Rassegna stampa 12 ottobre

 

Giustizia: la sinistra; modificare il "pacchetto sicurezza"

di Guido Ruotolo

 

La Stampa, 12 ottobre 2007

 

Bandiera bianca. Tregua, retromarcia. Non si discute in Consiglio dei ministri l’annunciato pacchetto sicurezza Amato - Mastella. E non (solo) perché l’appuntamento di oggi a Palazzo Chigi sarà in gran parte dedicato al Welfare. Se il disegno di legge dei ministri dell’Interno e della Giustizia, fosse stato portato, Rifondazione e Sinistra democratica si sarebbero astenuti. Ci sono diversi punti del pacchetto, infatti, sui quali la sinistra radicale intende dare battaglia: tre sono punti qualificanti che il capogruppo al Senato di Rifondazione, Giovanni Russo Spena, sintetizza: "L’estensione della custodia cautelare; il potere dato ai prefetti di espellere anche i cittadini comunitari, vedi rom; l’estensione dei poteri ai sindaci che tracimano in un campo improprio: quello dell’ordine e della sicurezza pubblica".

La notizia del rinvio della discussione lascia perplessa l’Anci. Diversi sindaci delle grandi e medie città temono la "catastrofe": "Non siamo disposti a buttare a mare nove mesi di lavoro". Più diplomaticamente Michele Emiliano, sindaco di Bari, presidente del Coordinamento delle città metropolitane dell’Anci, si augura che "questo rinvio serva a rendere più celere il percorso parlamentare del provvedimento". Anzi, spera Emiliano, se si troverà l’accordo, "il provvedimento potrebbe trasformarsi in decreto legge". Immediatamente operativo.

Una speranza, nulla di più. Perché in realtà i problemi ci sono e sono tutti all’interno della maggioranza. Ieri pomeriggio, il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ha chiamato Romano Prodi annunciandogli il rinvio per consentire una discussione libera e approfondita sul welfare. E ha anche aggiunto al presidente Prodi che il pacchetto ha bisogno di "qualche limatura".

Era da poco terminata l’audizione del ministro dell’interno alla commissione Antimafia, quando Amato ha preso atto che se avesse insistito sulla discussione, lo scontro con la sinistra radicale sarebbe stato durissimo. Già l’altra sera Rifondazione e Sinistra Democratica, infatti, avevano fatto sapere che il pacchetto sicurezza non l’avrebbero votato.

Franco Giordano e Fabio Mussi avevano parlato con Prodi: "È proprio necessario discutere entrambi i provvedimenti sui quali la sinistra sarà costretta ad astenersi?".

Insomma, Rifondazione e Sinistra Democratica non avevano lasciato margini per un semaforo verde al provvedimento ricordando a Prodi che già la "pratica" Welfare bastava, dovendo incassare il governo l’astensione dei ministri di riferimento della sinistra radicale. Se a quella sul Welfare si fosse aggiunta anche l’astensione sul pacchetto sicurezza, il già traballante governo avrebbe subito un ulteriore scossone.

Ancora ieri sera, il Viminale faceva sapere che oggi all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri c’è anche la "relazione dei Ministri Mastella e Amato sulle misure di prevenzione, tutela della sicurezza dei cittadini, contrasto della criminalità e della illegalità diffusa".

Insomma, il provvedimento si incardinerà per poi essere portato alla Conferenza Stato-Città prima di rientrare a palazzo Chigi per l’approvazione. La data ipotizzata è quella di martedì 23 ottobre. L’importante, fanno sapere gli esponenti di Rifondazione e della Sinistra democratica, che al Consiglio dei ministri non si discuta né si voti questo pacchetto. Perché davvero così come è non potrebbe essere accolto all’unanimità. Il cuore del dissenso riguarda soprattutto i poteri ai prefetti.

Giustizia: e dopo il primo grado scatterebbe già l’arresto

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2007

 

Ladri di appartamento, rapinatori, scippatori, estorso-ri, spacciatori di stupefacenti, stupratori, piromani: basterà la condanna in primo grado, o anche solo il patteggiamento, per fa scattare nei loro confronti una misura cautelare, dall’obbligo di firma o di dimora all’arresto domiciliare o in carcere. È una delle tante novità contenute nel "pacchetto sicurezza" che oggi approda al Consiglio dei ministri per un primo esame, in vista dell’approvazione del testo, prevista entro ottobre.

Un ulteriore giro di vite, che è, però, anche una rivoluzione, dettata dalla necessità di assicurare il più possibile la "certezza della pena", imperativo categorico cui si ispira il pacchetto di misure allo studio del Governo. Attualmente, la possibilità di far scattare una misura cautelare per i reati più gravi (dal furto aggravato all’associazione mafiosa) è prevista soltanto dopo la sentenza di condanna in appello.

Con le nuove norme, viene anticipata alla condanna di primo grado (oltre che al patteggiamento) ed è configurata come una sorta di automatismo ("le misure cautelari personali sono sempre disposte") per chi commette uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del Codice di procedura penale, per i quali la legge stabilisce la pena da 5 a 20 anni di carcere (oppure l’ergastolo) nonché l’arresto in flagranza obbligatorio.

Si tratta di un lungo elenco di reati, in cui rientrano anche lo scippo, il furto in appartamento, la rapina, l’incendio boschivo, l’omicidio doloso, compreso quello che nelle aule di Tribunale si comincia a contestare sempre più spesso a chi guida in stato di ebbrezza. In questi casi, il giudice avrà l’obbligo di far scattare la misura cautelare, se verifica che l’imputato è già stato condannato per un reato della stessa specie nei cinque anni precedenti

(recidivo infra-quinquennale). Per esempio, il rapinatore in precedenza condannato per furto o per scippo o per ricettazione. Il giudice dovrà anche verificare se ricorrono le esigenze cautelari, compreso il pericolo di inquinare le prove. E, alla luce di tutti questi elementi, deciderà qual è la misura cautelare da applicare nella fattispecie.

Dal ministero della Giustizia - dove ha preso corpo gran parte del "pacchetto sicurezza" - fanno osservare che l’obbligo di applicare la misura cautelare fin dal primo grado deriva dal fatto che, dopo la riforma del 2006, la sentenza di condanna deve essere pronunciata "oltre ogni ragionevole dubbio".

Formalmente, la discrezionalità del giudice resta ferma, e quindi la misura cautelare può anche essere esclusa. Ma per com’è congegnata la norma, c’è una sorta di automatismo nell’applicazione. "Dire che le misure cautelari "sono sempre disposte" è molto forte - osserva Nello Rossi, segretario dell’Anni che si riserva un giudizio complessivo sul pacchetto -; è indubbiamente un aggravamento rispetto a quanto previsto attualmente, anche se non viene eliminata la discrezionalità del giudice".

I tecnici del ministro Mastella sostengono che in questo modo si chiude il cerchio della "certezza della pena". L’obiettivo, spiegano, "è instaurare un circuito privilegiato che passa attraverso l’arresto in flagranza, la convalida dell’arresto, l’applicazione della custodia cautelare o di un’altra misura, la celebrazione del giudizio in tempi brevissimi (in questi casi si potrà infatti procedere con il rito immediato, entro 6 mesi dall’esecuzione della custodia cautelare - ndr) e la possibilità di applicare, fin dalla condanna in primo grado, una misura cautelare".

Giustizia: Mastella; parole Veltroni su indulto mi hanno ferito

 

Ansa, 12 ottobre 2007

 

"Non credo che i partiti diventino grandi se il loro candidato leader un anno fa partecipava alle marce sull’indulto e oggi fa marcia indietro. A Walter Veltroni dico con grande franchezza che il Pd sarà punto di riferimento, ma deve essere rispettoso e tollerante degli altri, senza ipocrisie". A parlare è Clemente Mastella, che, nel suo intervento alla Conferenza organizzativa dell’Udeur nella sua qualità di segretario nazionale, è tornato a parlare delle polemiche sull’indulto e ha ribadito: "Non mi piacciono gli atteggiamenti dorotei, come quello di Veltroni sull’indulto, mi ha ferito quello che ha detto. È stato facile - ha poi concluso Mastella - scaricare sull’indulto l’incapacità di dare risposte ad un bisogno di sicurezza".

Giustizia: rapine in banca, all’Italia il record europeo

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 12 ottobre 2007

 

"Prendi i soldi e scappa". L’Italia è terra di primati: nei colpi in banca, per esempio, non ci batte nessuno. La metà delle rapine compiute in Europa viene messa a segno nel nostro Paese. E nei primi 6 mesi del 2007, è record di "colpi": ben 1.565 (26,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2006).

L’allarme-rapine verrà lanciato oggi a Bologna da Cgil, Cisl e Uil nel corso del convegno "La sicurezza in banca". Il fenomeno preoccupa: cresce in Italia, mentre diminuisce nel resto d’Europa. I dati più aggiornati (dell’Osservatorio nazionale Fiba-Cisl) fotografano un picco al 30 giugno scorso: oltre 1.500 rapine dall’inizio del 2007, un quarto in più dell’anno precedente (1.239 al 30 giugno 2006). Aumentano ì colpi, diminuisce il valore medio del bottino: 20.200 euro nel 2006 (su 2.774 rapine, l’incasso complessivo è stato di 56 milioni di euro).

"Dal 1990 ad oggi - conferma il segretario nazionale Fiba-Cisl, Alessandro Spaggiari - è costantemente diminuito il valore delle cifre sottratte ed è cresciuto il numero delle rapine tentate e non portate a termine. Non solo. Nell’ultimo anno sono anche ripresi i colpi con vittime. Quello che è cambiato è senz’altro l’identikit del rapinatore-tipo: non più un professionista, ma spesso un disperato improvvisato". Oggi, nel 60% dei casi, le rapine durano da 1 a 3 minuti; nel 26%, dai 4 ai 7 minuti. E ancora: nell’83% dei colpi, la "banda" è composta solo da una o due persone.

Quali sono le regioni più a rischio? Il record delle rapine spetta alla Lombardia (640 nel 2006), seguita dall’Emilia-Romagna (399), Lazio (314), Sicilia (274) e Piemonte (250). Per quanto riguarda le città, i tassi di rapina più alti si registrano a Torino, Bologna, Roma, Catania, Palermo e Milano.

L’Italia mantiene saldo il record europeo delle banche svaligiate: 2.735 (nel 2005) contro le 728 della Germania, le 484 della Spagna, le 445 della Francia e le 122 della Gran Bretagna. Nel complesso, in Italia si commette il 48,11% del totale delle rapine europee. Tanto che anche l’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, in commissione Finanze della Camera mercoledì scorso ha parlato di un’emergenza-rapine.

Emergenza a cui ben risponde, secondo i sindacati, il disegno di legge presentato in Senato da Giuliano Barbolini (Ulivo). "La proposta - spiega Spaggiari - mira a fare delle rapine una questione sociale". Come? "Con la costituzione di un Osservatorio super partes (e non più dunque solo in mano all’Abi) della rischiosità di sportelli bancari e postali; la pubblicazione annuale dei dati; l’individuazione di un responsabile aziendale del rischio-rapina; l’introduzione di sgravi fiscali per gli investimenti in sicurezza; l’aumento delle pene per chi delinque; le sanzioni per le banche che non applicano le misure minime di sicurezza e infine prevedendo una differenziazione delle aree a rischio. È urgente - conclude Spaggiari - che istituzioni e parti sociali si confrontino su questo disegno di legge per concretizzare azioni che limitino il numero delle rapine in banca".

Giustizia: troppi criminali liberi e decine di prigioni vuote

di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica

 

Il Giornale, 12 ottobre 2007

 

Mentre le prigioni italiane ingolfate di detenuti diventano l’unico alibi per giustificare un indulto ormai troppo impopolare per essere difeso dall’esecutivo, sparse per l’Italia languono una cinquantina di strutture penitenziarie inutilizzate o sottoutilizzate. Carceri che hanno funzionato per brevi periodi salvo poi essere chiuse e condannate all’abbandono, numerose cedute alle amministrazioni comunali dopo la scomparsa delle preture e la conseguente soppressione di gran parte delle vecchie "case mandamentali". Le prime "prigioni fantasma" le ha scovate Striscia la Notizia, ma l’elenco è molto più lungo. A Udine i sindacati denunciano la chiusura della sezione femminile del penitenziario mentre a Gorizia è inagibile un intero piano della galera. Chiusure parziali anche in Veneto, dove la capacità ricettiva è ridotta di 50 unità sia a Venezia che a Vicenza, per lavori in corso.

In Piemonte le cose non vanno meglio. A Pinerolo i tempi della celebre "Maschera di ferro", qui incarcerata a lungo prima di finire alla Bastiglia, sembrano lontanissimi. Il carcere è chiuso da dieci anni. Di quello nuovo c’è solo il terreno, non il cantiere. Nella provincia mantovana, a Revere, dopo 17 anni il carcere da 90 detenuti (costo 5 miliardi) è ancora incompleto. I lavori sono fermi dal 2000, ma i locali costati più di 2,5 milioni di euro sono già stati saccheggiati. Scendendo in provincia di Ferrara, in quel di Codigoro, ecco un carcere che nel 2001, dopo lunghi lavori, sembrava pronto all’uso. Sembrava, appunto, perché è ancora chiuso. Bologna si segnala per lo sperpero di milioni di euro (3,5) per la costruzione di un centro sportivo, destinato ai secondini, finito e abbandonato.

Eccoci in Toscana, a Pescia, dove il ministero ha soppresso la casa mandamentale. Per non dire di Pontremoli, carcere femminile inaugurato nel ‘93: c’è posto per 30 detenute, ma in media le "ospiti" - rivela il sindacato Osapp - sono meno di quattro. Da un mese e mezzo è sbarrato. Problemi simili per l’istituto di Ancona-Barcaglione, 180 posti, inaugurato nel 2005 nonostante le spese di mantenimento della struttura, vuota, ammontassero a mezzo milione di euro l’anno. Gli ospiti non sono mai stati più di 20, i dipendenti 50. In Umbria con la chiusura del vecchio carcere di Perugia centro, grazie a Striscia la notizia, si è inaugurata la nuova struttura di Capanne. Ma un intero padiglione, con celle per 150 detenuti, risulta inutilizzato. Eppure nel vicino carcere di Terni un anno fa sono stati appaltati i lavori per costruirne uno nuovo.

Arriviamo in Abruzzo. Nel penitenziario di San Valentino, costruito da 15 anni, non c’è detenuto che abbia alloggiato: nella struttura le guardie raccontano di aver visto girare cani, pecore e mucche. La Campania non è un’isola felice: Gragnano inaugurato, funzionante e chiuso. Idem Frigento. Morcone, due passi da Benevento, 45 chilometri da Ceppaloni, è pronto ma non parte: i sindacati ironizzano sull’insistenza del Guardasigilli dovuta, così mormora radiocarcere, a creare uno sbocco occupazionale per gli agenti meridionali impiegati al Nord. Scendiamo in Puglia, regina delle carceri-fantasma. Nel Barese oltre a Minervino Murge (mai entrata in funzione, ma finita) c’è il giallo di Casamassima: per il Sappe il mandamentale sarebbe già condannato all’oblio da un decreto del Dap ma il sindaco, Vito De Tommaso, dice: "Non ne so nulla, c’è solo una trattativa col ministero".

A Monopoli, nell’ex carcere mai inaugurato, non ci sono detenuti ma sfrattati che hanno occupato abusivamente le celle abbandonate da 30 anni. Ad Altamura si aspetta ancora l’inaugurazione di una delle tre sezioni della prigione. In Capitanata mai aperti i mandamentali di Volturara Appula (45 posti, incompiuto) e Castelnuovo della Daunia (già arredato da 15 anni). Sempre nel Foggiano tre casi emblematici: Accadia (prigione consegnata nel ‘93, ora del Comune, inutilizzata), Bovino (una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre) e Orsara. Per restare nel tacco d’Italia ci sarebbe poi da dire dell’ex carcere di Francavilla Fontana mentre Spinazzola, chiuso per anni, è finalmente in funzione.

La Basilicata ci regala il caso di Irsina, vicino Matera: qui il carcere costato 3,5 miliardi negli anni ‘80 ha funzionato un anno. Oggi è un deposito del Comune. In Calabria situazione drammatica. Nella mappa delle celle "inutili" oltre a Mileto (leggi sotto) c’è Squillace (ristrutturato e chiuso), Cropani (ci abita un custode comunale), le mandamentali soppresse di Arena, Soriano Calabro, Petilia Policastro e Cropalati (quest’ultimo già convertito in legnaia). E a Reggio nel nuovo carcere di Arghilà, che doveva aprire due anni fa, i lavori vanno a rilento: alla fine costerà 25 milioni di euro.

In Sicilia c’è lo scandalo di Gela: carcere enorme, nuovo di zecca, mai aperto.AVillalba, Caltanissetta, vent’anni fa hanno inaugurato una prigione per 140 detenuti costata, all’epoca, 8 miliardi di lire: dal ‘90 è chiusa, recentemente ne hanno fatto un centro polifunzionale. Licata è off-limits per 25 detenuti, ad Agrigento solo sei detenute occupano i 100 posti della sezione femminile. E finiamo in alto mare sbarcando in Sardegna. Mandate in pensione le case mandamentali di Terralba, Sanluri, Santavi, Carbonia, Bono, Ales, Ghilarza, e soprattutto Busachi (5 miliardi di lire, mai inaugurata), c’è la storia del penitenziario "la Rotonda" di Tempio Pausania, ristrutturato e riadattato, mai riaperto.

Argomento scottante quello delle case di reclusione- lavoro: sull’isola ce ne sono tre (Mamone, Is Arenas e Isili) con grandi potenzialità ricettive per detenuti da reinserire. Solo a Mamone, negli anni ‘70, c’erano 1.500 ospiti. Ora 50. Il motivo? In queste strutture chi ha sbagliato può rifarsi una vita lavorando, ma lo Stato dovrebbe pagargli uno stipendio. Così, per risparmiare, meglio dirottare i galeotti in prigioni sovraffollate. O liberarli con l’indulto.

Giustizia: Telefono Rosa; cresce lo stalking contro le donne

 

Redattore Sociale, 12 ottobre 2007

 

Oltre alle violenze fisiche e psicologiche, in aumento gli atteggiamenti persecutori da parte del partner che non accetta di essere lasciato: riguarda il 30% delle segnalazioni alle associazioni.

Sono 600 le donne che dall’inizio del 2007 si sono rivolte al Telefono Rosa per denunciare violenze e abusi subiti dentro e fuori le mura domestiche. I numeri e dati sono allarmanti. Aumentano le denunce per violenze di tipo psicologico, che sono state segnalate dal 48% del campione, mentre la violenza fisica, intesa come percosse, viene denunciata per il 30% delle donne italiane e per il 45% da donne straniere. Un dato questo che non esaurisce del tutto la portata del fenomeno, ma evidenzia come anche tra le donne immigrate nel nostro paese, la tendenza a denunciare gli abusi stia aumentando nel tempo. Questo secondo Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa è legato al fatto che sono aumentati nei consolati e nelle ambasciate i punti informativi dove le straniere possono recarsi per segnalare di essere state vittime di violenze a personale specializzato che parla la loro lingua.

Ma il dato sicuramente più interessante del rapporto presentato da Telefono Rosa oggi a Roma durante il convegno internazionale "Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse" è quello che riguarda un fenomeno non del tutto nuovo, ma sicuramente ancora poco conosciuto e tutelato: lo stalking. Il 30% delle segnalazioni arrivate a Telefono Rosa da gennaio a maggio 2007 riguardano questa forma di violenza.

Il termine inglese letteralmente significa "perseguitare" e indica tutti quei comportamenti attraverso i quali una persona tormenta con telefonate continue, sms, ma anche appostamenti e intrusioni di ogni genere un'altra persona. Nella maggior parte dei casi si tratta di storie sentimentali finite male.

Lo stalker è infatti quasi sempre l' ex-partner che non si rassegna, tanto da arrivare a trasformare il sentimento in ossessione. In genere chi agisce in questo modo lo fa per recuperare il rapporto o, non di rado, anche per vendetta, perché magari si è stati rifiutati fin dal principio. In ogni caso per la vittima la vita diventa veramente impossibile, perché si trova a vivere in una costante condizione psicologica di ansia e paura.

"Quando è la donna a interrompere un rapporto, molto spesso l'uomo non lo accetta e inizia a perseguitarla. All'inizio c'è uno stretto corteggiamento per tentare di recuperare la storia ma poi si ricorre alle minacce, prima con sms e telefonate, poi con appostamenti sotto casa o fuori dal luogo di lavoro"- ha spiegato Gabriella Moscatelli denunciando anche il vuoto normativo in materia -"il fenomeno non è nuovo anche se sono aumentate le denunce, soprattutto dopo alcuni spaventosi fatti di cronaca.

A mancare è però una legge che possa tutelare le vittime. Non basta fare una denuncia per molestie, perché lo stalking è molto di più. E poi se si dà avvio all'iter processuale della denuncia per molestia possono passare anche mesi in cui la donna continua a subire".

Cinzia Dato, della commissione Affari Costituzionali alla Camera dei Deputati, ha ricordato come sia già stato avviato un disegno di legge Pollastrini-Mastella con l'obiettivo di inasprire le pene per chi commette violenza sulle donne, che introdurrà anche il nuovo reato di stalking: "Il testo di legge è in discussione, ma per ora c'è soprattutto un gioco di compromessi perché si cerca di mettere nella nuova legge più temi, come la violenza a danno degli omosessuali o dei bambini. Il rischio è che si finisca col mettere nel calderone un po' di tutto senza trattare il tema della violenza sulle donne in modo esaustivo." Ma le forme di violenza che riguardano le donne sono molte e dai risvolti inquietanti.

Monica Cirinnà, vicepresidente vicario del consiglio comunale di Roma ha voluto porre l'accento soprattutto sullo sfruttamento della prostituzione ricordando due fenomeni in aumento, quello delle baby prostitute e quello delle donne incinte che offrono sesso a pagamento fino anche all'ottavo mese di gravidanza. "Sono nove milioni gli uomini che vanno con le prostitute" - ha detto - "essi sono complici del racket che rende queste donne delle vere e proprie schiave.

Si sente parlare in relazione alla prostituzione di degrado urbano ma questa è una deviazione pericolosa perché si tratta invece di violazione dei diritti umani. Dobbiamo sottolineare che il problema è culturale per capire cosa c'è nella testa di questi uomini".

E questa mattina, a portare la testimonianza di come le donne siano vittima di violenza in ogni parte del mondo c’erano anche esponenti di altre nazionalità, come Malalai Joya, giovane parlamentare afgana e il vice direttore esecutivo nel Governo birmano in esilio Beaudee Zawnim. Quest'ultimo ha parlato della difficile situazione del popolo birmano sotto il regime militare e ha presentato un rapporto inedito sulle violenze perpetuate dalla milizia ai danni delle donne di etnia Shan negli ultimi dieci anni dal titolo "Licenza di stupro".

Lazio: "Chance", progetto di formazione per i detenuti

 

Il Messaggero, 12 ottobre 2007

 

Stanno per partire i primi corsi di formazione per i detenuti. Con la pubblicazione della graduatoria dei progetti ammessi al finanziamento nell’ambito del progetto Chance, gli enti vincitori potranno avviare le relative iniziative formative. Si tratta del primo programma organico per il conseguimento e recupero di titoli di studio ed alta formazione rivolto alla popolazione carceraria (oltre 3.300 persone).

In tutto, 2.5 milioni di euro del Fondo sociale europeo stanziati dall’assessorato regionale all’Istruzione. Il progetto Chance si propone come un’occasione per la sperimentazione di un sistema di istruzione, formazione ed accompagnamento al lavoro dei carcerati della regione. Il bando nasce dalla collaborazione tra i direttori delle 14 strutture carcerarie del Lazio e del Garante dei detenuti. Grazie alla consultazione tra i vari esperti del settore, sono stati predisposti i questionari per rilevare i fabbisogni formativi dei soggetti in stato di detenzione ed i corsi da realizzare. I corsi sono rivolti, in particolare, all’apprendimento nei settori dell’edilizia, della ristorazione e dell’artigianato.

Anche l’alfabetizzazione informatica e il recupero degli studi, inoltre, hanno trovato posto nel progetto Chance, insieme ai corsi universitari in modalità e-learning. Sono destinati direttamente ai cittadini stranieri, invece, i percorsi finalizzati all’apprendimento della lingua italiana e alla valorizzazione della cultura d’origine.

"Abbiamo voluto rispondere ai bisogni espressi dalle persone detenute - ha sottolineato l’assessore Costa - che riguardano in primo luogo la formazione professionale". Il progetto si avvale della collaborazione di Filas - Finanziaria laziale di sviluppo, incaricata della gestione, del monitoraggio e del coordinamento dell’iniziativa.

Napoli: nuove idee per un carcere, Acen chiama i giovani

di Eleonora Tedesco

 

Il Denaro, 12 ottobre 2007

 

Progettare un "Carcere possibile", a misura d’uomo, per migliorare le condizioni dei detenuti e coinvolgerli in processi di lavoro in grado di consentire un più agevole reinserimento sociale. Ripensare gli istituti carcerari come strutture autonome, autosufficienti e votate al risparmio energetico. È questo l’obiettivo del Concorso d’Idee rivolto a giovani architetti ed ingegneri under 40, residenti in Campania, chiamati a misurarsi nella redazione di un vero e proprio progetto preliminare di "Carcere possibile". La competizione è promossa dal Gruppo Giovani Imprenditori edili dell’Acen, in collaborazione con il Gruppo Giovani di Ance Campania, l’Associazione della Camera Penale di Napoli "Il Carcere Possibile Onlus" e la Facoltà d’Ingegneria dell’Università Federico II.

La Campania ha sul suo territorio 17 istituti di pena, 7 dei quali, nonostante la Legge sull’Indulto, già sovraffollati, con una spesa di gestione energetica di circa 12 milioni di euro annui e una spesa per le risorse umane di circa 72 milioni di euro.

In celle molto piccole, a Poggioreale, possono esserci anche otto detenuti insieme, senza avere la possibilità di stare in piedi contemporaneamente, mente il Carcere di Secondigliano, nonostante sia una struttura relativamente moderna, risulta del tutto inadeguata.

Allarmanti sono anche le condizioni igienico-sanitarie, un terzo dei detenuti campani, infatti, è affetto da epatite C contratta durante la detenzione. Un tale scenario rende assolutamente vano il principio, sancito dalla Costituzione all’articolo 27 comma terzo, che riconosce i diritti dei detenuti e considera la detenzione non come una semplice misura repressiva, ma anche e soprattutto riabilitativa.

La prossima apertura di tre nuovi padiglioni ad Avellino, S. Maria Capua Vatere e Cerinola, se da una parte dà una risposta al sovraffollamento, dall’altra non tutela il diritto alla riabilitazione e alla formazione dei carcerati.

A questa situazione hanno voluto dare una risposta, con il Concorso d’Idee progettuali "Carcere possibile", i giovani dell’Ance e dell’Acen, insieme alla Facoltà d’ingegneria e alla Camera penale di Napoli che, attraverso l’Associazione "Il Carcere Possibile Onlus", da anni si batte perché le carceri diventino strutture a misura d’uomo, che possa rispondere ad esigenze di sicurezza, ma anche a quelle di rieducazione.

Il bando, che sarà pubblicato dal 15 ottobre sul sito web dei costruttori napoletani e sul sito del Ministero della Giustizia, è rivolto ad architetti ed ingegneri, residenti in Campania, chiamati a misurarsi nella redazione di un progetto preliminare di "Carcere Possibile", ovvero un complesso carcerario per cento detenuti, che abbia un corretto dimensionamento delle celle, compartimentazione degli impianti igienici, idonea gestione degli spazi aperti, realizzazione di complessi polisportivi, di sale multimediali e biblioteche.

Sarà, poi, ulteriormente innovativo il compito di chi parteciperà al concorso, che avrà l’opportunità di inserire vere e proprie strutture produttive tali da consentire ai reclusi di sperimentare una reale esperienza lavorativa.

Elementi cardine del concorso, saranno il rispetto di criteri di efficienza ed efficacia della struttura penitenziaria, con particolare riferimento all’impatto ambientale, all’ecologia sostenibile, alle fonti d’energia rinnovabili e a tutti gli strumenti utili ai fini di un reale miglioramento delle condizioni di vita, oltre che della corretta integrazione tra struttura e territorio circostante.

Il progetto vincente sarà premiato con 5 mila euro, i lavori dovranno essere consegnati entro il 14 gennaio 2008 e i risultati saranno resi noti l’11 febbraio 2008. Le idee che risulteranno più idonee saranno, poi sottoposte all’attenzione del Ministero per le Infrastrutture che ha disposto la costruzione di tre nuovi istituti di detenzione sul territorio campano.

 

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