Rassegna stampa 5 novembre

 

Giustizia: sì ai controlli sistematici… non ai rimpatri in massa

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

Un lavoro fatto di controlli sistematici e continui e non espulsioni massicce di cittadini stranieri giudicati pericolosi per la sicurezza pubblica. Dopo l’entrata in vigore del decreto che prevede la possibilità per i prefetti di allontanare anche cittadini comunitari, la circolare inviata loro dal Viminale delinea questo scenario: controlli, approfondimento delle motivazioni alla base delle espulsioni e pianificazione dei rimpatri.

La circolare stabilisce le regole applicative del decreto per l’allontanamento dei cittadini comunitari dal territorio nazionale: un documento di due pagine in cui il ministero dell’Interno raccomanda "la continuità dell’azione, senza far ricorso ad interventi accentuati nel numero, che potrebbero inficiare l’efficacia dei provvedimenti adottati". Quindi controlli sistematici e continuità nell’azione di monitoraggio dei soggetti comunitari da allontanare.

La circolare, firmata dal ministro dell’Interno, Giuliano Amato, nella prima parte spiega le novità introdotte dal decreto legge approvato nel recente Consiglio dei Ministri ed invita i prefetti "ad esercitare i poteri attribuiti loro dalla nuova normativa, adottando iniziative tali da consentire una pianificazione degli interventi che li rendano idonei ad individuare quei soggetti per i quali i provvedimenti di allontanamento siano adeguatamente motivati".

La circolare si conclude con l’invito ai prefetti "ad assicurare un monitoraggio costante delle situazioni a rischio, privilegiando il metodo della sistematicità dei controlli e della continuità dell’azione". Il decreto, tra l’altro, indica due modalità per l’espulsione. Nei casi in cui vi siano "motivi imperativi di pubblica sicurezza" il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore, come in alcuni dei casi di espulsione che si sono verificati subito dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale. Altrimenti il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, "fatti salvi i casi di comprovata urgenza".

Giustizia: Prodi; no a xenofobia. Casini critica anche la Chiesa

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

Il decreto sulle espulsioni "un atto doveroso, oltre che giusto"; "giusto e doveroso" anche organizzare la cooperazione con le autorità romene per la gestione dell’emergenza criminalità e dei flussi migratori; no a "derive xenofobe", non dimenticando che senza il contributo degli immigrati "l’Italia si fermerebbe non solo di notte, ma anche di giorno": sono alcuni passaggi di una lettera del Presidente del Consiglio, Romano Prodi, al Messaggero sul temi di immigrazione e xenofobia.

"La tragedia di Tor di Quinto ha turbato le coscienze di tutti. E la compostezza con cui Giovanni Gumiero e la famiglia Reggiani hanno reagito al dolore mi ha profondamente commosso. Un esempio di altissimo senso civico e morale. Nelle parole del primo ministro romeno Tariceanu, con cui ho parlato a più riprese negli ultimi giorni, c’è mortificazione e vergogna per il crimine efferato di cui si è macchiato il suo connazionale. Ma c è anche la legittima richiesta di tutelare quanti lasciano il loro Paese con il loro carico di speranze e di attese per portare il contributo della loro opera all’economia italiana. Non possiamo dimenticarci che senza il contributo degli immigrati l’Italia si fermerebbe non solo di notte (visto che gran parte di essi sono impiegati nei faticosi turni notturni), ma anche di giorno".

Prodi aggiunge di avvertire il dovere di rispondere "alle esigenze dei cittadini che chiedono più sicurezza", ma anche alle aspettative, "altrettanto legittime, dei tanti stranieri che bussano ogni giorno alle porte sperando di poter avere nel nostro Paese un’esistenza dignitosa".

I provvedimenti adottati dal governo - sottolinea il premier - rappresentano "una prima risposta concreta: il decreto sull’espulsione d’urgenza dei cittadini comunitari pericolosi per l’ordine pubblico e sociale è stato un atto doveroso oltre che giusto. Così come è doveroso e giusto organizzare sempre meglio la cooperazione con le autorità romene per la gestione dell’emergenza criminalità e più in generale dei flussi migratori".

Alcune collaborazioni - ricorsa il premier - sono "avviate da tempo", altre misure "si stanno mettendo a punto in questi giorni". "Penso al potenziamento delle strutture di collegamento del nostro ministero dell’Interno a Bucarest e all’intesa tra le polizie di frontiera italiana e romena per controllare meglio i punti nevralgici del confine occidentale romeno e della nostra frontiera nord-orientale".

Su un piano più generale "entro la fine dell’anno dovremo avviare con i partner europei un’iniziativa comune per regolare al meglio i flussi romeni verso il resto d’Europa evitando, per quanto ci riguarda, lo smantellamento di un regime che al momento prevede, mi preme ricordarlo, l’accesso solo a determinate categorie professionali".

Ma quello che "non possiamo permetterci è la criminalizzazione di un popolo intero per colpa di un singolo o di una minoranza. Quello che dobbiamo evitare, anche per rispetto alla famiglia Reggiani, è la strumentalizzazione politica di una vicenda gravissima e dolorosissima, ma che va ascritta e circoscritta nell’ambito del fenomeno criminale. Bisogna evitare il rischio di derive xenofobe. Perché la xenofobia e l’intolleranza non appartengono ai nostri valori e alla nostra cultura".

"Dobbiamo perciò continuare - sottolinea Prodi nella sua lettera al Messaggero - nella nostra politica di Paese serio, europeo, che crede nei valori della libertà, della democrazia, del rispetto della dignità umana e della solidarietà. Un Paese che tende ad attribuire a tutti coloro che vivono sul proprio territorio, indipendentemente dalla nazionalità, i medesimi diritti e i medesimi doveri. Dobbiamo continuare ad aprirci a cittadini di altri Paesi che decidono di venire da noi legalmente e di accettare le nostre regole di convivenza. Con la stessa determinazione dobbiamo continuare a respingere coloro che cercano di stabilirsi da noi illegalmente e che a queste regole non intendono conformarsi".

Azzerare i flussi di immigrati nel nostro Paese "non è possibile semplicemente perché non è possibile ignorare le conseguenze della demografia. Dobbiamo anzi imparare sempre di più a considerare l’immigrazione legale come una risorsa, un sostegno per i nostri sistemi economici e sociali. L unica cosa ragionevole da fare quindi è attrezzarsi al meglio per farvi fronte. Dialogare con i Paesi di origine e offrire loro incentivi per porre un freno alla partenze indiscriminate, soprattutto se si tratta di persone con precedenti penali. E allo stesso tempo - scrive il premier - dotare il nostro Paese degli strumenti per governare una società destinata a diventare sempre più multietnica e multiculturale, e quindi sempre più articolata".

Prodi aggiunge di continuare a credere che sia stato "un bene aver accolto la Romania in Europa" e sottolinea, con una serie di cifre, l’intensa cooperazione economica che esiste tra Italia e Romania. "La realtà quindi è che la Romania è un Paese amico e che i romeni sono un popolo con il quale lavoriamo bene insieme. Non dobbiamo permettere - conclude il premier - che una minoranza criminale da un lato e xenofoba dall’altro rovini questa amicizia e questa collaborazione dalla quale entrambi i nostri popoli hanno molto da guadagnare".

Giustizia: Andreotti; dobbiamo educarci tutti alla convivenza

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

"Bisogna educarci tutti quanti un po’ di più alla convivenza, anche con gli stranieri, perché non sono solo loro che creano problemi. A Roma, quando erano due soli, Romolo e Remo, uno ha ammazzato l’altro". A dirlo è stato Giulio Andreotti parlando con i giornalisti, a Castrovillari, a margine di un convegno dell’Associazione medici cattolici, in merito ai problemi della sicurezza. "In Italia - ha aggiunto - c’é la criminalità. Non so se sia statisticamente superiore a prima oppure più attiva di prima che era clandestina. Però, ringraziando Dio, non è che siamo un Paese dove la cronaca nera è prevalente. La gran parte delle città vive con grande tranquillità".

Giustizia: Fini (An); servono 20mila espulsioni... solo a Roma

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

"Solo a Roma andrebbero fatte subito 20.000 espulsioni", dice il leader dei An Gianfranco Fini durante la trasmissione In mezz’ora di Lucia Annunziata, su Rai3 a proposito del decreto sulle espulsioni dei cittadini comunitari emanato dal governo dopo l’uccisione di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto. Secca la replica di Linda Lanzillotta, ministro per gli affari regionali, già assessore comunale.

Rutelli: "L’on. Fini, tardivamente e opportunisticamente, si accorge che Roma, come tutte le grandi metropoli europee deve fronteggiare il problema del crimine e dell’illegalità. Peccato che non se ne sia accorto quando era consigliere comunale della Capitale e i suoi compagni di partito - Fini silente - distruggevano i campi nomadi realizzati dalla Giunta Rutelli per eliminare le baraccopoli illegali".

Giustizia: Matteoli (An); voteremo decreto con emendamenti

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

"C’é la volontà da parte nostra, se verranno accettati alcuni emendamenti, di votare il decreto sulla sicurezza che è una questione che riguarda tutti". Lo ha detto il capogruppo di An al Senato Altero Matteoli a Firenze intervenendo a margine di un incontro in occasione del 41/mo anniversario dell’alluvione della città. Gli emendamenti proposti, ha spiegato Matteoli, prevedono che "non deve entrare in Italia chi non ha un lavoro e una casa".

"Anche la persona più onesta del mondo - ha aggiunto - quando non ha un lavoro, un permesso di soggiorno e un posto dove stare, è portata a delinquere. In sostanza dovrà essere riconfermata la Bossi-Fini che prevedeva proprio questi aspetti". Secondo il capogruppo di An "fino ad ora questo Governo si è mosso nel peggiore dei modi e ha dato la sensazione che in Italia ci fosse un sistema permissivo e che questo fosse il paese del Bengodi".

Giustizia: Epifani (Cgil); il governo rumeno ha responsabilità

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

Il governo della Romania dovrebbe chiedersi se non c’è stata qualche omissione da parte sua relativamente ai flussi migratori verso l’Italia: è quanto ha affermato Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, rispondendo alle domande dei giornalisti a margine di un’iniziativa dei sindacati di scuola e funzione pubblica al Cnr di Pisa.

"Oggi il governo della Romania esprime preoccupazione - ha detto - credo che si debba anche interrogare se per caso non abbia commesso delle omissioni in questa fase". Secondo il leader della Cgil, per il quale "è necessaria una cooperazione fra governi", questo "è un momento delicato, perché siamo alle prese con un sentimento di paura e di insicurezza che attraversa tutto il Paese, compresi i ceti popolari, quelli più umili, del quale bisogna assolutamente tener conto".

Epifani, dall’altro lato, condanna però anche le reazioni del centrodestra: "Non vanno bene queste tendenze xenofobe e razziste, questo rigurgito che viene riproposto da destra in alcune città. Bisogna tenere ferma la barra, ricordare che tutte le responsabilità sono sempre individuali, e mi pare di poter dire che il governo si sia messo nella giusta direzione". Il leader della Cgil non considera giusta "nessuna criminalizzazione verso gli immigrati: sono una risorsa, hanno diritti e hanno doveri. Tutte le responsabilità individuali vanno accertate e colpite con la severità necessaria. Bisogna far sentire le persone più sicure".

Giustizia: agitazione penalisti contro decreto su espulsioni

 

Ansa, 5 novembre 2007

 

Dopo la decisione del Governo di trasformare in decreto uno dei cinque disegni di legge del pacchetto sicurezza, la giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane ha proclamato lo stato di agitazione "contro una così pesante spirale autoritaria, che per di più non serve a procurare sicurezza ai cittadini, ma serve solo a creare una cortina fumogena che mascheri le incapacità di gestione del territorio e degli agglomerati sociali".

Ricordiamo che il Consiglio dei Ministri dopo il caso della donna aggredita a Roma da un cittadino Rumeno, ha convocato una riunione straordinaria a seguito della quale sono state trasformate in un decreto legge le misure sulle espulsioni.

Lo scopo dell’intervento del Governo, come si legge in un comunicato stampa, è stato quello di "rendere immediatamente possibile l’esecuzione dell’allontanamento di cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza nei termini che già erano stati definiti dal disegno di legge in materia di sicurezza urbana".

Giustizia: 10 carceri in costruzione, altre 7 in ampliamento

di Bianca Stancanelli

 

Panorama, 5 novembre 2007

 

Trento, provincia autonoma, il nuovo carcere hanno deciso di costruirselo da soli. "Da decenni avevamo un problema aperto con lo Stato, che qui si occupa solo di ordine pubblico e giustizia" spiega Lorenzo Dellai, presidente della Provincia.

"Carcere e tribunale versavano in totale abbandono. Così, nel 2001, abbiamo stretto un accordo dì programma con lo Stato: in cambio di alcune aree dismesse dall’Esercito ci siamo impegnati a realizzare varie strutture, compreso il penitenziario. Due anni fa abbiamo redatto i progetti, un anno dopo abbiamo aperto il cantiere. Contiamo di inaugurare l’edificio nel giugno 2010".

Un record, se l’obiettivo verrà rispettato. Perché, nell’Italia delle carceri che scoppiano (quasi 47 mila detenuti, contro una capienza di 42.592), i tempi medi di costruzione di un istituto di pena variano tra i 15 e i 20 anni. Tanto che, dei nove edifici dichiarati ufficialmente "in costruzione" dal ministero delle Infrastrutture per due (Savona e Forlì) non è ancora stata posta la prima pietra e per un altro (Reggio Calabria) i lavori sono fermi al primo lotto, in attesa di nuovi finanziamenti.

E mentre la popolazione carceraria cresce al ritmo di 600 detenuti in più al mese, secondo i dati del Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, sulla costruzione di nuove strutture si accendono fuochi di polemica tra i grandi duellanti del governo, il ministro della Giustizia Clemente Mastella e quello delle Infrastrutture Antonio Di Pietro.

Occasione dello scontro sono state le polemiche sul rientro in cella dei condannati messi in libertà con l’indulto, nell’estate 2006: dei 27 mila scarcerati, quasi 7 mila sono già tornati indietro. Risultato: i 205 istituti di pena che il provvedimento di clemenza intendeva svuotare sono tornati al sovraffollamento. Da sempre contrario all’indulto, Di Pietro ne ha approfittato per punzecchiare il ministro della Giustizia: "Nel mio piccolo" ha dichiarato "mi sono impegnato a poter costruire delle carceri, togliendo i soldi in Finanziaria ad altre infrastrutture. Ma il mio compito è quello del muratore: io posso fare le carceri solo se qualcuno mi dice come farle, dove farle e con quali soldi farle".

Quel qualcuno, si capisce, è Mastella. Che non ha perso tempo per rispondere in Parlamento: "Sulla costruzione di nuovi istituti penitenziari, la competenza è del ministero delle Infrastrutture: qualsiasi rilievo sui tempi non può essere mosso alla mia amministrazione". Quanto al ministero della Giustizia, ha continuato Mastella, ha in corso "un ampio programma di recupero e ristrutturazione" degli istituti esistenti con "interventi per la realizzazione di circa 3.300 posti di detenzione".

È difficile che si possa rimediare così al sovraffollamento. Hanno scritto i ricercatori di Antigone, un’associazione di volontariato specializzata nel lavoro sui detenuti, fotografando nel loro ultimo rapporto sugli istituti di pena la situazione pre-indulto: "In 15 anni, dal giugno 1991 al giugno 2006, la popolazione reclusa in Italia è raddoppiata, superando le 61 mila unità". Ma dal giugno 1987 al dicembre 2000 non c’è stato alcun finanziamento per la costruzione di nuovi penitenziari. Anche perché, alla fine degli anni Ottanta, scoppiò lo scandalo delle "carceri d’oro": un giro vorticoso di mazzette legato agli appalti. Così oggi, testimoniano gli esperti di Antigone, "la stragrande maggioranza degli istituti di pena non è a norma, cioè non risponde alle disposizioni del regolamento penitenziario in merito sia alla struttura in sé sia al trattamento".

E ci sono, qua e là, "situazioni che ricordano la carcerazione descritta da Dumas per il Conte di Montecristo, per esempio Sala Consilina, un ex convento del Salernitano dove le celle sono situate nei vecchi depositi semisotterranei, e Favignana, dove le celle si trovano al livello del fossato dell’antico castello duecentesco".

Dopo il vuoto degli anni Novanta, i primi finanziamenti per nuovi istituti di pena arrivano con la Finanziaria 2001 Presidente del Consiglio è Giuliano Amato, ministro della Giustizia il diessino Piero Fassino: si stanziano 800 miliardi per costruire nuove carceri, ipotizzando che possano essere i privati a occuparsene. "Abbiamo varato un piano strutturale per risolvere la criticità del sistema carcerario" dice Fassino. Ma sarà il leghista Roberto Castelli, suo successore al ministero della Giustizia, a ereditare piano e finanziamenti.

Ricorda Castelli: "Quando ho lasciato, erano in programma 21 penitenziari". I nove ufficialmente in costruzione oggi sono ciò che resta di quel programma. Tutti gli altri sono rimasti allo stato di progetto. "Le difficoltà sono enormi" spiega l’ex ministro.

"E cominciano subito, non appena il comitato paritetico tra i ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture stabilisce dove costruire le strutture e si prende contatto con gli enti locali. Perché al Sud i penitenziari li vogliono tutti e si scatenano tra i comuni le rivalità, al Nord, invece, non li vuole nessuno e se solo si sparge la notizia che si costruirà un carcere nascono i comitati di cittadini disposti a tutto pur di bloccare l’iniziativa".

Per superare gli ostacoli, da ministro Castelli pensò di ricorrere al leasing: i privati avrebbero costruito e lo Stato avrebbe preso in locazione i nuovi istituti di pena. Nacque una società per azioni, la Dike Aedifica: doveva vendere i vecchi edifici, come il castello prigione di Favignana, e trovare così i soldi per finanziare nuove strutture.

"Bandimmo la gara europea" ricostruisce Castelli. "La Corte dei conti ci mise sotto accusa, l’Ance, associazione dei costruttori, presentò ricorso. E nel frattempo la Patrimonio spa riuscì a vendere strutture per 2 milioni di euro appena". Nell’estate 2006 la Dike è stata ufficialmente chiusa dal nuovo ministro, Mastella. E le gare per l’acquisizione in leasing di due penitenziari, a Varese e a Pordenone, sono state annullate.

Una cattiva stella, del resto, sembra brillare sugli istituti di pena. A Gragnano, in Campania, la nuova casa circondariale, voluta dal Comune, è stata chiusa d’autorità nel 2003: costruita su caverne di tufo, risultava pericolante.

A Marsala, bandito l’appalto nel 1987, ci si è avvitati in una contesa giudiziaria ancora in corso. Ad Ancona il nuovo penitenziario, iniziato negli anni Ottanta e realizzato in vent’anni, è stato edificato su un terreno franoso. "Era appena aperto e veniva giù un muro" ricorda Castelli. "È sempre così dati i tempi di costruzione: quando l’edificio è terminato e il ministero delle Infrastrutture lo consegna alla Giustizia, o si scopre che manca qualcosa oppure si verifica che la parte costruita per prima presenta tutta una serie di magagne".

Col passare del tempo, poi, cambiano le esigenze, si modifica la politica penitenziaria. È così che sono finite in pensione le vecchie case mandamentali, piccoli istituti che servivano ai tempi in cui operavano le preture. Secondo le cifre del Dap, delle 350 case mandamentali sparse nel Paese, tutte ospitate da immobili di proprietà dei comuni, 329 sono state restituite alle amministrazioni locali: alcune accolgono stranieri e senzatetto, altre sono state semplicemente abbandonate.

Le ultime 21, invece, mantengono la destinazione a penitenziari. Altre celle destinate a riempirsi oltre misura di detenuti? Commenta Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia: "Le carceri sono sovraffollate perché si arresta troppa gente inutilmente: questa è la sola verità scientifica. A San Vittore, a Milano, è entrato un senza dimora finito in cella perché si era allontanato dagli arresti domiciliari su una panchina! L’unico rimedio serio contro le carceri che scoppiano è riformare le leggi che producono detenzione non necessaria".

Ha scritto Giuseppe Mosconi, docente di sociologia del diritto e direttore del master in prevenzione della devianza e sicurezza sociale all’Università di Padova: "La strategia di chi vorrebbe risolvere il problema del sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri è illusoria. L’attivazione di nuovi posti, nei breve-medio termine, induce piuttosto un incremento della popolazione reclusa". Come dire: più celle ci sono, più se ne riempiono. Un paradosso? Sulle carceri, la polemica continua.

Giustizia: 96 i detenuti morti nel 2007, di cui 37 per suicidio

di Davide Madeddu

 

L’Unità, 5 novembre 2007

 

Le carceri si affollano nuovamente e cresce anche il numero dei detenuti che muoiono dietro le sbarre. Il dossier elaborato da Ristretti orizzonti, l’associazione che edita anche il notiziario di www.ristretti.it, parlano chiaro: dal 1 gennaio al 31 ottobre nelle carceri d’Italia parlano di 96 detenuti morti dietro le sbarre, 37 dei quali per suicidio.

E i numeri elaborati dall’associazione, che, come spiegano i volontari nel grafico "non rappresentano la totalità delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari italiani", mostrano comunque la crescita del fenomeno. Si passa, infatti, dai sei casi di gennaio, cinque morti per malattia e uno per incidente, ai 5 di febbraio - marzo.

Una prima impennata però di registra ad aprile quando dietro le sbarre si uccidono sei persone, due detenuti muoiono di overdose e uno di malattia. Un dato che si registra anche nei mesi successivi. Tra settembre e ottobre il bollettino stilato da ristretti parla di 17 persone morte dietro le sbarre, tra suicidi, overdose, malattia e cause da accertare. Un dato che, come spiegano i volontari "evidenzia la crescita del fenomeno". Non è comunque tutto.

Le statistiche elaborate da Ristretti riguardano anche i sette anni che vanno dal 2000 al 2007. In questo periodo dietro le sbarre si sono uccise 426 persone (pari al 36 per cento del totale) e ne sono morte complessivamente 1185. Dati che fanno registrare una crescita, soprattutto, negli ultimi due mesi. Motivo?.

"La tendenza, come ha spiegato il direttore del Dap è quella di un ingresso di mille persone al mese - spiega Fabrizio Rossetti - è chiaro che le risorse che prima potevano andare bene per un certo numero di persone adesso comincino ad essere ridotte". Risultato? "Meno servizi per chi sta dietro le sbarre, perché le somme sono sempre le stesse". Troppo poche per far funzionare un sistema che nell’arco di un anno "rischia di dover fronteggiare una nuova stagione di sovraffollamento".

Punta il dito sul pacchetto sicurezza, invece, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Si tratta di un insieme di norme che non aiuteranno la giustizia e la sicurezza di questo Paese. Ci avevano detto che avrebbero riformato il codice penale e invece hanno nuovamente e disordinatamente messo mano alla custodia cautelare, alla Simeone - Saraceni, al sistema penitenziario. Questo ultimo non sarà capace di reggere l’impatto dell’ennesimo inutile e dannoso pacchetto sicurezza. Al posto di rendere efficiente l’azione investigativa e di giustizia riducendo i tempi dei processi, si va ad alimentare un ulteriore e ingiustificato allarme sociale".

Giustizia: affidamento ai servizi, recidive solo in 19% dei casi

 

Dire, 5 novembre 2007

 

Roma - Una giornata di confronto sugli scenari aperti dalle proposte di riforma della giustizia che riguardano le misure alternative e, in particolare, l’affidamento in prova al servizio sociale. Ne parleranno mercoledì 7 novembre a Roma, gli assistenti sociali iscritti all’Ordine, insieme ai vertici dell’amministrazione giudiziaria, ai rappresentanti della professione, ad esponenti del mondo del volontariato e della magistratura di sorveglianza.

L’affidamento in prova è la forma di esecuzione penale più "aperta" prevista dalla legge italiana, ormai da più di trent’anni. Viene scontata completamente all’esterno della struttura carceraria, nella comunità, e ha come titolare del trattamento il servizio sociale, inserito nel sistema penitenziario dal 1975.

Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria, i risultati sono positivi sia per quanto riguarda la percentuale di revoche dell’affidamento che si attesta, nell’ultimo anno, sul 4%, sia per il totale di revoche di tutte le misure alternative che raggiunge poco più del 6%.

Tutto questo nonostante la crescita delle misure alternative sia stata costante ed esponenziale. Dal 1991, quando i casi erano meno di 5.000, si è giunti nel 2005 a quota 45.000. Ma il dato più significativo è quello relativo alla recidiva: secondo una ricerca condotta dalla stessa amministrazione penitenziaria, per i sette anni che vanno dal 1998 al 2005, solo nel 19% dei casi vi era stata recidiva tra i soggetti affidati in prova al servizio sociale, contro la recidiva del 68,45% riscontrata per coloro che avevano scontato la condanna in detenzione e che erano stati scarcerati, a fine pena, nel ’98.

Palermo: un detenuto in A.S. chiede un po’ di "normalità"

 

La Sicilia, 5 novembre 2007

 

È del 21 settembre 2007 la lettera inviataci da Lorenzo Tumino, detenuto presso il carcere di massima sicurezza di Termini Imerese. Una scrittura "rinchiusa" che pone l’attenzione su uno dei tanti luoghi popolati da identità invisibili.

"Mi presento: sono Tumino Lorenzo, detenuto presso la casa circondariale di Termini Imerese. Il 20 settembre 2007 ho letto un articolo sull’allegato "Vivere Sette" riguardante questa struttura. L’articolo raccontato in chiave storica è determinante ai fini di una buona e giusta informazione, cosa che oggi viene fatta raramente o troppo poco dai mass media ma che quando viene fatta, fa luce sulle ombre e sugli sbagli che in modo feroce hanno attaccato non solo l’articolo 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo, ma anche la Costituzione e l’ordinamento penitenziario.

L’opinione pubblica… deve essere informata che la maggior parte della popolazione detenuta è rinchiusa in strutture pessime, senza percorsi di recupero e con restrizioni che non toccano il reato di per sé, ma al contrario distruggono lo stato psicofisico del condannato malgrado la voglia e la speranza di migliorare se stessi con idee e progetti che sicuramente non mancano…Oggi la struttura di Termini Imerese si presenta decrepita…

Nessun parametro di questa struttura coincide con un diritto, con una legge o una norma. Adesso ciò che chiedo al vostro giornale è di accogliere questa mia descrizione e di conseguenza fare, una volta per tutte, chiarezza sul problema di questa struttura che, come altre in Italia, deve essere cambiata in meglio dalle istituzioni e posso garantire che la partecipazione della popolazione detenuta è piena e pronta a contribuire e a risolvere in tutti i modi i problemi.

L’essere un detenuto di alta sorveglianza qui a Termini Imerese significa essere un vegetale che non può applicare le sue potenziali qualità al servizio della comunità interna ed esterna. Come può essere recuperato un individuo se ad ogni domanda di studio, lavoro, gli viene risposto che non può fare nulla essendo un detenuto A.S., di Alta Sorveglianza?".

Libro: "In carcere all’Ucciardone", di Calogero Gueli (Incontri)

 

www.agrigentonotizie.it, 5 novembre 2007

 

È in corso di pubblicazione il nuovo romanzo di Calogero Gueli, l’ex sindaco di Campobello di Licata, attualmente imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. "In carcere all’Ucciardone", questo il titolo del libro che dovrebbe essere pubblicato dalla "Incontri Editore" entro il 10 dicembre prossimo.

Si tratta delle memorie di Calogero Gueli nei 20 giorni di reclusione nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, dove è finito nell’ambito dell’operazione antimafia della Dda di Palermo denominata "Saraceno". Calogero Gueli è noto come uomo politico dei Ds e amministratore: è stato deputato regionale del Pci dal 1976 al 1981 e dal 1986 al 1991. Numerose volte sindaco di Campobello di Licata: dal 1968 al 1969; dal 1972 al 1976; dal 1982 al 1986; dal 1988 al 1992 e dal 1998 al 2006. Ma è anche giornalista e scrittore con una ricca produzione letteraria, ha già scritto 10 libri di narrativa, 7 libri di poesia e un saggio dedicato allo "Scioglimento del consiglio comunale di Campobello di Licata". Adesso "In carcere all’Ucciardone", il libro in cui Gueli racconta "i giorni di dolore" nel carcere palermitano.

Droghe: proteste per lo "sfratto" del Ser.T. di Rebibbia

di Anna Pizzo

 

Carta Roma e Lazio, 5 novembre 2007

 

La moda degli sfratti dilaga e a finirci imprigionato può essere chiunque perfino il Servizio pubblico per le Tossicodipendenze. È quanto sta accadendo nella terza Casa circondariale di Rebibbia la cui direttrice ha di recente deciso di dare il ben servito ai quarantadue operatori. Per chiarire i termini della questione, è necessario fare un passo indietro.

Il Sert a Rebibbia è stato costituito nel 1995 e da allora è pienamente operativo. È l’unico servizio pubblico per le tossicodipendenze a essere situato dentro un carcere. Un esperimento non facile quello di introdurre un elemento "esterno" nella istituzione carceraria che non ha mai gradito, in generale, che enti pubblici esterni potessero avere titolo a vedere direttamente cosa avviene all’interno del carcere (cosa che risulta evidente anche dallo stentato iter della legge regionale sui detenuti, attualmente ancora in discussione nell’aula della Pisana e per ben tre volte interrotta a causa della mancanza del numero legale).

Eppure, se non ci fossero barriere ideologiche e politiche, sarebbe la soluzione migliore per venire incontro con rapidità alle emergenze che si possono verificare in un luogo che, ricordiamolo, è popolato per un terzo da detenuti tossicodipendenti. Ecco perché un accordo di programma siglato tra la Regione Lazio e il ministero della giustizia nel 2000 avrebbe dovuto garantire tale delicato rapporto. Un accordo, primo e unico su tutto il territorio nazionale, che ha permesso regole certe per la tutela dei diritti dei detenuti ad avere le migliori e tempestive cure erogabili da un Sert e la tutela degli operatori che vengono fortemente danneggiati dal dover sottostare alle diverse "interpretazioni" e dislocazioni da parte dei direttori carcerari.

Il Sert di Rebibbia, che conta quarantadue operatori, cinque tirocinanti e un volontario. Ma, improvvisamente, un ordine di servizio della direttrice ha praticamente sfrattato il Sert: l’ufficio protocollo, l’archivio, la sala riunioni e la sala della consegna quotidiana dei compiti al personale non possono più restare nei locali fin lì utilizzati. Non solo: nonostante proprio quei locali fossero stati precisamente indicati nell’accordo di programma del 2000, l’ordine di servizio predispone di lasciarli liberi entro un paio di settimane. Non contenta, la direzione del carcere ha anche predisposto il blocco delle linee telefoniche in uscita verso i cellulari e le interurbane, impedendo in questo modo il contatto tra il Sert del carcere e quelli dei luoghi di provenienza dei detenuti. Dopo vani tentativi, ora gli operatori si rivolgono all’assessore alla sanità perché, a sua volta, ottenga una risposta dal ministero.

Droghe: da Forlì un'inchiesta sui cambiamenti del mercato

 

Dire, 5 novembre 2007

 

Il mercato della droga non conosce crisi. I dati dell’Osservatorio sulle dipendenze patologiche del Sert dell’Ausl di Forlì dicono che aumentano le persone che fanno uso di sostanze psicotrope, ma cambiano e si differenziano i modelli di consumo. Pur restando l’eroina in testa, informa una nota, crescono infatti quanti usano cocaina (+3,7% dal 2005 al 2006) e fumano cannabis (+2,3% dal 2005 al 2006). È questo il quadro che emerge dall’attività del Sert dell’Ausl di Forlì.

Il Sert ha seguito, nel corso del 2006, 495 tossicodipendenti, 181 alcol dipendenti, e 78 tabagisti, prestando inoltre aiuto sia a 88 detenuti della casa circondariale di Forlì con problematiche legate all’abuso di sostanze stupefacenti sia 77 pazienti provenienti da altre Aziende Usl.

"In questi ultimi anni - spiega il direttore Edoardo Polidori - abbiamo potuto constatare come la dipendenza da sostanze legali e illegali sia divenuta una realtà trasversale per età ed estrazione sociale: come servizio ci troviamo a fare i conti sia con ragazzi giovanissimi sia con adulti, di ogni ceto". L’età media dei soggetti seguiti, non a caso, è di 34 anni, anche se i nuovi sono di 5 anni più giovani di quelli già in carico, con un utente su due regolarmente occupato e solo il 30,3% senza impiego.

La maggioranza risiede nel territorio forlivese (74,9%), l’11,1% fuori Regione e il 6,7% a Cesena o in altre città dell’Emilia-Romagna. "Ormai è superata l’immagine che vuole il ricorso alle droghe come conseguenza di disagio sociale o come via d’uscita dai problemi della vita sempre più persone fanno uso di sostanze per desiderio di trasgressione, di evasione da momenti di noia, o anche solo per la ricerca di attimi di piacere e divertimento".

Fra quanti sono in cura al Sert, infatti, si registra un aumento di consumatori di cocaina (22% contro il 18,3% del 2005) e di cannabinoidi (16% contro il 13,7% del 2005), mentre l’eroina, pur restando il prodotto d’abuso primario (55,2%), è in calo percentuale.

"Una delle nuove sfide cui ci troviamo davanti è proprio la presenza di modelli di consumo e dipendenza quanto mai differenziati: da una parte ci sono coloro che conducono una vita "normale", perfettamente integrata nella società, e tendono, in determinate situazioni, a fare uso o abuso di sostanze, dall’altra, invece, c’è chi, assumendole in condizioni di estrema precarietà e povertà, sviluppa più facilmente forme di dipendenza molto distruttive e autodistruttive". Al momento l’utenza del Sert è composta soprattutto da persone appartenenti alla seconda sfera, mentre l’obiettivo è arrivare a curare anche i consumatori della prima fattispecie.

Anche per quanto riguarda l’alcol, si registrano nuove abitudini di consumo. Per quanto riguarda i soggetti in cura al Sert, si segnala un aumento rispetto al 2005, con 62 nuovi accessi. L’età media è di 45,7 anni, con i nuovi più giovani di circa 5 anni. Quasi la metà è occupata regolarmente (46,4%), mentre i disoccupati sono il 21,5%, con un 16,2% di pensionati.

La maggioranza risiede a Forlì (83,4%) ma il 40% dei nuovi proviene da territori esterni al comprensorio locale. Fra le sostanze d’abuso nella popolazione in carico, quella primaria rimane il vino (59,1%), seguito da birra (24,9%) e superalcolici (13,3%). Questo, però, perché, fra i soggetti in cura, coloro che hanno meno di 30 anni sono praticamente inesistenti.

Degli 88 detenuti seguiti, invece, - 81,2% già in carico e 19,8% nuovi - 19 sono alcol dipendenti e il restante tossicodipendenti. L’età media è di 35,4 anni, mentre le sostanze d’abuso sono nell’ordine cocaina, eroina e alcol.

Passando ai trattamenti, sono diversi i percorsi predisposti dal Sert per aiutare a uscire da situazioni di dipendenza: psicoterapie individuali e di gruppo, supporti medico-farmacologici, riabilitazione attraverso inserimento in comunità o gruppi di auto-aiuto.

Nel 2006, i soggetti con problemi di tossicodipendenza trattati dal Sert sono stati 480, per un totale di 1.595 prestazioni erogate, pari a 3,3 per persona. Il 57,7% dei pazienti ha usufruito di un "sostegno socio-educativo", il 38,5% di "colloqui psicologici", il 32,3% di un trattamento "metadone a lungo termine", il 31,9% di "controlli di salute", mentre l’8,8% è stato in comunità terapeutica.

Gli alcoldipendenti che hanno ricevuto almeno un trattamento sono stati invece 171, con 683 prestazioni erogate, per una media di 3,9 per soggetto. Per quanto riguarda le tipologie, più di un utente su due ha usufruito dei "controlli di salute", circa uno su due di trattamento farmacologico specifico per l’alcoldipendenza, il 38,6% di un "colloquio psicologico", e il 31% di un "sostegno socio-educativo".

Il 15,8%, infine, è stato inserito in "gruppi di auto-aiuto pazienti". Sul fronte fumo, nel 2006 dei 78 utenti (43 femmine e 35 maschi) che hanno effettuato una prima visita e un colloquio di valutazione all’Ambulatorio Antifumo, il 79,5% ha intrapreso un programma: 43 hanno optato per la terapia individuale, 19 per quella di gruppo.

Droghe: non negare la patente a chi è in cura col metadone

di Matteo Pacini*

 

Notiziario Aduc, 5 novembre 2007

 

La legislazione sulla sicurezza stradale ha finora giocato solo ad un braccio di ferro tra tolleranza e sanzione. Le uniche discriminanti che costituiscono oggetto di discussione è rappresentata dal limite massimo tollerato per l’alcol, e dall’eventualità di consentire l’uso di droghe leggere entro certi limiti. Le lacune legislative sono molteplici.

I fenomeni di assuefazione farmacologica, ad esempio, non sono considerati: un soggetto occasionale assuntore di alcol, se supera il limite, è considerato quindi ugualmente sanzionabile di un consumatore cronico, e se proprio si dovesse fare una discriminazione, il bevitore abituale sarebbe penalizzato. Paradossalmente, il bevitore cronico non alcolista è un consumatore controllato, ed è relativamente più assuefatto di un bevitore discontinuo, che quindi è molto più "Ubriaco" dell’altro, a parità di quantità, ogni volta che beve. In secondo luogo.

Un altro problema è rappresentato dagli assuntori abituali di medicine che sono ambiguamente incluse nelle tabelle degli stupefacenti, con particolare riferimento al metadone e buprenorfina. Gli assuntori di questi farmaci su prescrizione, non solo sono mediamente in grado di guidare e manovrare apparecchi elettrici e meccanici, ma oltretutto sono da queste terapie tenuti distanti dal rischio di intossicarsi con alcune droghe.

Per i soggetti tossicomani in trattamento con agonisti oppiacei, il mantenimento è strumento irrinunciabile per garantire la prevenzione delle ricadute, e la neutralizzazione del narcotico anche in caso di assunzione estemporanea (gli agonisti a dosi terapeutiche sono infatti anche efficaci bloccanti degli oppiacei). Di fatto invece, i soggetti che si curano si vedono sistematicamente negata la concessione o restituzione della patente, e invitati a sospendere la terapia per poterla riottenere.

Questo atteggiamento cieco ma non regolamentato per legge spinge molte persone a uscire dal circuito delle cure scordandone l’importanza preventiva, e crea un ostacolo notevole alla riabilitazione (guidare per motivi di lavoro è quasi inevitabile). Insomma, la legge non fa distinzione tra drogarsi, essere tossicomani, e tenere a bada la tossicomania con le medicine. Inoltre, spesso eccezioni si fanno per chi assume dosi "basse", ignorando che negli assuntori abituali dosi basse e dosi alte sono assolutamente equivalenti, dato lo stato di assuefazione.

Una recentissima proposta innovativa, che costituisce una forma avanzata di politica proibizionista, è quella ufficializzata dal Movimento Sociale Fiamma Tricolore e consultabile sul sito nazionale. L’impostazione prevede due punti innovativi e scientificamente corretti: a) la depenalizzazione della condizione di tossicomane con obbligo di distinzione da quella di consumatore "libero"; b) la compatibilità dello status di soggetto dipendente da una terapia anti-tossicomanica come il metadone con la guida, in assenza di altre condizioni contrarie.

Questo documento, se da una parte propone di responsabilizzare in maniera più rigida il consumatore voluttuario, dall’altra traccia una linea chiara a difesa del malato tossicomane, non più equiparato a consumatore pesante o recidivo. Il riconoscimento dello status di assuntore terapeutico di sostanza altrimenti stupefacente è farmacologicamente e clinicamente sensato (assenza di effetti narcotici e controllo comportamentale ripristinato proprio grazie alla terapia), Sarebbe eliminata così l’assurda contraddizione riabilitativa della terapia come ragione di vedersi negata la patente.

 

*Matteo Pacini, medico specialista in psichiatria all’Università di Pisa, è presidente per L’Italia dell’Associazione Europea per il Trattamento della Dipendenza da Oppiacei e consulente per il Centro di Riferimento Alcologico del Lazio, Azienda Policlinico Umberto I.

Droghe: narco-sale, l’esperienza degli altri paesi europei

 

Adnkronos, 5 novembre 2007

 

A Madrid c’è il "Dave", un centro polivalente voluto da maggioranza e opposizione, comprensivo di mensa e posti-letto, dove non è obbligatorio iscriversi ad un programma terapeutico; ad Amsterdam ci sono sale di "iniezione" distinte per olandesi e stranieri e alcune sono aperte anche agli spacciatori.

Ma è Francoforte la città con più narco-sale e in alcune ci sono pure il nido e la navetta per il trasporto dei consumatori ai punti di spaccio. E infine, c’è qualcuno che vorrebbe crearle anche in Italia. La proposta, firmata da venti consiglieri, è partita da Torino. I consiglieri hanno chiesto al sindaco Chiamparino di realizzare le ‘stanze del bucò, sul modello di Amsterdam, Sydney, Vancouver e Barcellona. Una proposta, quella di creare strutture ‘ad hoc’ dove avvenga la somministrazione controllata della droga ai tossicodipendenti, che in Italia ha acceso la polemica e diviso.

Per i firmatari del progetto l’obiettivo delle narco-sale sarà non solo togliere i drogati dalla strada fornendo loro assistenza medica e psicologica, ma cercare di coinvolgerli in un percorso di recuperò. Favorevoli alla creazione delle narco-sale, i ministri della Solidarietà sociale e della Salute, Paolo Ferrero e Livia Turco; "Sono d’accordo - ha dichiarato Ferrero tra le polemiche - il fenomeno va combattuto e questo è un esperimento per vedere se siamo in grado di fare qualche passo in avanti nel controllo delle tossicodipendenze e per cercare di risolvere i problemi che si verificano nelle nostre città".

Analoga la posizione della Turco, che si è detta d’accordo; "semmai eviterei la definizione di stanza del buco, che è del tutto fuorviante". Ferrero in particolare, nel corso di un recente Question Time, rispondendo a un’interrogazione di An, ha sottolineato che dove sono state sperimentate, all’estero, le cosiddette narco-sale hanno ridotto il numero di morti, le malattie, la microcriminalità legata alla tossicodipendenza, e anche l’allarme sociale e i rischi per la popolazione.

Il ministro, sottolineando di condividere il giudizio del ministro della salute Livia Turco in merito all’iniziativa del Comune di Torino su questo tipo di sperimentazione, ha elencato le iniziative sulle dipendenze messe in cantiere dal suo dicastero: innanzitutto il Piano d’azione nazionale; poi un accordo con i ministeri della pubblica istruzione e della giustizia (16 milioni di spesa) per programmi già avviati dal precedente Governo; un accordo di programma con le Regioni (5 milioni di euro) per l’intervento sui giovani; un altro accordo con la Pubblica istruzione per interventi con 40 consulte studentesche in 40 province sulla prevenzione.

Inoltre è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando sul reinserimento abitativo delle persone tossicodipendenti che hanno beneficiato dell’indulto (3 milioni) ed è agli sgoccioli la fine della costruzione dell’Osservatorio del disagio giovanile legato alle dipendenze con la Conferenza Stato-Regioni (5 mln).

Confermati anche i progetti di ricerca con il Cnr (8 mln), e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del bando per l’affidamento di una campagna informativa rivolta alla dissuasione al consumo di sostanze stupefacenti: un progetto da 2,5 milioni di euro, intrapreso insieme alle Regioni e al ministero della Salute.

Nel 1994 a Francoforte viene sperimentata la prima "drug consumption room". In quegli anni sono tantissimi i giovani che fanno uso di eroina, si iniettano le dosi per le strade, molti nel parco più grande della città, di fronte alla Deutche Bank. Quotidianamente, oltre 15 ambulanze vengono chiamate per soccorrere tossici colpiti da overdose. È allora che il problema inizia ad essere, oltre che umanitario, anche di ordine pubblico ed economico.

Così vengono istituite le "stanze del buco", di cui ad oggi hanno usufruito 4.500 tossicodipendenti, e oggi molti sono in contatto con i servizi. Le narco-sale, a Francoforte, oggi sono quattro: si è registrato un calo del 50 per cento dell’epatite C e della sieropositività, e sono diminuiti anche gli interventi per overdose, che oggi sono 13 in una settimana. Nell’esperienza di questa città è stato fondamentale il supporto delle forze dell’ordine, che pur sapendo cosa avveniva nelle sale, dove erano ovviamente presenti sostanze, non è mai intervenuta, pur essendo il possesso di droga illegale.

A Barcellona l’esperienza ha avuto invece fasi e problemi diversi: manifestazioni di protesta e questioni logistiche. All’inizio c’è stata qualche protesta, ma oggi le narco-sale esistono e funzionano a pieno ritmo: hanno equipe mediche, sono aperte tutto l’anno, 24 ore al giorno. Forniscono vaccinazioni, programmi di metadone, siringhe. Fondamentale l’apertura ad orario continuo, perché, spiega l’operatore, la cocaina è più consumata la notte, l’eroina la mattina. E ora i vicini hanno capito.

Molti invece i contrari, a partire dalla Diocesi di Torino, che con un lungo documento firmato dal direttore dell’Ufficio salute, don Marco Brunetti, e dal direttore della Caritas, Pierluigi Dovis, ha mostrato tutta la sua contrarietà all’iniziativa.

"C’è un’indicazione almeno di buon senso - si legge nel documento - che chiede alla politica di non accontentarsi di compiere le scelte più facili, meno onerose, più attrattive del solo consenso". Il documento non è una bocciatura esplicita (il parere tecnico è affidato agli operatori cattolici impegnati sul campo), ma un richiamo perché "non è possibile pensare a iniziative che cerchino di affrontare il problema senza contestualmente prevedere il prima, il durante e il dopo".

"Nessuno ha bisogno di polemiche basate sull’ideologia - continua - di fronte a un fenomeno che coinvolge più persone, ma serve progettualità, tenendo presente che la questione delle tossicodipendenze è diventata "complessa e articolata". Infine nel documento viene evidenziato che ‘bisogna valutare le iniziative anche in merito al valore educativo che esse rivestono. I valori che la Costituzione e una sana concezione di uomo portano avanti chiedono di non smentire con fatti troppo semplificati e superficiali i contenuti proposti da campagne formative e preventive. Non bisogna inoltre lasciarsi trascinare dalla sola questione di ordine pubblico".

Perché "c’è un fronte etico che nella cura della persona umana chiede di saper tracciare con chiarezza i confini tra legalità e illecito, senza formule di possibile complicità indiretta e senza confusione tra mezzi e fini".

Argentina: 31 detenuti muoiono nell’incendio di un carcere

 

Agi, 5 novembre 2007

 

Un incendio appiccato intenzionalmente dopo un fallito tentativo di fuga ha provocato la morte di 31 detenuti in un carcere della provincia di Santiago del Estero, 1.150 chilometri a nord-est di Buenos Aires. L’incendio è scoppiato nella serata di domenica, quando alcuni reclusi del carcere, situato a poca distanza dal centro cittadino, hanno appiccato il fuoco ai materassi, probabilmente nel tentativo di organizzare una fuga.

L’evacuazione del carcere è stata resa più difficoltosa dalla rivolta improvvisata dai detenuti per chiedere migliori condizioni di detenzione e processi più celeri. La mancanza di informazioni ha causato incidenti all’esterno del penitenziario, dove si erano concentrati i familiari; per tenerli a bada la polizia ha dovuto usare lacrimogeni e pallottole di gomma.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva