Rassegna stampa 11 dicembre

 

Giustizia: su Procure riforma c’entra come i cavoli a merenda

di Alessandro Balducci

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 11 dicembre 2008

 

Il ministro della giustizia Alfano, nel corso della trasmissione "Porta a porta", ha dichiarato che la recente vicenda che ha coinvolto le procure di Catanzaro e di Salerno "non ha accelerato il nostro processo di riforma", ma dimostra piuttosto che la riforma della giustizia "non è un capriccio della maggioranza ma è inevitabile".

Innanzitutto va ricordato che la Procura di Salerno da mesi e mesi aveva richiesto gli atti delle inchieste "Why Not" e "Poseidone" alla procura di Catanzaro, visto che la Procura di Salerno è competente per legge ad indagare sui giudici di Catanzaro nel caso di denunce (come quella di De Magistris) o di esposti presentati nei loro confronti.

Lo "scontro", enfatizzato da una non corretta informazione da parte dei media (se si eccettuano poche lodevoli eccezioni come l’articolo di C. F. Grosso su un noto quotidiano nazionale) rientra in realtà nella normale fisiologia dell’organizzazione giudiziaria dei paesi a democrazia sviluppata in cui la magistratura è indipendente dal potere politico; a meno che l’attuale Guardasigilli non stia pensando ad un’organizzazione del sistema giudiziario sul modello dei regimi dittatoriali in cui potere esecutivo, legislativo e giudiziario coincidono e quindi le conflittualità sono assenti, perché tanto chi promulga le leggi coincide con chi le fa applicare e con chi ne controlla l’applicazione e l’esecuzione.

Purtroppo, la Storia - quella vera, non quella revisionata - dimostra che questo sistema, forse meno conflittuale, non garantisce però i diritti dei cittadini e la loro tutela dall’invadenza e dagli abusi e dai soprusi del potere esecutivo; ed infatti è per questo che nei Paesi in cui vige lo stato di diritto esiste la separazione dei poteri dello Stato. Quando si parla di "riforma della giustizia" bisognerebbe essere più precisi e, visto che Alfano si è voluto riferire alla vicenda Salerno-Catanzaro, avrebbe dovuto dire che cosa in concreto si sarebbe dovuto fare, nell’ambito dell’annunciata "riforma della giustizia" per far sì che queste vicende non abbiano ad accadere ancora. Altrimenti succede che, in mancanza di questa spiegazione da parte del Guardasigilli, il pubblico riceve il messaggio neanche tanto vero che "con la riforma della giustizia, tutto si potrebbe sistemare".

È un vizio italico quello di dire che, di fronte ad una situazione di disagio o di inefficienza che riguarda i più svariati settori - la giustizia, ma anche la scuola, la pubblica amministrazione tanto per fare alcuni esempi - per risolvere tutto ci vuole una "riforma". È una parola di cui i politici amano riempirsi la bocca: tanto non costa niente, nessuno va a chiedere loro conto di cosa intendano effettivamente fare, e poi fa molta "audience".

Ci permettiamo di osare un’ipotesi, allora: è possibile che Alfano si riferisse all’annosa questione della separazione delle carriere, invocata da molti come risolutiva di tanti problemi della giustizia ed infatti, forse anche per questo, prevista da Licio Gelli nel suo altrettanto famoso Piano di Rinascita Democratica firmato P2?

Perché se fosse questa la riforma tanto auspicata allora diciamo subito che è una gran balla! I magistrati della Procura di Salerno hanno soltanto esercitato le loro prerogative di pubblici ministeri e se le loro carriere fossero state separate da quelle della magistratura giudicante, lo "scontro" sarebbe avvenuto lo stesso, se non addirittura in modo più dirompente. Stesso discorso per la ventilata modifica della composizione del Csm; anche se non si è espressamente dichiarato, è altamente probabile che tale modifica vada nel senso di un aumento della percentuale "politica" all’interno del Csm a discapito della quota riservata ai magistrati.

A parte che il principio dell’indipendenza della magistratura dal potere politico è un principio saldamente difeso dalla Costituzione, e che quindi anche il citato intervento sul Csm - oltre che sulla separazione delle carriere - richiederebbe una modifica della Carta Fondamentale, in questo modo avremmo che per risolvere il problema della conflittualità tra le Procure, si trasferiscono nel Csm anche le conflittualità - e gli accordi sottobanco - della politica che, come è noto, è sempre efficiente nel risolvere gli annosi problemi che stanno portando questo Paese alla decadenza morale, economica e sociale.

Infatti, come è arcinoto, in Italia, abbiamo - grazie ai politici - un’amministrazione onesta ed efficiente, una sanità al servizio del cittadino e non dei cacicchi, un sistema universitario meritocratico dove i giovani ricercatori hanno un futuro e non sono costretti ad emigrare, una gestione corretta del denaro pubblico senza sprechi e corruzione, etc...

Non vorremmo che si approfittasse di una situazione di conflittualità fisiologica, artatamente esagerata da stampa e tv, per cercare di creare, nell’opinione pubblica, un consenso intorno a misure e provvedimenti che molto difficilmente porteranno beneficio al funzionamento della giustizia in Italia, mentre invece avvieranno la nazione verso il progressivo smantellamento del sistema di garanzie e di diritti faticosamente conquistato con la Carta Fondamentale.

Il pianeta giustizia è ammalato di inefficienze, ritardi, processi troppo lunghi, procedure farraginose e scarsamente rispettose dei diritti civili, eccessiva proliferazione legislativa ed eccessiva criminalizzazione di fatti e comportamenti che invece potrebbero essere affrontati non col codice penale - col conseguente ingolfamento dei Tribunali che ne deriva - ma con altri strumenti: strumenti amministrativi o, perché no, culturali. Pensiamo un attimo alla elevata produzione di detenuti creatasi con la Bossi-Fini che ha finito per colpire duramente il già dissestato sistema carcerario al punto da essere costretti a fare ogni due-tre anni un indulto o un amnistia per riportare il numero di detenuti al livello "normale" per le strutture penali esistenti.

Ma per affrontare questi problemi - come già evidenziato ormai più volte dall’Osservatorio e da inascoltati giornalisti ed operatori della giustizia - non servono le "grandi riforme" annunciate a "Porta a porta": bastano pochi e semplici provvedimenti mirati. Se solo ci fosse la volontà.

Giustizia: Berlusconi al Pd; cambierò la Costituzione... da solo

di Francesco Bei

 

La Repubblica, 11 dicembre 2008

 

"Io, fin quando sarò al governo, non mi siederò mai ad un tavolo con questi individui". Con altre parole, più sfumate, l’aveva detto il giorno precedente a Giorgio Napolitano, durante una colazione di lavoro al Quirinale.

Ieri Silvio Berlusconi lo ha spiegato per bene a tutti, in pubblico, cosa ne pensa del dialogo sulle riforme: "Sono ancora marxisti, non si può dialogare. Non accetto di parlare con chi mi accusa di essere Hitler, il diavolo, di non avere voce in capitolo sulla questione morale. Questa sinistra non è democratica".

La conseguenza è che la riforma della giustizia, incardinata sulla separazione delle carriere, il governo la farà da solo, a costo di andare incontro nuovamente al referendum: "La Costituzione si cambia con due votazioni distanziate da 6 mesi e i cittadini decideranno alla fine come popolo sovrano: questa è la democrazia e nessuno ci può fare il minimo appunto".

Berlusconi è incontenibile, gli ultimi affondi di Antonio Di Pietro e Walter Veltroni sulla questione morale gli hanno fatto saltare la mosca al naso. E prima ancora c’era stata la protesta della scuola, poi la battaglia di Sky sull’Iva, "due cose che ci hanno fatto tornare indietro di qualche punto nei sondaggi".

Adesso però, annuncia il Cavaliere davanti alla platea plaudente - tutti agghindati, al tempio di Adriano, per la presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa, a battere le mani c’è anche l’ex Pd Riccardo Villari - si fa a modo mio. A dialogare potranno essere al massimo "i gruppi parlamentari", ma il governo andrà per la sua strada: "Siamo risaliti al 68% e abbiamo il dovere di andare avanti per fare quello che gli italiani credono giusto".

E dunque, puntualizza il premier, la riforma sarà basata sulla separazione di giudici e pm: "Non chiamatela separazione delle carriere, gli italiani non capiscono. Faremo la separazione degli ordini e il pm dovrà andare dal giudice con il cappello in mano". La riforma comunque non si farà quest’anno - "mi sembra difficile" - ma arriverà dopo le feste. Al tradizionale evento Mondadori, Berlusconi è di casa (del resto è la sua) e lo stesso Vespa ricorda con una punta di orgoglio che il Cavaliere ha presentato i suoi libri "7 volte da premier e 8 volte da leader dell’opposizione".

L’interessato ricambia senza falsa modestia, paragonandosi al Creatore: "Questo libro è una sorta di poema dantesco. C’è l’inferno, il purgatorio e il paradiso... che coincide con il governo attuale, un governo che realizzerà ciò che è necessario per l’Italia". Tornato serio, riscrive il capitolo dei rapporti con Pier Ferdinando Casini. "Per Casini - dice - le porte del Popolo della libertà non sono aperte, sono spalancate".

Un’affermazione che manda in fibrillazione Lega e An, ma poi i suoi spiegano riservatamente agli alleati che la presunta "apertura" riguarda solo la giustizia, nell’intento di spaccare le opposizioni. E infatti il Cavaliere aggiunge che Casini "ha scelto una strada che lo sta portando su posizioni che hanno deluso molti suoi elettori e buona parte degli ex dirigenti dell’Udc".

Comunque i centristi rispondono picche, con Rocco Buttiglione che minaccia ritorsioni, perché "l’appartenenza del partito di Berlusconi al Ppe si deciderà dopo le Europee e là dove si deciderà ci saranno anche i dirigenti dell’Udc". Agli attacchi del premier risponde per il Pd Dario Franceschini: "Berlusconi è l’unico capo di governo di un paese democratico al mondo che non accetta nemmeno psicologicamente l’idea che esista un’opposizione: passa le giornate ad insultarla". "E per fortuna - aggiunge Anna Finocchiaro - che il Pdl voleva fare riforme condivise per la giustizia italiana!".

Giustizia: Anm; cittadini meno liberi se Governo controlla i Pm

di Giuseppe D’Avanzo

 

La Repubblica, 11 dicembre 2008

 

Giuseppe Cascini è il segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati. Legge con attenzione le notizie d’agenzia che danno conto dell’annuncio di Berlusconi. Riforma costituzionale e separazione del pubblico ministero dall’ordine giudiziario anche a costo di voltare le spalle agli inviti alla collaborazione e alla condivisione più volte avanzati dal presidente della Repubblica.

 

Dunque, il governo va verso la riscrittura del Titolo IV della Costituzione. Qual è il suo giudizio?

"La separazione della magistratura giudicante da quella requirente mi sembra soltanto un’ossessione che Berlusconi sventola a ogni occasione come panacea per tutti i mali della giustizia. È il frutto di una semplificazione puramente propagandistica di un problema, al contrario, molto serio. Le voglio dire di più. Questa storia del pubblico ministero che deve dare del "lei" al giudice o prendere appuntamento e attendere il suo turno è soltanto folklore".

 

Non è folklore la ragione che, in apparenza, convince Berlusconi a separare le carriere o gli ordini, come gli piace dire. Il processo, sostiene, è squilibrato a favore dell’accusa.

"La parità delle parti nel processo è garantita dagli strumenti processuali che oggi in Italia, più che in ogni altro paese europeo, assicurano una forte imparzialità dell’organo giudicante. E d’altronde una parità ordinamentale è irrealizzabile".

 

Perché è irrealizzabile?

"Perché l’organo dell’accusa dovrà essere necessariamente, e sempre, un funzionario pubblico mentre l’avvocato è un libero professionista legato all’interesse privato del suo assistito. A meno che Berlusconi non voglia "privatizzare" l’interesse rappresentato dalla pubblica accusa. Chiunque comprende che, in questo caso, saremmo alle prese con una forte riduzione delle garanzie di libertà dei cittadini. Permetta ora di fare a me una domanda e una proposta: ma è proprio vero che i giudici non sono imparziali, che sono sottomessi alle pretese dei pubblici ministeri? Perché il ministro Alfano non offre all’opinione pubblica dei dati su cui riflettere e discutere? Perché non ci dice quante sono, in percentuale, le assoluzioni decise in dibattimento; le ordinanze dei gip contrarie alle richieste del pubblico ministero; gli annullamenti del tribunale del riesame? Siamo convinti che questi dati documenterebbero l’alto grado di imparzialità della magistratura giudicante e la vitalità della dialettica e del controllo processuale".

 

Che cosa cambia o può cambiare, a suo avviso, con la separazione degli ordini, con il pubblico ministero separato dal giudice?

"Innanzitutto si impoveriscono radicalmente le garanzie di libertà. Avremo un corpo autonomo di funzionari dello Stato, estraneo alla cultura della giurisdizione che è poi consapevolezza del diritto del cittadino. Si formerà un corpo di mille pubblici ministeri che si autogovernano con un proprio Consiglio superiore. Nascerà un centro di potere che deve inquietare. Avrà a disposizione il monopolio dell’azione penale, la direzione della polizia giudiziaria, la libertà e la reputazione dei cittadini. E la possibilità di governarsi in modo indipendente. Mi chiedo quanto tempo sarà necessario perché si ponga, con molte ragioni, la questione di chi debba controllare questa micro corporazione, questo centro di potere? Sarà una domanda che porterà il pubblico ministero diritto nell’orbita dell’esecutivo, alle dipendenze del governo. In fondo, mi pare che questo sia il frutto avvelenato dell’iniziativa del presidente del Consiglio".

 

La magistratura come replicherà, se replicherà?

"Noi possiamo soltanto denunciare all’opinione pubblica che queste riforme vanno contro l’interesse dei cittadini. Ricorderemo che queste questioni - ripeto, folkloristiche, propagandistiche, semplificatorie - lasciano irrisolti i problemi reali della sistema penale italiano".

 

Che appare molto malato, però.

"Certo, che è malato, chiunque lo vede. Ma qual è la malattia? Noi crediamo che sia malato dell’inefficacia della pena, dell’irrazionalità di un sistema sanzionatorio che punisce, con rigore, gli autori di reati minori diventando indulgente o lassista anche di fronte a fatti gravissimi. Si va in galera per tre furti di mele in un supermercato e agli arresti domiciliari o in affidamento in prova per una rapina a mano armata. Voglio farle ancora un esempio. Il ministro Tremonti ha detto recentemente che i banchieri che hanno responsabilità nella crisi finanziaria o vanno a casa o in galera. Mente. Un banchiere può andare dall’avvocato e dire che ha venduto ai suoi clienti-risparmiatori dei pessimi bond; di aver falsificato i bilanci della banca; di aver preso denaro da faccendieri in cambio dell’apertura di linee di credito senza tetto e garanzie. Quel banchiere può chiedere all’avvocato quanto rischia e si sentirà rispondere che l’unico pericolo che dovrà affrontare non sarà una condanna o il carcere, ma soltanto la parcella dell’avvocato. Il governo dovrebbe spiegare ai cittadini perché non rende funzionale il servizio giustizia e si occupa soltanto dei magistrati. Noi lo faremo".

 

Ammetterà che la magistratura ci ha messo del suo nel precipitare di una crisi che, con il conflitto tra le procura di Salerno e Catanzaro, ha mostrato un ordine giudiziario non sempre in grado di vivere con responsabilità l’autonomia e l’indipendenza che gli garantisce la Costituzione. Le chiedo: come è possibile che due procuratori così palesemente inadeguati siano stati ritenuti capaci di dirigere un ufficio giudiziario? Quanto pesano, per le nomine, i compromessi tra le correnti? E perché questi compromessi premiano non sempre i migliori, ma a volte promuovono i peggiori?

"Sicuramente le difficoltà del sistema di autogoverno sono legate a logiche di appartenenza, a una visione di difesa corporativa che per troppi anni ha orientato le scelte del Consiglio superiore. Tuttavia non va sottovalutato l’inversione di rotta che questo Csm ha realizzato sui temi della professionalità con politiche addirittura rivoluzionarie: la temporaneità degli incarichi direttivi; l’abolizione del criterio dell’anzianità senza demerito; verifiche periodiche, serie e rigorose di professionalità ed efficienza. C’è bisogno di tempo per vedere i frutti di quel che il Consiglio sta seminando".

 

Non sarebbe, a questo punto, un gesto coraggioso sciogliere le correnti dell’Associazione magistrati e quindi del Csm? Si fa fatica oggi a capire l’ostinazione di tenere in piedi orientamenti culturali diversi o fazioni diverse quando, come dimostra la sortita di Berlusconi, la questione è soltanto una e vi vede tutti d’accordo: la difesa del Titolo IV della Costituzione, la soggezione dei giudici soltanto alla legge, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere?

"Il pluralismo culturale della magistratura è stato ed è un valore ineliminabile. È un patrimonio storico della cultura giuridica del nostro paese al quale sarebbe impensabile rinunciare. Deve essere chiaro, però, che, nella gestione del sistema di autogoverno, le correnti devono fare un passo indietro. Deve essere escluso ogni peso delle logiche di appartenenza o di spartizione correntizia. Non possiamo nascondere che questo è avvenuto e che lo sforzo di privilegiare il merito e la professionalità, fatto in questi anni, è l’unica risposta per rendere credibile e affidabile la magistratura, concrete quelle prerogative costituzionali che oggi ci appaiono minacciate dalle politiche del governo".

Giustizia: Consulta; è legittimo, ma politicamente inopportuno

di Paolo Foschi

 

Corriere della Sera, 11 dicembre 2008

 

Il percorso è corretto, al massimo può essere giudicato inopportuno dal punto di vista politico. Ma la riforma della giustizia deve e può essere fatta anche modificando la Costituzione. Meglio se dialogando con l’opposizione, ma non è una condizione necessaria: come previsto dalla stessa Carta, si può procedere senza la maggioranza dei due terzi del Parlamento, lasciando l’ultima parola al referendum confermativo. Non è forse la strada migliore. "Ma non c’è nulla né di scorretto né di illegittimo".

E la separazione delle carriere dei magistrati non è un tabù. È questo - con sfumature diverse - il parere di esperti costituzionalisti sulle dichiarazioni di ieri di Berlusconi. Secondo Antonio Baldassarre, presidente emerito della Consulta, infatti "è auspicabile la condivisione di tutte le riforme, in particolare quella di un tema delicato come la giustizia. Ma è legittimo che la maggioranza, nel rispetto delle procedure, vada avanti anche da sola. Lo prevede la stessa Costituzione, non ci vedo nulla strano, tanto più che tutte le ultime modifiche sono state fatte in questa maniera".

Per Baldassarre, fra l’altro, nel merito delle proposte del governo ci sono elementi interessanti, "a cominciare dalla separazione delle carriere". Anche Augusto Barbera, docente a Bologna, ex parlamentare Pci e Pds, riconosce "la piena legittimità del progetto di Berlusconi. Il problema non è giuridico, ma politico e riguarda solo l’opportunità di una scelta di così forte rottura con l’opposizione. Ma formalmente non c’è nulla da eccepire. Poi decidono i cittadini con il referendum. Ha ragione Berlusconi, questa è la democrazia.

Piuttosto, vorrei sottolineare che già nel 2000 la Consulta ammise il referendum abrogativo dei radicali per introdurre la separazione delle carriere (che poi non raggiunse il quorum). È quindi chiaro che la separazione potrebbe essere attuata anche con legge ordinaria e senza riforma Costituzionale, che sarebbe però necessaria per regolamentare il nuovo Csm". E nel merito, "la separazione delle carriere si può anche fare, a condizione che sia tutelata l’autonomia dei pm dal potere esecutivo".

Valerio Onida, ex giudice della Consulta, sottolinea che "la procedura è corretta, ma spero che il proposito di Berlusconi non venga attuato e che siano solo parole per far scalpore". Niccolò Zanon, professore di diritto costituzionale alla statale di Milano, cita il presidente Napolitano: "Le riforme che durano sono quelle condivise - dice - ma se c’è la chiusura totale dell’opposizione, allora chi governa, se ha i numeri per farlo, ha tutto il diritto di procedere con la modifica della Costituzione da sottoporre poi alla volontà dei cittadini attraverso il referendum.

Il dialogo però fra Berlusconi e il centrosinistra è oggettivamente difficile perché il Pd fa ostruzionismo, non propone nulla ed è diventato una specie di partito dei giudici, mortificando molte posizioni illuminate sulla politica della giustizia presenti all’interno dello schieramento".E sulle responsabilità del Pd sul mancato dialogo si registra una convergenza bipartisan. Secondo Paolo Armaroli, ordinario a Genova di diritto pubblico ed ex deputato di An, "per dialogare bisogna essere almeno in due, ma il centrosinistra sulla giustizia non ha un interlocutore, non ha una proposta, dice no e basta ". E Gianfranco Pasquino, ex parlamentare del Pci e del Pds e oggi docente a Bologna, aggiunge che "il Pd sbaglia a lasciare l’iniziativa al governo. Dovrebbe dettare l’agenda del dialogo formulando una propria proposta di riforma della giustizia".

Giustizia: sulla riforma Fini boccia la linea dura di Berlusconi

 

Affari Italiani, 11 dicembre 2008

 

Nuovo scontro tra il presidente della Camera e il premier. Riforma condivisa per la Giustizia. Gianfranco Fini non cambia idea dopo l’indicazione di Silvio Berlusconi di modifiche costituzionali anche senza confronto con l’opposizione. Il numero uno di Montecitorio afferma: "Quello che penso l’ho detto 48 ore fa, e non cambio idea. Si può anche cambiare idea, ma non in 48 ore...". Martedì Fini si era detto in favore di "una riforma che abbia come obiettivo condiviso ciò che è auspicato da tutte le forze politiche, e cioè l’efficienza del sistema giudiziario".

"Il comportamento del presidente del Consiglio è del tutto irresponsabile". Lo ha detto il leader del Pd, Walter Veltroni, giovedì mattina a Parigi a margine dell’apertura del vertice dei premi Nobel per la Pace, commentando le dichiarazioni di Silvio Berlusconi sulla riforma della giustizia. "L’Italia - dice Veltroni - sta entrando nella più drammatica crisi sociale che la nostra generazione ricordi e il presidente del Consiglio cerca costantemente di alimentare una situazione di scontro e di creare condizioni di divisione nel Paese".

"All’opposizione - aggiunge il leader Pd - che ha responsabilmente detto di essere disponibile a collaborare per fronteggiare la crisi, ha risposto dicendo ‘me ne fregò. E sulla giustizia afferma di voler cambiare la carta costituzionale solo con la maggioranza. Si tratta di un comportamento del tutto irresponsabile, che riceverà nel Parlamento e nel Paese la risposta che merita". "Berlusconi riceverà, nel Parlamento e nel Paese, la risposta che merita". Così il segretario del Pd, Walter Veltroni, replica al presidente del Consiglio che ha chiuso ogni possibilità di dialogo con l’opposizione sulla riforma della giustizia.

La controreplica al segretario democratico è affidata a Paolo Bonaiuti, portavoce del Cavaliere: "Come si può dialogare con chi definisce irresponsabile il Presidente del Consiglio e continua a spargere bugie? Veltroni conferma che chi non vuole il dialogo è proprio lui".

"L’Udc si siederà al tavolo della riforma della giustizia e ritiene anche il Pd debba fare lo stesso, senza accettare provocazioni". Così si è espresso l’ex presidente della Camera a margine del vertice del Ppe in corso a Bruxelles. "La riforma della giustizia - ha detto Casini - è necessaria". Per negoziare "ci sono delle condizioni, ma queste le vedremo al tavolo. Con Alfano abbiamo avviato un dialogo che porteremo avanti nei prossimi giorni".

Di Pietro: mai al tavolo con Berlusconi. "Noi dell’Italia dei Valori sulla questione giustizia siamo irremovibili, non vogliamo deformarla per fare in modo che ci siano due giustizie: per i poveri cittadini zero tollerance, per i potenti di Stato lodo Alfano, leggi ad personam, impunità. Per questo sul tavolo di Berlusconi, né sopra né sotto non ci siederemo mai". Lo ha detto a Chieti Antonio Di Pietro, intervenendo ad una manifestazione elettorale a sostegno del candidato presidente della Regione Abruzzo per il centro sinistra Carlo Costantini. "L’Italia dei Valori - ha aggiunto Di Pietro - è una formazione politica che non vuole essere etichettata destra-centro-sinistra, è per la legalità e per una giustizia che sia uguale per tutti. Per questa ragione chi addirittura vuole modificare la Costituzione da solo, esprime ancora una volta un concetto di regime sud americano".

Alfano: così parità effettiva accusa-difesa. "La Carta costituzionale del ‘48 necessita di un aggiornamento affinché sia davvero garantito un processo più celere e più giusto. Il sistema giustizia in Italia non funziona e chi crede basti un’aspirina, qualche piccolo ritocchino, o si sbaglia di grosso oppure vuole che le cose restino come sono". Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano che ribadisce che questa riforma costituzionale "ha come bussola la parità tra accusa e difesa".

"È il punto più delicato su cui intervenire. Il cittadino e il pm devono avere pari diritti e pari doveri e il giudice deve essere equidistante dall’uno e dall’ altro. Ma fino ad oggi non è stato così. Provo a rendere l’ idea con l’immagine della bilancia della giustizia: i due piatti - cittadino e pm - sono fra loro in equilibrio finché il perno che li regge - il giudice - sta al centro. Se il giudice è invece più spostato verso il pm - perché hanno fatto il concorso insieme, perché sono negli stessi uffici, perché vanno al bar insieme - il piatto pende a suo favore e a danno del cittadino. Per questo è necessaria la separazione delle carriere". Il Guardasigilli sottolinea quindi come l’impianto generale della riforma preveda anche "gli interventi già approvati sul processo civile e la riforma del processo penale in attuazione dell’efficienza e del giusto processo, la costruzione di nuove carceri perché siamo contrari a indulti e amnistie".

Giustizia: avere processi più rapidi… questa una vera riforma

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 11 dicembre 2008

 

Le modifiche costituzionali non avrebbero evitato le tensioni fra procure. Se l’obiettivo primario, avvertito come tale dall’opinione pubblica, è quello dell’efficienza e della riduzione dei tempi, un’intesa si può trovare.

Nonostante il tempestivo intervento del Consiglio superiore della magistratura, che recependo le preoccupazioni del presidente Napolitano ha cominciato a fare chiarezza in un intreccio di anomalie altrimenti destinate ad avvitarsi su se stesse, l’incredibile vicenda dello "scontro" tra le Procure di Salerno e di Catanzaro continua a produrre gravi danni all’immagine della magistratura, anche sotto il profilo della sua professionalità. Inoltre la medesima vicenda, assunta strumentalmente come simbolica di tutti i mali della nostra giustizia, sta offrendo spazio al rilancio di proposte di riforma che nulla hanno a che fare con le patologie registratesi nei rapporti tra gli uffici giudiziari salernitani e quelli catanzaresi.

Si ricorderà, infatti, come già all’indomani del clamoroso affiorare di tali patologie molti uomini politici (dal ministro Alfano a diversi altri esponenti sia della maggioranza, sia anche dell’opposizione) avessero subito invocato un rapido accordo in materia di "riforme costituzionali della giustizia", lasciando in sostanza intendere che, se le riforme finora ventilate già si fossero realizzate, nulla di quanto è successo sarebbe accaduto.

Le cose, tuttavia, non stanno così. Anzi, ancora una volta i nostri uomini politici hanno preferito ricorrere ad una sorta di slogan magico, buono per tutte le occasioni (del tipo "occorrono riforme costituzionali"), quasi senza rendersi conto che nessuna delle riforme proposte, al riguardo, negli ultimi tempi sarebbe comunque stata in grado di evitare lo "scontro" tra Procure verificatosi sull’asse geografico Salerno-Catanzaro.

Sarebbe forse servita allo scopo un’eventuale separazione delle carriere (ovvero degli ordini) tra giudici e magistrati del pubblico ministero? Sarebbe servita allo scopo la modifica degli assetti interni del Csm, o addirittura la previsione di due distinti Csm, uno per i giudici, l’altro per i pubblici ministeri?

Certamente no, e sul punto non possono esservi dubbi. La verità è che queste riforme costituzionali (corrispondenti a quelle più volte prospettate da esponenti della maggioranza, e accreditate a livello governativo, sebbene mai formalizzate) attengono essenzialmente all’ordinamento istituzionale della magistratura come "potere", e quindi soprattutto ai delicati rapporti tra giustizia e politica; ma, proprio perciò, non produrrebbero alcuna diretta incidenza sul concreto svolgimento dell’attività processuale.

E lo stesso deve dirsi anche rispetto all’altra riforma costituzionale più volte vagheggiata, quella cioè relativa al ridimensionamento del principio di obbligatorietà dell’azione penale. A meno di non voler attribuire ad un organo politico (ma nessuno finora si è spinto a tanto) il potere di "bloccare" come non prioritarie determinate indagini: ad esempio, nel nostro caso, le indagini avviate dalla Procura di Salerno rispetto ai magistrati di Catanzaro e viceversa.

Su queste ed altre analoghe riforme costituzionali, dunque, sarà bene riflettere a mente fredda, senza spinte emotive e, soprattutto, senza fughe in avanti da parte della sola maggioranza di governo. Anche se è comunque da escludere che esse possano servire a risolvere problemi che (come nel caso della abnorme conflittualità esplosa tra le suddette Procure) derivano da una scorretta applicazione, o da una non compiuta definizione, dei meccanismi processuali.

Con ciò, tuttavia, non si vuol dire che oggi non sia necessario aggregare gli sforzi per intervenire, attraverso opportune riforme, sul terreno della giustizia penale. Deve trattarsi, però, di riforme che riguardino soprattutto il buon funzionamento della macchina processuale (ivi comprese quelle relative al coordinamento dei rapporti tra i diversi uffici del pubblico ministero): ossia la giustizia intesa come "pubblico servizio" reso ai cittadini, a cominciare dall’esigenza della riduzione degli intollerabili tempi di svolgimento dei processi.

È questo, infatti, ciò di cui si sente soprattutto il bisogno nelle aule dei tribunali, ed allo scopo non occorrono modifiche costituzionali. Sono sufficienti, invece, alcune ben calibrate riforme legislative ed organizzative - già da tempo note, del resto, agli studiosi ed agli operatori del processo penale - che, senza sacrificare le insopprimibili garanzie dell’imputato, puntino ad assicurare maggiore efficienza alle nostre procedure, in vista di una decisione "giusta".

Ma, se si riconosce che quello dell’efficienza è l’obiettivo prioritario (avvertito come tale dall’intera opinione pubblica) si è già sulla buona strada. E non dovrebbe poi essere difficile individuare, in tale direzione, un’ampia piattaforma di proposte condivise dall’uno e dall’altro schieramento politico.

Giustizia: educatori carcerari; scandalo di mancate assunzioni

 

Apcom, 11 dicembre 2008

 

Parlano di "scandalo senza fine" gli educatori penitenziari, che denunciano la mancata assunzione dei vincitori di concorso e annunciano di volersi rivolgere al capo dello Stato Giorgio Napolitano. "Gli educatori penitenziari vincitori di concorso non vengono assunti - spiega Roberto Greco, segretario nazionale del Collettivo educatori penitenziari, rappresentativo di oltre 300 iscritti in tutta Italia - ma dobbiamo ascoltare il ministro e oggi anche il sindaco di Roma annunciare la costruzione di nuove carceri.

Allora qualcuno ci deve spiegare: i soldi ci sono o non ci sono? Se ci sono i miliardi di euro che servono per costruire nuove carceri, perché non ci sono i milioni per assumere chi ha vinto un regolare concorso?". "Il ministro - aggiunge Greco - ha solennemente promesso la nostra assunzione, ma poi è scomparso: nessuno ci ha chiamato, nessuno ci ha fatto sapere nulla. Ora basta. Non siamo più disposti a subire questo scandalo e il nostro prossimo passo - conclude - sarà quello di rivolgerci al Capo dello Stato, per chiedere che sia fatta giustizia, assumendo chi ha vinto il concorso".

Giustizia: Fazio; sanità penitenziaria... è tutto sotto controllo!

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

Il sottosegretario alla Salute rassicura: "Non ci saranno costi aggiuntivi. L’intera operazione è finanziariamente neutrale". Un ente terzo vigilerà sulla qualità delle prestazioni nelle regioni.

"La situazione è sotto controllo. Stiamo procedendo come da programma con l’applicazione del provvedimento di legge che ha trasferito la sanità penitenziaria dalle competenze del ministero della Giustizia a quelle della Salute. Non ci saranno costi aggiuntivi. L"intera operazione è finanziariamente neutrale".

Così si è espresso oggi il sottosegretario alla Salute, Ferruccio Fazio che ha partecipato al convegno nazionale sulla riforma della sanità penitenziaria organizzato a Roma dal Forum per il diritto alla salute in carcere. Fazio ha risposto anche a molte domande dei partecipanti al convegno (operatori sociali, funzionari comunali o regionali, esperti) a proposito dei possibili ostacoli alla realizzazione piena della riforma.

Anche per quanto riguarda i problemi relativi agli avanzamenti di carriera e comunque all’omogeneizzazione dei livelli professionali (un infermiere ha uno stipendio più alto se inquadrato con la Salute invece della Giustizia), il sottosegretario Fazio ha dichiarato che se ci saranno da fare aggiustamenti, si faranno. È chiaro comunque che il discorso relativo ai finanziamenti e alle risorse disponibili non riguarda il ministero della Salute, ma quello dell’Economia. Alla fine dovrà decidere il ministro Tremonti.

Anche per quanto riguarda le possibili diseguaglianze di trattamento che si potrebbe avere nelle diverse regioni, Fazio ha spiegato che è già stato avviato un tavolo per l’aggiornamento dei prontuari regionali e che comunque il governo ha intenzione di delegare un ente terzo affinché vigili per la garanzia della qualità delle prestazioni in tutte le regioni italiane. "Federalismo - ha spiegato Fazio - non vuol dire autarchia o separatezza". In generale il sottosegretario alla Salute ha voluto fare un elogio del sistema sanitario pubblico, uno dei migliori nel mondo. "Un sistema - ha spiegato Fazio - che ora anche gli Stati Uniti vogliono studiare perché hanno capito che il loro sistema non funziona in modo ottimale, visto che ci sono 40 milioni di non assistiti in quel paese".

In conclusione dunque, secondo la versione del sottosegretario alla Salute, non esistono in questo momento particolari problemi finanziari per portare a termine la riforma della sanità penitenziaria, mentre dal punto di vista dei passaggi formali manca solo ora l’approvazione definitiva della conferenza delle Regioni. L’appuntamento è per il 18 dicembre prossimo. Non è invece convinto del discorso rassicurante di Fazio sulla "neutralità finanziaria" del trasferimento delle competenze della sanità penitenziaria alla Salute il presidente di Lega Autonomie, Oriano Giovanelli, che è intervenuto al convegno subito dopo il sottosegretario.

Giustizia: sanità; Lega Autonomie preoccupata per le risorse

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

Il presidente Giovannelli: ''La nostra vera preoccupazione riguarda il buco che si potrà venire a creare nel budget generale per la sanità nei prossimi anni''. Mancheranno ''7 miliardi di euro, tra il 2009 e il 2011''.

"Siamo molto contenti delle dichiarazioni del sottosegretario Fazio che oggi ha descritto il sistema sanitario pubblico come uno dei migliori al mondo, un sistema che perfino negli Usa è diventato oggetto di studio. Ma nello stesso tempo siamo preoccupanti per la possibile mancanza di risorse finanziarie per la sanità da qui al 2011 e per le dichiarazioni del ministro Sacconi che sembra spingere per l'introduzione di fondi sanitari privati”. E' questo il commento di Oriano Giovanelli, presidente di Legautonomie, che è intervenuto oggi al convegno sulla riforma della sanità penitenziaria subito dopo il sottosegretario Fazio.
“La nostra vera preoccupazione – ha spiegato Giovanelli – riguarda il buco che si potrà venire a creare nel budget generale per la sanità per i prossimi anni. Rispetto alle necessità e al trend normale di crescita della spesa, mancheranno all’appello 7 miliardi di euro, tra il 2009 e il 2011”. Ovviamente il “buco” si potrà riverberare nello specifico anche sulla sanità penitenziaria, visto che ora dipende direttamente dal ministero della Salute. A proposito della linea proposta dal ministro Sacconi, quella appunto dell’introduzione anche in Italia dei fondi sanitari privati, il presidente Giovanelli ha detto che si tratta di una proposta molto discutibile. “E’ ovvio – ha spiegato – che ognuno di noi, se potesse scegliere, sceglierebbe di farsi confezionare un abito su misura dal sarto, piuttosto che acquistarlo in un grande magazzino anonimo. Lo stesso discorso vale per la sanità. A tutti piacerebbe una sanità su misura, ma se la privatizziamo c’è il rischio serio che a qualcuno sarà garantito un vestito su misura, mentre altri saranno costretti ad andare in giro nudi”.
I lavori del convegno erano stati introdotti nella mattinata da Bruno Benigni, presidente del Centro Franco Basaglia di Arezzo e animatore del Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere, oggi autore anche di un libro sulla riforma (“Sani dentro”).  Nel corso del dibattito sono emerse le criticità e i punti ancora da affrontare per un riforma di grande civiltà. L’aver uniformato i trattamenti e aver reso tutti uguali i cittadini nei confronti della malattia è stato il modo migliore per applicare il dettato costituzionale e per far vivere la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che proprio quest’anno, insieme alla nostra Costituzione repubblicana, compie 60 anni.

Giustizia: Alemanno; l'indulto ha fallito, servono nuove carceri

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

Per contrastare "il sovraffollamento" bisogna "costruire nuove carceri. L’indulto è stata un’esperienza fallimentare dato che sono tornate più affollate di prima". Il giudizio è del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, al termine della sua visita al penitenziario del Regina Coeli, dove stamani è stata inaugurata la nuova pavimentazione della rotonda di accesso alle sezioni. "Anche a Roma - ha spiegato Alemanno - con il ministero della Giustizia stiamo ragionando sul progetto di revisione della cittadella giudiziaria".

Prima della cerimonia il sindaco si è intrattenuto con i vertici dell’amministrazione penitenziaria per discutere l’istituzione di un tavolo che raccolga gli orientamenti per una soluzione alternativa riguardo Regina Coeli, carcere dove ci sono circa 950 detenuti di cui il 60% stranieri e il 30 tossicodipendenti, attualmente ubicato impropriamente in una zona centrale della città.

Giustizia: Antigone; "carceri d’oro", fu la prima Tangentopoli

 

Ansa, 11 dicembre 2008

 

"La prima tangentopoli italiana è stata quella delle carceri d’oro". Lo ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone commentando l’annuncio del ministro Alfano che il governo costruirà nuove carceri con il coinvolgimento di privati. Poi Gonnella ricorda gli ultimi tentativi, in ordine di tempo, di edilizia penitenziaria affidata ai privati "Riproduco testualmente - dice Gonnella - una dichiarazione di Giovanni Tinebra, ex capo dell’amministrazione penitenziaria ai tempi del guardasigilli Roberto Castelli: "le prime nove carceri - spiega Tinebra - saranno realizzati con fondi dello Stato, messi a disposizione dal ministero delle Infrastrutture. Per tutti gli altri, invece, le risorse verranno raccolte attraverso la Patrimonio S.p.A.. Saranno fondi - sottolinea Tinebra - messi insieme grazie alla dismissione delle vecchie carceri". Non successe nulla anche quella volta. Nessun privato fu disponibile a mettere il becco di un quattrino".

"Nessuna dismissione di carceri vecchie fu realizzata - prosegue - o meglio qualcosa successe. Fu costituita da Tremonti e Castelli una società, la Dike Aedifica, il cui operato ha interessato la magistratura". "Uno dei suoi consulenti - dice ancora Gonnella - fu subito indagato per corruzione. Inoltre la Corte dei Conti il 28 giugno 2005 sostenne ufficialmente che "la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Gli stanziamenti recati dalle leggi n. 41 e n. 910 del 1986, per complessivi 2.600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto".

"La Corte ha espresso perplessità sulla convenzione stipulata dal Ministero della giustizia con la società Dike Aedifica S.p.a., interamente partecipata dalla Patrimonio S.p.a. appartenente al Ministero dell’economia e delle finanze: la convenzione - dice Gonnella - che non risulta formalmente approvata dall’Amministrazione e neppure pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, contiene clausole contraddittorie che confliggono in più punti con le competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti". "Poi - ricorda - provarono a privatizzare il carcere di Castelfranco Emilia affidandolo alla Comunità di San Patrignano. Non ci riuscirono, fortunatamente".

Giustizia: class action depotenziata, ricorsi solo da luglio 2008

di Luca Iezzi

 

La Repubblica, 11 dicembre 2008

 

In arrivo il depotenziamento della class action. Il governo sta lavorando alle nuove norme che regoleranno le azioni di risarcimento collettivo e le associazioni dei consumatori denunciano lo stravolgimento del meccanismo approvato nell’ultima Finanziaria del governo Prodi, ma mai applicato.

Secondo il testo divulgato dall’Unione dei consumatori, i tecnici del ministero dello Sviluppo economico vogliono rendere impossibile denunciare violazioni avvenute prima del primo luglio 2008. Quindi sparirebbero nel nulla le azioni di risarcimento su gran parte delle vicende che hanno colpito risparmiatori e consumatori negli anni scorsi (Parmalat, Cirio, Argentina) e si rivelerebbero totalmente vani i numerosi annunci di una class action in preparazione che si sono succeduti in questo anno di "attesa".

Non solo, proprio le associazioni dei consumatori secondo la nuova disciplina perderebbero il ruolo di promotori. E dire che nel dibattito al momento dell’approvazione si discusse un’ipotesi esattamente contraria: allargare tale facoltà non solo alle sigle riconosciute nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu), ma anche ad altri enti come le associazioni ambientaliste e di tutela dei diritti in senso ampio.

Saranno i singoli utenti ad avviare le Class action: "Più che togliere potere a noi, hanno trovato il modo migliore per rendere inutilizzabile questo strumento - dichiara Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione dei consumatori - i rischi e i costi per un singolo che avvia un’azione collettiva sono enormi e quasi in nessun caso si rivelerà conveniente. Lo stesso giudice, in un altro comma dell’emendamento, può rifiutare la richiesta qualora il proponente non appaia in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe".

Mercoledì prossimo al ministero è prevista una nuova riunione con i rappresentanti del Cncu, ma è probabile che la nuova legge sarà presentata dal governo senza molti margini di modifica. Non sono invece previsti "filtri" aggiuntivi all’ammissibilità, come richiesto da Confindustria che temeva un numero infinito di ricorsi in grado di bloccare le attività e alzare i costi legali per le aziende.

L’esecutivo ha la necessità di arrivare ad approvare una nuova disciplina entro il 31 dicembre perché sta scadendo il "congelamento" deciso in estate per correggere il testo votato dal centrosinistra. Già con l’esame della Finanziaria 2009 era emersa la necessità di un’accelerazione: un ordine del giorno presentato dai senatori del Pd, tra cui Felice Casson, Gerardo D’Ambrosio e Gianrico Carofiglio avevano fatto approvare un ordine del giorno in cui impegnava il governo "rendere operative in tempi certi le norme sull’azione collettiva risarcitoria".

Il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati ha dichiarato ieri: "Il governo dovrebbe essere in procinto di presentare al Senato un emendamento relativo alla disciplina dell’azione risarcitoria collettiva" ha affermato Emendamento che dovrebbe essere proposto ad uno dei dl sulla manovra proprio per ottenerne l’approvazione entro la fine dell’anno. Più improbabile l’inserimento nel pacchetto di riforma della Giustizia nella parte riguardante il processo civile.

Giustizia: Touring Club; più rigore, contro il turismo sessuale

di Roberto Ruozi (Presidente del Touring club italiano)

 

Italia Oggi, 11 dicembre 2008

 

Il sottosegretario al turismo, onorevole Michela Vittoria Brambilla, ha recentemente attirato l’attenzione degli operatori turistici e, più in generale, dell’opinione pubblica, sui cosiddetti viaggi del sesso, che pare coinvolgano annualmente oltre 80 mila viaggiatori italiani, riguardando a livello mondiale quasi 3 milioni di minori sfruttati in modo barbaro e disumano per soddisfare le brame di inqualificabili persone, che non conoscono i limiti entro i quali ci si dovrebbe comportare per rispettare le regole di un’umana convivenza civile.

Il problema non è nuovo, ma proprio perché continua a esistere, senza che di fatto nessuno, né in Italia né all’estero, se ne occupi seriamente, è bene che sia stato nuovamente sollevato. È altrettanto bene che l’onorevole Brambilla abbia proposto una campagna di comunicazione e di sensibilizzazione coinvolgendo varie componenti della società e, in primis, gli operatori turistici.

Ho tuttavia la sensazione che campagne di questo genere diano risultati solo nel medio e lungo periodo, perché presuppongono un cambiamento nei comportamenti di persone che, come i protagonisti dei viaggi del sesso, hanno la pelle e la testa dura. Tali campagne si affidano del resto alla collaborazione spontanea e volontaria degli operatori che, specialmente in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando, hanno mille cose a cui pensare e difficilmente metteranno l’attenzione per i viaggi in questione nella scala alta delle proprie priorità quotidiane.

Anche la proposta adozione di codici etici da parte dei suddetti operatori è benvenuta, ma darà effetti non automatici, che si produrranno comunque anch’essi in un periodo non breve.

Il Touring club italiano condivide in ogni caso tutto ciò e si dichiara disponibile a fare la propria parte per raggiungere l’obiettivo, che è un obiettivo di civiltà. Del resto, un importante articolo sulle difese dei bambini vittime del turismo sessuale è già apparso sul nostro mensile Qui Touring nel settembre 2008, quasi inconsciamente spianando la strada all’azione del sottosegretario Brambilla.

Con l’occasione, vorremmo tuttavia proporre qualche provvedimento più drastico e che potrebbe avere effetti più immediati. Mi riferisco innanzitutto alla più rigida e dettagliata applicazione della legge vigente, la quale sancisce che il cittadino italiano è perseguibile per reati concernenti la pedofilia e lo sfruttamento dei minori anche quando sono commessi all’estero, come è appunto il caso che qui si considera.

C’è già stata qualche esemplare condanna in tal senso, ma l’attenzione delle pubbliche autorità sull’argomento dovrebbe essere molto maggiore. Solo allora la legge, anziché fungere da semplice modello ideale di riferimento, potrà trasformarsi in efficace deterrente per i male intenzionati.

Potrebbero inoltre essere determinanti l’organizzazione di una sorta di embargo turistico nei riguardi dei paesi che maggiormente si distinguono per le attività che stiamo esaminando e la forte penalizzazione delle agenzie di viaggio che, esplicitamente o meno, ma in modo comunque ben percepibile dai potenziali clienti, vendono i viaggi del sesso e che dovrebbero essere considerate complici dei suddetti clienti anche a fini penali.

Quando un certo numero di queste agenzie fosse chiuso più o meno temporaneamente e quando l’accesso a determinati paesi fosse di fatto precluso, l’azione delle campagne di comunicazione e dei codici etici diventerebbe enormemente più efficace e le probabilità che la vergogna possa finire sarebbero più elevate.

Giustizia: prostitute… la lotta di classe adesso la facciamo noi

di Pia Covre

 

Liberazione, 11 dicembre 2008

 

Lotta di classe. Questa è la guerra scatenata dalle ordinanze dei sindaci e dal ddl Carfagna contro i sex work e i loro clienti. Sì perché non è una lotta contro la prostituzione, né una lotta contro lo sfruttamento, che continueranno ad esistere in luoghi nascosti e segreti. Bensì è guerra alla prostituzione a basso costo. Ordinanze e ddl puntano a colpire la prostituzione a basso costo, quella prostituzione che sta in strada perché non si può permettere alti costi di affitto per il luogo di lavoro e per le prestazioni. Quindi a colpire le più povere delle sex work e i più poveri dei clienti.

Il disegno è palese. Questo è ormai diventato un paese in crisi, dove si cerca di assicurare i privilegi alle classi medio-alte. Dove il governo sta preparando gli strumenti normativi per domare ogni tentativo di ribellione e di contestazione. L’attacco "ideologico" ad ogni diversità usato mediaticamente per far crescere la paura e giustificare il pacchetto sicurezza, le leggi contro l’emergenza rifiuti, contro l’emergenza nomadi, contro l’emergenza prostituzione.

Norme che tornano utili contro ogni "emergenza" e in ogni piazza, per essere pronti a norma di legge a proibire ogni velleità di protesta. Allora meglio se una breve leggina (ddl Carfagna) in un baleno può già trasformare un cittadino in un criminale. Le sex work, le transessuali, le giovani prostituite contro la loro volontà che stanno sui marciapiedi si sentono ogni giorno più incerti e precari, e non a causa dei tacchi a spillo! Ma a causa di quella precarietà fatta di mancanza di diritti e di lavoro, che è la stessa che ormai permea la vita di ogni giovane studente, lavoratore precario, pensionato o futuro pensionata.

Le sex work sulla strada vivono ormai impaurite: paura autentica che è maturata a causa delle tante aggressioni subite, delle retate quotidiane della polizia spesso condotte con arroganza e minaccia e concluse con gli abusi. Paura perché si sente di essere abbandonati all’indifferenza che sfocia spesso in stigmatizzazione, odio e razzismo. Quale resistenza possiamo opporre per fronteggiare questi disegni securitari e criminogeni del ddl Carfagna? In una democrazia non truccata c’è il parlamento, sempre a patto che ci sia un’opposizione forte, unita e ben attrezzata con argomenti metabolizzati sul tema della prostituzione e la necessaria laicità che dovrebbe esserci per parlare di lavoro sessuale.

Da parte nostra possiamo e dobbiamo scendere in piazza per far conoscere la realtà. La piazza serve a ricordare che esistono violazioni dei diritti umani, che si propongono leggi anticostituzionali. Serve a dire a tutti che serve far fronte comune contro le politiche solo repressive e che non pensano ai bisogni sociali dei cittadini e cittadine più fragili. Ma soprattutto far sapere ai ministri promotori del ddl sulla prostituzione che noi non ci stiamo. Non stiamo zitti/e ma protestiamo e anzi per un giorno ci prendiamo piazza Farnese per scrivere, noi, la nostra storia.

Giustizia: appello; "adeschiamo diritti" sabato tutti/e in piazza

 

Liberazione, 11 dicembre 2008

 

Dalla presentazione del disegno di legge Carfagna sulla prostituzione e con le ordinanze di tanti sindaci in Italia si è creato un pericoloso clima di intolleranza verso tutte le persone che si prostituiscono. Insieme al ddl si sono avviate campagne politico-mediatiche per alimentare l’allarme sociale e la paura dei cittadini. Sulle persone socialmente "deboli" (della cui sicurezza non ci si preoccupa), si vuole oggi indirizzare l’insicurezza e la paura della gente facendole diventare il capro espiatorio su cui sfogare le frustrazioni di un Paese che sta impoverendo in tutti i sensi.

La "sicurezza" sta diventando l’abbaglio e il pretesto per escludere e discriminare i più "deboli", i "diversi" e gli "stranieri", nei confronti dei quali sono aumentate aggressioni, violenze, discriminazioni che si fanno passare come normali, endemici e scontati atti di violenza metropolitana, sottacendone l’origine razzista, sessista, omo-transfobica.

Sulla paura e sull’insicurezza si sono costruite campagne che non risolvono ma ingigantiscono i problemi, dei quali si continua a non considerare le cause cercando semplicemente di eliminare gli effetti per mezzo della ricetta più semplice, quella di nascondere. Esattamente quello che si sta tentando di fare con la prostituzione: renderla invisibile. Ma in questo modo non si tutelano i diritti di nessuno. In questo modo si riducono i diritti di tutti: il ddl Carfagna sulla prostituzione non tiene assolutamente in considerazione l’esperienza di tutte quelle persone (trans, donne, uomini) che hanno scelto liberamente di vendere prestazioni sessuali, né risponde ai bisogni delle persone che esercitano la prostituzione per vivere o sopravvivere. Le emargina soltanto, senza neppure offrire una alternativa; inoltre, contrariamente a quanto afferma il governo, il ddl aggrava la condizione di chi è sfruttato ed è vittima della tratta di esseri umani, fenomeno molto frequente, che riguarda moltissime persone straniere che si prostituiscono in strada, spingendo le persone nel sommerso di appartamenti e locali, rendendole irraggiungibili e completamente sotto il controllo degli sfruttatori; infine, il disegno di legge non renderà i cittadini più sicuri, poiché la sicurezza si costruisce innanzitutto creando condizioni di benessere diffuso, di convivenza pacifica, di rispetto, di pari opportunità, di diritti per tutti e non spingendo al chiuso e nei ghetti fenomeni sociali e persone che fanno parte della nostra società.

Questo ddl attacca i principi di libertà garantiti dalla Costituzione, priva di diritti le persone che esercitano la prostituzione, minaccia seriamente la loro salute e la loro sicurezza, non tutela l’incolumità delle vittime di sfruttamento, non permette di portare avanti i servizi che da anni operano attività di riduzione del danno e di prevenzione sanitaria che da sempre garantiscono il diritto alla salute dell’intera comunità (contatto, informazione, sensibilizzazione ed accompagnamento che svolgono gli operatori sociali direttamente in strada con le persone che si prostituiscono). Questo ddl rischia inoltre di depotenziare il sistema di tutela e assistenza delle vittime di grave sfruttamento e tratta di persone, che pure rappresenta un punto di eccellenza dell’Italia nel panorama internazionale: le vittime non avranno più accesso ai programmi di aiuto poiché non potranno essere più contattate dalle unità di strada, ed anche per le forze dell’ordine il contatto sarà più difficile.

Ci opponiamo al ddl perché crediamo che le persone debbano essere: libere dalla violenza a cui vuole condannare il ddl Carfagna costringendo le persone ad esercitare la prostituzione al chiuso, dove è più difficile difendersi dalla violenza e dove aumenta la precarietà. Il ddl non considera il fatto che chi si prostituisce non commette reati contro terzi ma spesso li subisce (violenze, stupri, rapine, sfruttamento, riduzione in schiavitù); non considera inoltre che violenza, sfruttamento, riduzione in schiavitù già sono presenti in una parte della prostituzione al chiuso esercitata negli appartamenti o tramite i locali notturni.

Il ddl inoltre, in evidente violazione degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato italiano relativamente alla protezione dei minori, prevede il rimpatrio forzato delle persone minorenni non italiane che si prostituiscono, costringendole a tornare nei luoghi dai quali sono fuggite. Questo significa molto spesso immettere una seconda volta le vittime nel circuito dello sfruttamento e in una condizione di vulnerabilità ancora maggiore.

Libere di poter accedere e di usufruire di servizi e opportunità mentre invece il ddl Carfagna - con il suo estremismo securitario e la sua impostazione esclusivamente repressiva - toglie ogni prospettiva futura per chiunque voglia abbandonare la prostituzione. Le persone trafficate vedranno ridotte drasticamente le loro possibilità di accedere ai programmi di assistenza e protezione sociale in quanto sempre più irraggiungibili dagli operatori sociali ma anche dalle forze dell’ordine, che verranno viste come nemiche anziché come un punto di riferimento. A chi esercita la prostituzione per mancanza di alternative e a causa della discriminazione (si pensi alle transessuali), non viene offerta alcuna alternativa, nessuna misura di supporto all’inclusione sociale e all’inserimento lavorativo.

Libere di scegliere mentre il ddl Carfagna non tiene in considerazione il fatto che la prostituzione possa essere una scelta, né garantisce aiuto alle vittime di tratta e sfruttamento, né offre alternative a chi vorrebbe abbandonare l’attività prostitutiva ma ha bisogno di un sostegno. Libere dal pregiudizio mentre il ddl, criminalizzando la prostituzione, aumenta lo stigma e il pregiudizio verso chi la pratica, esponendo le persone a violenze, persecuzioni, discriminazioni e maggior emarginazione.

Libere di agire mentre il ddl, per salvaguardare il "pubblico pudore", impone norme di comportamento a tutte e tutti. In questo modo si limita la libertà, l’autodeterminazione e si ledono i diritti. Per tutti questi motivi stiamo promuovendo un evento pubblico a Roma per il 13 dicembre 2008 e ci auguriamo di poter contare sulla più ampia partecipazione. Un evento che veda insieme le persone che si prostituiscono, gli operatori sociali, la cittadinanza, personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura. Una manifestazione per i Diritti e per la Libertà di Scegliere.

Per aderire all’iniziativa nella qualità di enti sostenitori, siete pregati di scrivere alla seguente mail: adesione13dicembre@gmail.com". Le adesioni possono venire sia da enti che da singoli. Una prima tornata di adesioni verrà chiusa il 27 novembre, per iniziare a pubblicizzare l’iniziativa.

Gli enti promotori: Arci; Asgi; Associazione Cantieri Sociali; Associazione Giraffa; Associazione Libellula; Associazione Naga; Associazione On the Road; Associazione radicale Certi Diritti; Cnca - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza; Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute; Consorzio di cooperative sociali "Gesco Campania"; Coooperativa Sociale Dedalus; Coordinamento transessuale "Silvia Rivera"; Gruppo Abele; La strega da bruciare; Mit - Movimento di Identità Transessuale; Piam onlus; Provincia di Pisa; Rivista Carta; Ufficio Pastorale Migranti Piemonte.

Giustizia: Ricucci patteggia tre anni, è libero grazie all’indulto

 

Il Tempo, 11 dicembre 2008

 

Dopo la condanna ad un anno di reclusione inflittagli a Milano per la scalata ad Antonveneta, Stefano Ricucci chiude i conti anche con la magistratura romana.

Patteggia tre anni, ma per effetto dell’indulto, non sconterà neanche un giorno di carcere. Eppure, per la fallita scalata alla Rcs, la compravendita fittizia dell’immobile in via Lima (ceduto a Confcommercio), la gestione del patrimonio immobiliare di Confcommercio e la gestione dell’assegnazione della gara d’appalto del patrimonio immobiliare Enasarco, fatti per i quali era finito sotto processo insieme con altre sette persone, l’immobiliarista fu detenuto per quasi tre mesi, dal 18 aprile al 14 luglio 2006. La sentenza emessa oggi dai giudici della quinta sezione del tribunale, presieduta da Maria Luisa Ianniello, ha premiato la scelta del rito del patteggiamento fatta dall’imputato (sconto di pena di un terzo) e la congruità della pena sollecitata. Non è andata altrettanto bene ad un altro imputato, il commercialista Luigi Gargiulo, collaboratore di Ricucci, la cui richiesta di condanna ad un anno e dieci mesi di reclusione non è apparsa ai giudici adeguata all’entità dei fatti contestati.

Corruzione, aggiotaggio, falso e appropriazione indebita i reati che erano stati contestati a Ricucci dai pm Giuseppe Cascini, Rodolfo Sabelli e Giuseppe De Falco. Nel procedimento sono coinvolti anche l’ex presidente di Confcommercio Sergio Billè, il figlio Andrea, Giuseppe Colavita, Francesco Bucci Casari, Fulvio Gismondi e Donato Porreca. Le loro posizioni, insieme con quella di Gargiulo, saranno ora esaminate da un altro collegio. La quinta sezione si è infatti dichiarata incompetente essendosi già pronunciata su uno degli imputati. Gli atti processuali saranno quindi restituiti all’ufficio di presidenza del tribunale affinché venga nominato un nuovo collegio. La comunicazione ufficiale ci sarà il 7 gennaio prossimo.

Per Ricucci, all’epoca dei fatti ritenuto uno degli elementi di spicco della finanza italiana e, da qualcuno, soprannominato "furbetto del quartierino", non c’è solo il riconoscimento di una responsabilità penale. Il tribunale lo ha condannato anche al pagamento delle spese processuali ed, in più, ad una serie di sanzioni amministrative. In particolare, l’immobiliarista dovrà risarcire le spese legali sostenute dalle parti civili: Confcommercio (30 mila euro), Enasarco (20 mila), Consob (8.800) e Immobiliare Confcommercio (30 mila). Quanto alle sanzioni amministrative per le società del gruppo Ricucci, i giudici hanno disposto 103 mila euro per Magiste Real Estate, 250 mila per Magiste International S.A. e 250 mila per la Garlsson. È stata infine disposta la confisca di un milione di euro della società Magiste International. Tra le interdizioni inflitte all’imputato ci sono quelle, per tre anni, relative ad uffici direttivi, rappresentanze tributarie e contrattazione con la pubblica amministrazione.

Ricucci fu arrestato poiché, per gli inquirenti, sussistevano i pericoli di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato in relazione alla collocazione delle sue quote del pacchetto azionario Rcs. Secondo i magistrati, l’immobiliarista avrebbe da un lato gestito in maniera pubblica la negoziazione del suo 14 percento di quote con un istituto di credito, ma dall’ altro avrebbe tentato di ricollocare, grazie a una società con sede in Lussemburgo, le quote in Rcs. Da qui il pericolo di reiterazione del reato di aggiotaggio informativo e l’ esigenza della custodia cautelare in carcere.

Cagliari: una bimba 22 mesi in carcere intervenga il magistrato

 

Adnkronos, 11 dicembre 2008

 

"È necessario un immediato intervento del magistrato per impedire che una bambina di circa 2 anni, dopo aver trascorso in carcere Ferragosto, debba aspettare dietro le sbarre di Buocammino anche Babbo Natale. La situazione è ancora più delicata perché la madre è incinta e partorirà all’inizio della primavera, presumibilmente a marzo. Il ripetersi di questi episodi rende improcrastinabile la predisposizione di strutture idonee che evitino ai bambini, spesso neonati, di finire dietro le sbarre". Lo sostiene il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione Diritti Civili, con riferimento alla presenza nel carcere cagliaritano di una bambina figlia di un’extracomunitaria arrestata e processata per traffico di droga.

"Purtroppo quello della piccola Josephine - ha aggiunto Caligaris - è anche l’ennesimo caso conseguente il mancato rispetto della legge finanziaria regionale dello scorso anno che ha disposto un apposito finanziamento per allestire strutture alternative al carcere in presenza di minori di 3 anni".

"Non c’è ragione alcuna - spiega la Caligaris - che possa giustificare la presenza di una bimba in un ambiente inadeguato e pericoloso per la salute. Dinnanzi a questi eventi, al senso d’impotenza degli operatori penitenziari, si aggiunge l’amarezza di non poter garantire il rispetto dei diritti di chi non ha commesso alcun reato e gli viene negata l’opportunità di vivere la prima infanzia". "In attesa di un provvedimento che assicuri alla bambina e alla madre accoglienza in un luogo adatto alla loro condizione, auspico - ha concluso Caligaris - un’iniziativa regionale con la disposizione di spazi che favoriscono un maggiore utilizzo delle pene alternative alla detenzione".

Bergamo: taglio del 25% ai fondi, a rischio il lavoro in carcere

 

Asca, 11 dicembre 2008

 

È il primo in Italia "Detenuti al lavoro", il progetto organizzato da Bergamo Formazione in collaborazione con la Camera di Commercio e dieci associazioni economiche di categoria. Partito l’anno scorso con la formazione dei comunicatori specializzati inseriti nelle associazioni, questo lavoro ha permesso di offrire lavoro a una cinquantina di detenuti presso aziende bergamasche di diversi settori.

I risultati del primo anno di lavoro, nel quadro della situazione carceraria ed economica lombarda, sono stati presentati nel convegno "Lavoro Carcere e imprese" presso la borsa Merci, alla quale hanno partecipato anche i direttori delle case circondariali di Bergamo Antonio Porcino e di Monza, Massimo Parisi, la presidente dell’associazione Carcere-Territorio Valentina Lanfranchi e il magistrato di sorveglianza Monica Lazzaroni.

Grande interesse ha suscitato la realizzazione da parte dell’Aspan, l’associazione panificatori, all’interno della Casa circondariale di Bergamo che ha permesso di dare un mestiere sicuro a molti detenuti. Il futuro non si presenta però roseo, perché il taglio del 25% dei fondi al sistema carcerario rischia di azzerare ogni progetto di reinserimento, nonostante sia provato che il lavoro abbassa le recidive al 5% contro il 58% della media nazionale.

Fra le idee uscite dal convegno (i risultati del progetto sono stati presentati da Cristiano Arrigoni e Silvia Campana di Bergamo Formazione) c’è l’ipotesi - ma la legge oggi non lo permette - di utilizzare il forno di panificazione per produrre in futuro il pane della casa circondariale di via Gleno e della vicina casa di riposo.

Pavia: la coop. sociale "Il Convoglio", dalla parte dei detenuti

 

La Provincia Pavese, 11 dicembre 2008

 

La Cooperativa Sociale "Il Convoglio" di Pavia che da anni si occupa del reinserimento dei detenuti ha nominato un nuovo consiglio di amministrazione: il neo presidente è Sergio Contrini, (che già presiede l’Asp ed è stato per anni assessore ai Servizi sociali del Comune di Pavia), il suo vice è don Stefano Penna, il terzo componente è Piero Morardo.

L’attività della cooperativa sociale dal 2002 si sviluppa con la gestione di un forno all’interno della casa circondariale che produce il pane per i detenuti (prima esperienza in Italia) e dal 2003 gestisce una Casa di accoglienza. Dall’ottobre 2006 è stato aperto un punto di vendita con produzione diretta di pane e pizze; la Cooperativa gestisce anche, in convenzione con il Comune, il deposito di biciclette della Stazione.

"Il Convoglio" è nato nel 2000 per dare risposta alla necessità di favorire un migliore inserimento dei detenuti e anche una loro preparazione all’uscita del carcere con una formazione e un impegno diretto all’interno della struttura di reclusione" spiega Contrini.

L’idea di una cooperativa per detenuti, la prima e unica di questo genere a Pavia e provincia, era nata da un convergere di idee tra la Chiesa di Pavia e alcuni laici e ora coinvolge altre istituzioni: Comune di Pavia amministrazione provinciale, Caritas, Asl e Regione Lombardia.

Livorno: solidarietà per Maria Ciuffi madre di Marcello Lonzi

 

Comunicato stampa, 11 dicembre 2008

 

Martedì 16 dicembre un’altra tappa dell’estenuante battaglia legale di Maria Ciuffi per arrivare alla verità sulla morte in carcere di suo figlio Marcello Lonzi. Maria è stata convocata nello studio del procuratore di Livorno dott. Giaconi alle ore 12.00 per informarla sugli sviluppi dell’indagine riaperta dalla procura dopo la precedente frettolosa archiviazione del caso come morte avvenuta per "cause naturali".

Il corpo di Marcello, riesumato l’anno scorso in seguito alle pressioni della madre e di quanti non credono alla solita verità di stato, ha portato a una nuova perizia medico legale che ha evidenziato ulteriori traumi e fratture subiti da Marcello prima di morire. In seguito alla nuova perizia il caso fu riaperto: nuovo giro di interrogatori di guardie e detenuti presenti nel carcere quel maledetto giorno di luglio del 2003.

Sembra che nel registro degli indagati siano stati iscritti due guardie ed un detenuto e che il magistrato abbia ordinato un’ ulteriore perizia medico legale. Di tutto questo ed altro sarà probabilmente messa al corrente Maria nel colloquio di martedì, non lasciamola sola! Maria è ammalata, le sue energie le sta spendendo tutte in una battaglia impari contro poteri forti che difficilmente saranno messi sotto accusa, ultimamente è minacciata di sfratto dalla casa popolare in cui vive a Pisa, neanche il comune sembra avere un briciolo di sensibilità verso una donna, una madre che sta lottando anche per tutti noi. Per chi può l’appuntamento è sotto il tribunale di Livorno dalle 12.00.

Pordenone: presidente Regione; sì al nuovo carcere a San Vito

 

Il Gazzettino, 11 dicembre 2008

 

In occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Edouard Ballaman, ha visitato oggi il carcere di Pordenone. "Esigenze strategiche ed economiche - ha detto Ballaman - impongono che le carceri sorgano accanto ai Palazzi di giustizia. Visti, però, i limiti oggettivi di cui soffre la struttura e visti i già troppo lunghi tempi di attesa per far partire il progetto di ristrutturazione, è auspicabile che la nuova sede - ha concluso - sorga pure fuori città, anche a San Vito al Tagliamento, se questa risulta essere la soluzione migliore".

"Il carcere? Piuttosto che non farlo o aspettare chissà ancora quanto tempo meglio venga realizzato a San Vito". Anche il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, si converte alla caserma Dall’Armi, sito indicato dal Ministero come meno costoso per ospitare il carcere. Ballaman ha visitato ieri la struttura penitenziaria del capoluogo. "Esigenze strategiche ed economiche impongono che le carceri sorgano accanto ai palazzi di giustizia - ha commentato il presidente del consiglio con il direttore della struttura, Alberto Quagliotto e il comandante della polizia penitenziaria, Attilio Napolitano - ma valutati i limiti oggettivi di cui soffre la struttura e visti i tempi di attesa già lunghi per far partire il progetto di ristrutturazione, la nuova sede sorga pure fuori città, anche a San Vito".

Edouard Ballaman con il direttore ha anche affrontato la questione messa in campo dal sindaco Sergio Bolzonello, ossia la visita degli ispettori igienico - sanitari dell’Ass 6 per valutare se il Castello è ancora idoneo. "Da quanto ho visto ieri - ha spiegato il presidente Ballaman - devo dire che la situazione interna è - come per tutti gli immobili molto vecchi - non certo idilliaca. Questo però non significa che abbia notato cose indecenti o che non ci siano i presupposti per mantenere il carcere, almeno sino a quando non verrà realizzata la nuova struttura. Ovviamente ci sarebbero tanti lavori da fare, ma mi chiedo se ne valga la pena, visto che prima o poi il Castello dovrà essere dismesso.

In ogni caso sostengo Bolzonello e sono con lui perché ritengo che quanto ha fatto abbia come fine quello di accelerare la costruzione del nuovo carcere. Mi resta un dubbio: il sindaco avrebbe dovuto fare la stessa cosa anche quando l’allora ministro Clemente Mastella dirottò i finanziamenti in Campania". C’è da dire, però, che anche quando era ministro Roberto Castelli (Ballaman era Questore della Camera) la gara di appalto fu bloccata da una inchiesta. Attualmente nel carcere del capoluogo ci sono 69 tra detenuti protetti e comuni (che rappresentano i due terzi del totale), per quasi 50 posti letto, ma su una capienza di tolleranza pari a 68 persone.

Bollate: "Salute inGrata"; nuova rivista dei detenuti sulla sanità

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

È il nuovo mensile del carcere di Bollate Domani la presentazione. Brinkmann, vicedirettore della testata: "Vogliamo collaborare con la direzione per migliorare la gestione dell’area sanitaria".

Sarà presentato domani "Salute inGrata", il nuovo mensile del carcere di Bollate dedicato interamente al tema della salute negli istituti di pena, che si affianca allo storico "Carte bollate". Si parlerà delle leggi, delle difficoltà del settore e, tema caldo del momento, il trasferimento di competenze dalla medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale. "Vogliamo collaborare con la direzione per migliorare la gestione dell’area sanitaria.

Lavorare insieme per fare qualcosa di più", spiega Viviana Brinkmann, vicedirettore della testata e presidente dell’associazione Amici di Zaccheo-Lombardia che ha promosso il progetto. "Andremo a segnalare quello che non funziona, ma con spirito critico", conclude.

Tredici i detenuti coinvolti nel progetto: redattori, grafico, fotografo e correttore bozze. Che si affiancano al direttore editoriale, a due vicedirettori (Viviana Brinkmann e la dottoressa Napoleone, nominata dalla direzione carceraria). Per i detenuti-redattori è stato organizzato un corso di formazione per l’uso dei sistemi informatici "ma nei prossimi mesi vorremmo organizzare degli incontri con giornalisti professionisti - spiega Viviana Brinkmann - per dare una formazione anche dal punto di vista professionale.

Per realizzare un buon prodotto". "Salute inGrata" pubblicherà dieci numeri all’anno e solo in piccola parte verrà distribuito all’interno della casa circondariale: "I nostro target è totalmente esterno - spiega Viviana Brinkmann -: ospedali, università, enti locali, associazioni di volontariato che lavorano con i detenuti".

Un’idea che affonda le sue radici negli Sportelli salute che l’associazione Amici di Zaccheo-Lombardia ha attivato da circa un anno, in accordo con la direzione, all’interno della casa circondariale di Bollate. "L’obiettivo è migliorare il servizio e l’assistenza sanitaria in carcere - spiega Viviana Brinkmann - relazionandoci da un lato con i detenuti, di cui raccogliamo le rimostranze, dall’altro con l’amministrazione penitenziaria". "Salute inGrata" verrà presentato sabato 13 dicembre, alle ore 15, presso la sala cinema dell’area trattamentale della casa di reclusione di Milano-Bollate.

Bollate: gli artisti della Scala in concerto per i figli dei detenuti

 

Comunicato stampa, 11 dicembre 2008

 

Lunedì 15 dicembre 2008 - ore 17.00. II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Telefono Azzurro, che da anni è impegnato nel recupero degli affetti famigliari tra i bambini e i papà detenuti, grazie alla generosa iniziativa di alcuni Artisti dell’Orchestra e del Coro del Teatro alla Scala, organizza un concerto presso la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Sensibili alle problematiche che riguardano l’infanzia in difficoltà, essi mettono a disposizione la loro arte per regalare ad un pubblico davvero speciale un’occasione di gioia, con l’esecuzione di musiche e testi appositamente scelti.

La Dott.ssa Lucia Castellano, direttrice del Carcere di Bollate, ha accolto con entusiasmo questa iniziativa perché offre sia ai bambini che ai genitori una splendida occasione di vivere una giornata di gioiosa normalità. Gli Agenti di Polizia Penitenziaria e lo staff dell’Area Educativa dal canto loro, si stanno prodigando per la buona riuscita di un evento così inusuale. In programma musiche di Mozart e brani dai film di Walt Disney.

In concerto: Silvia Chiminelli, Anna Maria Di Micco, Sandro Laffranchini, Rossella Lampo, Catia Fanny Magnani, Nicola Meneghetti, Andrea Pecolo, Giovanna Pinardi, Claudio Pinferetti, Klaidi Sahatci, Paolo Sala, Luciano Sangalli, Olga Semenova, Marcello Sirotti, Alexia Tiberghien. La durata totale del concerto sarà di circa un’ora.

Padova: Blues Brothers di Chicago suoneranno per i detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

Lou Marini, il sassofonista di John Belushi e Dan Aykroyd si esibiranno domani nel carcere di massima sicurezza Due Palazzi. Evento reso possibile grazie alla collaborazione degli istituti penitenziari della città e al consorzio Rebus.

Tornano i Blues Brother e vengono fino a Padova per suonare in un posto d’eccezione: il carcere di massima sicurezza Due palazzi. Domani, venerdì 12 dicembre, Lou Marini, il sassofonista di John Belushi, e Dan Aykroyd, a lungo con Frank Zappa e Aretha Franklin, saranno protagonisti di una giornata di musica difficile da dimenticare, nata dall’iniziativa di Federico Pertile, rocker padovano e amico personale di Blue Lou oltre che promoter della band. L’occasione è data dal tour promozionale italiano dell’album "Ò soul mio" (Edel), ed è resa possibile grazie alla collaborazione degli istituti penitenziari di Padova e al consorzio Rebus, di cui è capofila la cooperativa sociale Giotto.

"Il concerto di domani non è un mordi e fuggi di beneficenza, che lascia il tempo che trova - commenta il presidente di Rebus, Nicola Boscoletto -. Ogni anno in questo periodo nel carcere padovano si tiene un evento che crea nuovi legami con il cosiddetto mondo esterno". Due anni fa, infatti, fu Maria Grazia Cucinotta a visitare la struttura, incontrando e dialogando a lungo con detenuti e agenti. L’anno scorso invece protagonisti furono il "gastronauta" di Radio24 Davide Paolini e l’allora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara. "Oggi come allora, il concerto è anche un’occasione di bilanci di fine anno, sia sul mondo del carcere in generale sia sull’attività del Consorzio Rebus - continua Boscoletto -, ma anche occasione di auguri con il mitico panettone".

Sempre domani è in calendario a Padova (alle 20 nel Centro congressi Padova "Papa Luciani") la Cena di Santa Lucia che avrà come ospiti le due star del Soul. "E con loro ci saranno, novità assoluta, anche alcuni detenuti - conclude soddisfatto Boscoletto -, che presteranno la loro opera come volontari per la buona riuscita della cena".

Libri: A scene chiuse, esperienze e immagini di teatro-carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2008

 

A scene chiuse, esperienze e immagini del teatro in carcere, a cura di Andrea Mancini

Titivillus, Pisa, 2008, pp. 335, € 18,00. ISBN 978-88-7218-225-3.

Con un titolo che si rifà esplicitamente al capolavoro di Jean-Paul Sartre - Huis clos, in italiano: A porte chiuse - Andrea Mancini ha voluto aprire una importante riflessione attorno all’ormai diffusissima pratica del Teatro in carcere. A scene chiuse, edito da Titivillus, è una preziosa documentazione delle diverse esperienze che dagli anni Ottanta si sono diffuse in tutta Italia. Si tratta in gran parte di fotografie, provenienti da tutte le regioni - con un’intera sezione dedicata alla Toscana - ma anche dall’estero - non molte, scattate a Berlino. Vi è poi una antologia di testi a firma di grandi artisti e studiosi del teatro contemporaneo: da Judith Malina a Claudio Meldolesi, da Armando Punzo a Ferdinando Taviani.

Ma la prima metà del volume è dedicata a una precisa indagine condotta da Massimo Marino per poter meglio capire il fenomeno. Dopo aver ripercorso tutta la legislazione relativa alle attività di svago negli istituti penitenziari, Marino ripensa alla storia delle prime iniziative spettacolari nei carceri italiani: fu in seguito alla torunée dell’ergastolano Rick Cluchey - poi graziato - di San Quentin (la più antica e durissima prigione della California) che si iniziò a parlare anche da noi della questione, che ebbe poi come pionieri Luigi Pagano (a Brescia e a San Vittore) e, poco dopo, Armando Punzo (a Volterra).

Il nucleo fondante dello studio è però una ricerca condotta, tramite un questionario, in tutti gli istituti di pena italiani, con risposte provenienti da 113 carceri di 18 regioni dello Stivale. Il primo riscontro è che in più dell’85% delle prigioni si svolgono attività teatrali. L’indagine prosegue cercando di individuare la durata di queste esperienze e i risultati ottenuti: si rileva, purtroppo, che più del 40% dei detenuti considera poco soddisfacenti i laboratori del proprio istituto. Marino ha poi voluto approfondire la questione intervistando alcuni dei protagonisti di queste esperienze; nelle sue conclusioni ha notato una mancanza di omogeneità fra le diverse proposte italiane, non ci sono i finanziamenti necessari, e nemmeno strumenti che permettano di valutare il lavoro svolto.

Segue un censimento di tutte le compagnie che si occupano di teatro in carcere in Italia, con una breve storia, nonché una cronologia degli spettacoli e dei riconoscimenti ottenuti. Il già citato cospicuo apparato iconografico documenta - con immagini che riproducono non solo il momento spettacolare, ma anche il suo contesto - gli ultimi dieci anni di Teatro in carcere in Italia. In coda al volume, l’Antologia di testi è destinata a brevi riflessioni sul tema: oltre ai nomi già citati hanno scritto Cristina Valenti, Mario Gozzini, Giuliano Scabia e lo stesso Marino. L’opera si conclude con una lunga intervista a Punzo a cura di Andrea Mancini.

Cinema: "L’ultima città", tra le attrici c'è anche Amanda Knox

di Alessandro Capponi

 

Corriere della Sera, 11 dicembre 2008

 

C’è una scena nella quale lei guarda fissa in macchina e rimane in silenzio, l’inquadratura stretta sui suoi occhi chiari, senza trucco, un poco tristi: quando l’immagine si apre, svaniscono i dubbi. L’attrice è Amanda Marie Knox. Dice a chi le è accanto ogni giorno che "girare questo film è stata un’esperienza bella, la storia è piena di poesia, toccante, emozionante". C’è anche l’Amleto, il monologo più noto, prima scena del terzo atto: "Essere o non essere", che lei recita un po’ in italiano e un po’ in inglese. In tutto tre mesi di lavoro, dieci ore di girato, versione finale da cinquantacinque minuti: lo stanno finendo di montare in questi giorni, ma il medio metraggio "L’ultima città" è già diventato un caso.

Doveva essere proiettato domenica in un cinema del centro storico, durante un festival, ma la presentazione è stata rimandata a fine gennaio. Quei giorni, per lei, non saranno semplici: in aula, al processo, Amanda Marie Knox sarà accusata - insieme con Raffaele Sollecito - di aver violentato e ucciso Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata un anno fa. Sul grande schermo, invece, interpreterà una detenuta con un unico sogno. La fuga. Interamente girato nel carcere di Capanne, con un budget "tra i dieci e i quindicimila euro ", nel "debutto cinematografico " di Amanda Knox ci sono testi di Pessoa, Calderón de la Barca - "Amanda lo recita in italiano" - Rimbaud, Shakespeare. Americana di Seattle, ventuno anni, il processo per omicidio che sta per cominciare: come attrice sembra se la sia cavata bene, o almeno così sostiene il regista, Claudio Carini: "Si è offerta lei, a settembre, e abbiamo subito cominciato a girare. Amanda è stata diligente, disciplinata, brava. Si è impegnata molto, come le altre del resto".

Tredici mesi di carcere: la detenuta Amanda Marie Knox - che per il critico Aldo Grasso è "il personaggio televisivo dell’anno" - adesso prova anche a recitare. Il "caso ", però, è scoppiato a pochi giorni dalla proiezione: la Regione, che ha finanziato l’opera, ha accolto la richiesta degli avvocati di spostare l’evento a fine gennaio. "Per motivi di opportunità visto che a breve ci sarà il processo, e noi abbiamo accettato - racconta l’assessore ai Servizi sociali dell’Umbria, Damiano Stufara, Rc - perché per noi fare cinema nel carcere ha una funzione rieducativa, di reinserimento. Non volevamo creare un caso con Amanda, per noi le detenute sono tutte uguali, e certo non vogliamo che questo film porti a Perugia quel genere di pubblicità che è arrivata con l’omicidio Kercher...".

Il medio metraggio doveva essere presentato al "Batik festival", una rassegna di cinema sperimentale giunta alla dodicesima edizione: il programma di domenica era già stato stampato. Eccolo: alle dodici e trenta conferenza con, tra gli altri, Toni Servillo, Licia Maglietta, Valeria Bruni Tedeschi, Enrico Ghezzi; alle quindici e trenta proiezione de "L’ultima città", di Claudio Carini. Con Amanda Knox. Il regista è un attore di prosa e produttore di audiolibri, da una vita lavora col Teatro stabile di Perugia: "È la prima volta che facciamo un film in carcere, finora avevamo fatto solo spettacoli". Né costumi né scenografie: ogni scena è stata girata nella sala teatro della prigione, che poi è la stessa dove le detenute possono assistere alle proiezioni dei film. Pareti gialle, pavimento chiaro: le luci, la macchina da presa, un ciak. Le interpreti - dodici in tutto - ovviamente hanno firmato la liberatoria: Amanda, visto che è in attesa di giudizio, ha avuto anche bisogno del permesso del giudice. Ha recitato in jeans e maglietta, sguardo dritto in camera, buon italiano.

Le mostravano ogni volta il girato della settimana precedente: lei rideva, un poco perplessa e un poco soddisfatta. "La sinossi è semplice: un viaggio fantastico. Spinte dal desiderio di fuga racconta il regista - dodici detenute si trovano ad esplorare sette diverse città metaforiche: la città del cinema, del lavoro, della musica, della solitudine, della follia, dei sogni. Il percorso si conclude con la settima città, il carcere". Al cinema, dunque, la storia si conclude così, in prigione: non c’è lieto fine, Amanda Knox.

 

Allegrini (Pdl): grave se Amanda Knox ha partecipato a film

 

"Non posso che esprimere tutto il mio stupore e il mio disappunto leggendo questa mattina su un importante quotidiano nazionale del film che sarebbe stato girato all’interno del penitenziario di Capanne (Perugia) con i fondi della regione Umbria e che avrebbe tra i protagonisti anche Amanda Knox".

Lo dice la senatrice del Pdl, Laura Allegrini, che aggiunge: "È indubbio che anche i laboratori cinematografici possano rappresentare un valido supporto ai piani di reinserimento elaborati dai vari penitenziari". In questo caso però, prosegue la parlamentare del Pdl, "ci sono elementi particolarmente allarmanti. Innanzitutto perché sin dalla morte della studentessa Meredith Kercher non si è persa occasione per spettacolarizzare un evento che, invece, dovrebbe far riflettere per l’efferatezza e la spietatezza con cui è stato consumato.

L’imputata Amanda Knox è subito balzata agli onori della cronaca quasi si trattasse di una star e non, invece, di una giovane accusata di un crimine orribile. In tutto questo si finisce sempre per mettere in secondo piano le vittime e i loro familiari". Inoltre, sottolinea Allegrini, "le precisazioni dell’assessore regionale ai servizi sociali mettono in evidenza proprio quale sia l’errore degli organizzatori dell’iniziativa. Non si può, infatti, sostenere che le detenute sono tutte uguali. Nel caso specifico si tratta di un’imputata in attesa di giudizio che, per giunta, ha sempre negato le proprie responsabilità. Il dubbio che si sia tentato di sfruttare l’attenzione dei media pur di farsi un po’ di pubblicità gratuita appare quanto mai fondato, con il rischio concreto di passare dalla rieducazione alla spettacolarizzazione".

Marocco: per la "Festa del sacrificio" il Re grazia 502 detenuti

 

Aki, 11 dicembre 2008

 

In occasione della festa islamica del Sacrificio, celebrata l’altro ieri in Marocco, il monarca Muhammad VI ha emanato un decreto di grazia che riguarda 502 detenuti. Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Sharq al-Awsat, tra le persone graziate ci sono anche alcuni imputati condannati in via definitiva che stavano scontando parte della pena in libertà vigilata. In un comunicato diffuso dal ministero della Giustizia di Rabat si legge che "di queste 502 persone, 15 hanno goduto della grazia su tutta la pena, mentre 299 hanno ottenuto una riduzione della pena che consente loro di uscire dal carcere. A tre ergastolani, invece, la pena è stata commutata in condanna da scontare in un tempo limitato".

 

 

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