Rassegna stampa 1 ottobre

 

Giustizia: Beppe Grillo e l’amore per le manette

di Sergio Segio

 

Fuoriluogo, 1 ottobre 2007

 

Beppe Grillo pare ispirarsi al Woody Allen di: "Non vorrei mai far parte di un club che accettasse come socio uno come me". L’impasto di rabbia e dura critica (motivata, eccome) verso i partiti ha partorito - per ora - un progetto di liste civiche, programmaticamente precluse ai pregiudicati. Dunque pure a Grillo, se è vero quanto ha ricordato l’acuminato giornalista Filippo Facci: la condanna toccata al comico genovese, dopo un grave incidente d’auto, a un anno e tre mesi per omicidio colposo. Certo, ci sono reati e reati, ma è anche vero che tra i 25 politici additati al pubblico ludibrio e trattati da zecche ("Disinfestiamo il Parlamento") dal V-day almeno la metà sono stati condannati a pene inferiori.

Il "nuovo Rinascimento" (ma il copyright è del guru Armando Verdiglione) propugnato dal comico prende le mosse da tre punti: "no ai condannati in Parlamento; no ai politici di professione, due legislature e poi tornino al loro lavoro; sì alla preferenza diretta".

Vi è una sapiente volontà di colmare un vuoto, ma anche di dare riconoscimento a pulsioni e umori lividi e biliosi, sinora (giustamente) nascosti. Pure qui, la tecnica e l’intuizione non sono originali: in passato fu Radio Radicale a fare emergere la pancia del Paese, aprendo i microfoni a "Radio parolaccia". E non fu un bello spettacolo. Ora è ancor peggio, perché non c’è ascolto di brontolii e odi del popolo, c’è il monologo del tribuno. La democrazia dal basso è altra cosa: parla alla testa, e semmai al cuore, delle persone, non ai bassi istinti.

Quanto alla vocazione antipartito di tale movimento, c’è da avere seri dubbi, dato che il suo pronto sostenitore è stato Antonio Di Pietro, vale a dire colui che ha portato in Parlamento, oltre alla cultura del "tintinnare delle manette", tal Sergio De Gregorio, campione di quelle degenerazioni della politica che si chiamano rendita di posizione e trasformismo.

Il maggiore collante del "grillismo" paiono effettivamente le manette, passione che accomuna anche Marco Travaglio, oltre ai residui dei Girotondi. Non a caso Grillo ha subito annunciato un "Libro bianco sulle vittime dell’indulto". Ciò rende più agevole comprendere il perché anche alle Feste dell’Unità l’emulo di Coluche abbia raccolto ovazioni: attaccare il centrosinistra e fustigarne i leader è peccato veniale; conta più l’essere d’accordo su tolleranza zero, riempire le galere, gogna perpetua per i condannati. I sindaci sceriffi condividono e ringraziano.

Grillo e Vaffa-day hanno goduto di un lancio e un marketing invidiabile, altro che Internet: settimane di titoli dei Tg e di prime pagine dei quotidiani. Anche qui, come sui pregiudicati, Grillo dimostra un interessato strabismo, accusando Nanni Moretti e i Girotondi di essere stati pompati dai media. Come il bue che dà del cornuto all’asino.

"Ci vedo dietro l’ombra del "law & order" nei suoi aspetti più ripugnanti; ci vedo dietro la dittatura": ha commentato Eugenio Scalfari su "la Repubblica". E se lo dice un giornale non insensibile alle campagne securitarie c’è da crederci.

È serio preoccuparsi di un teatrante? Forse sì, se si ricorda che il fondatore del Partito dell’Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, era un commediografo. E che portò acqua e consensi alla Dc e alla reazione, non certo al cambiamento. Illuminante, al proposito, la posizione di un autorevole "grillino" della Val di Susa, peraltro attivo nella No Tav: "Vince Berlusconi? E chi se ne frega!". Eloquente anche il suo percorso: Pci, Autonomia Operaia, Lega; oggi, deluso da Bertinotti, si dichiara "né di destra né di sinistra". Sarà. Ma le picconate del "grillismo" si sfogano di preferenza contro il centrosinistra. Dimmi chi è il tuo nemico e ti dirò chi sei.

Giustizia: Rutelli; contro la piccola criminalità ci vuole fermezza

di Antonio De Florio

 

Il Messaggero, 1 ottobre 2007

 

Che la gente sia preoccupata per quello che può succederle per strada il vicepremier Francesco Rutelli lo dice a chiare lettere in un convegno a Cuneo. E promette: "Presenteremo un pacchetto sulla sicurezza molto robusto, che va incontro a una domanda reale del Paese".

Il disagio di convivere con piccoli furti, scippi, prepotenze ai semafori, che nelle aule giudiziarie non portano mai a una pena certa per chi li commette, è del tutto evidente. "Negli ultimi anni - riconosce Rutelli - c’è stata una crescita di preoccupazione da parte delle persone comuni e un aumento delle organizzazioni criminali operanti sul territorio. Dobbiamo dare un messaggio di fermezza e di efficacia nella lotta alla criminalità".

Il governo ha previsto in Finanziaria 4.500 nuove assunzioni nelle forze di polizia e 200 milioni per assicurare che "volanti" della polizia e "gazzelle" dei carabinieri non restino per strada per mancanza di benzina o per eccessiva usura. Ma al di là di questi mezzi necessari minimi, per metà ottobre palazzo Chigi intende avviare con un disegno di legge, quel pacchetto sicurezza che prima di tutto delega ai prefetti il potere di espellere chi, attraverso le piccole illegalità diffuse aumenta lo stato di disagio di tantissima gente. Il prefetto di Roma Carlo Mosca ripete: sono piccoli crimini che però sono percepiti come grandi crimini dalle fasce più deboli. "Bisogna ridare serenità alla gente", ha sintetizzato il capo della polizia Antonio Manganelli in un incontro al "Messaggero".

Ma come saranno distribuite le 4.500 nuove assunzioni nelle forze dell’ordine, previste dalla Finanziaria? Quanti di questi uomini saranno impiegati per fronteggiare la criminalità di strada, furti, scippi, rapine, illegalità diffuse, che tanto allarmano? Quale travaso ci sarà dalle altre amministrazioni pubbliche, per liberare i poliziotti da incombenze tecniche e amministrative e restituirli ai loro compiti istituzionali, che sono quelli di prevenire e reprimere i crimini?

Al Viminale rispondono che è ancora presto per dare dei numeri più precisi. Il coordinamento delle forze di polizia, dopo una trattativa, che vedrà impegnati i vertici di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria deciderà come distribuire i 4.500 nuovi assunti. Ed è inevitabile che ciascuna "forza" cercherà di ottenere il più possibile: la "coperta" offerta dal governo rischierà di non soddisfare tutti.

Negli ambienti del Viminale si dice: "D’accordo, mettiamo più poliziotti per strada. Ma le indagini sui delitti nelle squadre mobili chi le farà?".

Con la nuova finanziaria c’è la possibilità di utilizzare i marescialli dell’esercito, del Genio nei corpi di polizia: tutta una serie di attività tecnica potrà essere svolta da loro, perché sono informatici e meccanici, liberando degli uomini per l’apparato investigativo.

M a c’è chi vorrebbe una riorganizzazione dell’Arma dei carabinieri, che nei comandi ha 4 livelli: uno provinciale, uno regionale, uno interregionale e uno nazionale. Una carta prima di arrivare a Roma passa da quattro uffici. "Noi in polizia - osserva qualcuno - abbiamo abolito le direzioni interregionali per recuperare personale, perché non lo fanno pure loro. Noi ora abbiamo un livello locale e uno nazionale. Con la loro organizzazione invece tanti carabinieri sono impegnati negli uffici e sottratti all’attività di controllo del territorio".

 

Il Rapporto: un anno nel segno della violenza

 

Più furti, più rapine e più omicidi. Il 2006 è stato un anno particolarmente violento, ha segnato un’inversione di tendenza nei grafici del crimine: tutti quei reati che fino a quel momento erano in calo hanno avuto un’improvvisa impennata, la curva discendente che durava ormai da un po’ di anni s’è fermata.

Basta scorrere i dati del rapporto sulla criminalità in Italia del Viminale per trovare conferma alla crescente percezione di paura tra la gente. E se è vero che nel lungo periodo (analizzando i dati dai primi anni Novanta in poi) hanno ragione quanti cercano di offrire l’immagine di un’Italia più serena, è vero pure che i dati dell’ultimo anno destano allarme. A cominciare da quelli che riguardano gli immigrati.

La provenienza. Nel 2006 oltre un denunciato per omicidio su tre è straniero nelle regioni centro-settentrionali, contro poco più di uno su dieci al sud. Una sproporzione che si conferma anche per gli altri reati: il 71% dei borseggi al centro nord è attribuito a stranieri contro il 24% al sud, tanto per fare un esempio. Romeni, marocchini e albanesi sono accusati del 52% dei furti di autovetture, del 50% dei furti in abitazione e del 51% dei furti con destrezza.

Gli omicidi. Il numero di omicidi commessi in Italia è notevolmente diminuito, nell’arco di 15 anni. Dal 1991, anno in cui si registra il picco più alto con 1.901 omicidi, la parabola discende fino a registrare nel 2005 il minimo storico di 601 delitti. Ma nel 2006, un nuovo aumento: 621 omicidi. In calo quelli commessi dalla criminalità organizzata mentre crescono quelli passionali o commessi in famiglia. Tra il 2005 e il 2006 si registrano 35 delitti passionali in più, con un aumento del 23 per cento.

I furti. Per i furti incide molto la parte di reati non denunciati. Borseggi, piccoli furti, scippi, spesso non vengono riferiti alla polizia. I furti di automobili sono aumentati fino al 1991 per poi cominciare a diminuire fino al 2006, anno di un nuovo picco. Nel 2006 sono stati denunciati 2.692 furti ogni 100mila abitanti, contro i 2.572.

Le rapine. Aumentano: 85,5 nel 2006 contro 78,6 (sempre ogni 100mila abitanti) dell’anno prima. La Campania è la regione con la maggiore frequenza di rapine. Quelle in abitazione, in tutt’Italia, sebbene siano le meno frequenti, rappresentano un crimine che trasmette un grande senso di insicurezza nei cittadini. Le città più colpite? Milano e Catania. Seguono Torino, Bologna, Napoli e Palermo. Impennata anche per le truffe: 181,9 rispetto a 159.

La violenza contro le donne. Sono 6 milioni e 743 mila le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Solo negli ultimi 12 mesi sono 1 milione e 150 mila le donne che hanno denunciato violenza. Autore delle violenze è il partner nel 62,4% dei casi per quel che riguarda i maltrattamenti fisici, nel 68,3% dei casi per le molestie e nel 69,7% dei casi per lo stupro. Un milione e 400 mila ragazze, inoltre, hanno subito violenza sessuale prima dei sedici anni in famiglia.

La paura. La paura della gente varia a seconda della zona del Paese, ed è più elevata al Sud che al Nord, al Nord che al Centro. Fanno eccezione le regioni del Nordest che negli ultimi anni si sentono bersaglio privilegiato della criminalità.

Giustizia: violenza sulle donne, e l’Italia resta a guardare...

di Maria Serena Palieri

 

L’Unità, 1 ottobre 2007

 

Settanta e centododici. Tenete a mente queste due cifre. La prima, settanta, è il numero di donne uccise in un anno in Spagna per quei motivi che tradizionalmente si chiamano "passionali": è la cifra che lì ha fatto scartare l’allarme rosso e che, nel 2005, ha ispirato l’adozione di misure ad hoc, la più importante i "tribunali di genere", corti specializzate nei reati che maturano in quel territorio specialissimo che sono i rapporti tra i due sessi.

La seconda, centododici, è quella delle donne che, nel 2006, in Italia, sono state vittime di un "amore criminale", come diceva il titolo di una bella trasmissione di Raitre: donne uccise, cioè, da un uomo cui erano affettivamente legate, marito, fidanzato, ragazzo, compagno, amante, oppure da un uomo che aspirava a essere tale, ma a cui loro, le vittime, avevano detto "no".

Stando alle cronache, nel 2007 il numero dovrebbe crescere: il viso sorridente di Chiara di Garlasco è ancora sulle prime pagine, ed ecco affiorare da un laghetto alle porte di Torino il corpo di Sara, uccisa da Nando Locampo, ammiratore respinto (sembra) e reo confesso. Quanto deve salire il numero perché, anche da noi, scarti l’allarme rosso?

Non è chiaro che un "femminicidio" così ha dei motivi che vanno oltre la sfera del privato: che affondano (anche se gli assassini non lo sanno) in un’emergenza, in uno stato attuale dei rapporti di potere tra i due sessi, in una crisi dell’identità maschile dove si mescolano, con esiti come questi sanguinari, tragica fragilità e tragica protervia?

Affrontare questo tipo di reati per ciò che sono, delitti cioè che maturano dentro il territorio particolare - specifico e complesso - dei rapporti tra i due sessi, richiede uno sforzo culturale. Non usiamo la parola "rivoluzione" perché siamo convinte che, nel nostro Paese, sono in molte e in molti ad averlo capito, questo.

Un governo progressista (un governo di centrosinistra almeno questo dovrebbe essere, no?) dovrebbe fare lo sforzo di cominciare a usare degli strumenti culturalmente adeguati: se più di cento donne vengono annualmente uccise "per amore", e se il numero cresce, questi casi non possono finire genericamente alla voce "omicidi". Li si guardi per quello che sono.

E, per ciò che sono - il frutto tragico di una guerra che corre sottotraccia - li si affronti: protezione per chi è vittima di quella molestia ossessiva, quella "amorosa" persecuzione che spesso precede la mattanza? tribunali ad hoc? programmi di formazione per ragazzi e ragazze nelle scuole?

Noi siamo convinte che la politica, in questo campo, possa fare: la riforma della legge sulla violenza sessuale, per esempio, se non ha ridotto il numero degli stupri né ha aumentato, se non in modo non davvero rilevante, il numero delle denunce, ha almeno prodotto commissariati più accoglienti per le vittime e aule di tribunale più umane verso di esse.

Sono riforme e provvedimenti a costo zero o limitato, costano solo voglia di guardare la realtà in faccia, onestà intellettuale, un po’ di immaginazione. E lavoro d’equipe tra diversi ministeri, Pari Opportunità, Istruzione, Giustizia, Interno, Solidarietà sociale. Ah, già: porteranno voti? Per caso è questa la domanda - orribilmente disincantata - che dovremo porci se, nelle prossime settimane, invece la politica non farà un bel niente?

Giustizia: la legge anti-violenza sulle donne è ancora al palo

di Claudia Mann

 

Il Giorno, 1 ottobre 2007

 

L’intervista a Donatella Linguiti, viceministro alle Pari Opportunità. L’emergenza è a dir poco evidente. Eppure, il disegno di legge in difesa delle donne non ha ancora concluso il suo iter. Nel frattempo, di certo non restiamo con le mani in mano. E il nostro impegno si concentra, in particolare, nel "Piano d’azione nazionale antiviolenza". Tanto che, aggiunge, "la ministra Barbara Pollastrini, data la delicatezza e l’urgenza del tema, ha chiesto per quel disegno la corsia preferenziale". Non solo. Il piano "fortunatamente non necessita di una legge per diventare operativo ed è indispensabile, almeno quanto la svolta normativa, sul duplice piano della prevenzione e dell’emersione del fenomeno".

Donatella Linguiti, vice ministro per le Pari opportunità, a poche ore dall’ennesimo omicidio di una giovane donna, tira le somme sul da farsi.

 

Malgrado il vostro impegno, il testo si trova ancoro oggi fermo in commissione Giustizia della Camera. Che tempi si prevedono per la fine dell’iter?

"Le ultime indicazioni ci permettono di ipotizzare degli anticipi sui tempi standard. Ma l’esito cronologico non dipende da noi, bensì dalla commissione e poi dalla Camera stessa. Speriamo perciò che il Parlamento prenda atto del carattere di priorità di questo disegno di legge. Non c’è tempo da perdere, i fatti di cronaca sempre più drammatici confermano che bisogna stringere i tempi".

 

Fulcro del disegno di legge, l’inasprimento delle pene…

"Certamente una parte significativa riguarda la repressione. Questo è uno dei punti che ha rallentato il dibattito in commissione. Non tutti sono convinti che agire sulla pena serva a risolvere il problema. Comunque il disegno è equilibrato, perché se da un lato riguarda l’aspetto della condanna, definisce dall’altro tutte le azioni legate alla prevenzione".

 

Il piano antiviolenza, invece, a che punto è?

"Siamo partiti con una prima fase di lavori. Questa finanziaria inoltre, a differenza della precedente, ha previsto uno stanziamento specifico per il piano. Ma il nostro è un piccolo ministero. Per l’attuazione del progetto abbiamo bisogno di una sinergia tra tutti i ministeri e il coinvolgimento di altri attori tra cui, non ultime, le associazioni maschili".

 

Quali le priorità sancite dal piano?

"Anzitutto la centralità della rete delle case di accoglienza, delle case rifugio e dei centri antiviolenza. Perché hanno una significativa esperienza maturata nel territorio, soprattutto sul terreno del fare. Non si può che partire da lì: queste realtà possiedono il polso del fenomeno più di qualsiasi istituzione. E conoscono anche le storie delle tantissime donne che non denunciano per paura, ma che chiedono loro asilo e assistenza. Sono dunque per noi la vera cartina di tornasole, benché mi sembri che le rilevazioni dell’Istat stiano diventando più aderenti alla realtà".

Giustizia: Maraini; storie di violenze e soprusi contro le donne

 

Redattore Sociale, 1 ottobre 2007

 

In scena a Pescara lo spettacolo teatrale "Passi affrettati", scritto da Dacia Maraini. "Ho voluto riunire storie di tutto il mondo perché il fenomeno della violenza di genere coinvolge tutti i paesi".

Una testimonianza, una denuncia di tutte quelle donne che sono ancora prigioniere di un matrimonio non voluto, di una famiglia violenta, di uno sfruttatore, di una tradizione e di una discriminazione storica difficile da superare. Questo lo spettacolo teatrale scritto da Dacia Maraini e andato in scena ieri a Pescara sul palco del teatro auditorium Flaiano. "Passi affrettati", si intitola così l’opera, racconta la storia di Lhakpa, Aisha, Civita, Juliette, Amina, Teresa e Viollca, donne, mogli, figlie, vittime di soprusi e violenze. Uno spaccato di storie vere provenienti da tutto il mondo: dalla Cina alla Giordania, dalla Nigeria alla California fino alla civilissima Europa, per raccontare il dolore di persone diverse, distanti migliaia di chilometri ma che allo stesso modo vengono private della loro libertà e oltraggiate nelle loro persona.

"Ho vuoto riunire storie di tutto il mondo - ha dichiarato la Maraini prima dello spettacolo - perché purtroppo, il fenomeno della violenza di genere coinvolge tutti i paesi. Non è tanto la povertà la causa principale della persecuzione delle donne, quanto piuttosto il radicato fondamentalismo religioso: negli anni settanta in Nigeria non esistevano fenomeni di violenze, nei giorni nostri, invece, la nazione africana, governata da un governo fanatico, ha reintrodotto la lapidazione.

Ma non bisogna pensare - continua la Maraini - che nelle democrazie occidentali non ci siano violenze di genere: in Italia infatti l"anno scorso ci sono state circa 4.500 denuncie. Quella dei paesi sviluppati è una forma di violenza privata e non istituzionale, che si nasconde agli occhi della pubblica opinione, ma che così come le leggi di un villaggio o la consuetudine di culture patriarcali, è allo steso modo una grave forma di abuso".

Ed ecco così il racconto di Juliette e Aisha. La prima, vive in Belgio, è sposata con Pierre. In questo momento è all’ospedale con la testa spaccata e due denti rotti. Il marito, quando è ubriaco, la picchia e lei, in più di una occasione, è andata alla polizia per denunciarlo ma tutte le volte la ritira sperando che suo marito smetta di bere. Aisha è una ragazzina giordana, rimane incinta e la famiglia dopo una riunione decide di bruciarla viva.

La bambina, viene salvata per miracolo. Tutte piaghe, con la pelle a brandelli viene portata in ospedale vicino il villaggio, ma nessun dottore osa curarla perché andrebbe contro le leggi del villaggio. Aisha è stata condannata a morte dalla famiglia e nessuno può salvarla senza arrecare offesa alla famiglia. Sarà una dottoressa francese a osare: la trasporterà , a rischio della vita, in un ospedale più attrezzato dove si trova un centro grandi ustionati.

Per anni sarà curata finché non si riprenderà, ma rimarrà per sempre sfigurata. Lo spettacolo è ora diventato un libro in cui sono riporta tutte le storie delle tristi protagoniste vittime di violenza. Chi volesse acquistalo può visitare il sito www.ianieriedizioni.it. L’intero ricavato sarà devoluto per finanziare in centri antiviolenza.

Giustizia: già 50 mila firme per sostenere il pm De Magistris

di Antonio Massari

 

La Stampa, 1 ottobre 2007

 

Nella "primavera calabrese" c’è il vecchietto incravattato con l’abito della domenica e il ragazzino del liceo, c’è l’ultra-nazionalista di Forza Nuova e il compagno dell’associazione "Bella Ciao". C’è il prete, la mamma appena uscita dal parrucchiere, la figlia che sta andando a ballare. C’è tutto questo nelle cinquantamila firme raccolte in appena sette giorni. Cinquantamila firme (la metà arrivate dal blog di Grillo), con una richiesta in calce: nessuno tocchi il pm Luigi de Magistris.

"Pregate per lui e firmate la petizione" ha detto ieri un sacerdote. Non sul sagrato della chiesa: l’ha detto durante l’omelia. Vogliono che il ministro di Giustizia, Clemente Mastella, torni sui suoi passi e revochi il trasferimento del pm. Quel trasferimento che ha chiesto venerdì scorso e sul quale, l’8 ottobre, il Csm si dovrà pronunciare. Diecimila firme depositate in una notte sola: quella "bianca" di Catanzaro, o meglio la "notte piccante", come l’hanno battezzata da queste parti. Nome, cognome, residenza e telefono cellulare: nero su bianco, in una grande, imprevedibile denuncia collettiva. Ma le cifre, che pure lievitano di ora in ora, raccontano soltanto una faccia di questa medaglia.

Sulle beghe giuridiche e i tecnicismi degli ispettori ministeriali, qui, s’interessano poco e niente. Anche il pm, ormai, s’è perso nell’orizzonte: De Magistris è "solo" il simbolo di una protesta ben più ampia. E al centro della protesta c’è la politica. C’è un fiume carsico che scuote le coscienze e strapazza i partiti, che infatti già corrono ai ripari.

Il "codice etico" dell’Udeur è finito in un braciere. L’hanno bruciato, dinanzi alle telecamere, ben 30 componenti della segreteria di Catanzaro: 30 su 34. Al ministro Mastella, ben presto, toccherà commissariarla. In quella cenere, posata nel braciere, c’è tutto il fiuto di una classe politica, quella calabrese, che sente crollare la fiducia dei propri elettori. "La situazione è fuori controllo", dice Giorgio Durante, dell’associazione "Calabria Libera", e spiega: "Non siamo in condizione di darvi cifre ufficiali, la gente firma ovunque e spontaneamente". Un fiume di moduli scaricati da Internet, dove anche i meet-up di Grillo hanno abbracciato la battaglia.

Dal lungomare di Reggio Calabria alla prefettura di Cosenza, dal corso di Catanzaro ai condomini di Rogliano, dalle edicole alle tabaccherie e agli uffici pubblici, moduli che spuntano in ogni dove. "Vogliamo giustizia - conclude Francesco Precenzano, di Calabria protagonista - questa è una protesta contro l’arroganza del potere, contro la classe politica della nostra regione. Vogliamo sapere dove sono finiti i fondi comunitari destinati alla Calabria".

Troppe le promesse smarrite per strada, soprattutto nella questione morale, troppe persino per quella Calabria che in tanti hanno considerato indolente e restia alle lotte e ai cambiamenti. Il paradigma sembra invece rovesciarsi: "Saremo noi, lo scudo umano dei magistrati", dice Aldo Pecora, dell’associazione "Ammazzateci tutti" di Locri.

Incredibile. Un tempo, le "primavere", nascevano sull’asfalto che grondava il sangue dei magistrati, fiorivano ai loro funerali e poi appassivano, in lunghe attese di giustizia. In Calabria, oggi, la "primavera" nasce intorno ai giudici vivi: Luigi De Magistris a Catanzaro, minacciato da un trasferimento, Nicola Gratteri, Salvatore Boemi e l’intera Dda di Reggio Calabria, minacciata dal tritolo della ‘ndrangheta.

Napoli: Api; costruire nuove carceri con project financing

 

Asca, 1 ottobre 2007

 

"Facciamo lavorare i detenuti dentro al carcere: costruiamo stabilimenti a fianco alle prigioni". Lo propone Emilio Alfano, presidente Api Napoli, rilanciando un’idea già avanzata in passato dall’associazione delle Piccole industrie.

"Se ci sono persone che commettono continuamente reati - spiega attraverso un comunicato - vuol dire che non possono integrarsi nella nostra società. E che devono quindi stare in galera." Alfano pensa che, a fronte dell’eventualità di un nuovo indulto, occorra guardare al problema del sovraffollamento delle carceri in maniera innovativa. "Introduciamo - chiarisce - il project financing in questo settore. Con un approfondimento e magari una nuova normativa, i privati potrebbero intervenire con fondi propri per costruire sia le carceri nuove, sia anche spazi per la produzione e lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti. E per occuparsi della gestione, fatte salve le altre attività lasciate allo Stato. Si ridurrebbero i problemi di sovraffollamento delle carceri. Si restituirebbe dignità a chi sta in galera, attraverso un lavoro utile a sostenere anche la propria famiglia. Si faciliterebbe il reinserimento sociale per quei soggetti che vorranno integrarsi nella società civile e non commettere, una volta fuori, altri reati".

Lamezia Terme: Uilpa; serve costruire un nuovo penitenziario

 

Asca, 1 ottobre 2007

 

La Uilpa Penitenziari ha augurato "buon lavoro" al vicecommissario del Corpo di polizia penitenziaria Maria Carolina de Falco, nuovo Comandante del Reparto di polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Lamezia Terme. Per la prima volta, dunque, la Polizia penitenziaria di Lamezia Terme viene guidata da un Funzionario, assegnato in via definitiva, dopo l’istituzione dei ruoli direttivi del Corpo a cui la Uilpa Penitenziari e chi scrive hanno fornito un contributo determinante.

"Per una città come Lamezia - scrive fra l’altro - appare indispensabile pensare alla realizzazione di una nuova struttura penitenziaria, magari da affiancare a quella attuale da poco modernizzata e di sicura efficienza, che risponda compiutamente alle esigenze del circondario. Non è pensabile né ulteriormente accettabile, difatti, che la città e tutti i centri limitrofi siano serviti da una struttura penitenziaria in grado di ospitare solo poche decine di detenuti. Un nuovo carcere, oltre a costituire un ulteriore presidio dello Stato a difesa della sicurezza e delle istituzioni democratiche, consentirebbe a molti detenuti del luogo di scontare la pena in prossimità della residenza dei propri cari ed eviterebbe di esporre questi ultimi a spesso lunghi e costosi viaggi per un’ora di colloquio. Consentirebbe il rientro di numerosissimi operatori penitenziari da altre sedi, anche del nord del Paese, e considerando anche l’indotto di supporto darebbe sicuro slancio all’economia locale".

Palermo: Cobar; i detenuti mangiano meglio dei carabinieri

 

La Sicilia, 1 ottobre 2007

 

I detenuti mangiano meglio dei militari. L’incredibile vicenda è venuta alla luce grazie al Cobar Sicilia riunitosi qualche giorno fa presso la Compagnia dei Carabinieri di Petraia Sottana nel palermitano. Da varie circolari del Ministero di Grazia e Giustizia e del Comando Generale dell’Arma è emerso che per un soggetto in stato di arresto lo Stato elargisce 4,65 euro per il pranzo che va acquistato dai Militari che lo detengono. Di contro ai Militari che sorvegliano il detenuto spettano solo 2,38 euro.

"Questo è un altro fatto increscioso ai danni dei carabinieri - ha spiegato il delegato del Cocer Carabinieri, Alessandro Rumore - i quali non godono di pari opportunità neanche nei confronti di soggetti sottoposti ad arresto". Per questo i rappresentanti della Sicilia e della Calabria hanno deliberato di riunirsi a Roma con gli altri rappresentanti di tutta Italia. "Tali normative discriminatorie tra chi la legge la infrange e chi oltre a rispettarla la attua, pongono i carabinieri come cittadini di serie C creando nel loro animo perplessità ed amarezza. Se a questo aggiungiamo che il governo non rispetta la firma del contratto apponendo nei rispettivi capitoli scarse risorse economiche, le delusioni dei carabinieri aumentano a dismisura - ha concluso Rumore".

Droghe: la nuova legge vieta vendita di alcol dopo le 2 di notte

di Manila Alfano

 

Il Giornale, 1 ottobre 2007

 

Questo è stato l’ultimo sabato sera da "sballo". Dal prossimo fine settimana tutti i locali "di spettacolo e intrattenimento non potranno più servire alcol dopo le due di notte". Il decreto è stato approvato dalla Camera giovedì scorso e verrà ratificato definitivamente martedì in Senato.

Questo quindi è stato l’ultimo weekend di bevute non stop. Dal prossimo fine settimana infatti si cambia: "Tutti i titolari e i. gestori di locali dove si svolgono con qualsiasi modalità e in qualsiasi orario, spettacoli e altre forme di intrattenimento, devono interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le due di notte".

E per chi sgarra, chiusura del locale da sette a trenta giorni. Il decreto prevede anche che all’uscita del locale sia possibile effettuare, in maniera volontaria da parte dei clienti, un apposito alcol-test e all’ingresso dei locali i gestori dovranno esporre apposite tabelle che spieghino i pericoli dell’alcol. C’è un punto che però sembra controverso. Il decreto fa riferimento ai locali dove si svolgono spettacoli di intrattenimento e quindi non vi entrerebbero i bar per esempio, dove molti giovani si dirigono prima di andare in discoteca. I locali da ballo intanto sono già sul piede di guerra e attaccano: "O tutti o nessuno, in questo modo gli unici a perderci economicamente siamo noi".

Questo provvedimento an-tialcol fa parte di un ben più ampio pacchetto sulla sicurezza in cui si prevede la riduzione da un anno del tempo durante cui un neopatentato non può condurre auto di grossa cilindrata. Ma non solo: pene più severe anzitutto per chi guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droga.

Mentre prima c’era una sanzione uguale per un tasso alcolico compreso tra 0,5 e 1,5 grammi per litro, il decreto introduce un tasso intermedio di 0,8. Le modifiche prevedono anche pene alternative: svolgimento di servizi sociali in istituti dove sono ricoverate vittime di incidenti stradali. E poi telefoni cellulari: multe salate per chi guida e parla nello stesso momento. La sanzione è tra i 148 e 594 euro e prevede, in caso di ulteriore violazione nel corso di un biennio, la sospensione della patente da 1 a tre mesi.

Droghe: Milano; Radicali propongono petizione su narco-sala

 

Notiziario Aduc, 1 ottobre 2007

 

Nathalie Pisano (Radicali Milano) ha dichiarato: A Torino venti consiglieri della maggioranza di centrosinistra (compresa la Margherita) hanno presentato una mozione al Consiglio Comunale per l’istituzione di una narco-sala in concomitanza con l’inizio della raccolta firme per una petizione popolare. Il sindaco Chiamparino si è dichiarato favorevole. Il ministro Turco ha dato il via libera.

A Milano si ricomincia a parlare dell’ennesimo "allarme eroina" mentre il Sindaco Moratti dal pulpito di San Patrignano ribadisce il suo secco no alle narco-sala intonando la solita litania demagogica e ideologica sulla riabilitazione integrale della persona. Noi lo ribadiamo: una narco-sala significa più tossicodipendenti agganciati dai servizi sanitari, meno overdose, meno siringhe in strada, meno paura e meno violenza. Consiglieri comunali del centro sinistra di Milano perché non seguite l’esempio dei vostri colleghi di Torino? Noi radicali siamo pronti a seguire la strada della petizione popolare al consiglio Comunale… chi ci sta a raccogliere le firme con noi?

 

 

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