Rassegna stampa 7 ottobre

 

Giustizia: Mastella; no al gratuito patrocinio per i trafficanti

 

Ansa, 7 ottobre 2007

 

"Non è tollerabile che chi notoriamente accumula grandi ricchezze con traffici illegali, possa poi ricorrere ad espedienti vari per essere difeso a spese dello Stato". Il ministro della giustizia Clemente Mastella, a New York per le celebrazioni del Columbus Day, anticipa ai giornalisti l’intenzione di escludere dal gratuito patrocinio tutti i processi riguardanti i reati di criminalità organizzata e il traffico di droga.

Si tratta di una proposta destinata a far parte del Pacchetto Sicurezza che il governo si appresta a presentare e che i tecnici del Ministero stanno mettendo a punto d’intesa con gli Interni e gli altri Dicasteri competenti.

Un’iniziativa, quella del Guardasigilli, che si aggiunge ad alcune proposte che via Arenula ha già definito: la riforma del sistema di misure cautelari per i reati di grave allarme sociale, la riforma della cosiddetta "Legge Simeone" per garantire la certezza della pena, il rafforzamento delle misure patrimoniali antimafia.

Il Ministro, inoltre, ha poi confermato di voler proporre nel pacchetto sicurezza nuove norme in materia di lotta alla contraffazione; contraffazione sempre più spesso collegata alla criminalità organizzata e che tanto danno arreca alle piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale della nostra economia. In proposito, Mastella ha ricordato ai giornalisti come, già in sede di Legge Finanziaria, sia stata prevista la realizzazione del nuovo casellario giudiziario, integrato con i dati dei carichi pendenti e delle misure cautelari.

Infine Clemente Mastella si recherà presto in Romania per risolvere la questione dei detenuti, rumeni in Italia che sono circa 2.100. Sottolineando che "in Italia cresce una sorta di insofferenza nei confronti dei rumeni e dei rom", il ministro della Giustizia, ha detto che il problema nelle nostre carceri non è facile da risolvere: "non sappiamo dove metterli un po’ dovunque". "Il 41% dei carcerati in Italia sono stranieri", ha aggiunto.

Giustizia: Atzeri (Psdaz) contro riforma sanità penitenziaria

 

Agi, 7 ottobre 2007

 

Il trasferimento della sanità penitenziaria al Sistema sanitario nazionale potrebbe provocare pesanti ripercussioni negative sui detenuti, che finora hanno beneficiato di un servizio ad hoc. Lo rileva il consigliere regionale del Partito Sardo D’Azione Giuseppe Atzeri in un’interpellanza al urgente all’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, alla quale chiede, nell’ambito delle competenze regionali in materia, di predisporre un più efficiente servizio di medicina penitenziaria.

"Gli attuali orientamenti di politica sanitaria stanno rapidamente portando allo smantellamento di un sistema che finora, pur con tutte le difficoltà, ha risposto alle particolari esigenze della popolazione carceraria", argomenta Atzeri. "L’affidamento della salute dei detenuti unicamente alle Asl sarà caratterizzato e gravemente compromesso dalla già intollerabile disorganizzazione del Ssn che produce prevedibili lunghe liste d’attesa e incertezza sulla disponibilità delle risorse. I normali cittadini hanno quanto meno l’opportunità di rivolgersi ad altre strutture, mentre i detenuti, non potendo contare sulla libertà di scelta, soffriranno di incertezze sulla garanzia e la tutela del diritto costituzionale alla salute. La situazione si ripercuoterà, con gravi effetti, sullo stato dell’organizzazione e della sicurezza interna degli istituti di pena".

Giustizia: Livorno; toglieremo ai genitori i bimbi mendicanti

di Marco Gasperetti

 

Corriere della Sera, 7 ottobre 2007

 

Non firmerà nessuna ordinanza. "Bastano le leggi in vigore". Ma è deciso ad essere inflessibile e far rispettare le norme perché la tolleranza zero, davanti a bambini che soffrono, è un dovere. E i bambini che soffrono per il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, 51 anni, sinistra Ds, medico oncologo, sono i piccoli rom. Quelli che ogni giorno, sfruttati, chiedono l’elemosina nelle piazze, ai semafori, sotto i porticati, davanti ai grandi magazzini e ai supermercati. O che muoiono, abbandonati dai genitori, nell’incendio di una baracca sotto un ponte. Entro la fine del mese Cosimi non vuole più vedere piccoli mendicanti nella sua città, ma ragazzini rom che vanno a scuola, ospitati, sfamati e puliti. Anche in case famiglia, tolti ai genitori, come il codice prevede in alcuni casi.

Il sindaco ha deciso di organizzare una task force di assistenti sociali, pedagogisti, educatori pronta a monitorare il fenomeno. E a intervenire. Ci sarà una prima fase "soft" durante la quale gli operatori avvertiranno i genitori dei bambini-mendicanti che non sarà più consentito loro di mandare i bambini per strada. Poi, se ci sarà reiterazione, scatterà la denuncia al tribunale dei minori e l’affidamento dei piccoli a una rete di case famiglia.

"Che stiamo predisponendo - spiega Cosimi - nell’assoluto rispetto delle libertà individuali e nella tutela psicologica e pedagogica dei bambini. Saranno tolti dalle strade e accolti dalle strutture comunali. Poi sarà il tribunale dei minori a decidere se le famiglie hanno i requisiti per farsi carico della loro educazione, oppure se andranno in affidamento. Certamente, nella mia città non accadrà più che un solo bambino sia utilizzato in modo indegno".

La decisione del Comune, arriva due mesi dopo l’incendio delle baracche di Stagno e la morte di quattro bambini nomadi. La città, dopo la tragedia, si è divisa. Solidarietà per i bambini, ma anche intolleranza verso quei nomadi accusati di non rispettare le regole, di rubare e di sfruttare i minori. Sull’argomento il sindaco ha aperto un blog. E via Internet i livornesi si sono scatenati con una raffica di interventi. Spesso stereotipi, luoghi comuni e false credenze sul popolo rom. Ma pure contributi per far cessare lo sfruttamento dei bambini: "Fate qualcosa, è ignobile vedere creature sfruttate in questo modo". E il sindaco si è mosso. Incassando, per ora, giudizi favorevoli da intellettuali, politici e dalla Chiesa.

"È stato coraggioso. Non è un attacco ai rom lavavetri, magari per strappare qualche consenso in più, ma un’azione a favore dei piccoli nomadi", commenta Marco Santagata, ordinario all’Università di Pisa. Santagata ha vinto un premio Campiello con il romanzo, "Il Maestro dei Santi pallidi", nel quale il protagonista è un bambino comprato dagli zingari. "Per troppo tempo abbiamo girato la testa davanti all’ignobile sfruttamento di questi bambini - dice -. È arrivato il momento di dire basta. Ha iniziato Livorno, speriamo che le altre città seguano l’esempio".

Pienamente d’accordo con l’iniziativa di Cosimi anche monsignor Paolo Razzauti, reggente della Diocesi di Livorno in attesa della nomina del nuovo vescovo. "L’integrazione è un problema che ci riguarda tutti - spiega - bisogna interrogarsi e aprire le porte a rom ed extracomunitari. Ma integrazione vuol dire anche e soprattutto regole e rispetto per i bambini innanzitutto. Ci sono problemi da risolvere e i politici sono stati eletti dalla gente per risolverli. Il sindaco mi sembra che sia sulla strada giusta".

Giustizia: processare degli imputati morti? succede spesso…

di Giulio De Santis

 

Il Messaggero, 7 ottobre 2007

 

La storia processuale di Walter Staffa non è un paradosso, ma uno dei tanti casi. Il magistrato spiega: il tribunale non può seguire tutte le vicende personali.

Sembrava un paradosso assoluto, una roba da film comico se non fosse una storia drammaticamente reale, quella del processo durato dieci anni nei confronti di un uomo deceduto nel 1997. Invece, il giorno dopo la scoperta del caso, in tribunale non si mostrano sorpresi più di tanto. A cominciare da Gustavo Barbalinardo, Presidente della Sesta Sezione del Tribunale Penale di Roma, dove venerdì scorso si è scoperto che la giustizia ha processato per dieci anni un uomo morto: "Sono situazioni meno insolite di quello che sembra", dice il giudice.

 

Si spieghi, Presidente. Le era già accaduto?

"Certo. Proprio il giorno prima mi era capitato di concludere un altro processo dove l’imputato era morto da qualche tempo".

 

Mi scusi, ma è una cosa che succede di frequente che ve gano celebrati processi contro defunti?

"Nella mia carriera mi è capitato circa dieci volte di emettere delle condanne e poi scoprire che l’imputato era morto prima".

 

Sembra rassegnato all’idea che possa accadere di nuovo. Ma almeno non crede che dieci anni di tempo per accorgersi che un imputato è morto sono decisamente tanti?

"Effettivamente dieci anni per conoscere la sorte di una persona sono tanti. Ovviamente il tribunale non può seguire tutte le vicende personali degli imputati".

 

Se non è dei giudici, il compito di verificare se i loro imputati almeno in vita, di chi è? Esistono, a suo modo di vedere, responsabilità precise di quello che è accaduto?

"Noi giudici non abbiamo la palla di vetro. La prassi prevede che il Tribunale venga avvisato della morte di un imputato dai familiari della persona o dal suo difensore di fiducia o dal pubblico ministero. Se questo fosse accaduto avremmo potuto così chiudere la vicenda molto prima. Ora però effettueremo delle verifiche prima di dichiarare tecnicamente l’estinzione del processo per morte del reo".

 

La storia processuale di Walter Staffa, rimasto un imputato fantasma per dieci anni fino a venerdì scorso, appare comunque un’anomalia. Il processo a carico a suo e di altre quindici persone, comincia il 9 giugno del 1997. L’uomo, quel giorno ancora vivo, non si presenta in udienza come è suo diritto. Il collegio preso atto dell’assenza di Staffa e ne dichiara la contumacia. Il dibattimento viene sospeso per la pausa estiva e rinviato all’ottobre dell’97. Un estate tragica almeno per Staffa che in quei mesi perde la vita. Il processo comincia nuovamente ad ottobre, ma alla ripresa delle udienze nessuno comunica al tribunale l’avvenuto decesso dell’imputato. I giudici, ignari di quanto accaduto, dichiarano nuovamente la contumacia di Staffa; e così fanno per almeno settanta udienze fino a venerdì scorso quando il pubblico ministero Maria Monteleone presenta il certificato di morte dell’imputato. Che risaliva, appunto, all’estate del 1997.

Giustizia: scoperta truffa in appalti per lavori nelle carceri

 

La Repubblica, 7 ottobre 2007

 

Una maxitruffa ai danni del Banco di Sardegna e della Bnl per oltre due milioni e mezzo di euro e un’evasione fiscale da circa 20 milioni di euro sono state scoperte dalla Guardia di finanza di Sassari, che ha denunciato il procuratore speciale di una società di Tissi (Sassari), specializzata in installazioni di impianti elettrici e di sicurezza di edifici pubblici, e sua moglie. I dettagli dell’operazione "Golden Jail", cominciata a marzo dopo la denuncia degli amministratori del Banco di Sardegna, sono stati illustrati stamane a Sassari in una conferenza stampa dal comandante del Nucleo di polizia tributaria, maggiore Stefano Cerioni, a pochi giorni dal termine del suo incarico, che lascerà per prendere servizio, a fine mese, al ministero delle Finanze a Roma.

"Prigione d’oro" richiama i numerosi appalti che la Sed srl ha vinto nelle carceri di Sassari, Alghero, Mamone, Badu e Carros (Nuoro), Isili, Buoncammino (Cagliari) e con il Dap di Modena, Parma e Ferrara: la società di cui è procuratore speciale Giovanni Donara, 58 anni, denunciato assieme alla moglie Lucia Testoni, di 54, si era aggiudicata una decina di gare del ministero della Giustizia e due di quello delle Infrastrutture, oltre a diverse altre di enti locali come la provincia e il comune di Sassari, il comune di Tissi e l’università di Sassari.

Dalla mole di materiale sequestrato dalle Fiamme gialle durante le perquisizioni, in particolare nella megavilla della coppia a Tissi, è emerso che la Sed emetteva fatture false per ottenere indebite anticipazioni dalle banche, secondo il sistema dello "sconto delle fatture", cioè la cessione del credito vantato nei confronti dell’ente appaltatore.

Ma in un caso il sistema non ha funzionato: il Banco di Sardegna ha segnalato un’anomalia, quando il ministero della Giustizia, che aveva appaltato alla società lavori nelle carceri di Roma e Spoleto, non ha restituito circa cinque milioni di euro anticipati dall’istituto alla Sed con il meccanismo dello sconto delle fatture. Il ministero non aveva soddisfatto la richiesta di qualità in quanto la richiesta della società è risultata superiore per circa un milione e mezzo di euro al corrispettivo pattuito nel capitolato d’appalto. L’ammanco di cassa ha preoccupato il Banco di Sardegna, che hanno sollecitato accertamenti.

Genova: un poliziotto aggredito nel carcere di Marassi

 

Secolo XIX, 7 ottobre 2007

 

Ancora tensione nel carcere genovese di Marassi, dove ieri sera un detenuto ha aggredito un poliziotto nell’infermeria. Per la guardia penitenziaria si sono rese necessarie le cure al pronto soccorso.

Il grave episodio è avvenuto proprio mentre è in corso l’iniziativa dei poliziotti penitenziari aderenti al Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della categoria con 12mila iscritti (più di 300 quelli in servizio nel carcere di Marassi), che hanno proclamato lo stato di agitazione del Personale di Polizia per le "croniche carenze di organico" e per le "precarie condizioni di lavoro" nella Casa Circondariale della Valbisagno, protesta a cui hanno aderito tutti gli agenti in servizio e culminata nell’astensione totale dei Baschi Azzurri dalla consumazione dei pasti nella mensa di servizio.

Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria "legge" con preoccupazione questo episodio, "ennesimo sintomo di criticità del penitenziario genovese nonostante l’approvazione dell’indulto, che ha fatto uscire da Marassi circa 400 detenuti". "È la ciliegina sulla torta di una situazione ben oltre il limite della tolleranza" commentano Gian Piero Salaris, vice segretario regionale Sappe, e Antonio Martucci, segretario locale di Marassi.

"Vogliamo per prima cosa - premettono - esprimere la nostra solidarietà al Collega aggredito che ha contenuto l’aggressività del detenuto ed ha impedito che la situazione degenerasse. E questo episodio non può che essere contestualizzato in una situazione penitenziaria critica più volte rappresentata dal Sappe ai vertici locali e nazionali dell’Amministrazione penitenziaria, dove le carenze organiche di Polizia Penitenziaria (oltre 100 unità) sono decisamente allarmanti e proprio rispetto alla quale abbiamo dichiarato lo stato d’agitazione dei Baschi Azzurri.

Roma: il Garante regionale Marroni incontra Console cileno

 

Comunicato stampa, 7 ottobre 2007

 

Il garante dei detenuti Angiolo Marroni incontra il console del Cile a Roma, Julio Cordano. Al centro dei colloqui, il rafforzamento dell’assistenza ai circa duemila detenuti stranieri reclusi nel Lazio.

Garantire una migliore assistenza ai 26 detenuti cileni (uomini e donne) attualmente reclusi nelle 14 carceri del Lazio. È stato questo l’argomento principale dell’incontro fra il Garante Regionale dei diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni e Julio Cordano, Console del Cile a Roma.

Secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al 30 giugno i detenuti stranieri erano in tutta Italia oltre 15.000, di cui circa 2.000 nel Lazio. Molti di loro, soprattutto quelli provenienti dai Paesi africani del bacino del Mediterraneo, durante la detenzione vivono isolati, senza il conforto della famiglia né delle istituzioni diplomatiche presenti in Italia.

Per questi motivi il Garante dei Detenuti ha da tempo avviato un lavoro con le rappresentanze diplomatiche dei Paesi maggiormente rappresentati in carcere, per tentare un’opera di sensibilizzazione su questo tema. Ed è in tale ottica che va inquadrato l’incontro con il Console cileno a Roma. Il primo frutto dell’incontro con il Consolato Cileno si vedrà nei prossimi giorni, quando i rappresentanti diplomatici visiteranno una loro connazionale reclusa nel carcere di Civitavecchia. I cilena reclusi nelle carceri di tutta Italia sono 129 dei quali 26 nel Lazio: sei a Civitavecchia e altrettanti a Rebibbia Nuovo Complesso; tre ciascuno nelle carceri di Frosinone e Regina Coeli; due a Velletri e Viterbo; uno a Cassino, Latina, Rebibbia Reclusione e Rebibbia Femminile.

"L’impatto con il mondo del carcere è durissimo - ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni - e lo è ancor di più per uno straniero che, oltre a non avere dimestichezza con la nostra lingua, si sente lontano dalla famiglia e abbandonato dalle istituzioni. Per queste persone non chiediamo privilegi né corsie preferenziali, ma solo un aiuto che consenta loro di affrontare un difficile momento".

Il Console del Cile Julio Cordano ha aggiunto che "spesso i cileni detenuti in Italia sono arrivati da poco, perciò non sono sempre consapevoli dei loro diritti. C’è anche la barriera della lingua e della cultura, che significa un adattamento certe volte più difficile come stranieri nelle case circondariali. Come Consolato cerchiamo di mantenere una comunicazione il più fluida possibile con i detenuti cileni, per dare informazioni utili e orientamento, obiettivo che condividiamo pienamente con l’ufficio del Garante, e che apre molte opportunità di cooperazione".

Bari: otto detenuti vanno in scena con "Histoire du soldat"

 

Bari Live, 7 ottobre 2007

 

Qualcosa in più di una operazione di recupero sociale, una vera e propria iniziativa culturale e di fratellanza: è questo il senso della messa in scena de "L’Histoire du Soldat", celeberrima opera di Igor Stavinskij che sarà messa in scena il 9 ottobre sul palco del teatro Piccinni, con Riccardo Rossi come voce recitante, Davide Riminucci e Sofie Doviat ed otto detenuti che, dopo aver frequentato un laboratorio teatrale, avranno ruoli da coprotagonisti.

La colonna sonora sarà affidata all’Orchestra da camera di Bari. Ad indicare le linee guida del progetto, il senatore Mario Baccini, vicepresidente del Senato, l’assessore regionale Silvia Godelli, quello comunale Nicola Laforgia, il prefetto di Bari Carlo Schiraldi, il direttore della Casa Circondariale di Bari, Paolo Sagace, il presidente dell’associazione musicale pugliese, Michele Bollettieri, il direttore d’Orchestra, Giovanni Pelliccia e il regista Michal Znaniecki.

Nel dettaglio, la storia racconta di un disertore che incontra il diavolo, smarrendo la via e la vita, in un allestimento, fedele all’impostazione originale del lavoro. "L’idea di fondo - ha spiegato il regista Znaniecki - era quella di tirare fuori dai detenuti che hanno partecipato a questo spettacolo ciò che loro stessi non si aspettavano di avere. Non è un gioco a premi questo, è un lavoro serio in cui non c’è spazio per l’improvvisazione. Tutti hanno seguito la disciplina che il teatro impone chiedendoci addirittura di intensificare gli esercizi e le prove, per dare il meglio di loro stessi. Abbiamo apprezzato la loro sensibilità e soprattutto la loro autenticità nell’interpretare anche sentimenti e desideri. E questo ci ha toccato molto".

Trento: domani una conferenza sugli stranieri in carcere

 

Comunicato stampa, 7 ottobre 2007

 

Carcere e immigrazione: un nesso problematico in tutta Italia. Sono sempre più presenti, nelle carceri italiane, i detenuti stranieri. Nel 2006 fra la popolazione residente una persona su venti era straniera, mentre il rapporto era di sette su venti fra la popolazione carceraria. In Trentino la situazione è peggiore o migliore rispetto al resto d’Italia? Perché ci sono molti immigrati nei penitenziari di Trento e Rovereto? Quali sono le loro condizioni dentro e fuori dal carcere? Cosa si fa in provincia di Trento per integrare gli stranieri, per ridurre la loro presenza tra i reclusi, per migliorare le loro condizioni di vita negli istituti di pena e una volta usciti? Quali sono le best practices italiane ed europee e gli spazi di intervento ancora praticabili a livello locale?

A queste domande intende rispondere la conferenza "Gli stranieri in carcere tra esclusione e inclusione: l’esperienza trentina" che si terrà lunedì 8 ottobre, dalle 9.00 alle 13.30, nell’Aula B della Facoltà di Giurisprudenza. In questa occasione sarà presentato il rapporto finale della ricerca "Cittadinanza e immigrazione a Trento" che Transcrime (Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università degli Studi di Trento e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), con la collaborazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, ha condotto per la Provincia Autonoma di Trento nell’ambito del Sistema integrato di sicurezza.

Apriranno i lavori l’introduzione di Fulvio Zuelli, decano della Facoltà di Giurisprudenza, e i saluti di Lorenzo Dellai, presidente della Provincia Autonoma di Trento, e di Armando D’Alterio, vice-capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Sarà poi Andrea Di Nicola, ricercatore della Facoltà di Giurisprudenza e coordinatore di ricerca della sede di Trento di Transcrime, a presentare i risultati dello studio. Il rapporto verrà quindi commentato da Giuseppe Sciortino, professore della Facoltà di Sociologia, e da Giuseppe Capoccia, direttore dell’Ufficio Studi, Ricerche, Legislazione e Rapporti Internazionali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Nella seconda parte della mattinata la conferenza proseguirà con una tavola rotonda: rappresentanti delle istituzioni e del privato sociale, operativi nel settore dell’immigrazione, discuteranno su cosa è stato fatto e cosa si può ancora fare in Trentino per un’integrazione più piena degli stranieri e per migliorare le loro condizioni di vita non solo dentro ma anche fuori dal carcere. Alla tavola rotonda, presieduta da Ernesto Savona, professore dell’Università Cattolica di Milano e direttore di Transcrime, interverranno Gaetano Sarrubbo, direttore della Casa Circondariale di Trento, Antonella Forgione, direttore della Casa Circondariale di Rovereto, Mariateresa Cacciatori, direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Trento, Donato Borgonovo Re, difensore civico della Provincia Autonoma di Trento, Luciano Malfer, dirigente del Servizio Politiche Sociali ed Abitative della Provincia Autonoma di Trento, Italo Dal Rì, responsabile dell’Associazione Provinciale Aiuto Sociale (Apas), e Lino Cristofoletti, presidente della Cooperativa Sociale Il gabbiano.

Foggia: si è svolta conferenza su Van Gogh per i detenuti

 

Comunicato stampa, 7 ottobre 2007

 

Il Prof. Alessandro Rovetta, Docente dell’Università Cattolica "S. Cuore" di Milano ha tenuto una conferenza su Van Gogh. L’obiettivo era quello di sollecitare una forma di conoscenza estetica che aiuti a comprendere l’esigenza di bellezza, di creatività, di comunicazione, stimolate dal rapporto con la realtà, intesa come cose, circostanze, incontri umani. L’iniziativa è stata destinata ai detenuti condannati della sezione maschile e a tutte le detenute della sezione femminile. I presenti hanno accolto l’incontro con grande partecipazione ed interesse. Numerose le domande, le curiosità, i perché.

Lo stesso Prof. Rovetta ha apprezzato la presenza partecipativa che non sempre ha colto in altre realtà esterne. Segno che, se adeguatamente coinvolti, i detenuti sanno apprezzare iniziative che potrebbero sembrare non adeguate al contesto.

Gli Operatori presenti, numerosi, hanno a loro volta colto la qualità del Docente che ha saputo partecipare un tema difficile "la solitudine, il disagio mentale, ecc." in maniera semplice ed accattivante.

Al termine dell’incontro è emerso il bisogno comune di ripetere l’esperienza e il Prof. Rovetta ha assicurato che programmerà un altro intervento. La Direzione dell’Istituto gradirebbe che l’iniziativa e l’esito così positivo fosse partecipato ad altre realtà penitenziarie.

Televisione: stasera l'ultima puntata de "Il Miglio Verde"

 

Apcom, 7 ottobre 2007

 

Ultima puntata per il programma di Rula Jebreal "Il Miglio Verde - lettere dal braccio della morte", in onda su La 7 stasera alle 23.30. Il primo piano è dedicato al caso di Richard Wayne Jones che, nonostante le prove a sostegno della sua innocenza, è stato giustiziato il 22 agosto del 2000. Flavio Insinna e Sabrina Impacciatore leggeranno la corrispondenza tra il detenuto e Arianna Ballotta la presidentessa della Coalit - la coalizione italiana contro la pena di morte - che, insieme al marito, per volere dello stesso Jones ha assistito alla sua esecuzione.

Giorgio Pasotti, invece, interpreterà Anthony Haynes, detenuto nel braccio della morte da quando aveva 19 anni, per aver ucciso un poliziotto. Oggi, a 28 anni, Haynes afferma di essere un uomo diverso, nonostante siano poche le possibilità di salvarsi.

Ultimo racconto quello che documenta la vicenda di Peter Cantu, reo confesso e pentito, che ha stretto un’amicizia epistolare con Elena Gaita, una studentessa in lingue, figlia di un giornalista de "Il Messaggero" che, spinta dalle sue lettere, è andata a visitare a Houston tutti i luoghi a lui più cari.

Conclude il programma, il faccia a faccia tra Rula Jebreal e Mario Marazziti, portavoce della comunità di Sant’Egidio di Roma che racconterà la sua amicizia con Dominique Green, il giovane afro-americano giustiziato nel 2004 che si proclamava innocente. Sarà, infine, la stessa conduttrice a leggere la lettera inviata alla trasmissione dal cardinale Carlo Maria Martini: un appello per la moratoria universale in nome dei valori della giustizia e del perdono.

Droghe: un'eroina più "leggera", per avvicinare i giovani

 

Notiziario Aduc, 7 ottobre 2007

 

Più leggera allo scopo di abbattere i prezzi e avvicinare i giovani, ma con inalterato potere di assuefazione nel lungo periodo. È, secondo gli esperti dei carabinieri, la nuova politica degli spacciatori di eroina, sostanza fino a ieri destinata a specifiche fasce sociali, venduta ad alti costi, causa di immediata assuefazione per le potenti quantità di principio attivo contenute nelle dosi, e conseguenze spesso letali per gli assuntori.

Oggi un grammo di eroina, specie se molto pura, è tagliato in modo da ricavarne quattro, cinque grammi "da strada", dosi più "leggere" il cui scopo è quello di creare dipendenza nel tempo e assicurare un mercato di consumatori stabile, se non in crescita. Oggi una dose è venduta a un prezzo che oscilla dai 25 ai 40 euro: accessibile anche ai giovani. Il tipo di sostanza così spacciato stimola un iniziale stato di euforia seguito da una piacevole sensazione di rilassatezza. È per questo, come accertato dai carabinieri, che molti la consumano nel fine settimana, talvolta mischiata ad altre sostanze psicotrope.

Birmania: il regime sta creando nuovi lager a cielo aperto

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 7 ottobre 2007

 

Il Corriere della Sera e la Repubblica non tengono più i massacri del regime birmano nelle rispettive prime pagine. Lo stesso dicasi per il Giornale e La Stampa. E anche il compassato International Herald Tribune ha retrocesso la repressione della giunta comunista birmana nelle foliazioni interne. Chi volesse sapere la tragica evoluzione di quegli eventi farebbe meglio a imparasi il tedesco. Oltre all’inglese. Perché così potrebbe leggersi le informatissime corrispondenze dell’ultimo inviato occidentale rimasto a Yangoon, già Rangoon, in prima linea e senza potersi firmare: quello di "Der Speigel".

Infatti "Der spiegel", che pubblica questi articoli anche on-line e in inglese, ha deciso di comune accordo con questo bravissimo giornalista che le sue cronache ormai quotidiane dal fronte birmano non saranno firmate. Dovrà, per ora, l’anonimo corrispondente rinunciare alla fama e alla notorietà. Anche se, continuando informare come ha fatto sinora con questa dovizia di particolari, prima o poi qualcuno dovrà ricordarsi pure di lui per una nomination al prossimo Pulitzer.

Infatti solo dai suoi reportage l’opinione pubblica mondiale può apprendere in questo momento la reale entità degli eccidi, che sarebbero nell’ordine delle migliaia di persone. In un articolo intitolato "Vengono di notte per uccidere i monaci", pubblicato nella corrispondenza di due giorni fa, l’anonimo inviato dello Spiegel illustra con sequenze da film dell’orrore la dinamica dei rastrellamenti: "era circa mezzanotte quando il lungo convoglio di veicoli militari entrò nel distretto, le macchine contenevano ufficiali di polizia dei reparti di anti sommossa, i cosiddetti "Lome-ten", si tratta di unità di gangster e di ex detenuti che fanno il lavoro sporco per il regime. Circondano un monastero nella strada Weiza Yandar e tutti i 200 monaci che ci vivevano vengono costretti a stare in piedi in una stanza mentre le forze di sicurezza gli sbattono ripetutamente la testa contro il muro, quando ormai sono ridotti una poltiglia sanguinante vengono raccolti e portati via nei camion... così in una sola notte hanno ucciso oltre cento monaci..."

Nel resto della corrispondenza l’anonimo ma coraggioso, per non dire eroico, corrispondente dello Spiegel raccoglie le testimonianze di chi ha assistito alle deportazioni nei lager a cielo aperto costruiti nei campi sportivi come nel Cile di Pinochet. "Uno di essi - dice un diplomatico che parla anche lui protetto dall’anonimato - è situato nel vecchio campo dove si svolgevano le corse dei cavalli all’epoca degli inglesi, tra la 50 esima e la 51 esima strada di Yangoon. Ma la giunta in questi giorni ne ha allestiti in fretta e furia almeno altri tre. Un altro che si conosce è vicino all’aeroporto internazionale di Mingala e un altro ancora è stato costruito sui terreni del Yangoon Institute of Technology. Lì i monaci e gli altri dimostranti vengo ammassati e tenuti senza cibo e acqua per giorni..."

Non si sa ancora nulla di quanti ne stiano morendo in queste condizioni, l’unica cosa che si sa è come i monaci si difendono da questo massacro, con la preghiera e la meditazione, così come il buddismo ha insegnato loro sin dal 500 prima di Cristo.

Naturalmente anche l’edilizia carceraria in queste settimane ha avuto il proprio sviluppo: nel Nord Ovest della ex capitale, vicino alla prigione Insein. In alcuni prefabbricati sono state edificate 300 celle da tre metri per tre e in ognuna di esse sono stipati dai cinque ai dieci monaci. Li fanno vivere e soprattutto morire come delle sardine mentre i giornali europei già iniziano a stufarsi di dare loro le prime pagine. Per i monaci birmani oramai l’informazione viaggia quasi esclusivamente attraverso i reportage dell’anonimo corrispondente di "Der Spiegel".

 

 

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