Rassegna stampa 28 settembre

 

Asti: un detenuto di 41 anni si è impiccato nella cella

 

La Stampa, 28 settembre 2007

 

Si è tolto la vita impiccandosi con una coperta alle sbarre della cella. Fulvio Polloni, 41 anni, di Cassine, era detenuto da alcuni mesi nel carcere di Quarto per presunti maltrattamenti in famiglia ai danni della convivente. A Tortona, nel 2003, aveva forzato un posto di blocco, speronando l’auto dei carabinieri. Nella serata di martedì, la decisione di farla finita. Polloni, secondo i primi e ancora sommari accertamenti, avrebbe maturato la scelta del suicidio nelle ultime ore: nulla faceva presagire il suo gesto. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno comunicato la notizia del ritrovamento del corpo alla procura, che potrebbe disporre ulteriori accertamenti.

Alessandria: muore detenuto 22enne, forse era debilitato

 

La Stampa, 28 settembre 2007

 

Ad Alessandria, al Don Soria, è morto, pare per cause naturali, un giovane straniero di 22 anni. È accaduto la scorsa notte e il corpo è stato ritrovato dopo qualche ora durante un giro di ispezione degli agenti della polizia penitenziaria. È stato chiamato il 118 ma ogni soccorso è stato inutile. Jamal Khalid, di origine marocchina, probabilmente ha seguito i precetti del Ramadan che limita l’assunzione del cibo. Forse aveva il fisico debilitato. Secondo i primi accertamenti potrebbe non aver digerito ed essere rimasto soffocato nella notte. Il corpo del ragazzo è stato portato alla camera mortuaria dell’ospedale di Alessandria. La salma è a disposizione della Procura.

Giustizia: Veltroni; contro i romeni serve più durezza 

di Elvira Serra

 

Corriere della Sera, 28 settembre 2007

 

Tolleranza zero. "La situazione dell’ordine pubblico a Roma è peggiorata dopo l’ingresso massiccio dei romeni". Misure drastiche. "Spero che le forze dell’ordine facciano un intervento straordinario: sanno dove queste persone si trovano, conoscono le loro abitudini. Spero in un intervento energico, forte, duro verso queste fonti di efferata criminalità che qui in città non si possono tollerare".

Il coinvolgimento del ministro dell’Interno. "Ho chiesto ad Amato di modificare la normativa sull’espulsione immediata prevista per i cittadini comunitari quando mettono a repentaglio la sicurezza nazionale: va estesa anche ai casi di violenza su persone e cose. E che sia il prefetto ad emanare il provvedimento". Infine, la permanenza a rischio nell’Unione europea. "O la Romania si assumerà le sue responsabilità o se ne discuterà in Europa".

Un Walter Veltroni insolitamente scuro in volto ha annunciato ieri in Campidoglio la linea dura per contrastare l’escalation di violenza degli ultimi mesi nella capitale, e dopo l’esecuzione dell’altra notte di un rumeno nella stazione Nomentana. "Ciò che è accaduto ieri sera è inaudito. Tra gennaio e agosto sono state arrestate dai carabinieri 3.557 persone: di queste, 2.689 sono rumeni, ovvero il 75,5%". Il sindaco di Roma ha sottolineato il "grado di efferatezza molto alto" e ha ammesso: "Non possiamo non mettere in relazione questi fenomeni con il flusso di cittadini dalla Romania".

"Nessuno ha risolto il problema, le stesse cose accadono in altre città", ha aggiunto il candidato leader del Partito democratico. Ma ha precisato: "Un governo ha accettato che la Romania entrasse in Europa, un altro governo ha fatto le norme. Al governo precedente e a quello attuale avevo chiesto di far tornare in patria una serie di persone".

C’è poi la questione delle autorità rumene. "Bisognerà fare con loro un discorso. Io come sindaco già l’ho fatto, ma ora è necessario farlo a livello nazionale ed europeo. Non si può stare in Europa e non farsi carico dei problemi di flusso migratorio. Tanto più che la Romania cresce in maniera sostanziosa in materia di Pil".

Veltroni appassionato: "Roma è sicura. Lo dicono le statistiche, lo dice il Censis. Questo però non significa chiudere gli occhi e abbassare la guardia di fronte a quanto sta succedendo dopo l’ingresso della Romania in Europa". Fermo, senza polemiche: "Vorrei che queste misure restassero fuori dalla tristezza delle strumentalizzazioni politiche". Detto da uno che non vuole "fare politica per tutta la vita, ma finché è necessario e utile che la faccia".

Giustizia: Mastella; i romeni tornino nelle loro galere

 

Agi, 28 settembre 2007

 

Abbiamo troppi extracomunitari in carcere. Troppi. E abbiamo in carcere molti romeni. Ho parlato di recente con il ministro romeno e ho chiesto che occorre che i detenuti romeni tornino in Romania". Lo ha detto oggi a L’Aquila il ministro della Giustizia Clemente Mastella. Devono prendere atto - ha aggiunto - che si rischia una guerra razziale rispetto ai rom e quanti altri che io non voglio e il Paese non vuole. Anche la Romania, che ha un’accelerazione nel Pil e dunque delle risorse, deve contabilizzare questa presenza di detenuti romeni, che è giusto che siano in Romania e non nel nostro Paese.

Giustizia: Mastella; ecco il mio piano per la Finanziaria

 

www.giustizia.it, 28 settembre 2007

 

La Finanziaria all’esame del Consiglio dei Ministri e le necessità della Giustizia, senza tralasciare l’importante contenimento della spesa già avviato dal Dicastero di Via Arenula e le iniziative di legge assunte e già approvate dal Parlamento o all’esame delle Camere.

È con un’articolata lettera che il guardasigilli, Clemente Mastella, si è rivolto oggi al presidente del Consiglio, Romano Prodi, e al ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa per chiedere che il programma del Governo, che ha individuato una priorità nel recupero di efficienza del sistema giudiziario, venga pienamente rispettato. La giustizia, ha sottolineato il ministro, non è un costo per il Paese, ma il suo buon funzionamento costituisce il volano dell’economia, un fattore essenziale per lo sviluppo.

"Il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria 2008-2011, positivamente innovando rispetto al passato, ha riconosciuto ed affermato con forza la centralità del sistema giudiziario ai fini della competitività economica del Paese e quale pilastro dell’ordinamento democratico per la difesa dei diritti individuali e la sicurezza dei cittadini - scrive il ministro - Costituisce ormai un dato comunemente accettato che il malfunzionamento della giustizia disincentiva gli investimenti industriali, rende più difficile la nascita di nuove imprese e produce un impatto negativo sull’efficienza dei mercati finanziari. Del resto, come giustamente sottolineato nello stesso DPEF, tassi di delinquenza elevati, criminalità e corruzione ostacolano anch’essi lo sviluppo economico ed esercitano un effetto dissuasivo nei confronti degli investitori.

In sintesi: la Giustizia, una Giustizia che funziona, è un fattore di sviluppo, non un costo per il Paese; al contempo, essa è strumento insostituibile per la sicurezza dei cittadini. Tutto ciò si ritrova nella priorità data nel Programma di Governo, e più volte ribadita dal Presidente del Consiglio, al recupero di efficienza del sistema giudiziario.

In attuazione di questi indirizzi fondamentali, il mio ministero ha prodotto un importantissimo volume di innovazioni normative che, adottate dal Consiglio dei Ministri, sono state già approvate dal Parlamento - come la riforma dell’Ordinamento giudiziario - o si trovano ora all’esame delle Camere (Ddl sull’accelerazione dei processi civile e penale, sull’istituzione dell’Ufficio per il Processo, ecc.).

In tale contesto, il Ministero della Giustizia ha anche avviato una importante azione di contenimento della spesa. Basti pensare, a solo titolo di esempio, alle iniziative in materia di intercettazioni telefoniche giudiziarie, che produrranno nel prossimo futuro cospicui risparmi, oppure al profondo riordino della magistratura militare proposto e sostenuto con coerenza insieme al Ministro della Difesa.

Senza contare che proprio il recupero di efficienza e la diminuzione dei tempi del processo libererà le risorse finanziarie oggi impiegate per far fronte ai risarcimenti causati dalla violazione degli standard europei di ragionevole durata. Si consideri inoltre che il drastico taglio operato nel quinquennio 2001-2005 ai fondi per il funzionamento della Giustizia ha condotto l’Amministrazione ad un ingentissimo indebitamento e a enormi difficoltà nella gestione quotidiana dell’intero sistema giudiziario.

Né risposte adeguate possono venire da erronee indicazioni contenute nel Libro Verde sulla spesa pubblica. In vista della discussione in Consiglio dei Ministri delle proposte del Ministro dell’Economia relative alla Legge Finanziaria, sento dunque il dovere istituzionale di ricordare che il difficile percorso verso il recupero di efficienza del sistema giudiziario - al quale siamo tenuti anche in adempimento di precisi obblighi assunti in sede europea - non potrà essere intrapreso e portato a compimento a costo zero. Esso richiede al contrario una costante volontà politica che si sostanzi in coerenti scelte nella legge di bilancio. Ne va della complessiva credibilità dell’azione del nostro Governo nei confronti dei cittadini italiani.

Mi riferisco in primo luogo alla necessità di finanziare il complessivo riordino della magistratura onoraria con interventi urgenti per il riassorbimento del contenzioso pendente. Mi riferisco inoltre al bisogno di cominciare una plausibile programmazione degli investimenti fin d’ora necessari nel campo dell’edilizia giudiziaria e penitenziaria. Servono fondi per l’avvio e la diffusione entro l’anno prossimo del processo telematico. È assolutamente necessaria l’autorizzazione alla copertura di quote significative delle carenze prodottesi negli ultimi anni negli organici della magistratura e del personale amministrativo. Serve insomma il supporto finanziario richiesto per la realizzazione delle iniziative minime proposte dal mio dicastero al Ministero dell’Economia in sede di predisposizione della Legge Finanziaria.

Non posso invece non esprimere la mia preoccupazione qualora avessero fondamento talune indiscrezioni giornalistiche le quali segnalano l’intenzione del Governo di procedere ad un’automatica e generalizzata riduzione del limite massimo di permanenza in servizio dei magistrati, ciò che determinerebbe il verificarsi di un improvviso e drammatico vuoto nei relativi organici, con effetti dirompenti sulla funzionalità del servizio giudiziario. Condivido infine la preoccupazione espressa dal Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura circa la permanenza di interventi che hanno inciso in passato sul trattamento economico dei magistrati e che oggi, anche alla luce del mutato quadro di finanza pubblica, non hanno più ragione di essere. Conto sulla vostra sensibilità istituzionale per un’attenta e serena valutazione delle esigenze della Giustizia italiana".

Giustizia: omicidio di Garlasco; Alberto Stasi torna libero

 

Il Corriere della Sera, 28 settembre 2007

 

Alberto Stasi esce dal carcere. Il giovane, che era stato fermato per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, è stato rimesso in libertà dal gip. Il magistrato ha disposto l’immediata scarcerazione per insufficienza degli elementi probatori presentati dall’accusa.

Il fermo - Stasi, 24 anni, era stato fermato per l’omicidio il 24 settembre, ma durante gli interrogatori ha continuato a proclamare la sua innocenza. Il fermo era stato disposto dalla procura di Vigevano dopo la consegna da parte del Ris dei carabinieri delle analisi sui reperti ritrovati sul luogo del delitto, avvenuto la mattina del 13 agosto in circostanze ancora misteriose. Ad incastrare Alberto Stasi - iscritto nel registro degli indagati pochi giorni dopo l’omicidio - sarebbero state delle tracce di sangue sui pedali della bicicletta. Ora però il colpo di scena: per il gip, le prove sono insufficienti.

La madre di Chiara - "Non volevo e non voglio che stia in carcere un innocente", ha fatto sapere Rita Preda, la madre di Chiara, attraverso il suo avvocato, Gianluigi Tizzoni. "Voglio che sia fatta giustizia. Per i Poggi non è importante trovare un colpevole, ma il colpevole. La famiglia Poggi non è né contro né con Stasi". Il legale ha aggiunto che si è trattato di "una decisione studiata di cui il gip si assume la responsabilità". "L’indagine continuerà con la nostra collaborazione", ha precisato l’avvocato.

Piacenza: apre una sezione per i detenuti psichiatrici?

 

Libertà, 28 settembre 2007

 

Proclamazione dello stato di agitazione, culminante in una manifestazione di protesta nei primi 10 giorni di ottobre a Bologna, davanti al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap). Le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria (Santo Guercio e Marco Martucci per Fp-Cgil, Antonio Lasorsa per Cisl Fps, Francesco De Bartolomeo per Uilpa e Pasqualino Barilaro e Dario Quattrocchi dell’Ussp), "alle pessime condizioni in cui sono costretti a operare tutti gli operatori penitenziari della casa circondariale di Piacenza" e soprattutto alla ventilata ipotesi circa l’apertura nel carcere piacentino di una sezione per detenuti "psichiatrici" che due giorni fa sarebbe stata annunciata come ufficiale dal Prap dell’Emilia Romagna, rispondono con un documento al vetriolo.

Le "pessime condizioni" a cui fanno riferimento deriverebbero dall’insufficiente organico effettivamente presente, che con gli anni si assottiglia sempre più, unitamente alla progressiva riduzione delle risorse economiche per la sanità penitenziaria e normale manutenzione, con conseguente aumento delle criticità sia strutturali che sanitarie che si ripercuotono anche sulla sicurezza.

"Abbiamo anche denunciato - prosegue il documento - che il numero di detenuti presenti nella struttura piacentina è sempre stato superiore alla sua capienza regolamentare anche dopo l’indulto, e oggi che il problema investe l’intero sistema penitenziario italiano, a Piacenza la situazione è ancor più critica.

Per sintetizzare, vi sono sempre meno operatori di polizia penitenziaria, con sempre più detenuti e con sempre più problemi consequenziali all’assenza di risorse sia economiche che materiali, e ciò causa a nostro avviso inevitabili ripercussioni negative sulla sicurezza e sul carico di lavoro, con tutto il personale che ha continuato a vivere nell’incertezza del proprio orario di lavoro (da sempre superiore alle 36 ore settimanali) e, nei periodi estivi si vede contrarre il diritto al riposo settimanale".

Disagi denunciati dal 2002, "ma nel tempo abbiamo registrato solo indifferenza, superficialità, sottovalutazione, false promesse, che hanno generato un aumento delle problematiche anziché una progressiva riduzione, ed oggi, dopo 5 anni di denuncie, i diritti previsti dalle norme costituzionali e pattizie, continuano a non essere rispettati e verosimilmente non potranno mai esserlo".

E la denuncia prosegue: "Abbiamo sperato nel nuovo corso annunciato in pompa magna dopo l’insediamento del nuovo capo del Dipartimento. Raccoglievamo speranze dai lavoratori e li abbiamo invitati a pazientare, fiduciosi nel nuovo corso, senza aspettarsi miracoli ma una graduale risoluzione di una parte dei problemi, maggiore trasparenza equità e giustizia.

Apprendiamo però che sulla testa dei lavoratori, subito dopo un estate molto critica sul piano lavorativo, il Prap dell’Emilia Romagna ha deciso di aprire un nuovo reparto detentivo da sempre chiuso, ove mandare detenuti con problemi sanitari che obbligatoriamente aggraverà la già drammatica situazione lavorativa dei poliziotti penitenziari di Piacenza, senza nessun confronto con le organizzazioni sindacali se non a giochi fatti e senza nessuna modifica della pianta organica".

"Inoltre - proseguono i sindacalisti - il provveditore del Prap di Bologna, durante l’incontro con i sindacati del 25 settembre scorso per la ripartizione delle 75 unità di polizia penitenziaria assegnate all’Emilia Romagna, ha destinato all’istituto di Piacenza soltanto 5 unità. A parere nostro l’istituto di Piacenza necessiterebbe di almeno 20 unità".

Di fronte a tale situazione, i sindacati avrebbero deciso di passare alla lotta "quale unico strumento rimasto ai lavoratori per far sentire la loro voce e ottenere ascolto e interventi risolutori immediati, strumento questo a cui auspicavamo non dover ricorrere in considerazione del particolare momento politico internazionale e interno, minato da atti e minacce di terrorismo che ci devono trovare tutti uniti nell’opera di contrasto, senza distrazioni su altri problemi. Il personale penitenziario ha dimostrato serietà ed abnegazione, affrontando quotidianamente tutti i problemi che derivano dalla gestione di persone ristrette per varie tipologie di reato anche gravi".

A tutela dunque dei lavoratori penitenziari piacentini "esasperati e demotivati" le quattro sigle dichiarano lo stato di agitazione e preannunciano una manifestazione davanti al Prap di Bologna entro la prima decade di ottobre,"e ulteriori forme di lotta come l’auto consegna in istituto, fino a quando non si avranno concreti segnali risolutivi".

Palmi: continua protesta dei detenuti della sezione Eiv

 

Il Manifesto, 28 settembre 2007

 

Quello che un tempo era il famigerato carcere speciale di Palmi, dove erano rinchiusi prima gli esponenti di punta della lotta armata, poi i boss della criminalità organizzata, oggi altro non è che un grigio e malandato buco nero della democrazia. Giovedì 20 settembre, poco prima delle quattro del pomeriggio, varchiamo le soglie del carcere di Palmi, ad accoglierci, oltre alle guardie, un rumore assordante: "sono i detenuti della sezione Elevato Indice di Vigilanza che stanno battendo i ferri" spiega il comandante in turno.

È dal 10 settembre che stanno portando avanti diverse forme di protesta pacifica, la prima settimana solo lo sciopero del carrello, adesso battono i ferri con cadenza regolare alle otto del mattino, alle quattro del pomeriggio e alle otto di sera. Hanno esposto le loro ragioni in una lettera aperta indirizzata a tutti gli organi competenti, Dap, Prap Calabria, Direzione del carcere, associazioni e Magistratura di Sorveglianza, alla nostra associazione (Yairaiha Onlus) e alla Pantagruel.

Sono stanchi, esasperati dall’inerzia in cui sono relegati per 24 ore al giorno. Niente scuola, niente corsi di formazione, nessuna attività lavorativa, nessun laboratorio culturale. Costretti a trascinarsi dalla cella al passeggio e viceversa perché la Direzione non vuole attivare nessun percorso rieducativo per loro, i detenuti non conoscono neanche il "trattamento" loro riservato. Le restrizioni applicate dalla Direzione sono assurde e non motivate, i quasi 200 detenuti vengono ricattati sistematicamente "se protesti ti trasferiamo" oppure "non puoi fare la domandina".

Ma i 37 detenuti non hanno timore a raccontare a Francesco Caruso, l’onorevole no global, assiduo frequentatore di questo come di altri carceri, Opg e Cpt del sud Italia, i particolari delle continue vessazioni cui sono sottoposti, non sono intimoriti neanche dalla numerosa presenza dei secondini che ogni tanto annuiscono e stringono le spalle in segno di assenso e impotenza. 20 chili di pacco da casa al mese, compresi libri e vestiario.

E in questi solo 1 chilo di carne o pesce, non è consentito il formaggio né la verdura. Questo solo avviene solo in questo carcere. Così come solo a Palmi è vietato l’ingresso di cd, per cui i detenuti di Palmi sono gli ultimi in Italia ad ascoltare ancora le vecchie e introvabili musicassette su nastro, roba da museo in tempo di mp3. Restrizioni assurde che neanche nelle carceri di regime vengono attuate. Il regolamento penitenziario è fermo a quello del ‘75 come se tutte le modifiche fatte nel corso degli anni o il Dpr 230/2000 non fossero mai stati emanati. Infatti, per la Direzione, gli adeguamenti previsti nel Dpr 230/2000 sono consistiti solo nella pitturazione (esterna) delle mura perimetrali del carcere e qualche altro ritocco al "trucco".

Ad esempio le docce sono prive di piastrelle ed esistono ancora le doppie grate, quelle a nido d’api per intenderci, le quali causano gravi problemi alla vista. L’ultima nota la merita la "declassificazione", essere classificato Eiv è facile, basta che il Dap decide e ti ritrovi in questi gironi danteschi dove non sei più in 41 bis ma, paradossalmente, è come se lo fossi. Per riuscire ad essere declassificato dall’Eiv devi essere "osservato" per un periodo "congruo", indeterminato, rinnovabile di sei mesi in sei mesi direttamente dal Dap in base alle relazioni dell’area trattamentale. Ma qui, i detenuti, non sanno neanche che faccia abbia l’educatore ne quale sia il loro piano trattamentale.

Uno di loro è da 9 anni in osservazione, però non ha ancora capito chi è che lo deve osservare. Stranamente, l’unico detenuto della sezione che si è astenuto dallo sciopero è stato immediatamente declassificato. L’Italia è stata più volte richiamata dalla Cedu per il vuoto normativo e per l’impossibilità di ricorrere avverso la collocazione in Eiv ad un organo giurisdizionale contravvenendo all’art. 6 della Convenzione di Ginevra sui Diritti Umani. E loro lo sanno, sanno di avere dei diritti universalmente garantiti ma non possono beneficiarne perché a Palmi si è figli di un Dio minore. Invitiamo l’Onorevole Ministro della Giustizia a mandare nella Casa Circondariale di Palmi una ispezione ministeriale, scoprirà che, oltre la targa d’ottone che recita "Ministero della Giustizia - Casa Circondariale di Palmi" e oltre la facciata ridipinta, gli uomini vengono tenuti come bestie.

Dovremmo ricordarci, tutti noi, che le persone recluse (già, perché di questo si tratta) sono uomini che pur avendo commesso un reato un giorno dovranno essere restituiti alla libertà (e alla società) e se in carcere le teniamo come bestie, e ci perdonino gli animali che hanno pure i loro diritti, avremo uomini e donne che hanno espiato la loro pena sì, ma forse saranno peggiori di quando sono entrati, sicuramente non migliori.

 

Associazione Yairaiha Onlus

Saluzzo: i carcerati realizzano il telegiornale interno

di Sara Bauducco

 

www.korazym.org, 28 settembre 2007

 

Fare informazione per rileggere le notizie con un occhio più critico e coinvolgere i compagni di cella nel comprendere l’attualità che investe il mondo "fuori": così i detenuti del carcere di Saluzzo (Cn) realizzano il telegiornale…

Ci sono luoghi comuni sul carcere da spazzare via. Ormai, in quasi tutti questi ambienti, si punta al recupero della persona attraverso proposte di formazione professionale e arricchimento culturale molto varie, che stimolano il dialogo e il confronto. Un esempio è la Casa Circondariale "La Felicina" di Saluzzo (Cuneo) dove vivono 237 detenuti che, tra le altre cose, dal gennaio 2006 si impegnano nella realizzazione di un telegiornale a circuito chiuso. Alcuni detenuti stanno anche frequentando il 2° anno del corso professionale per ebanisti-falegnami gestito dal Centro di Formazione Professionale Piemontese; dovrebbe essere inoltre attivato il corso di un anno per addetti alla cucina; vi sono poi il laboratorio teatrale, il laboratorio di mosaico, un corso per elettricisti, un corso di canto e uno di inglese per la sezione semiprotetta, un corso di giardinaggio in collaborazione con Slow Food e, se giungeranno ulteriori finanziamenti, potrebbe partire anche quello di informatica. "Sono progetti diversi che tendono a rendere migliore il tempo da trascorrere in carcere con l’impegno quotidiano in un’attività che talvolta insegna un vero e proprio mestiere da spendere all’esterno" spiegano gli educatori.

Per ogni iniziativa vi è una genesi differente: "Ad esempio, il laboratorio di mosaico nasce dall’iniziativa di un detenuto che aveva imparato l’arte musiva all’interno del carcere di Roma e una volta trasferito a Saluzzo ha chiesto al direttore di poterlo attivare: si è cominciato con 4 partecipanti e il detenuto come insegnante. I mosaici creati sono esposti nelle rotonde di Saluzzo, alle mostre cittadine e alla mostra di Alto Artigianato Artistico di Saluzzo - raccontano gli educatori - Il laboratorio teatrale nasce invece dalla proposta dell’insegnante Isoardi che è entrata in carcere come volontaria e che, conosciuta questa realtà, ha chiesto di dar vita ad un corso annuale per preparare uno spettacolo teatrale interno ma aperto al pubblico".

Per i detenuti, lavorare alla programmazione del telegiornale comporta un impegno volto anche all’informazione dei compagni e non solo al raggiungimento di obiettivi per la propria persona. Scegliere le notizie e rileggerle implica una maggior conoscenza critica della realtà esterna, spesso letta da pochi e nella maggior parte dei casi passivamente attraverso i giornali provenienti dall’esterno della struttura. A ciò si aggiungono il coinvolgimento della componente straniera che trasmette le notizie nella lingua madre e lo sviluppo di abilità e capacità professionali diverse da quelle sperimentate fuori il carcere e da quelle di solito acquisite.

 

Quando è nata, e come, l’idea di dar vita ad un telegiornale?

"L’idea del telegiornale nasce nella primavera del 2005, quando abbiamo pensato alla possibilità di sfruttare il canale interno in modo costruttivo. Abbiamo pensato a qualcosa che potesse coinvolgere tutti i nostri compagni, con la divulgazione di notizie di ambito giuridico-carcerario e non solo: abbiamo scelto quindi di parlare di cronaca, curiosità, sport, salute, scienza... con l’aggiunta di notiziari in lingua araba e albanese, per poter coinvolgere in questa iniziativa anche le principali etnie straniere presenti in carcere".

 

Che titolo avete scelto e quanto dura?

"Il telegiornale si intitola "Rassegna in" e dura mediamente tra i 25 e 30 minuti: non ci siamo mai imposti una durata fissa: attualmente l’unica parte fissa è la lettura della cronaca quotidiana".

 

Come avviene la programmazione e la realizzazione?

"La programmazione settimanale è stata prefissata da noi: il lunedì c’è l’approfondimento giuridico; martedì e giovedì le notizie in lingua straniera e mercoledì e venerdì la rubrica di curiosità in generale (scienza, ambiente, salute…). Il sabato non va in onda perché la giornata è dedicata ai colloqui con i familiari, mentre la domenica ed i festivi la redazione resta chiusa per motivi di servizio del personale di polizia penitenziaria. Questa impostazione settimanale deriva anche dal fatto che il Cd con i quotidiani stranieri on-line e le notizie che vengono scaricate dal sito www.ristretti.it ci vengono consegnati il lunedì mattina".

 

Quante persone partecipano al progetto? Come siete organizzati?

"Attualmente la redazione è composta da 10 elementi. Due detenuti albanesi e un marocchino si occupano della preparazione e della lettura delle notizie straniere; quattro sono i lettori delle altre notizie e rubriche. Tre dedicano il tempo che hanno a disposizione alla ricerca di materiale. Al momento sono due coloro che si occupano delle riprese e del montaggio. Specifichiamo che non c’è mai stata forma di censura o "indicazioni" da parte della direzione. Viene dato risalto alle notizie del giorno, con un approfondimento di quella che ci sembra la notizia più interessante. Per le rubriche, invece, puntiamo su tutte le notizie, ricerche o approfondimenti che normalmente non trovano spazio nei telegiornali ma solo in spazi specifici".

 

Vi è stato un periodo di formazione professionale prima di iniziare il lavoro?

"Inizialmente un assistente di polizia penitenziaria con l’hobby delle video riprese ci ha insegnato i primi rudimenti, come usare la telecamera e utilizzare il computer per fare i montaggi. Da lì siamo andati avanti provando anche diverse soluzioni e, spesso, guardando i telegiornali di Rai e Mediaset per cercare di migliorare il nostro prodotto".

 

Come viene finanziato il telegiornale?

"Abbiamo inizialmente chiesto un finanziamento al Comune di Saluzzo che ci ha dato 1.500 euro, con i quali abbiamo comprato una telecamera amatoriale, dvd e la necessaria scheda per collegare telecamera e computer. Dopo un anno, grazie ad un finanziamento di 12.000 euro della Fondazione San Paolo di Torino, abbiamo potuto acquistare una telecamera professionale, un computer molto più potente, altro materiale necessario (cancelleria e dvd) e abbonamenti a varie riviste dalle quali traiamo i nostri servizi".

 

Quando e come avviene la trasmissione?

"Il telegiornale viene trasmesso sul circuito interno dalle 15,30 in poi e in replica dalle 19. Ogni giorno consegniamo il dvd con il nostro lavoro ad un agente che lo fa pervenire al centralino del carcere che ha il controllo del circuito televisivo e dei sistemi di video-sorveglianza dell’intero istituto. Da lì, quindi, viene trasmesso sul canale interno, negli orari prefissati, con la possibilità di vederlo su ogni televisore".

 

Il vostro telegiornale è l’unico in Italia? Vi sono altri progetti di informazione, giornali cartacei o radiofonici?

"Il nostro tg non è l’unico: la prima esperienza di questo genere si è avuta nel carcere di Padova, grazie a finanziamenti della regione Veneto e in collaborazione con un’emittente privata locale. Noi siamo stati i primi però a coinvolgere la componente straniera e a trasmettere all’interno dell’istituto. Da Padova, infatti, il telegiornale veniva periodicamente trasmetto all’esterno e solo in lingua italiana. Questo ci manca e potrebbe essere un’implementazione del nostro lavoro".

Caserta: band "Ladri di carrozzelle" al carcere militare

 

Caserta 24 Ore, 28 settembre 2007

 

Nell’ambito del progetto "Liber’Abili", programma con il fine di "promuovere una maggiore conoscenza sulle modalità della pena negli istituti circondariali", è stato organizzato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, diretto dal Tenente Colonnello Antonio Del Monaco, uno spettacolo musicale, al quale ha preso parte il complesso musicale de "I ladri di carrozzelle".

Il gruppo, composto da giovani diversamente abili, prende il via idealmente nell’estate 1989 quando un gruppo di ragazzi conosciutisi tra loro in un soggiorno per portatori di handicap, dopo aver scoperto la comune passione per la musica, decidono di incontrarsi con uno degli assistenti che strimpella la chitarra, per iniziare insieme a vivere la musica in maniera più profonda. Nasce in seguito l’idea del gruppo musicale e prendono vita i "Ladri di Carrozzelle", la cui formazione si completerà pian piano con l’inserimento di altri amici, sia portatori di handicap che normodotati.

La formazione presenta delle novità considerevoli per un gruppo rock: essendo la distrofia una malattia che debilita progressivamente i muscoli degli arti, un solo ragazzo non può suonare la batteria; questa viene quindi divisa tra cinque componenti del gruppo che suonano separatamente, con sincronismo più o meno perfetto, cinque diversi pezzi dello strumento. Anche il basso che, come la batteria, non può essere fisicamente suonato da un distrofico, viene sostituito da una tastiera. Grazie alla loro musica i Ladri di Carrozzelle possono parlare di handicap in maniera nuova provando ad abbattere le vere barriere: i pregiudizi della gente che, più o meno inconsapevolmente, riesce spesso a rendere quasi impossibile la vita delle persone disabili.

L’iniziativa è stata resa possibile dalla partecipazione dell’"Associazione diversamente abili" di Atripalda (Av), in collaborazione con l’ASL Ce1. L’iniziativa, realizzata in favore dei detenuti, rientra A fare gli onori di casa il comandante del carcere militare, tenente colonnello Antonio Del Monaco. L’ufficiale dirigente dell’istituto di pena militare ha già promosso altre iniziative di carattere rieducative, con l’obiettivo di "attuare piani e programmi più approfonditi per la conoscenza delle risorse che il territorio offre per un reale recupero e integrazione dei detenuti nella società alla fine della pena.

L’obiettivo principale" - ha aggiunto Del Monaco - "è di contribuire a promuovere e sostenere la cultura della legalità". All’interno del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere è stata anche inaugurata da pochi giorni una sezione scolastica alberghiera, grazie all’Istituto Alberghiero di Teano.

Ancona: "Avvocato di Strada" apre uno Sportello a Jesi

 

Comunicato stampa, 28 settembre 2007

 

L’esperienza di Avvocato di strada cresce ancora. L’Associazione, che fornisce tutela legale alle persone senza dimora, sabato 29 settembre 2007 inaugura a Jesi un nuovo sportello al fine di rendere sempre più capillare il servizio reso sul territorio nazionale. Lo sportello sarà istituito grazie al fondamentale contributo del Centro di Accoglienza "Casa delle Genti" gestito dalla Ong Gus "Gruppo Umana Solidarietà" onlus che da anni si occupa di emergenza umanitaria ed emarginazione sociale.

Il Centro di Accoglienza "Casa delle Genti", gestito dalla Ong Gus "Gruppo Umana Solidarietà" onlus, a un anno e mezzo dalla sua apertura, ha ritenuto opportuno e necessario inserire nell’ambito delle proprie attività anche un servizio di assistenza legale a favore dei propri ospiti. A tal fine sono stati contattati alcuni avvocati del Foro di Jesi per avviare anche in questa città il progetto "Avvocato di strada", il cui scopo principale è fornire alle persone senza fissa dimora una tutela giuridica qualificata ed organizzata sotto forma di volontariato ed in modo del tutto gratuito.

Il progetto "Avvocato di Strada" è stato già avviato ed è operativo in diverse città italiane come Bologna, Ancona, Bari, Bolzano, Ferrara, Foggia, Lecce, Modena, Napoli, Padova, Pescara, Reggio Emilia, Rovigo, Taranto, Trieste, con la creazione, nell’ambito di diverse strutture associative no profit, di uno "sportello" che coordina e gestisce l’attività di informazione e di assistenza legale ai soggetti senza fissa dimora. Anche lo Sportello di Jesi, che avrà come referente l’Avv. Lucia Paolinelli, si avvarrà della collaborazione di alcuni avvocati che hanno già segnalato la loro disponibilità e di quanti altri eventualmente vorranno farlo, oltre che della collaborazione di qualsiasi altro soggetto che vorrà condividere lo spirito e le finalità dell’iniziativa.

Droghe: Torino; presentato il progetto per le narco-sale

 

Adnkronos, 28 settembre 2007

 

"Il documento (scritto in politichese e firmato da venti consiglieri comunali) è lungo quattro cartelle. Ma la notizia, che nella lotta all’uso di stupefacenti sistema Torino sullo stesso piano di Amsterdam, Sydney, Vancouver e Barcellona, arriva alla fine della mozione: "In accordo con la Regione Piemonte e le Asl, s’impegna il sindaco a promuovere la sperimentazione di "Sale del Consumo", rivolte a chi fa uso di sostanze illegali, con l’obiettivo di intercettare i fruitori di sostanze riducendo il consumo in luoghi pubblici". Lo riferisce "La Stampa" che parla di un accordo nella maggioranza torinese per dare il via libera in città, prima metropoli italiana, alle narco-sale.

Traduzione: Torino, prima città d’Italia, chiede al suo sindaco Chiamparino, che tra l’altro fu il primo ad auspicare l’arrivo delle narco-sale, già nell’inverno scorso, continua il quotidiano, di realizzare le "stanze del buco", anche se il termine non piace quasi a nessuno all’interno della maggioranza di centrosinistra. "È una definizione dura, che racchiude in sé un senso di squallore e abbandono - sostiene il primo firmatario della mozione, Marco Grimaldi, di Sinistra Democratica - e poi stravolge il vero obiettivo del nostro progetto: non solo togliere i drogati dalla strada fornendo loro assistenza medica e psicologica, ma cercare di coinvolgerli in un percorso di recupero".

E se la Sinistra democratica chiarisce al giornale che si tratterà di una struttura completa, che ha l’obiettivo di "redimere" il tossicodipendente, il capogruppo dell’Ulivo Andrea Giorgis sottolinea (forse per venire incontro anche alle richieste dell’ala cattolica della Margherita) che questo recupero rappresenterà una conditio sine qua non. "O il tossicodipendente accetterà di cominciare, assieme agli operatori e ai medici, un cammino condiviso, di disintossicazione, - afferma - oppure non potrà nemmeno chiedere di farsi la dose".

Droghe: Livia Turco; via libera alle narco-sale di Torino

di Vera Schiavazzi

 

Corriere della Sera, 28 settembre 2007

 

Aprire a Torino le "narcosale", cioè luoghi dove i tossicodipendenti cronici possano bucarsi in tranquillità e in sicurezza, sotto controllo medico, cominciando - semmai - un percorso di recupero. Una mozione in questo senso è stata presentata ieri da venti consiglieri comunali della maggioranza di centrosinistra che sostiene la giunta di Sergio Chiamparino.

Se ne riparlerà tra quindici giorni, ma intanto è polemica sulle posizioni dello stesso sindaco, che ha confermato il suo parere favorevole "a condizione che si tratti di un progetto sperimentale rivolto ai tossicodipendenti cronici, inserito in un contesto di assistenza sanitaria, psicologica e sociale". Uno degli ostacoli principali al progetto tracciato da una parte della maggioranza è quello giuridico: l’eroina è una sostanza illegale in Italia, e i medici non possono somministrarla, neanche per ridurre i danni che un tossicodipendente cronico potrebbe subire.

La "stanza del buco", dunque, almeno in un primo tempo, potrebbe funzionare solo a condizione che chi la adopera si serva di sostanze che ha acquistato privatamente prima di entrarci, dato che consumarle non è un reato. E anche questa strada non è priva di ambiguità: "La legge attuale - spiega Augusto Consoli, il medico che coordina i servizi cittadini che, sulla strada, assistono i tossicodipendenti - punisce chi gestisce un locale usato per drogarsi. Inoltre, non si può obbligare nessuno a iniziare una terapia di disintossicazione: solo chi lo desidera può farlo. Su questo argomento non dovrebbero esistere destra e sinistra, ma un ampio mandato a chi deve occuparsene". "L’iniziativa della narcosale ha il mio plauso - ha detto il ministro della Salute Livia Turco (Ds) -. Si tratta di una proposta di sanità pubblica già praticata con successo in altri paesi europei, anche quelli più proibizionisti. L’obiettivo è non lasciare solo chi si droga".

D’accordo anche il ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero (Rifondazione): "Finalmente si tiene conto delle evidenze scientifiche e dei risultati concreti". Favorevole anche il Gruppo Abele, l’associazione torinese fondata da don Luigi Ciotti: "Avvicinare chi non chiede aiuto riduce la mortalità per droga e rende le città più sicure". Dello stesso parere l’europarlamen-tare Vittorio Agnolotto: "Finalmente un’idea non basata sull’ideologia".

Contrario invece, dalla storica comunità di San Patrignano, Andrea Muccioli: "Quella individuata a Torino è soltanto la strada per convivere alla meno peggio con la disperazione". E dal centrodestra non si sono fatte attendere le critiche: "Altro che sindaco-sceriffo, Chiamparino è un sindaco-spacciato-re", ha detto Maurizio Gasparri (An). E Carlo Giovanardi, deputato dell’Udc e autore, insieme a Gianfranco Fini, della legge ancora oggi in vigore sulle tossicodipendenze, parla di "desolante superficialità con la quale il ministro Turco lancia messaggi devastanti, cinici e immorali su un tema delicato come quello della droga". Fermamente contrarie anche Forza Italia e Lega Nord.

Per Gabriella Carlucci, deputato di Fi, "l’iniziativa delle stanze del buco appare come un paradiso artificiale del vizio, che aiuterebbe i drogati a procacciarsi stupefacenti". E Stefano Allasia, segretario della Lega a Torino, aggiunge: "Le narco-sale rappresentano un suicidio lento e assistito".

Droghe: Cancrini; narco-sale inutili, emergenza è cocaina

 

Corriere della Sera, 28 settembre 2007

 

"Il solo pensiero mi mette angoscia. A parte questo, la loro utilità non è dimostrata sul piano scientifico. E in un momento in cui il consumo di eroina cala mentre aumenta in modo esponenziale la cocaina sarebbero un progetto retro", boccia le narco-sale Luigi Cancrini, deputato dei Comunisti Italiani, psichiatra con 40 anni di carriera alle spalle, oggi responsabile scientifico delle comunità terapeutiche Saman, fondate da Rostagno.

 

Allora, il suo è un no definitivo?

"Non sono mai stati dimostrati i vantaggi delle stanze del buco. L’unica esperienza positiva è quella svizzera ma non dimentichiamo che accanto alla somministrazione controllata di eroina si assicuravano sostegno sociale e psicologico molto forti. La Gran Bretagna ha abbandonato il progetto dopo 25 anni di prove. Infine l’Olanda che dopo aver chiesto un approfondimento sulla validità della pratica, non le ha dato seguito".

 

Il ministro Livia Turco al contrario giudica positiva l’iniziativa del comune di Torino. Ritiene si tratti di un intervento di Sanità. Condivide?

"No, perché appunto non esistono le prove che funzioni. Si aggiungono due problemi. La narco-sala dovrebbe essere un luogo dove oltre a offrire eroina vengono garantiti un servizio infermieristico ad alto livello e un supporto psicologico altrettanto importante. Secondo punto, il Comune non ha titolo ad aprire questi centri perché l’assistenza ai tossicodipendenti è prerogativa del sistema sanitario. Come si raccorderebbero ad esempio con i Sert?".

 

Quindi?

"Quindi non mi pare una grande idea. Le narcosale sono un sogno. Ma il peggio è che rappresentano una resa totale. Come consegnare la siringa al drogato e dirgli "basta che la pianti". All’eroinomane l’eroina non basta mai".

 

Lei è stato il responsabile dell’Osservatorio nazionale sulle droghe quando la Turco era ministro della Solidarietà Sociale. Le venne chiesto un parere sull’argomento, che cosa concluse?

"Espressi un parere negativo e sono sempre dello stesso avviso. In Italia l’esperienza sarebbe più che mai dannosa. Fra Sert sotto-organico e problemi organizzativi non si farebbe che aggiungere confusione".

Droghe: su narco-sale esposto di Giovanardi e Gasparri

 

Ansa, 28 settembre 2007

 

Dopo le critiche, l’azione giudiziaria: i parlamentari Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi, coordinatori dell’Intergruppo parlamentare Libertà dalla droga, hanno presentato un esposto alla Procura di Torino in riferimento all’intenzione dell’amministrazione comunale del capoluogo piemontese di avviare la sperimentazione delle cosiddette narco-sale.

"La stampa nazionale scrivono Gasparri e Giovanardi - ha dato in questi giorni ampio risalto alla proposta dell’amministrazione comunale di Torino di aprire delle cosiddette narco-sale, nelle quali si vorrebbero somministrare sostanze stupefacenti. Il ministro della Salute, Livia Turco, ha benedetto questa ipotesi di sperimentazione, aspramente contestata da vasti settori del Consiglio comunale di Torino e del Parlamento".

"Vogliamo ricordare alla Procura, e allo stesso Ministro - continuano - che in Italia è in vigore la Costituzione Repubblicana, che attribuisce al Parlamento il potere legislativo, al Governo quello esecutivo e alla magistratura la funzione di controllo. Nessuna sperimentazione contra legem può essere pertanto consentita e la magistratura ha il dovere di intervenire nel caso che questo accada".

Secondo i due esponenti della Cdl, "se l’attuale governo intende liberalizzare l’uso della droga, o autorizzare la somministrazione di sostanze stupefacenti in qualsiasi modalità, presenti un disegno di legge in Parlamento e prima di iniziare qualsiasi sperimentazione modifichi la normativa vigente, alla quale anche l’amministrazione comunale di Torino ha il dovere di attenersi".

Droghe: sull'eroina di Stato abbiamo l’esempio di Ginevra

 

La Stampa, 28 settembre 2007

 

Due tavoli con quattro sedie ciascuno. Sulla mensola c’è una fila di bicchieri colorati, contenenti il laccio emostatico e contrassegnati da un’etichetta con il nome del consumatore: Alfonso, Gaetano, Ingrid... L’età media dei pazienti è di 38 anni. La bombola di ossigeno è addossata alla parete. Nessuna telecamera, solo un vetro divisorio che permette al personale di intervenire in caso di overdose. Tutto pulito, efficiente, in ordine. Pronto all’uso. Come pulite e ordinate sono le strade della città.

Benvenuti all’ospedale universitario di Ginevra, il più grande della Svizzera. Il dottor Daniele Zunino, capo della Divisione che tratta le dipendenze in senso lato - dalle droghe all’alcol, dal gioco d’azzardo a Internet - sorride quando gli chiedi delle "stanze del buco". Premette che la nuova emergenza è la cocaina, molto più insidiosa dell’eroina, e che anche in Svizzera l’età del consumo si sta abbassando. Poi viene al punto: "I pilastri della politica svizzera in materia di droga sono quattro: terapia, prevenzione, riduzione del danno, repressione".

Quattro parole d’ordine, una filosofia: chi vuole disintossicarsi deve poterlo fare, gli altri devono comunque poter contare su strutture che in futuro consentano loro di provarci. Comprese le "sale di iniezione".

Anche in questo caso la distinzione è d’obbligo. La sala di somministrazione controllata interna all’ospedale funziona a precise condizioni: 18 anni compiuti, residenza a Ginevra da più di un anno, problemi di salute fisica, psichica o sociale, consumo di droghe da oltre due anni, almeno due trattamenti di recupero falliti. "Il fatto che il drogato accetti i criteri di ammissione, volutamente severi, è già una svolta", spiega Zunino. L’eroina, "di qualità purissima", è prodotta da un’azienda tedesca. Il trattamento, a scalare, prevede un massimo di 3 iniezioni al giorno. La dose complessiva è compresa tra i 200 e i 600 grammi.

L’alternativa è la sala di iniezione esterna, gestita da un’associazione privata, dove i consumatori si bucano con quello che trovano. In questo caso l’obiettivo è garantire le condizioni di igiene minima e intervenire in caso di overdose. Soprattutto, favorire un primo contatto con il tossico ed inserirlo in una rete: chi approda alla sala di somministrazione esterna viene invitato a rivolgersi a quella di somministrazione controllata.

Il doppio sistema non esclude ricadute e fallimenti. Con tutto, chi sgarra non viene buttato fuori. E poi non sempre l’astinenza è l’unico traguardo: qualche volta l’obiettivo si limita a migliorare le relazioni sociali e quelle professionali dei pazienti, dal reietto all’impiegato che approfitta della pausa pranzo per sottoporsi alla terapia, aumentandone la consapevolezza. Una cosa è certa, conclude Zunino: "Ormai a Ginevra è praticamente impossibile vedere gente che si buca per strada".

Mondo: pena di morte; nel 2007 quasi 300 le esecuzioni

 

Ansa, 28 settembre 2007

 

Almeno 1.591 vite sono state spezzate dalla pena capitale, in 25 Paesi, nel solo 2006. E duecentonovantaquattro da gennaio ad oggi. Senza considerare le condanne a morte eseguite in Cina, dove le statistiche sono considerate ancora segreto di Stato. I dati reali potrebbero essere molto più alti, ma se confrontati con quelli dell’anno precedente - 2148 prigionieri uccisi in ventidue Paesi e almeno 5186 imputati condannati in altri cinquantatre Stati - sembrano segnare una positiva inversione di tendenza.

Il 91 per cento delle pene eseguite nel mondo si concentra in pochi Paesi: Cina, Iran, Iraq, Sudan, Pakistan e Usa. In Cina, Amnesty stima tra le otto e le diecimila esecuzioni all’anno. Almeno 1010 nel 2006. Ma si tratta di cifre dedotte dalle informazioni di ufficiali locali e giudici e che lasciano ampi coni d’ombra sui numeri reali.

Secondo Amnesty, fonti attendibili suggeriscono che nel Paese siano state messe a morte, lo scorso anno, tra le 7500 e le ottomila persone. Una certa evoluzione del diritto ha ridotto le modalità di esecuzione - un tempo si applicavano pratiche tipo l’asportazione della pelle o lo squartamento dove il corpo veniva legato a quattro cavalli fatti partire improvvisamente in diverse direzioni - ma restano ancora tanti i reati punibili con la morte. Il codice penale del 1997 ne elenca circa sessantotto.

A parte la Cina, i cui dati non sono quantificabili, il primato delle condanne a morte dello scorso anno è detenuto dall’Iran, il cui sistema giuridico si basa sui principi religiosi. Alle 177 morti riportate nelle cifre ufficiali del 2006 - di cui quattro nel solo giorno di Natale - se ne aggiungono almeno 114 nel 2007, di cui tre minorenni. Solo per il reato di droga, si contano, dal 1991 al 2001 cinquemila esecuzioni e più di novantamila arresti.

Segue il Pakistan, con 82 pene eseguite nel 2005, 82 nel 2006 e quattro quest’anno. Nel 1947 solo due reati venivano puniti con la morte: l’omicidio e il tradimento. Ma durante il regime del generale Ziaul Haq le fattispecie sono aumentate e così ora sono ben 27 i crimini passibili di condanna capitale. A questi si è venuta ad aggiungere, nel 1985 la legge contro la blasfemia, che ha aperto la via del carcere a non pochi cristiani e musulmani. Il presidente Musharraf, il 13 dicembre 2001 ha convertito in prigionia la pena di morte per i minorenni e nel novembre 2006 ha sottratto alle esecuzioni il reato di adulterio. A gennaio 2007 la Commissione dei diritti dell’uomo del Pakistan ha pubblicato un rapporto che testimonia più di 7400 condannati a morte e 1029 esecuzioni tra il ‘75 e il 2002.

In Iraq, la condanna capitale è stata reintrodotta nell’agosto del 2004 per reati contro la sicurezza nazionale, l’omicidio premeditato, il traffico di droga e, in alcune circostanze, per il rapimento. Nel corso del 2006 sono state impiccate almeno 65 persone, uomini e donne, compreso l’ex rais Saddam Hussein. E altre trenta esecuzioni sono state compiute nel 2007. Tra questi, il 15 gennaio, il fratellastro di Saddam, Barzan Ibrahin al-Tikriti e l’ex presidente del Tribunale rivoluzionario, Awad Hamad al - Bandar.

Il 12 febbraio il Tribunale penale supremo iracheno ha condannato a morte anche l’ex vicepresidente Taha Yassin Ramadhan, rivedendo la sentenza di ergastolo comminata il 5 novembre 2006 nel processo contro Saddam. E, secondo notizie prevenute ad Amnesty, sembra imminente l’esecuzione di quattro donne detenute nella prigione al-Kadhimiya di Bagdad. Due di loro hanno con sé i figli: Zeynab Fadhil una bambina di tre anni e Liqà Qamar una di appena un anno, nata in carcere.

Negli Stati Uniti cinquantatre persone nel braccio della morte sono state uccise in dodici Stati nel 2006 - il numero più basso degli ultimi dieci anni - ed altre trenta quest’anno. Cifre che hanno fatto salire a 1057 il numero totale delle esecuzioni dal 1977, anno in cui è stata ripresa l’applicazione della pena di morte.

Un terzo dei 38 Stati che la applicano ha sospeso o sta ritardando le esecuzioni, ma in Texas, Tennessee, Virginia, Missouri, Georgia e Utah è in corso una discussione per estendere la pena anche ad altri reati. In particolare, in Georgia si propone di non chiedere più l’unanimità dei giurati, ma solo nove voti su dodici mentre lo Utah ha votato una legge che prevede la morte per chi uccide un minore di 14 anni.

Il 31 gennaio New York ha deciso una nuova condanna, la prima negli ultimi cinquant’anni, accompagnata da tre esecuzioni in Texas e una in Oklaoma. Buone notizie arrivano invece dal New Jersey: il primo dei 38 Stati mantenitori ad introdurre per legge una moratoria sulle esecuzioni ha istituito una commissione di studio per esaminare diversi aspetti della pena, dalla correttezza delle procedure ai costi. L’ultima esecuzione risale al 1963, ma 3350 sono i prigionieri ancora nel braccio della morte.

Segue l’Arabia Saudita: i dati ufficiali riportano 38 esecuzioni pubbliche nel 2006, almeno 104 nel 2007 e 126 minorenni nel braccio della morte. Le condanne vengono realizzate per decapitazione, nei luoghi più frequentati, dopo la preghiera del venerdì. Con le esecuzioni di quattro cittadini dello Sri Lanka, il 19 febbraio scorso, sale a diciassette il drammatico conteggio del 2007.

In soli due mesi, il Paese di re Abdullah ha eseguito la metà del numero delle esecuzioni dello scorso anno. Amnesty segnala processi a porte chiuse e senza avvocati, imputati che non conoscono le accuse, confessioni estorte con la tortura e assistenza consolare limitata per gli stranieri. Ma forse qualche spiraglio si sta aprendo: il 13 gennaio il presidente della Commissione saudita per i diritti umani ha annunciato la commutazione della condanna a morte di Hadi Sàeed al-Muteef, prigioniero di coscienza i carcere dal 1994 per commenti contrari alla sharìa.

Il Giappone, dopo una moratoria informale dall’89 al ‘93, nel Natale scorso ha eseguito le condanne nei confronti di Hidaka Hiroaki, 44 anni, Fukuoka Michio, 64 anni, Fujinami Yoshio, 75 anni e Akiyama Yoshimitsu, 77 anni. Almeno cento sono i prigionieri che attendono nelle carceri il giorno della propria esecuzione.

Scrive Amnesty nel rapporto di gennaio 2007: "Mentre la Corea del Sud e Taiwan considerano seriamente la possibilità di bandire la pena di morte dalle rispettive legislazioni, il Giappone continua con le impiccagioni, in netta controtendenza rispetto ad altri Stati della stessa regione come Cambogia, Nepal, Timor Est e le Filippine". Con la morte del trentottenne Yasutoshi Matsuda, il 6 febbraio di quest’anno, è arrivato a novantanove il numero dei detenuti nel braccio della morte. Tre le esecuzioni nel 2007.

In Vietnam, dove la pena capitale si applica per 29 reati, il 2006 si è chiuso con un bilancio di tredici esecuzioni e il 2007 si è aperto con diciassette condannate a morte. In Kuwait, lo scorso anno si sono registrate nove esecuzioni ufficiali. Quattro in Giordania, sei in Bangladesh, almeno due in Egitto e nello Yemen, due a Singapore, uno in Indonesia. Nel Bahrain, che nel 2003 ha votato contro la risoluzione dell’Onu sulla pena di morte, tre persone sono state uccise lo scorso anno ed una nel gennaio 2007. Anche l’Indonesia, ha aperto l’anno con una condanna, Mentre a Cuba, dove l’ultima esecuzione risale al 2003, sono circa quaranta i detenuti in attesa dell’esecuzione.

 

 

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