Rassegna stampa 28 novembre

 

Giustizia: perché accanirsi sempre e solo con i più deboli?

di Livio Ferrari

 

Comunicato stampa, 28 novembre 2007

 

Ogni più pallida previsione di possibili virate a destra di questo Governo vengono surclassate dalle diverse proposte che costituiscono il cosiddetto "Pacchetto giustizia". Non bastavano le attuali normative riempi-carcere come la ex-Cirielli, la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini, ora ci si mette la parte qualunquista questo Governo a progettare un salto terribile verso l’emarginazione penale sancita contro i più deboli e con meno mezzi, attraverso un’operazione esclusivamente dannosa, un’importazione in grande stile delle politiche di criminalizzazione dei poveri in vigore da oltre vent’anni negli Stati Uniti. Si passa da reati attualmente puniti con sanzioni amministrative a pene che arrivano a otto anni, si danno poteri inverosimili ai Prefetti sottraendo di fatto all’imputato la possibilità di poter addurre una difesa, si vuole allargare a dismisura la custodia cautelare, e si definisce per legge che chi non ce la fa, cioè chi è costretto a ritrovare i mezzi di sussistenza in maniera "faticosa", sia tolto dalla convivenza civile e messo nelle patrie galere.

Già dopo le scarcerazioni effetto dell’indulto dello scorso anno ora abbiamo superato la soglia delle 48.000 presenze (il numero di capienza dei 207 istituti per adulti italiani è poco superiore alle 42.000 persone), ora se andranno in porto le ipotesi del pacchetto giustizia entro poco tempo riempiremo ulteriormente le carceri e sicuramente importeremo anche la politica americana della costruzione massiccia di nuove carceri e la privatizzazione delle stesse. Non sono scenari apocalittici ma semplicemente previsione alquanto realistiche in relazione al progetto di legge in questione.

Ma non era questo il programma che hanno votato gli italiani per far governare Prodi & C., e perciò c’è in atto un tradimento profondo rivolto soprattutto a quanti, specialmente coloro che operano nel mondo della solidarietà sociale, avevano sperato di ridare segnali forti di un Paese dove ritornasse ad avere preponderanza veramente il diritto.

Un Governo, non tutte le sue componenti per fortuna sono su questa linea, che se la prende con i poveri per avere consensi elettorali è un Governo povero e dannoso, non può di certo mascherare la violenza e l’arroganza di questa proposta di legge come una scelta di sicurezza.

Mai una proposta di legge che investa economicamente nei luoghi più difficili del nostro Paese, per dare possibilità di una vita dignitosa a chi in questo momento non ce l’ha! Non elemosine o assistenzialismo ma investimenti veri che possano veramente contrastare l’illegalità e la criminalità. E invece sempre e solo repressione, e alla fine il carcere come contenitore di tutta la nostra cattiveria e vendetta sociale.

Non sono questi i valori di nessuna cultura, laica e religiosa, sono solo le povertà culturali di una classe politica incapace di avere fiducia nel riscatto di chi sbaglia, nella restituzione del danno e perciò di percorsi di pace e riconciliazione reali e non sbandierati solo in campagna elettorale.

 

Livio Ferrari

Direttore del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo

Autore del libro: "In carcere, scomodi" - Franco Angeli Editore

Presidente emerito del Seac - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario

Fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Giustizia: il decreto sulle espulsioni va in Aula senza un relatore?

di Beatrice Macchia

 

Liberazione, 28 novembre 2007

 

Il decreto sulle espulsioni, stralciato dal resto del pacchetto sicurezza perché considerato di massima urgenza, potrebbe arrivare in aula del Senato senza relatore e senza un testo unico presentato dalla maggioranza. L’opposizione infatti, che sin da ieri ha rifiutato la discussione sostenendo che si tratta di norme deboli e inadeguate a far fronte all’orda straniera che ci minaccia, pretende che vengano accolti dei suoi emendamenti. Il relatore Sinisi, del Pd, nel tentativo di evitare il filibustering in commissione che porterebbe appunto ad un testo in aula senza relatore e senza emendamenti della maggioranza, ha cercato ieri un voto unanime ed ha proposto l’accoglimento di due emendamenti che avrebbero neutralizzato buona parte delle modifiche in positivo introdotte dagli emendamenti della sinistra dell’Unione.

La platea degli immigrati comunitari passibili di espulsione coatta si sarebbe infatti di nuovo allargata di moltissimo, includendo tra i motivi "imperativi" che impongono la misura più drastica illeciti quali la mancata registrazione all’anagrafe al momento dell’arrivo e, nel caso, di persone già espulse da altri paesi, la mancanza di una fonte di sostentamento legale. Anche, sia chiaro, in mancanza di reati commessi. Sulla base dunque del sospetto.

La sinistra si è opposta (il senatore Villone ha esplicitamente chiarito: o i nostri voti o quelli della destra) e il relatore ha deciso, a quel punto, di ritirare i due emendamenti graditi alla destra per non spaccare la maggioranza. L’impasse che si è creata ha fatto sì che le riunioni e gli incontri per trovare una possibile soluzione siano andate avanti fino a tarda sera, fino alla convocazione di ima capigruppo stamattina alle otto.

Prima che si manifestasse il ricatto delle destre sui due emendamenti i gruppi della sinistra erano orientati a votare a favore, del provvediménto; c’era ancora un punto critico su cui in maggioranza non era stato trovato l’accordo; un emendamento che per tutta la Cosa Rossa è di grandissima importanza: quello che eliminava l’internamento nei Cpt per gli immigrati comunitari nel lasso di tempo che intercorre tra la sentenza del giudice e l’effettivo accompagnamento oltre confine, qualora non ci sia una famiglia presso la quale possono domiciliarsi.

C’era l’intenzione di ripresentare in aula lo stésso emendamento e impegnarsi a fondo per la sua approvazione, ma la maggioranza aveva accolto tutte le altre modifiche proposte, iscrivendo la sostanza del decreto nella direttiva Ue sulle espulsioni. Di buona volontà la sinistra ne ha dimostrata davvero molta, evitando di affondare all’istante un decreto che, per quanto reso infinitamente più accettabile in commissione, nasce da ima spinta emergenziale ed è pessimo nella sua ispirazione di fondo e nelle ansie securitarie irrazionali e repressive che corteggia.

Non è un caso che la proposta della sinistra di includere nel decreto l’estensione della legge Mancino alla xenofobia abbia suscitato nel centro destra reazioni di scomposto rifiuto. Ora è alla riunione dei capigruppo di maggioranza trovare una soluzione, ma la vicenda è indicativa della situazione insostenibile che si è creata a palazzo Madama, e di conseguenza in tutto il quadro politico. Cinque senatori sono padroni del governo, possono decidere a loro piacimento della sua vita o della sua morte. Non devono

rispondere a nessuno. Non hanno partito, non hanno base elettorale, non riconoscono alcun obbligo di lealtà. Non basta: col loro voto possono modificare qualsiasi legge come più gli aggrada, semplicemente spostandosi sul lato destro della linea di confine sulla quale sono attestati. Se riterranno opportuno rendere più rigido ed emergenziale il decreto espulsioni, chi potrà impedirglielo?

"Grazie a Dio voi non siete diventati come l’Italia". Lo ha detto il presidente romeno Traian Basescu a Madrid, al Foro Nuova Economia prima di incontrarsi con il premier spagnolo José Luis Zapatero, aggiungendo che Bucarest non può avere "alcuna sintonia" con il decreto sicurezza varato dal governo italiano.

Giustizia: bambini-detenuti, un'emergenza non più rinviabile

 

www.vitadidonna.it, 28 novembre 2007

 

Il mese scorso il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara aveva lanciato l’allarme sul grave affollamento delle strutture carcerarie del Paese e sulle negative ricadute prodotte nel sistema penitenziario che il Sindacato autonomo polizia penitenziaria sostiene, inutilmente, ormai da troppo tempo. Le carceri italiane - nonostante l’indulto - sono ormai al collasso. Ed è grave che la classe politica e di Governo non abbiano recepito per tempo i nostri allarmi" è la denuncia, sempre il mese scorso, della segreteria generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), l’organizzazione più rappresentativa del personale con 12mila iscritti.

"Gli stessi dati sull’indulto - afferma il Sappe - evidenziano come non siano stati affatto programmati dal Governo quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di polizia penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale.

A dir poco vergognosa, poi, è la situazione dei bambini detenuti con le loro madri, una cinquantina in tutta Italia, molto spesso figli di giovani rom e straniere, e che fino ai tre anni possono, secondo quanto prevede la legge, restare con la madre detenuta. Quest’estate, nel carcere romano di Rebibbia, due detenute straniere si sono trovate costrette a partorire nell’infermeria del carcere perché la magistratura di sorveglianza non ha fatto in tempo ad autorizzare il trasferimento in ospedale.

Sempre quest’estate, nel carcere di Buoncammino è finito in carcere con la madre sorpresa a rubare in un appartamento a Cagliari, un neonato di appena 20 giorni, che rimase tra le sbarre per 55 giorni. Un caso che destò scalpore e riaccese per qualche tempo i riflettori su un’emergenza non più rinviabile. Un bruttissimo e vergognoso episodio che evidenzia l’urgenza di individuare strutture alternative al carcere in presenza di minori. Nonostante in altre realtà della Penisola la magistratura, l’amministrazione penitenziaria e gli enti locali abbiano trovato un accordo per evitare la presenza di bambini e di neonati negli istituti di pena, la situazione continua ad essere grave, e si registra nuovamente un record di presenze, a poco più di un anno dall’indulto, che aveva svuotato le sezioni Nido degli istituti penitenziari.

Risale ad alcuni giorni fa l’ennesimo allarme lanciato dal garante per i diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni: 31 bimbi al Nido di Rebibbia, rispetto ad una capienza massima di 13, con i conseguenti trasferimenti che spesso non tengono in nessuna considerazione le singole realtà familiari e affettive. È il disegno di legge che permetterebbe di porre fine alla loro detenzione in quanto figli di donne carcerate? Langue, da oltre un anno alla Camera dei Deputati, mentre i tempi della politica, nonostante l’emergenza procedono spaventosamente lenti, incuranti dei piccoli che continuano a vivere dietro le sbarre.

Il ddl in questione interverrebbe nel perfezionare la legge Finocchiaro (40/01), che prevede per le madri condannate in via definitiva, misure alternative aldilà degli ordinari limiti, ma quelle in attesa di giudizio. Per loro, il testo approvato in Commissione giustizia della Camera il 13 dicembre del 2006 prevede la possibilità di scontare la pena con i propri figli in case famiglia protette, con personale in borghese al posto delle divise e senza sbarre alle finestre, per alleviare ai bambini il disagio della carcerazione.

La nuova legge, se approvata, permetterebbe alle detenute con figli al di sotto dei dieci anni, di vivere presso le case famiglie. È inaccettabile che ancora si tolleri che nelle sezioni Nido delle case di reclusione continuano a vivere bimbi molto piccoli, in attesa di compiere il loro terzo anno d’età ed essere allontanati poi dalle loro madri, per finire, nella migliore delle ipotesi nelle famiglie di provenienza, se in grado di occuparsene, o costretti all’esperienza dell’affido o delle case famiglia.

Altro aspetto critico che il ddl dovrebbe risolvere è il fatto che in caso di malattia del piccolo, riguarda l’autorizzazione ad accompagnare il bimbo in ospedale che potrà essere concessa anche dal direttore dell’istituto e non solo dal magistrato di sorveglianza. Per evitare che succeda ancora quello che è accaduto alle due partorienti del carcere romano.

A Roma, il sabato i bambini di Rebibbia vengono portati fuori dai volontari dell’Associazione per vivere un giorno di normalità, ma ad Avellino, dove non esiste una convenzione tra carcere e asili pubblici, i bambini continuano a restano sempre dentro. A Milano, in attesa dell’approvazione del disegno di legge, la Provincia ha aperto in uno stabile di sua proprietà (in Via Macedonio Melloni) una casa famiglia senza sbarre né divise. In 500 metri quadri sono ospitate 12 donne detenute con i loro figli. L’ edificio, che anticamente era un istituto per l’infanzia abbandonata; ora è diventato l’istituto per l’infanzia accudita, che accompagnerà i bambini verso un futuro di educazione normale e le loro madri ad un più facile reinserimento sociale. Della struttura milanese si può parlare di eccellenza, perché particolarmente accogliente.

Giustizia: "braccialetto"; sarà l’elettronica a salvare i detenuti?

 

Punto Informatico, 28 novembre 2007

 

Le carceri scoppiano: i dati di aumento della popolazione carceraria tornano a preoccupare e il sindacato della Polizia Penitenziaria non ci sta. In un lungo approfondimento pubblicato sull’ultimo numero della rivista Polizia Penitenziaria - Società, Giustizia, Sicurezza si parla del braccialetto elettronico, unica vera e possibile soluzione, già usata in altri paesi, per garantire sorveglianza e monitoraggio alternativi alla reclusione tradizionale. Una misura potenzialmente utilizzabile in una miriade di casi.

Non è certo la prima volta che si sente parlare di braccialetto elettronico in Italia ma dopo le sperimentazioni del 2001 i progetti sono andati progressivamente disgregandosi. In realtà da novembre 2006 nessuno nel Belpaese utilizza questo dispositivo.

Si tratta invece, sostiene il sindacato Sappe, di una misura che non solo viene utilizzata già in molti paesi, come USA e Olanda, ma che potrebbe almeno in parte svuotare le carceri, agevolare il lavoro delle forze dell’ordine e far recuperare efficienza agli stessi organi di polizia penitenziaria. "In Inghilterra - si legge sulla rivista - il braccialetto elettronico è stato sperimentato nel 1995 e dal 1997 in poi oltre 130mila persone hanno usufruito della detenzione domiciliare monitorata elettronicamente. Il dispositivo di controllo è stato poi adottato anche nei confronti degli hooligans sottoposti a diffida e, dal 2002, è stata estesa l’applicazione ai minorenni".

Il motivo è ovvio: l’evoluzione di questa tecnologia non solo permette di sapere se il soggetto è nel luogo dove è stato stabilito che debba trovarsi, ma anche di visualizzare e seguire i suoi spostamenti. Questo significa che possono essere sottoposti a braccialetto tutta una serie di detenuti che potrebbero muoversi in aree previste in sicurezza e che non potrebbero uscire da queste o dai percorsi preventivati. Una flessibilità di applicazione che, secondo la rivista, già porta all’estero enormi benefici. Il braccialetto, inoltre, non può essere rimosso senza far scattare un allarme ad hoc.

"Dal 2004 - ricorda l’approfondimento pubblicato dalla rivista sindacale - è stata avviata una sperimentazione per i casi di pedofilia e di violenza domestica. Sempre in Inghilterra è stata di recente annunciata la volontà politica di ricorrere ad un provvedimento di clemenza (indulto o amnistia) previa applicazione della sorveglianza domiciliare mediante braccialetto elettronico. La percentuale di successo della misura si è attestata intorno al 97 per cento e, attualmente, c’è una media di 13mila detenuti al giorno sottoposti al controllo". "Questi dati - conclude l’articolo - dovrebbero essere più che sufficienti per indurre il nostro governo a rilanciare, da subito, l’applicazione di questo dispositivo di controllo".

Giustizia: Fp-Cgil; lettera al Dap su bozza del Decreto Uepe

 

Blog di Solidarietà, 28 novembre 2007

 

In riferimento alla bozza del decreto, riguardante la sperimentazione dell’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe con la costituzione dei nuclei di verifica e controllo pervenutaci in data 23 novembre u.s., la Fp Cgil nel ribadire le proprie perplessità sulla questione e nel confermare i punti di criticità ampiamente rappresentati nel corso degli incontri, ritiene alquanto discutibile la modalità con la quale codesta amministrazione ha inteso procedere le relazioni sindacali sulla problematica allorquando si comunica, con tono tassativo ed evidenziando assoluta irrevocabilità, di far pervenire "comunque" entro sette giorni dalla ricezione della bozza del decreto le osservazioni, "in assenza delle quali si darà avvio al suo perfezionamento".

La Fp Cgil ritenendo che i contenuti del decreto siano materia di confronto sindacale e ribadendo la necessità della assoluta condivisione del progetto chiede anche ai sensi della normativa contrattuale vigente con urgenza la ripresa del tavolo di confronto. In assenza del confronto richiesto la Fp Cgil valuterà sulle iniziative da intraprendere atte a garantire i diritti sanciti dalla norma contrattuale. In attesa di riscontro si porgono distinti saluti.

 

Il Coordinatore Nazionale Penitenziari C.M. Lina Lamonica

Giustizia: Sunas; un comunicato sulla bozza del Decreto Uepe

 

Blog di Solidarietà, 28 novembre 2007

 

Il Sunas, Sindacato Unitario degli Assistenti Sociali che riunisce e rappresenta il maggior numero degli assistenti sociali sindacalizzati dipendenti della P.A. e del privato sociale nonché liberi professionisti, interviene a sostegno delle posizioni assunte dai colleghi degli Uepe che protestano da tempo per l’annunciata sperimentazione dell’accorpamento della Polizia Penitenziaria a dette strutture, snaturando la natura stessa delle stesse ed accentuandone soprattutto la funzione del controllo sulle misure alternative alla detenzione e più in generale di controllo penale, invece che puntare sul potenziamento dei servizi territoriali e sul maggior investimento in politiche sociali.

A tal proposito si sottolinea come la stessa scelta dell’Amministrazione del Ministero della Giustizia di non dare realmente la possibilità nemmeno alle forze Sindacali (e peraltro nello specifico di non invitare questa ed altre O.S.) di esprimersi nel merito del recentissimo convegno "Una nuova politica della pena: quale progetto per l’esecuzione penale esterna?", organizzata dal Dap presso l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari, ha di fatto impedito un dibattito più concreto sull’argomento e di rappresentare anche le ragioni dell’inopportunità di tale accorpamento, rendendo dunque impossibile un confronto invece pur auspicato nelle tante note inviate al ministero dai colleghi AS dipendenti e ben riassunte dalle motivazioni espresse nel Comunicato finale della conferenza Nazionale Uepe del 7 novembre scorso tenutosi a Roma su iniziativa del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali.

Tanto premesso, la scrivente O.S. non può che rammaricarsi per il perdurare dell’intenzione di procedere nella sperimentazione, manifestata ancora una volta nel sopra citato convegno del 15 e 16 novembre dal Direttore del Dap e formula, di contro, la richiesta della sospensione della predetta sperimentazione nonché di favorire un reale allargamento del confronto e della concertazione sulle scelte nel rispetto delle diverse posizioni nonché delle naturali funzioni e degli obiettivi del servizio Sociale Professionale. Disponibili a portare il contributo nelle sedi istituzionalmente competenti, si auspica a breve una convocazione allargata a tutte le OO.SS.

 

Il Segretario Generale Sunas, Dott.ssa Laura Brizzo

Il S.N. Sunas, Dott. Luigi Bucci

Sicurezza: l'1 dicembre Sap-Sappe-Sapaf in piazza a Milano

 

Ansa, 28 novembre 2007

 

La Consulta Sicurezza, che riunisce il Sap (Sindacato Autonomo di Polizia), Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) e Sapaf (Sindacato Autonomo Polizia Ambientale Forestale) proclama una nuova manifestazione, dopo quella del 5 novembre, contro la Finanziaria, a Milano il primo dicembre.

"Si tratta di una scelta obbligata - dichiarano i Segretari Generale di Sap, Sappe e Sapaf, Filippo Saltamartini, Donato Capece e Marco Moroni - perché la Legge Finanziaria 2008, nonostante sia ancora in discussione in Parlamento, si appresta ad essere varata entro fine anno senza prevedere risorse per soddisfare le esigenze di sicurezza del Paese e le necessità degli appartenenti alle Forze dell’Ordine, tra cui quello, molto atteso dal Personale, finalizzato a soddisfare le esigenze di riordino delle carriere delle forze di Polizia La Finanziaria in discussione - spiegano i rappresentanti della Consulta - non stanzia nulla per la Specificità del servizio di Polizia, né per il pagamento degli impieghi lavorativi specifici delle Forze di Polizia: servizi notturni, servizi esterni, festivi, ordine pubblico. Senza queste risorse, l’impegno e il sacrificio, spesso a costo della propria vita, delle donne e degli uomini delle Forze dell’Ordine rischia di essere vanificato, anche perché, la carenza di auto, mezzi e strutture adeguate è diventata ormai cronica".

"La Finanziaria in discussione, inoltre - aggiungono - non prevede un euro per il nuovo Contratto del personale delle Forze di Polizia, biennio 2008-2009, e soprattutto non ci sono stanziamenti per il Riordino delle Carriere, un provvedimento atteso da anni degli operatori che risulta necessario per rendere più efficiente l’apparato della sicurezza". Inoltre ‘l’ipotesi di Riforma del sistema pensionistico attualmente in discussione in Parlamento che consentirà al Governo di elevare indefinitivamente l’età pensionabile degli operatori della sicurezza, senza tener conto della specificità delle mansioni e degli impieghi, è stata costruita senza neppure un incontro con le parti sociali del settore".

Minori: la telemedicina negli Ipm con il progetto "Shuttle 18"

 

www.sanihelp.it, 28 novembre 2007

 

È stato presentato oggi al Ministero della Giustizia "Shuttle 18" un innovativo progetto di Telemedicina satellitare dedicato ai diciotto Istituti penali per i minori d’Italia promosso dal Sottosegretario di Stato alla Giustizia con delega ai minori Daniela Melchiorre e realizzato in collaborazione con Telbios, società leader nel settore con azionisti quali Telecom Italia, Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, Telespazio, Value Partners.

Il progetto, presentato dal Sottosegretario alla Giustizia Melchiorre e dall’Amministratore Delegato di Telbios Leopoldo Genovesi, coinvolgerà nel giro di poche settimane tutti gli istituti penali minorili italiani che potranno contare sulla collaborazione tecnica di Telbios per monitorare a distanza le condizioni di salute dei propri ospiti e realizzare programmi di prevenzione e cura. Telbios, metterà infatti a disposizione del Ministero e degli Istituti di Pena, senza alcun onere, i più moderni ed efficaci strumenti di diagnostica per effettuare servizi di teleassistenza, telecardiologia e al telemonitoraggio in grado di risolvere alcuni dei problemi legati alla salute dei detenuti.

Il progetto, fortemente voluto dal Sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre, ha l’obiettivo infatti di contribuire a migliorare efficienza e qualità dell’assistenza medica all’interno degli istituti minorili per un servizio sanitario efficiente ed innovativo. "La salute è un diritto di tutti, anche e soprattutto di chi si trova in condizioni difficili. È per questo che ho fortemente sostenuto Shuttle 18, un progetto innovativo realizzato senza alcun onere per lo Stato, in grado anzi di consentire notevoli risparmi e messo a punto dal Ministero con un partner di altissimo livello quale Telbios - ha affermato il Sottosegretario Melchiorre -.

Nel giro di poche settimane gli istituti di pena italiani potranno contare su un servizio di telemedicina tra i più avanzati nel mondo che potrebbe essere esteso agli istituti di pena per adulti del Paese. Shuttle 18 testimonia l’impegno di attuare un programma di prevenzione e cura più moderno e sicuramente migliorativo rispetto al passato - ha continuato il Sottosegretario Melchiorre - in un’ottica di crescita civile, mirato a tutelare la salute dei minori detenuti, non solo migliorando la gestione sanitaria degli Istituti Penitenziari, ma nello stesso tempo ottimizzando le risorse economiche a disposizione".

"Shuttle 18 è un progetto di grande valore sociale ed economico al quale siamo lieti di collaborare perché la telemedicina consente notevoli risparmi nella gestione sanitaria e permette di monitorare con efficacia le condizioni di salute", ha detto invece l’ing. Leopoldo Genovesi, AD di Telbios. "Telbios è una delle prime società italiane a essersi occupata di Telemedicina avendo iniziato le sue attività nel 1996 con il supporto alle missioni italiane umanitarie in Bosnia e la collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea - Esa".

Bologna: un’impresa meccanica aprirà "dentro" il carcere

 

Dire, 28 novembre 2007

 

Bologna - Nel giro di sette o otto mesi, le aziende meccaniche bolognesi potrebbero avere un nuovo fornitore: il carcere di Bologna. Provincia e Comune, insieme alla Casa circondariale, stanno infatti lavorando all’ipotesi di aprire un’azienda all’interno della Dozza, che produrrebbe, appunto, componenti meccanici. "Abbiamo già individuato un’area idonea dentro il carcere - annuncia oggi Paolo Rebaudengo, assessore provinciale al Lavoro, durante una conferenza stampa a Palazzo D’Accursio - e abbiamo anche la disponibilità da parte di alcuni imprenditori ad avviare un’attività d’impresa" nella Casa circondariale.

I tempi burocratici sono l’ostacolo più ostico, quindi il progetto dovrebbe partire "fra sette o otto mesi". E non è detto che, per quel periodo, sempre all’interno della Dozza, non trovi realizzazione anche l’ipotesi di far nascere una sartoria di qualità al femminile, sul modello di quella aperta nel carcere di Milano. Di questi progetti si parlerà venerdì prossimo, 30 novembre, durante un convegno (presentato questa mattina) su formazione e lavoro in carcere, all’oratorio S. Filippo Neri, organizzato da Comune e Provincia in collaborazione con la Fondazione del Monte.

Il lavoro, spiega infatti la Garante dei detenuti, è il migliore strumento per il recupero e il reinserimento in società dei carcerati. "La recidiva passa da 78% a meno del 20% - spiega Bruno - per chi ha fatto percorsi di inserimento lavorativo". Al momento, nella Dozza lavorano 13 persone con un’occupazione esterna, 21 sono in regime di semi-libertà e sette sono state assunte da aziende secondo la legge Smuraglia, che prevede sgravi fiscali alle imprese che fanno un contratto ai detenuti.

Tra il 15 e il 20%, invece, sono le persone che hanno una mansione in carcere (pulizia, cucina, manutenzione ordinaria), ma la loro occupazione è saltuaria a causa della scarsità di risorse. Un’altra quarantina, infine, sono in carico ai servizi sociali. E a questo proposito, Bruno aggiunge che la recidiva è molto bassa, "poche decine, anche per chi usufruisce di misure alternative alla detenzione".

Secondo la Garante, però, "occorre ripensare i percorsi di qualificazione dentro il carcere": troppo pochi i detenuti coinvolti e spesso per attività che non trovano grande riscontro nel mercato del lavoro esterno. La Provincia ha aperto da qualche tempo un sportello su orientamento e formazione professionale alla Dozza, che ha visto circa mille persone (il 38% stranieri) rivolgersi al servizio. "In parte sono stati seguiti personalmente", spiega Rebaudengo, che poi snocciola alcuni dati sui corsi formativi avviati in carcere.

Sono 60 i detenuti che hanno preso parte alle attività di decorazione, di ristorazione (prevista anche la specializzazione in pasticceria e panetteria), di tipografia e per diventare giardiniere. Per finanziare i corsi sono serviti 200.000 euro. Il vero problema, sostengono però Gian Guido Naldi e Lorenzo Grandi, rispettivamente presidenti della commissione Attività produttive del Comune e Politiche sociali della Provincia, nonchè principali promotori del convegno, "non è tanto portare l’impresa dentro il carcere, visti gli incentivi, ma portare il detenuto dentro un’azienda. Il banco di prova - sostiene Naldi - è creare vere occasioni di lavoro": se i carcerati, aggiunge Grandi, "trovano lavoro solo nelle imprese specializzate nel recupero dei casi sociali, si rischia di creare delle riserve indiane".

 

Il problema del sovraffollamento visto da sinistra

 

Sulla questione del carcere bolognese della Dozza è intervenuta anche la consigliera regionale del Pdci, Donatella Bortolazzi, questa volta a proposito della questione del sovraffollamento, da lei definito "un problema che ha nomi e cognomi ben precisi: Bossi-Fini e Fini-Giovanardi". Secondo Bortolazzi, "finché il Governo di centro-sinistra non avrà la forza di applicare i passaggi del proprio programma dove sta scritto a chiare lettere che quelle due leggi sono incostituzionali e vanno abrogate, il problema degli istituti penali del nostro Paese è destinato a non risolversi mai. Non a caso il Garante bolognese dei diritti dei detenuti Desi Bruno fa notare come sia tornata ad essere elevatissima la percentuale di immigrati reclusi; forse sbaglierò - prosegue -, ma sono convinta che si tratti per la stragrande maggioranza di clandestini o tossicodipendenti-spacciatori. Credo proprio che a breve organizzerò una visita senza preavviso alla Dozza - conclude - per accertarmi di persona delle condizioni di vita in cui sono costretti i carcerati".

Belluno: ha cambiato sesso, detenuto ancora in isolamento

 

Corriere Adriatico, 28 novembre 2007

 

Il destino continua a chiedergli gli interessi, come se la scelta di cambiare sesso fosse una colpa da espiare. Cristian Silla, 34 anni di Montesilvano, per sfuggire a una doppia punizione nella casa circondariale di Ancona è andato incontro alla beffa nel carcere di Belluno. A Montacuto la direzione, per tutelare la sua incolumità, lo ha messo in isolamento perché il suo passato da donna avrebbe potuto solleticare pericolosi istinti dei compagni di cella.

Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, forse per rimediare a quella che suonava come una doppia condanna anticipata, ha disposto la traduzione nel carcere di Belluno che ospita una sezione di detenuti passati all’altro sesso. Venerdì il viaggio, terminato con l’ennesima voltafaccia della fortuna. In quell’ala ci sono solo donne ex uomini. Lui sarebbe l’unico maschio: ancora pericolo, di nuovo in isolamento.

Non c’è davvero pace per Cristian. La sua parabola in salita è il paradigma della vita ad ostacoli di chi non si sente a proprio agio coi pantaloni e si mette la gonna, o viceversa. Il caso potrebbe finire in parlamento. Se ne sta interessando l’onorevole transgender Vladimir Luxuria. La sua voce autorevole potrebbe aggiungersi a quella accorata dell’ex moglie di Cristian, Antonella, già compagna di collegio e amica del cuore che lo aveva sposato nel dicembre 2005 suscitando parecchia curiosità.

"È un bravo ragazzo, non è stato ancora processato e già è stato condannato due volte, non è giusto", si era sfogata. L’avvocato Pietro De Gaetani aveva ottenuto una perizia per saggiare la compatibilità della custodia in carcere - dopo l’arresto per rapina in un’abitazione di Senigallia e un tentato colpo in una gioielleria del centro - del suo assistito, che lamenta problemi fisici.

L’udienza non si terrà più ad Ancona, ma in rogatoria davanti al Gip di Belluno. Altra chance per uscire dai rigori di un regime carcerario che Cristian non merita. Mai avrebbe pensato, quando all’anagrafe ha cancellato il vecchio nome di Elena, di dover combattere perché non fosse passato un tratto di penna anche sulla sua dignità.

Massa: la sartoria del carcere sostiene Progetto "Telethon"

 

Ansa, 28 novembre 2007

 

A Massa, i detenuti della casa circondariale sostengono Telethon con "Linea Morgana", il laboratorio di sartoria interno al carcere. Una linea d’abbigliamento particolare per aiutare la ricerca sulle malattie genetiche. Abiti di lavoro, spugne, biancheria e altro interamente prodotti dagli ospiti della casa venduti il 14, il 22 e il 23 dicembre in zona mercato a Viareggio e il 15 e 16 dicembre a Lido di Camaiore, cui parte del ricavato, il 10%, sarà devoluto a Telethon. Lavoro che è riscatto sociale per questi detenuti che hanno scelto di impiegare il periodo di detenzione per imparare un mestiere ed essere pronti, una volta scontata la pena, a rientrare nel mercato del lavoro.

Foggia: nel carcere inaugurato un laboratorio informatico 

 

Comunicato stampa, 28 novembre 2007

 

Ieri, 26 novembre 2007, alla presenza di funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria, del Magistrato di Sorveglianza, dott. Domenico Mascolo, e del Funzionari della Fondazione Banca del Monte "Domenico Siniscalci Ceci" e Personale del Ctp (Educazione scolastica per adulti) è stato inaugurato il nuovo laboratorio informatico presso la casa circondariale di Foggia, nato grazie al finanziamento stanziato dalla Fondazione.

Il Presidente della Fondazione, Avv. Francesco Andretta, ha manifestato grande soddisfazione per l’iniziativa ed ha sottolineato che la mission della Fondazione è la promozione umana e sociale e si è impegnato a continuare la collaborazione con l’Istituto penitenziario. Anche il Dirigente dell’Istituto di pena foggiano, dott. Davide Di Florio, ha ringraziato la "sensibilità"di chi ha donato perché crede nell’opera di riabilitazione del cittadino che ha sbagliato. I detenuti della Casa Circondariale di Foggia avranno così l’opportunità di seguire corsi di informatica che si realizzeranno grazie anche all’impegno assunto dal Dirigente Scolastico del Ctp, Prof. Alfonso Palomba, presente all’inaugurazione.

Ferrara: un detenuto in semilibertà rimane ferito in agguato 

 

www.estense.com, 28 novembre 2007

 

Ancora via Traversano, ancora una sparatoria. La mente è tornata a quel 9 dicembre 2002 quando un commando armato di mitra appartenente secondo gli inquirenti alla nuova Mala del Brenta assaltò un portavalori e scaricò raffiche di proiettili contro una pattuglia della polizia. Questa mattina un detenuto calabrese del carcere dell’Arginone di Ferrara, in regime di semilibertà, è sfuggito per miracolo ai suoi sicari.

Rodolfo Ferraro, 39 anni, di Cittanova (Reggio Calabria), era appena uscito dalla casa circondariale e attorno alle 7.30 stava andando in bicicletta al lavoro presso un’officina quando - secondo le prime ricostruzioni -, in via Traversano, in direzione della Basell, viene affiancato da un’auto, sembra una Fiat Uno, con a bordo tre uomini. Ferraro si accorge di essere seguito e salta giù dalla bici e tenta di fuggire a piedi. Partono quindi i primo colpi d’arma da fuoco e viene raggiunto da un proiettile, che entra in un gluteo ed esce dall’inguine, senza compromettere funzioni vitali.

L’uomo si trovava in prigione dal 15 agosto 1992 e sta scontando una condanna a 24 anni e sei mesi di carcere per una condanna emessa il 10 gennaio 1994 dalla corte d’assise di Reggio Calabria per il coinvolgimento in un duplice omicidio. Da quanto si apprende era coinvolto a suo tempo nella faida che per moltissimi anni ha insanguinato il suo paese. Si trovava in regime di semilibertà dal 26 settembre 2006, quando, dopo due anni di permessi premio senza alcun problema, è stato ammesso al lavoro esterno su programma dell’Enaip di Ferrara, di concerto con l’azienda Basell che lo ha assunto. Da allora il decorso del beneficio, a quanto si è appreso, è stato regolare, senza alcun problema.

Il Tribunale di sorveglianza che gli ha concesso il beneficio gli ha anche attribuito 45 giorni all’anno di licenza ma, per evitare i contatti con gli ambienti di origine e la faida, ha limitato la sua possibilità di uscita dal carcere alla città di Ferrara. Anche in licenza vi sarebbe dovuto rimanere, facendo ritorno per dormire nel penitenziario oppure alloggiando in alberghi cittadini. Il magistrato di sorveglianza che gli ha concesso il beneficio del lavoro esterno è Luca Ghedini: a indagare sono la Pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna Lucia Musti con la collega della procura ferrarese Barbara Cavallo. Sul luogo dell’agguato si sono portati questa mattina i carabinieri di Ferrara, raggiunti in seguito dagli uomini della squadra mobile. Ferraro si trova ora ricoverato nell’ospedale Sant’Anna di Ferrara, da dove è riuscito a ricostruire la vicenda davanti agli inquirenti.

Droghe: in Europa i reati sono aumentati del 47% in 5 anni

 

Apcom, 28 novembre 2007

 

Aumentano in Europa le segnalazioni di reati collegati alle norme sugli stupefacenti. Secondo la Relazione annuale 2007 sull’evoluzione del fenomeno della droga in Europa, tra il 2000 e il 2005 la crescita è stata del 47%. Nella maggior parte dei paesi europei, la maggioranza dei reati riguarda l’uso di droga o la detenzione per uso personale, tranne in Repubblica Ceca, Lussemburgo, Olanda, Turchia e Norvegia, prevale lo spaccio e il traffico di stupefacenti. La cannabis, spiega l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze nella relazione presentata a Roma, è la sostanza illecita più spesso menzionata. Nel 2005, i reati collegati a questa sostanza rappresentavano una percentuale variabile tra 42 e 74% di tutti i reati. Nella Repubblica Ceca le metanfetamine hanno raggiunto il 53% di tutti i reati. In generale, il numero di segnalazioni per reati sulla cannabis è aumentato del 36%. In calo, invece, in Italia, Grecia, Turchia, Slovenia, Austria e Cipro.

Per quanto riguarda la cocaina, nello stesso quinquennio, i reati collegati sono aumentati in tutti i paesi: 62%, con l’eccezione della Germania, stabile. Mentre le segnalazioni per reati legati all’eroina mostrano un calo medio complessivo nell’Unione europea del 15%. La relazione 2007 ha posto anche l’accento anche sul problema delle carceri e i servizi ai tossicodipendenti che "continuano ad essere una proporzione significativa della popolazione dei detenuti in tutti i paesi". "Credo che nel consiglio dei Ministri di giovedì si possa approvare un piano d’azione sulle droghe per fare entrare l’Italia all’interno del circuito dei paesi europei dotati di una legge sul tema", ha detto il ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero nel suo intervento, sottolineando che con il ministero della Salute si cercherà di "potenziare la rete dei servizi di bassa soglia" ma anche di promuovere "campagne di prevenzione già dai primi mesi del 2008 che siano basate non sul concetto di proibizione ma sugli aspetti più profondi dell’argomento". Per quanto riguarda la produzione di oppio, Ferrero ha auspicato che "in sede Onu si riapra una discussione in modo da differenziare le strategie di lotta al narcotraffico per renderle più efficaci. In particolare - ha osservato - occorre puntare a rompere le convergenze di interessi tra contadini poveri e narcotraffico".

Droghe: Turco; per le narco-sale si deve cambiare la legge

 

Notiziario Aduc, 28 novembre 2007

 

Per avere narcosale per la riduzione dei danni di chi si droga in Italia "bisognerebbe cambiare la legge". Lo ha ribadito stamane il ministro della Salute, Livia Turco, intervenuta a Uno Mattina tornando a dire ‘nò alla proposta avanzata dal sindaco di Torino, Chiamparino.

Turco ha aggiunto: "Sono misure che in un certo modo riducono il danno. Ho detto a Chiamparino "Facciamo un Tavolo per parlarne. Troviamo una norma che ci consenta di avviare la sperimentazione".

"Inaccettabile la proposta del ministro Turco di introdurre in Italia le narco-sale. Dubito che una legge del genere possa mai vedere la luce in un Parlamento dove, a prescindere dagli opposti schieramenti, il buon senso è in maggioranza". Così l’esponente di Fi, Mara Carfagna, replica alle affermazioni al programma "Uno Mattina" del ministro della Salute, Livia Turco. Ma soprattutto, aggiunge Carfagna, "la proposta della Turco, con l’avallo del Sindaco di Torino, è sbagliata in quanto non vuole affrontare il problema di tanti uomini e donne caduti nel buco nero della droga". Di questo passo, è la tesi della parlamentare azzurra, "altro che riduzione del danno, arriveremmo ad una vera e propria ghettizzazione in appositi luoghi pubblici. Il tutto a spese del contribuente".

Dunque secondo Carfagna "la Turco scherza con il fuoco. Dopo il suo tentativo di alzare il quantitativo minimo di cannabis detenibile per uso personale, blitz stroncato dal Tar, il ministro insiste con la sua crociata antiproibizionista che non porta da nessuna parte".

"Pensare oggi, dopo i dati degli ultimi giorni sull’aumento del consumo di droghe pesanti in Italia ed Europa, ad una politica di riduzione del danno, non solo è inutile, ma pericoloso". È quanto afferma Betrice Lorenzin, coordinatore nazionale dei Giovani di Forza Italia commentando le dichiarazioni del ministro della Salute, Livia Turco, ad Uno Mattina sul tema delle narco-sale. "Invece di cercare ogni giorno pretesti e strumenti per cambiare la legge sulla droga in Italia - prosegue Lorenzin - ci aspetteremmo dal Ministro Turco una linea dura su tutti i fronti, sia quello repressivo che sulla prevenzione". "Mentre la circolazione di droga cresce nelle strade italiane, nelle scuole, nei luoghi di divertimento e attraversa ogni età, dai maturi cinquantenni ai giovanissimi della scuole medie, nulla si fa per mettere in atto una vera e propria campagna di informazione e di lotta alla cultura della normalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope. Mentre i ministri del Governo Prodi disquisiscono su concetti cari agli anni ‘70 - conclude - i ragazzi del 2007 muoiono per le nostre strade.

Alle dichiarazioni del Ministro della Salute Livia Turco sulle narco-sale è seguito il commento del senatore di Alleanza Nazionale Achille Totaro, membro della Commissione Sanità. Il Ministro Turco - attacca Totaro - che in passato aveva detto di essere contraria alle narco-sale, poi, folgorata sulla via di Damasco, è diventata favorevole, purché non si chiamino stanze del buco, ora, addirittura, ha affermato che bisognerebbe cambiare la legge sulla droga in Italia". "Che indecenza! - incalza il senatore - continuare a parlare di riduzione del danno quando secondo gli ultimi dati sta aumentando l’uso del consumo di droghe pesanti in Italia e in Europa. Non sarebbe meglio cercare di evitare il danno invece che ridurlo?" "Ma crede veramente - conclude Totaro - di continuare a prendere in giro le molteplici vittime della droga, i giovani e le loro famiglie? Chi vive questo dramma sa bene che il problema della droga non va combattuto in questo modo. Invece di informare e prevenire la soluzione trovata sono ‘le stanze del bucò, che, anche con un nome diverso, restano sempre stanze di morte e disperazione. E ciò con il beneplacito del Ministro Turco" .

Stati Uniti: un appello per salvare la vita a Carlo Parlanti

 

Img Press, 28 novembre 2007

 

Carlo Parlanti è ancora a Wasco. Contro l’ordinanza del giudice californiano della contea di Ventura che il 1 ottobre ne sancì l’obbligatorio ritorno ad Avenal. Ogni due giorni a Carlo viene detto di preparare la sua roba, che il successivo trasporto sarà anche il suo. È un mese quasi che questo gioco di forza va avanti. Gioco di forza perché è quasi sicuramente, a dispetto delle rassicurazioni semi ufficiali che la famiglia ed il Consolato italiano a Los Angeles continuano a ricevere, questo continuo tira e molla sembra essere solo una cosa: l’ennesimo tentativo di imbavagliare il Parlanti per evitare che gridi la sua innocenza. L’ennesimo tentativo di umiliazione.

Sono due mesi che la prigione californiana di Wasco rassicura il consolato sul trasferimento di Carlo Parlanti ad Avenal, che va ripetuto, è un inferno in terra, dove i detenuti dormono in 400 in uno stanzone su dei letti di ferro con un materasso di comma piuma alto forse due centimetri, ma che rispetto all’isolamento di Wasco, diventa quasi sopportabile.

Due mesi di rassicurazioni e promesse non rispettate. Due mesi di impacchettamenti nei quali Carlo perde la sua carta, i suoi francobolli, tutte cose comprate aspettando le lungaggini burocratiche della prigione e magari rinunciando ad una zuppa od altri generi di conforto. Due mesi in cui gli unici contatti con l’esterno, a dispetto di ciò che sanciscono per i detenuti le leggi americane, sono state delle sporadiche lettere da lui ricevute.

Sporadiche non perché nessuno gli scrivesse: decine e decine di lettere sono state spedite dall’Italia, ma stranamente, a lui non sono state consegnate. Secondo la legge carceraria americana, Carlo avrebbe diritto a telefonare: nessuno ancora glielo ha concesso, perché? È necessario ricordare che Carlo non ha contatti telefonici con i suoi cari dal 3 ottobre scorso. Nonostante l’impegno che il consolato spende sul caso di Carlo, nulla cambia: possibile che una prigione statale americana si arroghi il diritto di non rispettare dei rappresentanti esteri ufficiali? Milioni le domande, quasi nulle le risposte. Ed intanto si attende una risposta ufficiale, governativa, politica,italiana (soprattutto) e statunitense che stenta ancora ad arrivare.

Il 10 dicembre vi sarà la risentenza del caso di Carlo, nel quale la sua compagna, Katia Anedda, avrà modo di poter parlare con quello che si spera diventi il nuovo avvocato di Carlo, e che già lo sta seguendo, grazie ad un precedente interessamento del consolato, per la risentenza. Trovare i soldi per confermarlo, è dura, ma grazie all’on. Zacchera, al comune di Montecatini (città natale di Carlo) ed al contributo personale di altre fantastiche persone, pian piano si stanno raccogliendo fondi a tal riguardo. La strada è ancora, purtroppo lunga. È assoluta priorità, ad ogni modo, che le nostre autorità ministeriali contattino al più presto ufficialmente quelle statunitensi e si facciano spiegare i motivi per i quali Carlo Parlanti viene sottoposto a tale inumano trattamento.

 

 

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