Rassegna stampa 22 gennaio

 

Giustizia: caso Mastella; ad un passo dalla crisi di Governo 

 

Ansa, 22 gennaio 2008

 

Un discorso all’insegna dell’orgoglio. Il premier Romano Prodi affronta l’Aula di Montecitorio, annunciando la richiesta di voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento, e lancia la sfida ai suoi deputati e senatori. "L’impegno con gli elettori era di durare cinque anni", scandisce, e chi vuole staccare la spina al governo lo dovrà fare assumendosene la responsabilità nelle aule parlamentari, con un voto palese. Mettendoci la faccia.

Il Professore pensa di farcela anche questa volta. Almeno questo è il messaggio che vuole inviare. Lo ribadisce prima di arrivare a Montecitorio, lo fa intuire in più di un passaggio durante l’intervento di mezz’ora in Aula alla Camera, lo ripete lasciando il Parlamento. L’ultimo strappo dell’Udeur ha mandato all’aria i programmi. Il premier, avrebbe dovuto fare un intervento sullo stato della Giustizia. Ora il discorso, quattro cartelle in tutto, è diviso a metà. La prima parte non sfugge comunque all’attualità dell’affaire Mastella.

Il premier inizia a parlare in un Aula che sembra fredda, e che cammin facendo si scalderà dividendosi tra applausi e proteste: l’ex Guardasigilli non è mai - sottolinea Prodi - stato lasciato solo. La voce del premier è però bassa, quasi rotta. Le facce dei vicepremier scure. Poi arriva l’apprezzamento e la difesa dell’operato di Mastella ministro: a lui "é dovuto sincero apprezzamento", così come è condivisa - afferma il presidente del Consiglio - la relazione sullo stato della Giustizia. Una relazione che "riflette le luci e le ombre della giustizia italiana nella difficile fase storica che stiamo vivendo" e che rappresenta la posizione dell’intero governo.

E qui arriva il passaggio dedicato ai delicatissimi rapporti tra politica e magistratura. Alla politica, e quindi ai politici, dice Prodi, spetta prendere delle decisioni senza che questo voglia dire "ambire a una sorta di irresponsabilità". I magistrati, a loro volta, devono "mantenersi nell’ambito della legittimazione assegnategli dalla Costituzione e dalle norme costituzionali".

La Carta sulla quale posa la Repubblica Italiana verrà più volte, d’altro canto, richiamata dal presidente del Consiglio. Ma Romano Prodi non vuole parlare solo di Mastella e della giustizia. Il Professore si rivolge ai deputati e, ai senatori, e li inchioda alle loro responsabilità. "Siete voi - afferma fra gli applausi e con un tono di voce che riprende quota - che dovrete decidere e assumere limpidamente e pubblicamente le responsabilità per cui siete stati eletti. È nel Parlamento e solo nel Parlamento che si può decidere la sorte del governo". Dire no alla fiducia certo si può.

Ma è dire no - scommette Prodi - a un governo che ha fatto molto e che farà di più. A partire dalle politiche fiscali a favore dei redditi più bassi. Parole che non cadono nel vuoto. Anzi vengono accolte da applausi scroscianti tra le file della maggioranza. Successi in economia, ma anche in politica estera. E qui però il centrodestra sbotta e protesta, fino a costringere il presidente della Camera Fausto Bertinotti a intervenire per riportare la calma. Prodi, che è sempre più determinato, riprende il filo del discorso.

Questo governo ha combattuto e combatte le corporazioni, taglia i privilegi, difende l’Ambiente. Il cammino é iniziato, ma per tagliare il traguardo occorre "continuità", ribadisce ancora una volta il premier che chiude con un ultimo appello: "Abbiamo preso con gli elettori e con il Paese impegni che intendiamo rispettare, secondo quanto stabilito dalle regole parlamentari e costituzionali. Alla Costituzione mi richiamo dunque - conclude - per chiedere a voi onorevoli deputati e in seguito ai vostri colleghi senatori di esprimere con un voto di fiducia il vostro giudizio sulle dichiarazioni che avete ascoltato".

Voto di fiducia domani dalle 17. La votazione sulla fiducia che verrà chiesta dal presidente del Consiglio Romano Prodi si terrà nell’Aula della Camera domani a partire dalle 17.

Vertice Pd da Prodi: Franceschini, ok passaggio Senato. Vertice del Pd con Romano Prodi, a Palazzo Chigi, subito dopo l’intervento del premier alla Camera. Alla riunione hanno partecipato il segretario del Partito democratico Walter Veltroni, il suo vice Dario Franceschini, i vicepremier Massimo D’Alema e Francesco Rutelli, Rosy Bindi e Piero Fassino. Franceschini, conversando con i giornalisti al termine della riunione, ha apprezzato la decisione del professore di chiedere la fiducia alla Camera ed al Senato, per garantire passaggi parlamentari "trasparenti e ala luce del sole".

Giustizia: una "macchina infernale" da 7,7 miliardi € all’anno

 

Corriere della Sera, 22 gennaio 2008

 

La giustizia è una "macchina" sgangherata e infernale che "consuma" più di 7,7 miliardi di euro l’anno. Sprechi e lentezze: 3.612 istruttorie contro le toghe e… 3.612 assoluzioni!. 200 mila prescrizioni l’anno, il record europeo.

Cosa avete in agenda il 27 febbraio 2020? "Che razza di domanda!", direte voi. Eppure un paio di braccianti pugliesi, quel giovedì che arriverà fra dodici anni abbondanti, quando sarà un vecchio rottame (calcisticamente) perfino il baby Pato, hanno dovuto segnarselo su un quaderno: appuntamento in tribunale. Così gli avevano detto: se il buon Dio li manterrà in salute (hanno già passato la settantina: forza nonni!), se quel giorno non verranno colpiti da un raffreddore, se il giudice non avrà un dolore cervicale, se il cancelliere non sarà in ferie, se gli avvocati non saranno in agitazione, se l’Italia non sarà bloccata da uno sciopero generale con paralisi di tutto, se non mancherà qualche carta bollata, se non salterà la corrente elettrica, Sua Maestà la Giustizia si concederà loro in udienza. E potranno finalmente discutere della loro causa contro l’Inps.

Dopo di che, auguri. Di rinvio in rinvio, col ritmo delle nostre vicende giudiziarie, già immaginavano una sentenza tra il 2025 e il 2030. Magari depositata, cascando su un giudice pigro, verso il 2035. Già centenari. Ma niente paura: sulla base della legge Pinto avrebbero potuto ricorrere in Appello contro la lentezza della giustizia. E ottenere l’"equa riparazione " per avere aspettato tanto. Certo, avrebbero dovuto avere pazienza: da 2003 al 2005 i ricorsi di questo tipo sono infatti raddoppiati (da 5.510 a 12.130) e in certi posti come Roma ci vuole già oggi un’eternità (due anni) per vedersi riconoscere di avere atteso un’eternità. Quanto ai soldi del risarcimento, ciao… Le somme che lo Stato è costretto a tirar fuori ogni anno continuano a montare, montare, montare…

E per quella lontana data non è detto che ci sia ancora un centesimo. Il presidente di Cassazione Gaetano Nicastro, del resto, l’ha già detto: "Se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi finanziarie". Diagnosi infausta confermata il mese scorso dal ministero dell’Economia.

Secondo il quale i cittadini che hanno "potenzialmente diritto all’indennizzo" per i processi interminabili sono "almeno 100mila" l’anno. Mettete che abbiano diritto a strappare in media 7 mila euro ciascuno e fate il conto. Erano già rassegnati, i due braccianti, a darsi tempi biblici quando il Tribunale, per evitare una figuraccia, li ha in questi giorni richiamati: era tutto un errore, l’appuntamento è solo nel 2013. Ah, solo nel 2013! Solo fra cinque anni! Ecco com’è, il libro sulla giustizia italiana scritto da Luigi Ferrarella e titolato, con un malizioso richiamo alla dannazione eterna, "Fine pena mai": un libro sospeso tra il ridicolo e l’incubo.

Un formidabile reportage su un pianeta che tutti pensiamo di conoscere e che scopriamo di non conoscere affatto. Almeno non fino in fondo. Fino agli abissi di numeri e situazioni incredibili. Un racconto che trabocca di storie, aneddoti, personaggi curiosi e surreali ma che allo stesso tempo non concede un grammo al populismo, alla demagogia, al qualunquismo. E che proprio grazie a questa sobrietà ricca di humour ma esente da ogni invettiva caciarona, in linea con lo stile di Ferrarella che i lettori del Corriere bene conoscono, rappresenta la più lucida, netta e spietata requisitoria contro un sistema che rischia di andare a fondo.

E di tirare a fondo l’intero Paese. Sia chiaro: non ci sono solo ombre, nella giustizia italiana. Di più: se ogni giorno si compie il miracolo di tanti processi che arrivano in porto, tante udienze che vengono aperte, tanti colpevoli che finiscono in galera e tanti innocenti che ottengono l’assoluzione, è merito di migliaia di persone perbene, giudici, cancellieri, impiegati, fattorini, che si dannano l’anima in condizioni difficilissime. Se non proprio disperate.

Ma certo, anche le luci mostrano quanto sia buio il contesto. Bolzano, che nonostante un buco del 45% negli organici riesce ad aumentare la produttività, ridurre l’arretrato e insieme dimezzare le spese abbattendo addirittura del 60% i costi delle intercettazioni fa apparire ancora più scandalosi i contratti stipulati separatamente dai diversi tribunali per l’affitto delle costose apparecchiature necessarie al "Grande Orecchio", affitto che configurava "uno sconcertante ventaglio dei costi da 1 a 18 per lo stesso servizio".

Torino, "capace tra il 2001 e il 2006 di ridurre di un terzo il carico pendente del contenzioso ordinario civile: una performance che, se imitata da tutti i tribunali italiani, in cinque anni avrebbe ridotto di 238 giorni il tempo medio di attesa di una sentenza civile" dimostra quanto siano incapaci di una reazione all’altezza la stragrande maggioranza degli altri uffici, dove si è accumulato un "debito giudiziario" spaventoso: "4 milioni e mezzo di procedimenti civili e 5 milioni di fascicoli penali".

Una "macchina" sgangherata e infernale. Che "consuma più di 7,7 miliardi di euro l’anno" e per cosa? "Per impiegare in media 5 anni per decidere se qualcuno è colpevole o innocente; per far prescrivere da 150 a 200mila procedimenti l’anno, record europeo; per incarcerare ben 58 detenuti su 100 senza condanne definitive; per dare ragione o torto in una causa civile dopo più di 8 anni, per decidere in 2 anni un licenziamento in prima istanza; per far divorziare marito e moglie in sette anni e mezzo; per lasciare i creditori in balia di una procedura di fallimento per quasi un decennio; per protrarre 4 anni e mezzo un’esecuzione immobiliare".

Ma certo che ci sono raggi di sole. A Milano, per esempio, dall’11 dicembre 2006 si possono "emettere decreti ingiuntivi telematici. Il risultato del primo anno è stato fare guadagnare a cittadini e imprese richiedenti dai 12 ai 14 milioni di euro: cioè i soldi fatti loro risparmiare, nella differenza tra costo del denaro al 4% e tasso di interesse legale al 2,50%, dal fatto di poter disporre con quasi due mesi d’anticipo dei 700 milioni di euro che costituiscono il valore dei circa 3.500 decreti ingiuntivi emessi. Un effetto leva pazzesco: 100mila euro spesi per investire nella tecnologia, ma già 12-14 milioni di euro di ritorno per la collettività nel primo anno". Qual è la lezione? Ovvio: occorre assolutamente investire sulle nuove tecnologie. Macché. "Fine pena mai" dimostra che, dovendo tagliare e non avendo il fegato di tagliare là dove si dovrebbe ma dove stanno le clientele, le amicizie, le reti di interessi, hanno via via deciso di tagliare in questi anni perfino le mail, gli accessi a Internet, l’acquisto di programmi elettronici, la messa a punto di software specifici, l’assistenza informatica.

L’ultimo somaro sa che se non puoi contare su un’assistenza efficiente, addio: il tuo computer può improvvisamente diventare inutile come un’auto senza ruote. Bene: su questo fronte "la disponibilità del ministero per il 2006 copre appena il 5% del fabbisogno annuale". Auguri. Per non dire del casellario ancora aggiornato in larga parte manualmente e che dovrebbe diventare totalmente informatico quest’anno (e vai!) nonostante dovesse esserlo già dal 1989 (diciotto anni fa) e per questa sua arretratezza ha consentito ad esempio a una nomade "fermata in varie città 122 volte per furti o borseggi, e condannata a segmenti di pena di 6/9 mesi per volta" di totalizzare "in teoria 20 anni di carcere senza mai fare nemmeno un giorno in prigione". Colpa dei ministri di destra e di sinistra che si sono succeduti ammucchiando "troppe riforme" spesso in contraddizione l’una con l’altra. Del Parlamento che ha via via affastellato leggi su leggi votando ad esempio 19 modifiche alla custodia cautelare in tre decenni.

Dei politici che non hanno mai trovato la forza, il coraggio, lo spirito di servizio per dare "insieme" una nuova forma a un sistema giudiziario che ormai è così sgangherato che riesce a recuperare "soltanto dal 3% al 5%" delle pene pecuniarie, con una perdita secca annuale di 750 milioni di euro, cioè sette miliardi in un decennio, "nonché di 112 milioni di euro di spese processuali astrattamente recuperabili". Così cieco che, taglia taglia, offre per le spese agli uffici giudiziari di Campobasso 138 mila euro e poi ne spende un milione, sette volte di più, per risarcire i cittadini vittime della giustizia troppo lenta anche per mancanza di fondi. E i magistrati? Tutti assolti? Ma niente affatto, risponde Ferrarella.

Il quale non fa sconti a nessuno. E se riconosce qualche buona ragione a chi tende a inquadrare certi ritardi "nel contesto", contesto che è "il migliore avvocato difensore " del giudice sotto accusa, non manca di denunciare assurdità che gridano vendetta. Possibile che perfino chi si "dimenticò " in galera 15 mesi un immigrato se la sia cavata con una semplice censura perché "era la prima volta"? Che non abbia pagato dazio neanche chi ha depositato sentenze "riguardanti cause decise più di sette anni prima"? Che 3.612 istruttorie aperte per accertare la responsabilità delle "toghe" in 3.612 casi di indennizzo per processi troppo lenti si siano concluse con 3.612 assoluzioni?

Giustizia: storie di detenuti e "cani randagi morsicatori"...

di Ugo Persice Pisanti

 

Galileo, 22 gennaio 2008

 

Tutti ricorderanno le recenti polemiche scoppiate in seguito alla pubblicazione dell’articolo del corrispondente romano del New York Times, Ian Fisher. Nell’impietoso ma realistico resoconto, il giornalista statunitense accusava l’Italia d’essere un paese alla frutta e gli italiani d’essere diventati il popolo più triste d’Europa.

Chi può affermare che ciò non sia tutto vero? Come si fa a negare quanto riportato in quel preciso e documentato reportage, pubblicato, tra l’altro, in prima pagina, su un giornale che vende milioni di copie? Non è forse vero che quello che fu il Bel Paese, oggi è un malato grave, forse terminale?

Non è vero che l’undici per cento delle famiglie vive in povertà, il tasso di natalità è uno dei più bassi d’Europa, il debito pubblico ha raggiunto cifre da capogiro, la classe politica fa schifo ed il costo del suo mantenimento è una zavorra che affonda letteralmente il paese?

Volete un esempio della tragica (e per certi versi comica) situazione nella quale versa la nazione? Se prendiamo qualche gara pubblica per l’affidamento del servizio di custodia dei "cani randagi morsicatori", indetta da diversi comuni, il Capitolato Speciale d’Appalto, nel pieno rispetto delle normative vigenti, prevede che gli animali siano tenuti in appositi box, con annesso un bel recinto.

Il loro numero, per ogni box, deve essere compreso tra due e quattro. La superficie totale d’ogni box e dell’annesso recinto deve essere, per ogni cane custodito, non inferiore a due metri quadrati per gli animali di piccola taglia, a tre metri quadrati e mezzo per i cani di taglia media, a quattro metri quadrati e mezzo per i cani di taglia grande e ben sei metri quadrati per i cani di taglia gigante.

Nulla da eccepire. Anzi, è degno di un paese civile rispettare gli animali. Ma gli uomini? Avete mai letto le lettere che i detenuti inviano ai giornali? Quegli uomini e donne sono forse inferiori ai cani? Non sono esseri viventi anche loro? Come si spiega, allora, che nelle carceri italiane la disperazione per le condizioni di vita inumane uccida ogni anno decine di detenuti?

In un’accorata richiesta d’aiuto una detenuta italiana scriveva di essere, da anni, costretta a vivere in una cella di dieci metri quadri insieme con altre sei, a volte sette, compagne di sventura. Una sopra l’altra a sopravvivere in condizioni indicibili.

In tutte le carceri del "Bel Paese" lo spazio per muoversi a disposizione d’ogni detenuto è minino. Addirittura i carcerati fanno i turni per alzarsi dalle brandine perché non hanno lo spazio per poter stare in piedi tutti assieme. Ma torniamo ai canili e facciamo un po’ di conti. Prendiamo in considerazione i cani di taglia gigante. Sei metri quadrati per ogni cane, massimo quattro cani per box.

La "celletta" per quattro cani è, quindi, di ventiquattro metri quadri. Passiamo ai detenuti: dieci metri quadrati per sei o sette persone. Ovvero meno di due metri quadrati a detenuto. La stessa superficie che i canili italiani riservano (per legge) ai chihuahua o agli yorkshire. Ma siamo impazziti? Siamo usciti fuori di senno? Credo proprio di sì. Il New York Times, però, si sbagliava, non siamo un paese in declino. Siamo una nazione moribonda. Forse siamo già morti e non ce ne siamo accorti.

Padova: detenuto in permesso muore in Casa Accoglienza

 

Il Gazzettino, 22 gennaio 2008

 

Omicidio in "diretta", muore uno degli assassini. Un ex cadetto militare egiziano trentanovenne è stato trovato senza vita in una stanza della comunità Oasi. Era appena uscito dal Due Palazzi. Nel 2000 massacrò a Trieste un cinquantenne che aveva nascosto una telecamera per registrare l’incontro omosessuale.

L’omicidio era stato registrato da una telecamera nascosta. Bruno Cosolo, cinquantenne nipote della nota fotografa Tina Modotti, filmava sempre gli incontri omosessuali. Quella sera del 4 aprile del 2000, nel nastro rimasero però impresse le immagini agghiaccianti del suo omicidio. Tre cadetti della marina militare egiziana lo avevano massacrato a coltellate. L’altra sera uno degli assassini, Walid Mohammed El Manawhlx, trentanovenne, è stato trovato morto a Padova. Era ospite della comunità "Oasi" di via Righi 46.

Il 16 marzo del 2001 era stato condannato con il rito abbreviato a sedici anni di reclusione; mercoledì scorso era uscito dal Due Palazzi con un permesso. Il decesso sarebbe avvenuto per cause naturali, forse un infarto, ma il pubblico ministero Antonella Toniolo ha disposto l’autopsia. Nella stanza dove è stato trovato l’uomo i poliziotti hanno rinvenuto alcuni grammi di hascisc. Il cadavere non presentava segni di violenza e la porta era chiusa dall’interno. Ad avvertire la questura erano stati alcuni suoi conoscenti che da ore non riuscivano a mettersi in contatto con lui. La morte, secondo la ricognizione esterna compiuta dal medico, risaliva a venti ore prima, dunque alla mezzanotte e mezza di giovedì.

I tre cadetti, poi tutti identificati e arrestati grazie a quelle videoriprese, erano sbarcati a Trieste da un paio di giorni quando, il 3 aprile, avevano conosciuto in un locale del centro Bruno Cosolo. I militari si erano finti omosessuali e avevano accettato l’invito del cinquantenne. Il giorno seguente i quattro si erano incontrati nella casa del cinquantenne. E a quel punto i tre militari avevano aggredito il gay con tale violenza che uno dei coltelli si era spezzato. Poi i tre egiziani erano fuggiti a bordo della loro nave, convinti di rimanere impuniti. Gli investigatori, però, avevano ritrovato una telecamera nascosta sotto la televisione. Bruno Cosolo era solito registrare gli incontri a sfondo sessuale. Nelle immagini erano impresse le scene raccapriccianti dell’aggressione. E anche le facce e le voci degli assassini.

Ferrara: Federica Berti è il Garante dei diritti dei detenuti

 

Dire, 22 gennaio 2008

 

Ferrara ha da oggi il suo garante dei diritti dei detenuti: si tratta della rodigina Federica Berti, 50 anni, psicologa, criminologa, perito del tribunale di Padova e volontaria in diversi progetti indirizzati ai detenuti. La votazione a scrutinio segreto, svolta oggi nel consiglio comunale estense, si conclude con 31 voti per Berti su un totale di 35.

Alla psicologa basta quindi un solo passaggio alle urne per vincere sugli altri due candidati selezionati tra 17 curriculum pervenuti, Massimo Cipolla e Viviana Zanetti. Per tre anni, il garante dovrà tutelare i diritti di tutti gli individui privati della libertà personale sul territorio comunale e provinciale.

Il compenso sarà di 15 mila euro annui, pagati per metà dai due enti locali. Per la votazione viene abbandonato il sistema informatico a favore dei più classici "bigliettini": proprio contro il sistema digitale si schiera in apertura del consiglio il forzista Pierfrancesco Perazzolo, secondo cui la tecnologia dell’aula consiliare "non garantisce la segretezza del voto". Il capogruppo Iaf Liliano Cavallari annuncia invece che il suo gruppo non parteciperà alla votazione, a causa della mancanza di "un’indicazione, anche di massima" sul nome del candidato vincente. "Così rischiamo di non riuscire a votare per nessuno, mi astengo per rispetto dei candidati" dice. Un’indicazione l’avrebbe voluta anche il capogruppo An Enrico Brandani, sostenuto dal collega di gruppo Luca Cimarelli che avrebbe voluto un "mandato esplorativo" per "vedere se poteva esserci la convergenza su un nome".

Viterbo: reparto "medicina protetta", 313 ricoveri in 2 anni

 

Tuscia Web, 22 gennaio 2008

 

Compie due anni di funzionamento l’unità operativa di "medicina protetta" dell’ospedale di Belcolle. Il reparto è uno dei tre presenti in tutto il territorio nazionale, (gli altri sono il "Pertini" di Roma, e il "S. Paolo" di Milano) e si pone come punto di riferimento per la tutela del diritto alla salute a favore dei pazienti detenuti, con specificità per le patologie infettive. Nato dalla collaborazione tra l’amministrazione penitenziaria e la Asl di Viterbo, è divenuto una delle realtà più apprezzate nel nostro ospedale cittadino.

A due anni di distanza, si possono già stilare i primi dati che rafforzano i rilevanti obiettivi raggiunti: Ricoveri totali: 313 (306 M, 7 F). Provenienza: 63% Viterbo; 15% Rebibbia N.C; 14% Regina Coeli; 8% altri istituti. Degenza media 7,3 giorni.

Patologie che hanno condotto al ricovero: Malattie dell’apparato cardiovascolare 58; Epatopatie croniche virali 139; Malattie dell’apparato endocrino 20; Interventi chirurgici 69; Biopsie epatiche 43; Malattie da Hiv 44.

Il 95% dei pazienti Hiv presentava una coinfezione Hiv+Hcv; Nel 18% dei casi era presente una coinfezione Hiv-Tb. Non sono inoltre mancati pazienti critici ad alto tasso d’assistenza e con un elevato grado di dipendenza.

Tutto ciò è stato possibile produrre grazie all’eccellente lavoro svolto con cura e dedizione dall’équipe medico-infermieristica, magistralmente diretta dal responsabile Giulio Starnini.

Nel contesto del sistema sanitario nazionale, il reparto svolge un ruolo delicato e decisivo nel riconoscimento e trattamento di quelle patologie infettive diffuse che possono essere definite a maggior impatto sociale, tra i quali ricordiamo la Tbc, Hiv e le epatiti.

In ultimo, ma non meno importante, va menzionata la consistente economia raggiunta dalla polizia penitenza per le diminuite richieste di uomini e mezzi, con un azzeramento quasi totale dei piantonamenti. Pertanto, il reparto di medicina protetta, per le ragioni sopra esposte, è da considerarsi come una organizzazione complessa efficiente, caratterizzata dalla ottimizzazione delle risorse sia umane che finanziarie e si propone come un valido esempio di buona sanità profusa all’interno di Belcolle.

 

Per la segreteria provinciale Fials

Marino Febbraro

Napoli: il marciapiede davanti all’ingresso di Poggioreale…

di Elisabetta Bagnato

 

www.ilreporter.com, 22 gennaio 2008

 

Costeggio il carcere di Poggioreale, in un giorno qualsiasi, e mentre penso depressa a quando licenziarmi, a come vivere delle mie passioni, una bambina scivola dalla mano della sua mamma e mi taglia la strada. Il sorriso di una bambina. Sorride, mostrandomi la finestra aperta del suo sorriso, come se avesse sentito i miei pensieri. Mi costringe a vedere cosa sta succedendo. La mamma la tira a sé, mi chiede scusa, ma io rimango immobile davanti al suo viso troppo vecchio per la sua età, troppo truccato, troppo stanco, e contornato da capelli di un colore inespugnabile.

La bambina sorride, e non mi lascia passare. Allora la mamma continua a fare quello che stava facendo. Si gira, ed inizia ad emettere un sibilo, un fischio sottile e assordante, nella direzione delle finestre di ferro del carcere. Ci passo ogni giorno davanti al carcere di Poggioreale, certe mattine una fila di donne ne affolla il marciapiede dell’ingresso, ma non mi ero mai voltata a guardare la parte dell’edificio su cui si affacciano alcune celle.

Rimango a fissare la bambina, e la sua mamma, mentre un richiamo antico, mentre la sua presenza su quel marciapiede sta facendo sorridere qualcuno, sta dando un senso ad una vita che come fa ad essere vita?

La vita dietro le sbarre, a scontare qualche colpa, ogni giorno uguale all’altro, mentre lo Stato rende meno pericolosa una persona senza riuscire ad eliminare le cause dell’esclusione sociale. Anzi, ne produce sempre nuove, aiutato dai media. Ho sentito di tante persone che hanno scontato anche due anni di reclusione preventiva, per poi essere giudicate innocenti.

E le loro fidanzate, i loro amici, le loro mogli, i loro figli, nutrire quel fiume di persone che le mattine delle visite cerca di entrare col profumo del cibo che riesce a portare, e che il più delle volte viene mandato indietro. Parlo della gente comune, i pezzi grossi sono enormi anche in galera, brindano e mangiano pietanze preparate dai migliori chef in città. La bambina rimane lì, e mi fissa con aria di sfida divertita, e io me ne vado. Mi sento un’estranea a una riunione di famiglia.

Immigrazione: asili negati a clandestini, Fioroni taglia i fondi

 

Corriere della Sera, 22 gennaio 2007

 

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni considera l’iniziativa del sindaco "un illegittimo atto discriminatorio". Dunque ha avviato il procedimento di revoca della parità e, di conseguenza, il finanziamento da 8 milioni di euro.

"Procediamo alla revoca della parità per le scuole dell’infanzia del Comune di Milano". L’aveva promesso, l’ha fatto. Ieri il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, è passato al contrattacco. "Negare a un piccolo clandestino l’iscrizione alla materna è un atto illegittimo e discriminatorio". Milano è fuorilegge. Dunque, niente parità. E, di conseguenza, niente finanziamento da 8 milioni.

Sfida al sindaco Letizia Moratti e ai "ribelli" milanesi: si chiude così ú per ora ú il caso esploso a dicembre sugli asili negati ai clandestini. All’origine della polemica, la circolare sulle iscrizioni alle 170 scuole dell’infanzia del Comune e le sue regole: sono ammessi i figli degli irregolari purché i genitori ottengano il permesso di soggiorno entro il 29 febbraio. La battaglia politica è arrivata in Parlamento: "Milano razzista", "Inaccettabili discriminazioni", "Vergogna per l’Italia".

E a quel punto, il 9 gennaio, Giuseppe Fioroni ha inviato a Milano una diffida: se entro dieci giorni non cadranno le restrizioni per i bimbi stranieri, lo Stato sospenderà i contributi agli asili. Un aut aut, cui il Comune ha risposto tre giorni fa con una lettera che suona così: "Le norme in materia sono contraddittorie e incoerenti. Quindi, finché non abbiamo un chiarimento, andiamo avanti per la nostra strada". Il chiarimento è arrivato ieri da Roma.

Due pagine in cui si spiega che la circolare milanese è in contrasto con "i principi internazionali, comunitari, con le disposizioni legislative, nonché con gli articoli 2, 10 e 34 della Costituzione". La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, il Testo Unico della disciplina sull’Immigrazione ("non modificata per la parte di esame dalla legge Bossi-Fini") e il suo regolamento attuativo: "I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della loro posizione".

E istruzione vuol dire anche scuola materna. Lo dice la legge numero 53 presentata dall’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti: "La scuola dell’infanzia costituisce articolazione del sistema educativo". Ecco perché è "discriminatorio" negare l’asilo ai clandestini. Fine della parità, il riconoscimento di equiparazione agli istituti statali. E senza parità meglio dimenticare gli 8 milioni di finanziamento statale.

"Prendiamo atto", replica l’assessore all’Educazione, Mariolina Moioli. Nessun altro commento dai vertici del Comune. Ma il centrodestra, gruppo di maggioranza a Palazzo Marino, fa sapere che contro questo "ricatto politico" farà ricorso "in tutte le sedi, compresa la Corte europea". E se per il Pd "è un peccato che per un atto di presunzione Milano metta a rischio le scuole paritarie", la Lega avverte: "Non ci serve l’elemosina di Fioroni: Milano spende 100 milioni per le materne". Cerca di smorzare i toni il direttore scolastico lombardo Annamaria Dominici (cui è affidato il compito di revocare la parità): "Come è scritto nella nota ministeriale, il procedimento sarà interrotto se l’amministrazione adeguerà la circolare alla normativa vigente. Mi auguro che il sindaco ci ripensi".

Droghe: Upa Padova; troppi lavoratori fanno uso di cocaina

 

Notiziario Aduc, 22 gennaio 2008

 

Il bollettino di guerra sulla morti bianche che ha registrato, per il Veneto, dall’inizio dell’anno oltre una decina di decessi si scontra anche con l’allarme cocaina diffuso tra gli addetti del settore edile lanciato dal presidente dell’Upa (Unione Provinciale Artigiani), Walter Dalla Costa. Ne da notizia oggi "Il Mattino di Padova".

"Certo noi dobbiamo impegnarci al massimo per ridurre gli infortuni ma chiediamo la collaborazione dei sindacati per il rispetto dello statuto dei lavoratori. I tempi sono cambiati e tra i lavoratori dei cantieri c’è chi arriva al mattino fatto di cocaina".

L’SOS droga lanciato dal presidente dell’Upa lascia spazio a riflessioni di vario genere che, dall’osservatorio sul settore, dovrebbe distribuire le responsabilità degli infortuni in parte equa tra imprese, lavoratori e sindacati.

"Io sono anche un imprenditore ed ogni mattina mi tocca fare lo psicologo per distinguere chi può lavorare da chi è un rischio per sé e per gli altri. Un lavoratore anche se giovane e pieno di vita, non può presentarsi al mattino dopo una notte brava. Allora se vogliamo fare prevenzione anche il sindacato deve prendere atto di una nuova realtà". I dati sugli infortuni in Veneto sono allarmanti. Gli incidenti denunciati all’Inail nel 2006 sono stati 11.848 e il Veneto detiene il primato negativo per numero di morti nei cantieri.

 

 

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