Rassegna stampa 14 giugno

 

Giustizia: decreto sicurezza, in arrivo 2.500 soldati nelle città

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2008

 

Pattuglie miste di soldati e forze di polizia per controllare il territorio nelle grandi città. Con una quota massima di 2.500 militari a disposizione dei prefetti per combattere la criminalità. L’accordo tra il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e quello dell’Interno, Roberto Maroni, è stato sancito da un emendamento che introduce i cosiddetti "pattuglioni".

La norma sarà proposta al testo del decreto legge sulla sicurezza, da martedì al voto dell’aula del Senato. La Russa, fautore della proposta, ieri da Bruxelles ha spiegato che in questo modo "si rende possibile l’idea di passare dal poliziotto di quartiere di giorno a una pattuglia mista nelle ore prevalentemente serali".

Secondo il testo dell’emendamento, però, l’operazione non è così immediata. Deve essere, intanto, motivata da "specifiche ed eccezionali esigenze". È prevista nelle "province comprendenti aree metropolitane e comunque densamente popolate". I militari, come accadde nell’operazione Vespri Siciliani del 1992, avranno "le funzioni di agente di pubblica sicurezza": potranno fermare, identificare e perquisire persone e mezzi, se c’è il sospetto di comportamenti "che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati". Ma per completare gli accertamenti e per le funzioni di polizia giudiziaria dovranno passare la mano a carabinieri, poliziotti o finanzieri.

Il piano di impiego delle forze armate nel controllo del territorio è adottato dal ministro dell’Interno, con il "concerto" della Difesa; è autorizzato per un periodo di sei mesi, rinnovabile per una volta. Il contingente di 2.500 è quello massimo. Una scelta coerente con quella, decisa ieri al Consiglio dei ministri, di impiegare le forze armate nella conduzione tecnica ed operativa degli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti.

"È una notizia molto positiva, un importante segnale di attenzione" dice il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Ma il ministro ombra della Difesa del Pd, Roberta Pinotti, avverte: "Se si pensa di utilizzare l’esercito per funzioni di ordine pubblico e di sicurezza, noi non possiamo che ribadire il nostro fermo no". Favorevole il generale Domenico Rossi, capo del Cocer Esercito: "Sono riconosciute le potenzialità professionali e relazionali acquisite in tanti anni di missione all’estero. Non c’è motivo sottolinea di rinunciare a queste potenzialità, viste le esigenze attuali di controllo del territorio".

In realtà questa novità non decollerà così presto come vorrebbe La Russa. Intanto, il decreto va approvato anche con il parere del Comitato nazionale dell’ordine pubblico e della sicurezza - è presieduto dal ministro dell’Interno e partecipano i vertici delle forze di polizia e dell’intelligence - integrato dal capo di stato maggiore della Difesa. E va informato il presidente del Consiglio.

Al Viminale, insomma, nessuno si entusiasma. Nella Polizia e nell’Arma il malumore è concreto. Non sarà facile, perciò, mettere insieme divise diverse. Né è casuale, del resto, che Cgil, Cisl e Uil del ministero dell’Interno ricordino come "almeno 25mila operatori della polizia di Stato sono distolti dai compiti operativi e sono impiegati negli uffici": meglio utilizzare loro, insomma, che i soldati. Peccato che da decenni si tenta di intervenire invano per riportare in strada i poliziotti negli uffici.

La Confederazione Sindacale Autonoma di Polizia (Consap) esprime "tutto il disappunto" per la decisione del governo di attribuire a 2.500 militari lo status di agenti di pubblica sicurezza. "Mentre si tagliano le ore di straordinario ai poliziotti, mortificando le operatività di Antiterrorismo, (Ucigos, Nocs, Reparti Speciali) non si fanno assunzione da oltre 10 anni, - afferma il Segretario Generale Nazionale della Consap Giorgio Innocenzi - si affida il controllo delle città alle forze armate". Per il Consap, "le dichiarazioni del Ministro della Difesa sconcertano allorquando crea l’analogia fra compiti di polizia svolti in paesi dilaniati dalla guerra e le attività di controllo sul territorio nazionale".

Giustizia: decreto sicurezza; da martedì via al voto in Senato

 

Corriere della Sera, 14 giugno 2008

 

Al Senato la distanza tra maggioranza e opposizione sulla natura del decreto sulla sicurezza rimane invariata anche se la polemica non sembra chiudere la porta al confronto che si avvierà in Aula martedì con la votazione di emendamenti e singoli articoli del provvedimento.

Nella discussione generale, chiusasi ieri mattina, al centro del contrasto l’efficacia stessa del provvedimento nel contrastare la microcriminalità. La maggioranza ne ha difeso l’urgenza e l’utilità mentre l’opposizione ha parlato di un provvedimento che criminalizza tutti coloro che sono in attesa di permesso di soggiorno e diventa per questo inefficace nella sua applicazione.

"Le misure relative all’espulsione, che trasformano la violazione amministrativa in un reato penale - ha osservato Maria Fortuna Incostante del Pd - sono di difficile applicazione, potrebbero spingere fasce di immigrati irregolari verso la criminalità e intasare il lavoro dei magistrati e le carceri". Secondo Incostante, "non vi può essere ex lege una fattispecie di persona socialmente pericolosa, una categoria, un prototipo" cioè l’immigrato clandestino". L’esponente radicale Marco Perduca del Pd ha parlato di un Paese "bombardato da una informazione drogata che ha triplicato, soprattutto sulle reti Mediaset, ciò che ha a che fare con la cronaca nera mentre l’Istat ha affermato che, malgrado l’immigrazione, l’Italia resta un Paese sostanzialmente sicuro".

"L’esigenza di sicurezza non è un’invenzione dei media, non è un allarme ingiustificato", ha replicato Lucio Malan del Pdl ricordando come il precedente governo si era posto con il ministro Amato il problema dell’immigrazione clandestina. Malan ha sottolineato "l’atteggiamento d’apertura" della maggioranza alle proposte di miglioramento mentre il liberale Luigi Compagna del Pdl, rivolgendosi all’opposizione ha detto: "La lotta contro la delinquenza non si fa con la retorica della società civile, di Hegel o Gramsci che sia, della democrazia capace in quanto tale di risolvere con il suo dispiegarsi i temi della sicurezza".

Il leghista Sergio Divina ha criticato la scelta del nostro sistema giudiziario della linea "tentiamo di recuperare anche chi sbaglia" e non quella più gradita al Carroccio "tanto male fai, tanto male dovrai avere".

Giustizia: Garante di Bologna; preoccupato da nuove norme

 

Sesto Potere, 14 giugno 2008

 

L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna esprime preoccupazione per le annunciate riforme legislative in materia penale, in parte già realizzate con l’emanazione del decreto-legge del 21 maggio contenente misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, a cominciare dal possibile ampliamento dei tempi di permanenza nei Cpt, Centri di Permanenza temporanea, la cui denominazione risulta non a caso già mutata nel decreto legge in "centri di identificazione e di espulsione ", nonché per la già introdotta e contestata aggravante comune costituita dall’essere irregolare sul territorio.

L’orientamento legislativo, che vede nel disegno di legge presentato anche l’introduzione della figura di reato dell’essere irregolarmente entrato nel territorio, tende a costruire una figura di reo non in base a condotte realmente offensive, ma in base alla condizione soggettiva della categoria presa in considerazione, nel presente i clandestini, e pone le basi per un inaccettabile diritto penale del nemico, foriero di discriminazione e inutile per la sicurezza pubblica.

La preoccupazione è avvertita in modo particolare per le ricadute sul territorio: per quanto riguarda il carcere della Dozza, che rappresenta oggi il carcere più complesso del paese, con una percentuale di stranieri ormai al 70%, sovraffollato, carente di personale ormai in modo cronico e contro ogni ragionevolezza, il possibile aumento di presenze in carcere rischia di paralizzare le attività rieducative in corso, stremare il personale della sicurezza e dell’area trattamentale, trasformare il penitenziario in un ancor più grande contenitore di disagio sociale, dove la reclusione sarà sganciata dal trattamento e dal rispetto delle norme di civiltà che regolano la vita in carcere, con conseguenze inimmaginabili.

Quanto al Cpta di Via Mattei, che nel corso del tempo si è strutturato in modo unico in Italia, dotandosi di un progetto sociale che, in sintonia con l’ente locale, ha assicurato maggiore attenzione alle persone, in una prospettiva di riduzione del danno, fornendo servizi , dai mediatori culturali agli psicologi, agli sportelli informativi, il rischio concreto è la trasformazione dello stesso in un centro di raccolta degli espellendi che potranno essere trattenuti sino a 18 mesi, periodo che rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria detenzione, senza la garanzie della legislazione penitenziaria e della magistratura di sorveglianza, con la probabile compromissione dei risultati importanti sin qui ottenuti.

La Garante auspica che in sede di conversione del decreto legge e di esame del disegno di legge si tenga conto delle ricadute drammatiche che un ulteriore aumento di carcerizzazione, anche attraverso i "centri di espulsione e identificazione", può avere sugli istituti oggi presenti, tenendo conto che l’immigrazione non può essere considerata solo un problema di ordine pubblico, ma richiede una serie di interventi mirati, tra cui gli accordi per la riammissione nei paesi di origine, l’incentivazione al rientro, la regolarizzazione di chi sta già svolgendo effettiva attività lavorativa.

Giustizia: intercettazioni; il Governo dà il "via libera" al Ddl

 

Corriere della Sera, 14 giugno 2008

 

Via libera al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche. Lo ha deciso il Consiglio dei ministri approvando il ddl all’ordine del giorno "all’unanimità e in un clima di grande concordia".

I contenuti - Confermate le linee del provvedimento. Sono vietate le intercettazioni per reati le cui pene sono inferiori a 10 anni. È prevista una deroga per i reati contro la pubblica amministrazione, come corruzione e concussione. Non solo. Le intercettazioni saranno sempre possibili nei reati di mafia, di terrorismo e per tutti i reati di grande allarme sociale. In generale, non potranno però durare più di 3 mesi e dovranno essere decise da un tribunale, non da un singolo soggetto. Resta anche la previsione del carcere da uno a tre anni, commutabili in una sanzione, per chi pubblica conversazioni coperte da segreto e cinque anni per i pubblici ufficiali che le diffondono. Secondo la nuova normativa, inoltre, le intercettazioni telefoniche autorizzate per un’indagine non saranno utilizzabili in un procedimento diverso.

Berlusconi - Silvio Berlusconi, secondo quanto racconta un ministro presente al Cdm, ha difeso il provvedimento licenziato dal governo e, rivolto ai ministri, ha ricordato: "Durante la mia campagna elettorale, ho girato piazze piene di gente e di entusiasmo. E vi assicuro che ogni volta che ho parlato di limitare il sistema delle intercettazioni, la gente mi ha applaudito moltissimo. È un provvedimento che gli italiani vogliono".

Alfano - "Questo provvedimento risponde esattamente al dettato della Costituzione sulla tutela della riservatezza - ha affermato in conferenza stampa il ministro della Giustizia, Angelino Alfano -. La nostra scelta è inoltre coerente con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo". "Il sistema delle intercettazioni era degenerato - ha spiegato Alfano - perché la privacy delle persone è stata violata troppe volte. Il testo approvato è molto equilibrato e coniuga il diritto del cittadino a vedere assicurata la privacy e l’esigenza dell’ordinamento statuale che deve contrastare i crimini". Il ministro ha poi negato che questo provvedimento possa indebolire gli strumenti di indagine: "Enfatizzando il ruolo eccessivo delle intercettazioni si fa un torto alla magistratura. Che gode di mezzi ampi nel codice: non hanno bisogno della cuffia alle orecchie. E i cittadini avranno la bella conseguenza che avranno tutelata la loro sicurezza e la loro privacy".

Di Pietro - Durissimo il commento di Antonio Di Pietro. "Questa storia delle intercettazioni così come presentato in Consiglio dei ministri mi ricorda il comportamento di un violentatore di bambini che ci prova e una volta tanto non gli riesce - ha affermato il leader dell’Idv -. Ma le mani addosso gliele ha messe e non è riuscito a violentarlo per cause indipendenti dalla sua volontà". Per il capogruppo alla Camera dell’Idv, Massimo Donadi, "è un disegno di legge che prevede il carcere per magistrati e giornalisti e l’impunità per i criminali. Scompaiono del tutto i reati economici finanziari e societari. Questo significa che scandali come Parmalat, i furbetti dei quartierino e clinica degli orrori in Italia non si potranno scoprire mai più. Ci incateneremo in aula".

Il Pd - Critico anche il Partito democratico. Marco Minniti e Lanfranco Tenaglia, rispettivamente ministri ombra dell’Interno e della Giustizia, affermano che le norme sulle intercettazioni "sono sbagliate e pericolose". "È evidente il passo indietro che il presidente del consiglio ha dovuto fare rispetto ai proclami dei giorni scorsi. Tra i reati che possono essere sottoposti ad intercettazione rientrano infatti anche i reati contro la pubblica amministrazione, ma ciò non è stato sufficiente ad impedire l’inserimento di norme sbagliate e pericolose che limitano comunque lo strumento di indagine e l’utilizzazione in altri processi del contenuto rilevante delle intercettazioni", sottolineano i due esponenti del Pd. "Tutelare la riservatezza dei cittadini ed evitare che i fatti privati vengano messi in piazza - proseguono - significa regolamentare in modo severo e rigido la segretezza e la diffusione delle intercettazioni e consentire alla magistratura di poter disporre le intercettazione per tutti i reati di rilevante gravità. Considerare come in contrasto queste due esigenze è un errore di impostazione del ddl che il Pd si batterà per modificare in Parlamento".

Anm - I vertici dell’Anm rispettano "le scelte della politica", ma a proposito del ddl intercettazioni lanciano l’allarme: "con le nuove norme questo importante strumento investigativo non potrà più essere usato per reati di grave allarme sociale come il furto in appartamento, la rapina, lo sfruttamento della prostituzione, il sequestro non a scopo estorsivo, come ad esempio la zingarella che rapisce un bambino...".

Il giorno stesso dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge sulle intercettazioni, una delegazione dell’Anm guidata dal presidente Luca Palamara, dal segretario Giuseppe Cascini e dal vice segretario Anna Canepa viene ricevuta dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Lo scopo è quello di illustrare alla terza carica dello Stato le linee di intervento e le priorità che la magistratura indica per risolvere i gravi problemi del mondo giudiziario, ma visto che la questione intercettazioni è di estrema attualità, un commento anche sul ddl del governo non poteva mancare.

Giustizia: intercettazioni… e adesso sarà guerra alla "fonte"

 

Italia Oggi, 14 giugno 2008

 

Giornalisti in fermento: i direttori dei telegiornali scendono in campo dopo il ddl sulle intercettazioni. Mimun da ragione a Cossiga, va punito chi passa la notizia.

Gianni Letta, Walter Veltroni, Gianfranco Fini, Massimo D’Alema, Maurizio Gasparri, Francesco Storace, Paolo Bonaiuti, Furio Colombo, oltre che politici di spessore sono tutti giornalisti professionisti. Alcuni di loro hanno ricoperto anche ruoli prestigiosi da direttori. Ma non sono i soli. Nel parlamento italiano, infatti, i giornalisti sono un plotone. Tuttavia, a quanto pare, stare dall’altra parte della barricata facilita non poco il compito rispetto a chi è alle prese con la cronaca, gli scandali e la privacy.

Il ddl sulle intercettazioni mette a dura prova le coronarie e la libertà del giornalista. Emilio Carelli, direttore di Sky News 24, non ha dubbi: "Speriamo che il giro di vite sulle intercettazioni non rappresenti una limitazione al diritto a una informazione libera e pluralista. Esprimo perplessità e preoccupazione sulle sanzioni nei confronti dei giornalisti".

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il direttore del Tg5, Clemente Mimun: "Il disegno di legge sulle intercettazioni è migliorabile. Per la parte concernente la stampa sono d’accordo con la proposta di Cossiga: punire il giornalista o l’editore solo dopo la condanna dì chi ha passato la notizia". Più realista del re, Mauro Mazza, direttore del Tg2. "Con il ddl si mette in primo piano la tutela, la privacy e la dignità della persona che in questi anni qualche volta è stata calpestata. Per chi fa il giornalista può essere uno stimolo a fare le inchieste senza aspettare che qualche magistrato per i suoi interessi, faccia filtrare e pubblicare non la verità, ma quello che a lui interessi, a costo di calpestare la dignità dei cittadini".

Il direttore di Studio Aperto, Giorgio Mulè, ha commentato: "Visto così è un provvedimento che fa paura. Tutti noi in passato abbiamo violato il codice quando ci vietava di promulgare atti coperti da segreto. Ogni giornalista sa qual è il limite, ognuno deciderà dove mettere il paletto a costo anche di rischiare un’incriminazione".

Giustizia: Idv; con indulto morti bianche impunite fino 2006

 

Dire, 14 giugno 2008

 

Le morti sul lavoro avvenute fino al giugno del 2006, nel nostro Paese, "resteranno sempre impunite grazie all’indulto e per questo dobbiamo ringraziare Forza Italia e sinistra radicale". Ad affermarlo è Antonio Borghesi, vicepresidente dell’Italia dei Valori alla Camera. "Quelle stesse forze politiche - prosegue il parlamentare - dalle quali ora provengono altisonanti parole di cordoglio per le morti bianche che continuano a moltiplicarsi, hanno fatto in modo, a suo tempo, che i reati legati alla sicurezza sul lavoro rientrassero nell’indulto, cosa contro la quale Italia dei Valori si era fortemente battuta". Il risultato, aggiunge Borghesi, "è che, mentre in America la linea dura consente di far finire in carcere i responsabili di reati così gravi, in Italia si continua a parlare invano della gravità della situazione. Fino a che - conclude Borghesi - non ci sarà la certezza della pena, sarà difficile uscirne".

Giustizia: clinica Santa Rita, inchiesta tocca anche dei politici

 

Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2008

 

I 13 medici accusati di truffa al Servizio sanitario nazionale sono stati sospesi dall’Ordine di Milano fino alla fine dell’iter giudiziario. Durante un colloquio con i pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella, un’anestesista ascoltata come persona informata dei fatti è diventata accusata di omicidio volontario e lesioni gravissime. La Regione Lombardia conferma che sono sotto verifica altre cliniche private.

L’inchiesta sulla clinica Santa Rita si allarga in più direzioni. Coinvolge anestesisti e sanitari della clinica dove, per incassare rimborsi più alti, si facevano operazioni "inutili e inspiegabili" e in cinque casi letali (ma ora si parla di altre 20 morti sospette). E chiama in causa la politica.

La Procura di Milano ha intenzione di approfondire la vicenda di presunte mazzette a politici messa a verbale da Domenico Lo Priore, l’ex contabile della Santa Rita. Il verbale dell’interrogatorio, depositato tra gli atti delle indagini, parla di "alcune buste preparate dalla segretaria del notaio" Francesco Paolo Pipitone, titolare della clinica e il 14esimo arrestato ai domiciliari.

Lo Priore ha ricordato di aver saputo di una busta che "avrebbe dovuto contenere circa 100 milioni di lire necessari per finanziare Alleanza Nazionale, probabilmente nelle elezioni politiche del 2003". Su questa testimonianza per ora non è stato aperto alcun fascicolo però, come è stato fatto sapere dai vertici del Palazzo di giustizia, "la vicenda verrà presa in considerazione e approfondita e bisognerà risentire il testimone che però dice di aver appreso del reato".

Intanto, Giuseppe Cannella, avvocato di Pier Paolo Brega Massone, il primario di Chirurgia toracica, ora a San Vittore assieme all’aiuto Pietro Paolo Presicci, annuncia di aver presentato ricorso al Tribunale del riesame e di aver affidato a dei consulenti "l’esame delle carte sulle quali è basata l’accusa, anche se - ha aggiunto - la condanna mediatica al nostro assistito è già stata inflitta". Medici e infermieri della Santa Rita però protestano: non è giusto essere criminalizzati per le colpe di pochi.

Giustizia: sex offender; trattamento insufficiente, recidiva alta

 

Redattore Sociale, 14 giugno 2008

 

A Rebibbia seminario sulla figura del criminale a carattere sessuale e del suo rapporto con chi lavora nel carcere. Per gli operatori, poco formati, difficile scindere la persona dal reato. Toro: "Trattamenti insufficienti, alta la recidiva".

"Sexual offender" e operatori penitenziari, un rapporto complesso, analizzato oggi a Rebibbia nel corso di un seminario di studi organizzato dalla FederPsi, associazione che nasce e opera per contribuire alla diffusione della cultura psicoterapeutica e della ricerca nel campo della psicoterapia, promuovendo il confronto tra diverse impostazioni teorico-metodologiche e di intervento.

"Sex offender" è un termine giuridico, collegato al commettere atti illegali a carattere sessuale. In generale, i crimini sessuali spiccano notevolmente tra i reati commessi nel mondo e continuano ad incrementare anche in Italia. Parte di questo dato è senza dubbio dovuto all’aumento delle denunce (sino a pochi anni fa tali crimini e molestie spesso non venivano denunciati per vergogna o paura), ma è evidente anche il fatto che il fenomeno non riesce ad essere arginato anche perché, in carcere, il criminale sessuale sconta una pena al termine della quale troppo spesso non è stato efficacemente riabilitato né rieducato, né, tanto meno, curato. In questo modo, il sex offender tende ad essere recidivo nel suo comportamento aberrante.

"A differenza dei Paesi anglosassoni - afferma Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta, direttore scientifico della Fondazione Movimento Bambino, di cui coordina i progetti di ricerca - in Italia la recidività di queste persone è molto più alta. In assoluto il sex offender è il criminale che vanta la più alta percentuale di recidiva. Più passano gli anni e più i detenuti diventano meno empatici. E si rafforza la loro propensione a ricommettere il reato. Ma su questo dato intervengono anche le carenze di sistema. Di fatto laddove si fanno dei programmi trattamentali, i risultati si vedono".

Recenti studi sul comportamento sessuale violento hanno individuato alcuni fattori comunemente associati al reato. Gli aggressori sessuali hanno dimostrato: una scarsa capacità di stare in intimità, un alto grado di solitudine, difficoltà nelle relazioni sociali, distorsioni cognitive (errori di pensiero), bassa stima di se stessi, etc. "Il sex offender - continua la Toro - in realtà è a metà strada tra la criminalità e la patologia. Il dato emergente è che c’è una richiesta di informazione altissima da parte di chi opera nel carcere e si trova a confrontarsi con queste persone. Anche se spesso sono gli stessi operatori che, lavorando all’interno delle strutture, ci forniscono tanti elementi conoscitivi e di analisi. Elementi con cui, vista la particolarità dei soggetti, difficilmente si viene in contatto nei nostri studi".

Ma qual è il rapporto tra operatori e detenuti? "Domina il concetto di proibito - aggiunge la Toro - e dunque c’è una generale difficoltà. Permane un certo disagio nell’operatore, frutto dell’ambiguità della definizione proprio del sex offender. L’atto commesso è talmente detestabile che, a differenza degli altri detenuti, è difficilissimo scindere la persona (il detenuto) dall’atto compiuto (il reato). Di conseguenza l’operatore ha difficoltà a fare ciò che fa sempre". Insomma, prevale il giudizio morale.

Una tendenza confermata anche da un questionario somministrato più di un anno fa ai partecipanti della giornata di studio intitolata "Il sex offender: psicopatologia, criminalità, realtà carceraria", tenuto presso la casa circondariale di Rebibbia. In questo contesto, interessanti sono state le domande tese ad indagare le emozioni che il contatto con i sex offender suscita all’operatore e i giudizi espressi.

Innanzitutto l’86% degli intervistati ha detto di non aver mai effettuato una formazione specifica rispetto alla realtà psicologica di questi detenuti. E quasi unanime è stata la risposta affermativa circa il bisogno di colmare questa lacuna. Per ciò che riguarda il rapporto con il sex offender, quest’ultimo viene giudicato una persona malata (60% di risposte), oltre che disadattata (20%). In misura minore è anche "vittima" e "perversa". Nessuno ha tuttavia etichettato il sex offendere come un "mostro".

Il trattamento prediletto è quello psico-farmacologico, seguito da quello psicologico e risocializzante. Il servizio penitenziario non è poi ritenuto adeguato per il trattamento del sex offender, anche se è maggioritaria la convinzione che la terapia debba continuare anche dopo la fine della pena.

Infine le ricadute positive della formazione. Gli intervistati hanno identificato come obiettivo primario di un eventuale percorso formativo quello di fornire strumenti atti al miglioramento del trattamento con i sex offender, oltre che a migliorare le capacità relazionali dell’operatore e limitarne il "burnout". Un lavoro difficile, se è vero che (sempre secondo gli operatori intervistati) le emozioni che emergono lavorando con tali detenuti sono identificate nella rabbia, nella comprensione, nell’ansia-paura e indifferenza e anche nel disprezzo.

Cagliari: Caligaris (Psi); caso di tubercolosi al Buoncammino 

 

Adnkronos, 14 giugno 2008

 

"Un caso di tubercolosi è stato individuato dai medici della Casa Circondariale di Buoncammino, il carcere di Cagliari. L’ammalato, dopo gli accertamenti diagnostici, è stato ricoverato nel reparto di Pneumologia dell’ospedale Binaghi.

L’altro detenuto, che era con lui in cella, è stato posto in isolamento. Contestualmente sono state adottate le misure di profilassi ambientale per evitare qualsiasi ipotesi di contagio all’interno dell’Istituto di pena. Lo afferma il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Psi) che segue con particolare attenzione l’evolversi della situazione nelle carceri dopo il passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario regionale.

"Il caso - ha precisato Caligaris - è venuto alla luce grazie ai sanitari del carcere che periodicamente e costantemente effettuano il monitoraggio dei ristretti con specifiche analisi. Il detenuto è risultato positivo a un esame toracico che ha evidenziato una caverna tubercolare aperta verso il bronco. Ne è seguito l’immediato isolamento respiratorio e le cure necessarie a dimostrazione dell’importante ruolo della medicina penitenziaria ancor più in un momento delicato di modifica sostanziale del servizio".

"Un passaggio delicato che avviene, in Sardegna, quando ancora non sono stati definiti i criteri di attuazione da parte della Regione. Nell’attesa - sottolinea Caligaris - è indispensabile che la sanità penitenziaria non venga in alcun modo ridimensionata negli organici e nelle risorse dal Ministero della Giustizia. È una necessità che riguarda tutti gli Istituti di pena dell’Isola dove le condizioni della popolazione detenuta, prevalentemente ammalati e molti con doppia diagnosi, richiedono un potenziamento ed una forte intesa tra Regione e strutture sanitarie. Ecco perché - conclude - è indispensabile audire in Commissione Diritti Civili l’assessore Dirindin, il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, i rappresentanti degli operatori sanitari e i Direttori degli Istituti".

Forlì: detenuti elettricisti con coop "San Giuseppe Sadurano"

 

Bologna 2000, 14 giugno 2008

 

Il lavoro nobilita l’uomo. Ancora di più l’uomo in carcere, che nel lavoro può trovare la forza per riscattarsi e re-inserirsi nella società.

Da oltre due anni la cooperativa San Giuseppe di Sadurano gestisce, in collaborazione con l’agenzia di formazione Technè di Forlì e la Mareco Luce, un laboratorio di assemblaggio di componenti elettriche dove vengono prodotte lampade, plafoniere, impianti di illuminazione per esterni, che si svolge tutti i giorni all’interno delle mura della Casa Circondariale di Forlì.

A poco più di due anni di distanza dalla sperimentazione, avviata nel febbraio 2006, il bilancio del laboratorio è nettamente positivo: in due anni sono stati coinvolti 15 detenuti, di cui 7 italiani e 8 stranieri; uno di loro, uscito dal carcere a settembre, ha trovato lavoro subito qualche giorno dopo; l’azienda committente, la Mareco Luce, che ha reso possibile l’intero progetto con la massima disponibilità, è soddisfatta del lavoro svolto; complessivamente il laboratorio è molto produttivo e funziona senza problemi.

I detenuti lavoratori, che sono dipendenti della cooperativa San Giuseppe, sono seguiti nel lavoro da un tutor di Technè che segue passo passo l’intero iter formativo: dal tirocinio iniziale al tutoraggio del gruppo, dai colloqui personali con i lavoratori all’accompagnamento dopo l’uscita dal carcere, fino ai contatti con gli enti coinvolti nel progetto (Ispettorato del lavoro, struttura carceraria, Provincia di Forlì-Cesena, Direzione Provinciale del Lavoro, sindacati). Attualmente i detenuti coinvolti sono 5, tra cui 4 che svolgono il lavoro all’interno del laboratorio e uno che lavora in cella, con un macchinario apposito per l’assemblaggio delle guarnizioni.

"Per i detenuti il laboratorio è una grossa opportunità per rimettersi in gioco, imparare un lavoro, guadagnare qualcosa, stare insieme ad altri carcerati e gestire un lavoro di gruppo - commenta Stefano Uguzzoni, presidente della cooperativa - Per questo siamo soddisfatti dei risultati ottenuti in questi due anni e speriamo di incrementare in futuro il numero di lavoratori coinvolti nel progetto".

"Il laboratorio funziona ormai con le sue gambe, e questo è un risultato molto positivo, anche se la presenza del tutor rimane fondamentale dato l’elevato turnover dei lavoratori - racconta Francesca Giovannetti di Technè tutor referente del progetto - Il nostro obiettivo ora è quello di coinvolgere altre aziende del territorio nel progetto, per aumentare le possibilità di lavoro per i detenuti e facilitare il loro re-inserimento nel tessuto sociale una volta usciti dal carcere." E le notizie positive non finiscono qui: "nei giorni scorsi abbiamo trovato una nuova società disposta a dare lavoro al laboratorio attraverso la cooperativa S. Giuseppe: potenzialmente potremo occupare altri quattro detenuti" aggiunge Gigi Mondardini, della Mareco Luce.

Lecce: per detenute laboratorio sartoria e marchio registrato

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 14 giugno 2008

 

La cooperativa sociale Officina Creativa ha avviato un Laboratorio sartoriale che ha dato vita al marchio, registrato, "Made in Carcere" con le "ricercate" shopper bags ed altri manufatti tessili confezionati con materiale di scarto donato da alcune imprese salentine particolarmente sensibili all’iniziativa.

Le shopper bags diventano così veicolo di un sentimento di libertà che può esprimersi soltanto attraverso l’evasione creativa, donando una "doppia vita" agli oggetti, come in questo caso sia alle buste che ai tessuti, ed offrendo così, un’altra chance alle detenute del carcere.

"Il progetto è diventato una "palestra di vita" per tutte le figure interne ed esterne, una palestra, nella quale ci si allena per studiare e combattere i punti di debolezza fino a poi farli diventare, attraverso l’impegno e la buona volontà, dei punti di forza, un laboratorio, quindi (come scrivono le detenute), dove "raddrizzare le cuciture storte della vita", e "rafforzarne i punti deboli", spiega Luciana Delle Donne, responsabile della cooperativa.

"Le borsette - spiega - danno l’opportunità ad un gruppo di detenute del Carcere di Borgo San Nicola di Lecce, di far evadere il proprio impegno attraverso il confezionamento di un accessorio realizzato con tessuti di scarto. Le buste multiuso, realizzate per contenere, inizialmente i documenti di un seminario o di un convegno, sostituendo così le tradizionali buste di plastica e/o di carta, per diventare oggetti utili alla vita quotidiana".

Dal successo dell’iniziativa è nata l’idea di allestire un altro Laboratorio Sartoriale, questa volta, però, all’interno del Blocco maschile per poter offrire un’altra opportunità anche ad un gruppo di detenuti "La realizzazione di questo ambizioso obiettivo è possibile - prosegue Luciana Delle Donne - grazie all’impegno di tutte le "Marie" che operano nel laboratorio, ma anche grazie all’ampia disponibilità prestata da tutti gli agenti, che fanno onore alla divisa, e che con la loro professionalità garantiscono ogni giorno l’espletamento di un lavoro tranquillo e proficuo e fanno sì, ogni infinito giorno, che, l’attenzione delle regole, sia una modalità vincente per soddisfare le complesse esigenze di tutti gli attori coinvolti, compresi noi esterni, che da questa esperienze ed attraverso la loro collaborazione abbiamo imparato tantissimo, riuscendo a costruire insieme a tutto il personale del carcere, un’altra chance a delle persone che pagano con dignità la loro pena".

Cagliari: madre ai domiciliari rischia sfratto e rientro carcere

 

Dire, 14 giugno 2008

 

Grande mobilitazione a Cagliari per una giovane donna con due bambini di 7 e 5 anni. Occupava abusivamente un appartamento dell’Istituto case popolari, quando è finita ai domiciliari. Con lo sfratto rischiava di finire a Buoncammino.

Ha rischiato per cinque mesi di finire nel carcere di Buoncammino, nonostante avesse beneficiato degli arresti domiciliari per prendersi cura dei figli di 7 e 5 anni. Questo perché una giovane madre di Cagliari, P. Z. di 32 anni, aveva occupato abusivamente nel febbraio scorso un appartamento dell’Istituto autonomo case popolari (Iacp) in via Monte Acuto, lasciato per qualche giorno abbandonato dall’inquilina intestataria perché era stata ricoverata in ospedale.

Un mese dopo, la donna era però rimasta impigliata nella maxi inchiesta sul traffico di droga a Cagliari culminata con l’arresto di due carabinieri e con decine di arrestati in città e nella provincia. Sia per lei che per il suo compagno, il Giudice per le indagini preliminari aveva chiesto la misura cautelare degli arresti domiciliari, ma proprio nella casa occupata abusivamente e che avrebbe dovuto lasciare.

Un intoppo giudiziario: da una parte l’ordinanza del Gip che le impediva di uscire da quella casa, concedendole solamente la possibilità di andare a portare e riprendere i figli da scuola, dall’altra il decreto di sgombero firmato dal pubblico ministero Emanuele Secci che l’aveva indagata per occupazione abusiva. Il rischio, pesantissimo, era che quando l’avessero sfrattata la donna sarebbe dovuta finire in cella e i bambini affidati ai servizi sociali del Comune.

Lanciato l’allarme dagli avvocati difensori Annamaria Busia e Marco Piras, a Cagliari è scattata una vera e propria mobilitazione per cercare di bloccare lo sfratto. Nello stesso tempo, le assistenti sociali hanno cercato per settimane un alloggio che ospitasse i due detenuti con i figlioletti. Tutto inutile, sino a ieri pomeriggio quando il Gip Alessandro Castello ha disposto un’ordinanza che modificava la prima richiesta di custodia cautelare, trasferendo di fatto il luogo di detenzione dalla casa occupata in via Monte Acuto ad un secondo appartamento che i familiari della donna sono riusciti a trovare in extremis.

Appena in tempo. Poche ore dopo, gli agenti della polizia municipale ed i carabinieri hanno fatto irruzione nella casa, sequestrandola e disponendone la restituzione alla legittima assegnataria che, nel frattempo, era stata dimessa. In questi mesi, dopo il ricovero, la cinquantenne cagliaritana a cui era stato "rubato" l’appartamento ha dovuto vivere con i figli ospite di parenti.

Una lunga battaglia, quella per evitare che la giovane madre finisse in carcere, che ha impegnato pesantemente anche la Commissione "Diritti Civili" della Regione, interessata dal cogliere regionale Maria Grazia Caligaris che aveva presentato un’interrogazione all’assessore dei Lavori Pubblici, Carlo Mannoni, chiedendo che venisse emanato un provvedimento dallo Iacp che evitasse lo sfratto.

Una strada impossibile, visto che il decreto penale di sgombero era stato deciso dalla Procura in seguito ad un reato. Soddisfazione, in queste ore, è stata espressa non solo da vari componenti della Commissione "Diritti Civili" della Regione, ma anche dalle assistenti sociali del Comune che stanno seguendo da vicino i due bambini con entrambi i genitori agli arresti domiciliari.

Matera: polizia penitenziaria denuncia situazione insostenibile

 

Dire, 14 giugno 2008

 

Mercoledì l’aggressione in carcere a una guardia, ad opera di un detenuto. È ferito alla giugulare, ma teme per la sua salute. Di Cuia (Uil): "Organico sottodimensionato di ben 51 agenti. Una situazione che svilisce".

A Matera servizio di Polizia penitenziaria insostenibile. "Il mio stato d’animo è dei peggiori, spero il mese prossimo di partecipare al matrimonio di mia figlia". Ecco quanto ha dichiarato pochi minuti fa l’agente di polizia penitenziaria che, mercoledì scorso, più di tutti ha subito l’aggressione in carcere e teme gravi ripercussioni sanitarie.

Cinque i colleghi che sono giunti in soccorso, oltre al collega di turno. L’agente è stato aggredito durante il proprio turno di lavoro da un carcerato tunisino. L’uomo dal ‘92 lavora nella casa Circondariale della città dei Sassi, con un’esperienza più che ventennale.

Tanto dolore anche nelle parole di Bruno Di Cuia, segretario provinciale della Uil P.A. e funzionario del Ministero del lavoro: "È stato tagliato alla gola, per fortuna la giugulare è salva". Ma rimane incerto lo stato di salute, "ovvero il contagio da altre malattie, perché il detenuto, si era tagliuzzato le mani con la lametta, consentita per la barba, e con le mani insanguinate ha tentato anche di strangolarlo".

"C’è un sotto-organico di ben 51 unità. Assente anche il Direttore titolare, che viene in missione da Melfi. Una situazione che svilisce le e distrugge psicologicamente anche le famiglie - rimarca e prosegue Di Cuia -. Sono dati relativi all’ultimo censimento del Dipartimento Amministrativo penitenziario del Provveditorato della Regione Basilicata, con sede a Potenza durante i primi giorni di Maggio 2008. Il tunisino, con problemi di schizofrenia era solito in questi atteggiamenti, lo testimonia il suo arrivo da carceri del nord Italia solo due mesi fa. L’atra sera, intorno alle ore 20 i poliziotti lo stavano conducendo in un’altra cella a seguito di segnalazioni di colleghi di cella, poiché ripetutamente si spogliava e a questi slanci seguivano atteggiamenti spinti, sessualmente, nonostante la perquisizione nel corridoio, con la sua stazza, tra lamette e pugni ha aggredito e ferito ben sei uomini qualificati ed esperti. Quello che è successo noi lo temevamo, ma non doveva succedere. Non dovrà succedere più in futuro".

"Stamane, un altro detenuto italiano lavoratore ha aggredito un collega - ha proseguito Giovanni Grippo, poliziotto e referente sindacale Uil nella casa circondariale -. Siamo stanchi, soprattutto per l’assenza dell’amministrazione centrale che conosce la nostra situazione". Grippo, uno dei sei agenti feriti, ha riportato trauma alle braccia e alla spalla.

Dolore e amarezza, dunque, nella voce degli agenti. Quando il diritto al lavoro diventa un obiettivo difficoltoso e si teme di perdere la propria vita la civiltà viene sconfitta. "L’uomo è stato trasferito, sempre in condizioni di sicurezza precarie per i nostri uomini", ha concluso Di Cuia.

Trapani: agenti senza le ferie; il direttore "prima la sicurezza"

 

La Sicilia, 14 giugno 2008

 

"Il mio ruolo primario è garantire la sicurezza della collettività. Non posso lasciare incustodito l’istituto con 400 detenuti mandando tutto il personale in ferie". Con queste parole, all’indomani dell’annuncio del sit-in in programma per il 27 davanti alla Prefettura da parte della polizia penitenziaria e dei sindacati di categoria, il dirigente della casa carceraria Francesca Vazzana ribatte alle accuse che le sono state mosse. La sua replica è secca: "Il dialogo c’è stato, ma le posizioni sono distanti".

Respinta la lamentata chiusura su questioni legate alla modifica dell’organizzazione del lavoro e alla pianificazione delle ferie, "decisa - a detta di Uilpa, Sappe, Sinappe, Cnpp - unilateralmente", la direttrice spiega così le scelte operate. "Al momento abbiamo 266 reclusi, ma a breve apriremo un altro reparto e ne ospiteremo altri 150. Il mio compito principale è perciò custodire e rieducare i soggetti che ci vengono affidati e questo deve essere contemperato con le esigenze dei lavoratori.

Magari nel fare ciò a volte non ho potuto acconsentire a tutte le richieste che i rappresentanti sindacali hanno ritenuto di portare avanti". E incalza: "ci siamo incontrati più volte, ma le vedute sono divergenti, pur comprendendo umanamente le aspettative dei singoli lavoratori e pur ritenendo condivisibile la loro preoccupazione rispetto alla legittima domanda di ferie".

Intanto, all’orizzonte si affaccia la protesta degli agenti fissata per la prossima settimana, a proposito della quale Vazzana avanza una speranza: "mi auguro che ci sia una dissuasione rispetto alla manifestazione preannunciata, per me il dialogo è sempre aperto". Un segnale distensivo inviato a sindacati e lavoratori?

Bologna: le madri detenute sono molte, non c’è solo Franzoni

di Maria Giovanna Ferrante

 

La Stampa, 14 giugno 2008

 

Anche dietro le sbarre Annamaria Franzoni continua a far discutere. Madre oltre che detenuta, come migliaia di altre donne che scontano la pena in carcere, riceve regolarmente le visite del marito, incontra i figli, è da sola in cella. Privilegi? Lei a "La Stampa" ha risposto così: "Qui tutte mi adorano, non ho privilegi".

Una versione contestata da Flavio Menna, guardia penitenziaria e sindacalista dell’Ugl: nei primi giorni di detenzione della Franzoni i colloqui si sarebbero svolti "in luoghi inconsueti, con orari comodi". Aggiunge l’avvocato Mauro Cavalli: "Il diritto di ogni madre a conservare il legame con suo figlio mi ha spinto a presentare ai carabinieri di Bologna l’esposto sulla presunta differenza di trattamento tra la Franzoni e semplici sconosciute che scontano in carcere una pena anche meno grave. Voci interne hanno raccontato di strani favoritismi".

Il caso Franzoni, però, non è unico in Italia. Nelle carceri italiane ci sono tante madri detenute. Come vivono? Come sono trattate? "Soprattutto nei primi giorni di detenzione - risponde Gabriella Straffi, direttrice della casa circondariale Giudecca di Venezia - cerchiamo di mettere il detenuto a proprio agio, magari concedendogli un numero maggiore di colloqui rispetto a quelli consentiti dalla norma".

Poi la situazione si normalizza e le eccezioni vengono valutate secondo i singoli casi. Perché il rapporto di una madre con il proprio figlio, l’amore del bambino per la donna che lo ha generato, è un filo robusto che non si può spezzare, neanche quando a dividerli sono le sbarre di un carcere. "Il totale delle detenute non supera mai il 4 o 5 per cento della popolazione carceraria totale. Sono 57 le madri detenute nelle carceri italiane che hanno scelto di usufruire del servizio di asilo nido per i figli minori di 3 anni - dice Melita Cavallo, capo del Dipartimento di Giustizia minorile -.

Oltre la metà è costituita da donne straniere, che riscontrano una maggiore difficoltà a usufruire di pene alternative alla detenzione per la mancanza di riferimenti sul territorio italiano". Secondo le statistiche del ministero della Giustizia (dati aggiornati al 31 dicembre 2007) sono 2.175 le donne in carcere. I reati più frequenti: furto, spaccio e prostituzione. Solo poche centinaia sono punite per reati con una pena detentiva superiore ai 5 anni. Varia la cifra delle detenute che hanno un figlio di età inferiore ai 10 anni, per il loro diritto a scontare la detenzione agli arresti domiciliari se la pena non supera i 4 anni. Le altre incontrano i bambini tra le mura di una casa circondariale, nei sei colloqui mensili della durata di un’ora firmati dalla direzione carceraria.

Al carcere femminile della Giudecca che ospita 79 detenute, esistono luoghi separati con annesso giardino dove le mamme possono incontrare i bambini in un ambiente meno traumatico per la psicologia infantile. "Nella stanza dei papà, invece - dice la direttrice - per questioni di spazio ci siamo limitati a un bosco dipinto sulla parete. Ma la normativa prevede che, dove possibile, siano ricavati spazi per i detenuti con figli". Alle Vallette di Torino ci sono 15 detenute, 4 hanno i loro figli in carcere.

"La peculiarità - dice la direttrice Claudia Clementi - è la loro nazionalità Rom assieme alla giovanissima età. Di solito le altre madri non fanno richiesta di un trattamento speciale, ma i casi vengono esaminati singolarmente". Nella piccola sezione femminile del carcere di Avellino sono 15 le donne detenute, 3 le madri con i bambini: "Le detenute madri non si sono mai lamentate dell’ambiente raccolto e riservato della stanzetta destinata ai colloqui - spiegano dalla direzione - e durante il periodo estivo i genitori con figli fino a 14 anni possono usufruire del giardinetto attrezzato".

"Il giardino degli incontri - aggiunge Oreste Cacurri, direttore del carcere di Firenze Sollicciano - è un’area confortevole con molto verde, perché le donne hanno bisogno di un trattamento diverso rispetto ai maschi. Le eccezioni le facciamo per tutti secondo la situazione individuale, e non solo perché una persona va in tv". E Straffi conclude: "Da questo punto di vista tutte le donne detenute si chiamano Franzoni".

Nella "stanza dell’affettività" del carcere di Bollate, in provincia di Milano, attrezzata come un piccolo monolocale munito di angolo cottura e soggiorno, sia gli uomini sia le donne possono avere colloqui speciali con i loro figli: "Grazie a un’iniziativa della Provincia - spiega la direttrice, Lucia Castellano - venti detenuti godono di 4 ore supplementari per incontrare le loro famiglie e trascorrere un intero pomeriggio insieme, controllati solo da telecamere nascoste, che non condizionano la psicologia del bambino".

Reggio Calabria: meeting del volontariato dedicato a legalità

 

Comunicato stampa, 14 giugno 2008

 

L’altra Calabria. È questo il tema del primo Meeting del volontariato della provincia di Reggio Calabria che si svolgerà sul Lungomare Falcomatà il 20-21-22 Giugno prossimi. Una occasione per fare conoscere la Calabria del volontariato che non fa notizia ma che vuole dare il suo contributo per costruire un futuro della regione libero dalle mafie e dalla povertà.

La manifestazione è promossa dal Centro Servizi per il volontariato I Due Mari e vuole essere una occasione per riflettere insieme alla cittadinanza sui temi della gratuità, della giustizia e dei diritti. Un centinaio le associazioni di volontariato della provincia di Reggio che sono state coinvolte. Attraverso spazi espositivi ed altre modalità di comunicazione presenteranno le loro attività e coinvolgeranno i cittadini che visiteranno il meeting.

Accanto ai momenti di dibattito ci saranno anche spettacoli, musica ed animazioni, attraverso i quali si lancerà alla cittadinanza un messaggio ben preciso: per garantire legalità e tutela dei diritti occorre riscoprire la gratuità e l’impegno di tutti per costruire città solidali ed inclusive. In questa prospettiva, si approfondirà il significato autentico dell’azione volontaria con l’aiuto di testimoni e di esperti a livello nazionale e locale. Uno spazio sarà riservato al confronto con gli Enti locali, le istituzioni territoriali, gli altri soggetti del Terzo Settore. Interverranno tra gli altri Mons. Giovanni Nervo, don Antonio Mazzi, il coordinatore nazionale dei CSV Marco Granelli, le massime autorità regionali e locali.

Spoleto: con il Teatro Lirico sperimentale Rigoletto in carcere

 

Asca, 14 giugno 2008

 

Al via il progetto del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto promosso dalla Provincia di Perugia in collaborazione con la Regione Umbria e il Comune di Spoleto.

Dopo due incontri preliminari con la Direzione della casa di Reclusione di Maiano di Spoleto e il secondo con il gruppo dei detenuti coinvolti, ha preso ieri il via operativamente il progetto promosso dalla Provincia di Perugia e realizzato dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto A. Belli "La musica dei colori/progetto Rigoletto 2008 che si attua in parte presso la Casa di Reclusione di Spoleto.

Il progetto prevede il coinvolgimento di alcuni gruppi di detenuti nell’ambito della realizzazione di costumi, elementi scenici, materiale promozionale e a stampa della produzione lirica "Rigoletto" di G. Verdi che il Teatro Lirico Sperimentale allestirà il prossimo settembre. La prima serie di incontri organizzati nel mese di giugno prevede lezioni propedeutiche alla produzione successiva, lezioni teoriche di inquadramento riguardo all’opera "Rigoletto". Le lezioni propedeutiche sono tenute dalla Dott.ssa Annalisa Rinaldi, musicista e responsabile dell’ufficio stampa della stagione lirica della "Sperimentale". Seguono il primo modulo circa 40 detenuti dei vari gruppi di grafica, sartoria, teatro. Nel primo incontro il regista dello spettacolo Marco Carniti, giunto appositamente dalla Spagna dove ha curato al Teatro Real di Madrid con successo la messa in scena dell’opera di Mozart "La clemenza di Tito", ha esposto le sue idee di regia e si è reso disponibile a raccogliere successivamente spunti, riflessioni e indicazioni dei detenuti coinvolti nel progetto. Lo "Sperimentale" in questo periodo si divide quindi in due/tre tronconi produttivi. Non solo quindi in Giappone, tournée e promozione della musica all’estero ma anche forte radicamento nel territorio sia a favore della scuola (progetto "All’Opera") sia, con questo progetto, nell’ambito del sociale a conferma delle finalità dell’Istituzione lirica umbra aperta ad una pluralità di esperienze tutte rivolte alla crescita della cultura musicale e che direttamente non può che prevedere un più vasto accrescimento culturale dei soggetti coinvolti.

Immigrazione: Verona; ora vedremo chi si ricorderà di Adrian

di Angiola Petronio

 

Corriere di Verona, 14 giugno 2008

 

Padre Codrea: "Adesso vedremo chi si ricorderà di Adrian". Domenica una colletta per i funerali in Romania. "Mi chiedo se verranno quei tre sindaci che erano ai funerali di Lugagnano, uno dei quali chiedeva la pena di morte per l’assassino".

"Carne vie". Per Valerio e Caterina, Adrian era solo questo. "Carne vie". Non sapranno neanche cosa vuole dire, Valerio e Caterina. Ma loro Adrian lo hanno trattato come "carne vie". Che in romeno significa "carne viva". Non era altro che questo, per loro. Carne buona da massacrare, carne buona da far soldi. Ci hanno investito su Adrian, Valerio e Caterina. Sulla sua carne buona da bruciare per un assegno. Sulla sua provenienza, perché era romeno. E i romeni, si sa, non se li fila nessuno. E poi hanno sempre dei giri strani. Meglio ammazzare un romeno per far soldi, che un italiano.

È stato un omicidio a parti invertite rispetto a quello che vorrebbe un facile pensare, quello di Cavaion. Ma è anche stato un omicidio basato proprio su quegli stereotipi che fanno di un’etnia e di un ragazzo di 28 anni, una "carne vie". "Sono curioso di vedere se al funerale di Adrian verranno tutti quei sindaci che c’erano a Lugagnano".

Perché quegli stereotipi hanno intaccato anche la pazienza di padre Gabriel Gabor Codrea, il prete romeno ortodosso, che da sette anni è a Verona. Si riferisce ai funerali dei coniugi Meche, padre Codrea. Uccisi da un romeno, Claudiu Stoleru, dopo l’ennesima prestazione sessuale chiesta dall’imbianchino di Lugagnano per farlo lavorare.

Si riferisce in particolare al sindaco di Sona, padre Codrea. Quello che aveva chiesto la pena di morte per l’assassino. "Perché anche adesso non si rivolge ai giornali dicendo le stesse cose? Perché nessuno, nessuna di quelle autorità che hanno parlato dopo Lugagnano, adesso dice qualcosa per Adrian e per il modo atroce in cui è stato ucciso?". Non ha risposta, la domanda di padre Gabriel. E allora prova a darsela da solo. Ed è piena di amarezza.

"Ci sono due pesi e due misure. Ma quello di Adrian, se è possibile, è stato un omicidio peggiore. La sua morte è stata premeditata, studiata e attuata". Sarebbe valso 900mila euro, Adrian. Ma come carne da morto. "E una certa logica soprattutto di una parte politica, che porta a questa caccia agli immigrati. Che porta la gente a pensare che noi dell’Est siamo gente che non vale niente. Una gara a dare la colpa agli stranieri.

A pensare che valiamo di meno". Sa di cosa parla, padre Codrea. Da sempre è uno dei più attivi nel dialogo interreligioso a Verona. Conosce l’accoglienza, ma anche il rigetto degli altri. Pa-dre Gabriel è in contatto con il vescovo ortodosso a Roma, che sta seguendo i genitori di Adrian. "Non sappiamo quando ci saranno i funerali. Manca ancora il nullaosta. Loro vorrebbero che il figlio riposasse in Romania, ma non hanno i soldi per il trasferimento della salma. Per questo domenica verso le 12 ci troveremo come sempre a San Pietro Incarnario e oltre a una preghiera per Adrian faremo una colletta".

Ucciso per 900mila euro, Adrian. E adesso non ci sono neanche i soldi per seppellirlo a casa sua. "Noi moriamo così - si sfoga padre Codrea -. I nostri funerali li facciamo in quella chiesa. Dall’inizio dell’anno sono quattro i funerali di uomini dell’Est morti qui, mentre la-voravano. Sono morti sul lavoro. Anche questo è considerare degli esseri umani solo della "carne vie". Adrian avrà una sua cerimonia funebre a Verona. Non si sa ancora dove. Se in una chiesa o alle celle mortuarie.

"Questo modo di pensare a noi, o come delinquenti o come persone da sfruttare è dilagante, soprattutto tra i giovani. A Verona bisogna prendere una posizione forte, perché qui abbiamo a che fare con un pericolo sociale. E il suo nome è xenofobia e razzismo". Non vuole la santificazione di nessun, padre Codrea. Chi ha sbagliato è giusto che paghi, lo dice per primo. Lui che è l’unico che in questi mesi è andato a trovare Stoleru in carcere.

"Dice continuamente che ha ammazzato solo il marito", racconta. Lui che per chi è dietro alle sbarre spesso e volentieri è l’unico aiuto. "Adesso non hanno più neanche me. Io non sono riconosciuto come ministro di culto. Ho un permesso annuale per il carcere e adesso mi è scaduto. Quando mi verrà rinnovato tornerò anche da loro".

India: interrogazione del Pd sui due cittadini italiani detenuti

 

Il Velino, 14 maggio 2008

 

"Il governo ha il dovere di verificare le condizioni di detenzione di Angelo Falcone e Simone Nobili, le modalità con le quali si sono svolti i relativi procedimenti penali e accertare se si siano verificate violazioni dei diritti e delle garanzie processuali minime riconosciute dal diritto internazionale". I senatori del Partito democratico Carlo Chiurazzi, Felice Casson, Maria Antezza e Filippo Bubbico lo chiedono in un’interrogazione ai ministri della giustizia e degli esteri depositata in Commissione Giustizia a Palazzo Madama.

"Dal 10 marzo 2007 - si legge nell’interrogazione - due giovani cittadini italiani Angelo Falcone e Simone Nobili risultano detenuti nel carcere di Mandi in India, in stato di custodia cautelare nell’ambito di un procedimento penale per traffico di stupefacenti. Falcone, arrestato dalla polizia giudiziaria nell’appartamento dove soggiornava per un periodo di vacanza, si dichiara del tutto estraneo ed innocente rispetto ai fatti di cui è imputato".

"Le pessime condizioni e le carenze igieniche del carcere dove è detenuto Falcone gli hanno causato gravi patologie, che lo stanno debilitando significativamente. La vicenda giudiziaria di Falcone - aggiungono i senatori del Pd nell’interrogazione - solleva problematiche più ampie, relative alle violazioni dei diritti umani in India, in ragione di un sistema giudiziario e penitenziario che non riconosce le garanzie minime sancite come fondamentali dal diritto internazionale, ammettendo tempi di custodia cautelare eccessivi, processi in absentia e negando ai cittadini stranieri imputati o indagati, la possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato".

Nell’interrogazione si chiede quindi al governo di "riferire sulla situazione processuale relativa ai signori Falcone e Nobili e attivare i contatti opportuni con le autorità diplomatiche e con gli organi stranieri competenti, al fine di sollecitare la rapida definizione della vicenda giudiziaria che vede coinvolti i signori Angelo Falcone e Simone Nobili.

Quali provvedimenti l’esecutivo intenda assumere al fine di garantire la possibilità per i cittadini italiani detenuti all’estero di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, in casi analoghi a quelli di Alfano e Nobili e laddove sussistano i requisiti corrispondenti a quelli previsti dal nostro ordinamento".

Infine Chiurazzi, Casson, Altezza e Bubbico chiedono "se il Governo non intenda implementare, attraverso appositi accordi bilaterali adottati anche nell’ambito del Programma di Strasburgo sull’esecuzione della pena all’estero, una politica di cooperazione internazionale in materia di esecuzione delle misure restrittive della libertà personale nei Paesi stranieri".

Afganistan: assalto al carcere di Kandahar, più di mille evasi

di Ilario Piagnerelli

 

Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2008

 

Il carcere di Kandahar, un penitenziario di massima sicurezza, una delle prigioni più importanti di tutto l’Afghanistan, era stato tirato su col fango. Così ha avuto gioco facile il camion-bomba dei talebani a scardinarne il portale, attorno alle 9.30 di ieri sera, le 19 in Italia, provocando la fuga di circa 1.150 detenuti. Tra gli evasi - hanno riferito due ufficiali in servizio - c’erano anche 400 pericolosi militanti talebani. "Sono tutti fuggiti. Non c’è più nessuno", ha raccontato sconsolato il presidente del Consiglio provinciale di Kandahar, Wali Karzai, fratello del presidente afghano Hamid Karzai.

Si sarebbe trattato di un attacco suicida, secondo il ministro della Giustizia, Sarwar Danish. Stando alla sua ricostruzione, prima un miliziano alla guida di un furgone imbottito di esplosivo si è lanciato contro l’ingresso del penitenziario. Poi altri due kamikaze hanno fatto crollare i due muri di recinzione. Intanto una scarica di razzi copriva la fuga forsennata delle centinaia di galeotti, scappati nel volgere di una mezz’ora. "Tutte le guardie sono state uccise e sono rimaste sotto le macerie", ha raccontato per telefono alla Reuters il direttore Abdul Qadir, mentre la cornetta trasmetteva, in sottofondo, uno strepito di colpi di fucile.

Un attacco in grande stile, subito rivendicato dal portavoce dei talebani Qari Yousef Ahmadi, che ha parlato di attentatori suicidi e di 30 insorti in motocicletta. Si è consumata così, in una notte qualunque del deserto afghano, questa piccola Caporetto della guerra globale al terrorismo. Proprio all’indomani delle promesse europee di maggior impegno militare in Afghanistan, ultimo desiderio di un Bush a fine mandato. E proprio quando la comunità internazionale decideva alla Conferenza di Parigi di stanziare 20 miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese. Nessun commento sull’accaduto dall’Isaf, la missione Nato di stanza in Afghanistan: "Siamo a conoscenza dell’attacco, ma non abbiamo ulteriori dettagli".

 

 

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