Rassegna stampa 9 febbraio

 

Giustizia: Starnini; i pazienti detenuti non fanno "turismo"

 

Lettera alla Redazione, 9 febbraio 2008

 

Ho letto con stupore ed amarezza sul notiziario di "Ristretti Orizzonti", la nota della Ugl in merito ai danni che provocherebbe al sistema penitenziario il trasferimento di pazienti detenuti in Ospedale, definito in maniera non corretta, come una forma di "turismo".

Credo che il rispetto dovuto alle persone malate non si arresti alle porte del carcere e che argomentazioni così delicate, come quello della salute, meritino una riflessione meno approssimativa. Chi scrive condivide l’ineludibilità tra riforma del sistema sanitario penitenziario e valorizzazione del personale (infermieri, psicologi, farmacisti, biologi, medici) che tale organizzazione hanno sorretto fino ad oggi tra indicibili difficoltà.

Ciò premesso anche i "laici" (così noi medici definiamo nella nostra presunzione chi non appartiene al mondo della sanità) comprendono come l’assistenza assicurabile da un presidio ospedaliero offra, per i pazienti con problematiche sanitarie complesse, opportunità diagnostiche terapeutiche non proponibili in nessun centro clinico dell’Amministrazione Penitenziaria.

Ovviamente esiste un problema di sicurezza e di carenza di personale di polizia penitenziaria per i piantonamenti. Là dove però Regione, Amministrazione Penitenziaria, associazioni di categoria hanno lavorato insieme tali problemi sono stati superati con la realizzazione di reparti di Medicina Protetta, come a Milano, Roma, Viterbo, Napoli.

All’interno di queste U.U.O.O., a standard assistenziali adeguati assicurati da personale Asl, si associano elevati livelli di sicurezza garantiti dai nuclei di Polizia Penitenziaria che vi prestano stabilmente servizio, con enormi economie anche per quanto attiene il numero di ore / lavoro che sarebbero necessitate per assicurare singoli piantonamenti alle migliaia di ricoveri finora effettuati nei tre reparti.

Aspetto inoltre non secondario, è il gradimento espresso da tutti i componenti i nuclei di polizia penitenziaria dei reparti indicati, per la nuova esperienza professionale che sono stati chiamati a svolgere e che sarebbe auspicabile venisse trasformata in una vera e propria specializzazione del Corpo degli Agenti di Polizia Penitenziaria.

L’invito quindi a Ugl e alle altre sigle sindacali e di lavorare insieme con i Provveditorati per sensibilizzare le Regioni alle nuove problematiche dell’assistenza sanitaria alla popolazione detenuta, sia negli Istituti penitenziari che, quando indicato, presso gli ospedali pubblici.

 

Giulio Starnini, Responsabile U.O. Medicina Protetta

Malattie Infettive Ospedale Belcolle di Viterbo

Giustizia: caso Bianzino, la perizia non ha risolto il mistero

di Emanuele Giordana

 

Il Manifesto, 9 febbraio 2008

 

I medici legali della procura dicono che Aldo morì per un aneurisma. Cause naturali dunque. Ma troppe zone d’ombra dai contorni confusi restano senza risposta. Tocca ora al magistrato decidere come procedere per scoprire una verità senza macchie e interrogativi.

Aldo Bianzino morì per cause naturali. La perizia medico legale depositata dai dottori Anna Aprile e Luca Lalli sembra non avere grandi dubbi e tutti i dati "depongono per una emorragia sub-aracnoidea dovuta a rottura aneuristica" che produsse "un’insufficienza cardio-respiratoria". Che uccise Aldo. Inoltre il suo corpo non riporta traumi evidenti il che fa scrivere ai due medici che "la possibilità che Bianzino possa avere subito un insulto traumatico anche modesto in grado di produrre la rottura dell’aneurisma cerebrale deve essere considerata un’ipotesi non supportata da alcun dato biologico".

Un trauma per la verità c’è, al fegato. Che risulta strappato e lacerato. Ma, come attesta la letteratura medica, casi di massaggio cardiaco che hanno portato a questi risultati, pur se rari, ne se trovano.

Aldo Bianzino entrò nel carcere Perugino di Capanne il 12 ottobre dell’anno scorso. Stava bene. Era "calmo e tranquillo". Poi la mattina del 14 un aneurisma, un piccolo rigonfiamento di un vettore sanguigno, esplode. Viene soccorso alle 8 dopo che una guardia si accorge del suo corpo inanimato sul lettino della cella. I medici del carcere le provano tutte: gli fanno anche un massaggio cardiaco che dura 22 minuti. Inavvertitamente gli fanno a pezzi il fegato. Ma non c’è nulla da fare. Quando arrivano i dottori del 118 c’è solo, alle 8.30, da constatare il decesso. Tutto è chiaro, limpido quasi certo.

La perizia ammette alcune zone d’ombra. Si spinge addirittura a scrivere che "può ascriversi a lata ipotesi" l’idea che Aldo "possa essere stato colpito con modalità in grado di mascherare lesività esterne". Suggerisce che forse, visto che tra l’emorragia e la morte passarono alcune ore, da due a otto, qualcosa si poteva fare pur se resta difficile determinare cosa. Forse.

In buona sostanza Bianzino aveva nel corpo una bomba a tempo che prima o poi sarebbe esplosa: fu colpa del carcere se accadde in quel momento? La perizia non sembra escluderlo ma esclude che vi sia stato un evidente elemento scatenante. A restare alle parole fredde della perizia, e ai commenti a caldo delle guardie penitenziarie di Capanne che hanno accolto con sollievo le conclusioni dei due medici incaricati dalla procura, tutto sembra procedere senza una grinza. Un uomo condannato dal suo destino vascolare entra in carcere così come sarebbe potuto entrare in pasticceria.

La bomba a tempo lavora contro di lui. Esplode quando meno se la aspetta. Muore nel suo letto forse senza un lamento chissà se chiamando aiuto (gli altri detenuti dicono che lo fece) durante un lasso di tempo di due-otto ore. Sconvolto decide anche, chissà come, di mettersi completamente nudo. O furono i medici a spogliarlo forse cercando l’origine del male oscuro in momenti di tensione che, per massaggiargli il cuore, fecero loro lacerare il fegato a un uomo già morto? Il 118 lo trova nudo in corridoio, altra bizzarria descritta dai referti.

Alle 8.30 ne constata il decesso e poi però, tre quarti d’ora dopo, un funzionario del carcere va a chiedere a Roberta Radici se suo marito ha inghiottito qualcosa perché è in coma. Una finzione apparentemente senza senso per una morte naturale. Ma tutto ciò è ora compito del magistrato che ha in mano una perizia che non risolve se non il particolare che Bianzino morì di aneurisma. Una sacca di sangue che si rompe per maturità o per un aumento della pressione arteriosa dovuto, dice la letteratura, a svariate cause: dall’attività sessuale a un forte stato di tensione emotiva, di ansia. Dopo tanti "si dice" la perizia medica adesso c’è. Ma troppe domande restano ancora senza risposta.

Due giorni fa Roberta Radici ha incontrato Franca Rame. L’ex senatrice le ha promesso che seguirà il suo caso con attenzione e farà tutto il possibile per aiutarla nella sua ricerca della verità sulla morte del compagno. La Rame aveva già annunciato la sua intenzione di dare vita ad un grande spettacolo teatrale, i cui proventi saranno devoluti interamente ai figli ed alla compagna di Aldo.

 

Un caso chiuso? parla l’avvocato

 

La perizia è "generica e lacunosa"secondo Massimo Zaganelli, legale di Roberta Radici: "lascia aperti troppi interrogativi. E non mi piace un clima orientato a una generica omissione di soccorso per la quale tutto si può risolvere in sede civile. Paga lo stato e il caso è chiuso"

 

La perizia esclude traumi e dice che Bianzino morì per un aneurisma...

Cominciamo dai traumi. La perizia parla chiaramente di quelli al fegato: distacco e lacerazione.

 

Dovute a massaggio cardiaco...

Si citano autorevoli ricerche scientifiche ma bisogna leggerle: casi rarissimi che lasciano del tutto indifferenti. Si può escludere un evento violento perché nella letteratura c’è qualche caso di massaggio mal fatto?

 

Ma fu l’aneurisma la causa della morte…

Possibile certamente, ma la stessa perizia fa emergere molteplici casi che possono produrlo. Quale fu per Bianzino l’elemento scatenante? Non certo uno "stress" per limitazione della libertà. Tutti sanno che nel suo caso si esce di prigione dopo due giorni. E Bianzino, al suo ingresso in carcere era, "calmo, lucido, collaborante....". Poi però quella notte succede qualcosa. Cosa? Pare che sia uscito dalla cella almeno tre volte... Ma c’è altro.

 

Cosa?

Bianzino viene trovato dai medici del 118 nel corridoio vicino alla cella. Nudo. Nudo e in corridoio? E come si spiega la cicatrice nella regione sacrale che compagna, moglie e figli dicono di non avere mai visto? Troppi misteri irrisolti che vanno oltre la perizia, alla quale manca, mi lasci dire, il parere di un neurochirurgo.

 

Come che sia ci fu omissione di soccorso?

Se lei vuol dire che Bianzino poteva essere salvato, mi pare evidente. Un aneurisma, preso in tempo, e qui si la letteratura aiuta, può essere fermato. Clippato, come si dice. La perizia ammette che, dal momento iniziale al decesso potrebbero essere passate da due a otto ore. Un tempo enorme. Cosa accadde in quel lasso di tempo?

 

In caso di archiviazione?

Ci opporremo. Bisogna vederci chiaro in queste zone d’ombra che restano al momento troppo estese

Giustizia: Osapp; aumentano i detenuti, ma non gli agenti

 

Agi, 9 febbraio 2008

 

Da 18 anni la popolazione carceraria "continua ad aumentare a livelli vertiginosi", mentre da oltre un quinquennio "non si fanno più concorsi per potenziare seriamente il personale da impiegare nelle sezioni". Lo sottolinea Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), commentando l’inchiesta pubblicata ieri dal Corriere della Sera a firma di Gian Antonio Stella.

Quella apparsa sul quotidiano di via Solferino, è, secondo Beneduci, "un’analisi suggestiva dal punto di vista "contabile", ma che non chiarisce i motivi per cui si è arrivati a questa grave scopertura di personale". I "grandi esodi di cui parla Gian Antonio Stella non ci sono stati, a noi non risultano - sottolinea l’Osapp -; va tenuto nel debito conto che gli organici che vengono richiamati sono quelli fermi al 1993, quando la capacità detentiva si attestava alle 32 mila unità, e gli agenti non erano gli attuali 44.620: quanto basta quindi per rispettare abbondantemente quel rapporto di 1 a 1 tanto decantato".

Nel 2000, il ministero della Giustizia, allora guidato da Piero Fassino, ricorda Beneduci, "ha congelato questa situazione, confermando per decreto le cosiddette eccedenze di gente per lo più con anzianità elevata. Da allora gli unici incrementi che si sono visti, con arruolamenti nel 2004 (1.300 agenti) e 2006 (470 agenti), sono stati opportunamente gestiti per le realtà del Nord e Centro Italia". Infine, rileva ancora l’Osapp, "se vogliamo parlare dei ‘distaccati’, è vero che si sono perpetrati degli abusi, certamente da accertare, ma è anche vero che spostare 1.000 agenti, sull’intero complesso, poco conta in termini di efficienza operativa".

Giustizia: Cisl-Penitenziari; la disinformazione è pericolosa

 

Comunicato stampa, 9 febbraio 2008

 

Il Coordinatore Nazionale Cisl Penitenziari sull’articolo di Antonio Stella: la disinformazione è pericolosa perché alimenta solo malcontento.

Abbiamo letto l’articolo di Gian Antonio Stella, che sulla prima pagina del Corriere delle Sera, prende spunto da quello che sarebbe un esodo di poliziotti penitenziari neo-assunti delle sedi del nord e trasferiti immediatamente al sud, per denunciare un malcostume nella gestione degli organici del personale delle carceri italiane.

Il problema dell’insufficienza delle dotazioni organiche del personale delle carceri, e non solo della polizia penitenziaria, non è riconducibile ad una situazione che in modo semplicistico il dott. Stella intende circoscrivere ad una assunzione di nuovi poliziotti penitenziari.

È infatti da molto tempo che la Cisl, congiuntamente alle altre OO.SS. del Personale, chiede di aprire un tavolo di confronto all’Amministrazione Penitenziaria ed ai diversi Ministri della Giustizia alternatisi nelle ultime legislature. Un tavolo dove si affronti con serietà il tema perchè troppe sono le modifiche intervenute nel lavoro della Polizia Penitenziaria. A questo si aggiunga l’inadeguatezza delle piante organiche che furono previste (solo per gli Istituti) nel 2001 da una fantomatica commissione ministeriale che, giova ricordarlo, autonomamente stabilì quali fossero gli organici necessari per le sedi. Una commissione che - presieduta allora da un Generale del disciolto Corpo AA.CC. - visitò gli Istituti e con poche ore per ogni realtà propose la pianta organica da prevedersi.

Il resto lo fece l’allora Ministro della Giustizia Piero Fassino, che prendendo per "oro colato" quello che riferì la Commissione, emanò il peggior Decreto Ministeriale che poteva realizzare. A nulla sono valse le proteste, ripetute e costanti negli anni, con tutti i Governi alternatisi, perché fosse annullato quel lavoro scellerato e si facesse chiarezza. Ma Tutti - proprio Tutti - hanno fatto finta di niente.

Il personale della Polizia Penitenziaria che opera nei Provveditorati Regionali, nelle Scuole di Formazione, nel Dipartimento centrale, negli Uffici per l’esecuzione Penale Esterna, nei Reparti e nelle Specializzazioni (Gruppo Operativo Mobile, Nucleo Investigativo Centrale, Ufficio Sicurezza Prevenzione e Scorte, Basi Navali, Reparto a cavallo, Tiratori scelti e Istruttori di Tiro, Banda Musicale del Corpo, Gruppi Sportivi, Nuclei Traduzioni e Piantonamenti detenuti e Nuclei Aeroportuali e Portuali) devono vedere prevista una dotazione organica di personale propria e non gravare - come invece accade - sulle piante organiche degli Istituti.

Questo è alla base della gravissima sofferenza sulle condizioni di lavoro del personale, di tutto il personale penitenziario. Sì perché aver determinato che anche le assunzioni di personale amministrativo, tecnico e contabile, rientrassero nei blocchi delle assunzioni del Pubblico Impiego dalle ultime leggi finanziarie, ha costretto sempre più spesso l’Amministrazione Penitenziaria ad impiegare personale di polizia in compiti non istituzionali. È questa una possibilità negata dalle norme vigenti ma è stata anche l’unica valvola di sfogo per l’Amministrazione per evitare la paralisi di servizi essenziali al funzionamento del sistema penitenziario.

Esiste poi il problema della mobilità del personale di polizia penitenziaria tra sedi delle diverse aree geografiche del Paese. Ma dire che i neo assunti agenti per il nord siano stati spostati al sud è una bugia e tende solo a fare scoop utilizzando invece il disagio di migliaia di persone che, al Servizio del Paese, sacrificano affetti e vita personale per essere assegnati dallo Stato in realtà sociali spesso diversissime e lontane dai loro luoghi di origine.

Dovremmo casomai preoccuparci del perché nessuno si occupi di creare opportunità di seria inclusione sociale di queste persone nel tessuto socio-culturale delle località dove lo Stato decide di impiegarli. Spesso infatti questi stessi poliziotti penitenziari hanno grandi difficoltà a trovare soluzioni abitative dignitose e coerenti con i loro stipendi per potersi organizzare la vita, possibilmente con le loro famiglie, in realtà tanto distanti dai luoghi di provenienza.

Orari di servizio assurdi e pregiudizi di cui spesso sono fatti oggetto anche dai cittadini, grazie anche ad un metodo denigratorio di farli conoscere tra la gente dagli stessi mass-media (secondini, carcerieri etc. etc.) li pongono in una sub-condizione di misurasi con l’inserimento in comunità cittadine tanto diverse tra loro.

Infine, anche i numeri che ha diffuso quel "dossier" del dott. Stella, sono imprecisi. Le carenze numeriche appartengono prevalentemente a tutte le sedi del centro-nord, ma non esclusivamente. Infatti sono moltissime quelle del centro e del sud che soffrono dello stesso problema. In queste ultime realtà lavorative il personale riesce ad arrivarci dopo anni di lavoro al centro nord.

Ne consegue che gli ultimi anni di carriera coincidono poi con il pensionamento che non registra mai una parificazione tra uscite ed entrate dagli organici del Corpo. Se ciò non fosse vero non si spiegherebbero i molteplici provvedimenti di mobilità temporanea che i dirigenti dell’Amministrazione periferica nelle sedi del sud sono costretti a disporre tra una sede e l’altra di quelle regioni.

Comprendiamo che quanto da noi affermato non serve ad un qualificato giornalista come il dott. Stella, non serve semplicemente perché non fa scoop. E dato che la normalità delle verità nella gestione del vivere quotidiano comune delle persone non fa notizia, molto probabilmente faremo fatica a veder pubblicata e/o divulgato sui mezzi d’informazione questo nostro contributo di verità.

 

Il Coordinatore Responsabile

Cisl - Penitenziari

M. Mammuccari

Napoli: i reati sono in calo, ma la gente non si sente sicura

di Daniela De Crescenzo

 

Il Mattino, 9 febbraio 2008

 

"Nel 2007 tra Napoli e provincia ci sono stati ottomila reati in meno, sono diminuite soprattutto le rapine in strada e i furti d’auto: ciononostante il degrado e l’illegalità diffusa hanno fatto sì che i cittadini non si sentissero più sicuri": il prefetto Alessandro Pansa propone una lettura della situazione napoletana di segno diverso rispetto a quella offerta dal presidente della Corte d’appello di Napoli, Raffaele Numeroso, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. E ne spiega il perché.

 

Che cosa dicono i dati sul fronte della sicurezza?

"Ci mostrano che nel secondo semestre dell’anno c’è stata una positiva e importante inversione di tendenza del fenomeno criminale".

 

Perché le cifre del ministero degli Interni sono diverse da quelle della corte d’appello?

"Innanzitutto perché la corte d’appello considera l’intero mandamento che comprende anche le province di Caserta, Avellino e Benevento. E poi perché le statistiche dell’anno giudiziario vanno dal 1 luglio al 30 giugno mentre quelle del ministero considerano l’anno solare. E nel secondo semestre del 2007 abbiamo registrato un’inversione di tendenza. Inoltre se aumentano gli arresti per estorsione vuol dire che ci sono state più denunce e più indagini. E lo stesso ragionamento vale per lo spaccio: in provincia abbiamo incrementato gli arresti per stupefacenti dell’11 per cento e a Napoli del 4,76. E questo probabilmente perché il rafforzato controllo delle piazze ha fatto sì che gli spacciatori si spostassero nell’hinterland".

 

Il patto per la sicurezza ha dato buoni risultati?

"C’è stato indubbiamente un rinforzo dal punto di vista dei mezzi e la riorganizzazione dei servizi ha prodotto azioni più efficaci. Ha dato buoni esiti soprattutto la mobilità infra-comunale che ci ha permesso di contrastare, ad esempio, il fenomeno delle rapine sull’asse mediano e sulla tangenziale grazie all’azione della polizia stradale".

 

Non sono mancate le difficoltà…

"I distretti ancora non sono partiti. I fondi sono arrivati più lentamente del previsto e la ristrutturazioni dei locali costerà 3 milioni di euro più di quanto preventivato. Quest’anno apriremo comunque i primi quattro distretti. Non è ancora decollata la videosorveglianza".

 

Quali reati sono diminuiti?

"I furti d’auto, e i reati predatori. A Napoli è andata meglio che in provincia. Probabilmente questo vuoi dire che va esteso il piano".

 

Ma la gente non si sente più sicura…

"Certo, perché i delitti restano comunque tanti. E poi restano una condizione oggettiva di disagio e di degrado urbano. C’è una percezione di illegalità diffusa dove i cittadini vivono in una dimensione di abusivismo e indisciplina. Se si vede che l’abusivo non viene sanzionato, che chi gira senza casco non viene multato, si comincia a nutrire sfiducia verso l’intera struttura dei vigili urbani, della polizia, e in ultima analisi delle istituzioni. Si pensa che queste non fanno il loro dovere".

 

Il procuratore Roberti ha espresso preoccupazione per le prossime elezioni. Che fare?

"Le indagini aperte nella scorsa tornata elettorale non sono state ancora chiuse: i tempi lunghi della Giustizia fanno perdere il suo valore dissuasivo. Abbiamo già avuto un incontro con le forze dell’ordine nel cui contesto abbiamo affrontato il tema elettorale: vareremo un piano per renderne tra- sparente e sereno lo svolgimento. Andranno al voto anche molti comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Vogliano che il ritorno alla normalità garantisca i risultati raggiunti nei periodi di commissariamento".

Belluno: tentò il suicidio, detenuto romeno è uscito dal coma

 

Il Gazzettino, 9 febbraio 2008

 

Nessuno ci avrebbe scommesso. Invece, il giovane rumeno rimasto in coma per giorni dopo aver tentato il suicidio in carcere , impiccandosi, è tornato nel pieno delle sue forze e proprio in queste ore ha potuto lasciare il reparto di rianimazione del San Martino di Belluno per far ritorno in carcere . Nonostante la gravità della situazione, il giovane non ha riportato alcun danno neurologico. E questo, dicono all’Ulss, grazie al tempestivo intervento operato in carcere e proseguito nel reparto di rianimazione.

Zaharia Laurentiu Florin, 19 anni, arrestato a fine gennaio assieme a due connazionali, Ionut Tofan, 25, e Vasile Draghicescu, 21, dopo una scorribanda ladresca tra il ristorante Fogher di Codissago e un parcheggio di Longarone dove è stata portata via un’auto, deve anche rispondere di un furto di 14 mila euro ad una ditta di Longarone e di una tentata estorsione sempre ai danni della stessa ditta, commessi nel maggio 2006.

Per questo episodio, poche ore dopo l’arresto in flagranza, è stato colpito anche da un ordine di custodia cautelare in carcere che va così ad aggravare la sua posizione rispetto a due compagni. Tutti e tre sono assistiti dall’avv. Giuseppe Zacco. Per tutti il giudice, ancora nei giorni scorsi, ha convalidato l’arresto e la misura in carcere . Non si esclude che, nelle prossime ore, si arrivi ad un patteggiamento che potrebbe portare alla scarcerazione.

Roma: Danilo Coppola ha perso 11 chili, ricoverato in ospedale

 

Ansa, 9 febbraio 2008

 

Danilo Coppola è stato trasferito ieri dal carcere di Parma dove è detenuto, al policlinico "Gemelli" di Roma a causa dell’aggravamento delle sue condizioni di salute (ha perso 11 chili ed è affetto da patologia cardiaca). Lo ha disposto il presidente della II sezione del Tribunale di Roma, Carmelo Rinaudo, davanti al quale si sta celebrando il processo per bancarotta e falso a carico dello stesso Coppola e di altri sei imputati per il fallimento della società Micop.

Il presidente ha accolto una istanza dei difensori di Coppola, gli avvocati Gaetano Pecorella e Michele Gentiloni Silverj, dopo che è stata letta in aula una perizia, disposta dallo stesso Tribunale, redatta dai medici Giuseppe Vetrugno e Pietro Bria. La decisione del Tribunale, di far ricoverare Coppola, disponendo il piantonamento, nel reparto di medicina di urgenza del Gemelli, è stata dettata dalla inidoneità del carcere di Parma ad affrontare la patologia dello stesso immobiliarista. La perizia letta dai consulenti del Tribunale ha evidenziato che Coppola ha un "grave deperimento organico", è bradicardico e va incontro a crisi cardiache.

Il tribunale, pur disponendo il ricovero al piano terra del policlinico Gemelli, ha ritenuto "di eccezionale gravità" le esigenze cautelari per lo stesso Danilo Coppola. L’immobiliarista tornò in carcere a dicembre, dopo l’evasione dagli arresti ospedalieri al nosocomio di Frascati. Coppola, dopo aver lasciato l’ospedale, chiamò una troupe tv di Sky per rilasciare un’intervista nella quale si disse perseguitato dalla procura, e poi si fece localizzare dalla polizia.

Nella perizia illustrata ieri in aula, si spiega che l’immobiliarista non può ricevere cure adeguate nel carcere di Parma a causa dei problemi cardiaci e soprattutto del "grave deperimento organico". Intanto, Coppola è pronto a restituire 70 milioni di euro al fisco previa la vendita totale del suo patrimonio immobiliare e in particolare della società "Ipi" proprietaria anche del Lingotto di Torino. È quanto si evince da un documento che i suoi difensori hanno presentato al presidente della II Corte di Appello di Roma.

La proposta di dismissione dell’intero patrimonio immobiliare, presentata anche per poter richiedere la scarcerazione è stata valutata con prudenza dal tribunale. Nella proposta al Tribunale Coppola spiega di voler liquidare il suo intero gruppo costituendo "un conto di garanzia" aperto in uno sportello bancario degli uffici della procura di Roma, "destinato al pagamento del debito fiscale a lui riconducibile".

Coppola, in particolare, spiega di voler liquidare il gruppo "Tikal spa" e di voler cedere l’intera partecipazione in Ipi spa detenuta dalla Finpaco Properties nonché i beni sequestrati, e di voler conferire un mandato a un advisor per la vendita del 47,24% della Ipi. La proposta dei difensori di Coppola è stata accolta con scetticismo dai pm Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli. Circa un anno fa, durante il primo interrogatorio nel carcere di Regina Coeli, dopo l’arresto avvenuto il 1° marzo 2007, Coppola spiegò di voler costituire un conto vincolato e controllato dalla procura, per pagare i debiti con l’erario che ammontano a 120 milioni di euro. I pm hanno sottolineato che la promessa di estinguere le passività fiscali è stata più volte enunciata da Coppola ma mai attuata.

Bologna: Garante dei detenuti organizza un ciclo di seminari

 

Comunicato stampa, 9 febbraio 2008

 

 

L’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna organizza un ciclo di seminari sui temi delle riforme che potrebbero incidere sul processo e sulla pena. I seminari saranno introdotti da una breve relazione della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Avv. Desi Bruno, e proseguiranno con gli interventi dei relazioni designati. Al termine sarà possibile da parte degli intervenuti interloquire con i relatori.

L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale, che ha tra i compiti istituzionali quello di svolgere una attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, propone una serie di incontri sulle riforme legislative , già avviate o auspicabili, capaci di incidere sul processo e sulla pena attraverso modifiche improntate al recupero dei valori costituzionali e al rispetto della persona nonché sulla prevista introduzione di una figura nazionale di garanzia per le persone a qualunque titolo ristrette.

Ciò è tanto più necessario a fronte del fallimento del sistema della giustizia penale, bisognoso di processi giusti e celeri, di una ridefinizione delle fattispecie penali e di una gamma di sanzioni alternative al carcere, riservando la privazione della libertà personale ai fatti di maggior disvalore, valorizzando le possibilità di reinserimento sociale ed assicurando una effettiva tutela delle vittime.

Il carcere degli adulti e dei minori è per lo più abitato da persone disagiate, da tossicodipendenti, il cui numero non accenna a diminuire, da cittadini stranieri, la cui condizione di irregolarità spesso concorre a facilitare comportamenti devianti. Le riforme possibili potrebbero incidere anche in positivo su quel sentimento di insicurezza collettivo, che ha ragioni oggettive, ma a cui si devono dare risposte anche altre rispetto allo strumento penale. Gli incontri vogliono essere un contributo significativo, per l’autorevolezza dei partecipanti, affinché un programma di riforme possa giungere a positiva conclusione.

 

Giovedì 6 marzo 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15,00 - 18,30)

Incontro con avv. Giuliano Pisapia, Presidente della Commissione di Riforma del Codice Penale del Ministero di Giustizia e con il prof. Stefano Canestrari, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, sul tema della riforma del Codice Penale.

 

Giovedì 20 marzo 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15.30 - 18.30)

Incontro con il dott. Angelo Caputo, Magistrato, e l’avv. Lorenzo Trucco, Presidente dell’associazione Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), sul tema della modifica della legge sull’immigrazione.

 

Venerdì 28 marzo 2008 - Casa circondariale di Bologna (14.00 - 17.00)

Incontro con il dottor Alessandro Margara, Presidente della Fondazione Michelucci, ed il dottor Francesco Maisto, Magistrato di Sorveglianza, sull’ipotesi di riforma dell’ordinamento penitenziario.

 

Venerdì 11 aprile 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15.30 - 18.30)

Incontro con il prof. Giuseppe Riccio, Ordinario di Procedura Penale all’Università Federico II di Napoli e avv. Paolo Trombetti, Unione Camere Penali, Presidente del Centro Studi giuridici e sociali Aldo Marongiu, sul progetto di riforma del codice di procedura penale.

 

Venerdì 9 maggio 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15.30 - 18.30)

Incontro con il Sottosegretario alla Giustizia sen. Luigi Manconi ed il dottor Mauro Palma, Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, sull’introduzione nel nostro ordinamento della figura del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

 

Venerdì 23 maggio 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15.30 - 18.30)

Incontro con Manrico Bonetti, avvocato in Bologna, con il dottor Giuseppe Centomani, Direttore Centro Giustizia Minorile Emilia - Romagna e con la dottoressa Paola Ziccone, Direttrice Ipm Pratello, sulla riforma dell’ordinamento penitenziario minorile.

 

Venerdì 30 maggio 2008 - Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (15.30 - 18.30)

Incontro con il dottor Raimondo Pavarin, Responsabile osservatorio epidemiologico metropolitano dipendenze patologiche dell’AUSL di Bologna, il dottor Franco Corleone, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Firenze, e l’avv. Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, sull’ipotesi di riforma della legge sugli stupefacenti.

 

Avv. Desi Bruno

Garante dei diritti delle Persone Private della Libertà personale

Como: per i poveri e i disperati l’approdo era il manicomio

di Alessio Conca

 

La Provincia di Como, 9 febbraio 2008

 

Povertà, alcolismo, crisi coniugali, bambini abbandonati. C’è sofferenza, solitudine e disagio nelle storie che emergono dalla lettura delle cartelle cliniche custodite nell’archivio dell’ex ospedale psichiatrico San Martino di Como: 1600 faldoni ai quali sta lavorando per uno studio Gianfranco Giudice, insegnante di storia e filosofia al liceo scientifico "Paolo Giovio" di Como. Nascoste dietro fredde griglie burocratiche, incasellate in diagnosi uniformi, le vite di tanti alienati ritornano alla luce, lasciandoci intuire non solo l’evoluzione delle categorie psicopatologiche, ma anche il carattere sociale delle malattie e il vissuto irripetibile di tanti pazienti. I documenti (accessibili e consultabili fino al 1938) mostrano alcune linee di tendenza, soprattutto per il periodo che va dalla prima guerra mondiale agli anni trenta.

Le cause del ricovero di solito sono riconducibili ad alcune patologie ricorrenti: alcoolismo, schizofrenia (definita allora "demenza precoce"), psicosi maniaco-depressiva, frenastenia. Mario C., ad esempio, viene ricoverato con la diagnosi di psicosi alcoolica, il 23 marzo 1927. Muratore, nato il 13 luglio 1896 e domiciliato ad Arcumeggia (Varese), rimane recluso circa due anni, fino al 26 aprile 1929. In manicomio non rientra più, ma il suo caso appare interessante soprattutto per il sottile gioco che si stabilisce tra le istituzioni preposte al "governo della follia" e le famiglie.

Da una parte infatti la madre chiede il rilascio del figlio, dall’altra il parroco del paese scrive al medico che ha firmato il certificato di ammissione, consigliando cautela e segnalando il carattere violento del "detenuto". Curiosamente nella cartella clinica si conserva anche una lettera, nella quale il malato scrive ai fratelli che vivono a Berna, esprimendo il suo desiderio, uscito dal manicomio, di lavorare il proprio piccolo pezzo di terra.

Caso rarissimo di testimonianza diretta con la voce e le parole di uno dei protagonisti. Le categorie sociali degli internati variano, ma restano circoscritte soprattutto alle classi subalterne. Tra gli uomini dominano contadini, operai, artigiani, tra le donne invece c’è una prevalenza di casalinghe, seguite da operaie e contadine. Operaia è Maria B., nata il 6 febbraio 1982 a Cernobbio e ricoverata all’Ospedale San Martino il 15 aprile 1915.

L’anamnesi la descrive come "svogliata, melanconica, non curante della casa, indifferente": "ripetutamente si legge - abbandonava la casa senza motivo, mangiava pochissimo, beveva frequentemente, mostrò tendenze suicide". Dimessa il 21 marzo 1918, rientra in manicomio il 18 maggio 1920, e lì rimane fino alla morte il 22 maggio 1928. La corrispondenza tra familiari e istituzioni, anche in questo caso, delinea con precisione la vicenda umana, con la donna separata e in preda a idee persecutive nei confronti del marito, accusato di averle rubato il corredo portato in dote. Dal manicomio non sono risparmiati nemmeno i bambini, soprattutto quando nascono da famiglie povere.

Un caso emblematico è quello di Angelo N. di Carugo, ricoverato il 23 giugno 1913 sulla base di un’ordinanza del pretore di Cantù: il bambino, di soli tre anni e mezzo, viene descritto "affetto da alienazione mentale" e ritenuto "pericoloso a sé e agli altri". Il piccolo, si legge nel certificato medico, "mostra tendenza a percuotere, a rubare ed è prepotente con i bambini della sua età". Dietro questa formula si cela soprattutto il tentativo di affidare un bimbo figlio di poveri a una struttura pubblica, che ne garantisca il sostentamento, come un qualunque brefotrofio.

Il giorno successivo, tuttavia, il direttore del manicomio contesta l’ordinanza, precisando in una lettera al Procuratore del Re come sia "troppo ardita la tesi che un bambino di tre anni e mezzo risponda a una delle condizioni volute per l’internamento". L’ordinanza viene così respinta e il bambino restituito ai genitori. Spesso nel corso degli anni i ricoveri per una medesima persona sono ripetuti. La cartella clinica rimane tuttavia sempre la stessa e viene inserita nell’archivio solo nell’anno dell’ultima/unica dimissione o alla data del decesso in manicomio.

Un esempio emblematico viene da Fortunato V., muratore di Olgiate comasco, internato con la diagnosi di "paranoia persecutoria" il 27 marzo 1907. Dopo diversi, brevi, ricoveri è rinchiuso nuovamente il 10 dicembre 1909. In tutto questo tempo la famiglia si batte con il sindaco per ottenere il rilascio del figlio, che resta tuttavia vincolato alla possibilità di dimostrare da parte dei congiunti il mantenimento del malato. L’uomo resterà in manicomio fino alla morte il 13 novembre 1928.

Immigrazione: è reato agevolare il passaggio di clandestini

 

Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2008

 

Stop all’Italia "come ventre molle dell’immigrazione clandestina: l’altolà arriva dalla Cassazione secondo cui commette reato il clandestino, e chi lo aiuta, che è di passaggio in Italia per raggiungere altri Paesi dell’Unione europea. Con la sentenza 6398 di oggi, è stato precisato che gli Stati devono far fronte comune per far cessare questi fenomeni di immigrazione irregolare.

La Prima Sezione Penale di "Piazza Cavour" ha infatti accolto il ricorso della Procura di Trieste presentato contro l’assoluzione disposta, a maggio 2007, dal Tribunale di Tolmezzo, nei confronti di due cittadini ucraini che avevano aiutato tre connazionali ad attraversare l’Italia dichiarando poi che il passaggio era finalizzato esclusivamente al rientro nel Paese d’origine.

Secondo la Procura triestina, invece, "ove si ritenesse penalmente irrilevante un ingresso per il solo fatto che chi lo compie assicura solo di essere solo in transito e di essere diretto al proprio Paese, mancando ogni possibilità di controllare la serietà di queste dichiarazioni, si finirebbe col rendere sostanzialmente ineffettiva la norma che punisce la clandestinità". La prima sezione penale ha accolto questa tesi annullando l’assoluzione e rinviando gli atti alla Corte d’appello di Trieste che ora dovrà processare i tre ucraini.

Secondo il collegio "l’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione punisce chiunque compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero". Non solo. "La fattispecie criminosa - spiega ancora la Cassazione - non è più soltanto integrata dalle condotte dirette ad agevolare l’ingresso in Italia di stranieri extracomunitari in violazione della disciplina italiana sull’immigrazione, ma ricomprende anche tutte quelle condotte finalizzate a permettere l’entrata illegale in altri Stati confinanti, dei quali cioè lo straniero non è cittadino o non ha titolo di residenza permanente". Alla base della decisione c’è l’accordo di Schengen nel quale gli Stati si sono impegnati, di fatto, a far fronte comune per contrastare l’immigrazione irregolare.

Gran Bretagna: polizia registra i colloqui detenuti-avvocati

 

Apcom, 9 febbraio 2008

 

Centinaia di colloqui fra detenuti e avvocati sono stati registrati dalla polizia britannica dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001: è quanto scrive il quotidiano britannico The Daily Telegraph, dopo lo scandalo intercettazioni che ha riguardato il deputato laburista Sadiq Khan.

Il timore è ora che venga richiesto l’annullamento di numerosi processi, dato che le intercettazioni dei colloqui riservati fra imputati e avocati della difesa è illegale: sul fronte politico, l’opposizione chiederà spiegazioni ai Ministri degli Interni e della Giustizia, dato che "è inconcepibile che quanto accaduto non sia stato autorizzato a livello ministeriale", come ha dichiarato il conservatore David Davis. Lo scandalo è venuto alla luce dopo che il parlamentare laburista - e avvocato - Khan aveva visitato in carcere un suo amico d’infanzia, passibile di estradizione negli Stati Uniti in base all’attuale legge antiterrorismo: per due volte le loro conversazioni sono state registrate nonostante le intercettazioni nei confronti dei deputati siano proibite per legge dal 1960.

La squadra speciale incaricata dell’operazione svolgeva attività simili nel carcere di Woodhill dal 2002, successivamente ampliate ad altri centri di detenzione e applicata nei confronti non solo dei presunti terroristi ma anche di diversi imputati di reati gravi quali l’omicidio.

Il Ministero della Giustizia si è limitato ad affermare che le attività di intercettazione sono regolate dalla legge "con la collaborazione delle autorità carcerarie, fondamentale nella lotta contro gravi reati quali il terrorismo".

Australia: chiusi i campi-lager per gli immigrati clandestini

 

Quotidiano Nazionale, 9 febbraio 2008

 

Il leader laburista Kevin Rudd ha mantenuto le promesse. Molti immigrati rinchiusi per anni, spesso sviluppando disturbi mentali.

Immigrazione, l’Australia cambia registro: la Pacific Solution, la controversa abitudine di dirottare i boat people in remote isole del Pacifico per impedire che chiedessero asilo, è ufficialmente finita.

Il campo di detenzione nello stato-isola di Nauru, nel mezzo dell’Oceano, ha chiuso oggi i battenti con la partenza degli ultimi 21 cittadini di Sri Lanka, che hanno ottenuto lo status di profughi e potranno stabilirsi in Australia.

Il leader laburista Kevin Rudd lo aveva promesso prima delle elezioni e oggi mantiene: fine della politica di detenere i richiedenti asilo a Nauru e nell’isola di Manus in Papua Nuova Guinea.

Il precedente premier John Howard si era rivolto a Nauru e a Papua Nuova Guinea, poco prima delle elezioni del 2001, offrendo milioni di dollari per accogliere campi di detenzione per i boat people intercettati mentre cercavano di raggiungere l’Australia. Molti detenuti vi hanno trascorso anni, spesso sviluppando disturbi mentali, mentre le domande di asilo venivano esaminate dall’Agenzia profughi dell’Onu.

Nell’arco di sette anni sono stati richiuse nei due centri circa 1.650 persone, di cui il 70% è stato infine accolto in Australia o in altri paesi come profugo. Benché duramente condannata dai gruppi per i diritti umani e dalle chiese, la dura politica contro l’immigrazione non autorizzata fu ben accolta da settori della società, e aiutò Howard a vincere altre due elezioni. Soddisfatto l’Alto Commissario Onu per i rifugiati, che tramite un portavoce ha elogiato il governo laburista per aver agito così prontamente nel chiudere la Pacific Solution. "È la fine di un lungo e doloroso capitolo della politica australiana in materia di asilo, e siamo lietissimi che finalmente non vi siano più profughi a Nauru", ha detto.

A lamentarsi è invece il governo di Nauru, che prevede una crisi di disoccupazione. Il ministro degli Esteri Kieren Keke ha detto che nel campo lavoravano 100 persone, e che circa altre 1000, il 10% delle popolazione totale, contavano di loro per sostegno economico. Inoltre molti dei detenuti svolgevano lavoro volontario in ospedali e scuole. L’estrazione dei fosfati, di cui l’isola abbondava, ha arricchito grandemente i suoi abitanti in passato, ma con l’esaurirsi dei giacimenti il piccolo stato è sprofondato nei debiti, e sopravvive con gli aiuti internazionali di Australia e Nuova Zelanda.

 

 

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