Rassegna stampa 2 aprile

 

Giustizia: firmato il Decreto, la Medicina Penitenziaria al Ssn

 

Comunicato stampa, 2 aprile 2008

 

La tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari passa al Servizio Sanitario Nazionale. Prodi firma il Dpcm proposto dai ministri Turco e Scotti.

Con un intervento atteso ormai da dieci anni e giunto al termine di un percorso che ha visto seriamente impegnati il Ministero della Giustizia e quello della Salute unitamente alle Regioni, la tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari passa al Servizio Sanitario Nazionale. L’Iter si è perfezionato con il Dpcm di attuazione dell’art. 2 (comma 283) della legge finanziaria 2008 sottoscritto ieri dal Presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi e dai ministri proponenti Livia Turco e Luigi Scotti.

Il principio costituzionale del fine rieducativo della pena diventa così ancora più concreto. Si sostanzia nel diritto per i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini liberi, ad ottenere un’assistenza sanitaria organizzata secondo un principio di globalità degli interventi sulle cause che possono pregiudicare la salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione dell’assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica. Stato, Regioni, Comuni, Aziende sanitarie e Istituti penitenziari potranno da ora in poi uniformare le proprie azioni e potranno realizzare, insieme e responsabilmente, nuove condizioni di tutela della salute dei detenuti. Il diritto alla salute, il principio del riconoscimento della piena parità di trattamento degli individui liberi e di coloro che sono detenuti e internati, ed anche dei minorenni sottoposti a provvedimenti penali, è uno dei criteri di riferimento della riforma, che stabilisce l’importanza di un intervento sinergico di tutte le Istituzioni, a garanzia della salute e del recupero sociale di quanti scontano, a vario titolo, una pena.

"Con questo provvedimento che equipara sotto il profilo della tutela del diritto alla salute i cittadini in stato di detenzione con tutti gli altri utenti del Ssn, la sanità italiana esce rafforzata - afferma il Ministro della Salute Livia Turco - e si dimostra capace di rispondere ai nuovi bisogni di salute in ambiti di intervento delicati come quello dell’assistenza sanitaria nelle carceri e negli Opg. L’obiettivo è di fornire una più efficace assistenza migliorando la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione negli istituti penitenziari".

"La riforma - afferma il Ministro Luigi Scotti - nel valorizzare le competenze specifiche della amministrazione penitenziaria e del sistema sanitario nazionale mette le Istituzioni nelle condizioni di lavorare al meglio per il recupero complessivo dei detenuti. Ma, soprattutto segna un passo importante, dal quale sarà impossibile recedere in futuro perché rafforza nella coscienza di ciascuno di noi la consapevolezza che chiunque sia sottoposto, per una qualsiasi ragione, a misure restrittive, non può mai essere considerato problema da rimuovere, soggetto da dimenticare, cittadino di serie B. Ma, come ci insegna la nostra Costituzione, è una persona la cui dignità e i cui diritti vanno comunque rispettati".

 

Il Ministro della Giustizia, Luigi Scotti

Giustizia: Manconi; diritto a salute dei detenuti meglio tutelato

 

Comunicato stampa, 2 aprile 2008

 

Dichiarazione del Prof. Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia con delega sull’Amministrazione penitenziaria.

"Con la firma del Presidente del Consiglio giunge finalmente a compimento la riforma della sanità penitenziaria, con il completo trasferimento delle competenze, dell’assistenza e del personale dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale.

Per questo obiettivo abbiamo lavorato lungo venti mesi e il risultato raggiunto è tanto più importante se si tiene conto che tale provvedimento era previsto dalla riforma sanitaria del 1999; e che da allora resistenze e ostilità, corporativismi e chiusure, ne avevano impedito l’attuazione. È con grande soddisfazione dunque che possiamo indicare questa come una delle più importanti realizzazioni del Governo Prodi e di questo Ministero. La popolazione detenuta viene inserita a pieno titolo nel Servizio sanitario nazionale e il diritto alla salute viene più efficacemente tutelato. I detenuti vengono di conseguenza inclusi nella pienezza del sistema dei diritti di cittadinanza per quanto riguarda quella fondamentale garanzia rappresentata dalla tutela della salute".

 

Il Sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi

Giustizia: Gonnella e Libianchi; una riforma attesa da dieci anni

 

Dire, 2 aprile 2008

 

Parlano il presidente di Antigone e quello del Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane: "Finalmente la salute delle detenute e dei detenuti viene trattata come quella dei cittadini liberi".

"Lo attendevamo da 10 anni. Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale è un provvedimento di grande rilievo. Finalmente la salute delle detenute e dei detenuti viene trattata come quella dei cittadini liberi. È stato rispettato un principio - quello della salute uguale per tutti - che era presente nella riforma Bindi del 1998. Un ringraziamento va fatto in modo esplicito a chi nel ministero della Giustizia ci ha creduto superando le resistenze corporative.

Ora si tratterà di monitorare il lavoro delle Asl per evitare omissioni o resistenze". Così Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e di Sandro Libianchi, presidente del Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane.

"È con estrema soddisfazione - dichiara Sandro Libianchi, Presidente di Conosci onlus (Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane), che si apprende che il Consiglio dei Ministri ha oggi approvato il Decreto concernente il trasferimento di tutte le competenze in tema di medicina penitenziaria, ancora sotto la responsabilità del Ministero della Giustizia, alle Regioni e quindi alle Asl del Servizio Sanitario Nazionale.

Dopo circa dieci anni di incertezze ed alta instabilità di un sistema di mera erogazione di prestazioni sanitarie che si basava sul leggi del 1970, addirittura precedenti la costituzione stessa del Ssn, le Regioni possono finalmente iniziare a progettare un vero e proprio sistema sanitario sulla base delle Linee di Indirizzo allegate al provvedimento. Tali linee di indirizzo sono rivolte sia alle strutture penitenziarie per adulti e minori, sia agli Ospedali psichiatrici giudiziari".

"Ora - continuano -, nei limiti temporali previsti dal provvedimento, la Conferenza Stato-Regioni dovrà emanare i provvedimenti successivi al decreto che dovranno essere adottati dalle Regioni per l’avvio del nuovo sistema sanitario. Essi riguarderanno i modelli applicativi e la contrattualizzazione di circa 5.500 operatori della Sanità in carcere.

Nelle fasi iniziali di questo processo, sarà certamente necessaria una attenta vigilanza sulla regolare applicazione di quanto previsto dal Decreto da parte delle Regioni e delle Asl, anche per cercare di dare una certa uniformità all’intero sistema che dovrà dapprima integrarsi per poi essere poi assorbito dal Ssn.

Le Regioni a statuto speciale e le province autonome potranno essere avvantaggiate in quanto per esse si prevede un ritardo di applicazione legato alla necessità previste dagli specifici statuti e potranno così avvalersi dell’esperienza delle Regioni e delle Aziende Sanitarie Locali che avranno applicato il decreto prima di loro. Si dà, in ultimo, atto ai Ministeri interessati (Sanità, Giustizia, Funzione Pubblica, Economia), alla Conferenza Stato Regioni-Commissione Sanità, alle associazioni di categoria, alle parti sindacali ed alle Agenzie di settore (Aran, Sisac) di essere riusciti in un tempo relativamente breve, a raggiungere un accordo unanime sull’intero testo approvato, superando le resistenze di una sparuta minoranza oppositiva".

Giustizia: Cgil; riforma sanità penitenziaria è un atto di civiltà

 

Comunicato stampa, 2 aprile 2008


Con la firma del Presidente del Consiglio si da avvio al processo di trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Una riforma che il sistema penitenziario italiano aspettava da decenni e che di fatto rappresenta il più importante intervento legislativo sulla condizione carceraria dalla Gozzini in avanti: sancire l’universalità del diritto alla salute anche per le persone momentaneamente private della libertà personale è la più grande affermazione della supremazia dei diritti di cittadinanza sui bisogni di contenimento carcerario.
Per gli attuali 52.000 detenuti la riforma sancisce la parità di trattamento con i cittadini liberi e garantisce interventi a tutela della salute nelle carceri in maniera complementare ed organica all’obiettivo più generale della risocializzazione dei condannati.
Ora Regioni, Aziende Sanitarie, Comuni, istituzioni centrali ed istituti penitenziari dovranno operare in sinergia per realizzare condizioni di protezione della salute iniziando dalle conoscenze epidemiologiche tipiche del regime detentivo per passare a vere e proprie azioni di promozione della salute: particolare importanza assumeranno l’attività fisica, l’alimentazione, il contrasto all’abuso di alcool ed alle dipendenze da fumo, la garanzia di salubrità degli ambienti di vita e il rispetto della legge sulla sicurezza dei luoghi, di lavoro e di vita.
Una particolare attenzione dovrà essere rivolta a quelle patologie che comportano interventi a lungo termine (HIV, malattie mentali, tossicodipendenze ecc) e risulterà indispensabile attivare sistemi di valutazione della qualità dell’intervento a cominciare dall’utilizzo della farmaceutica e della diagnostica.
Una legge che interessa anche più di 5.000 operatori sanitari fra dipendenti di ruolo del Ministero della Giustizia e professionisti sanitari con contratti atipici che con la firma del decreto transiteranno alle dipendenze del servizio sanitario nazionale migliorando non solo le proprie condizioni di lavoro, ma anche la necessaria autonomia dell’intervento sanitario dalle costrizioni della detenzione.
Per alcuni di loro, da anni sottoposti ad un regime di convenzione senza diritti e prospettive, si potranno anche aprire verifiche su processi di stabilizzazione del rapporto di lavoro, oltreché, immediati miglioramenti delle condizioni di lavoro.

Rossana Dettori
Segretaria Nazionale Fp Cgil

Giustizia: Cisl; contrari a riforma della medicina penitenziaria

 

Comunicato stampa, 2 aprile 2008

 

Quest’oggi il Presidente del Consiglio Prodi, insieme al Ministro della Giustizia Scotti, al Ministro della Salute Turco, al Ministro dell’Economia Padoa Schioppa ed al Ministro della Funzione Pubblica Nicolais, ha emanato un Decreto che dispone il trasferimento delle funzioni della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.

Ancorché alla contrarietà della Cisl si sono unite quasi tutte le altre OO.SS. di Settore il Dpcm per la riforma in questione è stato definitivamente emanato. Sorprende la "fretta" adottata del Governo per approvare un provvedimento osteggiato dai Lavoratori interessati e dal Sindacato. Contro questa scelta sbagliata la Cisl ha deciso l’avvio di forme di mobilitazione del Personale, convocando Assemblee Regionali da realizzare il giorno martedì 8 aprile 2008, concomitante in tutte le realtà d’Italia, alla presenza delle Lavoratrici e dei Lavoratori dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile, e dove al termine dei lavori saranno tenute Conferenze Stampa, ovvero documenti di sostegno alla vertenza - per informare l’Opinione Pubblica di quali ricadute avrà una riforma imposta dal Governo solo per esigenze politico-partitiche e non per un reale merito della proposta in campo.

Il Provvedimento approvato oggi sarà adesso oggetto di verifica alla Corte dei Conti che dovrà esprimersi riguardo ai costi che determina questa operazione. Questo modo di procedere del Governo Prodi dimostra, ancora una volta, come la gestione si sia ispirata a metodi sicuramente poco democratici dove si è ritenuto il confronto con le Parti Sociali solo come un adempimento di informazione sulle scelte politiche e non mantenendo fede alla cultura del confronto spesso enunciata e mai così scarsamente praticata. La Cisl continuerà la propria azione di verità per una decisione sbagliata.

 

Il coordinatore responsabile penitenziario

(Marco Mammucari)

 

I segretari nazionali

(Nino Di Maio - Daniela Volpato)

Giustizia: Bertinotti risponde alle domande di "Radio Carcere"

 

Il Riformista, 2 aprile 2008

 

Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a radio carcere sulle riforme del processo penale. Una giustizia celere, efficiente, eguale per tutti e garantista per imputati e vittime dei reati, questa è per la Sinistra Arcobaleno la priorità irrinunciabile. Ecco perché è importante indicare con chiarezza, coraggio, lucidità e, soprattutto, senza demagogia, la strada per raggiungere tali obiettivi. Siamo consapevoli che lo Stato debba garantire la sicurezza e tutelare i beni primari di tutti, ma anche che le vittime prime di una giustizia che non funziona sono i soggetti più deboli.

Le nostre proposte possono essere sintetizzate in 4 punti: certezza dei tempi del processo e della pena, per restituire alla giustizia il fondamento primo per la sua condizione popolare, la trasparenza; ampia depenalizzazione, con un diritto penale minimo ma efficace, che sostituisca l’eccesso di ricorso a pene detentive, il cui fallimento è ormai evidente; previsione di pene diverse dal carcere, per incidere sulla recidiva e aiutare il reinserimento del reo, tenendo conto dei diritti delle vittime; interventi organizzativi sulla farraginosa macchina giudiziaria che, da soli, potrebbero dimezzare i tempi processuali (il 30% dei processi vengono rinviati per problemi burocratici; i cosiddetti "tempi morti" della giustizia incidono per oltre il 20% sulla durata dei processi).

Proprio per evitare strumentalizzazioni, alcuni chiarimenti sono necessari. La depenalizzazione dei reati minori non equivale affatto ad impunità: anzi, a fronte di una ipotetica condanna a decenni dai fatti, si prevede una immediata ed efficace sanzione amministrativa. Inserire nel codice pene non carcerarie per i reati di non grave allarme sociale (interdittive, prescrittive, lavori socialmente utili, etc.) non significa affatto essere contro un modello sanzionatorio, ma prendere atto del fallimento dell’attuale sistema, dalla faccia feroce ma totalmente inefficace, e sostituirlo con sanzioni più eque e adeguate che, proprio perché effettivamente scontate, elimineranno quel senso di impunità, presupposto della recidiva; diminuiranno i reati e maggiore sarà la sicurezza, sia reale che percepita, per i cittadini tutti. Si avrà, inoltre, un’accelerazione dei tempi processuali, venendo meno la quasi certezza della prescrizione per molti reati e le impugnazioni meramente dilatorie, senza però eliminare i tre gradi di giudizio, garanzia per gli innocenti, e senza prevedere che diventi provvisoriamente esecutiva la condanna di primo grado (in contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza).

I dati ufficiali sono chiari, chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva superiore al 60%; chi usufruisce di pene alternative ha una recidiva inferiore al 15%: è evidente quanto inefficaci, oltre che anacronistici, siano non solo l’attuale sistema sanzionatorio ma anche l’attuale codice, risalente al fascismo, e che prevede solo pene pecuniarie o carcerarie.

L’estensione abnorme del ricorso al carcere non aiuta certo il reinserimento sociale: ecco perché è non solo ragionevole, ma anche più efficace nel contrasto del crimine, prevedere la detenzione carceraria quale extrema ratio, limitata ai casi di doverosa tutela della collettività.

La depenalizzazione e la modifica dell’attuale sistema sanzionatorio sarà molto positiva. Evitando di celebrare tre gradi di giudizio per reati dal disvalore assolutamente esiguo, piuttosto che per condotte collegate allo stato di tossicodipendenza o alla marginalità sociale (alle quali occorre rispondere con strutture per la disintossicazione e il reinserimento), la magistratura potrà occuparsi dei reati gravi, evitando, tra l’altro, le sempre più numerose scarcerazioni per decorrenza dei termini.

Non solo, ma saranno meglio tutelate le garanzie processuali, con una incisiva diminuzione degli errori giudiziari; maggiore sarà anche l’attenzione per le vittime del reato e per istituti, quali la confisca, che si sono mostrati incisivi nel contrasto alla criminalità economica e mafiosa (con la destinazione dei beni sequestrati a fini sociali o al risarcimento delle vittime).

Un diritto penale minimo, con una pena non vendicativa ma equa e certa, porterà a una diminuzione della carcerazione preventiva, che sarà l’eccezione e non la regola, come previsto dalla Costituzione, e contribuirà a rendere effettivo il diritto di difesa, soprattutto per i meno abbienti. Il carcere, previsto per i reati più gravi, non sarà più quel luogo che mal si concilia con la finalità rieducativa della pena, ma dovrà essere luogo di recupero umano e di reinserimento sociale, anche perché ogni detenuto recuperato è un pericolo in meno per la collettività. I principi costituzionali della ragionevole durata dei processi, della parità delle parti (accusa e difesa) e della terzietà del giudice, diventeranno realtà e non continueranno a rimanere mere parole. Sarà così possibile evitare reciproche ingerenze e interferenze tra i diversi poteri dello Stato, creando le premesse per quel clima di leale collaborazione che è indispensabile per soluzioni equilibrate su temi delicati quali quello del segreto delle indagini, del rispetto della privacy, dei limiti alle intercettazioni telefoniche e, più in generale, di una corretta informazione, evitando le condanne mediatiche.

Il consenso al Programma della Sinistra Arcobaleno, qui accennato nelle sue linee di fondo, potrà restituire ai cittadini la fiducia nella Giustizia e, al Paese, una Giustizia degna di questo nome.

 

Fausto Bertinotti

candidato premier per la Sinistra L’Arcobaleno

Giustizia: Berlusconi non risponde, pagina bianca sul Riformista

 

Ansa, 2 aprile 2008

 

"Domani lo spazio che era destinato all’onorevole Berlusconi, candidato premier del Pdl, sulla pagina di Radio Carcere del Riformista rimarrà vuoto". Lo annuncia Riccardo Arena, che cura la pagina di Radio Carcere del Riformista.

"È più di un mese - spiega Arena - che lo staff di Silvio Berlusconi conosce la nostra iniziativa, con la quale abbiamo chiesto ai candidati premier di indicare soluzioni concrete per la giustizia. Da Veltroni a Casini tutti hanno risposto, tranne l’onorevole Berlusconi, il quale ad oggi non ha fatto pervenire il suo intervento". "Per questa ragione - spiega Arena - le colonne che erano destinate allo scritto di Berlusconi sulla pagina di Radio Carcere del Riformista rimarranno vuote". L’iniziativa però "non è segno di una polemica - sottolinea Arena - ma è segno di un’assenza. Di una mancata risposta ai cittadini da parte del candidato premier del Pdl sul tema Giustizia".

Giustizia: questo è "l’ergastolo bianco" degli internati all’Opg

 

La Repubblica, 2 aprile 2008

 

Alcune cose che si legano tra loro. Un internato di 50 anni si è suicidato la scorsa notte nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. L’uomo era detenuto per oltraggio a pubblico ufficiale. Si è impiccato e quando è arrivato al pronto soccorso ogni tentativo di rianimarlo è stato inutile. È il terzo suicidio nell’ultimo semestre ad Aversa.

Gli internati negli ospedali psichiatrici sono quei soggetti considerati "pericolosi per se e per gli altri", in realtà sono persone "piccole e impaurite". Dita ingiallite per il troppo fumo. Rughe profonde, segnate dalle lancette del tempo ferme all’ora dell’internamento. Denti neri o rotti dal mondo che li ha esclusi, abbandonati, rinchiusi perché i rei folli fanno paura. Anche chi ha commesso il delitto più efferato, dopo la degenza in Opg, non potrebbe fare male ad una mosca. L’Opg di Aversa è metà carcere, metà ospedale.

Sono ricoverati gli autori di reato prosciolti per "incapacità di intendere e di volere", ma con perizia di "pericolosità sociale". La detenzione va da 2, a 5 a 10 anni, revocabile in caso di "guarigione", prorogabile fino all’ergastolo "bianco". La popolazione è formata soprattutto da schizofrenici con disturbi della personalità. Il ministero della Giustizia è latitante.

Niente soldi ai malati di mente. I detenuti devono provvedere alla pulizia dei propri spazi, quando in alcuni casi non riescono a curare nemmeno l’igiene personale. Forza Italia ha provato più volte ad abrogare la Basaglia e reintrodurre il concetto di pericolosità per giustificare il ricovero coatto.

Ciò renderebbe il Tso e il ricovero obbligatorio semplicissimo perché convalidato da uno psichiatra anche privato e includerebbe tossicodipendenze e alcolismo. Pochi minuti fa Veltroni ha dichiarato che la legge Basaglia, non deve essere toccata. Nonostante critiche e proposte di revisione la legge 180 è ancora la legge quadro che regola l’assistenza psichiatrica in Italia, anche se da più parti si sostiene che va migliorata, mantenendone fermi i principi anti-manicomialisti e il riferimento al territorio come luogo principale di cura e accoglimento della persona affetta da disturbo mentale. L’ultimo tentativo di graduale chiusura degli Opg è stato portato avanti dal dottor Marco D’Alema, fratello del più noto Massimo, psichiatra e consigliere del ministro Turco.

Valentina Quintano, 25 anni, ha trascorso otto mesi all’interno dell’ospedale psichiatrico. Ha realizzato un reportage che racconta la vita degli internati. Otto mesi all’interno dell’Ospedale psichiatrico Giudiziario di Aversa "Filippo Saporito", più di duecento giorni alle prese con i reclusi e con questi spazi inviolabili per ricavarne migliaia di scatti.

È nato così "Ergastolo bianco", un reportage fotografico firmato da Valentina Quintano, dedicato alle condizioni di vita degli internati. 25 anni, napoletana, Valentina si è tuffata in quest’avventura umana prima che artistica nel maggio del 2007. E non è ancora capace di uscirne.

Nel reportage ne sono finiti un centinaio, e potrebbero continuare a crescere: "Non so bene quando il mio lavoro potrà definirsi compiuto", dice Valentina, che ha già chiesto varie proroghe al permesso che le è stato concesso. Non vuole andarsene: è ormai parte dell’Ospedale. Uno "strano animaletto", come scherzosamente si è battezzata, che sbuca all’improvviso e scatta. Amata e conosciuta da pazienti e personale, prima di tutti dal direttore, Adolfo Ferraro.

Quel tipo di medico illuminato e illuminante, sguardo sornione acceso da lampi di intelligenza a fior di pelle, che legge dentro. Ma con grazia e ironia. A Valentina, si vede, si è legato. Forse gli piace avere un occhio "capace", come quello di una ragazzina in tuta e obiettivo. Che conosce ogni angolo del manicomio: ne mostra stanze e percorsi, descrive atmosfere e luci. Vederla fuori da queste mura è straniante: diventa ansiosa mentre dentro è viva e allegra. Perfettamente a suo agio, si capisce che l’Opg è diventato una casa.

"Spesso mi trovo meglio a parlare con i pazienti, senza le mediazioni e le ritualità formali che devo usare con i cosiddetti normali. Senza retorica, la maggior parte di queste persone, persone ripeto, non farebbe più male a nessuno. Ma la società non può più accoglierli. Mi domando cosa sia normale. So che è rischioso restare qui a lungo, eppure sento di gestire la situazione. Quando me ne andrò sentirò nostalgia ma devo evolvermi, umanamente e artisticamente". Le diapositive: in bianco e nero, splendide, ipnotiche, vederle in rassegna fa un effetto-tunnel. Alcune si presentano a dittici inseparabili, cornici organiche che possono parlare solo insieme. Una di queste coppie ritrae delle guardie in una sequenza di vita normale, sorridenti nelle loro faccende. Il manicomio è formato anche da chi ci lavora, parte imprescindibile. Ma i protagonisti restano i reclusi: "L’Opg è una vera e propria galera.

Con la non trascurabile differenza che da questo carcere non si sa quando uscire. Formalmente molti potrebbero essere rilasciati, ma siccome non si sa come reinserirli in società restano qui". Torna la spinosa questione dell’applicazione della legge Basaglia. In un’immagine si vede solo una mano, che sbuca al di qua delle sbarre. Chiede qualcosa, qualcosa a cui Valentina è chiamata a dar nome: "La violenza di questo tipo di istituzione totale risiede nell’indeterminatezza delle pene che le persone scontano.

Il sistema ha una struttura ad "imbuto" (facile l’accesso, vicina ad essere impossibile l’uscita) e raccoglie numerosi tipi di persone e reati. Gravi e di lieve entità, accomunandoli nella definizione, tanto generica quanto insignificante, di pericolosità sociale". Il Filippo Saporito ha infatti due categorie di "ospiti": i folli rei, quelli che, già noti al servizio igiene mentale, commettono reati e i rei folli, impazziti durante l’esperienza carceraria.

Come i due amici-amanti che si abbracciano rotolando durante l’ora d’aria, in una delle sequenze più toccanti del reportage. Un’altra foto mostra un paziente, fanatico religioso, che stringe una croce. Cerca una risposta al delirio dentro e fuori di lui. Valentina ha anche fotografato le prove di uno spettacolo che gli internati hanno interpretato sulla scorta di un progetto del gruppo teatrale Gesualdi-Trono di Progetto "Attore in Gestazione", che in gennaio a Galleria Toledo ha messo in scena "Noi aspettiamo (Godot?)".

Il capolavoro di Beckett usato come calzante metafora di un’attesa che aspetta se stessa. Valentina è divenuta d’ufficio fotografa di scena, ma dice che "la pièce non è stato il momento essenziale di questo lavoro. Più importante ciò che è successo durante le prove: la scoperta di una possibilità di comunicazione diversa, di un’intimità fisica nuova".

Il manicomio ha una sua precisa teatralità anche strutturale. Molti scatti immortalano gli spazi e gli interni: un lager indecifrabile, colori e dimensioni che potrebbero essere usciti da un gioco ottico di Escher, i cui abitanti non sanno come e perché costruirsi in quanto individui. "E non c’è legge che possa mediare, o amnistia che riesca a tirarli fuori". Un Ergastolo bianco, dunque, proprio perché si tratta di una tacita reclusione a vita. O peggio, di questa, almeno, si conosce il termine."Un ergastolo è fine pena mai. Un ergastolo bianco è: fine pena X".

Giustizia: il Gip archivia accuse del Pm De Magistris a Mastella

 

La Repubblica, 2 aprile 2008

 

Mancavano i presupposti per indagare Clemente Mastella. Per un suo coinvolgimento nell’inchiesta della procura di Catanzaro denominata "Why not" e avviata dal pm Luigi De Magistris. All’indomani della richiesta di archiviazione della procura di Roma per un’altra indagine, quella che relativa al vo lo di Stato per il Gp di Monza, il giudice delle indagini preliminari di Catanzaro,Tiziana Macrì, ha chiuso quest’altro capitolo.

Lui invoca l’intervento del Quirinale, minaccia azioni giudiziarie, ma soprattutto per annuncia che, dismessi i panni del parlamentare (per ora), indosserà quelli dell’investigatore e quasi urla: "Ora chi mi pagherà i danni".

 

Clemente Mastella, vuole indagare ma per scoprire cosa?

"Farò l’investigare o tornerò a essere il giornalista di un tempo, l’unico mio impegno sarà cercare di scoprire e denunciare chi c’è dietro il disegno, il complotto ordito ai miei danni. Perché ormai è chiaro che tutto questo non può essere avvenuto per caso".

 

Il Gip di Catanzaro sostiene che non c’erano i presupposti per l’indagine per abuso d’ufficio e lei dice: "Hanno lavorato per la mia eliminazione politica, un attentato alla libertà e alla Costituzione". Non crede di esagerare?

"E lei come lo chiamerebbe quello che ho subito? La mancanza di presupposti è un fatto enorme. E ora che sono stato riconosciuto innocente che dovrei fare? Chi mi ripaga?"

 

Resta aperta l’indagine campana in cui è coinvolto con sua moglie Sandra.

"Ma anche lì dimostreremo la nostra estraneità. Per cosa dovremmo essere processati, perché abbiamo detto di un tizio che è politicamente morto? o per una mia nomina segnalata a Bassolino?"

 

Denuncia e cerca giustizia. Ce l’ha col pm De Magistris?

"Nei suoi confronti esprimo un perdono cristiano. Ma chi ha orchestrato questa cosa immorale deve solo vergognarsi. Lui? Certo, sembra non ci sia stata buona fede, imparzialità. Verificherò".

 

Chi ha ordito il complotto di chi parla e per cosa?

"Io lo chiamo il trittico: un disegno politico, giudiziario e mediatico. Con un solo obiettivo: farmi dimettere dal ministero della Giustizia e aprire una nuova fase politica. Al disegno politico non sono state estranee frange della maggioranza di cui facevo parte e mi riferisco alla sinistra. Quello giudiziario ha fatto di me il ministro della Giustizia più intercettato della storia: 50 mila intercettazioni a carico mio e dell’intera famiglia. Infine un attacco mediatico concentrico, condotto da giornali e tv che per mesi non hanno perso occasione per aggredirmi".

 

Familiari in politica e quel volo di Stato erano fatti da documentare. Non crede?

"Cos’è, per 30 anni ho fatto politica onestamente e negli ultimi due sarei entrato nelle nebbie del disfacimento morale? Hanno fatto credere a milioni di italiani che il capo della casta fosse il leader di un partito dell’1,4%. Una cosa vigliacca e immonda".

 

Se era così convinto della sua innocenza, perché si è dimesso? Confessi: se n’è pentito e così di aver fatto cadere il governo.

"Certo, col senno di poi forse non l’avrei fatto. Ma poi razionalmente rispondo che no, l’arresto di mia moglie era un messaggio chiaro di chi ha ordito il disegno. Avrebbero trovato comunque il modo di costringermi a questo suicidio indotto. E Prodi non l’ho fatto cadere io".

 

Pensa davvero di tornare in politica? Come?

"Dopo tante schifezze subite ingiustamente, la voglia di ritornare è tanta. E rientrare dove stavo. Ora, non dico al ministero, ma in un posto di tutto rispetto certamente sì. L’Udeur avrà perso i colonnelli ma ha ancora un esercito e un generale. L’anno prossimo torno con le Europee e intanto il 13 vado a votare. Per chi sento più vicino a me".

 

Non Berlusconi, che l’ha tagliata fuori a sorpresa.

"Non lo sento da un mese e mezzo e da gennaio non ho più contattato Prodi. I potenti si sono dileguati. Mi è rimasta vicina la povera gente".

Abruzzo: i detenuti in aumento, solo altri 99 posti disponibili

 

Prima, 2 aprile 2008

 

Nelle carceri abruzzesi vi sono ancora 99 posti prima di raggiungere il limite della capienza regolamentare. Secondo i dati al 31 marzo scorso del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Le presenze complessive sono 1.405, a fronte di una capienza di 1.504 posti e una "tollerabilità" di 2.265. Più in generale, in Italia, esaurito l’effetto indulto di cui hanno beneficiato complessivamente 27.299 persone, le carceri italiane stanno tornando a riempirsi al ritmo di mille detenuti al mese. Attualmente ce ne sono 51.517 nei 205 istituti penitenziari italiani, contro una capienza regolamentare di 43.288 unità e un limite "tollerabile" di 63.662. La "boccata di ossigeno" rappresentata dall’indulto - che nell’agosto del 2006 permise di passare dall’insostenibile situazione di 63mila detenuti a poco più di 38mila - sta dunque finendo.

Bologna: agente sequestrato e ferito al volto da tre detenuti

 

Il Resto del Carlino, 2 aprile 2008

 

È stato liberato grazie a un blitz dei colleghi dopo essere stato sequestrato e ferito da tre detenuti rinchiusi nel carcere della Dozza. Vittima un agente di Polizia Penitenziaria prigioniero per circa venti minuti di tre uomini, un italiano e due slavi. Il fatto è avvenuto nella serata di ieri. L’ agente ha subito ferite al volto che i tre detenuti gli avrebbero inflitto con un paio di forbicine. Il Pm di turno, Valter Giovannini, ha disposto per i tre - uno dei quali è un ergastolano per omicidio, che un paio di settimane fa durante un permesso aveva picchiato e rapinato un uomo del Bangladesh a Bologna - l’ulteriore arresto per sequestro di persona, resistenza e lesioni.

I tre detenuti, due slavi e un italiano, durante l’ora d’aria hanno aggredito l’ agente trascinandolo in cella. L’agente ha comunque fatto in tempo a gettare lontano le chiavi del reparto. Un collega ha anche tentato di correre in suo aiuto, ma è stato colpito al volto dai tre. Dopo una ventina di minuti, senza che venissero formulate nel frattempo richieste, c’è stata l’irruzione degli agenti della polizia penitenziaria, che hanno liberato il collega.

Como: carcere da riorganizzare, cresce la protesta degli agenti

 

Il Giorno, 2 aprile 2008

 

Prosegue lo stato di agitazione degli agenti di polizia penitenziaria del carcere Bassone di Como. La protesta sta raccogliendo l’adesione di massa dei 230 agenti effettivi, unitamente al sostegno dei dipendenti del comparto ministeriale, che esprimono solidarietà ai colleghi. Lunedì i rappresentanti sindacali hanno incontrato il provveditore regionale Luigi Pagano, giunto al Bassone per illustrare il progetto di riorganizzazione della casa circondariale comasca. Il disagio nasce infatti dall’annuncio di alcuni spostamenti di sezione. In particolare i detenuti dei "Nuovi giunti", sezione nella quale attualmente ci si imbatte appena entrati in carcere, e distaccata rispetto alle sezioni dei comuni, verrebbe trasferita in quella che attualmente la terza sezione, a sua volta passata nella quarta che in questi giorni è in fase di ristrutturazione.

Questo permetterebbe di recuperare otto celle da destinare ad altri e specifici utilizzi: tre per gli effettivi "nuovi giunti", persone che entrano in carcere per la prima volta e che fanno un periodo in una apposita sezione prima di essere trasferiti nei comuni. Questo di fatto oggi non avviene, perché la sezione raggruppa anche altri detenuti che devono essere tenuti separati, in tutto una trentina tra indagati o condannati per reati sessuali, transessuali, o persone che hanno sviluppato un’incompatibilità caratteriale o comportamentale con la sezione. Le altre celle verrebbero destinate agli isolamenti giudiziari, disposti dalla Procura. Questo cambiamento tuttavia, secondo i sindacati comporterebbe un aumento del lavoro e del margine di rischio degli agenti, che si troverebbero a dover scortare all’interno del carcere, per ogni spostamento, detenuti che non possono rischiare di entrare in contatto con gli altri perché a rischio di aggressioni.

"L’Amministrazione penitenziaria - spiega Massimo Corti, della Fps Cisl di Como - stava prendendo decisioni unilaterali su questioni che invece riteniamo vadano discusse, sostenendo che non avrebbero comportato nulla di diverso rispetto all’attuale situazione. Noi abbiamo invece chiesto di farci avere il progetto dettagliato, per studiarlo e poter fare le nostre controdeduzioni".

Nel frattempo prosegue lo sciopero bianco, vale a dire una rigida applicazione delle norme in vigore, protesta che ne fa emergere l’inadeguatezza perché ormai sorpassate, come ad esempio la disposizione di accompagnare due detenuti alla volta alle docce, che va bene se applicata a sezioni con pochi detenuti, ma che crea problemi quando diventano un centinaio. Altra questione discussa nell’incontro con Pagano è la riparazione del cortile per il passeggio della terza sezione, e i 70 mila euro necessari per l’intervento, dove le infiltrazioni di acqua hanno provocato un avallamento.

Gorgona: Cisl; mancano personale e soldi per Casa Reclusione 

 

Conquiste del Lavoro, 2 aprile 2008

 

La Cisl Fp Penitenziario accende i riflettori sulla Casa di Reclusione dell’Isola di Gorgona (Livorno). In una lettera al capo del Dap, Ferrara, Marco Mammucari evidenzia che, quanto accade nel carcere dell’isola toscana, non abbia paragoni in Italia. "La situazione - aggiunge - è seria". Attualmente l’Istituto ospita circa 65 detenuti. Il decreto per le piante organiche del personale prevede la presenza di 97 unità di polizia penitenziaria, di cui 27 appartenenti al comparto Ministeri e un dirigente.

Invece, a Gorgona operano circa 50 unità della Polizia Penitenziaria (molti di questi distaccati da altre sedi) e sei del comparto Ministeri (di questi un contabile che è stato distaccato al magazzino vestiario di Firenze, senza essere stato rimpiazzato). C’è poi da aggiungere un dirigente provvisorio, proveniente da un’altra sede toscana ed un contabile inviato in missione sull’isola per due giorni alla settimana.

L’Istituto non ha neppure la presenza di un medico incaricato. Inoltre si autogestisce per quanto riguarda i servizi essenziali. Si produce, infatti, energia elettrica, acqua. Così come autogestisce gli impianti di riscaldamento, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. "Tutto questo - aggiunge la Cisl Fp - avviene utilizzando impianti obsoleti e privi delle necessarie operazioni di manutenzione (alcune obbligatorie per legge)".

Gorgona poi, in quanto isola, dispone di cinque barche della Polizia Penitenziaria più una civile per il trasporto delle merci. "A questi mezzi navali - sostiene ancora il sindacato - si devono aggiungere quelli di tipo terrestre e quelli agricoli (indispensabili per il funzionamento dell’azienda agricola)". La direzione del carcere aveva conteggiato quanto servisse per i lavori di manutenzione: non meno di 650 mila euro. "Ma il Dap - conclude Mammucari - ne ha assegnati, per il primo trimestre, solo 17 mila".

Treviso: con "Codice a sbarre" la legalità dall’Ipm alle scuole

 

Il Gazzettino, 2 aprile 2008

 

"Sono il figlio di un morto e di una tossica? Per voi sì. Ma io so che farò una brutta fine, la droga è l’unica cosa che mi consola, è l’unica amica che ho". Sono le parole di Claudio93, detenuto 14enne nel carcere minorile di Treviso. Anche la sua storia, come quella di altri reclusi della struttura penale di Santa Bona, è contenuta nel "passaporto" distribuito nelle classi prime superiori della provincia nell’ambito del progetto "Codice a sbarre 2008".

Per combattere il bullismo e prevenire negli adolescenti fenomeni di reato, e parallelamente per recuperare i giovani detenuti, l’Associazione Itaca e Emergenze Oggi hanno messo in piedi un progetto educativo i cui risultati saranno visibili a Cà dei Carraresi sabato prossimo alle 18.30 e in una serie di iniziative che il 15 aprile porteranno nel carcere minorile l’attrice, oggi impegnata nella solidarietà, Claudia Koll.

"Codice a Sbarre", patrocinato anche da Provincia e Comune, e il cui logo è stato ideato dal pittore Walter Davanzo, ha ricevuto in questa edizione la medaglia del presidente della Repubblica Napolitano, ed è protagonista di uno speciale annullo filatelico di Poste Italiane. Il "passaporto" distribuito nelle scuole, contenente storie e immagini dal carcere minorile, tratta di criminalità, microcriminalità e violenza, riassumendo reati e pene.

Parla al giovane di legalità, responsabilità, scelte, dicendo che ogni adolescente è ricco di risorse e fondamentale per la società che dovrà costruire. Nel "Passaporto" ogni studente trovava un buono-pizza da spendere nei locali della Marca: quando lo esibiva, riceveva una "Scatola da pizza" da colorare, dipingere, incollare sviluppando un messaggio sulla criminalità. Lo stesso, attraverso centinaia di scatole bianche portate al carcere di Santa Bona, hanno fatto i detenuti. I 50 migliori lavori selezionati (tutti e 123 comunque sono entrati in un catalogo) verranno esposti da sabato a Cà dei Carraresi: i primi 3 verranno premiati con una targa confezionata nelle case circondariali di Treviso e della Giudecca.

Ma "Codice a Sbarre" ha previsto anche un’asta di beneficenza proprio delle opere esposte ai Carraresi e realizzate da studenti liberi e giovani reclusi sui cartoni da pizza, contenitore vuoto (come la società nichilista) che si riempie grazie al contributo degli adolescenti, in un dialogo alla pari che arricchisce entrambi. "Al giorno d’oggi i ragazzi ricevono molti stimoli dall’esterno, non sempre positivi - hanno commentato il presidente della Provincia Leonardo Muraro e l’assessore al sociale Barbara Trentin, presentando l’iniziativa assieme al prefetto Vittorio Capocelli, ai responsabili del carcere Francesco Massimo e Letizia Troianelli, ai presidenti di Emergenze Oggi Massimo Zanta e di Associazione Itaca Giorgio De Faveri -. È per questo che le istituzioni devono lavorare con le famiglie per accompagnare questi ragazzi, anche facendo loro comprendere come certi comportamenti possono portarli verso situazioni pericolose".

 

Progetti per l’Istituto penale minorile

 

L’Istituto penale per i minorenni di Treviso è l’unica struttura del Triveneto destinata a luogo di reclusione per gli "under 18" di sesso maschile. Può ospitare un numero massimo di 20 ragazzi che talvolta provengono anche dal territorio padovano.

I servizi sociali del Comune hanno pertanto sviluppato un buon rapporto di collaborazione in particolare con gli educatori, per seguire i minori durante il periodo di detenzione e proseguire la presa in carico anche nei periodi successivi. La detenzione di un minorenne è una fase estremamente delicata e tutta la legislazione è preordinata a ridurne la durata e ad offrire al minore ogni utile possibilità di reinserimento. Ciò nonostante in alcuni casi il minore è costretto anche per svariati mesi alla reclusione, per cui uno degli obiettivi dei servizi sociali è stato anche quello di contribuire a migliorare per quanto possibile gli ambienti del carcere in cui sono ospitati gli adolescenti.

Un aiuto importante è stato reso dal Comune di Padova grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio che con un contributo di 6 mila euro ha finanziato il completo rifacimento dell’impianto di riscaldamento della palestra dell’Istituto che, rinnovata nell’arredo e nella tinteggiatura, inaugurata il 15 marzo con una cerimonia alla presenza del Vescovo di Treviso. Presenti anche l’assessore Claudio Sinigaglia, il capo settore Lorenzo Panizzolo e il presidente della Fondazione Antonio Finotti.

L’Istituto è stato inoltre al centro di un altro importante intervento realizzato dai servizi sociali del Comune di Padova nell’ambito del progetto sulla legalità e contro il bullismo e la devianza, che ha visto la realizzazione di un Dvd "Voci da dentro" con interviste a 5 ragazzi detenuti che vengono proposte quale momento di riflessione agli studenti delle scuole superiori. L’iniziativa coinvolge ogni anno oltre 1.000 studenti delle scuole padovane e dei comuni limitrofi ed è realizzato con la collaborazione dell’associazione Granello di Senape

Benevento: teatro - carcere; una rilettura di Risi, Gaber e Fo

di Giovanna D’Agostino

 

www.ilquaderno.it, 2 aprile 2008

 

"Non è facile fare ridere, far emozionane e neppure pronunciare le parole che sono state dette". Più che un commento a caldo, quello di Maria Luisa Palma, direttrice del carcere di Benevento è stato un sentito ringraziamento ai detenuti "perché hanno realizzato uno spettacolo che ha rapito il pubblico" e alla Solot "che ha saputo tirare fuori le doti attoriali".

"I mostri", performance teatrale eseguita questo pomeriggio nella palestra della casa circondariale a Capodimonte, ha profondamente scaldato i visitatori. Tutti autorizzati, molti giovani, tra i quali gli allievi della compagnia stabile e i familiari dei carcerati.

Più in fondo, separati da transenne, gli altri detenuti. Che all’unisono hanno riso alla comicità e taciuto durante i dialoghi intensi. 10 attori sul palco, una montagna di abiti vecchi di ogni tipo, dal tutù rosa al vestitino della prima comunione, dalla tuta da sci al pareo estivo. Un’ esplosione di colori e tessuti, quasi una bancarella americana, in cui sono scomparse le quinte nere. E che con la loro staticità, oltre ai pochi oggetti scenici o cambi di luce, hanno fatto degli attori i veri protagonisti.

I detenuti, infatti, hanno rielaborato con intensa fisicità i testi del film omonimo di Dino Risi, di Giorgio Gaber e di Dario Fo. Ma hanno pure interpretato un copione originale, molto duro e vivo, scritto da G.D.V. e recitato insieme all’attrice del centro universitario teatrale di Benevento, Katia Cogliano. La compagnia "Ragazzi dentro" è diretta Michelangelo Fetto e Antonio Intorcia. L’iniziativa fa parte del progetto "Laboratorio teatrale", promosso dalla direzione del Carcere, in collaborazione con la Solot, compagnia stabile di Benevento.

Trieste: Franco Frattini (Pdl) in visita alla Casa Circondariale

 

Ansa, 2 aprile 2008

 

Nel corso del suo tour elettorale in Friuli Venezia Giulia, il Vice Presidente della Commissione Europea Franco Frattini, ha visitato la casa circondariale di Trieste, il cui direttore Enrico Sbriglia ha potuto illustrare i problemi di questo delicato comparto del settore giustizia: dalle politiche penitenziarie all’esigenza di costruire nuove carceri, con formule innovative quali il Project Finality. Mentre sul versante dei detenuti, si è fatto cenno alla necessità di ricorrere a misure alternative alla detenzione e di proporre attività lavorative e produttive che possano incoraggiare e promuovere il reinserimento e la riabilitazione sociale dei detenuti. "Mi ha favorevolmente impressionato - aggiunge Frattini - l’impegno della casa e del suo Direttore, a garantire nell’ambito di un trattamento dignitoso ai detenuti, anche uno spazio per la religiosità e le sue pratiche". La casa circondariale di Trieste ospita una maggioranza di detenuti che professano la religione musulmana.

Alghero: il gruppo "I Bertas", concerto in Casa Circondariale

 

www.alguer.it, 2 aprile 2008

 

I "Bertas", che hanno fatto la storia della musica sarda, e che, grazie ai loro successi hanno varcato le barriere regionali, giovedì pomeriggio entreranno nell’Istituto di Pena di Alghero per un concerto. L’evento è stato accolto favorevolmente dal Dirigente dell’Istituto ed organizzato dall’Area Educativa del carcere in collaborazione con l’Area Sicurezza. Lo spettacolo, che si svolgerà preso il locale della Biblioteca "Fabrizio De Andrè", ripercorrerà le tappe dei più grandi successi, da Fatalità a Como cheria, da Badde lontana a Pensende a tie. L’iniziativa solidaristica del gruppo, che interverrà a titolo gratuito, consentirà per l’ennesima volta, grazie anche alla sensibilità degli operatori dell’Istituto, di dare la possibilità a quelle persone meno fortunate come i detenuti, di potersi "liberare" dalle problematiche quotidiane che il loro stato detentivo comporta, per sognare tutti insieme attraverso la musica.

Bologna: la Federazione Verdi presenta pdl contro la tortura

 

Comunicato stampa, 2 aprile 2008

 

Venerdì 4 Aprile alle ore 12 presso la Federazione dei Verdi (via Galliera 2/b, Bologna) la Sinistra Arcobaleno presenta una proposta di legge per introdurre il reato di tortura nella legislazione italiana e l’Istituzione di una commissione parlamentare di vigilanza sulle forze dell’Ordine. Interverranno l’On. Paolo Cento, il capogruppo dei Verdi in Friuli-Venezia Giulia Alessandro Metz, Marco Poggi, autore del libro "Io, l’infame di Bolzaneto", Giuliana Rasman, sorella di Riccardo Rasman, e Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi. Ricordiamo le vicende di Riccardo Rasman e Federico Aldrovandi, entrambi morti in circostanze dubbie in seguito a fermi effettuati dalle forze dell’Ordine.

 

Ufficio Stampa Verdi per la Pace - Bologna

Milano: sgombero dei campi rom, la Diocesi attacca il Comune

 

Ansa, 2 aprile 2008

 

A Milano è di nuovo scontro tra istituzioni dopo l’ennesimo sgombero di un campo nomadi. Oltre 180 baracche sono state distrutte in tre diverse zone, 205 rom romeni allontanati e il vicesindaco Riccardo De Corato ha chiesto rimpatri coatti selettivi con pene di 10 anni da scontare nelle carceri del proprio Paese.

Sullo sfondo, la Diocesi che non considera interventi di questo genere come una soluzione perché se "la legalità è sacrosanta", l’impressione è "che si stia scendendo sotto i limiti stabiliti dai fondamentali diritti umani". È questo il commento che si legge in un editoriale apparso sul sito Internet della Diocesi di Milano: "Diritti umani che imporrebbero, insieme allo schieramento delle forze dell’ordine in atteggiamento antisommossa, qualche tanica d’acqua, del latte per i più piccoli, un presidio medico, qualche soluzione alternativa per i bambini, i malati e le donne in gravidanza". Innanzi a questa situazione, conclude l’editoriale, "è urgente la costituzione di un luogo istituzionale nel quale valutare come governare il problema. Così come è urgente tutelare i minori".

Dal canto suo il vicesindaco De Corato - che ha ringraziato "il Prefetto e il Questore per aver mantenuto l’obiettivo di liberare la Bovisasca, il più grosso campo rom nel Nord Italia" - non manca di sottolineare come nella mattinata di ieri non vi sia stato alcuno "sgombero, né violazione di diritti umani perché i Rom si sono allontanati". Tuttavia, aggiunge, "sono d’accordo con la Diocesi. L’emergenza nomadi è un problema di tutte le istituzioni: alcune continuano a bucare e a oggi solo il comune di Milano ha dato ricoveri e ospitalità’.

I campi rom autorizzati a Milano sono 12 (di cui nove istituiti dalle giunte precedenti), per i quali il Comune paga 6 milioni di euro l’anno (Roma ne spende 25). Il vicesindaco ha spiegato che questi rom sono stati "allontanati e non sgomberati", perché nel secondo caso il Comune avrebbe dovuto dare loro un’assistenza, cosa impossibile visto che "i nostri centri d’accoglienza sono stracolmi di rom romeni". I 12 campi nomadi non bastano: nuovi insediamenti abusivi crescono come funghi e "noi, come Amministrazione - ha detto De Corato - siamo impotenti e dobbiamo assistere a un’inutile sarabanda: li spostiamo, ma si riformano".

Firenze: ed ora il Comune "dichiara guerra" ai mendicanti…

 

La Repubblica, 2 aprile 2008

 

Non potranno sdraiarsi per strada o ostacolare le auto. Sarà anche proibito ai turisti di toccare le porte del Battistero. L’assessore Cioni pensa a un nuovo regolamento. "Non ci saranno multe, faremmo ridere il mondo". "Ci sembra esagerato" commenta l’Arci, poco entusiasmo in giunta.

Dopo i lavavetri, scoppia il caso mendicanti. "Vieteremo l’elemosina sui marciapiedi e nelle strade quando crea intralcio o pericolo per il traffico o per i pedoni", annuncia l’assessore Graziano Cioni. "Sarà vietato anche avvicinarsi alle auto ai semafori chiedendo soldi", aggiunge il numero uno dei vigili urbani Alessandro Bartolini. Chi vorrà elemosinare potrà farlo solo in piedi. E non intralciando pedoni o automobili. Non solo. L’assessore medita nuovi divieti: impedire ai turisti di poggiare le mani sul Battistero.

È tutto scritto nel nuovo regolamento di polizia municipale che già lunedì prossimo sarà pronto e a cui sta lavorando da 4 mesi un gruppo di tecnici del Comune e dei vigili. Ma nessuno sapeva nulla di questa misura fino a ieri. Subito nasce un caso.

L’accattonaggio non è punito dalla legge: si può mendicare senza rischio di multe né di punizioni di sorta. Ma Cioni si è convinto della necessità di impedire la presenza degli elemosinanti che occupano i marciapiedi distesi o seduti: "Lo so che l’accattonaggio non è reato: ma i mendicanti distesi per terra sono un grave pericolo", è la tesi dell’assessore, che mostra la lettera della signora Rita Moldavio: 57 anni, centralinista e ipovedente, tornando a casa inciampa su un mendicante sdraiato all’angolo di piazza Duomo riportando fratture e denti rotti. E Cioni decide che è il momento di uscire allo scoperto: anche perché sospetta dell’esistenza di un’autentica organizzazione dell’elemosina, se non di un racket.

"È uno sfruttamento ignobile - dice - l’accattonaggio individuale è una cosa, ma le sue forme organizzate sono una storia diversa: e qui siamo di fronte a pullmini di sfruttatori che portano ogni giorno gli accattoni in centro". Stavolta però niente ordinanze lampo, come avvenne quest’estate per i lavavetri: il percorso è quello del regolamento, che dovrà passare al vaglio del consiglio comunale e avrà bisogno di tempi più lunghi. Ma proprio nella bozza di questo regolamento, passibile ancora di modifiche, c’è un articolo ad hoc, il 15, che parla di intralcio o pericoli al traffico con un capitolo apposta sull’accattonaggio.

"Non vogliamo né possiamo vietare l’elemosina - spiega il comandante dei vigili Bartolini - vogliamo solo eliminare tutte quelle situazioni di pericolo o di intralcio per i passanti, per i turisti, per tutti. Non si potrà più chiedere l’elemosina distesi su marciapiedi ad esempio. Ma nemmeno nelle strade troppo strette. Il punto è lo spazio: se un elemosinante impedisce il passaggio delle persone va rimosso, va fatto spostare".

Quindi in piazza si potrà elemosinare? "Sì, nei luoghi aperti sì: dove c’è spazio. Ma in fondo anche stando in piedi su un marciapiedi si può elemosinare, o seduti su una panchina: l’importante è non creare pericoli", dice Bartolini. Ma come sanzionare gli elemosinanti "ingombranti"? Una multa? "Sì, per creare il reato", pensa Bartolini. Nel pomeriggio Cioni fa marcia indietro: "Multa? Non l’ho mai detto". E ai semafori? "Chi si avvicina alle auto intralcia il traffico", aggiunge Bartolini.

Da lunedì inizierà la discussione. Intanto fioccano le reazioni: "Cioni è peggio del sindaco leghista Gentilini", dice Franco Giordano, capolista della Sinistra Arcobaleno alla Camera in Toscana. "Codificare e multare un comportamento come quello del mendicante sdraiato sui marciapiedi ci sembra esagerato", dice l’Arci. "Un’altra sceneggiata ipocrita", manda a dire Donzelli (An). Colleghi di giunta e di maggioranza accolgono senza entusiasmo l’iniziativa. "Siamo in campagna elettorale", dice l’assessore Paolo Coggiola.

"Prendiamo anche questa", allarga le braccia il capogruppo Pd Alberto Formigli. "Che gli accattoni siamo il problema principale è ridicolo", dice Daniele Baruzzi di Sd. Mentre il verde Gianni Varrasi annuncia il suo appoggio nella votazione in consiglio. Per Toccafondi (Fi) si tratta di un "pesce d’aprile".

Firenze: ma non ci sarà la multa... faremmo ridere il mondo

di Massimo Vanni

 

La Repubblica, 2 aprile 2008

 

L’assessore parla di misura di buon senso. "Chi disturba sarà identificato e portato ai servizi sociali". "Sia chiaro: elemosinare non è reato, ma non bisogna creare pericolo agli altri". "Faccio quello che si deve fare in un paese civile: sui marciapiedi c’è di tutto".

 

Assessore Cioni, ci risiamo con i divieti?

"Vede, la signora Rita Moldavio mi ha scritto una lettera, racconta di essere inciampata su un’accattona sdraiata sul marciapiede perché non ci vede bene. È caduta, ha riportato fratture e tre denti rotti. Faccio dunque quello che si dovrebbe fare in un paese civile. Ho un report sulla scrivania, domani lo presento".

 

Un report di cosa?

"Foto, sono foto di tutto quello che si trova sui marciapiedi, macchine in sosta, bici col lucchetto. Ho 416 verbali che dicono cosa c’è sui marciapiedi, è un problema di sensibilizzare la gente".

 

E il divieto riguarda solo gli accattoni?

"Chiunque crea pericolo per la propria incolumità e per quella degli altri va contrastato. Il comportamento di chi ostruisce i marciapiedi mette in pericolo il disabile e il cieco. Possiamo dire che è la scoperta dell’acqua calda".

 

Un po’ come i lavavetri.

"Quelli sono un’altra storia, quelle sono un gruppo di persone minacciose che andava allontanato".

 

E ora se la prende con gli accattoni?

"Alt, non è vietato fare i mendicanti, deve essere chiaro".

 

E se si mette a sedere, anziché sdraiarsi?

"Si tollera solo chi non arreca pericolo a sé e agli altri. Se fosse stato a sedere il mendicante avrebbe visto la signora ipovedente. Ma solo io vedo questi mendicanti portati la mattina e ripresi la sera?"

 

Sta parlando di un racket?

"Questa parola l’ha usata lei. Io chiedo solo se c’è qualcuno che vede che questi mendicanti vengono portati sul marciapiede e che vengono poi portati via la sera".

 

E questo cosa significa?

"Nessuna caccia al mendicante".

 

Ma volete fargli una multa.

"Non l’ho mai detto. Multare gli accattoni farebbe ridere il mondo. Si tratta di farlo alzare e di identificarlo, di portarlo dai servizi sociali. Ho solo posto un problema normale".

 

Gli accattoni che chiedono soldi ai semafori non sono pericolosi?

"Non si può farlo ai semafori".

 

Però si fa.

"Che facciamo, li fuciliamo? Il pericolo è sdraiarsi sul marciapiede".

 

Assessore, in principio fu il divieto di sedersi sulla scalinata del Duomo, poi i lavavetri. Dove porta questa politica dei divieti?

"È una politica per un progetto condiviso di città vivibile. Una città dove si coniuga riposo e divertimento. Sono per una città aperta".

 

Ma i divieti crescono: gli orari commerciali, quelli della Ztl.

"Non è così. Sto parlando di una convivenza basata sulle regole. Non di divieti. Vietare di parcheggiare sui marciapiedi e sfrecciare a tutto fuoco la notte non sono divieti, sono regole".

 

Vietato anche poggiare le mani sul Battistero?

"Ma vi pare civile toccare con le mani sporche le porte del Battistero? La nostra città è un museo all’aperto, va tutelata".

 

Secondo lei, questa sugli accattoni è una misura di sinistra?

"Quando ero nel Pci mi insegnavano questo, prima di tutto si rispettano le regole. Ogni misura che salvaguarda una persona in difficoltà è di sinistra".

Firenze: Fiopsd; aiutare le persone indigenti, non rimuoverle

 

La Repubblica, 2 aprile 2008

 

Nuovo regolamento del Comune di Firenze, l’organizzazione: "Non vorremmo che, per un malinteso senso della sicurezza, la lotta alla povertà delle amministrazioni locali venisse declinata solamente in una sorta di ‘lotta al povero"‘

La Fiopsd, Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora, interviene sull’ordinanza sui senza dimora approvata dalla giunta di Firenze.

Afferma l’organizzazione: "Persone schiacciate dal peso della povertà e dell’indigenza vanno aiutate a rialzarsi e a riprendere il loro cammino nella comunità. Siamo convinti anche noi che restare sdraiati sulla strada non si la via giusta. È amaro però constatare dalla cronaca di molte nostre città come, ancora una volta, un tema così importante come quello dell’inclusione sociale dei più emarginati sia classificato come un problema di sicurezza e di decoro urbano".

"Può darsi che un’azione di rimozione del povero, magari condita con toni morali rieducativi, possa comportare una diminuzione alla sua attitudine a dare fastidio e a compromettere il decoro pubblico - afferma la Fiopsd -. Tuttavia, la nostra esperienza di oltre 20 anni di lavoro sulla strada ci insegna che i percorsi di emarginazione e di esclusione si combattono più efficacemente con buone politiche e prassi territoriali di accoglienza, ascolto ed accompagnamento sociale.

"Più inclusione, più sicurezza" è lo slogan del nostro programma d’azione triennale. Siamo convinti che la battaglia per una città più sicura ed accogliente si giochi e si vinca solo sul fronte della sfida alla capacità di inclusione. La risposta più efficace alla presenza di ampie sacche di esclusione nelle nostre città si dà in modo efficace e duraturo con servizi che promuovono con e per le persone diritti e dignità".

La proposta di "rimozione forzata" che sembra essere nelle intenzioni del nuovo regolamento di polizia municipale del comune di Firenze - si precisa - è solo l’ultima delle numerose iniziative che diversi comuni italiani hanno intrapreso negli ultimi mesi per contrastare il fenomeno dell’accattonaggio e della presenza di persone indigenti nei luoghi pubblici. Non vorremmo che, per un malinteso senso della sicurezza, la lotta alla povertà, nelle attitudini delle amministrazioni locali italiane, venisse declinata solamente in una sorta di "lotta al povero", sino al paradosso dell’avvio di sanzioni amministrative nei confronti del suo stile di vita che non saranno mai realmente esigibili per le amministrazioni e comporteranno per queste ultime solo ulteriori costi burocratici, con esborso di denaro pubblico che potrebbero essere meglio finalizzato altrimenti".

"Forse - conclude la Fiopsd - la sicurezza degli esclusi non è un tema appetibile in campagna elettorale, ma la sicurezza o è per tutti o semplicemente non è. Cerchiamo di non dimenticarlo".

Droghe: a 6 mesi dall’introduzione i "test" restano inapplicati

di Cristina Casadei

 

Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2008

 

Per i test antidroga si analizzerà la saliva o l’urina? Il sangue o il bulbo del capello? Non lo sappiamo ancora. L’intesa Governo-Regioni del 13 ottobre 2007 che rendeva obbligatori gli accertamenti di assenza di tossicodipendenza per alcune categorie di lavoratori, tra cui piloti, macchinisti, tassisti e trasportatori, con cadenza annuale, giace in un cassetto. "Inattuata spiega il giuslavorista Gabriele Fava - perché le procedure che la Conferenza Stato-Regioni avrebbe dovuto individuare per verificare il consumo di droga da parte di alcuni lavoratori non sono mai state individuate". Sulla carta, in realtà, era stato fissato un termine di 90 giorni dall’intesa per "individuare, con accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, le modalità di prelievo, conservazione e custodia dei campioni". A quel punto sarebbe arrivato il via libera da parte della Conferenza. Alla Presidenza del Consiglio dei ministri non ne sanno nulla e girano la domanda al ministero degli Affari regionali e delle autonomie locali. Interpellato, nemmeno il ministero della Salute risponde.

Gianni Baratta, segretario confederale della Cisl, conferma che "non esiste una legislazione. È un grave limite e non bisogna escludere che anche per questo ogni giorno ci troviamo di fronte a incidenti mortali sul lavoro. Si fanno sempre più urgenti controlli. Non necessariamente sulle persone. Prendiamo per esempio il settore degli autotrasporti. Non è umano che un autista guidi il Tir per 16 ore di fila con brevi soste per il rifornimento.

Perché non imporre che i tragitti vengano interrotti dopo una certa distanza, controllandoli attraverso la scatola nera? Le cronache mostrano la necessità di una legislazione che ridisegni nel suo complesso i controlli che andranno fatti solo ed esclusivamente per garantire la sicurezza".

L’Italia è al palo, proprio mentre gli Stati Uniti ed Regno Unito registrano un progressivo aumento dei datori di lavoro che richiedono il test, come ha messo in luce un’inchiesta pubblicata ieri dal Financial Times. Secondo un’indagine del Chartered Institute of Personnel and Development, nel Regno Unito, il 22% dei datori di lavoro impone test antidroga e alcol al momento del reclutamento o in maniera random una volta che i lavoratori sono stati assunti. Un ulteriore 9% si dice intenzionato a introdurli.

Il 31% delle imprese ha licenziato almeno una persona per abuso di alcol negli ultimi due anni e il 15% per problemi legati a tossicodipendenza. Misure drastiche, impensabili nel nostro Paese. Il provvedimento dello scorso novembre ha previsto che in caso di positività ai test antidroga il dipendente sia indirizzato ai Sert e adibito a mansioni diverse. Certo non è solo per ragioni di sicurezza che vengono fatti i controlli. Molte imprese hanno anche altri obiettivi. Per esempio la produttività. Chris Evans, direttore tecnico di Drug Aware, una società che fa consulenza per gli accertamenti nell’uso di droghe, ha spiegato che "molte aziende guardano ai test come una misura per aumentare la produttività e ridurre l’assenteismo".

Nel nostro Paese non si può dire che non ci siano controlli di alcun genere, soprattutto per le prospettive allarmanti di cui parlano le ricerche sull’uso di droghe. In un recente convegno tenutosi all’Università Cattolica, Roberto Mollica, responsabile del laboratorio delle Asl lombarde che studia l’evoluzione dell’abuso, ha messo in luce che in tre anni il consumo di droghe aumenterà in media del 3o% e l’Italia avrà un milione di consumatori.

Comprensibile quindi che vi sia preoccupazione. Tutto quello che si fa però "non è spendibile legalmente, eccezion fatta se l’abuso di droga e alcol compromettono l’attività aziendale e l’incolumità propria e degli altri", puntualizza Fava.

Un’azienda può fare i test antidroga, o quelli per verificare la presenza di alcune patologie, così come installare telecamere sul luogo di lavoro per tutelare il patrimonio aziendale. E poi magari usare i filmati con una funzione di controllo dell’attività dei dipendenti. "Però, ad esempio, se manca un’autorizzazione della Procura, i risultati potranno essere conosciuti, ma non usati da un punto di vista legale.

Difficilmente un datore di lavoro potrà portare in tribunale un filmato che riprende un lavoratore che spaccia droga, per esempio. Ancorché sia una prova moralmente ineccepibile, non vale dal punto di vista giuridico legale". Della necessità dell’attuazione di un intervento legislativo parla anche Mario D’Ambrosio, presidente di Aidp, l’associazione dei direttori del personale: "Le condizioni sociali, i sistemi organizzativi, i ritmi di lavoro, le tecnologie si sono evoluti e con queste deve evolvere tutto il resto, come la legge che regola i controlli, compresi i test antidroga, soprattutto se c’è in gioco la sicurezza e la salute delle persone".

Droghe: auto-coltivazione di marijuana, decide la Cassazione

 

Notiziario Aduc, 2 aprile 2008

 

"Il 24 aprile prossimo sarà un momento importante per migliaia di giovani arrestati e processati per qualche piantina di cannabis coltivata sul proprio balcone. È urgente una mobilitazione nazionale dei Radicali Italiani e di tutte le Associazioni, i Partiti ed i Movimenti antiproibizionisti italiani". Lo sottolineano Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani e candidata alla Camera dei Deputati con il Pd e dell’Avvocato Giuseppe Rossodivita, Responsabile Giustizia della Giunta di Radicali Italiani.

"Con provvedimento del Primo Presidente della Corte di Cassazione è stato rimesso alle Sezioni Unite, fissate per il prossimo 24 aprile, il ricorso vertente sulla configurabilità o meno del reato produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del d.p.r. n. 309/1990 e successive modifiche, nel caso in cui si effettui la coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti adducendo quale giustificazione la destinazione ad uso personale del prodotto ricavabile dalle stesse".

Sul punto, come noto - rilevano i due esponenti radicali - si era ingenerato un contrasto a seguito di alcune decisioni, assunte nel corso del 2007 dalla sesta sezione, che hanno ritenuto non riconducibile la specifica attività in questione alla nozione di coltivazione, bensì a quella di detenzione, con la conseguente possibilità di verificare la destinazione ad un uso esclusivamente personale".

"Essendosi la sezione quarta pronunciata, anche di recente, in senso difforme - proseguono Bernardini e Rossodivita - il collegio della quarta sezione, con sentenza del 7 marzo ultimo scorso ha ritenuto di dovere evitare il protrarsi del contrasto richiedendo un intervento nomofilattico da parte delle Sezioni Unite, opzione condivisa dal Primo Presidente della Corte di Cassazione".

In attesa di "una profonda riforma della legge sugli stupefacenti, così come modificata dal duo Fini - Giovanardi, e di un’iniziativa per la quale ci faremo virus nel Pd, si consumerà, il 24 aprile, un momento decisivo per migliaia di giovani sotto processo per aver coltivato qualche piantina di cannabis, magari sul balcone della propria abitazione, pur di sottrarsi al mercato criminale alimentato dalle leggi proibizioniste. Sono possibili colpi di mano rispetto ad un orientamento non proibizionista, ragionevole e ragionato, di recente più volte ribadito dalla Sesta Sezione Penale della Corte".

Ascoli: 20mila euro dal Comune per i "kit" gratuiti alle famiglie

 

Il Resto del Carlino, 2 aprile 2008

 

Il consiglio comunale di Ascoli vicino alle famiglie per la prevenzione e la lotta alla droga, soprattutto in età adolescenziale. È stato, infatti, approvato un emendamento di 20mila euro del gruppo comunale di An per attivare una campagna preventiva contro l’utilizzo delle droghe e per l’assegnazione di un kit antidroga alle famiglie ascolane.

A tutte le famiglie che hanno un figlio di età compresa tra i 13 e i 18 anni, che in città sono 2.919, verrà inviata una lettera informativa con allegato un coupon attraverso il quale, chi lo vorrà, potrà ritirare gratuitamente il kit per l’analisi sull’uso delle sostanze stupefacenti.

Usa: Pentagono; sì "interrogatori duri" per presunti terroristi

 

Associated Press, 2 aprile 2007

 

Il Pentagono ha rilasciato un memo che costituisce una delle basi legali per le pratiche di interrogatorio di sospetti terroristi nell’era Bush della lotta al terrore. Il memo è del Dipartimento di Giustizia ed è datato 14 marzo 2003: si giustifica dal punto di vista legale il ricorso a pratiche "dure" di interrogatorio contro detenuti sospettati di appartenere a al Qaeda o nei confronti di Talebani catturati in Afghanistan.

Le leggi federali che proibiscono l’aggressione, la mutilazione e altri crimini non si applicano ai militari che conducono gli interrogatori perché l’ultima parola in materia è del presidente, che in qualità di comandante in capo ha l’autorità per imporsi su queste norme in tempo di guerra, comprese le convenzioni Onu contro il ricorso alla tortura.

Il memo di 81 pagine (disponibile on-line sul Washington Post) sostiene, fra l’altro, che pungere, schiaffeggiare o spingere gli interrogati non comporta una responsabilità penale dei militari. Il documento inoltre sembra difendere l’uso di droghe che non producono "un effetto estremo" ma alterano la percezione "per causare una rottura profonda dei sensi o della personalità". L’autore del memo è un professore di giurisprudenza della Università di Berkley (Calif), tale John Yoo, che ieri in una mail ha detto che il Dipartimento di Giustizia, del quale era consigliere, ha alterato le sue opinioni.

Yoo ha detto che i suoi successori hanno ignorato la tradizione del Dipartimento di Giustizia a tutela delle prerogative del presidente in tempo di guerra. "Se un difensore del governo affronta un nemico combattente in un interrogatorio in un modo che potrebbe costituire violazione delle norme penali - si legge nel memo - potrebbe farlo per prevenire futuri attacchi agli Usa da parte di al Qaeda. In questo caso, crediamo che l’autorità costituzionale dell’esecutivo a protezione della nazione giustifichi le sue azioni". "Lontano dall’inventare una interpretazione nuova della Costituzione- scriveva Yoo - il nostro consiglio legale al presidente è vicino al rigore assoluto".

 

 

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