Rassegna stampa 30 aprile

 

Giustizia: Osapp; carcere autorevole, per certezza della pena

 

Apcom, 30 aprile 2008

 

"Ormai gli allarmi lanciati ogni mese per il sovraffollamento delle carceri diventano sempre più irreali, ma ci sembra ancora più irreale che un ministro degli Interni dichiari apertamente che la certezza delle pena sia la cosa più incerta in questo nostro Paese: come ad ammettere la propria disarmante incapacità a comprendere un fenomeno che coinvolge direttamente la realtà dei 207 istituti penitenziari italiani, e la vita di 42.000 uomini e di donne delle forze della Polizia Penitenziaria". Lo dichiara in una nota Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, il sindacato della Polizia penitenziaria.

"Stando alle statistiche il 41% dei 51.000 detenuti, presenti oggi nelle carceri, è dentro per condanna definitiva, il rimanente 59% è in attesa di sentenza - spiega Beneduci - se ci interroghiamo sulle cause di questa situazione avvertiamo l’esigenza di puntare l’indice verso un sistema di norme che non consente la celebrazione di processi in tempi brevi e certi: pensiamo per esempio alla legge ex Cirielli, non modificata dal precedente Esecutivo, e che ha accorciato di molto i termini di prescrizione del reato, o a tutte quelle norme promesse nella Legislatura passata, che non hanno avuto il giusto esito nelle Commissioni parlamentari, ma che avrebbero rivisto i meccanismi di un processo penale oggi troppo farraginoso e lungo".

"A questa incapacità di sistema, troppo spesso appunto caratterizzato da una selva di norme contrastanti tra loro, abbiniamo l’incapacità dei nostri governanti - prosegue l’Osapp - a guardare con più previdenza una condizione penitenziaria che, allo stato dei fatti, rischia di trasformarsi in una bomba sociale molto pericolosa".

"Sosteniamo con forza che le risposte alle domande poste dal ministro Amato si possano ritrovare nella considerazione del carcere, e della sua funzione": per l’Osapp quindi "attivare l’idea di un ordinamento autorevole, come quella dell’istituto di pena, che fa scontare la pena, perché è il sistema Giustizia che lo consente, ma al tempo stesso concede la possibilità al detenuto di affrancarsi dalla propria condizione sociale, è un primo passo verso quell’immagine a cui ci auguriamo il Nuovo Governo potrà tendere in futuro".

Giustizia: sul tema della sicurezza il dovere di agire con i fatti

di Paolo Graldi

 

Il Messaggero, 30 aprile 2008

 

C’era chi diceva Sicurezza e scriveva tolleranza, chi Scriveva sicurezza e urlava tolleranza zero. In quest’altalena di buonismi intinti nell’ideologia e fermezze anche eccessive vagamente razziste si è arrivati al voto. E il voto ha detto che i cittadini italiani considerano la Sicurezza, a ragione o a torto rispetto alle statistiche rassicuranti, un bene primario, indefettibile, irrinunciabile. Chi ha puntato sulla Sicurezza, considerandola un nodo da sciogliere e risolvere, almeno al Nord e poi a Roma, ha vinto la partita delle urne. Su quest’indicazione elettorale i dubbi stanno a zero.

E anche gli sconfitti, di fronte alla forza dei numeri, ammettono ormai apertamente dì non aver saputo cogliere appieno questo forte richiamo della gente. E così la lotta al crimine nelle sue più variegate forme, percepito come fenomeno immanente su tutti o realmente vissuto e subìto in larghe zone del Paese (è paradossale ma sembrano lamentarsene meno là dove esso è più crudo, diffuso e crudele) è entrato da protagonista assieme alla crisi economica nell’agenda della politica della sedicesima legislatura.

Il governo Berlusconi ha le idee chiare sul testa: nel senso che ha promesso di prendere il toro per le corna e di piegarne ogni resistenza. I fatti ci diranno se gli impegni solenni - non si rintracciano esaltanti esempi per il passato, da una parte e dall’altra - sapranno tradursi in realtà non soltanto percepibili ma anche concretamente apprezzabili.

Purtroppo, non basta dire, basta al crimine per dare concretezza a un’azione che dev’essere vasta, incisiva, ricca di intenzioni e di procedure adeguate ma anche, - scusate il "ma anche" - di mezzi e di uomini all’altezza della sfida.

Mentre il leader della Lega Umberto Bossi, con il suo linguaggio di carta vetrata, rubava la battuta al premier in pectore sul nome del futuro ministro dell’Interno (Maroni, e chi altri sennò?) il ministro uscente dal Viminale, Giuliano Amato ammetteva la propria insoddisfazione su come il governo di cui fa parte ha trattato il tema. E ha spiegato che da parte della "sua" maggioranza c’è stata la propensione (sempre "sottile" il linguaggio del ministro) a identificare la sicurezza solo come criminalità organizzata.

E a vedere invece la criminalità diffusa come un problema da affrontare solo in chiave sociale. Bella sintesi. Di fatto è sfuggita la comprensione di fatti che pure erano sotto gli occhi di tutti. A Roma, per esempio, e proprio su queste colonne per mesi si sono rappresentate piccole e assai meno piccole realtà criminali, specie in periferia ma anche nel centro storico, che aggiravano allegramente anche le più elementari forme di legalità, quasi che i comportamenti soggettivi o di gruppo fossero talmente ignorati da apparire consentiti e perfino incoraggiati.

È il caso del caos delle bancarelle piazzate ovunque, della prostituzione sulle Consolari dietro le quali si celava (e neppure tanto) l’agire di organizzazioni di autentici schiavisti. Figuri che spadroneggiavano sulle vite degli altri disponendone come di mercanzia a basso costo, del dilagare fin sotto la soglia della basilica di San Pietro, cioè sotto gli occhi del mondo, di gruppi di venditori ambulanti di merce contraffatta e così via elencando.

Per non dire dei quasi cento campi di nomadi disseminati dentro ogni anfratto dai quali prendevano (o prendono?) le mosse i padroni e predoni dell’accattonaggio organizzato. Ci sono voluti delitti inenarrabili, la morte inenarrabile di Giovanna Reggiani, per scatenare una reazione, metter mano a decreti severi e a imporre una riflessione sull’intera materia.

La macchina legislativa, complice di una titubanza un po’ ipocrita, votata solo al sociologismo facile, ha fatto il resto: tutto si è dissolto con la fine della legislatura e ora si dovrà ricominciare daccapo, rimettere insieme i pezzi di una architettura della sicurezza che il voto impone come priorità. Non sarà difficile constatare se il cambio di stagione politica e insieme il cambio di rotta sapranno prendere la giusta direzione con la necessaria determinazione.

Dice Antonio Manganelli, capo della Polizia di Stato, con una felice immagine, che non si deve parlare di poliziotti fuori dagli uffici per mandarli per le strade ma di mandare fuori dagli uffici gli adempimenti burocratici. E tuttavia il governo pronto a durare per i prossimi cinque anni, con la forza per farlo, dovrà decidere anche di dotare la fabbrica della sicurezza dei mezzi necessari, se è vero che la gran parte del parco macchine è obsoleto, che la benzina alle Volanti viene distribuita con il contagocce e gli organici non riescono a rispettare neppure il turnover.

La sicurezza è il bene più prezioso ma il costo è alto: da qui bisognerà partire. E poi dovrà essere l’intera macchina a rimettere le giuste cinghie di trasmissione. La macchina giudiziaria, strangolata dai suoi formalismi, dalle sue lentezze e dalle sue lungaggini, finisce per essere, oggettivamente, la complice più affidabile dei criminali.

Arrestati, incarcerati e restituiti in massima parte alla libertà quasi subito, aspettando di un processo che chissà quando si farà e in attesa del quale tutto consiglierà di delinquere ancora. Dentro questo bubbone la parte più infetta è rappresentata da quella immigrazione clandestina che non sa dove sbattere la testa e viene fatalmente risucchiata dalla fitta rete di traffici illeciti. E, dentro questa, c’è ancora presente e pressante una criminalità irriducibile, che viene dall’Est e spadroneggia nella presunzione di non essere stata mai vista, registrata, osservata: questa è la più pericolosa in assoluto, questa mette davvero paura e su questa la mannaia della legge dovrà cadere senza inciampare in un garantismo che stravolge l’evidenza e lascia che s’accrediti l’idea che qui, da noi, tutto è possibile. Straordinari sono i successi investigativi e pochi i delitti senza colpevoli scoperti e catturati.

Ma i colpevoli non devono restare colpevoli e impuniti. La certezza della pena deve cessare d’essere uno slogan e diventare dato giuridico e giudiziario. Su questo, tra Amato e Maroni dovrà verificarsi quella discontinuità nei fatti (sulle intenzioni Amato ha poco da rimproverarsi) che i cittadini hanno chiesto con il voto nazionale e poi con quello perla guida della Capitale.

Giustizia: le "ronde" sono il simbolo delle nuove insicurezze

di Chiara Saraceno

 

La Stampa, 30 aprile 2008

 

La voglia di ronde che sembra aver preso amministratori e cittadini è figlia di una doppia mancanza, pubblica e privata: dello Stato (e amministrazioni locali) e dei cittadini. Non ci sarebbe bisogno di ronde di volontari e ancor meno di guardie private a controllare strade, parchi e stazioni se polizia e vigili avessero un più sistematico controllo del territorio, così come avviene in molte città europee.

Perché, ad esempio, nelle città tedesche, le vie del centro e le stazioni delle metropolitane non sono colonizzate dai vu cumprà come avviene invece a Milano, Roma o Torino, a prescindere dal colore dell’amministrazione comunale? E perché le loro periferie non sono ridotte a discariche all’aperto di persone e cose? Eppure la Germania ha un tasso d’immigrazione più alto dell’Italia.

Certo, accanto all’operato di polizia e vigili urbani, c’è anche un sistema di Welfare che, per quanto acciaccato, non consente in linea di principio che vi sia chi non può procurarsi un tetto, o l’alimentazione di base. Non è un paradiso; ogni tanto si scoprono buchi anche gravissimi nelle maglie della protezione sociale; e l’emarginazione c’è, anche pesante, alimentando talvolta fenomeni di razzismo violento. Ma l’intervento pubblico è sistematico e visibile su entrambi i fronti del controllo del territorio: quello della repressione, ma anche quello della garanzia di risorse minime.

Ciò rende il patto sia con i cittadini che con gli immigrati in qualche modo chiaro e trasparente: se si sta alle regole si hanno anche diritti. Laddove in Italia tutto è sempre opaco, si oscilla fra la tolleranza estrema e la tolleranza zero, senza che i patti siano mai chiari e tanto meno fatti osservare con coerenza e sistematicità, salvo lodevoli eccezioni qua e là. Questo vale spesso anche nei rapporti tra Stato e cittadini; ma è stata soprattutto la caratteristica con cui sin dall’inizio si è affrontata l’immigrazione nel nostro Paese.

Ma non basta denunciare l’incoerenza, l’inaffidabilità delle politiche pubbliche. Il senso diffuso di insicurezza che ci accompagna quando saliamo su un mezzo pubblico, attraversiamo una stazione di notte, camminiamo per le strade dipende anche in larga misura dal fatto che siamo consapevoli che se venissimo aggrediti saremmo lasciati soli: nessuno interverrebbe, per paura, ma anche per indifferenza, per "farsi i fatti propri", per non essere disturbato nelle proprie faccende.

Nessuno avverte il vicino che gli stanno mettendo le mani nella borsa, salvo dichiarare, a cose fatte, che ha visto bene e che bisogna stare attenti. Nessuno interviene se una donna viene molestata, se qualcuno viene aggredito. Non fa differenza che ciò avvenga in mezzo a una folla, in piena luce o in una strada o stazione isolata e un po’ buia.

L’indifferenza (o la mancanza di coraggio) sono le stesse. Anche i due uomini che un po’ frettolosamente sono stati definiti "angeli salvatori" della giovane ivoriana stuprata e accoltellata all’uscita di una stazione periferica di Roma non sono affatto intervenuti - in due! - per bloccare l’aggressore. Al contrario, per loro stessa ammissione, sono scappati. Solo quando hanno incrociato un’auto della polizia hanno preso coraggio e hanno chiesto aiuto.

Se le nostre società sono insicure è anche perché ognuno si fa un po’ troppo i fatti propri, senza sentire alcuna responsabilità individuale per gli spazi - fisici e relazionali - comuni. In assenza di un minimo di senso civico temo che le ronde rischino di accentuare questa deresponsabilizzazione (e il senso di impunità che ne deriva sia ai maleducati che ai malfattori).

In compenso rischiano di attrarre tutti quelli che hanno voglia di menare le mani, di "dare una lezione" non solo a chi costituisce un pericolo, ma a chi li guarda storto, o sta dove secondo loro non dovrebbe stare, o guarda troppo da vicino la ragazza "di un altro". Con il rischio di accentuare l’insicurezza e l’inciviltà che troppo spesso segnano l’attraversamento dello spazio pubblico. Per l’inciviltà e la violenza che caratterizzano lo spazio privato - luogo deputato della violenza contro le donne e i bambini - ovviamente le ronde non servono.

Giustizia: Alemanno; armi ai vigili ed espulsioni immediate

di Davide Desario

 

Il Messaggero, 30 aprile 2008

 

Primo giorno da sindaco di Roma per Gianni Alemanno: "Voltiamo pagina, tutti insieme", è l’invito che rivolge ai romani nell’intervista al Messaggero. Le prime cose da fare: "Subito un segnale forte sulla sicurezza, con l’allontanamento degli stranieri che hanno commesso reati". Ancora: "Armi ai vigili urbani, con la possibilità di fare obiezione di coscienza". Infine, per le aziende che fanno capo al Comune, la parola d’ordine è: rinnovamento dei vertici. Un impegno anche sulle multe pazze: l’idea è quella del concordato.

L’insediamento m Campidoglio dei neo eletto sindaco di Roma. Gianni Alemanno, avverrà stasera alle 19. Per quell’ora è infatti previsto che sia già avvenuta la proclamazione del sindaco a conclusione detta verifica dei verbali dello scrutinio, che sarà fatta dall’ufficio centrale della Corte d’Appello. Nel momento della proclamazione ci sarà lo scambio di consegne e la verifica di cassa tra il nuovo sindaco e il commissario straordinario del prefetto, Mario Morcone, che in questi due mesi e mezzo, con la squadra di sub-commissari, ha garantito che la macchina dell’amministrazione comunale non si fermasse.

Entro dieci giorni dalla sua proclamazione, e comunque dopo la proclamazione dei consiglieri nei seggi assegnati, Alemanno dovrà convocare il Consiglio comunale. Nel momento in cui si sarà insediata formalmente l’assemblea il prefetto Morcone lascerà definitivamente il Campidoglio.

L’impiegato e il proletario, il tassista e il tranviere, le grandi famiglie borghesi e quelle del popolo, la Garbatella e i Parioli. Quando Gianni Alemanno si è affacciato al balcone del Campidoglio lunedì pomeriggio, dietro di lui aveva mezza Roma, anzi un po’ di più.

Adesso, dopo le parole e le promesse, è arrivato il tempo dei fatti. E allora: "Iniziare con l’allontanamento degli stranieri che hanno commesso reati", al più presto "convocare un comitato provinciale sulla sicurezza e avviare il monitoraggio dei campi nomadi". Ancora: "Armi ai vigili urbani, con un regolamento e con la possibilità di fare obiezione di coscienza".

Infine, le aziende che fanno capo al Comune: la parola d’ordine è rinnovamento dei vertici, a partire dall’Ama e da quelle del trasporto pubblico. Se questo è il futuro (prossimo), il presente è ancora fatto di telefonate di auguri e felicitazioni, di interviste in tv e riunioni informali, di un Campidoglio nel quale è ancora "ospite" e dove ha iniziato a lavorare nella anticamera dello studio del sindaco nel quale si insedierà ufficialmente solo oggi.

Intanto lancia subito un appello ai romani: "Aiutateci a cambiare. Noi saremo i primi a dare l’esempio. Faremo uno sforzo di cambiamento. Ma anche i cittadini devono fare la loro parte. Serve attenzione, partecipazione. Fino adesso c’è stato un gioco al ribasso, rassegnazione, perché sembrava che nulla cambiasse. Facciamo uno sforzo comune per il cambiamento".

 

Dica la verità, non se l’aspettava nemmeno lei...

"Se vent’anni fa mi avessero detto che sarei diventato sindaco della Capitale, mi sarei messo a ridere. Non è stato semplicissimo. Questa avventura inizia due anni fa. Quando decisi di candidarmi a sindaco di Roma. Sapevo perfettamente la forza di Veltroni in quel momento, ma abbiamo voluto costruire un percorso. In questi due anni ho imparato a conoscere bene la politica romana. Poi sono arrivate le dimissioni di Veltroni. Per un momento si è pensato che si candidasse Fini, ero pronto a fare un passo indietro. Poi sia Fini che Francesco Giro mi hanno spronato a candidarmi. Poteva sembrare una missione difficile. Ma noi qualche possibilità francamente ce la davamo. Avevamo da subito in mano dei sondaggi che ci segnalavano ima certa debolezza di Rutelli. Sondaggi dei quali non abbiamo mai fatto proclami, ovviamente".

 

Si sente preparato al compito che la attende?

"Si tratta di entrare con molta umiltà e con molta attenzione. Ho già parlato con il direttore generale del Comune, Vincenzo Gagliani Caputo, e l’ho pregato di restare alla guida della struttura proprio perché so che bisogna entrare gradualmente. Dal punto di vista politico, so di arrivare con le spalle forti a questo appuntamento. Sono convinto di essere preparato. Altrimenti non mi sarei candidato".

 

Un gesto, una telefonata che in queste ore le ha fatto particolarmente piacere?

"Ho incontrato Bossi alla Camera e mi ha detto che la Lega mi darà tutto l’appoggio necessario sul tema della sicurezza. Mi hanno fatto piacere le parole di Cacciari. Sono, invece, rimasto male perché, poco prima del ballottaggio, è partita questa campagna che mi raffigurava come l’uomo nero. Mi aspettavo che alcune persone mettessero un freno a certe derive e mi dimostrassero solidarietà. Attacchi personali, manifesti in giro per la città, mail. I risultati elettorali hanno dimostrato che questo modo di fare politica non paga. Adesso è il momento di voltare pagina. Io sono pronto a farlo e a mettermi dietro le spalle tutti i veleni contro di me, ma deve farlo anche una certa sinistra che se dovesse continuare a offendermi, farebbe male alla città".

 

Le è arrivata quasi subito la telefonata del suo avversario, Francesco Rutelli. E quella dell’ex sindaco?

"La telefonata di Veltroni non è arrivata, ma è arrivata la stretta di mano questa mattina alla Camera. È venuto a salutarmi, mi ha detto che dobbiamo incontrarci. Sarò felice di farlo e confrontarmi".

 

Parliamo della galassia di aziende municipalizzate, cosa cambierà?

"A Roma serve una sorta di Commissione Affari, fuori da ogni schema e aperta a tutti. Voglio coinvolgere tecnici e personalità che rappresentino anche gli elettori di sinistra che mi hanno votato. Sul modello Sarkozy. Nomi dello schieramento avverso potrei farli ma credo che li metterei in imbarazzo. Vorrei prima sentirli...".

 

Torniamo alle municipalizzate. Le prime tre sulle quali intervenire?

"Credo sia necessario un ricambio di uomini. Questo non vuoi dire necessariamente di tutti. Bisogna intervenire sicuramente l’Ama, poi le aziende di trasporto pubblico e poi ci sarà il pianeta Cultura sulla quale bisognerà fare un discorso approfondito. Certo, credo che in ogni consiglio di amministrazione ci debba essere la rappresentanza dell’opposizione. Da Ministro dell’Agricoltura ho sempre fatto molta attenzione a questo aspetto. Credo comunque che servano impulsi nuovi per fare un grande salto di qualità. Ne ho parlato questa mattina sia con Fini che con Berlusconi, serve attenzione per mettere su una squadra di grosso livello. Oltre ai tecnici e agli assessori credo che seguirò la strada dei commissari di Governo. Non solo per la sicurezza. Ma anche per gestire i poteri speciali sul traffico".

 

Però Berlusconi nei giorni scorsi ha bocciato la sua proposta del commissario di Governo per la Sicurezza.

"Penso di aver il modo di convincere il presidente Berlusconi a cambiare idea".

 

Dopo le parole della campagna elettorale, ora è arrivato il tempo dei fatti. Lei ha assicurato che il suo primo impegno sarebbe stato sulla sicurezza. Ebbene, cosa farà domani?

"Chiederò al prefetto di convocare al più presto possibile un Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza nel quale avere conto dello stato dei campi nomadi abusivi a Roma. E magari fare un nuovo monitoraggio e i primi interventi. Poi chiederò sempre al prefetto e al ministero dell’Interno di iniziare con espulsioni e allontanamenti degli stranieri che hanno già commesso reati. Un segnale anche prima di un eventuale decreto legge".

 

Ventimila espulsioni?

"Beh, quello è l’obiettivo. Però bisogna iniziare, dare un segnale forte. A Latina, il sindaco Zaccheo ne ha già fatte mille. Serve però il ministro dell’Interno insediato, in carica, per poter fare un ragionamento serio. E poi vorrei riesumare la delibera che avevamo presentato la scorsa legislatura comunale sul riordino, potenziamento e armamento dei vigili urbani".

 

Armi per tutti?

"No. Armi per chi si sarà sottoposto all’addestramento e non avrà fatto obiezione di coscienza. Ci sarà un regolamento. Serve una forte polizia locale".

 

Lo sa che in molti l’hanno votata perché ha promesso una sorta di moratoria rispetto alle multe pazze?

"Sicuramente una moratoria per cercare di capire quante e quali siano le cartelle pazze che ci sono in giro. E bisogna eliminarle. Poi un concordato per far pagare al cittadino solo le multe senza gli interessi di mora. Dobbiamo chiudere questa pagina e poi manterrò l’impegno affinché ci sia una maggiore attenzione alla gestione del traffico che a fare le multe".

 

Le occupazioni di case e immobili hanno infiammato la campagna elettorale. Cosa ne pensa per esempio dei casi del Regina Elena o dell’ex commissariato di Montesacro?

"Bisogna intervenire. Prima parlare, ma se sarà necessario, bisognerà intervenire. Non è pensabile che ci siano occupazioni del genere".

 

Ci sono occupazioni messe in atto anche da frange legate alla destra.

"È vero ma sono una minoranza. Se si ha una città dove si consentono 30-50 occupazioni di sinistra è evidente che poi ci sia un effetto emulativo a destra. Ma bisogna contrastarle entrambe. Si deve voltare pagina".

 

A proposito di voltare pagina che effetto le ha fatto, ieri quando si è affacciato sulla piazza del Campidoglio, vedere i saluti romani?

"Personalmente ho fatto attenzione a salutare sempre con la sinistra proprio per evitare che qualche fermo immagine potesse essere strumentalizzato. Comunque quando ci sono grandi manifestazioni è chiaro che ci possa essere qualcuno che vada fuori dai margini. Ma è chiaro che bisogna dare segnali chiari. Non si devono dare immagini negative, sbagliate della città. Come dico alla sinistra di voltare pagina lo dico anche a tutta la destra. Per il bene della città. Chi vuoi fare il matto lo faccia altrove".

 

Sua moglie Isabella ha detto che Roma sarà una città più amica delle donne, che ne pensa?

"Dobbiamo prima di tutto salvaguardare la sicurezza delle donne. Dobbiamo mettere fine a certi avvenimenti. Poi bisogna risolvere il problema delle donna che lavora e che è anche madre: ogni problema della città per loro è doppio".

 

E le donne in Giunta?

"Dobbiamo fare in modo che ci siano delle donne in Giunta. Assolutamente. Per le donne come per gli uomini, comunque, non basta aver preso tanti voti. Si parte da lì, ma serve un ragionamento più ampio. Chi fa il parlamentare, per esempio, non farà l’assessore a meno che non si dimetta. I due impegni non credo possano coincidere".

 

Che destra è quella di Alemanno?

"È una destra moderna, tollerante. È evidente che il nostro percorso, rispetto a quello delle altre destre europee, è stato più tempestoso. In Italia abbiamo avuto periodi come quello degli anni di piombo che non è paragonabile a quelli vissuti dagli altri Paesi. La destra italiana ha vissuto i problemi di tutta l’Italia: dalle Brigate rosse, al periodo di condominio dove convivevano forze filo Usa e filo Urss. La maturazione della destra, è stata una maturazione che ha permesso di superare molte fasi, compresa Tangentopoli. Adesso si è chiusa una fase. Siamo una democrazia compiuta con un’alternanza. Da questo punto di vista credo che la destra sia più avanti della sinistra. C’è una parte della sinistra arrogante che continua a pensare di essere superiore, migliore degli altri".

 

E con la Lega e i suoi slogan antiromani come la mette?

"Ho sempre criticato le sparate verbali di Bossi. L’ho fatto già quando eravamo al governo insieme. Credo che adesso ci sarà massima collaborazione. Alcuni temi della Lega, poi, li condividiamo come la Sicurezza e il federalismo fiscale. Se ci saranno delle esagerazioni darò ampie garanzie, l’ho già dimostrato, di difendere Roma. E comunque se Roma funziona bene non ce n’è per nessuno".

Giustizia: omicidio Raciti; la Cassazione scagiona Speziale…

 

Corriere della Sera, 30 aprile 2008

 

La quinta sezione della Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Antonino Speziale, il giovane accusato di aver provocato la morte dell’ispettore Filippo Raciti al termine del derby Catania-Palermo.

"Sono felice, papà, ti voglio bene": le sue prime parole, accompagnate dalle lacrime, pronunciate al telefono al padre Roberto, volato a Roma per la sentenza. D ragazzo non lascerà la comunità perché è ancora in stato di detenzione dopo la condanna a due anni e sei mesi per resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

"È giusto che resti in comunità - ha spiegato il padre -, dopo questa esperienza è maturato tantissimo". "Non c’è dubbio che deve capire quello che ha fatto - aggiunge il suo difensore, Giuseppe Lipera -, quel a febbraio anche lui ha commesso degli errori, ma non per questo lo si può accusare di omicidio. Non dimentichiamo il sacrificio di un poliziotto, ma non si può crocifiggere un innocente".

Secondo l’avvocato la sentenza della Cassazione di fatto demolisce l’impianto accusatorio: "La misura cautelare è nulla avendo la Cassazione stabilito l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. A questo punto il pubblico ministero non deve far altro che formulare richiesta di archiviazione". La procura preferisce non commentare. Ma se non è stato Antonino Speziale, chi ha ucciso l’ispettore Filippo Raciti?

La difesa continua a sostenere la tesi del "fuoco amico": "La morte è stata provocata dall’impatto con lo sportello del discovery della polizia in retromarcia, come abbiamo ampiamente dimostrato con la perizia del professor Carlo Torre, mentre la stessa perizia del Ris di Parma ha ritenuto il famoso sottolavello un mezzo non idoneo a provocare la morte".

Per l’accusa, invece, Filippo Raciti è stato ucciso proprio dall’impatto con il famoso sottolavello divelto dai bagni dello stadio ed "utilizzato a mo di ariete contro le forze dell’ordine schierate all’ingresso della curva nord". A spingere quel sottolavello, secondo i pm, fu proprio Antonino Speziale, che all’epoca dei fatti non era maggiorenne, oltre a un altro ultra, Daniele Micale, arrestato un anno dopo la tragedia.

Quest’ultimo è in carcere con l’accusa di omicidio. Di recente la richiesta di una sua scarcerazione è sfata respinta dal Tribunale del riesame. Su Speziale la Cassazione si era già pronunciata il 7 dicembre scorso annullando la misura cautelare con rinvio. Poi i giudici di Catania avevano riconfermato il provvedimento. Ora arriva un nuovo pronunciamento che, a giudizio dei legali di Speziale, chiude la partita. Distaccato il commento della vedova Raciti tramite il legale Enzo Trantino: "Da parte nostra non c’è motivo per esultare o meno per la detenzione altrui: noi vogliamo solo giustizia e aspettiamo di costituirci parte civile nei confronti dell’indagato maggiorenne".

Giustizia: Bruno Contrada esce da ospedale, torna in carcere

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 30 aprile 2008

 

Bruno Contrada è stato dimesso dall’ospedale San Giuseppe e Melorio di Santa Maria Capua Vetere, dove era ricoverato dal 17 aprile scorso per una grave forma di astenia aggravata da vertigini, e trasferito nel carcere militare del paese del Casertano. "Questa mattina (ieri mattina, ndr) - afferma il suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera - una sua sorella è andato a fargli visita in ospedale ma non l’ha trovato nel reparto. Soltanto dopo abbiamo saputo che è stato dimesso e ricondotto in carcere".

L’ex funzionario del Side sta scontando una condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. n suo difensore ha più volte chiesto il differimento della pena o, in subordine la concessione degli arresti domiciliari, del suo assistito per gravi motivi di salute, ma tutte le istanze sono state rigettate. Il penalista ha recentemente chiesto anche la ricusazione del giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra: l’udienza si terrà il prossimo 7 maggio davanti la terza sezione penale della Corte d’Appello di Napoli. "Sia umana ed emetterà un provvedimento senza alcun dubbio giusto e legale". È l’invito rivolto dall’avvocato Lipera, al giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, con un telegramma che le è stato inviato dal legale dopo il ritorno in carcere dell’ex funzionario del Sisde. "La invito disperatamente - si legge nel testo del telegramma reso noto dallo stesso penalista - a non indugiare specialmente dopo questo ultimo lungo ricovero ospedaliere, che la detenzione carceraria aggrava le condizioni deterioratissime di Bruno Contrada. Sia umana ed emetterà un provvedimento senza alcun dubbio giusto e legale".

Firenze: opere dei detenuti esposte a Mostra dell’Artigianato

 

Dire, 30 aprile 2008

 

Per il secondo anno uno stand ospita le opere di alcuni istituti penitenziari: quadri, disegni e manufatti realizzati dai detenuti del carcere minorile di Firenze, e da quelli di Volterra, Pisa, Massa, Empoli e Montelupo.

Ci sono le bambole di pezza dell"associazione Pantagruel, i quadri dei detenuti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo, i disegni delle ospiti del carcere a custodia attenuata di Empoli. Quest’anno, per la seconda volta, alcune delle realtà carcerarie della Toscana hanno trovato spazio all’interno della Mostra Internazionale dell’Artigianato, in corso a Firenze. Uno stand ospita alcune delle opere realizzate dai detenuti dell’Istituto Minorile di Firenze e dai detenuti degli Istituti penitenziari di Volterra, Pisa, Massa, Empoli e dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. Le opere, quadri, disegni e manufatti di vario genere, sono in mostra ma anche acquistabili, ed il ricavato servirà per finanziare l’acquisto di nuovi materiali da utilizzare nei laboratori creativi dei vari istituti.

"Oggi purtroppo c’è un’attenzione tutta repressiva al carcere- ha spiegato Vincenzo Striano, presidente di Arci Toscana che ha coordinato l’iniziativa- e invece d’accordo con la Regione abbiamo scelto di rendere visibili le opere che si realizzano tra le mura, perché costituiscono un’occasione di reinserimento". L’iniziativa di esporre le opere in uno stand dedicato, è stata promossa dal Gruppo Consiliare Regionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, da quello della Sinistra Democratica e dalla Regione Toscana. Questa mattina, a rappresentare quest’ultima presso lo stand c’era anche il vicepresidente della giunta regionale, Federico Gelli: "Si tratta di esempi tangibili di alcune attività svolte all’interno delle carceri toscane, attività che hanno come scopo primario quello di reinserire socialmente persone alle prese con diversi tipi di problematiche- ha spiegato- In Toscana ci sono realtà abbastanza attive sul lato dell’occupazione dei detenuti, mi vengono in mente Massa, Porto Azzurro, Sollicciano. Ma in generale l’occupazione dei detenuti dovrebbe essere un’azione da portare avanti attraverso progetti duraturi anche se mi rendo conto che la mancanza di risorse spesso è il limite maggiore allo sviluppo di queste esperienze".

Attualmente in Toscana ci sono 19 istituti di detenzione: 12 case circondariali (Arezzo, Empoli, Firenze Mario Gozzini, Firenze Sollicciano, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Marittima, Pisa, Pistoia, Prato, Siena, di cui Empoli, Firenze Mario Gozzini e Massa Marittima a custodia attenuata), 5 case di reclusione (Gorgona, Massa, Porto Azzurro, San Gimignano,Volterra), 1 ospedale psichiatrico giudiziario (Montelupo Fiorentino) ed 1 istituto femminile, a Pontremoli. Al 31 gennaio 2008, secondo i dati dell’Osservatorio Fondazione Michelucci, erano 3.310 le persone ospitate: 3.158 uomini e 152 donne. Nei giorni scorsi, a seguito della denuncia del garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone (che aveva fotografato una realtà in cui al sovraffollamento di alcuni istituti si affiancava un sottoutilizzo di quelli a custodia attenuata), la Regione si è impegnata, con una mozione, a promuovere la custodia attenuata nell’istituto Gozzini di Firenze e in quello femminile di Empoli.

Venezia: dal Ceis attività sportive e formative per i detenuti

 

Comunicato stampa, 30 aprile 2008

 

Il Ceis - Centro di Solidarietà Don Lorenzo Milani Onlus di Mestre è promotore di alcune attività sportive e formative all’interno della Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia. Nei mesi di giugno e agosto 2008 sono previsti due tornei di calcetto preceduti da corsi di arbitraggio. Per informazioni: 348.8783665.

Stati Uniti: dopo 27 anni di carcere viene scagionato dal Dna

 

Ansa, 30 aprile 2008

 

L’esame del Dna ha scagionato un uomo in carcere in Texas da ventisette anni per violenza carnale e omicidio della sua ragazza. Come hanno commentato i media locali, James Woodward, un nero di 55 anni, è il detenuto americano che ha trascorso più tempo in carcere nonostante la sua innocenza ed è il diciottesimo nello Stato a essere assolto dall’esame del Dna. "In Texas abbiamo raggiunto un picco delle condanne sbagliate. Nessuno può dubitare che esiste un problema", ha detto il senatore Rodney Ellis, il quale ha annunciato per l’8 maggio un incontro ad Austin per approfondire le cause di queste condanne sbagliate e individuare i modi per prevenirle.

Vietnam: metadone per combattere contro l’eroina e l’Aids

 

Ansa, 30 aprile 2008

 

Lanciata una campagna per fornire ai tossicodipendenti il metadone necessario per ridurre le crisi di astinenza e per evitare la diffusione del virus dell’Hiv. Aperte due nuove cliniche nel nord del Paese, a Haiphong, luogo con innumerevoli problemi di spaccio di eroina e casi di Aids, che fino a dicembre cureranno circa 700 consumatori.

Lo rivelano in un comunicato stampa le Nazioni Unite, che si sono anche congratulate con il Vietnam per il lavoro che sta facendo "per la riduzione del danno e per dare una risposta al problema dell’Hiv", ha dichiarato Eamonn Murphy, dell’Unaids per il Vietnam. Un’altra clinica sarà aperta nel più grande centro urbano del Paese, a Ho Chi Minh, che ha il tasso più alto di infezioni di Hiv, causati dallo scambio di siringhe infette. Circa 300 mila vietnamiti sono Hiv positivi. In Vietnam, l’eroina è la droga più popolare, e contro i consumatori e spacciatori vige la pena di morte.

Argentina: perché la tossicodipendenza non può essere reato

di Mariana Iglesias

 

Notiziario Aduc, 30 aprile 2008

 

Per lui, il consumo di sostanze è una decisione personale e "non un reato". Depenalizzare non è la stessa cosa di legalizzare. Il tossicodipendente ha un problema di salute, e non si rimedia criminalizzandolo. Lo Stato deve essere preparato a curare i consumatori bisognosi d’assistenza.

L’autore di queste frasi è Nelson Feldman, argentino residente in Svizzera, specialista di droghe presso il Servizio d’abuso di sostanze del Dipartimento di psichiatria dell’ospedale universitario di Ginevra. Feldman si trova a Buenos Aires per una conferenza al ministero di Giustizia, Sicurezza e Diritti Umani.

È che, di recente, il ministro Anibal Fernandez ha sorpreso con il cambio d’atteggiamento manifestato nella Sessione Straordinaria delle Nazioni Unite sul consumo di droghe e narcotraffico. Ha detto che occorre rivedere le norme e smetterla con un sistema che persegue il consumatore e lo criminalizza. Così, è stato istituito un Comitato con l’incarico d’elaborare un progetto per depenalizzare il consumo di tutte le droghe.

La Svizzera, paese federale (suddiviso in Cantoni), non ha depenalizzato per legge l’uso di droghe, ma nei fatti si potrebbe dire di sì. "Di otto milioni di svizzeri, 300 mila sono consumatori di droghe. Se si applicasse la legge, ci sarebbero 300 mila persone fuorilegge. Per quanto attiene l’uso di stupefacenti, il giudice applica il cosiddetto principio di opportunità, che in pratica non punisce una persona perché fa uso di droghe, ma cerca d’avviarla a un centro di recupero".

 

Com’è che in Svizzera non è stata conseguita la depenalizzazione?

Perché la gente pensava che potesse portare alla legalizzazione delle droghe. E in realtà ci sono due dibattiti differenti: depenalizzare significa non punire il consumatore, mentre legalizzare è autorizzare la vendita in certi luoghi, come avviene nei ‘coffee shop’ in Olanda.

 

Però esiste un sistema di salute che tratta il tossicodipendente...

Sì, certo. In materia di droga esiste una politica basata su quattro pilastri: la prevenzione, il trattamento, la riduzione del danno e la repressione, che ha a che vedere con la lotta al traffico. E sono tutti complementari.

 

Vi ha influito l’Aids?

L’Aids è stato il catalizzatore del cambiamento nella politica delle droghe.

 

Come si applica il concetto di riduzione del danno?

Si cambiano le siringhe vecchie con quelle nuove, si danno cannule per aspirare e, nei trattamenti di sostituzione, si fornisce metadone fino all’eroina, pura. Esiste un’associazione civile, "Prima linea", con presidi per le strade, dove i tossicodipendenti si possono drogare in modo sicuro. Così si evitano le overdose, il contagio dell’epatite o dell’Aids. E la polizia non interviene.

 

Coloro che si oppongono alla depenalizzazione dicono che il consumo cessa di essere un problema individuale quando, per effetto della droga, si causano danni ad altre persone…

Tutte le droghe, anche l’alcol, sono sostanze psicoattive, vale a dire, che cambiano il comportamento. Per questo la legge deve essere chiara e punire, per esempio, coloro che guidano sotto l’effetto di droghe. In Svizzera si porta la persona al commissariato per sottoporla all’analisi delle urine e vedere se ha consumato droghe. In Francia il test viene fatto con la saliva.

 

Con un argomento simile usato contro il divorzio, gli oppositori dicono che depenalizzare indurrà all’aumento del consumo.

È un errore. È evidente che, malgrado la legge punizionista, il consumo è enorme in tutte le classi sociali. La società deve adeguare le sue leggi alla realtà. Criminalizzare il malato è discriminarlo, emarginarlo. Mi azzarderei a dire che, da una certa prospettiva, la depenalizzazione è persino un fatto umanitario.

 

 

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