Rassegna stampa 25 agosto

 

Giustizia: l’utilizzo "politico" della violenza è sempre perdente

di Domenico Ciardulli

 

Aprile on-line, 25 agosto 2008

 

Invece di strumentalizzare in termini di consenso episodi come quello accaduto alla coppia olandese colpita selvaggiamente a Ponte Galeria, sarebbe bene che entrambi gli schieramenti politici parlamentari facessero un passo indietro e si mettessero di più al servizio del paese e a garanzia dei beni comuni e di meno al servizio fazioso di una "squadra", ponendo le politiche di welfare al centro per raggiungere un minimo equilibrio di pacifica e civile convivenza.

Nell’ultima campagna elettorale il centrodestra fece leva, strumentalmente, su due episodi di violenza accaduti a Roma in zona "La Storta" e "Tor di Quinto" per mettere in difficoltà l’avversario Veltroni. Oggi il Pd di Veltroni utilizza, strumentalmente, l’episodio di violenza accaduto a Ponte Galeria per mettere in difficoltà l’avversario Alemanno.

Prima di ogni ragionamento, tutti dovrebbero stringersi in maniera solidale ai due coniugi olandesi colpiti da tanta violenza. La loro esperienza di viaggio attraverso l’Europa, su una bicicletta, porta implicitamente un messaggio di pace transnazionale, di fiducia nelle persone e nelle relazioni, di speranza per una comunità più accogliente e solidale.

I due turisti vengono da un paese diverso dal nostro dove, probabilmente, una violenza del genere su persone inermi in un contesto simile non è nemmeno concepita e pensata, dove forse esiste un diverso sistema comunitario che garantisce maggiore serenità e maggiore qualità nei rapporti tra le persone.

Non credo che la maggiore sicurezza, raggiunta in altri paesi europei, sia garantita dalla presenza dell’esercito e da un’ingente spiegamento di forze dell’ordine nelle strade e nei quartieri. Può darsi che esistano anche altri elementi nel sistema organizzativo, di amministrazione della cosa pubblica, dell’Istruzione, della Giustizia, del Lavoro e del Welfare in grado di creare un forte tessuto sociale, regolato e solidale, che abbia il sopravvento rispetto ad ogni sacca o potenziale germe di violenza e di degrado urbano.

Mettiamola così: potrebbero sbagliare entrambi, sia l’ultimo Veltroni e il suo Pd che hanno tentato in campagna elettorale di inseguire i loro avversari sul terreno della militarizzazione dei territori, anche attraverso l’uso di agenti di polizia straniera, che hanno cercato sempre di nascondere sotto il tappeto "cinematografico" i problemi delle periferie e del loro degrado sociale. Ma sbaglia anche il "primo Alemanno" sindaco e il suo compagno di partito e ministro, i quali pensano di risolvere il problema della violenza metropolitana, non studiando il fenomeno alla radice nella sua propria chiave complessa, ma moltiplicando divieti e divise, rapportandosi con il problema sul solo dato immediato e superficiale: l’incremento illusorio della percezione di sicurezza da parte del proprio elettorato.

I due schieramenti politici che utilizzano la violenza subita dalla coppia olandese, per polemizzare e spararsi bordate in chiave di consenso elettorale, a mio avviso, non stanno dando al nostro paese e all’Europa, che ci sta osservando, un’immagine edificante della politica nostrana.

Trasuda violenza in molte nicchie delle grandi metropoli e questa violenza non può essere, a mio avviso, né inquadrata in un contesto interetnico né risolta soltanto con la forza o erigendo nuovi penitenziari. C’è di tutto: dal cocainomane o alcolista al volante che fa stragi sulle strade, ai due giovani nostrani che picchiano e rapinano una prostituta o accoltellano un coetaneo identificato come avversario politico, agli adolescenti romani che distruggono gli edifici pubblici o ad alcuni fanatici genovesi che picchiano selvaggiamente uno studente africano o a quel branco di Verona che ha massacrato e ucciso un coetaneo per futili motivi.

Spaziando per il globo, potremmo trovare quella stessa violenza centuplicata nel recente massacro di 50 bambini afghani, come effetto "collaterale" delle strane modalità di controllo militare di un territorio presidiato.

E con questa "bestia", annidata e spesso sopita e dormiente nei meandri e nelle intercapedini della comunità e, a volte, nelle pieghe delle istituzioni, che bisogna fare i conti. Pensare di reprimerla solo attraverso la forza e il livello militare senza porsi il problema di come depotenziarla in maniera permanente, renderla asfittica attraverso una nuova mentalità di governo dei processi, attraverso politiche coordinate alla radice in ogni settore che riguardi la qualità della vita dei cittadini, di quelli più piccoli e dei più anziani, di quelli più fortunati e di quelli meno fortunati. Le politiche di Welfare, così come quelle dell’istruzione e della comunicazione, sono una chiave importante che non va trascurata. Esse possono contribuire, con l’impegno di tutte le forze civiche sane della società, a raggiungere un minimo equilibrio di pacifica e civile convivenza.

Forse sarebbe meglio se i partiti, sia quelli vecchi che quelli nuovi riciclati, di entrambi gli schieramenti parlamentari, facessero un passo indietro e si mettessero di più al servizio del paese e a garanzia dei beni comuni, e di meno al servizio fazioso di una "squadra" il cui fine prioritario e prevalente è la conquista del potere e l’annichilimento della "squadra" avversaria, anche quando ci si trova tutti quanti sull’orlo di un precipizio.

Giustizia: leggi ad personam stravolgono la funzione legislativa

di Livio Pepino (Componente Consiglio Superiore Magistratura)

 

Liberazione, 25 agosto 2008

 

Per i particolari è necessario aspettare progetti di legge e testi più definiti ma il disegno è ormai chiaro ed esplicito. La "grande riforma" della giustizia, cui sarà dedicata la campagna d’autunno del governo, non avrà nulla a che vedere con la funzionalità del servizio ma avrà per oggetto la ridefinizione del ruolo della giurisdizione nel sistema costituzionale.

Non potrebbe essere altrimenti se i punti di intervento saranno - come dicono all’unisono il presidente del Consiglio e autorevoli esponenti della maggioranza - l’abbandono del principio di obbligatorietà dell’azione penale, la separazione totale delle carriere di giudici e pubblici ministeri e un nuovo assetto del Consiglio superiore della magistratura (magari con la sottrazione allo stesso della competenza disciplinare e la designazione dei suoi componenti magistrati mediante sorteggio in conformità a un antico progetto di legge costituzionale presentato alla Camera nel 1971 dall’on. Almirante).

Che misure di questo tipo giovino alla efficienza quantitativa e qualitativa del servizio giustizia non arriva a sostenerlo nessuno, al di là della ripetizione di slogan di comodo. L’obiettivo, del resto, è tutt’altro. Ed è già significativo in una situazione in cui l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di restituire funzionalità a una macchina che mostra sempre più spesso di girare a vuoto.

Ma c’è di più. La "grande riforma della giustizia" è un tassello fondamentale di una strategia complessiva tesa a ridimensionare pesantemente il diritto e i diritti. Se si continua a considerarla come una semplice operazione di ingegneria istituzionale non se ne coglie la vera natura. Eppure ciò è evidente già negli interventi operati nei primi cento giorni di governo con riferimento ai diritti e alla giustizia. La riedizione, ostentata e rivendicata, della pratica delle leggi ad personam (con una sospensione dei procedimenti nei confronti delle alte cariche dello Stato disegnata sulle esigenze contingenti del presidente del Consiglio) sta determinando lo stravolgimento della funzione legislativa.

Sull’onda della questione securitaria e di altre ricorrenti emergenze (a cominciare dell’accumulo di rifiuti nelle strade di Napoli) lo stato di eccezione è diventato regola, provocando - insieme al bisticcio delle parole - ferite senza precedenti all’unità dell’ordinamento giudiziario e processuale e finanche del sistema penale. L’ossessione dei migranti ha incentivato meccanismi pre-moderni di differenziazione della cittadinanza e dato la stura a un’ondata repressiva presto estesa - complici molti sindaci e amministratori locali - a ogni settore di devianza e diversità. Il principio di uguaglianza e lo Stato sociale - nuclei forti della Costituzione del 1948 - sono stati umiliati fino alla configurazione del regime di precarietà come regola anche per rapporti di lavoro pregressi caratterizzati da stabilità e durata indeterminata (sic!) mentre nuove "carte di povertà" si apprestano a sostituire servizi e interventi di sostegno fondamentali per tutti.

Questo disegno, nel nostro sistema costituzionale, può trovare ostacoli e impacci da una giurisdizione indipendente. La Costituzione del 1948, infatti, disegna un assetto istituzionale moderno e complesso, in cui la giurisdizione ha un ruolo centrale (e in parte inedito) di promozione dell’uguaglianza dei cittadini (art. 3, primo e secondo comma) e di controllo diffuso della legalità (art. 101, comma 2, e art. 112) e i giudici e i pubblici ministeri godono, per questo, di garanzie di indipendenza e autonomia particolarmente accentuate (artt. 104 e seguenti). In una prospettiva - come quella in atto - di smantellamento del principio di uguaglianza, di riduzione dei diritti e di contrazione diffusa degli spazi di libertà, il ruolo della giurisdizione non può restare quello previsto nella carta fondamentale. Di qui i progetti di cambiamento. Di questo, anziché disquisire di dettagli tecnici ancora indeterminati, occorrerebbe discutere in questa fase. Prima che sia troppo tardi.

Giustizia; Bersani; dal Governo armi di "distrazione di massa"

 

Asca, 25 agosto 2008

 

Il governo usa "armi di distrazione di massa" per non parlare dei problemi reali dei cittadini. Lo ha detto Pierluigi Bersani, nel corso del dibattito di ieri alla Festa Democratica di Firenze. In un vivace scambio di opinioni con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, Bersani ha accusato il Governo perche "sono mesi che non si discute del problema: ci sono armi di distrazione di massa e interventi simbolici a fine di consenso che devono finire". Mentre si discute di giustizia e federalismo il peso di inflazione e della crescita ferma "si sta scaricando sui settori deboli della popolazione" e intanto "vanno giù i consumi a rotta di collo".

Bersani ha anche attaccato sull’Ici. "Avete buttato via 2,6 miliardi - ha detto Bersani rivolto a Tremonti - e Moratti per la sua prima abitazione ha guadagnato 1.300 euro, mentre il pensionato della Garbatella non ha preso un euro". Tra l’altro, ha ricordato Bersani, "era stato il governo Prodi ad abolire l’Ici per il 40% delle abitazioni e io avevo proposto di aspettare a chiudere l’operazione Ici, usando quelle risorse per detrazioni fiscali su retribuzioni e pensioni".

Tremonti ha bollato come "bugie" le affermazioni di Bersani relative a "Moratti e al pensionato della Garbatella". "Quando Prodi ha tolto l’Ici sul 40% delle case - ha detto il ministro - ho detto bravi, hanno fatto la cosa giusta. E ora, per togliere il 100% dell’Ici, abbiamo preso la vostra stessa tipologia di case".

Giustizia Latorre; Berlusconi usa la clava, le toghe esagerano

di Maria Zegarelli

 

L’Unità, 25 agosto 2008

 

"Le riforme non le faranno né gli avvocati, né i magistrati. Entrambi saranno ascoltati, ma sarà il Parlamento ad agire". Nicola Latorre, senatore del Pd, esprime senza troppi giri di parole la posizione condivisa da molti nel suo partito rispetto all’allarme lanciato dal segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. Quanto al premier, si ritorni "al rispetto per il maggiore partito di opposizione e per il suo leader", altrimenti il dialogo salta su tutto, federalismo compreso.

 

L’Avvenire definisce "sopra le righe" la reazione di Cascini. Lei parla di difesa corporativa a prescindere. Perché ritiene infondato l’allarme dell’Anm?

"In primo luogo perché queste dichiarazioni vengono fatte senza conoscere le proposte del governo. In secondo luogo perché i toni non aiutano ad affrontare con serietà e serenità una discussione che già di per sé è delicata. Nelle parole di Cascini c’è una preoccupazione corporativa a prescindere dal contesto e dal merito di ipotesi di riforma. Ci si muove sulla base di parti in commedia che abbiamo conosciuto in questi anni e che non hanno mai fatto fare un passo in avanti alla discussione sui temi della giustizia".

 

Lei ha detto che il premier usa la clava. Ritiene possibile con questi presupposti un confronto?

"Così come penso che Cascini abbia fatto dichiarazioni inopportune, ritengo altrettanto incomprensibile il fatto che il premier riproponga il tema della giustizia in questo modo. Non è possibile che si inizi una discussione insultando il più grande partito dell’opposizione e il suo leader. Impari a rispettare i suoi avversari: è la premessa per qualunque discorso".

 

Passiamo al merito: sulla riforma della giustizia quali sono i paletti?

"Bisogna assumere come centrale il rapporto tra i cittadini e la giustizia, che oggi non funziona per i tempi del processo e per lo squilibrio nelle funzioni e nei ruoli, tutto a scapito del cittadino. Altra questione: la nostra democrazia si fonda sulla separazione dei poteri e questo è un valore fondamentale per la tenuta del sistema. Naturalmente questo significa che tutti i poteri devono essere responsabili. Fatte queste premesse possiamo discutere di tutto, anche dell’obbligatorietà dell’azione penale".

 

Nell’abolirla non vede rischi di discrezionalità?

"Qui c’è un duplice problema: metterla in discussione può significare sottoporre il potere giudiziario al potere politico e questo va evitato. Ma bisogna riconoscere che l’obbligatorietà è stata utilizzata in maniera molto discrezionale dal potere giudiziario. Va cercato un punto di equilibrio".

 

Condivide l’ipotesi della responsabilità civile del magistrato?

"Certo: se un medico sbaglia nel curare il paziente ne deve rispondere. Se sbaglia un magistrato si faccia lo stesso".

 

Sulla separazione delle carriere?

"Non credo si debba enfatizzarla. Noi abbiamo parlato di separazione delle funzioni in passato. Possiamo confrontarci su questo, come sulla riforma del Csm. Non ci sono tabù da parte nostra, purché ci sia rispetto delle posizioni. Non ci faremo dettare l’agenda dalla maggioranza".

 

Se il Pd non vuole che il governo detti l’agenda, perché non prova ad imporre la sua?

"È esattamente quello che dovremo fare alla ripresa dei lavori. Così come il premier ha già indicato le sue priorità noi dovremo indicare le nostre. Sarà il Pd a decidere, ma ritengo che il tema della riforma federale dello Stato si debba coniugare ad alcune fondamentali riforme costituzionali. Non si può disgiungere il federalismo dalla costituzione del Senato Federale. Poi, non comprendo perché il centrodestra indica come priorità la legge elettorale delle europee e non parla più di quella nazionale anche in vista del referendum".

 

Letta dice che il Pd ha superato il livello di guardia...

"Credo che la ripresa politica debba essere segnata da una capacità del Pd di fare sintesi e la sintesi è il prodotto di una discussione collettiva".

 

Finora però, la discussione è stata a "mezzo stampa". Come ne uscite?

"Il punto è che si deve discutere nei luoghi deputati. Al rischio della spaccatura ci si espone quando i luoghi del confronto collettivo non funzionano. Il compito del gruppo dirigente nazionale deve essere quello di esaltare la funzione e il ruolo dei luoghi di discussione per arrivare alla sintesi. Quanto alle realtà locali, ci si deve muovere con grande circospezione, perché vanno rispettate, ma è evidente che c’è una mancanza di governo di queste situazioni".

 

L’ultimo dibattito è sul congresso. Quando? Prima o dopo le elezioni?

"In questo momento la vera priorità del partito è di concentrarsi sul suo profilo politico-culturale. Temo che la discussione che imperversa in questi giorni sulla mancanza di opinione pubblica nel nostro paese, tenda a nascondere la difficoltà a interpretare quanto sta accadendo nella società. Sarebbe meglio dedicare le nostre energie su questo punto e per delineare il profilo del Pd. Non credo che il congresso sia lo strumento ideale, tanto più perché tutto ruota intorno all’elezione del leader e il leader non è in discussione".

 

Alleanze. Aprire all’Udc?

"Non dipende da noi quello che farà l’Udc e non renderemmo un servizio all’Udc se li tirassimo per la giacca. Sono convinto che su questo tema bisognerà tornare, ma a ridosso delle elezioni, non ora. Adesso è auspicabile che tutte le opposizioni possano trovare punti di convergenza".

Giustizia: Palamara (Anm); l’idea di due Csm è inaccettabile

di Liana Milella

 

La Repubblica, 25 agosto 2008

 

"Inaccettabile" l’idea dei due Csm. L’allarme per "una resa dei conti" che si nasconde dietro gli annunci sulla giustizia. Un consiglio a Berlusconi: "Non si sveltiscono i processi cambiando l’assetto della magistratura". E sull’obbligatorietà dell’azione penale il presidente dell’Anm Luca Palamara non lascia spazi: "Se venisse abolita sarebbe un incentivo a delinquere".

 

Ha visto l’intervista di Ghedini? Come si sente? Pronto alla lotta?

"Sì, l’ho letta, e con molta attenzione. Ma vedo bene che sulla riforma della giustizia non c’è unanimità di vedute nella maggioranza. Berlusconi dice una cosa, Ghedini un’altra, la Bongiorno un’altra ancora. A chi dobbiamo credere? Sarebbe il caso di fare chiarezza su proposte e reali finalità".

 

Allora niente sciopero?

"Per ora restiamo in vigile attesa. Potremo decidere solo quando sapremo cosa vuol fare davvero il governo".

 

Dice Bossi: "I magistrati? Lasciateli arrabbiare". Non le pare che intorno all’Anm ci sia aria d’isolamento?

"L’impressione è proprio questa. Non vorremmo che si finisse per identificarci come una corporazione arroccata a difesa dell’esistente".

 

Condivide che stia prevalendo, anche a sinistra, l’idea di darvi una lezione?

"Leggendo il documento dei radicali, firmato da senatori del Pdl ma anche del Pd, balena questa sensazione. Forse sarebbe opportuno che, chi si occupa di giustizia, conoscesse i problemi e le condizioni di lavoro dei magistrati e concentrasse i suoi sforzi sull’unico, vero obiettivo, far funzionare il processo".

 

Ayala, grande amico di Falcone, ricorda quando disse che l’Anm tutelava sempre più interessi corporativi. Non è opportuno farci i conti?

"La politica non può trascurare il rinnovamento non solo generazionale della magistratura. In questo momento storico, quando si parla di giustizia, vogliamo essere parte attiva dell’ammodernamento del Paese. Non vogliamo collaborare col governo, né tanto meno fare un’opposizione politica. Ma una cosa deve essere chiara: le riforme preannunciate dal centrodestra non servono per garantire efficienza e speditezza del processo, ma solo per ridefinire i rapporti tra potere esecutivo e giudiziario".

 

Ghedini che propone due Csm e carriere separate va in questa direzione?

"Ci siamo sempre battuti e ci batteremo per tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura nell’interesse dei cittadini. L’attuale assetto costituzionale la garantisce perfettamente".

 

Ma Ghedini, uomo legatissimo a Berlusconi, dice di voler garantire l’indipendenza. Quindi dov’è il problema?

"Lui sostiene di non volere il pm sotto l’esecutivo, ma a maggior ragione viene da chiedersi sotto chi finisce. Se si vuole un pm che indaghi senza condizionamenti politici perché cambiare il disegno costituzionale? L’idea della resa dei conti nasce qui, perché l’ordinamento è già molto rigoroso nella distinzione delle funzioni".

 

Non vi tranquillizzano le sue garanzie sull’obbligatorietà?

"È un segnale positivo. Soprattutto perché, se prevale l’idea della discrezionalità, chi commette certi reati, come ad esempio la corruzione, non sarebbe punito. Sarebbe un incentivo a delinquere".

 

E l’idea dei due Csm?

"È del tutto inaccettabile. Minerebbe alla radice l’assetto della magistratura. Il Csm va bene così com’è perché garantisce l’equilibrio tra i poteri dello Stato".

 

Di fronte alla proposta di Ghedini userebbe le parole del suo collega Cascini e parlerebbe di fascismo?

"Al di là dell’espressione, che il segretario dell’Anm ha chiarito di non aver mai usato, la nostra posizione è molto chiara: difendiamo questi valori per evitare che, una volta alterati i rapporti tra i poteri, si possa tornare a sistemi superati e anche autoritari".

 

Perfino Pisapia, giurista di Rifondazione, trova quel giudizio eccessivo. Non vi preoccupa che con voi resti solo Di Pietro?

"I contrasti con la politica non ci appartengono, ma di fronte alle aggressioni è inevitabile stare in difesa. Chiediamo a tutte le forze politiche di smetterla con le delegittimazioni per farci apparire quasi come dei nemici dello Stato. Se Berlusconi pensa di accelerare i tempi della giustizia modificando l’assetto della magistratura sappia che i processi non dureranno neppure un giorno di meno. Invece dialoghi con noi per una riforma che serva effettivamente ai cittadini".

Giustizia: Capezzone (Pdl); da parte di Palamara solo insulti

 

Ansa, 25 agosto 2008

 

L’intervista di Repubblica al Presidente Anm Luca Palamara, col suo duro attacco all’idea di due Csm su cui lavora la maggioranza, provoca reazioni forti in casa Pdl.

Le parole più forti arrivano dal portavoce di Forza Italia, Daniele Capezzone: "Dopo gli insulti del suo collega Cascini, oggi è Palamara a ridare voce alla parte politicizzata dalle magistratura. È bene ricordare due cose. Primo: non tocca al loro fare le leggi. Secondo. Aggredire la separazione delle carriere e l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale pone Palamara in una posizione surreale, visto che quasi tutti i paesi dell’Occidente avanzato hanno fatto queste scelte. Palamara pensa forse che tutto il mondo sia antidemocratico e l’Anm maestra di democrazia?".

Sulla questione interviene anche Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati Pdl: "La riforma della giustizia - spiega - non deve essere né una resa dei conti della politica, né condizionata dalle minacce dell’Associazione magistrati, ma deve essere frutto di una serena e condivisa riflessione per uscire da una crisi ormai irreversibile".

Più pacati i toni del ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi: "Non c’è nessun tentativo di delegittimazione della magistratura - dichiara - lo dico a Palamara, nei confronti del quale nutro stima e rispetto. C’è la volontà a riformare nel concreto il sistema giudiziario e farlo possibilmente con l’opposizione non giustizialista e confrontandoci con le toghe non politicizzate".

Giustizia: Bongiorno (Pdl); la "riforma" non è contro le toghe

di Liana Milella

 

La Repubblica, 25 agosto 2008

 

Per sottolineare l’importanza determinante dell’efficienza della giustizia, nel 2004, in tribunale a Piazzale Clodio, intervenne a fianco delle toghe che scioperavano contro l’ordinamento giudiziario di Castelli. Giulia Bongiorno non ha cambiato idea. Tant’è che, da presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha subito convocato i magistrati campioni d’efficienza come Tarfusser e Barbuto. Ora che, per An, è protagonista della stagione delle riforme, dice: "L’efficienza va messa al primo posto e assieme servono un nuovo Csm e carriere separate".

 

Ma non vede che l’Anm ha risposto subito picche?

"Loro leggono la parola riforma come un peggioramento della propria condizione. Suggerisco di interpretarla come la via per superare un sistema che non funziona".

 

Palamara dice: Berlusconi non riduce di un giorno i tempi dei processi modificando l’assetto della magistratura. Chi ha ragione?

"La priorità assoluta è restituire efficienza alla giustizia, ma ci vuole anche una riforma globale sia della magistratura che dell’avvocatura".

 

Cioè bisogna intervenire sia sui giudici che sulla procedura?

"Serve una doppia, contestuale e radicale riforma. Da un lato velocizzare i processi, dall’altro formare meglio i giudici e separare le carriere. Gli attuali meccanismi di selezione sono del tutto inadatti. Prima dell’esame finale il giudice deve fare un periodo di pratica negli uffici giudiziari, come fanno gli avvocati, per essere non solo un teorico ma un uomo calato nella realtà".

 

E il pm lo mette sotto l’esecutivo?

"Assolutamente no. Creerei un organismo autonomo e indipendente".

 

La lentezza dei processi è anche colpa dei giudici?

"La produttività dei singoli magistrati non è controllata a sufficienza. Alcuni lavorano tantissimo ma altri, per giorni, sono difficilmente rintracciabili in ufficio. Le conseguenze negative sono ovvie".

 

E se si separassero le carriere la situazione cambierebbe?

"Si realizzerebbe un sistema di massima indipendenza del giudice. Nella quotidianità bisogna pensare a nuove figure, come i manager, per organizzare e rendere più celere il lavoro dei magistrati".

 

Il Csm non garantisce controlli sufficienti? Ce ne vogliono per forza due?

"Non nego che il Consiglio abbia avuto dei meriti, ma è evidente che va superata la logica correntizia. Non condivido la radicale opposizione di Palamara, perché dice no e basta. Lo invito a essere più propositivo".

 

Ma una riforma così "pesante" non rischia di occupare l’intera legislatura e risolversi in nulla?

"Dipende dal grado di condivisione politica. Se tutti comprendono che questa è un’occasione storica e anche il Pd si schiera con noi e pure l’Anm, visto che Palamara parla di nuova generazione, fa il grande salto, allora basta poco tempo. Se si va al muro contro muro o si anticipano le critiche prima di vedere i testi, tutto diventerà complicato".

 

Dialogo a tutti i costi?

"Sono ontologicamente per il confronto quando si tratta di riforme di cosi grande portata".

 

E crede davvero che il Pd possa riformare la magistratura col Cavaliere?

"La giustizia è un servizio e non un optional, invece manca alla gente da troppi anni. Non mi pare che Berlusconi abbia fatto annunci contro i giudici visto che ha citato Falcone come modello cui ispirarsi".

 

Ma vuole eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale. Ghedini lo frena. E lei?

"Se un fatto è reato deve essere sempre perseguito, se non lo è ovviamente no. Non comprendo perché dobbiamo affidare a un ulteriore filtro la scelta, già contenuta nel codice, se sanzionare o meno un delitto. Il cittadino deve sapere in anticipo che se viola la legge sarà sicuramente punito".

 

Giustizia e riforma federalista: Berlusconi preme per la prima, Bossi per la seconda. Chi avrà la meglio?

"L’una non esclude l’altra. Potranno procedere assieme. Se è necessario il Parlamento lavorerà molto di più".

 

Intercettazioni, primo banco di prova alla riapertura delle Camere. Sempre convinta, al contrario di Berlusconi, che la corruzione vada inclusa?

"Assolutamente sì. Gli ascolti saranno ridotti affidando l’autorizzazione a un organo collegiale. Le intercettazioni sono come il bisturi per il chirurgo, non possiamo toglierle ai magistrati, ma loro dovranno usarle con cura".

Giustizia: Baldassarre; la Consulta dirà "no" al lodo Alfano

 

Apcom, 25 agosto 2008

 

Lodo Alfano a rischio di bocciatura da parte della Corte costituzionale: è quanto sostiene l’ex Presidente della Consulta, Antonio Baldassarre. "È possibile - ha detto il giurista - che la Corte costituzionale dichiari illegittimo il lodo Alfano all’inizio del prossimo anno, se e quando arriverà alla Corte il referendum di Antonio Di Pietro".

Entrando nel merito, per Baldassarre nel caso della legge sull’immunità delle più alte cariche dello Stato "si tratterebbe di una questione pregiudiziale sul tipo di legge richiesto dal momento che si tratta di una deroga al principio costituzionale di uguaglianza. C’è un requisito della sentenza della Corte - ha aggiunto Baldassarre - che dichiarò illegittimo il lodo Schifani che non è stato soddisfatto dal lodo Alfano. Riguarda la disparità di trattamento tra il presidente del Consiglio e i suoi ministri e quella tra i due presidenti delle Camere e gli altri parlamentari".

Antonio Baldassarre ha poi spiegato che non è necessario che un giudice rinvii la causa a Roma: "La Corte può sollevare la questione d’ufficio davanti a se stessa". E sui tempi Baldassarre ipotizza: "A fine gennaio se e quando la corte dovrà esprimersi sull’iniziativa referendaria di Di Pietro".

A proposito della separazione delle carriere tra giudici e Pm, Baldassarre dissente da chi chiede che si possa fare con una legge ordinaria: "Non sono d’accordo, l’articolo 107 prevede le garanzie del Pm con legge ordinaria, ma se intendiamo separare in due tronchi la magistratura è necessaria la modifica costituzionale".

Giustizia: sulla sicurezza Alemanno è sempre più nella bufera

 

La Repubblica, 25 agosto 2008

 

"Non stavano uscendo da una stazione ferroviaria né andavano sulla ciclabile. Si sono andati ad accampare in un posto abbandonato da Dio e dagli uomini dopo aver chiesto consiglio su dove mettere la tenda a un branco di pastori immigrati. La loro è stata una grave imprudenza". Con queste parole inizia l’intervista di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, sulla vicenda dei due olandesi aggrediti. Parole che riaccendono la polemica tra il Pd e il primo cittadino della capitale. Intanto hanno confessato Paul Petre e Andrej Vasile Bohues, i due romeni di 32 e 20 anni arrestati ieri dai carabinieri di Ostia.

"Alemanno si vergogni e chieda scusa - parte all’attacco Paola Picierno, ministro ombra delle Politiche giovanili -. Lasciano sconcertati le dichiarazioni del sindaco, che con una faccia tosta incredibile quasi scarica sui due poveri turisti olandesi, a cui rinnoviamo la nostra solidarietà, la responsabilità dell’aggressione subita. È la stessa mentalità assurda di coloro che arrivano a rinfacciare alle donne stuprate di aver in qualche modo provocato i loro aguzzini".

Poi c’è l’affondo, altrettanto forte, del senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo: "Non si deve fare demagogia sull’insicurezza dando la colpa ai cittadini o ai turisti. Non si può istillare l’idea che se si mette una tenda a Piazza Venezia si ha diritto alla protezione, magari alla presenza dei militari, mentre Ponte Galeria è terra di nessuno. Questo contraddice la asserita e mai dimostrata attenzione della destra alle periferie romane. O Alemanno pensa di difendere solo i Parioli e il centro della città?".

Concetto analogo a quello espresso da un’altra esponente del partito, Paola Concia: "Gli italiani e i romani sono stati presi in giro dal sindaco che non sa neanche assumersi le responsabilità del caso. È grave che oggi Alemanno finisca con l’attribuire parte della colpa di quanto accaduto ai due turisti olandesi".

In questo coro di accuse, a difendere Alemanno, per ora, c’è solo il leader della Destra, Francesco Storace: "Non siamo stati d’accordo con molte delle azioni del comune di Roma, ma è indecente l’attacco della sinistra al sindaco su quanto accaduto ai due olandesi aggrediti. Quanti criticano andrebbero all’estero a campeggiare in un posto isolato e privo di controlli? Ci vuole più serietà anche quando si contesta".

La confessione. I due pastori romeni hanno ammesso le loro responsabilità. Hanno raccontato che intorno alle 17.30 di venerdì, assieme a un connazionale, si sono avvicinati ai due turisti indicando loro il luogo in cui potevano montare la tenda. Poi si sono allontanati e sono tornati alla roulotte in cui vivono. Verso le 21 sono andati a trovare un amico muratore, pure lui romeno, con il quale sono rimasti per tutta la serata a bere. Alle 23.30 hanno deciso di andare armati di mazze alla tenda degli olandesi per violentare la donna. Davanti ai carabinieri hanno tentato di accusarsi l’un l’altro su chi aveva avuto per primo l’idea dello stupro. Sempre secondo il loro racconto, arrivati nei pressi della tenda hanno urlato "money, money", poi il pestaggio e la violenza sessuale. Petre ha quindi rubato circa 1.500 dollari dalla borsa della donna. Infine la fuga a piedi, durante la quale il trentaduenne ha dato al più giovane una quindicina di euro dicendo che aveva trovato solo 30 euro.

Giustizia: polizia ha 1 mln di euro, ma non sa come spenderli

di Emilio Gioventù

 

Italia Oggi, 25 agosto 2008

 

La polizia ha un tesoretto e non sa come spenderlo. Non è roba da poco. Non soltanto perché si tratta di 990mila euro, ma degna di attenzione perché da più parte gli agenti e tutte le forze di polizia in genere si lamentano dei cospicui tagli decisi dal governo.

I 990mila euro in questione sono lì a disposizione del ministero dell’Interno, guidato dal leghista Roberto Maroni. In origine, ovvero nel biennio 2005-2006, la somma doveva essere utilizzata dal fondo di assistenza per il personale della pubblica sicurezza per provvedere alla copertura assicurativa delle responsabilità legate allo svolgimento delle attività istituzionali del personale in servizio. Nel giugno dello scorso anno, il consiglio d’amministrazione del fondo deliberava di procedere a una gara europea per individuare una società di brocheraggio alla quale affidare la ricerca delle migliori formule assicurative.

Ma, secondo quanto scoperto dalla Corte dei Conti, che ha passato al setaccio la gestione finanziaria del fondo "la gara non è stata ancora svolta a causa delle difficoltà connesse all’individuazione degli esatti adempimenti richiesti dalla procedura delle gare europee, per la quale il fondo non dispone di appropriate competenze professionali".

Ed è così che "la somma di 990.000 euro è rimasta non spesa, in attesa che il ministero dell’Interno appresti opportuna assistenza per lo svolgimento della gara". Eppure, se si dovessero dirottare i fondi verso altre coperture di spese, non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta. Sicuramente potrebbero servire a dare una sistemata al Centro Studi di Fermo, in odore di chiusura.

Si tratta di "una istituzione educativa", un convitto, "che serve a dare ai giovani ospiti le qualità morali" per diventare poliziotti. Fisicamente, si tratta di un antico palazzo che in estate funziona anche come colonia marina. Ebbene, da alcuni anni il numero degli allievi è in costante calo, da 44 nel 2004 a 15 nel 2007, e di conseguenza è aumentato il costo di mantenimento, 21 mila euro circa per il biennio 2006-2007 e 27.700 per il 2007-2008, al quale le famiglie hanno contribuito con una retta mensile di 50 euro.

"Dati più recenti mostrano un costo complessivo per l’anno scolastico 2006-2007 di 549.541 euro, in quell’anno a fronte di solo 15 allievi sono stati impiegati 26 operatori dei quali 14 appartenenti alla pubblica sicurezza e 12 dipendenti dell’amministrazione civile".

Una gestione in perdita che pesa sul bilancio del fondo degli agenti al punto che il consiglio d’amministrazione ha deciso di darlo in affitto, ovviamente non prima di aver provveduto a ristrutturalo. Ma affittarlo a chi? Proprio al ministero dell’Interno che a sua volta in quello storico palazzo vuole allestire la nuova questura.

In realtà gli amministratori del fondo di assistenza pensano di fare cassa anche sugli impianti sportivi del Centro, proponendoli all’amministrazione comunale di Fermo. Però, meno male che esistono i benefattori, perché, come riporta la Corte dei Conti nella sua relazione sulla gestione del fondo, "è una fonte di entrata tradizionale, costituita da elargizioni liberali di soggetti privati e pubblici, in segno di gratitudine verso le forze dell’ordine o con destinazione verso specifiche finalità, il cui gettito è stato pari a 222.527 euro nel 2005 e a 333.312 nel 2006".

Giustizia: Dike Aedifica, è fallita la società che ha mai edificato

di Paolo Silvestrelli

 

Italia Oggi, 25 agosto 2008

 

Doveva essere il braccio operativo di Patrimonio Spa, ma in realtà la Dike Aedifica ha chiuso i battenti perché non ha garantito neanche una minima prospettiva di quello che era il programma iniziale della società.

Concepito con grande entusiasmo durante il precedente governo Berlusconi, il progetto prevedeva la vendita di prigioni in disuso per finanziare la costruzione di nuovi penitenziari. Controllata quasi interamente da Patrimonio dello Stato Spa la Dike Aedifica doveva realizzare infatti, interventi di edilizia carceraria e giudiziaria ma in realtà è riuscita solo ad accumulare debiti, tanto che da quello che risulta dall’ultimo bilancio, Patrimonio Spa l’ha dovuta liquidare, accollandosi anche le perdite che aveva accumulato nel 2007, che ammontano a circa 178 mila euro.

L’inattività documentata dal bilancio della società forse ha avuto anche delle attenuanti per le difficoltà affrontate nel reperire nuovi immobili da destinare al progetto carceri, ma è ancora da capire dove l’ex amministratore di Patrimonio spa Massimo Ponzellini abbia scovato il suo partner d’avventura Renzo Musumeci Greco.

Ponzellini, ora alla guida di Impregno, ex azionista di Bnl e manager di vecchio corso ha creato la Dike Aedifica e ha poi venduto il 5% delle azioni al suo maestro di spada e titolare di una delle più celebri scuole d’armi della capitale.

Discutibile come strategia, vista l’inesperienza del socio e l’importanza e la necessità di costruire delle nuove carceri in Italia, sull’emergenza lanciata dall’allora ministro della giustizia, Roberto Castelli. Ma forse non è stata solo la mancanza di esperienza Renzo Musumeci Greco a decretare l’insuccesso del progetto, perché se le prime aste di 39 immobili e 11 ex penitenziari che erano stati trasferite alla società sono andate deserte significa che questi beni non erano appetibili per il mercato.

Il fatto è che al di là delle ex carceri di Novi ligure, Mondovi, Clusone e Frosinone, le rimanenti prigioni in disuso da vendere, non hanno avuto acquirenti disponibili e allo stesso tempo si sono verificate anche situazioni di vincoli di inalienabilità per alcuni edifici, per cui le opzioni di vendita e di sopravvivenza si sono ulteriormente ridotte. Fatto sta che lo spadaccino Renzo Musumeci Greco ha pure dovuto mettere dei soldi per coprire le quote perse dell’inattività della Dike Aedifica, che nel frattempo è stata completamente liquidata, ma che ancora grava sul groppone di Patrimonio Spa per alcuni contenziosi pendenti.

L’emergenza carceri è stata affrontata diversamente dal governo Prodi. L’ex ministro della giustizia Clemente Mastella forse ha pensato di risolvere il problema facendo uscire i detenuti dalle carceri con l’indulto anche se da questa soluzione nessuno ci ha guadagnato.

 

Le disavventure dell'impresa voluta da Castelli

 

Era uno dei cavalli di battaglia di Roberto Castelli, Ministro della Giustizia del governo Berlusconi. Ma quel cavallo, la vendita di prigioni cadute in disuso per finanziare la realizzazione di nuovi penitenziari, si è rivelato, più che un purosangue, un mezzo brocco.

Per Patrimonio Spa l’operazione edilizia carceraria non è proprio partita con il piede giusto. Le aste, che hanno riguardato 39 immobili conferiti alla società allora guidata da Massimo Ponzellini e 11 ex penitenziari, sono andate deserte, a dimostrazione del fatto, sostiene il documento, che "gran parte dei beni trasferiti non è stata valutata appetibile dal mercato".

Nel 2005 le plusvalenze (differenza tra valore iscritto a bilancio e prezzo realizzato con la vendita) hanno raggiunto i 4,2 milioni di euro, grazie soprattutto alla cessione di immobili dell’Eredità Pasetti a Milano, che ha fruttato 3,4 milioni di euro. Non male anche la vendita della ex Casa Circondariale di Clusone (Bergamo), che ha consentito di iscrivere a bilancio una plusvalenza di 582.000 euro. Per il resto, si può parlare di spiccioli, meno di 300.000 euro ricavati da 6 operazioni. Nella prima parte del 2006, invece, le plusvalenze sono state pari a 3,139 milioni di euro, garantite al 94% circa dalla cessione del porto mercantile di Peschiera del Garda. I residui 188.000 euro, invece, sono stati assicurati dagli isolotti lagunari di Venezia (113.000) e da un appartamento a Firenze (oltre 75.000).

Ma quello che proprio non ha funzionato è stato il progetto carceri, perché nel triennio di attività della Dike Aedifica, le plusvalenze sono state appena 861.000 euro, una somma garantita dalla vendita di 4 ex carceri (Novi Ligure, Mondovì, Clusone e Frosinone), mentre i compensi degli amministratori e le consulenze esterne hanno comportato una spesa superiore al milione di euro.

Giustizia: Sappe; la riforma penitenziaria è priorità per il paese

 

Comunicato stampa, 25 agosto 2008

 

"Dissentiamo dall’onorevole Di Pietro quando sostiene che "Non è la giustizia la priorità del Paese in questo momento". Una riforma strutturale del sistema penitenziario nazionale è invece assolutamente prioritaria, visto il grave sovraffollamento delle carceri italiane. Oggi, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti nei 205 istituti penitenziari italiani, abbiamo più di 55mila detenuti nonostante l’indulto del 2006 (fortemente voluto dal Governo Prodi nonostante la contrarietà dell’onorevole Di Pietro, che però ne rimase un autorevole ministro) ne fece uscire 27mila.

Non sono state fatte le necessarie riforme strutturali nel sistema penitenziario, da noi più volte sollecitate, ed oggi le carcere sono di nuovo nel caos. Quella penitenziaria, dunque, è una riforma prioritaria e non crediamo possa essere disgiunta da una riforma strutturale complessiva del sistema Giustizia del nostro Paese. E una classe politica responsabile dovrebbe percorrere una politica di larghe intese su questioni fondamentali come il sistema penitenziario del quale ha bisogno l’intero Paese"

È l’auspicio di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione del Corpo a commento delle dichiarazioni fatte dal leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, nel suo blog.

"Nonostante le nostre molte sollecitazioni, dopo l’indulto il Governo Prodi non programmò quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Era davvero necessario ripensare il carcere, ma abbiamo constatato che nulla di tutto ciò è stato fatto dal Governo Prodi, del quale l’onorevole Di Pietro era ministro.

Oggi auspichiamo che si possa recuperare il tempo perduto, come ha tenuto a sottolineare recentemente il Ministro della Giustizia Angelino Alfano che ha anche annunciato come siano allo studio diverse ipotesi di riforma per la Giustizia che intendono coinvolgere anche il ruolo costruttivo dell’opposizione parlamentare. Primo passo per fare tutto ciò è, ovviamente, riservare appositi fondi nella prossima Finanziaria per il sistema carcere.

Non solo. Riteniamo debba essere l’intero Parlamento a porre la questione penitenziaria tra le priorità d’intervento, prevedendo tra l’altro una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale.

Prevedendo che coloro che hanno pene breve da scontarsi siano impiegati in lavori socialmente utili all’esterno del carcere, senza cioè la loro presenza fisica in carcere ma - con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria - nel circuito dell’area penale esterna. Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti extracomunitari i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni, potere che la legge affidata alla Magistratura di Sorveglianza.

Il Ministro Alfano potrebbe richiamare le Magistrature di Sorveglianza a percorrere tale strada. E il nuovo Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta dovrebbe definitivamente completare alcune importanti e strutturali riforme che riguardano il Corpo di Polizia Penitenziaria, messe in cantiere nel recente passato. Ci riferiamo, in particolare, ai progetti che prevedono l’affidamento al Corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, le riforme del Gruppo Operativo Mobile e dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e per la Vigilanza (Uspev), oltre ad una serie di interventi mirati per quanto concerne il potenziamento degli organici del Corpo e per arrivare ad istituire finalmente la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria."

Lettere: da Spoleto arriva un appello degli "ergastolani in lotta"

 

Lettera alla Redazione, 25 agosto 2008

 

Compagni ergastolani, lo sciopero della fame è servito a smuovere le acque: attraverso Pantagruel ci apprestiamo a presentare un grosso numero di ricorsi a Strasburgo e altre iniziative ci attendono. Non dobbiamo mollare!

Nel carcere di Spoleto è sorta l’idea di cercare di fare aderire alla nostra battaglia personaggi qualificati, invitandoli a fornire una loro idea sulla pena dell’ergastolo e sulla sua auspicabile abolizione. L’iniziativa consiste nel spedire un questionario contenente anche una richiesta di adesione al comitato per l’abolizione dell’ergastolo, da rispedire poi completo all’Associazione Pantagruel, che agirebbe da centro di raccolta delle lettere e dei messaggi ricevuti tramite posta elettronica.

Il modulo da compilare e la richiesta di adesione ci danno anche l’occasione per illustrare la nostra condizione in termini sintetici, oltre a chiedere semplici pareri alle persone qualificate e/o il completamento del questionario.

Ma perché l’iniziativa abbia successo, ognuno di noi dovrebbe inviare uno di questi pre-stampati al Presidente della propria Regione (o alla Giunta regionale), ai sindaci e ai vescovi delle città grandi o significative, ai prelati e ai docenti universitari, ai rappresentanti politici locali e nazionali, oltre che a magistrati, intellettuali (opinionisti, pensatori, giornalisti, scrittori ed artisti, insegnanti e professionisti etc.) nonché agli avvocati di chiara fama e ai professori di diritto se li si conosce (perché vi hanno difeso) oltre ovviamente alle associazioni di volontariato locali di dove siete e da dove provenite e ad amici, parenti, e chiunque altro pensate possa contribuire a rendere nota l’iniziativa stessa.

Una precisazione, che ci sembra importante, è che ognuno dovrebbe scrivere due righe a parte e privatamente al proprio legale - e in particolar modo questo è rilevante quando si parla di avvocati di chiara fama - chiedendo che costoro ci forniscano pareri tecnici qualificati circa il "fine pena mai" anche quando non se la sentissero di aderire al comitato per l’abolizione dell’ergastolo. Sarebbe un successo arrivare ad avere un gran numero di adesioni, ma anche solo di un gran numero di pareri e questionari riempiti.

Questi dati poi potrebbero essere immessi sul sito www.informacarcere.it e rappresentare una risorsa consultabile dove si potrà trovare (oltre al gran numero di quelle già presenti) opinioni anche tecniche sull’ignobile pena dell’ergastolo - verranno inseriti tutti i pareri, anche quelli di chi non è favorevole all’abrogazione dell’ergastolo - in modo che anche noi possiamo farci un idea di cosa realmente pensa il mondo civile di questo problema e quanto si rifletta fuori sull’argomento.

Particolarmente utile sarà avere a disposizione questi materiali quando in Italia si comincerà a discutere dell’introduzione di nuovi codici. Sicuramente, quello che è essenziale è che ognuno si dia da fare! Dobbiamo mettere in condizione chi condivide la nostra causa di esporre le proprie opinioni e questa è anche un’occasione per parlare alla gente dell’ergastolo e le reali condizioni di vita di chi sconta il "fine pena mai", sensibilizzando chi magari non vi ha mai riflettuto a fondo.

Rendiamoci conto che la nostra situazione è più tragica di quanto sia mai stata! Eccezione dopo eccezione, ci hanno tolto ogni speranza, usandoci come capri espiatori! Questo noi talvolta non lo vediamo nemmeno, non ce ne rendiamo conto, annebbiati come siamo da termini "anestetizzanti" come le promesse di "rieducazione" e "reinserimento".

Verrà inviata una copia di questo documento ad ogni carcere. Vi preghiamo vivamente di adoperarvi tutti perché ne venga a conoscenza ogni ergastolano dell’istituto e anche altri di altri istituti attraverso fotocopie da far pervenire al maggior numero di persone possibile.

Sarebbe veramente auspicabile un pronunciamento di questo tipo prima dell’approvazione dei nuovi codici. Fate sapere, attraverso una lettera indirizzata all’associazione Pantagruel e firmata da tutti i detenuti di ciascun carcere, cosa ne pensate e quante richieste verranno fatte in ciascun istituto.

 

Documento prodotto dal Collettivo "ergastolani in lotta"

 

Gli ergastolani in lotta per l’abolizione dell’ergastolo, previo proporle una sintetica esposizione della reale condizione di chi si trova a vivere l’ergastolo oggi in Italia, si propongono di chiederle un parere e/o un adesione in merito all’abolizione della pena dell’ergastolo come pena illimitata, indefinita e priva di valore riabilitativo - cosa che invece l’articolo 27 della Costituzione Italiana prevedrebbe come scopo di ogni e ciascuna pena assegnata -.

Nonostante la Costituzione affermi che le pene debbano tendere alla rieducazione, la pena dell’ergastolo, così com’è applicata e regolamentata oggi in Italia, viola alla base gli articoli 2, 3 e 7, tant’è che la Corte é dovuta arrivare al paradosso di affermare la costituzionalità che non è effettivamente tale di questa situazione, in base all’occasionale applicabilità dei benefici penitenziari; quando avrebbero invece dovuto pronunciarsi in considerazione della fondatezza e compatibilità dei principi cui s’ispira la pena.

In considerazione degli studi che sono stati eseguiti sulle finalità della pena in questi ultimi anni, l’ergastolo è stato abrogato nella maggior parte dei paesi europei e laddove è ancora formalmente in vigore c’è stata la concreta moratoria, con pene che si materializzano con un preciso fine pena, oscillante tra i 15 e i 20 anni.

In Italia, patria del diritto romano, nonostante la Costituzione ne affida l’abolizione alla legge ordinaria già nel 1946, la penna dell’ergastolo è mantenuta ancora in vigore dalla politica, per la ragione che non porta consenso elettorale garantire giustizia a detenuti privati di tutti i diritti civili.

Una situazione che porta oggi l’Italia ad essere l’unico paese europeo dove il destino di un ergastolano è davvero di passare tutta la vita in carcere prima di morirvi, per effetto delle differenziazioni previste dall’articolo 4-bis della legge 26/07/1975, numero 354, che annullano ogni uguaglianza di Giudizio e rappresentano un’addizione alla pena dell’ergastolo con le caratteristiche di una forma di tortura. Fatto grave se si pensa che l’ergastolo, già di per sé è una pena perpetua che non lascia tempi e spazi alla speranza!

Si può quindi affermare che se in Italia non c’è la pena di morte, è per ragioni prettamente estetiche. Questo stato di cose, anche se in molti probabilmente non vi hanno mai riflettuto, permette al cittadino di mettere la coscienza al riparo dal senso di colpa dato dall’annientare una vita umana per mezzo di un’azione di Stato come la pena di morte e promuove l’illusione di vivere in un paese democratico, civile ed europeo, mentre in realtà, al riparo dallo sguardo della gente si consuma il dramma di pene illimitate che nella loro disumana lunghezza annullano la vita in maniera molto più rilevante e crudele.

Per gli ergastolani nemmeno si pone il problema di come può avvenire il reinserimento. La stragrande maggioranza di loro infatti ha già scontato oltre 25 anni di pena - se non addirittura 30 - e non considera un’astrazione la dicitura applicata al proprio fascicolo: "Fine Pena Mai".

Vi lasciamo immaginare quale può essere la condizione reale di vita di chi esiste sottostando ad una legge illusoria che se da un lato offre speranza, nella sua prassi porta alla disperazione: nonostante si veda spesso in televisione chi afferma che dopo sette anni di carcere un ergastolano può cominciare ad usufruire di permessi ed altro, la realtà è che spesso i permessi sono negati anche a chi ha già scontato più di 30 anni di detenzione!

Una realtà dei fatti beffardamente atroce e disumana che non serve certo ad affermare giustizia, ma solo ad appagare quanti, nello svolgere le proprie mansioni, attingono alle stesse pulsioni criminali a cui attinge chi si macchia di reati gravi o gravissimi.

Alimenta fobie chi diffonde false credenze in relazione ad ipotetici benefici che gli ergastolani otterrebbero ed è criminale affermare che la lunghezza della pena dissuaderebbe dal commettere reati. L’ergastolo che dura una vita non rafforza l’autorevolezza della legge e non raggiunge nemmeno l’obbiettivo di cancellare il dolore d’eventuali vittime dei condannati. L’ergastolo determina solo l’impossibilità per il reo di mettere in pratica altro da quello che si è già fatto e nega in toto l’evoluzione compiuta dall’individuo e l’eventuale cambiamento del reo, che potrebbe invece tendere ad una sincera presa di coscienza, intrinsecamente molto più valida dell’essere condannati all’essere per sempre colpevoli...

Le saremmo grati se, dall’alto della sua esperienza umana e/o professionale, vorrà onorarci di una sua riflessione sul tema dell’ergastolo e se lo condivide sulla necessità che esso sia abrogato. Se la materia rientra nelle sue competenze saremmo lieti di ricevere una sua breve esposizione o, se preferite, la risposta al questionario in allegato. S’invita ad inviare i materiali all’Associazione Pantagruel, con sede in Via Tavanti 20 - 50134 Firenze, tel./fax 055.473070, mail: asspantagruel@virgilio.it (sito web www.informacarcere.it) che ne curerà per noi la raccolta.

 

Lettera aperta al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

 

L’anno scorso 310 di noi ergastolani ci siamo rivolti a Lei, chiedendo di tramutare la nostra pena dell’ergastolo in condanna a morte. Si ricorda? La Sua risposta non è ancora arrivata. Nel frattempo però siamo rimasti in 303. Questo perché nell’attesa 7 di noi si sono tolti la vita per liberare se stessi e le proprie famiglie dal peso della condizione che viviamo. L’ultimo in tempo cronologico è stato il nostro compagno Giuseppe che si è tolto la vita nel carcere di San Gimignano. A chi toccherà adesso?

Potrebbe essere chiunque tra noi a decidere di non restare più in attesa di risposte che pare nessuno voglia fornirci. Ma sappiamo, abbiamo capito, che andarcene uno per uno non fa nemmeno rumore. Quindi ci siamo chiesti se non valesse la pena di concordare una data per impiccarci tutti assieme! Che ragione abbiamo per ostinarci, infatti, ancora a vivere senza speranza di futuro alcuno?

Le chiediamo ora se dobbiamo continuare ad esistere perché su di noi si possa ancora fare speculazione politica, perché si sia utilizzati per ottenere consenso elettorale - attraverso il sottoporci a continue restrizioni nuove - oppure perché vivendo consentiamo al sottobosco politico di umiliarci, usandoci per accaparrarsi finanziamenti politici che poi sono utilizzati loro solo sanno come - per attività interne agli istituti in vista di un reinserimento che per noi non è previsto -?

Infatti, che senso ha parlare di reinserimento, quando a noi non è permesso pensare di potersi liberare del passato? All’interno delle carceri andiamo a scuola e c’è insegnato che la Costituzione o si applica o non è in essere, ma allora com’è possibile che chi ha l’ergastolo ostativo viva al di fuori dei codici e della Costituzione?

Ci siamo rivolti a Lei, per richiedere il ripristino della pena di morte perché già per effetto delle differenziazioni previste nell’art. 4-bis della legge 35 del 1975 numero, per noi è stato annullato ogni diritto ed ogni uguaglianza di Giustizia. Una pena perpetua è già in sé una forma di tortura. Con l’aggiunta delle nuove differenziazioni, tutti noi ergastolani siamo destinati a vivere tutta la vita e morire in carcere.

Non si può continuare ad utilizzare l’ergastolo come mezzo per mettere la propria coscienza al riparo dall’annullamento di una vita umana dato dalla pena capitale. L’ergastolo è morte lenta ed inesorabile, più disumano e crudele, che ha il solo vantaggio di preservare la società civile dal rendersi conto che sta uccidendo i rei. Ma la pena dell’ergastolo non si può ammettere per ragioni estetiche!

Abbiamo bisogno da Lei di una risposta pubblica dato che quello che recita la Costituzione per noi dicono non vale. Se la Costituzione italiana a noi non si applica vogliamo sapere chi si soffermerà sulla nostra realtà che nonostante l’orgia di discorsi retorici diffusi in ogni dove nessuno in realtà sembra voler seriamente affrontare!

Il detenuto per reato "associativo" apprende già al suo arresto che a lui non sarà concesso di essere considerato soggetto alla Costituzione e che non gli sarà riconosciuto un diritto al "diritto uguale per tutti", nonostante i devoti omaggi e l’incensamento. Si ritroverà quindi senza diritto alcuno e senza garanzie costituzionali e comprenderà come, di fatto, la pena di morte sia meno crudele dell’ergastolo.

Ci sentiamo come esseri tenuti in una condizione che non è propriamente morte ma di certo non è vita, in nome della celebrazione di una "festa pubblica" sul tema del supplizio esemplare. Ma questo non attinge dalle stesse basse pulsioni e soprattutto non favorisce gli stessi calcoli di profitto personale e guadagno illecito che si riscontrano nella mente del criminale quando compie reati?

Il perseguimento di questi interessi e il soddisfacimento di certe tendenze fobiche, attuate con la scusa di uno "stato di emergenza" persistente nel tempo ha portato, nella Repubblica di cui lei è Presidente, nell’arco di dieci anni il numero degli ergastolani a passare dalle poche centinaia ad una percentuale che non ha riscontro nemmeno nelle più lugubri dittature del pianeta.

Ciò è potuto avvenire perché l’ergastolo è stato erogato anche in assenza di prove reali o per favoreggiamento come ben sanno gli addetti ai lavori. Su questi aspetti però nessuno riflette.

Noi continuiamo a sperare che, almeno Lei, dall’alto della saggezza datole dall’essere un uomo di antica e specchiata cultura democratica e garantista, ci degni di una risposta politica. Una risposta che ci dica se possiamo continuare a sperare di poter contare su un fine pena stabilito e certo o se dobbiamo continuare a mettere fine alle nostre vite per nostro conto, come già sta avvenendo. Da Presidente della Repubblica sarà senz’altro stato informato che dal 2000 al 2007 nelle celle italiane sono morti 1.300 individui, 450 dei quali per suicidio o supposto tale.

 

Questionario

 

Acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi e per effetto dell’art. 13 D.L. 30/06/2003 n. 196 (barrare la casella che interessa).

Nome, cognome, professione.

1. Ritiene che i principi costituzionali debbano avere valore con riferimento a tutti i cittadini?

2. Non pensa che la pena, se introdotta attingendo alle stesse pulsioni che determinano atti criminali, contraddice le premesse poste da un’esigenza di giustizia?

3. Era a conoscenza del fatto che le leggi attuali rendono i benefici penitenziari teorici e che gli ergastolani in realtà moriranno in carcere?

4. È a conoscenza del fatto che dal 2000 al 2007 nelle carceri italiane sono morti 1.300 individui, 450 dei quali per suicidi o supposti suicidi?

5. Ritiene giusto che un individuo possa sapere quando finisce la sua pena in modo che esso possa almeno cominciare a pensare una vita futura?

6. È favorevole o contrario alla pena di morte?

7. Ritiene più crudele il boia o il carcere che uccide lentamente?

8. È favorevole o contrario alla pena dell’ergastolo?

9. In seguito alla moratoria sulla pena di morte, ritiene che sia venuto il momento di affidare alla legge ordinaria l’abolizione dell’ergastolo così come i padri costituenti avevano previsto nel 1964, per dare la certezza di una speranza a tutti quelli che erano stati condannati all’ergastolo con un preciso fine di pena?

10. Desidera aderire al comitato per l’abolizione dell’ergastolo?

Sassari: la Garante; nessuna discriminazione verso musulmani

 

La Nuova Sardegna, 25 agosto 2008

 

"Non esiste alcuna discriminazione nei confronti dei musulmani. Incontro tutti quelli che me lo chiedono, a prescindere dalla loro fede religiosa". Così la Garante per i detenuti, suor Maddalena Fois, replica alle accuse di "non farsi vedere" in carcere e rifiutare i colloqui con i seguaci di Maometto, formulate nei giorni scorsi dai radicali dopo la visita a San Sebastiano.

"Il tono è calmo e pacato come si conviene alla sua figura, ma suor Maddalena è molto risentita per le responsabilità attribuitele da Irene Testa, presidente nazionale dell’Associazione radicale "Il detenuto ignoto".

"Tutto ciò che è stato detto contro di me è falso - dice - e ci sono i documenti che attestano le mie visite in carcere. Inoltre, anche nella comunità di recupero per giovani carcerati in cui lavoro, a Marritza, ci sono alcuni musulmani con i quali ho un rapporto cordiale e sereno, come con tutti gli altri ragazzi. E questo dimostra la falsità delle accuse discriminatorie nei miei confronti".

La Garante aggiunge prove alla sua tesi difensiva, ma si capisce che riesce a trattenere a stento l’amarezza per le parole di fuoco dei Radicali: "Vado in carcere con cadenza settimanale o quindicinale - dice ancora -, dalle 15 alle 18, come concordato con la direttrice dell’istituto penitenziario. Lì ricevo tutti i detenuti che ne fanno richiesta: due, tre o anche sette al giorno, dipende dalla loro volontà e dai tempi delle guardie carcerarie, perché per portare i reclusi nella sala colloqui ci vuole del tempo. Anch’io - aggiunge - posso chiedere di parlare con qualcuno in particolare, ma non ho mai rifiutato a nessuno un incontro".

Eppure, nonostante le passate polemiche, suor Maddalena ce ne ha messo di tempo prima di entrare in carcere. Controlla i documenti per dare il tono dell’ufficialità alle sue affermazioni, e dichiara di essere entrata a San Sebastiano per la prima volta come Garante "il sette aprile del 2008", cioè un anno dopo la nomina da parte del Comune di Sassari.

"Ci sono stati dei problemi con i permessi - è la motivazione del ritardo -, ma adesso che c’è l’accordo con la direttrice, visito i detenuti regolarmente. L’ultima volta è stato in occasione del Candeliere dei carcerati, il 13 agosto". Dunque è passato un anno prima dell’inizio delle visite, e tornano alla mente le parole del sindaco Ganau, che a sette mesi dalla nomina, nell’ottobre del 2007, denunciava "di non sapere nulla di ciò che accade a San Sebastiano".

Da allora, seppur con lentezza, le cose sembrerebbero cambiate, ma non è dato sapere di cosa si lamentino i detenuti con suor Maddalena, "sono cose private" dice lei, "non posso rivelarle". Certamente le avranno detto di una situazione allarmante, sia sul piano sanitario sia per il sovraffollamento delle celle, come denunciato dai Radicali e dal deputato Guido Melis nei giorni scorsi.

A favore di suor Maddalena si schiera il capogruppo di Alleanza Nazionale in Consiglio comunale, Gian Carlo Carta. "Il Garante, come denunciammo a suo tempo - dichiara -, non è legittimato dall’ordinamento giudiziario e pertanto non ha titolo a entrare in carcere. Inoltre il Comune ha lasciato per lungo tempo la religiosa senza una sede e senza una segreteria".

Il carcere di San Sebastiano ha duecento anni di vita e al suo interno i detenuti sono costretti a vivere in celle di due metri per due, dove a fianco ai servizi igienici "alla turca", trovano spazio le cucine. La situazione, però, è destinata ad andare avanti ancora a lungo perché il nuovo penitenziario di Bancali non sarà pronto prima del 2011.

Bologna: mancano gli agenti, per detenute colloqui "ristretti"

di Carlo Gulotta

 

La Repubblica, 25 agosto 2008

 

"Io voglio che si sappia che alla Dozza c’è una ludoteca dedicata agli incontri delle detenute con i figli, ma non si può usarla perché gli agenti sono pochi. Voglio parlare delle attese dei bimbi ai cancelli, dei clandestini che non possono vedere i bambini. Voglio aprire una discussione sui diritti dei "detenuti senza nome", di tutti quelli che non trovano spazio sui media". Desi Bruno, garante per i diritti dei detenuti della Dozza, si smarca così dalla discussione sul caso-Franzoni.

Non una parola sulla mamma di Cogne e sui "detenuti eccellenti", si discuta piuttosto della gravissima situazione dei "rapporti negati" fra genitori in stato di detenzione e i loro figli. Dunque, alla Dozza c’è una ludoteca "inagibile". "Sì. I volontari di Telefono Azzurro hanno offerto la loro disponibilità a collaborare all’ interno di questa struttura che consentirebbe un approccio più soft coi bambini. Ma il numero degli agenti di custodia è sotto di diverse unità, così questo spazio non può essere utilizzato. Uno spreco".

 

Dove avvengono gli incontri al momento?

"In sala colloqui, in una situazione "promiscua", sotto la sorveglianza degli agenti. Servirebbe invece uno spazio esterno, o almeno contiguo al penitenziario, sempre nel rispetto delle condizioni di sicurezza, ma lontano dalle sbarre e dalla vigilanza ossessiva. Le possibilità di incontro, fra l’altro, sono limitate: il diritto di visita è di un’ora alla settimana".

 

Quante sono alla Dozza le mamme che vivono questo dramma?

"La sezione femminile conta in media una sessantina di detenute, e la metà di queste sono madri. Fra l’altro, per chi è clandestino gli incontri sono impossibili".

 

Sarebbe a dire che un detenuto "senza nome" non può incontrare i propri figli?

"Già. Nel nostro Paese l’irregolarità prevale sul diritto al rispetto del vincolo familiare. Un problema molto serio, se si considera che a Bologna sette detenuti su dieci sono stranieri, spesso clandestini".

 

Per non parlare del sovraffollamento...

"Siamo tornati alla situazione pre-indulto. La Dozza è tarata per una capienza regolamentare di 483 detenuti. Quella "tollerabile" è di 700. Oggi i detenuti sono oltre 1.000".

 

Altre possibilità di colloquio?

"La Festa della Famiglia: dura una settimana e ai detenuti è permesso incontrare i familiari e i loro figli in un’area verde. A organizzarla sono i volontari che operano nel carcere il centro Poggeschi e l’Avoc. Ma non basta. Occorre ripensare l’intero rapporto detenuti-figli in un’istituzione "chiusa" come il carcere".

 

Quali sono i rischi?

"Traumi, ricadute psicologiche su genitori e figli. Abbiamo casi di bimbi che scoppiano in lacrime quando vedono gli agenti. Queste difficoltà possono sedimentarsi e innescare comportamenti di evitamento: col passare degli anni, le visite si fanno meno frequenti. Questo vale anche per chi sta dentro: vergogna, sensi di colpa, mezze verità che possono generare un rapporto squilibrato coi figli".

 

E questo vale in particolare per i clandestini...

"Le africane e le sudamericane, in particolare quelle che con una bruttissima parola vengono chiamate "ovulatrici", rischiano di non vedere mai più i loro bambini. Sono persone che per un pugno di soldi accettano di trasportare droga ingoiandola, esponendosi al rischio di una morte orribile. Sono tante le madri di famiglia che lo fanno per cercare di assicurare un futuro migliore ai loro figli. Quando la famiglia è lontana, e magari se i rapporti fra Paesi non sono sufficientemente normati, le madri rischiano di non sapere più nulla dei loro figli".

Lanciano: l’Asl chiude la mensa del carcere, è infestata dai topi

 

Il Centro, 25 agosto 2008

 

L’Asl "chiude" la mensa degli agenti del carcere di Villa Stanazzo per evidenti carenze igienico sanitarie e il sindacato applaude ironicamente al provvedimento. Perché da almeno un anno i rappresentanti del personale segnalavano inutilmente gravi problemi.

"Meglio tardi che mai! Ci sono voluti scarafaggi, ragni e topi morti per far ricredere gli ispettori della Asl", scrive in una nota il vice segretario regionale della Uil penitenziari Mauro Nardella, "i quali, dopo la segnalazione dei dirigenti della Uil circa la loro presenza all’interno dei luoghi predisposti al confezionamento e consumazione dei pasti, altro non hanno potuto fare che chiudere i locali.

E pensare che più di una volta, in precedenza, la ditta appaltatrice e la direzione della casa circondariale sono stati bersagli di accuse da parte della competente commissione per il controllo della mensa agenti e la richiesta di interventi in merito. Malgrado ciò e malgrado la direzione fosse stata sempre messa al corrente della situazione si è dovuto sfiorare l’intossicazione per capire che qualcosa non andava".

La nota del sindacato ricorda numerosi episodi segnalati in rapporti ufficiali che però non avevano prodotto alcun risultato in termini di miglioramento del servizio e igienicità dei locali. Fino al rapporto di tre giorni fa, che parlava esplicitamente di "presenza di insetti e scarafaggi morti sui pavimenti in prossimità di esche per topi" e di "un topo lungo più di 25 cm trovato morto vicino una delle trappole", "muri coperti di muffa".

La Uil accusa duramente la direzione del carcere, "la quale mai si è mostrata attenta ad arginare il problema anche dopo un mese di astensione dallo stessa consumazione dei pasti". Insomma il sequestro è arrivato solo dopo che il personale aveva di fatto "chiuso" la struttura per evitare rischi per la propria salute.

La Uil Penitenziari perciò "pur apprezzando l’iniziativa del Asl non può non condannare l’operato di chi se ne è infischiato della salute dei dipendenti e proprio per questo chiederà che vengano presi seri provvedimenti". Il sindacato denuncia poi situazioni gravi in altri istituti, come quello di Sulmona "invaso da decine di serpi che si aggirano nei locali dello stesso".

Ancona: bene i detenuti-netturbini, ma nessun "lavoro forzato"

 

Corriere Adriatico, 25 agosto 2008

 

Netturbini "galeotti". In città la carenza di operatori ecologici è cronica e non si può procedere a nuove assunzioni per via del cosiddetto "patto di stabilità" che obbliga i Comuni a ridurre le spese. Così l’assessore all’ambiente Marzetti ha avuto un’intuizione, sull’esempio di alcune città del nord: utilizzare detenuti per la pulizia delle strade. Si tratta di un progetto di reinserimento sociale e nell’attività lavorativa dei condannati (chiaramente si parla di condanne lievi e non di criminali incalliti).

È anche un modo facoltativo di scontare una pena effettuando servizi per enti pubblici, secondo quanto riferisce lo stesso Marzetti. Che, sulla questione, sta prendendo tutte le informazioni. L’intera mattinata di ieri è stata dedicata dall’assessore proprio a questa iniziativa. Contattati i servizi sociali presso i Tribunali di Macerata ed Ancona.

"In questa fase - spiega - bisogna capire qual è la strada da seguire. Ho raccolto informazioni dagli appositi sportelli dei Tribunali. Il primo passo è quello di scrivere a tutti gli istituti di detenzione delle Marche per verificare se ci sono detenuti disponibili a svolgere questi servizi".

Possono essere assunti per la pulizia delle strade (o per altre funzioni) detenuti che debbono scontare pene inferiori ai 3 anni. Una possibilità che l’assessore all’ambiente valuta seriamente. "Domani invierò le lettere agli istituti detentivi marchigiani - continua Marzetti - penso che si tratti di un progetto interessante. Gli obiettivi che si possono raggiungere sono molteplici. Innanzitutto aiutare i detenuti nel reinserimento all’attività lavorativa fuori dal carcere; per noi, un bel risparmio economico; per la città, la possibilità di avere un servizio migliore".

L’assessore spiega, infatti, che nel settore ambiente si lavora sotto organico. Sono solo dodici gli operatori ecologici assunti a tempo indeterminato. Una pattuglia che arriva a malapena a venti con i "precari" assunti a tempo determinato, part-time e tramite agenzie interinali. "Invece per coprire le esigenze di una città come Civitanova servirebbero 37/38 netturbini - afferma l’assessore comunale Marzetti - e chiaro che in queste condizioni non si può offrire un servizio adeguato. Ci sono zone come il borgo marinaro o nuove strade periferiche che necessiterebbero di una maggiore attenzione e pulizia. Però il patto di stabilità impedisce nuove assunzioni,dunque bisogna adoperarsi per trovare strade alternative. Io credo che questa sia interessante". Chiaramente, in primis, bisogna verificare se c’è la disponibilità dei detenuti. Non si tratta di "lavori forzati". Inoltre, possibilmente, le carceri da cui attingere devono essere abbastanza vicine (Fermo, Camerino o Ancona). Insomma, possibilità ancora da vagliare.

Lecce: la Uil denuncia; tentati suicidi e droga, servono interventi

 

Comunicato stampa, 25 agosto 2008

 

"Cogliamo con molta attenzione la direzione che il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ed il nuovo capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, intendono assumere per affrontare il problema del sovraffollamento dei penitenziari del Paese". È questo che il segretario regionale della Uil pubblica Amministrazione Penitenziaria di Puglia Ispettore Donato Montinaro ha dichiarato, dopo gli interventi del ministro ed il saluto di ferragosto del nuovo Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Italiana Dott. Franco Ionta.

"È noto che da sempre sostiene, e per molto tempo lo ha fatto in solitudine, di rendere stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi, abolendo normative intramurali premiali, affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, potenziando quindi l’area penale esterna e prevedendo per coloro che hanno pene brevi da scontare, l’obbligatorio impiego in lavori socialmente utili all’esterno del carcere con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria. Questa è la strada, da molto tempo perseguita e proposta dalla Uil per affrontare le problematiche del penitenziario leccese e del suo perenne sovraffollamento.

Sarà quindi massima la collaborazione al ministro Guardasigilli Alfano, al capo Dap Ionta, ed a tutti gli organi ed istituzioni locali che si renderanno disponibili per realizzare una nuova politica penitenziaria a Lecce.

L’espansione delle misure alternative alla detenzione in carcere, e perciò dell’area penale esterna, dovrà necessariamente prevedere un nuovo ruolo della Polizia Penitenziaria, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative.

Dopo l’ultimo caso di un detenuto straniero impiccatosi in cella, e per un pelo salvato dall’unico agente di sezione, zelante nel suo servizio, verificatosi alle ore 23.15 circa, dopo l’usuale conta, nella stessa giornata dell’arresto dell’agente di polizia penitenziaria per droga, nonché il ritrovamento di circa 10 gr. di eroina, nella stessa giornata, addosso ad altro detenuto, e non’anche, proprio ieri mattino, altro ritrovamento, sempre addosso a detenuto, di gr. 1 circa di cocaina, che il ministero della Giustizia e l’Amministrazione penitenziaria debbano riservare una particolare attenzione ai detenuti stranieri di Borgo San Nicola, che attualmente rappresentano il 50/60 per cento del totale dei 1.200 detenuti presenti.

Da studi nazionali risulta che il trend e la quota imputabile ai soggetti di cittadinanza non italiana è risultata essere, per il 2007, pari al 48 per cento dell’ammontare complessivo degli ingressi in istituto penitenziario dalla libertà. Ciò sta a significare che l’istituzione penitenziaria leccese ha bisogno di competenze specifiche tipo la mediazione culturale, l’interpretariato, la sicurezza dove innestare interventi in ambito sociale, prima che delle scartoffie, delle farse e delle marionette.

Noi crediamo si debba incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti extracomunitari i quali debbano scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore ai due anni, potere che la legge affida alla Magistratura di Sorveglianza e quella leccese, nel tempo si è palesata molto restia. Il ministro Alfano - conclude Montinaro - potrebbe fornire precise direttive alle Magistrature di Sorveglianza del Paese per potenziare l’attuazione di tale norma".

Porto Azzurro: Forte San Giacomo per 1 giorno diventa teatro

 

Il Tirreno, 25 agosto 2008

 

Il carcere si apre e per un giorno diventa teatro. Le mura del forte San Giacomo di Porto Azzurro saranno il set per la rappresentazione di un’originale riscrittura di Don Chisciotte, l’eroe di ieri e di oggi. La compagnia "Il carro di Tespi", composta da 18 detenuti del carcere di Porto Azzurro, porterà in scena il capolavoro di Cervantes, riproposto su un duplice binario. Da una parte l’opera originale, dall’altra un’intersezione di figure bibliche e personaggi contemporanei che reincarnano l’allampanato Cavaliere della Mancha.

Lo spettacolo è in programma il 20 settembre prossimo alle 14.30, ma occorre prenotarsi entro oggi, 25 agosto. La partecipazione è aperta a tutti, con un limite di 100 spettatori, previa comunicazione dei propri dati anagrafici ai seguenti numeri: 0565.775729 - 0565.915319, fax 0565.916346. Al momento dell’ingresso occorre presentarsi con un documento d’identità. Il progetto del teatro in carcere è stato finanziato dalla Regione Toscana Settore Spettacolo ed è stato reso possibile grazie alla collaborazione con la Casa di reclusione di Porto Azzurro.

I volontari dell’associazione Dialogo hanno curato l’organizzazione dello spettacolo. La regista Manola Scali e il biblista Bruno Pistocchi hanno lavorato per un anno intero alla preparazione dei ragazzi del forte San Giacomo. Dei 18 che hanno trovato nella recitazione un modo per alleviare la dura realtà delle sbarre, 4 sono stranieri: due rom della Romania, un senegalese ed un algerino. Allo spettacolo parteciperà anche il duo musicale dei Bi-Folk, con Valentina Cantini e Daniele Pistocchi.

Rovigo: squadra di calcio dona palloni e casacche ai detenuti

 

Comunicato stampa, 25 agosto 2008

 

Oggi i volontari del Centro Francescano di Ascolto hanno consegnato, nella locale Casa Circondariale, due palloni e 20 casacche, 10 rosse e 10 verdi, offerte dal Calcio Rovigo per i detenuti delle sezioni maschile.

Il presidente Sannia e il signor Patresi hanno voluto, attraverso l’apporto di una delle associazioni di volontariato da anni impegnata, dare un segno di attenzione e solidarietà nei confronti della popolazione carcerata che vive in condizioni precarie a causa del sovraffollamento e del caldo che ha segnato l’estate 2008.

Hanno consegnato il tutto al direttore dell’istituto penitenziario Fabrizio Cacciabue gli operatori volontari e Livio Ferrari, fondatore del Centro Francescano di Ascolto, ha ribadito che "questo segno vuole inserirsi in un augurio che ogni soggetto del territorio sappia superare le distanze culturali e i personalismi, per essere più uniti che mai nel difendere strenuamente i diritti dei più deboli, mantenendo quel ruolo illuminato e profetico che possa segnare il progresso dell’umanità, ultimo bastione di un comune desiderio di liberazione, per costruire insieme quelle alternative di pace alle tragedie mai completamente debellate ed ancora in essere come: i campi di concentramento, le armi nucleari, i genocidi, la schiavitù, l’apartheid, etc., per arrivare alle carceri e ai centri di permanenza temporanei nostrani. Riappropriamoci della nostra capacità di indignazione, lontani da interessi strumentali, per costruire insieme una società dove i luoghi del possibile diventano reali, per dirla con San Francesco "contrapponendo la gioia di essere alla miseria del potere".

Lucca: domani il dibattito su condizioni degli stranieri detenuti

 

Ansa, 25 agosto 2008

 

Il mondo delle carceri italiane e dei detenuti stranieri al Caffè della Versiliana di Marina di Pietrasanta (Lu) martedì 26 agosto (inizio ore 18. Ingresso gratuito) nell’appuntamento dedicato ad uno dei temi sociali più difficili da gestire per la cosa pubblica e da metabolizzare per la società. Qual è l’identikit delle carceri italiane? Come si vive tra celle e restrizioni e come sono ospitati i detenuti stranieri? Quale percezione ha l’opinione pubblica e i cittadini del mondo delle carceri, ed in particolare, degli ex detenuti? Come facilitare il loro nuovo inserimento nella società? E cosa può fare la politica?

Ne parlano al Caffè, nell’incontro condotto da Romano Battaglia, lo psicologo penitenziario delle carceri della Toscana, Vito Cornacchia, il segretario generale del sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, Donato Capece, il Presidente dell’Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana (Amapi), Francesco Ceraudo, la sociologa e scrittrice, Rosa Alberoni e il Sindaco di Pietrasanta, Massimo Mallegni. All’incontro interverrà anche un ex detenuto del progetto New Opportunity attivato dal Comune di Pietrasanta (Lu) per facilitare il reinserimento sociale di chi ha vissuto l’esperienza delle carceri. Una testimonianza diretta di chi ce l’ha fatta riuscendo a ricostruirsi una nuova vista post-carcere.

Diritti: Giornata la contro schiavitù, ci sono vittime anche in Italia

 

www.unimondo.org, 25 agosto 2008

 

In occasione della "Giornata internazionale in ricordo della schiavitù e della sua abolizione" che si celebra oggi 23 agosto sotto l’egida dell’Unesco, l’organismo dell’Onu ricorda che quest’anno ricorre anche il bicentenario dell’abolizione della tratta degli schiavi negli Stati Uniti, ma che sebbene questo "storico evento e successivi atti legislativi non posero fine alla schiavitù contribuirono allo smantellamento di un sistema duraturo e diffuso di dominazione e oppressione". La Giornata cade nell’anniversario dell’insurrezione degli schiavi avvenuta a Santo Domingo nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1791, "ma la schiavitù ha preso oggi forme diverse: dal lavoro coatto, allo sfruttamento sessuale, al matrimonio forzato precoce, alla servitù della gleba" - evidenzia l’associazione Antislavery.

L’associazione Save the Children ha diffuso oggi un dossier titolato "Piccoli schiavi" nel quale sottolinea che "lo sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù ancora esiste e coinvolge molti minori anche in Italia". Un fenomeno sempre più articolato, che riguarda centinaia di bambini e adolescenti di entrambi i sessi coinvolti in varie forme di sfruttamento: sessuale, in attività illegali, accattonaggio, lavoro forzato, adozioni internazionali illegali e, si presume, anche traffico di organi. "Bambini e adolescenti che spesso restano invisibili e sconosciuti, quindi privi di adeguata tutela e protezione" - sottolinea il comunicato Save the Children Italia.

"I bambini sono funzionali al business della tratta perché più facilmente ricattabili e assoggettabili di un adulto, o perché un bambino, magari con un handicap fisico e che chiede l’elemosina, desta più pietà" - commenta Carlotta Bellini, Coordinatrice Area Protezione di Save the Children Italia. "Inoltre sotto i 14 anni i minori non sono imputabili, di qui il loro impiego in attività illegali come furti o scippi o come corrieri della droga, per non parlare della richiesta di minori utilizzati nel mercato della prostituzione. Da una parte quindi c’è un’economia illegale che si serve di loro, dall’altra, ci sono centinaia di minori che vivono in situazioni di povertà e vulnerabilità e quindi divengono facili prede degli sfruttatori".

Si stimano tra i 600mila e i 2,7 milioni le vittime della tratta di esseri umani nel mondo, di cui l’80% è costituito da donne e bambini. Un business con un volume di affari - gestito da reti criminali transnazionali - che le agenzie Onu stimano a circa 32 miliardi di dollari l’anno e paragonabile a quello del traffico di armi o di stupefacenti. Per quanto riguarda l’Italia, secondo i dati ufficiali le vittime di tratta che hanno ricevuto assistenza e protezione fra il 2.000 e il 2007 sono 54.559 - ma si tratta solo dei casi riportati mentre buona parte del fenomeno è tuttora sommerso: Nigeria e Romania le nazioni principali di provenienza, ma flussi più o meno consistenti interessano Moldova, Albania, Ucraina, Russia, Bulgaria e paesei di Africa e Asia quali Nigeria, Gabon, Camerun, India, Bangladesh.

"Alle varie aree geografiche di provenienza sembrano corrispondere differenti forme di sfruttamento" - continua la Coordinatrice di Save the Children Italia. "Per esempio dall’est Europa provengono soprattutto quei minori sfruttati prevalentemente nella prostituzione, nell’accattonaggio e in attività illegali mentre dall’Africa e anche dall’Asia giungono molti degli adolescenti impiegati nel lavoro forzato. Inoltre registriamo la presenza in Italia di minori migranti non accompagnati che arrivano spontaneamente ma che, in relazione alla loro condizione di vulnerabilità, possono cadere in circuiti di sfruttamento, fino alla riduzione in schiavitù". "Rotte ed esperienze di sfruttamento che accomunano gli adulti ai più giovani" - nota Save the Children. Sul totale delle vittime di tratta in Italia, 938 hanno meno di 18 anni.

"Numeri rilevanti eppure sottostimati: molti minori trafficati e sfruttati rimangono invisibili, sia per le caratteristiche della tratta - fenomeno criminale e quindi occulto - sia per le mutevoli e sofisticate strategie di sfruttamento ed assoggettamento messe in atto dagli sfruttatori. Il risultato è che in tanti restano privi di protezione, aiuto e assistenza". Sfruttati non solo nella prostituzione, ma anche nell’accattonaggio, in attività illegali quali furti o spaccio, nel lavoro agricolo, nell’allevamento di bestiame, in adozioni internazionali illegali e, si presume, nel traffico di organi.

La tratta a scopo di sfruttamento sessuale coinvolge soprattutto adolescenti femmine, nigeriane e dell’Est Europa (della Romania, Moldova, Bulgaria, Repubblica Ceca, Albania), con un incremento di queste ultime. Costrette a firmare un contratto e con particolari riti religiosi ad assumersi un impegno anche verso la comunità, le nigeriane vengono ridotte in stato di soggezione, private totalmente della libertà e costrette a pagare fra i 30 e i 50 mila euro per riscattarla, prostituendosi su strada, sotto il controllo della sfruttatrice o di un’altra vittima indotta a farlo.

E sottoposte ad analoghe forme di sfruttamento e schiavitù sono anche giovani provenienti dal Camerun, convinte a venire in Italia con la promessa di continuare gli studi o per vacanza e poi costrette a prostituirsi. Si conferma il cospicuo coinvolgimento, nel mercato della prostituzione di ragazze dell’Est Europa, soprattutto della Romania e Moldova. Reclutate nel paese d’origine da conoscenti, sempre più frequentemente propri coetanei, o pseudo-fidanzati o parenti, a volte rapite, passano il confine terrestre, in auto, in pullman o a piedi con un passeur. In Italia sono sfruttate nella prostituzione in strada o al chiuso, in appartamenti o locali. Tra le vittime di grave sfruttamento vi sono anche, secondo la ricerca di Save the Children, minori rumeni di origine Rom indotti alla prostituzione per soddisfare la richiesta di clienti italiani.

L’accattonaggio è praticato soprattutto da minori rumeni Rom o dei paesi della ex-Jugoslavia: bambini molto poveri e talvolta con problemi fisici, la cui disabilità viene sfruttata e talora acuita, perché considerata molto redditizia, dagli sfruttatori che li "reclutano" anche pagando i loro genitori, o i tutori o i responsabili degli orfanotrofi. Dopo essere stati condotti in Italia i minori sfruttati nell’accattonaggio trascorrono intere giornate su strada, obbligati a stare nello stesso posto, in posizioni scomodissime (come in ginocchio) e qualsiasi siano le condizioni meteorologiche. Alcuni di questi bambini subiscono violenze e percosse.

La tratta di minori a scopo di sfruttamento in attività illegali è poco conosciuta e coinvolge bambini e adolescenti di ambo i sessi per lo più rumeni ma anche di origine nord-africana, molti dei quali di non più di 14 anni e quindi non perseguibili penalmente. Reclutati nei paesi di origine, vengono condotti in Italia per compiere furti e scippi. I minori provenienti da Senegal e Gabon sono invece impiegati nel trasporto e spaccio di droga - cocaina, eroina, crack - e tenuti sotto ferreo controllo al punto che a molti di essi vengono abrasi i polpastrelli affinché non siano identificabili dalle forze dell’ordine: un numero sempre più rilevante di questi minori diventa a sua volta consumatore e dipendente dalla droga.

Sulla tratta a scopo di lavoro forzato si hanno poche informazioni, ma che evidenziano fenomeni di grave sfruttamento ai danni di adolescenti originari dell’India, Bangladesh e dell’Africa del Nord e sub-sahariana, impiegati soprattutto nell’allevamento di bestiame e in agricoltura, costretti dai loro sfruttatori - i cosiddetti "caporali" - a lavorare tantissime ore per paghe irrisorie, a vivere isolati e nell’impossibilità di chiedere aiuto e sfuggire alla loro condizione di semi schiavitù. I minori provenienti dal Nord Africa o di origine sub-sahariana raggiungono l’Italia via terra dopo essere approdati in Spagna, o, più raramente, via mare sbarcando a Lampedusa e in Sicilia.

Esiste anche la tratta a scopo di adozioni internazionali illegali: le poche evidenze e conoscenze su questa forma di tratta derivano da ricerche e indagini giudiziarie come quella condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Pordenone nel 2004 e che ha portato alla luce una compra-vendita illegale di neonati tra Bulgaria ed Italia, o la più recente operazione "Ladri di bambini" grazie alla quale è stata bloccata la vendita, già pattuita, di una neonata di venti giorni ad una coppia italiana, a scopo di adozione illegale.

Infine, se è ormai accertata l’esistenza di un commercio internazionale di organi e di tessuti, sia sottoforma di compravendita di organi tra adulti consenzienti che di "viaggi della speranza" in paesi in via di sviluppo per effettuare un trapianto illegale, non vi sono al momento prove dell’esistenza di un traffico di persone a tale scopo, verso l’Italia. Per quanto riguarda il coinvolgimento di bambini, sono state avviate alcune indagini in materia, in particolare un’inchiesta della Procura di Roma su un presunto traffico di minori dall’Albania, che si sospetta siano stati trasportati illegalmente in Grecia e in Italia e sottoposti a espianti illegali.

"La tratta dei minori costituisce una gravissima violazione dei diritti dei bambini e quindi è necessario fare il massimo per proteggere le vittime e aiutarle a tornare ad una vita normale" - commenta ancora Carlotta Bellini. "In Italia i bambini e adolescenti trafficati e sfruttati possono contare su buone leggi e sulla rete di programmi in loro sostegno previsti dalle legge 228/2003. Questi programmi però debbono essere meglio calibrati sulle specifiche esigenze dei minori. In primo luogo" - prosegue Bellini - "bisogna migliorare ed estendere gli interventi di contatto e aggancio dei ragazzi e ragazze vittime o potenziali vittime di tratta attraverso anche l’impiego di équipe di strada o operatori "alla pari", figure che Save the Children, per esempio, già impiega in alcuni suoi progetti. In secondo luogo bisogna mettere più impegno e risorse nell’identificazione dei minori vittime di tratta, che a volte non vengono riconosciuti come tali ma confusi e considerati come minori dediti ad attività criminali".

Per questo Save the Children ha messo a punto un "Protocollo di identificazione e supporto dei minori vittime di tratta e sfruttamento" e dall’agosto 2008 ha avviato il progetto Agire "Infine - conclude la Coordinatrice di Save the Children Italia - auspichiamo che il Governo sviluppi e implementi quanto prima un piano nazionale anti-tratta e che l’Italia proceda alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani".

Immigrazione: nei Centri in 8.000, costano 400.000 € al giorno

 

Il Sole 24 Ore, 25 agosto 2008

 

Sedici centri provvisori per far fronte all’emergenza. Tanti ne ha dovuti aprire il ministero dell’Interno durante gli ultimi mesi. Il conto degli stranieri irregolari attualmente ospitati nelle strutture sparse in tutta Italia è fermo a 8.652 persone, comprese quelle nei centri provvisori. I 2Ó centri permanenti presenti in Italia, invece, possono contenerne solo 5.269. Ad aggravare la già critica situazione sono stati gli sbarchi record di questa estate, che in tre mesi hanno toccato quota 11.000.

I centri, però, non sono tutti uguali. Sono classificati in tre categorie: i Cie (ex Cpt), centri di identificazione ed espulsione; i Cda, centri di accoglienza e i Cara, centri di accoglienza per richiedenti asilo politico. A modificare la denominazione dei "vecchi" centri di permanenza temporanea è stato il "Pacchetto sicurezza": la legge 125/08 ha infatti trasformato i Cpt in centri di espulsione. Attualmente le strutture attive sono dieci, dislocate su tutto il territorio: cinque al Nord, una al centro e quattro al Sud, per una capienza massima di 1.219 ospiti. Un altro centro, che potrà contenere 120 persone, è in costruzione a Trapani

La permanenza massima di uno straniero all’interno di un Cie al momento è di trenta giorni, prorogabile di altri trenta in caso di difficoltà nell’identificazione. Ben presto, però, le cose potrebbero cambiare: al vaglio del parlamento c’è un disegno di legge che si propone - tra l’altro - di allungare i tempi di permanenza fino a un massimo di diciotto mesi. Le novità non sono finite: un altro cambiamento è alle porte, regioni permettendo. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha più volte annunciato di voler aprire un Cie in ogni regione. I primi sei dovrebbero vedere la luce a settembre, ma le amministrazioni regionali non hanno tardato a far sentire la propria voce.

"Non avranno la nostra collaborazione", aveva infatti avvisato il presidente della Toscana, Claudio Martini, aggiungendo che "la Toscana resta convinta che i Cie rappresentino un modello fallimentare per affrontare il problema dell’immigrazione". E anche dalla Liguria sono recentemente arrivate voci di disaccordo sulla possibile apertura di un centro per gli immigrati nell’ex polveriera militare della Valdurasca. Contrario il sindaco di La Spezia Massimo Federici, e contrario anche il Presidente della Regione, Claudio Burlando.

Gli immigrati che sbarcano in Italia e che richiedono asilo politico, invece, vengono ospitati nei Cara, centri di accoglienza per richiedenti asilo. In funzione ce ne sono sei mentre uno è ancora in fase di costruzione. In totale i sei centri possono ospitare 900 richiedenti asilo. I Cara sono strutture "aperte": gli ospiti escono la mattina e ritornano la sera Qualcuno di loro, però, si allontana senza permesso e si dà alla clandestinità. Succede quando non si hanno i documenti in regola per richiedere lo status di rifugiato, o quando il Paese di provenienza non risulta ufficialmente in guerra oppure quando non è possibile documentare casi di persecuzione politica.

Oltre ai Cara, poi, ci sono in funzione sei Cda (centri di accoglienza) e tre Centri di primo soccorso (questi ultimi dislocati nelle isole, uno in Sardegna e due in Sicilia) dove gli stranieri vengono accolti non appena sbarcati e dove vengono prestate loro le prime cure.

A Lampedusa da due settimane ha preso il via il progetto - sostenuto dall’assessorato regionale alla Sanità e dai ministeri dell’Interno e della Salute - che prevede l’appoggio di una task force medica. La convenzione, che durerà 90 giorni, è stata sottoscritta tra il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno e l’Inmp, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà.

I centri per gli stranieri costano allo Stato circa 50 euro al giorno per ogni immigrato ospitato: vale a dire, quindi, che in questi giorni la spesa totale per la gestione dei Centri ammonta a 432.600 euro al giorno. Nei primi otto mesi del 2008, i centri per gli irregolari sono costati allo Stato oltre 20 milioni di euro.

Immigrazione: e il sindaco di Lampedusa "diffida" il Governo

di Lucio Galluzzo

 

Il Messaggero, 25 agosto 2008

 

Il sindaco Bernardino De Rubeis, dell’Mpa, ha dichiarato "guerra" a tutte le forze dell’ordine impegnate a terra ed in mare nell’assistenza ai clandestini. Contro Marina e forze di polizia ha annunciato una "diffida formale" a "non introdurre altri immigrati nel Centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola perché con 2.000 presenze la struttura sta scoppiando, mettendo a repentaglio l’ordine pubblico nell’isola". Nello stesso momento in cui ilo sindaco denuncia, C 130 dell’Aviazione militare scendono e salgono dalle piste per trasferire in varie città i migranti ed in Consiglio comunale

l’opposizione attacca il sindaco osservando "è vero che Lampedusa sta scoppiando, ma di turisti". La rotazione dei C 130, che fanno la spola soprattutto con Ciampino e Crotone, dovrebbe dimezzare già oggi le presenze a Lampedusa. Sull’isola nel giro di quattro giorni gli sbarchi sono stati poco meno di 2000, 350 dei quali nella giornata di ieri. Altri arrivi in contemporanea si sono registrati a Malta.

Che sta dunque accadendo nell’ultimo lembo sud d’Italia? Bisogna intanto premettere che l’isolotto ricade in provincia di Agrigento che è la terra di Pirandello, ed allora diventa comprensibile il "siluro" spedito da un sindaco, che si rifà ad una Lega in salsa siciliana, al ministro dell’Interno, il "padano" Roberto Maroni.

Il melodrammatico allarme di De Rubeis ha trovato subito sponde in alcuni parlamentari della Lega Nord, come la lampedusana Angela Maraventano e Angelo Alessandri, solleciti nel compiere un’ispezione al Centro di prima accoglienza, o in Mario Borghezio che si chiede "fino a quando l’Italia, stretta fra il ricatto della Libia e l’ipocrisia dell’Europa anti-razzista, dovrà assoggettarsi ad accogliere le carrette del mare, favorendo di fatto il turpe traffico di esseri umani".

Una domanda alla quale, tuttavia, aveva solo poche ore prima dato risposta di buon senso proprio Umberto Bossi, osservando che "soltanto l’accordo che Berlusconi dovrebbe firmare con Tripoli potrà chiudere per sempre la vicenda degli immigrati che vengono dalla Libia". La linea scelta dal sindaco De Rubeis ha provocato intanto varie irritazioni. In prefettura si fa osservare che "non si sente affatto il bisogno di surriscaldare una situazione calda… non solo perché siamo in estate". E dunque è stata apprezzata la nota del Pd locale, di replica al sindaco, che censura "false informazioni" tese "esclusivamente ad alimentare nell’opinione pubblica paura e allarmismo e ad innescare nei confronti del governo il solito meccanismo delle misure straordinarie per militarizzare ulteriormente Lampedusa".

Ha protestato anche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati: Laura Boldrini, che ne è il portavoce in Italia, ha replicato alla "diffida" annunciata dal sindaco contro lo sbarco assistito dei migranti, ricordando che "salvare vite umane in mare è un obbligo giuridico internazionale. Il dovere di prestare soccorso prescinde dalla posizione giuridica della persona soccorsa e non ottemperarvi rappresenta una grave violazione del diritto, sia da parte dei privati che dei corpi dello Stato".

Ma si sentono chiamati in causa, ingiustamente, anche gli operatori del Centro di prima accoglienza, che nella situazione di sovraffollamento, a giudizio del sindaco, non sarebbero in grado di controllare gli ospiti con conseguenti "problemi di ordine pubblico", proprio durante la stagione turistica "abbiamo avuto anche 1.800 immigrati", è la replica di Cono Galipò, responsabile di Lampedusa Accoglienza, che gestisce il Centro alla paure del primo cittadino - e siamo sempre riusciti a fronteggiare l’emergenza.

Lo stiamo facendo con pieno successo anche in questo momento. Non voglio entrare nel merito di dichiarazioni politiche, mi limito tuttavia ad osservare che non ci sono state fughe di massa dal Cpa e che casi isolati non possono destare alcun allarmismo".

Immigrazione: c’è chi vorrebbe Lampedusa come un carcere

di Chiara Tamburini

 

Liberazione, 25 agosto 2008

 

Da un paio di giorni sono ripresi gli sbarchi a Lampedusa, dopo alcune settimane in cui gli arrivi erano decisamente diminuiti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ieri sono giunti sull’isola circa 200 migranti, in prevalenza somali e di altre aree del Corno d’Africa, che si aggiungono ai quasi 900 dei due giorni precedenti.

Questa impennata degli arrivi non può passare inosservata ed è impossibile non collegarla ai negoziati in corso tra il governo italiano e quello libico che porteranno Berlusconi in persona a Tripoli alla fine di questo mese. I numeri e le modalità degli sbarchi parlano di un cambiamento di strategia: se ad agosto scorso i migranti giungevano dalla Libia e di solito dal porto di Zuwara (a un centinaio di chilometri dal confine tunisino) con piccoli gommoni con 45 persone a bordo, nelle ultime settimane sono ripresi gli arrivi con barche di 300 o 400 migranti provenienti direttamente dal porto di Tripoli (come confermato dai funzionari della squadra mobile presenti sull’isola se interpellati off record).

Insomma una sorta di gioco a carte scoperte, senza neppure più il tentativo di celare la possibilità di controllare la quasi totalità delle partenze dalle coste libiche: com’è infatti possibile pretendere di non aver intercettato un barcone con a bordo 400 persone che lascia la propria costa?

Dal Golfo della Sirte giunge chiaramente un odore di ricatto: il colonnello vuole mostrare di cosa è capace se gli italiani non gli concederanno quanto chiede insistentemente da anni. È un poker giocato sulla pelle dei disperati, un’indecenza alimentata da entrambe le rive del Mediterraneo: noi italiani che non lasciamo ai migranti alcun’altra via per raggiungere il nostro paese (un visto temporaneo per la ricerca di lavoro risolverebbe tutte queste tragedie annunciate) e i libici che spillano loro fino all’ultimo dollaro (mediamente 1.500 a testa) per metterli su precarie carrette del mare, facendoli marcire in prigione se vengono presi e non pagano altri soldi (500 dollari) per farsi liberare. È l’economia della clandestinità, la schiavitù del XXI secolo: lo sfruttamento di chi non ha diritti.

Così, dopo alcune settimane di calma, a Lampedusa la macchina dell’assistenza umanitaria e dell’accoglienza torna a funzionare a pieno regime. Le associazioni presenti al molo (in particolare Medici Senza Frontiere e Save the Children, oltre a Cri e Oim) non hanno un attimo di pausa in un lavoro intenso e svolto da professionisti e da volontari.

Le motovedette della capitaneria e della Guardia di Finanza restano in mare anche per 24 ore consecutive se le ricerche lo richiedono, con turni massacranti e spesso un impegno che va anche oltre il proprio dovere. Grazie anche ad un avvicendamento ai vertici della capitaneria locale, sembrano infatti finalmente lontani i ricordi del processo di Agrigento del 2007 ai 7 pescatori tunisini (rei di aver soltanto salvato 45 vite dall’annegamento sicuro), e lo sforzo messo in atto dalla guardia costiera per recuperare e soccorrere in mare chi chiede aiuto (anche a decine di miglia di distanza dalle nostre acque) non può che essere apprezzato e sostenuto.

Anche il Cpsa (ex Cpt) di Lampedusa, dopo alcune difficoltà di gestione incontrate l’anno scorso, ha mostrato di poter sostenere la primissima accoglienza, fornendo a tutti un pasto caldo e un giaciglio, oltre al kit di arrivo contenente un ricambio di vestiti e una carta telefonica da 5 euro. Pur svolgendosi nell’ambito del "trattenimento" e dunque della limitazione della libertà personale, il tutto avviene in un’atmosfera priva di tensioni, grazie anche alla quasi totale assenza di elementi che richiamano il regime carcerario: niente più filo spinato, libertà di muoversi almeno all’interno del perimetro, un solo cancello interno che separa gli uomini dalle donne e dai minori.

Anche per questo sono gravi e pretestuose proposte come quella del sindaco di Lampedusa De Rubeis che venerdì ha chiesto di mettere di nuovo il filo spinato attorno al perimetro del centro: il "grande problema" da scongiurare sarebbero le pochissime fughe che qualche volta fanno un paio di migranti per andarsi a bere una birra in centro e puntualmente ritornare di spontanea volontà.

In una realtà come quella lampedusana, davvero un regime di tipo carcerario sarebbe privo di senso, oltre che politicamente grave. Chi giunge sull’isola ha già dovuto subire condizioni di vita insostenibili, un viaggio massacrante e spesso la prigione libica e le violenze della polizia: l’ultima cosa di cui i migranti hanno bisogno è una vita da detenuti.

Abbiamo incontrato dentro il Cpsa un gruppo di ragazzi somali sbarcati a Lampedusa il 20 di agosto e il racconto tremendo che ci hanno consegnato parla da sé, tanto più se consideriamo che oltre il 60% dei migranti arrivati in questo caldo mese d’agosto provengono dalla stessa regione, il Corno d’Africa.

Partiti da Mogadiscio e giunti in Libia attraversando Gibuti, l’Eritrea, il Sudan e poi il deserto, raccontano che il viaggio può durare anche solo un mese se sei partito con abbastanza soldi addosso; durerà invece diversi mesi o anche anni se non hai soldi, perché dovrai fermarti a lavorare il Libia per poter raccogliere il necessario per imbarcarti.

Uno di loro, col viso segnato, aggiunge che la mancanza di soldi può anche costarti la vita: durante la traversata del deserto libico, gli autisti dei camion sono gli unici autorizzati a trasportare acqua e se non puoi permetterti di pagarla muori di sete. Racconta di aver visto morire così 7 dei suoi 35 compagni di viaggio, che avevano tentato di resistere un giorno in più bevendo le loro urine.

Di fronte al nostro sguardo incredulo, Nasteh, occhi tristi e poco più di vent’anni, precisa che 7 morti su 35 è una buona media: "A volte si rompe il camion nel deserto e muoiono tutti, compreso l’autista". Se sommiamo i morti nel deserto (più del 20% secondo le stime di questi ragazzi) alle migliaia di morti in mare durante la traversata, ci rendiamo subito conto dell’impossibilità di quantificare questa strage prevista e continua.

Arrivati a Tripoli, chi ha abbastanza soldi può imbarcarsi per l’Italia rapidamente. Ma Muhammad racconta che lui è stato meno fortunato dei suoi due amici: una volta giunto in Libia è stato preso in una retata della polizia e sbattuto in prigione senza alcun’altra colpa che quella di essere un "clandestino" e di non avere i soldi per farsi liberare. È rimasto in galera per un anno e mezzo, dove ha visto coi suoi occhi gli stupri dei militari alle detenute e ha subito lui stesso dei maltrattamenti l’unica volta in cui aveva osato gridare "libertà".

L’incubo è continuato finché Muhammad non è riuscito a farsi mandare altri soldi da alcuni conoscenti ed è stato liberato: ora è arrivato in Italia non solo senza un soldo ma con i debiti. È istruito Muhammad, sa che è contro la legge detenere qualcuno che non ha commesso alcun reato e ha pagato con le ferite l’orgoglio di rivendicarlo.

Secondo le stime di questi ragazzi, più di 500 migranti somali sono ancora rinchiusi nelle prigioni libiche, perché uscirne costa tra i 500 e i 1.000 dollari, una cifra enorme tanto più se si pensa al reddito medio nel Corno d’Africa. A questi vanno aggiunti centinaia di Eritrei e chissà quanti di altre nazionalità.

Ascoltando questi racconti atroci viene da chiedersi se questi ragazzi avevano immaginato tutti questi rischi al momento in cui hanno deciso di partire: ci risponde Omar con la sua storia personale, ultimo superstite di 5 fratelli. "Mia madre non poteva chiedermi di non partire, gli altri 4 fratelli sono stati uccisi dall’esercito etiope e allora mi ha detto di scappare ovunque io potessi avere un futuro".

Poi indica un altro compagno di viaggio: Ali, "è giornalista, è un tuo collega" aggiunge sorridendo. Ali ha visto assassinare il suo capo redattore e ha deciso il giorno stesso di fuggire da Mogadiscio. Il loro messaggio è chiaro: sappiamo benissimo i rischi che corriamo nella traversata del deserto e poi del mare, ma non abbiamo scelta perché nella nostra terra non si riesce più a vivere. Hanno delle ambizioni semplici: una vita normale, un lavoro e farsi una famiglia. "In Italia, sì, o anche in un altro paese d’Europa: l’importante è poter vivere", ci dicono salutandoci e regalandoci il primo sorriso.

Droghe: un "test" sulle strade, i medici perplessi sulla proposta

 

Notiziario Aduc, 25 agosto 2008

 

Continuano le reazioni alla proposta del sottosegretario Carlo Giovanardi di affiancare medici ed infermieri alla polizia stradale per condurre test antidroga ai conducenti d’auto.

È giusto fare controlli, è impossibile farli a tappeto, su tutti: occorre selezionare le persone, come chi commette infrazioni ed incidenti, e magari i momenti topici che possono essere la notte e gli week end. Lo dice il farmacologo e direttore dell’Istituto di ricerca farmacologica Mario Negri di Milano Silvio Garattini.

"Non esiste la modica quantità - spiega Garattini - chi usa sostanze stupefacenti lo fa per avere certe sensazioni e non è comunque nelle condizioni di guidare in modo corretto non avendo risposte rapide e riflessi pronti". Dunque, "è giusto - precisa Garattini - fare controlli come si fanno per l’alcool ma mirati e selettivi, per chi commette infrazioni, e soprattutto di notte e negli week end: non è possibile farli su tutti".

Serviva un segnale forte, che fosse pure un valido deterrente, perché siamo in una situazione di vera e propria emergenza sociale: la prevenzione resta l’arma migliore ma i suoi risultati arrivano nel medio lungo periodo. È l’opinione sui test antidroga del Presidente dell’Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri di Roma, Mario Falconi per il quale "le Forze dell’Ordine sapranno utilizzare i test in modo flessibile, intelligente ed appropriato".

Dunque, visti i quotidiani incidenti mortali causati, dovuti all’uso di sostanze stupefacenti, "nell’immediato, subito - nota Falconi - qualcosa, nella situazione di emergenza in cui siamo, andava fatto: ci voleva un segnale forte che funzionasse pure da deterrente, da usare con flessibilità ed intelligenza, da parte delle Forze dell’Ordine verso cui non nutro dubbi". Resta quindi la prevenzione da fare soprattutto nelle scuole e nelle famiglie "due istituzioni purtroppo in forte crisi - conclude Falconi - E allora si investa di più e meglio nella scuola pubblica e nella famiglia: i risultati però verranno nel tempo ed oggi bisognava rispondere all’emergenza sociale per cui i test sono un segnale giusto e forte oltre che, credo, utile".

I test antidroga su strada, meglio se a farli sono i medici, vanno bene, quel che non condivido affatto sono i test preventivi per la patente e il patentino: una vera idiozia di dubbia legalità. A parlare è la senatrice dei Radicali eletta nelle del Pd e membro della Commissione Sanità del Senato, Donatella Poretti, sul piano di prevenzione antidroga disposto dal sottosegretario Carlo Giovanardi. "I test antidroga su strada, come già in uso per l’alcool, vanno benissimo - aggiunge la Poretti - sono una buona iniziativa per la prevenzione ma a patto che le verifiche le facciano i medici e che non si criminalizzino i ragazzi che vanno in discoteca: gli incidenti non sono infatti causati solo da costoro".

Insomma, competenze giuste ed equilibrio nell’uso dei test. Quel che non piace alla Poretti sono, invece, i test preventivi per patente o patentino. "Un esame fatto prima del conseguimento della patente è "del tutto inutile - precisa - e l’unico strumento efficace sono i controlli stradali, come ci indicano la Commissione europea e l’Oms", che relegano l’Italia all’ultimo posto nella Ue per controlli stradali: nel periodo 2003-06, solo il 3% della popolazione è stata sottoposta a test alcolemico presso check-point della polizia stradale almeno una volta e solo l’1% più di una volta.

In Francia, le percentuali sono rispettivamente del 17% e 15%; in Germania 17% e 7%; Olanda 23% e 14%; Finlandia 26% e 38%. "A seconda dell’esame impiegato si rischia di negare la patente ad una persona che ha fumato un solo spinello un mese prima, dandola invece all’alcolizzato che cessa di bere qualche ora prima dell’esame - spiega la Poretti -.

Con l’esame del sangue, infatti, le tracce di alcool spariscono in poche ore, mentre quelle della cannabis rimangono fino a 30 giorni. Tutto questo a fronte del fatto che il 30-50% degli incidenti stradali è causato proprio dall’alcool". Insomma, se i test su strada vanno bene, "per allinearci ai paesi europei su controlli stradali con etilometro e test tossicologici che sono il migliore strumento - conclude la Poretti - di prevenzione e riduzione degli incidenti", i test preventivi per patente e per patentino sono inutili ed illegittimi.

Serve una campagna sull’interesse per la realtà umana, propria e degli altri: una noto o un’auto sono di fatto un’arma potenziale di autodistruzione e di distruzione, si tratta di saperle usare bene per se stessi e gli altri. È quanto sostiene lo psichiatra Francesco Riggio in merito ai test antidroga di Giovanardi che, tra l’altro, chiosa lo psichiatra, "sono molto costosi".

Insomma, ha qualche dubbio sull’iniziativa? "Sì perché non mi convince il modo di affrontare e risolvere le tragedie che quotidianamente si consumano sulle strade - risponde lo psichiatra - non si risolve ciò con test e controlli e poi non vorrei che ciò diventasse un sistema". Ossia, solo provvedimenti e misure di repressione e niente prevenzione.

"Anche chi usa sostanze o alcool, ed il loro effetto di alterazione lo producono a seconda della quantità introdotta, non è detto che procuri un danno a se stesso o agli altri: dipende da quanto il soggetto è consapevole del proprio stato ed è la consapevolezza che lo renderà prudente - spiega Riggio - Se la consapevolezza viene meno e - aggiunge - scatta l’indifferenza allora sì che il soggetto diventa pericoloso per sé e per gli altri".

Dunque, è l’indifferenza il vero nemico da affrontare? "Senz’altro e direi meglio: è l’anaffettività che - conclude lo psichiatra - fa perdere l’amore, il senso per la vita per se stessi e per gli altri: ecco fare una campagna sull’interesse per la realtà umana sarebbe una svolta e una vera rivoluzione".

Droghe: Lazio; stanziati 9 milioni contro le tossicodipendenze

 

Notiziario Aduc, 25 agosto 2008

 

La Giunta Regionale del Lazio, nella sua ultima riunione prima della pausa estiva, ha deliberato uno stanziamento di complessivi 9 milioni di euro destinati a specifici interventi sui servizi sociali per la lotta alle tossicodipendenze, per il recupero e il reinserimento sociale sia dei soggetti a rischio sia di quelli in situazioni di dipendenza. L’obiettivo è assicurare la continuità dei livelli assistenziali, qualità e quantità dei servizi sul territorio regionale.

Il provvedimento, presentato dall’assessore alle Politiche Sociali Anna Salome Coppotelli, prevede che i fondi vengano assegnati al Comune di Roma e agli Enti e ai Comuni capifila di Distretti socio-sanitari che, entro il 15 ottobre prossimo, dovranno presentare alla Regione il proprio piano di interventi di lotta alla droga per il 2009, lo stato di avanzamento dei progetti già finanziati e un report sull’attuazione dei servizi radicati sul territorio.

Una quota parte dei finanziamenti verrà destinata secondo indicatori e criteri di riparto che prevedono un 70 per cento assegnato sulla base della popolazione a rischio nel territorio (fascia d’età 15-44 anni) e un 30 per cento sulla base del numero dei Servizi per le tossicodipendenze (Sert) presenti nel territorio dei Distretti sociosanitari o nel Comune di Roma.

Cina: dieci giorni in carcere per gli attivisti stranieri pro Tibet

 

Apcom, 25 agosto 2008

 

Dieci giorni di detenzione per almeno dieci cittadini stranieri, colpevoli di aver manifestato a Pechino in favore del Tibet. A riferirlo, sono gli attivisti dello "Student for a free Tibet", che ha base a New York.

Giovedì, le ultime persone fermate: un tedesco, due statunitensi e un britannico, colpevoli di aver esposto una bandiera del Tibet nei pressi del "Nido di Uccello", lo stadio nazionale di Pechino. Il ministero degli Esteri britannico ha confermato la detenzione del suo cittadino e ha diffuso una nota chiedendo al governo cinese "di rispettare l’impegno a garantire la libertà di espressione". E, ai propri cittadini, di rispettare le leggi cinesi. Gli altri sei detenuti sarebbero stati arrestati martedì: si tratterebbe, secondo gli attivisti pro tibetani, di cittadini statunitensi.

Usa: sceriffo si imprigiona, per vedere come vivono i carcerati

 

Apcom, 25 agosto 2008

 

Lo sceriffo Mark Curran di Lake County nell’Illinois è entrato nella sua stessa prigione mercoledì scorso per trascorrervi una settimana come carcerato, affermando di essere stato ispirato "divinamente" ad imparare a cosa somigli essere un detenuto e per sperimentare alcuni programmi carcerari studiati per ridurre la "recidività".

"Il versetto biblico che dice che raccogliamo quello che seminiamo è molto vero per quel che riguarda la giustizia criminale", ha detto Curran prima di cambiare il suo abbigliamento da lavoro con quello da detenuto.

L’Illinois "ha avuto, storicamente, uno dei peggiori sistemi carcerari della nazione… trattando i detenuti come animali in gabbia solo per poi vederli ritornare da liberi nella loro comunità più arrabbiati e amareggiati di quanto fossero all’origine", ha dichiarato.

Curran trascorrerà il suo tempo in mezzo alle 600 persone detenute che sono in attesa di giudizio per accuse di omicidio, rapina e crimini minori, sebbene talvolta avrà la sua cella personale. Siederà nelle classi di scuola superiore del carcere e trascorrerà una notte nell’unità di alta sicurezza e nell’unità medica. Questa notizia si commenta da sola: quanti tra i nostri direttori di carcere avrebbero lo stesso coraggio dello sceriffo Curran? Quanti benefici trarrebbe il nostro sistema carcerario da iniziative di questo genere?

Israele: scarcerati 199 detenuti palestinesi tra reazioni opposte

 

Il Velino, 25 agosto 2008

 

"Non è facile scarcerare dei detenuti, specialmente dei detenuti che sono stati direttamente coinvolti in atti di terrore contro civili innocenti". Con queste parole Mark Regev, portavoce del premier israeliano Ehud Olmert, ha annunciato la liberazione da parte di Israele di 199 carcerati palestinesi in Cisgiordania.

La liberazione era stata decisa nei giorni scorsi dal governo guidato da Olmert come "segno di buona volontà" nei confronti del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas. Tra i 199, due uomini condannati per avere ucciso degli israeliani e che avevano scontato quasi trent’anni di galera. "Un atto stupido e spregevole".

La condanna del gesto di pacificazione nei confronti del partner palestinese impegnato nel processo di pace è piovuta sul governo da parte dell’opposizione nazionalista. "Un atto stupido - ha affermato il parlamentare del Likud Gilad Erdan - fatto da un governo fallito a uno debole". Ossia da quello di Olmert a quello di Abbas. Prima di essere rilasciati al valico di Bitunia, che separa Gerusalemme dalla Cisgiordania, i detenuti devono firmare una dichiarazione con cui si impegnano ad abbandonare la lotta armata.

Sebbene da parte palestinese molti abbiano parlato di un gesto che è sola "una goccia" nel mare delle migliaia di detenuti nelle carcere israeliane, Abbas ha annunciato festeggiamenti. Da parte sua Fadwa Barghouti, la moglie dell’ex leader di Fatah-Tanzim, Marwan, condannato da Israele a cinque ergastoli e tuttora in carcere, ha dichiarato: "Questo è un giorno di gioia, in particolare perché viene rilasciato il veterano dei detenuti (Sayed al-Ataba, in carcere dal 1977, ndr).

Speriamo - ha aggiunto la Barghouti - che in negoziati di pace porteranno a una soluzione per tutti i prigionieri, così che potremo celebrare la loro liberazione in uno Stato indipendente". Da più parti Marwan Barghouti è considerato l’unico leader in grado di ricomporre la frattura tra Hamas e Fatah.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva