escludere qualsiasi emergenza. E se lo scorso anno i nordafricani approdati in Sardegna sono stati 1597 (824 nei soli mesi di luglio e agosto), quest’anno sono 163 (tunisini e algerini). Elevata anche la percentuale degli irregolari che vengono poi segnalati alle varie Questure: la provincia di Nuoro risulta essere la seconda in Italia quanto a presenza di immigrati senza permesso di soggiorno (35,5 irregolari ogni cento stranieri), Sassari ne conta 32 e Cagliari 24,5. A Oristano la percentuale scende ad appena 15 stranieri irregolari su 100.

Il Ministero degli Interni studia il fenomeno, tenuto comunque sotto controllo e che non mostra particolari segnali di allarme. L’unica nota significativa è il sistema utilizzato per attraversare le poche decine di miglia di mare che separano l’Algeria dalla Sardegna. Se lo scorso anno i migranti venivano spesso salvati dalla Guarda Costiera mentre navigavano a bordo di bagnarole in legno con motori da 4 cavalli, quest’anno le motovedette hanno già intercettato alcuni motoscafi d’altura: imbarcazioni che permettono la traversata in poche ore.

Droghe: Gorizia; perquisita sede di un Servizio "a bassa soglia"

 

Fuoriluogo, 4 giugno 2008

 

Gli operatori del Centro a Bassa Soglia di Monfalcone denunciano la perquisizione delle forze del’ordine nei locali dell’Officina Sociale che ospitano il Drop In e lanciano una manifestazione per sabato 7 giugno a Monfalcone. Ecco il testo dell’appello.

Lunedì 19 maggio a Monfalcone è successo qualcosa di molto grave. Con la scusa di generiche indagini in merito alla vendita di sostanze stupefacenti, le forze dell’ordine hanno effettuato una perquisizione nella struttura in cui è ospitato il Drop-in, di proprietà del Comune di Monfalcone mettendo sottosopra tutte le stanze di Officina Sociale. Sono stati violati documenti e computer. Naturalmente non sono state trovate sostanze stupefacenti né altro. D’altronde è chiaro che a muovere la perquisizione erano ben altre motivazioni: provocare gli operatori e carpire informazioni su chi frequenta il centro a bassa soglia, informazioni che nessuno avrebbe mai rivelato.

Da anni denunciamo un clima repressivo fatto di piccole operazioni molto mirate nei confronti di singoli consumatori nel monfalconese. Di fronte agli allarmi lanciati dai servizi a bassa soglia in merito all’aumento di consumi pericolosi tra i giovanissimi, viene lanciato "fumo negli occhi" attraverso queste operazioni per dare l’illusione di una lotta al narcotraffico, aggredendo però gli stessi che stanno in prima linea nelle politiche di riduzione del danno e prevenzione. Mentre denunciamo l’approccio proibizionista e dogmatico come principale responsabile della diffusione delle droghe e dei consumi problematici, veniamo aggrediti e perseguiti come fossimo centrali dello spaccio.

Monfalcone ha percentuali di infiltrazioni camorristiche sotto l’occhio di tutti che oltre a determinare situazioni di caporalato nel mondo della cantieristica navale, ha creato autostrade per la cocaina. Inoltre la vicinanza con i paesi dell’est fornisce un mercato di eroina a buon mercato e con un livello di purezza più alta della media. In questo contesto la perquisizione agli uffici di Officina Sociale assumono un valore politico del tutto particolare: impaurire e mettere il bavaglio a chi denuncia queste cose e ne vive tutte le contraddizioni proponendo un approccio diverso teso al rispetto delle persone ed alla promozione dei diritti, contro la devastazione e l’esclusione sociale.

Temiamo che quanto successo in Venezia Giulia non sia affatto un caso isolato, e che sia l’inizio di un attacco di più grande portata. Il rischio che altri progetti di inclusione in Italia possano essere sotto attacco in futuro è concreto. Se la prospettiva di cancellazione della Fini-Giovanardi è impossibile, ed il clima verso i servizi è di criminalizzazione, se i nostri territori saranno militarizzati, ci dobbiamo interrogare, come operatori e come cittadini. Quale strategia si vuol mettere in atto? Quali sono le prospettive per gli operatori e per i progetti che lavorano in questi contesti? Dovremo aspettarci altre perquisizioni domiciliari ai danni di chi si approccia dal basso alle politiche sulle droghe? Quali saranno le prossime strutture sotto assedio?

Rivolgiamo un appello al mondo dei servizi tutto, dalla strada alle comunità di recupero, al mondo scientifico, ai movimenti per i diritti civili, affinché ad una tale criminalizzazione si dia tutti insieme una risposta forte. Chiediamo di non abbassare la testa, per affermare dal basso pratiche diverse, che mettano al centro la persona ed il bene comune. Non solo dobbiamo rispondere tutti insieme agli attacchi come quello di lunedì 19 maggio, ma soprattutto dobbiamo costruire nei territori quelle relazioni e quelle pratiche che possono rispondere ai bisogni delle persone e del territorio, contro la criminalizzazione dei consumatori e degli operatori.

Invitiamo tutti e tutte ad un evento in Piazza della Repubblica a Monfalcone (GO), sabato 7 giugno ore 16.30 in poi, per rivendicare l’efficacia dei nostri interventi, per cominciare a costruire dal basso quelle pratiche non ideologiche che permettano di promuovere una cultura del comune nel rispetto dei diritti e della salute. Noi non ci spaventiamo. Noi continuiamo per la nostra strada. Noi non siamo soli.

 

Operatori/educatori Centro a Bassa Soglia d’accesso - Monfalcone (GO)

Canada: somministrazione di eroina, esperienza d’avanguardia

di Marco Bazzichi

 

Reuters, 4 giugno 2008

 

Il Naomi, North American Opiate Medication Initiative, fondato dai Canadian Institutes of Health Research, ha sotto analisi 251 persone, 192 a Vancouer, 59 a Montreal, dipendenti da eroina da anni. L’obiettivo del Naomi è di "aiutare le persone che sono gravemente dipendenti da eroina da molto tempo", spiega alla Reuters la portavoce Julie Schneiderman.

A circa la metà dei soggetti sottoposti alla sperimentazione, che ha preso il via nel febbraio 2005, è stato dato metadone liquido, dentro la clinica, una volta al giorno, mentre all’altra metà è stata data eroina su ricetta medica, preparata da un farmacista e auto-iniettata sotto il controllo di un’infermiera. Anche se i risultati ufficiali dello studio non sono ancora disponibili, se ne deduce già che il trattamento a base di oppiacei ha aiutato non poche pazienti a migliorare la propria esistenza.

Somministrare eroina ai tossicodipendenti non è un’idea nuova. Nel 1919 furono aperte molte cliniche negli Usa, dove si davano morfina e eroina, ma soltanto quattro anni più tardi il Governo interruppe questo genere di sperimentazione. La Gran Bretagna è andata avanti decenni con la somministrazione controllata di eroina e metadone, anche se in via assai ristretta; via promossa in Canada, dal 1972, da una commissione di inchiesta.

È ormai vecchio di 10 anni l’ultimo approfondito studio, elaborato in Svizzera, su un campione di 1000 dipendenti di lungo periodo da oppiacei: una volta usciti dalla dipendenza, tramite un apposito trattamento, raddoppiò il numero di loro con una occupazione. È anche vero però che spesso l’inserimento nel mondo del lavoro fa parte proprio di questi programmi di disintossicazione.

Ad ogni modo, i rischi e i costi dell’uso di droga sono sempre elevati. In Canada, in un anno, i morti per overdose sono stati circa 1000, stando ai dati del Naomi. Gli Usa contano 600 mila persone in dipendenza da oppiacei, mentre il Canada ne ha tra i 60 e i 90 mila. I costi per la comunità derivano dal fatto che la dipendenza da oppiacei puri porta facilmente all’overdose, alla trasmissione di malattie infettive, la perdita di lavoro e a comportamenti criminali. I costi provocati dall’uso di sostanze illecite equivalgono allo 0,2% del Pil canadese.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva