Rassegna stampa 23 giugno

 

Giustizia: malattie, suicidi, violenze: estate "calda" in carcere

 

Adnkronos, 23 giugno 2008

 

Nei primi cinque mesi del 2008 nelle carceri italiane sono morti 30 detenuti, e la metà ha scelto la via del suicidio. Sono le cifre, sempre più drammatiche, delle morti negli istituti di pena da Nord a Sud, racchiuse nel dossier "Morire di carcere" redatto da "Ristretti Orizzonti", il giornale del carcere di Padova. Un bollettino di guerra, che tuttavia non sembra essere definitivo.

Infatti, nel presentare il dossier aggiornato al 10 maggio scorso, si precisa che i casi raccolti "non rappresentano la totalità delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari italiani". La casistica è quella ricostruita attraverso le notizie della stampa e le lettere inviate dai volontari o dai parenti dei detenuti. Molte morti, spiega Ristretti Orizzonti, "passano ancora sotto silenzio, nell’indifferenza dei media e della società".

L’escalation di morti nelle carceri non fa scendere il livello di allarme sul fenomeno dei suicidi che, sottolinea il dossier, negli ultimi otto anni sono stati 449, su un totale di 1243 decessi dietro le sbarre. Lo scorso anno i detenuti che hanno compiuto l’estremo gesto sono stati 45 su 123 morti, circa un terzo sul totale; una cifra che tuttavia era scesa rispetto al 2006, dove i suicidi avevano raggiunto quota 50 su 134 decessi.

Nell’arco di otto anni, dal 2000 ad oggi, l’anno in cui si sono registrati più decessi è stato il 2001, con 69 suicidi su 177 morti dietro le sbarre; dal 2002 allo scorso anno invece, la media dei detenuti che si è tolto la vita in carcere si è mantenuto tra i 50 e i 57 casi. Morti che si sono susseguiti fino ad oggi e che nella prima metà di quest’anno hanno già raggiunto quota 30. Il più giovane, racconta il dossier, è Mihai, un ragazzo rumeno di 20 anni che si è impiccato nel carcere di Viterbo. Il più anziano è Michele Greco, soprannominato "il Papa" della mafia, che scontava l’ergastolo a Rebibbia ed è morto a 84 anni.

Trenta decessi avvenuti "in un quadro doloroso ed inquietante della detenzione nelle galere italiane: dalla detenuta colombiana incinta di sei mesi morta nel carcere della Giudecca di Venezia (arrestata per aver fatto da "corriera" della cocaina in cambio di 1.400 euro) - documenta Ristretti Orizzonti - al tossicodipendente che si suicida preso dallo sconforto perché gli sono rifiutati gli arresti domiciliari, all’internato in Ospedale Psichiatrico Giudiziario che riesce ad uccidersi dopo decine di tentativi".

Su 30 detenuti, si sottolinea, 14 si sono suicidati, 6 sono morti per malattia. Dieci decessi sono invece avvenuti per cause non accertate. Così si continua a morire dietro le sbarre. Ma i decessi legati al mondo delle carceri non riguardano soltanto i detenuti. Cresce l’allarme suicidi anche tra gli appartenenti alle guardie carcerarie: 64 in 10 anni (1997/2007), già 5 nel 2008. Tanti sono gli agenti di Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. I numeri sono stati diffusi di recente dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria secondo cui "si tratta di un fenomeno sostanzialmente comune a tutte le Forze di Polizia".

I suicidi si sono verificati sia al nord che al sud, ma raramente all’interno della sede di servizio: dal 2006 ad oggi solo 1 caso su 13. Le cause sono legate soprattutto a problemi finanziari, sentimentali e personali, ma il Dap ha sottolineato che "sembrerebbe emergere che i recenti episodi di suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono, in taluni casi, le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni". I sindacati degli agenti penitenziari hanno manifestato non poche preoccupazioni per i casi di suicidio tra gli appartenenti al Corpo e da anni monitorano il fenomeno.

Recenti ricerche hanno provato che nel lavoro penitenziario il rischio di burnout, ossia di cedimento psicologico allo stress, è elevato. Il problema del burnout, per cui si intende una forma di disagio professionale protratto nel tempo e legato alla discrepanza tra gli ideali del soggetto e la realtà della vita lavorativa, era stato posto all’attenzione del Dap circa un decennio fa. Ma all’epoca non erano seguite iniziative concrete. Il burnout interessa categorie lavorative in cui il rapporto con gli utenti risulta centrale o comunque determinante.

"È perfettamente comprensibile - ha sottolineato più volte il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Donato Capece - che chi lavora in carcere possa andare incontro a questa sindrome. È per questo che riteniamo che anche l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico possa essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere".

Su questo tema è allo studio l’ipotesi della istituzione nei ruoli della Polizia Penitenziaria della figura professionale del counselor, un professionista qualificato nella relazione d’aiuto, in grado di sostenere e aiutare le persone nella loro crescita professionale e di intervenire tempestivamente sul disagio per facilitare il superamento.

Molti anche i casi in cui gli agenti penitenziari restano vittima di aggressioni dietro le sbarre. La Uil Pa Penitenziari giorni fa ha lanciato l’allarme, sottolineando che da marzo ad oggi, nelle carceri italiane, sono avvenute 47 aggressioni ai danni di poliziotti penitenziari che hanno causato il ferimento di 28 agenti. Una cifra che ha portato la Uil a chiedere "l’impiego di mezzi coercitivi e di difesa per il personale in servizio di custodia nelle sezioni" e a denunciare che "un agente da solo deve sorvegliare una media di 70-80 carcerati senza alcuna assistenza e supporto tecnologico diventando di fatto ostaggio dei reclusi".

Uno degli ultimi casi denunciati dalla Uil è stato quello di Matera, risalente a poco più di una settimana fa, dove sette agenti sono stati aggrediti e feriti da un detenuto. Uno degli agenti ha riportato ferite alla gola procurate con una lametta ed un altro trauma cranico per le botte alla testa. Le aggressioni avvengono in strutture in cui mancano i Dirigenti titolari come Matera e Frosinone - ha fatto presente il sindacato - o dove le gestioni sono discutibili, come Lecce, Bologna, Genova e Orvieto". Sulla questione delle aggressioni a poliziotti penitenziari il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha convocato i sindacati per il prossimo 25 giugno. Ma intanto, le organizzazioni sindacali non stanno a guardare.

Dopo le ultime aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Matera, tutte le organizzazioni sindacali locali hanno deciso di protestare. Da giovedì scorso i poliziotti penitenziari in servizio a Matera alla fine di ogni turno di servizio sono rimasti in istituto fino al turno successivo senza mai recarsi a casa e hanno rifiutato il vitto dell’Amministrazione disertando la Mensa di Servizio.

"Dovessimo passare in carcere anche tutte le nostre ferie, non ci tireremo indietro - ha sottolineato Giovanni Grippo Segretario Regionale della Uil Penitenziari e componente del Direttivo Nazionale della Uil Penitenziari - Oramai siamo allo stremo e siamo stanchi delle solite chiacchiere. Ora ci vogliono i fatti. Da buoni servitori dello Stato garantiremo turni regolari e tutti i servizi, anche a costo di subire altre mortificanti aggressioni".

Ma, aggiunge Grippo, al centro della protesta non c’è solo la questione delle aggressioni, "ci sono problemi irrisolti da tempo. Qui manca un Direttore effettivo - ha spiegato Grippo - gli organici anche a detta dell’Amministrazione sono la metà di quelli previsti e questo significa fare due o tre posti di servizio in contemporanea. Qui c’è gente che fa anche 40 ore di straordinario e non lo pagano nemmeno". Sulla protesta di Matera è intervenuto anche il Segretario Generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno che si è detto solidale con i colleghi di Matera e che due anni fa aveva denunciato "a gran voce le gravi carenze strutturali e le deficienze organiche" dell’istituto.

Giustizia: Sappe; carceri affollate, serve presto una soluzione

 

Comunicato Sappe, 23 giugno 2008

 

"La mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto ha riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili, arrivando oggi ad avere un numero di detenuti pressoché uguale a quello per il quale l’80% dei parlamentari italiani decise di approvare il provvedimento di clemenza. Oggi abbiamo infatti nei nostri penitenziari (il 20% dei quali risalgono ad un’epoca compresa tra il 1.200 e il 1.500, mentre il 60% risale comunque a oltre un secolo fa) quasi 55mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore a 43mila posti.

Governo e Parlamento non posso però tralasciare la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri penitenziari e devono porre l’emergenza carceraria tra le priorità di intervento. Se con il reato di immigrazione clandestina si sancirà - oltre all’arresto - anche una pena detentiva, i nostri penitenziari scoppieranno. Alla data del 31 luglio 2006, prima dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti.

Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità. Si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori.

È da tempo che il Sappe, l’Organizzazione sindacale più rappresentativa della Polizia Penitenziaria, auspica - inutilmente, visti i numeri ai quali siamo arrivati - che vengano al più presto approvate dal Parlamento delle modifiche sostanziali al sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale e che si trovino soluzioni al problema degli stranieri detenuti (che rappresentano oggi il 40% della popolazione carceraria) mediante accordi internazionali che consentano l’espiazione delle pene nei Paesi di origine. Prevedendo anche, se necessario, a fronte di un costo giornaliero per detenuto che si aggira attorno ai 300 euro, un bonus economico di 50 euro che lo Stato italiano potrebbe corrispondere al Paese di origine che riprenda i suoi connazionali detenuti".

È per questo conclude Capece che ci aspettiamo dall’incontro di mercoledì in via Arenula di conoscere gli intendimenti del Ministro della Giustizia Angelino Alfano in materia penitenziaria. Per altro, rinnoviamo l’auspicio che per quanto concerne il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il Ministro della Giustizia Alfano sia orientato a confermare quale Capo Dipartimento Ettore Ferrara, con il quale sono state messe in cantiere diverse importanti e strutturali riforme che riguardano il Corpo di Polizia Penitenziaria e che, provenendo dalla Magistratura, garantisce certamente il principio della terzietà rispetto alle aspettative dei dirigenti provenienti dai ruoli della nostra amministrazione.

 

Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

Giustizia: riforma Sanità penitenziaria, ora impegno Regioni

 

Comunicato Stampa, 23 giugno 2008

 

Di Leda Colombini, Presidente del Forum per il diritto alla salute in carcere. Riforma Sanità penitenziaria: serve uno scatto delle Regioni. Qualità ed efficacia dei servizi l’obiettivo immediato da perseguire.

Il Forum Nazionale per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute e l’applicazione del Dlgs 230/99 riunitosi, venerdì 20 giugno, a Roma esprime piena soddisfazione per l’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che sancisce definitivamente il trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.

L’affermazione del diritto alla salute anche per i cittadini momentaneamente privati della libertà personale è l’obiettivo che la legge di riforma prova a perseguire attraverso l’avvio di un’operazione di profonda trasformazione dei modelli organizzativi, dei sistemi delle responsabilità e delle prassi operative che non può che fare bene al nostro sistema carcerario, sin troppo statico, eccessivamente chiuso ed autoreferenziale. Un passo avanti anche nella ricomposizione di un rapporto positivo tra carcere e società.

L’incontro nazionale - al quale hanno partecipato la quasi totalità delle associazioni che aderiscono al Forum, da Emergency alla Lila, da amministratori locali a rappresentanze dell’ordine degli psicologi, dalla Comunità di Sant’Egidio al Ceis, da esponenti di singole Aziende Sanitarie locali a rappresentanti degli assessorati regionali alla Salute, dal Seac alla Conferenza Nazionale del Volontariato, dalla Consulta Penitenziaria del Comune di Roma ai Forum Regionali - ha offerto un fattivo contributo alla costruzione del percorso operativo che la legge di riforma stabilisce ed ha messo in luce con chiarezza la necessità e l’urgenza che le Regioni assumano concretamente con urgenza tutte quelle iniziative che, dopo l’approvazione del Dpcm, rientrano nelle loro totali ed esclusive competenze: individuazione dei modelli organizzativi; presa in carico della strumentazione e dei locali; trasferimento dei rapporti di lavoro; definizione chiara delle priorità di intervento sanitario nelle comunità carcerarie.

Questi sono i primi atti che i servizi sanitari regionali e gli assessorati alla salute devono immediatamente assumere a garanzia della continuità terapeutica ai detenuti, alle detenute e agli internati.

L’universalità del diritto alla salute, la sua caratteristica solidaristica e l’affermazione della supremazia dei diritti di cittadinanza su qualsiasi altro bisogno sono i valori che la legge offre al servizio sanitario nazionale quale istituzione democratica del nostro Paese. Adesso alle Regioni il compito di interpretare questa straordinaria occasione non più come carico di lavoro aggiuntivo, ma come vero e proprio valore aggiunto.

Il Forum nazionale ha quindi deciso di intensificare la sua azione per l’affermazione del diritto alla salute: di sollecitare un incontro con il Ministro Maurizio Sacconi (Sanità) e il Ministro Angelino Alfano (Giustizia) per accelerare gli atti nazionali necessari all’avvio concreto della riforma e sulle forme di "leale collaborazione" da realizzare tra i Prap e le Regioni da ora fino a processo di riforma completato. Ha deciso altresì di chiedere al Presidente della Conferenza Stato Regioni Vasco Errani ed al Coordinatore degli Assessori alla Salute Enrico Rossi di stringere i tempi per la realizzazione concreta della riforma accelerando i passaggi concertativi interistituzionali necessari per la realizzazione di quegli atti che, concretamente, caratterizzano il valore ed i principi innovativi della riforma.

Il Forum preannuncia una serie di immediate iniziative pubbliche concorrenti alla realizzazione di quest’obiettivo: assemblee ed incontri con i cittadini detenuti per illustrare i contenuti della riforma e le prospettive ad essa correlate, iniziative pubbliche in tutte le realtà regionali tese a coinvolgere sempre più fortemente i governi regionali, la cittadinanza attiva, gli operatori, creazione di ulteriori Forum Regionali (oltre a quelli già strutturati ed operanti in Piemonte, Toscana, Lazio, Campania) quali strumenti utili alla realizzazione di contributi: di analisi e di monitoraggio.

Giustizia: vergogna e carità, quando in Italia c’erano i poveri

di Miriam Mafai

 

La Repubblica, 23 giugno 2008

 

La nuova Finanziaria ha introdotto la "social card", una tessera-sconto per gli acquisti di prima necessità Un sollievo momentaneo per le famiglie bisognose ma anche un duro colpo al principio che garantisce uguale dignità e diritti a tutti senza deleghe alla beneficenza e alla compassione. Ci vollero molti anni e molte battaglie per conquistare, nel 1978, quel sistema sanitario che proteggeva (e protegge ancora, sia pure tra mille critiche e insufficienze) ricchi e indigenti, pensionati e disoccupati.

Ricordo ancora con sofferenza le settimane nelle quali dovevamo preparare i pacchi dono per il Natale Pacchi molto modesti: un giocattolo, un dolce, un chilo di zucchero e di pasta, un golfino di lana. Un pacco per ogni famiglia, o uno per ogni bambino? C’erano una volta i "poveri". Assistiti, perseguitati o reclusi a seconda dei luoghi, dei tempi e delle leggi. Racconta Giovanni Villani, all’inizio del secolo Quattordicesimo, di una distribuzione di sei denari per ogni povero della città di Firenze. Si decise di rinchiuderli per tutta la notte nella diverse chiese della città e poi farli uscire uno alla volta, all’alba, per consegnare a ognuno i sei denari. Un paio di secoli dopo, in Francia come in Inghilterra i "poveri" venivano di forza rinchiusi in ospizi più simili a carceri che a luoghi di assistenza. (Foucault sostiene, giustamente, che il Diciassettesimo secolo è l’epoca della grande reclusione dei poveri).

Dovranno passare altri secoli perché i "poveri" vengano considerati (non dovunque ma certamente in Europa e in Italia) cittadini come gli altri. Più sfortunati degli altri, ma titolari della stessa dignità e degli stessi diritti di coloro che poveri non sono. Si passa così dal principio della carità, della beneficenza, dell’assistenza ai bisognosi, o addirittura della loro reclusione, al principio che prevede per tutti i cittadini, poveri e non poveri, l’accesso a servizi primari, come l’istruzione e la salute. È un passaggio storico di straordinaria importanza. È il passaggio a quello che chiamiamo welfare e che anche la nostra Costituzione prevede, esplicitamente, nel capitolo dedicato ai rapporti etico-sociali.

Giustamente Nadia Urbinati ha osservato che con la nuova Finanziaria e la distribuzione ai pensionati poveri di una "card" per gli acquisti di alimenti di prima necessità, viene introdotto nel nostro paese un principio diverso, che, se nell’immediato può offrire un sollievo, sia pure modestissimo, ai più bisognosi, di fatto stravolge il principio di uguaglianza garantito dalla nostra Costituzione. Con l’adozione di questa misura torna infatti a configurarsi nel nostro sistema una specifica categoria di "poveri", non titolari di uguali diritti in materia di salute e assistenza, ma bisognosi e destinatari di un intervento "compassionevole".

Si torna così indietro di molti decenni, a un’epoca che sembrava finita per sempre. L’epoca della beneficenza, della carità, dei "poveri" individuati e classificati come tali. Ricordo i "poveri" dell’immediato dopoguerra a Roma, negli anni della grande fame e della tbc. Davanti ai portoni delle "cucine popolari" , gestite generalmente dalla S. Paolo o dall’Onarmo si mettevano pazientemente in fila, in attesa di una minestra, uomini donne ragazzi logorati dalla miseria. I poveri che, privi di un lavoro e di qualsiasi reddito, avevano diritto a un piatto di minestra e a qualche altra forma di assistenza furono per anni accuratamente censiti. E veniva loro garantita grazie a quella tessera di riconoscimento una distribuzione, sia pure saltuaria, di un sussidio o di un capo di vestiario.

Ho vissuto personalmente questa esperienza quando, nei primi anni Cinquanta sono stata assessore al Comune di Pescara. Da poco era finita la guerra. La città portava, e avrebbe portato ancora per anni, i segni delle distruzioni e del passaggio degli eserciti amici e nemici. La Caserma Cocco ospitava ancora centinaia di sfollati che vivevano lì, con i loro bambini, le loro malattie, i loro ricordi e le loro speranze in alloggi improvvisati, ogni famiglia separata dall’altra soltanto da tende fatte di coperte militari e di lenzuola. Il Comune doveva garantire a quelle famiglie un minimo di assistenza sanitaria.

In tutti i municipi allora, e anche nel nostro, esistevano speciali "elenchi dei poveri" cui la comunità "compassionevole" doveva una sia pur minima assistenza. I Comuni pagavano dunque i "medici condotti", a disposizione dei poveri per le visite mediche e le relative prescrizioni. E i Comuni, secondo le loro possibilità, erano tenuti a erogare agli iscritti a quegli elenchi le medicine ritenute indispensabili. Di tanto in tanto garantivamo pure un sussidio, una piccola cifra in danaro di fronte a situazioni particolarmente disperate. I Comuni più generosi o più ricchi riuscivano anche a distribuire ai figli di quei poveri un "pacco dono" in occasione del Natale o della Befana.

Ero arrivata a Pescara convinta di fare una esperienza politica. E mi trovavo, all’improvviso, a dover organizzare l’assistenza per gli sfollati, per i poveri della città, e per i loro bambini. Ricordo quella esperienza, lo confesso, come un incubo. Stretta com’ero tra le legittime rivendicazioni di quei "poveri" che ogni giorno premevano alla porta dell’assessorato e le ristrettezze del bilancio municipale. E ricordo ancora con sofferenza le settimane nelle quali dovevamo preparare i pacchi dono per il Natale. Pacchi molto modesti: un giocattolo, un dolce, un chilo di zucchero e di pasta, un golfino di lana. Un pacco per ogni famiglia, o uno per ogni bambino? (Decidemmo, alla fine, di darne uno per ogni bambino, dopo una lunga discussione con l’assessore al Bilancio).

Per chi allora, come me, si occupava dei nostri "poveri", provvedendo a garantire loro una visita medica, le medicine più urgenti e qualche e sussidio, era un mito, una leggenda quel Servizio sanitario che, subito dopo la guerra, era già stato istituito in Inghilterra. Per garantire, si diceva, una eguale assistenza a tutti i cittadini, ricchi o poveri. Un mito, un sogno, quasi una leggenda. Noi andammo avanti per anni con l’elenco dei poveri, un residuo quasi medioevale (ma guai se non ci fosse stato nemmeno quello). Oltre all’elenco dei poveri, funzionava da noi, il sistema delle mutue, che, con diverse regole e trattamento a seconda delle categorie, garantiva l’assistenza medica e le medicine a coloro che avessero una occupazione e alle loro famiglie. Ci vollero molti anni, e molte battaglie politiche per conquistare, finalmente, nel 1978, quel sistema sanitario universale che proteggeva (e protegge ancora, sia pure tra mille critiche e insufficienze) in modo uguale ricchi e poveri, lavoratori, pensionati e disoccupati.

Torniamo all’oggi. La decisione del governo Berlusconi di distribuire ai pensionati al minimo una speciale "carta povertà" per coprire una spesa per alimentari di quattrocento euro in un anno assomiglia terribilmente a quel pacco dono che cinquant’anni fa la sottoscritta (e molti altri assessori come lei) distribuivano, a Natale o alla Befana, ai figli dei loro poveri. Niente di male, all’apparenza. Ma uno sgradevole sentore di passato, di un tempo in cui la "beneficenza" era chiamata a colmare i buchi di una società nella quale non esistevano ancora diritti uguali per tutti, di un’epoca in cui le ragazze di buona famiglia venivano educate a regalare gli abiti smessi ai loro poveri. Niente di male, all’apparenza. Salvo il fatto che quella società "compassionevole" pensavamo di essercela lasciata alle spalle, a vantaggio di una società nella quale tutti hanno uguale dignità e diritti.

Giustizia: Carfagna; chi perseguita, da oggi ci pensi due volte

di Sabrina Biraghi

 

Il Tempo, 23 giugno 2008

 

Il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna segna un primo punto a suo favore ma soprattutto in favore delle donne. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge che ha presentato insieme al collega della Giustizia, Angelino Alfano, che punisce chi si rende colpevole di "minacce reiterate o molestie con atti tali da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o paura o un fondato timore per l’incolumità propria o di persona a lei cara".

Lo stalking, quell’abbraccio soffocante che toglie respiro, libertà e, talora, la vita, una volta che il disegno di legge sarà approvato dal Parlamento, diventerà finalmente un reato che si pagherà con il carcere fino a 4 anni.

 

Ministro Carfagna ritiene che il suo disegno di legge sia una risposta adeguata al fenomeno della violenza sulle donne?

"Sicuramente è un passo importante per la tutela e la garanzia della sicurezza delle donne. Il disegno di legge sarà aperto ai contributi di maggioranza ed opposizione in Parlamento. Non mi sono posta in modo rigido ma ho cercato con i tecnici del ministero di redigere un disegno di legge articolato quanto possibile vicino a quello già scaturito dalla scorsa legislatura".

 

Cosa l’ha spinta?

"Mi ha colpito molto l’incontro con i genitori della ragazza di Sanremo, Rosa Multari, uccisa dal suo ex convivente. Parlare con quella madre mi ha fatto sentire da una parte impotente, dall’altra mi ha dato lo stimolo e la forza, ma soprattutto mi ha fatto capire che era mio dovere fare qualcosa. Ho capito che il mio contributo era accelerare l’approvazione di questo decreto legge. Ho lavorato moltissimo, ma ho trovato la grande disponibilità del premier Berlusconi e del guardasigilli Alfano. Un caso che mi ha dettato l’agenda: questo di era la priorità assoluta".

 

Ci voleva una sensibilità femminile, dunque?

"Guardi, credo che fosse importante intervenire perché fino ad oggi, è accaduto spesso, che le vittime si siano rivolte alle istituzioni o alle forze dell’ordine che però non avevano gli strumenti per agire. Ecco, mancavano i mezzi per affrontare un reato odioso ai danni di persone che non hanno possibilità di difendersi, che vivono un inferno subendo appostamenti, telefonate, mail senza riuscire a trovare un vero aiuto".

 

Ritiene si sia colmata finalmente una lacuna nel nostro ordinamento?

"Mi auguro di sì e comunque l’intenzione è quella di introdurre questo nuovo reato proprio perché il nostro codice è inadeguato a prevenire e a contrastare gli atti molesti e persecutori che sfociano in violenza e anche in omicidio".

 

Quindi una ragazza che sarà bombardata da mail e telefonate mute potrà andare dai Carabinieri o dalla Polizia?

"Sì, perché nel ddl che è stato approvato prevediamo anche una fase preventiva: tra l’atto persecutorio e la querela di parte che dà inizio al procedimento, la donna si può rivolgere all’autorità e il questore può ammonire e dissuadere lo stalker. Questa fase può consentire alla vittima di valutare la gravità delle molestie e alle forze dell’ordine di accertare la gravità del reato".

 

La pena prevista da 1 a 4 anni, potrà aumentare se il reato è commesso dal coniuge separato o divorziato o da persona con cui la vittima abbia comunque avuto una relazione affettiva?

"È prevista l’aggravante e si procederà d’ufficio. Altra aggravante scatterà se la persecuzione è diretta verso un minore, se lo stalker è persona armata o mascherata, se la violenza è esercitata da un gruppo o se la donna è incinta. Nel caso di omicidio preceduto da stalking si arriverà all’ergastolo".

 

In questo reato sarà previsto l’uso delle intercettazioni telefoniche?

"Sì perché il telefono è il mezzo più usato dal persecutore".

 

Una legge con cui ci adegueremo all’Europa?

"Finalmente sì. Anche in Usa, in Nuova Zelanda questo reato è riconosciuto. In Italia fino ad oggi non siamo riusciti a fare molto. Nella scorsa legislatura sì è dibattuto ma poi non si è concluso niente per le spaccature della maggioranza, in particolare perché la Sinistra radicale voleva considerare reato d’opinione quello di omofobia".

 

Ministro Carfagna, ha mai avuto un corteggiatore particolarmente insistente e fastidioso?

"No per fortuna, ma ho vissuto indirettamente il fenomeno dello stalking e so che è una vera tragedia: le donne non hanno voce per poter gridare il dramma che vivono e che comprime la loro sfera di libertà fino ad indurle a cambiare abitudini di vita e a subire "torture" da girone infernale. E questo non è proprio accettabile".

Lettera: niente indulto… sono finito nel manicomio criminale!

 

www.radiocarcere.com, 23 giugno 2008

 

Maurizio, dall’Opg di Montelupo Fiorentino

Ciao Riccardo, sono Maurizio e come vedi sono riuscito ad andare via dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Dopo un anno e tre mesi di inferno e di maltrattamenti. Ora mi trovo in quello di Montelupo Fiorentino e spero che le cose vadano meglio. Quando penso alla mia vicenda non ci credo neanche io. Ora mi trattano come un matto, ma mi hanno condannato come sano per una rapina e mi hanno dato 3 anni e 6 mesi. Mentre scontavo, da sano, la mia pena nel carcere di Udine è arrivato l’indulto. Il problema è che quelli che credono matti non li fanno uscire. Così mi hanno applicato la misura di sicurezza dell’Opg, ovvero del manicomio criminale.

E così sono entrato ad Aversa, tra letti di contenzione, psicofarmaci e violenza. Un posto dove ho visto tanta gente morire per disperazione. Dopo più di un anno nell’Opg di Aversa, ti dico che se non ero matto prima, lo sono diventato adesso. Ora, che mi hanno trasferito nell’Opg di Montelupo Fiorentino spero che qualcun mi segua. Spero di ritrovare la mia libertà e di recuperare un po’ di salute mentale. Quella salute che mi hanno levato nell’Opg di Aversa.

Lettera: Orazio, morto in cella d’isolamento; com’è successo?

 

www.radiocarcere.com, 23 giugno 2008

 

Mario, dal carcere di Frosinone

Cara Radiocarcere, sono detenuto nel carcere di Frosinone. Insieme ai miei compagni abbiamo deciso di scriverti per informarti su cosa è successo a Orazio Joanna, che era detenuto con noi. Dico "era", perché il 29 aprile Orazio è morto. Il suo corpo è stato trovato dentro la cella di isolamento, dove stava rinchiuso. Orazio aveva 35 anni.

Sui giornali abbiamo letto degli articoli in cui si diceva che Orazio si era fatto male da solo. Ma questo non sembra sia vero. Infatti, noi detenuti di Frosinone abbiamo saputo che Orazio è morto perché picchiato a sangue, mentre era nella cella di isolamento. Siamo disperati per quello che è successo e vorremo che si facesse chiarezza. Chiediamo solo che un’inchiesta possa rispondere alla domanda: come è morto Orazio? Troppo spesso il carcere protegge le sue ingiustizie. Un luogo dove si sconta una pena, che è diventato luogo di impunità. Grazie Riccardo per averci dato voce.

Teramo: Progetto "Occupa", per trenta ex detenuti e affidati

 

Prima da Noi, 23 giugno 2008

 

Saranno circa trenta, tra ex detenuti e condannati in esecuzione penale esterna, i soggetti coinvolti nel progetto sperimentale "OC.CU.P.A. Teramo" (acronimo che sta per Occupabilità, Cura, Politiche Attive), presentato questa mattina nella conferenza stampa tenutasi in Provincia.

Il progetto, la cui durata sarà di 18 mesi, persegue il duplice obiettivo di incrementare il livello di occupabilità dei destinatari e di determinare il loro inserimento nel mondo del lavoro, nonché di migliorare la loro condizione personale. Previste anche azioni formative dirette agli operatori del sistema e finalizzate a trasferire tecniche e metodi necessari a supportare i destinatari dei servizi di cura e accompagnamento.

Il progetto, finanziato dalla Cassa delle Ammende del Ministero della Giustizia, è promosso dall’Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) di Pescara-Chieti-Teramo e sarà da questo realizzato insieme ad un partenariato nel quale sono rappresentati soggetti pubblici e privati: Provincia di Teramo, Casa Circondariale di Teramo, CNA, Confesercenti, associazione di volontariato "Verso il futuro" e società K. Shift srl.

L’approccio, come hanno spiegato i promotori dell’iniziativa e in particolare la direttrice regionale dell’Uepe Anna Sposito, è basato non solo sul supporto all’occupabilità ma anche sulla cura e sull’accompagnamento dei destinatari non in condizione di ricevere servizi all’impiego.

L’assessore al Lavoro e alla Formazione, Francesco Zoila, ha sottolineato come la Provincia di Teramo sia da anni impegnata sul fronte della promozione e del sostegno sociale con una attenzione particolare a quelle fasce di popolazioni, "vulnerabili o complesse", maggiormente escluse dal mercato del lavoro. A tal fine collabora attivamente alla realizzazione di progetti con altri Enti per l’attivazione di programmi a sostegno dell’inserimento lavorativo di cittadini con misure alternative al carcere. Tra le attività già in atto, c’è lo sportello attivato presso il carcere di Castrogno dai Centri per L’Impiego della Provincia attraverso il progetto "Equal Intra" che, come noto, permette l’iscrizione ai detenuti ai CPI mettendoli in lista per un possibile lavoro.

Perugia: "Podere Capanne", un’azienda agricola nel carcere

 

Prima da Noi, 23 giugno 2008

 

L’azienda agricola, composta da 12 ettari, è gestita da una cooperativa sociale ed è stata realizzata per promuovere il reinserimento e la riabilitazione dei soggetti in esecuzione penale. È stata completata presso la Casa circondariale di Perugia la costituzione dell’azienda agricola "Podere Capanne" gestita dalla cooperativa sociale Gulliver e sostenuta dal Ministero della Giustizia con un finanziamento di 350 mila.

Il progetto prevede la messa in coltura dei terreni adiacenti l’istituto di pena e l’impiego di sei detenuti per la coltivazione degli stessi. Sabato 28 giugno 2008 alle ore 9 è in programma l’iniziativa "Naturalmente Capanne", una visita guidata all’interno dell’azienda agricola per promuovere la conoscenza e la riscoperta dell’agricoltura da parte dei cittadini, anche come opportunità per l’inserimento lavorativo e la riabilitazione di soggetti in esecuzione penale.

Il progetto "Podere Capanne" si pone l’obiettivo di formare, sia teoricamente che praticamente, i detenuti coinvolti con l’idea che la preparazione ricevuta possa rappresentare uno strumento di reinserimento nel complesso e difficile mondo del lavoro, che comunque è alla ricerca di braccia esperte e qualificate. La richiesta di manodopera in questo settore, del resto, è tanta in quanto manca personale al quale affidare lavori nel settore agricolo.

L’azienda agricola comprende circa 12 ettari di terreno suddiviso in un uliveto di 4,3 ettari, un frutteto di 2,5 ettari costituito di piante multi specifiche e multi varietali, tra cui anche varietà tradizionali non più reperibili nella grande distribuzione, un orto (comprendente anche 2000 metri quadrati di serre fredde) coltivato seguendo il principio della stagionalità, con specie che vengono seminate e trapiantate scalarmente, tenendo anche conto del calendario lunare. Il tipo di coltivazione prevede l’uso di concimi e prodotti antiparassitari tra quelli ammessi in agricoltura biologica, non si effettuano diserbi o diradamenti chimici.

Verona: il Vescovo; "pensieri sparsi" dopo la visita in carcere

di Giuseppe Zenti (Vescovo di Verona)

 

L’Arena di Verona, 23 giugno 2008

 

Sono uomini. La stragrande maggioranza. Ma anche donne. Anzi, per essere più precisi nel delinearne i volti, sono soprattutto giovani. Extracomunitari in gran parte. Ma anche autoctoni, cioè originari dei nostri territori. Alcuni sono in stressante attesa di giudizio. Su altri pesa già la determinazione della sentenza. E ti viene spontaneo chiederti: "Fino a che punto sono colpevoli? O possono essere considerati anche vittime?".

L’interrogativo non sa di compassionismo. Semplicemente evidenzia la complessità dell’animo umano, specialmente quando viene travolto dall’agire iniquo, come da una bufera. Certo, una parte di responsabilità c’è sempre. Ma forse ha senso intravedere in molti casi anche qualche attenuante.

Chi, per esempio, non ha ricevuto quasi nulla dalla vita in termini di formazione personale, neppure dai genitori; chi si è imbattuto, ingenuamente o scioccamente, in una compagnia delle peggiori di cui una società vuota e arrivista è produttrice... insomma, almeno in parte, è vittima di un sistema malvagio di vita, di cui la cultura dilagante è alfiere e paladino. Un sistema di vita che svela le devastazioni che il mistero dell’iniquità opera nell’umanità se non vi si pone rimedio.

Queste e simili riflessioni facevo, mentre scendevo dalle scale del carcere di Montorio. Con un nodo alla gola. Tra una forte voglia di piangere e uno scoppio, quasi incontrollabile, di rabbia. Ma contro chi? Contro i detenuti o contro il vivere inumano imposto dalla società del benessere consumistico, che fa perdere il gusto del vivere libero, pulito, socievole?

Quei detenuti mi erano entrati nella mente e mi si impiantavano, uno ad uno, nel cuore. Responsabili o vittime? O un misto di responsabilità e di vittimismo? Il carcere serve per un riscatto personale, per una ricostruzione della personalità frantumata, come una sorta di scuola di vita? E allo scadere della pena, che persone escono dal carcere? Chi se ne fa carico, in modo da scongiurare il ritorno in carcere, quasi per abbonamento?

Varrebbe la pena che i giovani, prima di lasciarsi andare ad atti inconsulti avvicinassero i carcerati: quell’incontro potrebbe essere vera scuola di vita che convince ad evitare tutto ciò che conduce in carcere. E, a maggior ragione, a ripensare la vita in termini di valori, senza i quali si vive da carcerati anche fuori dal carcere: prigionieri del non senso.

Per non trovarceli ad affollare ulteriormente le già intasate carceri è urgente educare i giovani al senso della responsabilità sociale civile e alla solidarietà vera; ad uno stile di vita senza pretese; alla sobrietà; all’abbarbicamento ai valori essenziali, quelli della fede cristiana compresi; all’uso retto della libertà; al forte senso di appartenenza ad una famiglia che ti vuole bene; al saper scegliere autonomamente.

Questi e simili pensieri mi incalzavano la mente, mentre mi rincorrevano, come il tuonare rumoreggiante di temporali a rapida sequenza, alcune frasi, lapidarie, che mi avevano confidato in privato o espresse ad alta voce in presenza di tanti altri carcerati: "Vorrei che i miei sbagli servissero come deterrente per i miei figli; che imparassero a non seguire i miei esempi di devianza a causa dei quali la mia famiglia si è distrutta!... Dica ai nostri coetanei che ragionino con la loro testa, sappiano prendere decisioni personali responsabili e non si lascino condizionare dalle compagnie".

Pensoso mi allontano dal carcere. Con il peso nel cuore di sentirmi impotente. Senza ricette. Con il solo desiderio di fare qualche cosa per i carcerati. Ma, ancor più, per i giovani non carcerati. Non ancora carcerati. Perché, grazie ad una adeguata formazione, diventino sempre più liberi interiormente. Protesi verso la maturazione della propria personalità. E tutti li ho affidati alla preghiera, accompagnandoli con una speciale benedizione.

Roma: truffa a operai stranieri, cantiere fantasma in carcere

 

Comunicato stampa, 23 giugno 2008

 

 

Pagano 260 euro per essere assunti nel cantiere fantasma del nuovo carcere di Cassino. Sedici cittadini stranieri truffati si presentano stamattina in carcere per iniziare il nuovo lavoro. Promesso anche vitto e alloggio gratis in carcere. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "vicenda che fa rabbia e tenerezza".

Questa mattina si sono presentati, alla spicciolata, in gruppi di quattro al portone del carcere di Cassino chiedendo all’agente di turno di poter prendere servizio per il loro nuovo lavoro: costruire il nuovo carcere. Protagonisti della truffa - raccontata dal Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - sedici cittadini stranieri romeni, tunisini e albanesi. Agli increduli agenti di guardia del carcere hanno raccontato di aver pagato 260 euro ognuno ad un intermediatore di Caserta che, in cambio di quella somma, li ha "arruolati" fra le maestranze che avrebbero dovuto costruire in nuovo carcere di Cassino.

Oltre alla paga giornaliera per il lavoro prestato, l’intermediatore avrebbe garantito loro anche vitto e alloggio gratuito per tutta la durata dell’appalto. "Quella venuta alla luce stamattina nel carcere di Cassino è una vicenda che fa al tempo stesso tenerezza e rabbia - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Fa tenerezze perché onesti lavoratori stranieri, si parla di quaranta persone, sono stati truffati dei loro risparmi con il miraggio di un lavoro duraturo e di vitto e alloggio garantiti.

Fa rabbia perché questa storia dimostra, ancora una volta, che determinate categorie sono assolutamente prive di ogni protezione sociale. Per questi lavoratori stranieri, poi, oltre il danno anche la beffa: quella di pagare con la speranza di ottenere vitto e alloggio gratuito in carcere. Sembra quasi che questa società abbia per tutti gli stranieri, anche per quelli onesti, una sola ed unica ricetta: il carcere".

 

Garante dei detenuti del Lazio

Brescia: premiazioni del calcetto e volley a Canton Mombello

 

Comunicato stampa, 23 giugno 2008

 

Per il "Progetto-Carcere" dell’Uisp di Brescia, realizzato in collaborazione con la Direzione degli Istituti di Pena, sostenuto dalla Provincia di Brescia, tramite l’Associazione "Carcere e Territorio" e dall’Assessorato Allo Sport della Regione Lombardia, dopo la conclusione del 23° Campionato di calcio a Verziano, dedicato alla memoria di Giancarlo Zappa, Magistrato e fondatore dell’Associazione "Carcere e Territorio", tocca al carcere cittadino accogliere il momento conclusivo delle attività sportive organizzate nella Casa Circondariale nei mesi scorsi.

Venerdì 27 giugno dalle ore 14.30 alle ore 16.30 nella sala - teatro di Canton Mombello si svolgeranno le premiazioni del 28° Torneo di calcetto, vinto dai detenuti Nord N°1 sui ragazzi dei "I Bonvicino", terza la Sud N°4 e quarta la Sud N°2 (a questa edizione ha partecipato anche l’Istituto Superiore Lorenzo Gigli di Rovato) e del 1° Torneo di volley , svoltosi in palestra e nel quale ha trionfato la squadra "mista" sulla formazione del "Progetto Spes" della Coop Bessimo, terzi i detenuti della Nord e quarti quelli della Sud. Il pomeriggio vedrà anche le esibizioni musicali della cantante Nadia Busi e del "Poddighe Acoustic Duo", mentre l’Associazione "Carcere e Territorio" consegnerà i premi del concorso artistico "Evadere con l’arte". Nel carcere cittadino,è terminato il corso di yoga, mentre quello di scacchi proseguirà anche a luglio.

Sabato prossimo a Verziano in programma la quarta ed ultima giornata del 30° torneo di volley tra le detenute, atlete Uisp, G.S. Xelle, Istituto Superiore Lorenzo Gigli Rovato e oratorio Buffalora: previsto anche un piccolo rinfresco per tutte le partecipanti e l’arrivederci alla prossima edizione, prevista a metà settembre. L’attività sportiva per le detenute proseguirà anche nel periodo estivo con il corso di ginnastica, aerobica e volley.

 

Uisp di Brescia

Fossombrone: solidarietà dal carcere, raccolti tappi di plastica

 

Corriere Adriatico, 23 giugno 2008

 

Questa mattina detenuti e agenti di polizia penitenziaria consegnano, al presidente degli Oer operatori emergenza radio, Andrea Pierleoni, il primo carico di tappi di plastica. È un’altra delle tante risposte all’appello lanciato due mesi fa. "Tappi di plastica cercansi - si era prodigato Pierleoni - per supportare le iniziative umanitarie a favore del Terzo Mondo".

I tappi di plastica, che finirebbero tra i rifiuti, vengono venduti a ditte specializzate e riciclati, con il ricavato vengono finanziate diverse iniziative umanitarie. "Ci prefiggiamo di dare un aiuto a chi ha bisogno - afferma Pierleoni -. E ci siamo assunti anche l’impegno di sensibilizzare la gente. Perché sappiamo bene che il cuore di tante persone è generoso. Pronto a dare risposte concrete e testimonianze dirette di sensibilità. L’importante è operare.

Imperia: la mostra dei lavori artistici-artigianali dei detenuti

 

Sanremo News, 23 giugno 2008

 

Una mostra dei lavori di "Invento Divento" alla Festa di San Giovanni. L’appuntamento è per le serate di mercoledì 25 e giovedì 26 giugno, presso la Tenda della Cultura.

All’interno del ricco programma della Festa di San Giovanni, Ineja 2008, per due sere troverà spazio anche un’originale mostra di lavori artistico-artigianali realizzati dai detenuti della Casa Circondariale di Imperia. L’appuntamento è per le serate di mercoledì 25 e giovedì 26 giugno, presso la Tenda della Cultura.

In esposizione saranno le opere realizzate dai detenuti che hanno partecipato al laboratorio artistico dal titolo "Invento Divento", guidato dall’insegnante Cinzia Vola, di Albenga, e finanziato dalla Fondazione Carige. Cinzia, dopo essersi diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera, tra le numerose esperienze nel campo dell’insegnamento, ha maturato un interessante percorso attraverso le realtà penitenziarie di tutta la Liguria.

"Ho potuto sperimentare come la divulgazione del linguaggio artistico possa essere veicolo di grande piacevolezza e benessere - dice la Vola -. In una realtà di inevitabile sofferenza e aggressività, un’attività spirituale di evasione non può che giovare nell’immediato e, a lungo termine, può sensibilizzare alla ricerca di valori di crescita personale legati alla bellezza, all’armonia, alla chiarezza, all’equilibrio. I detenuti si esprimono,nel rispetto delle regole e, attraverso l’applicazione di queste, costruiscono un nuovo personalissimo spazio". L’attività si è svolta nell’arco di cinque mesi, articolata in incontri settimanali.

Contemporaneamente l’Istituto Psicopedagogico C. Amoretti di Imperia ha condotto un interessante lavoro sullo studio del significato artistico delle opere d’arte dal titolo "Sono sociale sono solidale", arricchendo l’esperienza laboratoriale in corso.

Non meno importante il lavoro condotto dal signor Mario De Marco, che ha insegnato ai detenuti la sua arte di corniciaio. Grazie alle cornici, realizzate con le loro mani e il loro impegno, i disegni fatti durante il laboratorio artistico sono diventati opere d’arte complete.

Questi progetti sono stati voluti fortemente dal dott. Angelo Gabriele Manes, dirigente superiore della Casa Circondariale, e attentamente supervisionati dall’educatore dott. Giancarlo Gandalini. Sono testimonianza di un impegno costante del carcere imperiese affinché la detenzione non sia soltanto reclusione ma, per chi ne ha la volontà , sia occasione di recupero e integrazione. Una pausa, seppur dolorosa, per fare i conti con i propri errori e guardarsi dentro, scoprirsi positivi e propositivi. Ed è un segno importante e incoraggiante che il Comitato San Giovanni e il suo presidente Sergio Lanteri abbiano aperto le porte a queste speranze e le abbiano condivise, dando spazio non solo ad una mostra, ma a tutti i sogni che vi stanno dietro.

Sanremo: agente perde i sensi e viene salvato da due detenuti

 

Sanremo News, 23 giugno 2008

 

Dopo le notizie degli ultimi giorni, relative all’aggressione subita da alcuni agenti di polizia penitenziaria, il penitenziario sanremese è stato teatro di una storia molto diversa.

Stava aprendo una cella, durante l’orario di servizio, quando ha accusato un malore ed è caduto a terra privo di sensi. È accaduto ad un agente di polizia penitenziaria, Raffaele Portogallo, in servizio presso il carcere di Valle Armea a Sanremo. Quando l’agente si è accasciato al suolo non c’era nessuno, vicino a lui, che potesse aiutarlo, compresi i colleghi. La scena è stata notata però da due detenuti che sono subito intervenuti. "Si trattava di due detenuti lavoranti - ha detto Portogallo - quando mi hanno raggiunto hanno controllato che la lingua non mi ostruisse la gola, con il pericolo di un soffocamento, e poi dopo avermi messo un cuscino sotto la testa mi hanno fatto riprendere i sensi mettendomi dell’aceto sotto il naso". L’agente è stato poi condotto al pronto soccorso di Sanremo per le cure dei medici. "Devo ringraziare questi due detenuti, anzi questi due signori detenuti, perché mi hanno salvato la vita - prosegue l’agente -. Questa storia testimonia come in carcere possano avvenire episodi negativi ma anche positivi, con dimostrazioni di umanità".

Milano: se gli ex "ragazzi di strada" fondano un’associazione

 

Dire, 23 giugno 2008

 

A Milano fondato il Movimiento Real Juvenil del gruppo di adolescenti latinoamericani con un passato di difficile integrazione, scontri con gruppi rivali e detenzione. L’associazione si occuperà di formazione culturale, sociale, sportiva.

Da ragazzi di strada a membri di un’associazione. I Latin King di Milano, gruppo di adolescenti di origine latinoamericana con un passato di difficile integrazione, hanno fondato il Movimiento Real Juvenil. La cerimonia di costituzione si è svolta sabato alla Casa della Pace di via Dini, con l’elezione del consiglio direttivo (fra cui presidente e vicepresidente) e del collegio dei garanti.

La trasformazione del gruppo in una forma riconosciuta di associazione è il punto di arrivo del progetto Calle, iniziato tre anni fa per iniziativa degli operatori di Comunità nuova e dell’agenzia di ricerca sociale Codici. Tra i finanziatori del progetto, accanto al ministero della Solidarietà sociale e ad alcuni sponsor privati, ci sono anche il comune e la provincia di Milano.

"Quello che accade oggi è frutto della decisione dei ragazzi di rendersi legali", spiega Matteo Milanesi, fra gli operatori che hanno partecipato al progetto. Dopo gli anni degli scontri con altri gruppi rivali, ne quali i Latin King finirono per essere coinvolti conoscendo anche il carcere, la riflessione di alcuni di loro ha portato alla decisione di cambiare registro: "Loro dicono: noi non vogliamo più vivere così".

Alla cerimonia di sabato, oltre agli operatori di Comunità nuova, erano presenti anche il console dell’Ecuador a Milano, Narcisa Soria Valencia, la viceconsole Monica Lasso e Matteo Armelloni dell’assessorato alla Partecipazione della provincia. Particolarmente emozionata la prima, che ha invitato i ragazzi a riprendere gli studi perché "rendono l’uomo libero" e a comportarsi da grandi senza commettere più gravi sbagli. "Quello di oggi è un passo molto importante - ha detto Narcisa Soria Valencia - . La mia gente è buona, se è arrivata qui in Italia è esclusivamente per lavorare. Non bisogna confondere immigrato e delinquente".

Scopo dell’associazione, si legge nello statuto, sarà "promuovere le relazioni interculturali, l’educazione ai valori, difendere e divulgare i diritti umani e i diritti di cittadinanza, favorire la partecipazione dei giovani di qualunque nazionalità in attività di formazione culturale, sociale sportiva". "Insomma - dice Massimo Conte, coordinatore del progetto Calle - potrebbe diventare un canale, una forma di espressione da parte di ragazzi che in passato sono stati fatti ingiustamente passare per criminali".

Il ruolo degli operatori (fra loro anche Luca Meola, Valentina Bugli, Silvia D’Anna, Roberto Arcari e Stefano Carbone) è stato quello di farsi mediatori nelle situazioni di conflitto, seguendo il processo di emersione passo dopo passo. Ogni tappa verso la nascita dell’associazione è stata frutto di decisioni democratiche prese dal gruppo nel corso di assemblee collettive dette "universali".

In tre anni di lavoro in strada gli operatori hanno cercato di conquistarsi la loro fiducia. "Abbiamo organizzato partite di calcetto, concerti, un corso di pugilato alla palestra popolare -aggiunge Massimo Conte-. Ma la cosa più importante è stata esserci al momento in cui avevano bisogno". Il Movimiento Real Juvenil, la cui nascita si concluderà oggi con l’iscrizione all’anagrafe dell’agenzia delle Entrate, ha assunto la forma di associazione di promozione sociale. Acquisendo un codice fiscale il Movimento potrà ricevere sovvenzioni pubbliche e donazioni. Ma il primo obiettivo sarò quello di trovare una propria sede.

 

Abbiamo deciso di non rovinarci la vita

 

"Abbiamo deciso di non rovinarci la vita". Andy, 24 anni, in Italia dal 2002 e portavoce dei Latin King, spiega le ragioni che hanno portato il gruppo di cui fa parte a trasformarsi in associazione: "È un’iniziativa già accaduta in altre città del mondo, ad esempio Barcellona. Quando ce l’hanno proposta anche a noi, però, ci siamo chiesti prima se fosse una scelta conveniente per il nostro gruppo. L’idea ci è piaciuta, anche se non è stato facile avere a che fare con le regole della burocrazia". Andy chiarisce anche che cosa i Latin King si aspettano dalla trasformazione: "Come primo obiettivo abbiamo quello di cambiare la nostra immagine, e in generale quella dei ragazzi latinoamericani, agli occhi degli italiani.

La gente pensa che siamo qui per commettere reati, ma non è vero. Qualcuno di noi ha fatto degli sbagli in passato, certo, ma come tutti gli umani non siamo perfetti. Quanto accaduto in passato era come se non lo volessimo: si spiega anche col fatto che non sapevamo come altro comportarci". Importante l’aiuto dato da Comunità nuova: "È stata una grande mano anche a livello personale. Quando qualcuno di noi ha avuto problemi loro ci hanno aiutato. Si sono conquistati la nostra fiducia. E oggi non è che l’abbiamo in tutti: tanta gente ha promesso in passato di darci una mano e poi ha finito per voltarci le spalle".

Immigrazione: Caritas; campi rom, no a trasloco ogni tre mesi

 

La Repubblica, 23 giugno 2008

 

Don Davanzo, direttore della Caritas: "Da noi vivono anche profughi di guerra, mandiamo via anche loro?".

Vanno bene le regole, va bene l’idea di un superamento del campo rom, ma "attenzione a non cadere nella demagogia" prevedendo una permanenza massima di tre mesi nei container del Comune. Il primo a bocciare la norma che renderebbe provvisoria la sosta nei campi nomadi è Corrado Mandreoli, responsabile dell’area problemi del territorio della Camera del lavoro. La bozza del futuro regolamento delle aree di sosta per gli zingari è ancora nei cassetti del prefetto ma già iniziano le polemiche sulle novità che cambierebbero non di poco il "modello Triboniano" che ne è all’origine.

"Sarebbe bello che i rom dopo soli tre mesi potessero abbandonare la roulotte - dice il sindacalista - ma per far questo ci vorrebbe l’intervento dell’amministrazione per immaginare percorsi di autonomia per questa gente, quindi investimenti per dar loro modo di trovare lavoro regolare e case popolari in affitto".

Sulla stessa identica linea è don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, che fra le altre cose gestisce per conto del Comune un campo in via Novara dove abitano 220 rom kosovari e macedoni: "Il discorso dei 90 giorni nella nostra struttura è impensabile, visto che qui ci sono rom ma anche profughi di guerra con lo status di rifugiati.

In altri campi invece abitano rom italiani, stanziali da decenni, come molti romeni. Anche per questi dovrebbe valere la regola dei tre mesi?". Lo scetticismo di don Davanzo trapela nonostante la sua vigorosa adesione all’idea della legalità: "Ben venga la presenza delle forze dell’ordine, così come il comitato di gestione e il rispetto delle regole pena l’espulsione. Ma l’amministrazione premi il buon esempio di chi manda i figli a scuola e di chi lavora onestamente, aiutandolo a trovare una casa vera".

Don Virginio Colmegna, che gestisce il campo di via Triboniano con i suoi 600 romeni e bosniaci, sottolinea che "sarebbe importante che prima di stendere qualsiasi regolamento futuro ci fosse un confronto con chi vive in mezzo ai problemi". Colmegna traccia un bilancio positivo dell’esperienza Triboniano allo scadere del primo anno di gestione: "Ci sono luci e ombre, perché rimane ancora un grave disagio abitativo per molte famiglie. I risultati comunque si vedono: i ragazzi vanno a scuola, gli adulti cercano lavoro. La Casa della carità ha anche organizzato una colonia al mare per i bambini, perché non si può vivere solo di sicurezza ed emergenza, ci vuole anche la normalità, la felicità almeno per i piccoli".

La bozza di regolamento piace molto al vicesindaco Riccardo de Corato che promette ancora più rigore: "Sarà sul modello Triboniano ma con più disciplina, con qualche ulteriore limitazione". Rincara la dose il capogruppo della Lega in consiglio, Matteo Salvini: "Non serve alcun regolamento, se non transitorio, perché noi non vogliamo campi".

Protesta, invece, dall’insediamento di via Impastato, il rom cittadino italiano Giorgio Bezzecchi, per 23 anni consulente dell’ufficio nomadi del Comune, oggi collaboratore dell’università Bicocca: "Ormai a Milano siamo all’apartheid. Chi appartiene al mio popolo è sottoposto ad ogni tipo di controllo, schedatura e limitazione, anche se lavora in regola come me ed è da generazioni in Italia. Il Patto di legalità ha aperto la strada alla criminalizzazione dei rom e in futuro sarà solo peggio".

Droghe: in Sardegna il "record" di detenuti tossicodipendenti

 

Notiziario Aduc, 23 giugno 2008

 

In Sardegna la dipendenza dalle droghe è un fenomeno sostanzialmente stabile, come nel resto d’Italia. È il dato principale emerso dal primo Rapporto regionale sullo stato delle dipendenze patologiche, illustrato in un convegno alla Cittadella Sanitaria di Cagliari alla presenza, tra gli altri, dell’assessore Nerina Dirindin, del presidente della Regione Renato Soru, del direttore generale della Asl di Cagliari Gino Gumirato, del farmacologo Gian Luigi Gessa e del direttore dell’Istituto di ricerca farmacologica di Milano "Mario Negri" Silvio Garattini.

La marijuana e l’hashish sono gli stupefacenti più diffusi nell’isola (8,2% nella popolazione generale contro l’8,8% di consumo medio nazionale): una droga usata soprattutto dai giovani in età scolare (25,5%). L’altra di grande diffusione è la cocaina, il cui consumo aumenta in modo preoccupante anche in Sardegna seppure in misura inferiore alla media nazionale (1,8% contro il 2,3%). L’eroina, sempre secondo quanto emerso dai dati illustrati nel convegno, è l’unica sostanza per la quale la Sardegna ha consumi maggiori a quello medio nazionale (0,4% contro lo 0,3%). Per tutte le sostanze che provocano dipendenza - tranne alcol e tabacco - l’uso è soprattutto tra i giovani dai 15 ai 34 anni. È stato evidenziato un dato allarmante sull’abuso di sostanze alcoliche: più di un quarto dei sardi ha subito episodi di intossicazione acuta già all’età di 15 anni. Nel 2007, secondo il rapporto, sono state seguite 5.574 persone nei quattordici Servizi regionali per le dipendenze (Serd) contro i 5.004 del 2000, dei quali l’80% eroinomani.

L’indagine ha evidenziato che in media 57 persone ogni 10.000 sardi frequentano un Sert a fronte dei 54 a livello nazionale. Sono circa 630 all’anno (10% della popolazione a carico dei Sert) le persone inviate in strutture socio-riabilitative. Nel Rapporto è evidenziato come la percentuale di detenuti tossicodipendenti sia in Sardegna più elevata che a livello nazionale con uno dei tassi più alti d’Italia (8,19 per 10.000 residenti nel 2006). Secondo i dati forniti dalle forze dell’ordine, inoltre, nel 2007 in Sardegna ci sono stati 15 morti per uso di droga (intossicazione acute e overdose) con un tasso di mortalità dello 0,91 per 100.000 abitanti. L’anno peggiore osservato è il 2004, quando i decessi sono stati 33.

La Sardegna ha la percentuale di detenuti tossicodipendenti più alta d’Italia. È quanto emerge dal Rapporto sullo stato delle dipendenze in Sardegna presentato stamane a Cagliari, dove si sottolinea come il "tasso ottenuto rapportando il numero dei detenuti tossicodipendenti rapportato alla popolazione residente sia stato dell’8,19 per 10.000 nel 2006". Nel Rapporto si evidenzia come il dato sia "coerente con gli altri indicatori del disagio sociale ed economico" che caratterizzano la Sardegna. Nell’indagine viene riportata anche una tabella con cifre riferite al 30 giugno 2007 elaborate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Da questa rilevazione emerge che la percentuale dei detenuti tossicodipendenti sul totale è più alta in Sardegna rispetto alla media nazionale (37,8% contro 23,4%). Inoltre, l’isola ha anche la più elevata percentuale di detenuti alcol dipendenti (4,2% contro 2% nazionale). Anche la percentuale di detenuti che sono sottoposti a trattamento con metadone è la più elevata d’Italia (12,4% contro il 4%).

Gran Bretagna: criminalità minorile; aumento 27% in sei anni

 

Asca, 23 giugno 2008

 

Nel Regno Unito un numero sempre crescente di under 18 si ritrova ad avere a che fare con la giustizia ben prima della maggiore età. Ogni tanto ce ne siamo occupati - e qui sopra c’è un documentario sulle gang londinesi - ma qui si parla di dati. A farlo è il Guardian, che spiega come il numero di teenager criminali sia pressoché raddoppiato, in alcune zone del paese.

Gli aumenti più impressionanti sono stati rilevati nel Cheshire (+95%), e nell’Hertfordshire (+49%). James Crabtree, direttore di Ippr, ha spiegato che il modello tolleranza zero non ha molta logica di esistere in questi casi, come non ha molto senso incarcerare dei poco-più-che-ragazzini. "Non dobbiamo essere morbidi o tolleranti, ma il modello attuale ha fallito". Attualmente in ogni caso la detenzione è l’ultima spiaggia per i baby criminali: appena il 3% passa qualche notte in carcere. In Italia la situazione non è molto diversa, come potete leggere in questo pezzo d’archivio, dove si raccontano le storie dei giovani detenuti del Beccaria, il carcere minorile di Milano.

La scorsa settimana, sono arrivati altri piccoli delinquenti da Quarto Oggiaro, beccati dalla polizia a spacciare droga, far le sentinelle dei grandi, annotare le targhe delle auto civetta degli agenti. Al Beccaria li hanno divisi, come fanno con i compari di reato. I pericolosi li sistemano nelle celle singole, minuscole, otto metri quadrati, a guardarne una, adesso, manca l’ aria. Gli altri li mischiano nelle doppie e le triple, sui quaranta metri quadri, lì si respira meglio, se non fosse per le nuvolette di fumo che saturano l’ ambiente, s’ appoggiano sui poster dei calciatori sopra il lettino e sulle foto delle ragazze nude nel bagno e sul mobiletto marrone dove sono appoggiati walkman, coca-cola, birra, e non rasoi. I rasoi no, magari uno li usa per uccidersi.

Francia: incendiato un "centro di detenzione" per immigrati

 

Asca, 23 giugno 2008

 

Un incendio, probabilmente di origine dolosa, ha distrutto quasi interamente un centro di detenzione per immigrati a Vincennes, nella parte orientale dell’agglomerazione urbana di Parigi, dov’erano recluse 273 persone in attesa di espulsione. Secondo l’agenzia Misna, fonti della polizia francese hanno riferito che 14 persone sarebbero riuscite ad approfittare della confusione originata dall’incendio per scappare dal centro di detenzione, mentre una ventina di persone sono rimaste intossicate dalle esalazioni e sono state trasferite in ospedale. L’incendio è scoppiato mentre all’esterno era in corso una manifestazione in sostegno dei migranti, dopo la morte di un tunisino nel centro di detenzione di Vincennes, tra i più grandi della Francia; contemporaneamente, all’interno, sono scoppiati dei tumulti e i detenuti avrebbero appiccato il fuoco ai materassi.

Sempre ieri, decine di migranti africani hanno provato, per due volte, a passare la frontiera per entrare a Melilla, enclave spagnola in Marocco, ma sono stati respinti dalle forze dell’ordine, che hanno anche arrestato una cinquantina di persone in seguito agli scontri avvenuti tra polizia e migranti; il secondo tentativo, hanno specificato fonti della sicurezza spagnola, è avvenuto mentre era in corso la partita tra Spagna e Italia del campionato europeo di calcio. Il governo spagnolo ha riferito oggi di aver rafforzato le misure di sicurezza al posto di frontiera di Beni-Enzar a Melilla, per evitare il ripetersi di simili tentativi. Noi denunciamo questa violenza e chiediamo l’arresto di questa polizia che uccide.

Palestina: report visita delegazione dei "Giuristi Democratici"

 

Infopal, 23 giugno 2008

 

Dal 3 all’11 Giugno 2008, una delegazione composta da avvocati e magistrati, organizzata dai Giuristi Democratici in collaborazione con la campagna Freedom Now promossa dall’Arci Toscana (volta alla liberazione di tutti i detenuti minori palestinesi), si è recata in Palestina per uno studio sulle condizioni dei palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane.

Il 6 Giugno la delegazione ha partecipato alla terza conferenza internazionale di Bil’in Terza Conferenza Annuale (4-6 giugno) organizzata dal Comitato popolare e di resistenza nonviolenta di Bil’in, vicino Ramallah, a cui hanno preso parte la Vice Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, contro il Muro di separazione che ha separato la popolazione dalle terre coltivabili. La manifestazione si svolge tutti i venerdì ed è tradizionalmente pacifica; gli abitanti hanno anche vinto un ricorso alla Corte Suprema israeliana che ha dichiarato l’illegittimità del tracciato del Muro, che deve essere rimosso, ma la sentenza non è stata eseguita così la popolazione continua la sua protesta.

Quando il nostro corteo ha raggiunto la rete di separazione, senza preavviso ed in assenza di provocazioni, i soldati hanno sparato una raffica di lacrimogeni ad altezza d’uomo, uno dei quali ha colpito il magistrato Giulio Toscano a pochi centimetri dall’occhio.

La nostra delegazione ha incontrato gli avvocati della sezione palestinese di Defence For Children International nelle loro sedi di Ramallah, Hebron e Betlemme, il Ministro per i detenuti palestinesi, oltre a altre associazioni, sia israeliane che palestinesi (Hamoked, Ichad, Al Haq, l’Hebron Riabilitiation Center, l’associazione Free Marwan Barghoutih), che si occupano a vario titolo delle discriminazioni perpetrate dallo stato di Israele ai danni della popolazione palestinese nei territori occupati. Importanti anche gli incontri con ex detenuti minorenni, che hanno testimoniato gli abusi e le violenze subite nelle carceri israeliane.

Dall’inizio della seconda Intifada, nel settembre 2000, sono stati arrestati più di 7000 minori, ed attualmente ve ne sono oltre 300 detenuti nelle carceri israeliane. Uno degli Ordini Militari israeliani che disciplinano ogni aspetto della vita nei Territori Occupati, stabilisce che i palestinesi diventano maggiorenni a 16 anni di età, in spregio alla Convenzione internazionale sui Diritti dei Fanciulli, ratificata anche da Israele, ed al fatto che, viceversa, gli israeliani (risiedano essi in Israele o nelle colonie dei Territori), raggiungono la maggiore età a 18 anni.

Per i minori palestinesi non esistono norme di procedura speciali, né un codice penale minorile, né speciali centri di detenzione, né personale specializzato nel trattamento dei minorenni. L’arresto, l’interrogatorio, il processo, la detenzione dei minori non si differenziano per nulla rispetto ai maggiorenni; l’unica differenza consiste nella misura della pena, ma incredibilmente l’età dell’imputato è valutata con riferimento al momento della condanna, e non della commissione del reato.

I minori vengono tenuti nelle stesse celle in promiscuità con gli adulti. Tutte le carceri per palestinesi sono site nel territorio israeliano, così come i Tribunali Militari, in violazione della IV Convenzione di Ginevra (ratificata da Israele), che vieta la deportazione della popolazione residente nel territorio occupato all’interno dello stato occupante.

La nostra delegazione ha assistito ad alcuni processi celebrati nel carcere militare di Ofer. I minori vengono portati in udienza a gruppi di due, con mani e piedi incatenati; durante l’udienza vengono tolte solo le manette ai polsi. Il processo si svolge davanti a una corte marziale composta solo da militari, e in lingua ebraica, con l’ausilio di un interprete che traduce solo una parte ridotta di quanto viene detto in udienza. Le udienze durano circa 10 minuti per ogni imputato, e vengono continuamente introdotti altri imputati, che si avvicendano velocemente.

All’udienza possono assistere i parenti, ma è loro vietato avvicinarsi ai detenuti. Una guardia li fa sistematicamente sedere nei posti più lontani, in ultima fila. Gli avvocati palestinesi devono conoscere la lingua ebraica e richiedere alle autorità il permesso per entrare in territorio israeliano per incontrare i clienti e partecipare ai processi; altrettanto devono fare i parenti dei detenuti; per ottenere un permesso ci vogliono spesso parecchi mesi, e sovente viene negato. Ai parenti di età compresa tra i 16 ed i 35 anni, è vietato ogni visita ai detenuti.

Ai genitori arrestati, in occasione delle visite di figli molto piccoli, è vietato anche di abbracciarli. I detenuti della Striscia di Gaza stanno ancora peggio, in quanto da più di un anno è preclusa la visita di congiunti.

Nelle carceri le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, è negato l’accesso a trattamenti sanitari adeguati, così come del tutto inadeguata è la possibilità per i minori detenuti di proseguire gli studi e godere di una qualsivoglia istruzione (una media di due ore la settimana di lezione, quando ci sono, senza alcuna distinzione per classi e per età). Il 50% delle condanne nei confronti dei minori è relativa al lancio di sassi, punito con pene fino a 10 anni di reclusione e che costituisce di per sé un crimine anche qualora questi sassi non colpiscano né persone nei veicoli ma siano semplicemente indirizzati verso "infrastrutture" di sicurezza, come ad esempio il muro di separazione, Per i reati per i quali è prevista una pena massima inferiore a 10 anni, non è prevista nemmeno la necessità dell’assistenza di un difensore.

 

Alcuni testimoni

 

Abbiamo incontrato un ragazzo di 14 anni, prelevato da uomini in borghese presso la propria abitazione alle 4 di notte, spruzzato con il gas sulla faccia, colpito più volte anche quando era in terra, e durante gli interrogatori, costretto a firmare una confessione in ebraico, lingua a lui sconosciuta (come la gran parte degli arrestati); è stato condannato a 4 mesi e mezzo di reclusione per aver lanciato un sasso nella direzione del Muro, senza neppure colpirlo. Durante la detenzione gli è stato consentito di vedere i genitori solo per due volte.

Ad Hebron abbiamo incontrato i bambini di una famiglia, composta da sei fratelli, tutti minorenni, la più piccola dei quali di soli 4 anni, i cui genitori da oltre tre anni sono entrambi trattenuti in detenzione amministrativa (detenzione che viene disposta per motivi di "sicurezza" per la durata massima di sei mesi prorogabili per un numero indefinito di volte e senza necessità di contestare all’imputato alcuna incriminazione). Questi sei fratellini vivono soli con la nonna materna, e hanno visto i genitori pochissime volte. Vivono con un sussidio dell’ANP di 300 euro mensili, ed hanno smesso di andare a scuola. Israele ha offerto alla sola madre la possibilità di riacquistare la libertà a condizione che accetti di trasferirsi per sempre in Giordania. (Si legga anche Noura al-Hashlamoun, Madre Coraggio, ha rifiutato la deportazione in Giordania., ndr)

Il quadro offerto alla delegazione di giuristi è estremamente angosciante. La politica di Israele è volta a stroncare le nuove generazioni di palestinesi, procedendo ad arresti di massa di bambini dai 13 anni in su, trattenuti anche a più riprese per anni nelle carceri israeliane, privi di istruzione e di adeguate cure, destinati a crescere in carceri in cattive condizioni fisiche, di salute e culturali, e, molto probabilmente, marchiati per sempre da un desiderio di vendetta nei confronti degli israeliani. "You welcome", ci ripetevano in continuazione questi ragazzi, mentre ci raccontavano le loro storie; col nodo in gola, a volte, era difficile fare delle domande.

 

Delegazione Giuristi Democratici

 

 

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