Rassegna stampa 16 novembre

 

Giustizia: Ferrara (Dap); sì a polizia penitenziaria negli Uepe

 

Redattore Sociale, 16 novembre 2007

 

Il capo del Dap, Ettore Ferrara, ha confermato che si avvierà la sperimentazione. "Si tratta di affiancare gli assistenti sociali. I poliziotti accresceranno la sicurezza che i cittadini reclamano. Occorre sviluppare le misure alternative".

Polizia penitenziaria in pista per controllare i detenuti in semilibertà, agli arresti domiciliari o in affidamento ai servizi sociali. È la proposta di Ettore Ferrara, capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che sta per tradursi in provvedimenti di legge e in una prima sperimentazione che dovrebbe coinvolgere un migliaio di poliziotti.

La proposta è stata spiegata dallo stesso capo del Dap durante un convegno di due giorni (ieri e oggi) organizzato a Roma e al quale hanno partecipato, oltre agli operatori degli istituti penitenziari, anche alcuni magistrati di sorveglianza che poi sono quelli che decidono e controllano le richieste di scarcerazione da tradurre in misure alternative al carcere.

Il presidente Ferrara ha spiegato che la proposta di coinvolgere anche i poliziotti penitenziari nell’attività di sorveglianza esterna al carcere nasce da una serie di esigenze intrecciate e si prefigge di raggiungere obiettivi importanti. La prima esigenza - quella che sta alla base di tutto - è l’allarme sovraffollamento. Ferrara ha infatti ribadito i dati che erano stati già resi noti dall’amministrazione sulla crescita esponenziale dei nuovi ingressi, dopo l’applicazione del provvedimento dell’indulto. Da agosto ad oggi, ha spiegato il capo del Dap, abbiamo registrato circa 600 ingressi al mese.

Ma se la dinamica si guarda restringendola ai mesi più recenti, la cifra degli ingressi in carcere raggiunge quota mille. Con questa cadenza si arriverà presto ai livelli di guardia e si rischia quindi di vanificare gli effetti positivi dell’indulto, un provvedimento che seppure criticato da più parti, ha reso possibile lo svuotamento e il superamento di un’emergenza che era diventata molto preoccupante.

È questo dunque - per Ferrara - il momento più opportuno per avviare nuove sperimentazioni e per avere il coraggio del cambiamento. Si tratta cioè ora - fin che siamo in tempo - di cercare di consolidare e sviluppare al massimo le misure alternative al carcere. Per far questo bisogna però correggere tutti i possibili limiti di questa istituzione. Si tratta perciò di mettere in campo più competenze professionali e avviare una vera sinergia tre le diverse figure coinvolte: gli assistenti sociali, la polizia penitenziaria e tutti gli altri operatori che possono arricchire e coadiuvare il servizio (psicologi, pedagogisti ed educatori, ecc.).

Gli obiettivi prioritari che ci si prefigge riguardano invece la necessità di elevare il livello di sicurezza della società (le misure alternative al carcere devono essere sicure e percepite come tali, cosa che oggi invece non è scontata visto che la pena si continua ad abbinare solo ed esclusivamente al carcere). Si tratta poi di accrescere il livello di responsabilità dei soggetti, ovvero dei condannati che possono avere la possibilità di accedere alle misure alternative. Altro obiettivo delle nuove proposte del Dap riguarda la tranquilizzazione dei magistrati di sorveglianza che devono decidere sulle misure alternative.

A differenza di quello che si pensa normalmente, infatti, i vari tribunali di sorveglianza sono molto rigidi nella concessione delle misure alternative. Un caso esemplare in questo senso è quello di Milano (vedi lancio successivo). Infine l’altro obiettivo - che poi è quello centrale - è quello dell’estensione dell’area delle misure alternative.

"È necessario limitare il carcere - ha detto Ferrara nella sua relazione - a quei casi che sono verosimimilmente necessari". In ogni caso sarebbe un grave sbaglio rispondere alle richieste emotive che vengono dalla società con la costruzione di nuovi carceri. "Non esistono le risorse finanziarie e comunque sarebbe la strada peggiore da imboccare, visto che con le riforme in discussione si tenterà di ridurre proprio la detenzione e di allargare appunto l’area delle misure alternative".

 

Per sviluppare le misure alternative, tutti devono collaborare

 

"Per sviluppare al meglio le misure alternative al carcere, tutte le figure professionali devono collaborare. Non dobbiamo rimanere prigionieri delle nostre competenze e dei nostri ruoli". Lo ha detto il capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Ettore Ferrara durante il convegno sulle politiche del carcere e delle misure alternative. Ferrara si è rivolto in modo particolare agli assistenti sociali che in questi giorni stanno protestando contro l’idea di coinvolgere i poliziotti penitenziari nel servizio di sorveglianza esterno al carcere.

Secondo il capo del Dap, stiamo attraversando un momento delicato viste anche le richieste di sicurezza che diventano sempre più forti. Nello stesso tempo però rischia di ripartire l"emergenza sovraffollamento.

Tutti devono quindi scommettere e puntare sulle misure alternative al carcere. Ma per far questo si devono appunto eliminare resistenze e contrapposizioni. La cosa più importante è aumentare la quantità, ma al tempo stesso la qualità delle misure alternative. Per questo è logico mettere in campo anche la polizia penitenziaria che vista la sua funzione storica è specializzata da sempre nel controllo e nella sorveglianza. La mancanza di controlli esterni nelle misure alternative vanifica stesso la misura stessa e aumenta il senso di insicurezza.

La proposta di coinvolgere la polizia penitenziaria non si pone dunque in contrapposizione al lavoro degli assistenti sociali. Non si tratta di criticare chi svolge al meglio il suo lavoro mettendo in campo le migliori professionalità. Si tratta piuttosto di integrare appunto le funzioni. Anche negli altri paesi - dove è più sviluppato l’istituto della misura alternativa al carcere - le figure professionali che vengono messe in campo sono di natura diversa.

Insieme alle polizie che si occupano di controlli, ci sono gli assistenti sociali, gli psicologi, gli educatori, i laureati in scienze filosofiche o della formazione, eccetera. Anche in Italia - ha detto Ferrara - l’introduzione recente della figura dello psicologo negli uffici che si occupano di misure alternative non ha fatto altro che migliorare il servizio offerto. Per questo - conclude il capo del Dap - gli assistenti sociali devono capire che la proposta di coinvolgere anche i poliziotti penitenziari nelle funzioni di controllo esterno non fa che migliorare anche la loro posizione".

Giustizia: i Tribunali sono molto rigidi su misure alternative

 

Redattore Sociale, 16 novembre 2007

 

Convegno del Dap. Secondo il giudice di sorveglianza di Milano Giovanna Di Rosa, su 413 istanze presentate per l’ottenimento delle misure alternative alla detenzione, 160 sono stati gli accoglimenti e 197 i rigetti nel merito.

I Tribunali di sorveglianza sono molto rigidi nella concessione delle misure alternative al carcere. Tutto il contrario di quello che si crede normalmente nell’opinione pubblica. Lo ha detto durante il convegno organizzato a Roma (oggi e ieri) del Dap sulle misure alternative la signora Giovanna Di Rosa, giudice di sorveglianza al Tribunale di Milano. Su 413 istanze presentate per l’ottenimento delle misure alternative alla detenzione, 160 sono stati gli accoglimenti e 197 i rigetti nel merito.

Questo vuol dire che 197 detenuti dovranno rimanere in carcere. Anche per l’applicazione della legge Simeone-Saraceni i tribunali sono di manica stretta: su 243 istanze di arresti domiciliari ci sono state solo 35 concessioni. Perché questa tendenza? È colpa dei magistrati di sorveglianza che sono troppo rigidi e continuano a privilegiare il carcere?

Secondo il magistrato Di Rosa ci sono molte spiegazioni possibili di queste tendenze statistiche. Prima di tutto spetta proprio ai magistrati rassicurare l’opinione pubblica sulla corretta esecuzione penale. I casi in cui detenuti in semilibertà o ai domiciliari hanno commesso reati anche gravi hanno aperto ferite profonde nella società. È bene quindi stare molto attenti a tutto questo, cercando ovviamente di applicare al meglio le norme.

Ci sono comunque ancora molte "zone d’ombra", ha spiegato Di Rosa, nel sistema delle misure alternative al carcere. Si tratta quindi di modificare quello che non va bene se si vuole sviluppare davvero la linea dell’alternativa al carcere. Di Rosa ha spiegato che serve anche un ripensamento sul ruolo delle forze di polizia che hanno troppi compiti intrecciati per poter assolvere al meglio anche al compito di sorveglianza dei condannati che beneficiano delle misure alternative.

Giustizia: gip di Torino; con l’indulto... è inutile arrestare

 

Il Giornale, 16 novembre 2007

 

Un’indagine lunga e difficile, durata oltre quattro anni e capace di smascherare gli autori di un omicidio e i componenti di un’agguerrita organizzazione di trafficanti di droga. Un’inchiesta delicata, complessa. Che si è tuttavia arenata sul più bello, quando i carabinieri stavano per far scattare le manette ai polsi dei responsabili di quel traffico di stupefacenti. A bloccare l’azione di militari e pubblici ministeri è stato un giudice, che si è rifiutato di firmare l’ordine di arresto avanzato dalla Procura di Torino nei confronti di 34 appartenenti al clan. Non valeva la pena di arrestarli, perché tra indulto e altre concessioni non avrebbero fatto neppure un giorno di galera.

Si chiama Alessandro Prunas Tola, ha 44 anni e da almeno dieci è giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Torino. La sua decisione ha sorpreso un po’ tutti, meno i suoi colleghi di lavoro. Lui non parla, si trincera dietro un freddo "no comment". "Lascio parlare le carte processuali - spiega -, le parole servono a poco".

Parlano, invece, gli altri gip di Torino. Non sono affatto sorpresi dalla decisione presa dal loro collega, anzi. Spiegano che è normale, che "la legge non esclude l’applicazione delle misure, ma richiede di determinare in via prognostica l’entità della pena che in caso di condanna potrà essere comminata a ciascun indagato per stabilire se risulti possibile applicare la misura coercitiva".

È quello che ha fatto anche Prunas Tola, che nella propria ordinanza scrive: "Tenuto conto del probabile accesso ai riti alternativi e della possibile concessione delle attenuanti generiche, i tre anni di pena estinti con l’indulto, che acquistano la valenza di tre anni di pena già scontata, si estendono a gran parte delle pene che, in ipotesi di colpevolezza, saranno inflitte agli attuali indagati". Pertanto, si chiede il giudice, che senso ha metterli in galera adesso se poi, in caso di condanna, gli indagati non faranno neppure un giorno di carcere perché la pena verrà cancellata dall’indulto? Arrestarli adesso sarebbe solo una perdita di tempo, tanto vale lasciarli liberi.

In manette, invece, sono finiti in cinque: coloro, cioè, che avevano commesso reati anche dopo il 2 maggio 2006, data dell’indulto. Intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e filmati avevano consentito ai pubblici ministeri Maurizio Laudi e Roberto Sparagna e ai carabinieri del Reparto operativo di Torino di individuare tutti gli appartenenti alla organizzazione. Un lavoro di intelligence che aveva pure consentito di risolvere un omicidio avvenuto nel 2003 al confine tra i comuni di Torino e Grugliasco.

In tre erano finiti in manette per quel delitto, mentre il resto della banda continuava a dedicarsi allo spaccio di cocaina ed eroina in città: un chilo di droga alla settimana, per un volume d’affari di un milione di euro l’anno. Trentaquattro trafficanti che resteranno, però, liberi. "Quel giudice per noi ha sbagliato". Il procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena, prende posizione sul mancato arresto di 34 trafficanti di droga e annuncia con forza che "la Procura ha già presentato ricorso in Cassazione".

Il caso di Torino è soltanto l’ultimo esempio di una giustizia in disarmo. A lanciare l’allarme, qualche tempo fa, era già stato il procuratore generale di Monza, Antonio Pizzi: "Già ora rinunciamo a chiedere l’arresto cautelare di persone che prevediamo possano essere condannate a una pena inferiore ai tre anni, è la legge che ce lo impone". Sulla stessa lunghezza d’onda, anche i numeri uno delle Procure di Verona, Venezia e Catania. Ormai è allarme rosso.

Giustizia: Mancino (Csm); ma non si può inapplicare la legge

 

La Stampa, 16 novembre 2007

 

La voce arriva disturbata: "Sto andando ad Avigliano, provincia di Potenza, a commemorare l’insigne giurista Emanuele Gianturco". Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, ha appena lasciato palazzo dei Marescialli a Roma dopo avere riunito il Comitato di presidenza e il plenum. Il gip di Torino, con la decisione di non accogliere la richiesta di carcerazione nei confronti di 34 indagati perché tra indulto e riti alternativi non avrebbero fatto un giorno di carcere, non ha certificato una verità che sta sotto gli occhi di tutti?

 

L’Italia è il Paese con il maggior numero di leggi e una produttività del sistema giustizia che è pari quasi allo zero. Si conferma la Caporetto della giustizia?

"È allarmante la motivazione del gip di Torino, una sorta di abrogazione implicita delle norme. La legge va applicata e chi la deve applicare è il giudice. Anche se la sanzione è tenue e può portare alla scarcerazione immediata, o per effetto dell’indulto allo sconto di pena, il giudice ha il dovere di applicare la legge. Il giudice deve valutare la personalità del colpevole e graduare la pena, ma nessuno, tantomeno un giudice, ha il diritto di renderla di fatto inapplicata".

 

Al di là degli eventuali illeciti disciplinari commessi, le motivazioni del gip di Torino non sono forse un segno di impotenza di una giustizia che non funziona?

"La pubblica opinione rimane perplessa di fronte a decisioni come quella di non applicare la legge, di non spedire in carcere indagati per reati gravissimi, a prescindere dal fatto che questi signori in carcere ci staranno ben poco. La stragrande maggioranza dei magistrati applica la legge, anche quando ha consapevolezza della sua inefficacia".

 

A memoria sua, è il primo caso di un giudice che diciamo si ribella al dettato costituzionale?

"Che io ricordi, la motivazione dell’inapplicabilità della norma è inusuale, non è e non può essere di tutti i giorni. Il Paese chiede, ha bisogno di certezza del diritto e della pena. Con queste affermazioni e con questo stato d’animo pessimista, giriamo le spalle al Paese".

 

Però il gip di Torino rischia di pagare per colpe non sue. Il problema del Paese è la certezza della pena che non c’è.

"Questo è vero, consideriamo però che la sua dichiarazione contribuisce a diffondere uno stato d’animo di sfiducia nei confronti delle due necessarie certezze perché il diritto funzioni: quella della norma e quella della pena".

 

La vicenda di Milano, invece, è solo paradossale? Siamo di fronte a una distrazione di un pm che non si aggiorna sulle leggi? Alla conferma della disorganizzazione degli uffici?

"Stento a credere che si possa affermare: Non avevo il codice aggiornato. Il decreto legge del governo è così recente da indurre chiunque a munirsi di una Gazzetta ufficiale. Se davvero quel magistrato ha dato quella giustificazione per me è incredibile".

 

Milano, Torino. Che cosa sta succedendo?

"Sono casi isolati. Sono convinto che la stragrande maggioranza dei magistrati vive nelle difficoltà conosciute, come le mancate riforme di diritto sostanziale e processuale. Ma i giudici rispondono, anche se complessivamente la macchina giudiziaria è lenta, i processi sono lunghi, la gente perde fiducia".

 

È innegabile che nell’opinione pubblica sia diffusa la percezione di insicurezza. Quanto pesa l’incertezza della pena nella percezione della insicurezza?

"Il problema più serio è quello di percepire le disfunzioni, di riconoscere la necessità di adeguamento anche di carattere normativo e non provvedervi. Purtroppo, da anni il nostro Paese è immobile. Tutto viene triturato in logiche politiche di schieramento mentre il corpo elettorale ha assegnato ai singoli parlamentari il mandato di governare e di legiferare. Il Parlamento deve funzionare, non può vivere un giorno sì e l’altro pure con il dubbio se il governo cade, se ne nasce un altro, se un parlamentare cambia casacca. Così non si affrontano i temi veri della crisi del Paese, che è una crisi interistituzionale che attraversa governo, parlamento, forze dell’ordine, magistratura".

 

Dopo una stagione di conflittualità estrema tra politica e magistratura, sembrava che fosse scoppiata la luna di miele. E invece i casi Forleo e De Magistris hanno segnalato che la brace cova ancora sotto la cenere.

"Che si viva un disagio è innegabile, ma queste vicende anche di ieri sono casi singoli. Il punto è un altro: la stagione delle riforme costituzionali e istituzionali è rimasta una premessa, un protocollo d’intesa, di intenti. Ognuno pensa alle proprie convenienze e non alle regole da riscrivere".

Giustizia: tribunali al collasso, la soluzione è solo l’amnistia

di Giuseppe Rossodivita (Avvocato in Roma)

 

www.radiocarcere.com, 16 novembre 2007

 

Scrivere oggi di amnistia può apparire esercizio inutile e, forse, riservato a qualche pazzo in cerca di sicura impopolarità. Lo spazio limitato non consente in questa sede un’analisi del circolo vizioso e viziato che sul tema della sicurezza lega media ed agenda politica; con l’ultima che finisce per essere dettata dai primi, i quali, da tempo, più che registrare i bisogni della collettività, appaiono indaffarati ad orientare e bisogni e collettività.

Proverò a spiegare, comunque, perché un’amnistia, oggi, costituirebbe l’unico provvedimento in grado di restituire la giustizia alla legalità costituzionale e dunque di restituire alla giustizia certezza e rapidità.

Nel nostro sistema costituzionale vige il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, per cui, in teoria, qualsiasi notizia di reato che giunge a conoscenza di un Pubblico Ministero, deve essere approfondita e qualora le investigazioni approdino a dei risultati, l’autore deve essere perseguito.

Fu un errore dei nostri costituenti; un’utopia che ha fornito gli uffici dell’accusa di una discrezionalità irresponsabile e dalla quale scaturisce l’effetto pratico, complice la ipertrofica produzione di norme penali da parte di un legislatore costantemente in balia dell’emergenza di turno, di ingolfare periodicamente i Tribunali. In altri paesi, in Francia ad esempio, le discussioni intorno al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale si arenarono di fronte all’immediata percezione della oggettiva impossibilità di perseguire indistintamente qualsiasi infrazione alla norma penale.

Fatto è che oggi in Italia, 56.000.000 di persone, qualsiasi violazione di una norma penale, sia pur sperduta in qualche anfratto di una dimenticata legge speciale, dovrebbe essere perseguita da uno dei 2.216 magistrati requirenti.

Squilibrio incolmabile del sistema con cui occorre fare i conti, quotidianamente - nelle Procure, nei Tribunali e nelle carceri - almeno fino a quando non verrà messa in cantiere una riforma che parta dalla seria rivisitazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale con la conseguente responsabilità sulle scelte di politica criminale.

A questi squilibri, come noto, per la parte "carcere", si è tentato di porre rimedio con l’indulto. Scelta tardiva, doverosa, divenuta indifferibile pena la quotidiana violazione dei diritti umani dei detenuti; scelta invisa ad una parte politica e da subito osteggiata dai media, ma che guardando ai dati statistici sulla recidiva di coloro che hanno goduto del condono (i cui benefici erano e rimangono condizionati alla non commissione di reati in un arco di tempo di 5 anni) non ha affatto prodotto gli effetti disastrosi che gli si vogliono forzatamente attribuire.

Semmai il disastro sta proprio nel fatto che si è trattato di un provvedimento parziale, il cui respiro è stato soffocato, sin dal giorno dopo, da un’informazione distorta capace di condizionare la successiva azione del legislatore, facendo venir meno qualsiasi proposito di un’oramai impopolare amnistia, provvedimento a carattere generale che determina l’estinzione dei reati (solo di quelli che si decide di amnistiare), fa cessare l’esecuzione della condanna e che storicamente è stata sempre accompagnata all’indulto.

Proprio per questo oggi si devono celebrare centinaia di migliaia di processi volti ad accertare reati per i quali la pena, qualora irrogata, sarà comunque condonata.

A fronte di soluzioni locali di dubbia legalità costituzionale, quale quella, nota, del Procuratore di Torino che ha però il merito di aver smascherato l’ipocrisia del sistema, dandogli corpo e forma di una circolare, il dato è che i Tribunali sono al collasso, riuscendo a garantire solamente tempi irragionevoli nella durata dei processi, incertezza del e nel processo, incertezza della pena, incertezza del diritto, sfiducia ed insicurezza nei cittadini.

Decine di migliaia, ogni anno, sono le sentenze di proscioglimento e addirittura le richieste di archiviazione dei procedimenti per intervenuta prescrizione del reato, con precedente spreco di mezzi, uomini e denaro. È un’amnistia mascherata, non generalizzata, dai contorni indefiniti ed incerti, un’amnistia irresponsabile, ma che fornisce anche l’alibi, vero, serio e reale, per distogliere energie ed attenzione dai reati più gravi che dovrebbero essere perseguiti con la massima efficacia ed intensità.

Sono questi reati o meglio gli autori di questi reati - da escludere da un provvedimento di amnistia - gli unici a giovarsi del disordine e della incertezza attualmente esistente, disordine ed incertezza che d’un sol colpo - con meno demagogia, più coraggio del legislatore ed in attesa di una riforma di sistema - potrebbero essere eliminati con una amnistia ragionevole, responsabile e per questo necessaria.

Giustizia: Berlusconi; "pacchetto" assolutamente insufficiente

 

Dire, 16 novembre 2007

 

Il pacchetto sicurezza approvato dal governo è "assolutamente insufficiente", quindi niente disco verde da Silvio Berlusconi. Ospite della trasmissione "Panorama del giorno" su Canale 5, il Cavaliere ribadisce il proprio no ai provvedimenti del governo e attacca: in materia di sicurezza "il 75% degli italiani, ma anche il 66% degli elettori di sinistra, ritiene che la situazione sia peggiorata negli ultimi due anni, cioè da quando c’è questo governo".

L’ex premier sottolinea che "il problema della sicurezza è grave ed è dovuto principalmente al fatto che abbiamo aperto le nostre frontiere, facendo entrare più stranieri che mai, che non hanno tutti un lavoro né una casa e per disperazione, per vivere, si devono mettere a delinquere. E uno Stato che non garantisce la sicurezza ai propri cittadini - dice - è assolutamente delegittimato".

Giustizia: Domenici (Anci); poteri contro droghe e prostitute

 

Dire, 16 novembre 2007

 

"Abbiamo riproposto con forza la necessità di continuare il lavoro sul pacchetto sicurezza e chiesto la convocazione del tavolo al Viminale su altre due questioni rimaste escluse: lo spaccio di droga e la prostituzione". Lo ha detto il presidente dell’Anci Leonardo Domenici al termine della Conferenza Stato-Città, dove i sindaci hanno dato il loro parere favorevole al pacchetto sicurezza varato dal governo, "frutto di lungo lavoro iniziato a marzo con il contributo importante dei comuni nei tavoli tecnici e politici al Viminale".

Nuoro: detenuto protesta; da 9 mesi aspetto una dentiera

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 16 novembre 2007

 

Domenico Attorre, 48 anni, di Massafra (Taranto), detenuto da 15 anni e ora nel carcere di Nuoro, lancia un appello: da 9 mesi chiede invano di poter disporre di una protesi dentaria.

Un detenuto pugliese, Domenico Attorre, 48 anni, di Massafra (Taranto), detenuto da 15 anni e da agosto 2006 ristretto nel carcere di Bad’e Carros a Nuoro attende invano da nove mesi di poter disporre di una protesi dentaria. Lo rende noto la consigliera regionale della Sardegna, Maria Grazia Caligaris (Sdi - Partito Socialista), segretaria della commissione Diritti civili. "Ancora una volta - denuncia la consigliera - il diritto alla salute delle persone detenute, sancito dalla Costituzione e dalla legge sull’ordinamento penitenziario, non viene rispettato".

Attorre ha scritto una lettera alla Caligaris. "La gravità della mia situazione - spiega l’uomo - è stata certificata ben due volte dal mese di febbraio ad oggi con visite mediche dentistiche, lastre panoramiche, preventivi di spesa per le operazioni occorrenti al ripristino della normale funzione masticatoria. Essendo detenuto da molti anni non ho alcuna possibilità economica per sopportare anche la minima spesa. Non ho un nucleo familiare vero e proprio, che possa supportare in qualche modo tale esigenza, ma solo due figli uno minorenne di 15 anni e l’altro di 25 con un reddito saltuario e molto al di sotto del limite di legge richiesto per la concessione dell’applicazione di protesi dentaria con i costi a carico dell’amministrazione penitenziaria".

"Nonostante esista il sistema dell’autocertificazione del reddito - spiega Attorre - la Direzione di questo carcere ha disposto di far fare accertamenti di natura fiscale del reddito che non c’è delegando la Guardia di Finanza. Tra l’altro in tutti questi anni di detenzione ho usufruito, tramite autocertificazione del reddito, del gratuito patrocinio legale e della remissione del debito. Quindi è già certificato che sono nelle condizioni per vedermi accettata la richiesta di curarmi a spese dell’amministrazione".

"Da febbraio, quando ho presentato la richiesta per l’applicazione della protesi dentaria - racconta ancora il detenuto pugliese- non è successo più niente, salvo che a luglio è stata fatta una nuova visita medica, con un nuovo preventivo di spesa, che ha evidenziato i risultati precedenti, anzi aggravati. Ho suggerito varie volte al Dirigente Sanitario dell’Istituto che, se loro non sono in grado di assicurarmi questo diritto costituzionale a curarmi, ci sono altri Istituti in Italia (Roma Rebibbia, Milano San Vittore ecc.) con centri clinici dentistici in grado di risolvere facilmente la mia situazione e quindi di farmi assegnare temporaneamente in uno di questi Penitenziari".

"La settimana scorsa ho inviato ulteriore istanza al Ministero della Giustizia proprio per chiedere l’assegnazione temporanea perché - conclude Domenico Attorre - non ce la faccio più. Sono uno di quei poveri cristi da una vita carcerato, che si fa la propria galera fino all’ultimo, ma credo, in quanto detenuto, di avere ancora qualche diritto. Quello della salute è un diritto assoluto, nessuno può farlo diventare un favore o una concessione facoltativa così come vorrebbero far pensare". "Non ritengo che si debbano commentare affermazioni di questa portata - sottolinea la consigliera socialista - intendo invece assumere una concreta iniziativa per risolvere il problema. Con questa finalità interesserò il provveditore regionale Francesco Massidda, la direttrice del carcere di Bad’e Carros Gabriella Incollu nonché il Garante dei Detenuti del Comune di Nuoro Carlo Murgia".

Roma: assistenza legale gratuita per l’area penale esterna

 

Comunicato stampa, 16 novembre 2007

 

Grande successo per lo Sportello Legale di assistenza gratuita per i detenuti di Roma e Latina in esecuzione penale esterna. In quattro mesi di attività (dal 13 marzo al 17 luglio) lo Sportello ha ricevuto venti richieste di consulenza legale da parte dei detenuti.

L’iniziativa dello Sportello Legale di assistenza gratuita, prima del genere nel Lazio, è frutto di un Protocollo d’Intesa siglato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni e la Dirigente dell’Ufficio di Esecuzione Penale esterna (Uepe) di Roma e Latina, Rita Crobu.

L’Uepe gestisce le misure alternative alla detenzione (semilibertà, detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale) ed effettua, su richiesta dei Tribunali di Sorveglianza e degli Istituti, le inchieste socio-familiari. L’Ufficio, in sostanza, favorisce il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti con interventi di aiuto e controllo. Per comprendere l’importanza degli Uepe basti pensare che prima dell’indulto solo nel Lazio c’erano 6.100 detenuti in carcere e altri 4.000 in misura di esecuzione penale esterna.

Nei primi 4 mesi di attività (con frequenza quindicinale) lo Sportello di assistenza Legale gratuita organizzato dal Garante dei Detenuti ha coinvolto 9 avvocati e 9 assistenti sociali. Le consulenze hanno riguardato la legislazione sugli stranieri (33% dei casi), la procedura penale (41%) e le materie civilistiche, ovvero riguardanti le conseguenze civili delle condanne penali (26%). Lo Sportello Legale è ospitato a Roma, nella sede dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Roma e Latina, che si occupa delle carceri di Rebibbia, Regina Coeli, Civitavecchia, Latina e Velletri.

I consulenti legali indicati dal Garante Angiolo Marroni svolgono, ogni due settimane, colloqui di orientamento giuridico con i detenuti in esecuzione penale esterna segnalati dagli assistenti sociali. "I dati dimostrano che la percentuale di recidiva è molto più bassa tra chi beneficia di misure alternative che fra coloro che scontano integralmente la pena in carcere - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni -.

Semilibertà, detenzione domiciliare e affidamento in prova sono misure alternative alla detenzione, ma anche opportunità per non perdere contatto con il mondo esterno. I numeri danno ragione alla nostra scelta di organizzare uno sportello legale nell’Uepe per spiegare ai detenuti le opportunità che hanno e mettendo a loro disposizione un aiuto concreto per organizzare e gestire un ritorno da cittadini con diritti e doveri, nella società".

Perugia: Aldo è morto da un mese, abbiamo già dimenticato?

di Arianna Ciccone

 

Articolo 21, 16 novembre 2007

 

Gent.mi giornalisti, vogliamo esprimere tutto il nostro sdegno per come l’informazione in questi giorni sta completamente venendo meno alla propria missione in una società civile e democratica. Da giorni trasmissioni televisive e giornali si occupano continuamente in modo approfondito dell’omicidio di Meredith Kercher che, per quanto tragico, sembra sia avvenuto per mano di un giro di suoi amici.

Non ci sono trasmissioni, speciali, pagine intere o approfondimenti dedicati alla morte di Aldo Bianzino, un uomo di 44 anni che è stato incarcerato il 12 ottobre nel carcere di Capanne a Perugia per possesso di marijuana ed è uscito dalle mani dello Stato, che avrebbe dovuto proteggerlo, senza vita il 14 ottobre.

Il 12 ottobre Aldo Bianzino entra in carcere in buone condizioni di salute e viene condotto in isolamento. La mattina del 14 ottobre alle 8.15 la polizia penitenziaria entra in cella e trova Aldo agonizzante, morirà dopo poche ore. I detenuti pare abbiano dichiarato di aver sentito più volte Aldo lamentarsi e chiedere aiuto la notte precedente al ritrovamento.

Aldo Bianzino è morto da un mese. Le cause sono ancora del tutto oscure. Il silenzio delle istituzioni e dei media è inconcepibile. Inizialmente si è parlato di un infarto, ma una seconda autopsia ha attestato trauma cranico, costole rotte e fegato spappolato. Chi ha ucciso e come sia morto Aldo non si sa e nessuno se ne occupa.

Il valore di questa vita e la ricerca della verità rispetto a questo episodio non dovrebbero avere lo stesso peso di quello attribuito alla vicenda Meredith? Dobbiamo ritenere che ad interessare i giornalisti siano episodi di droga e sesso e gli scandali che ruotano intorno all’omicidio di Meredith piuttosto che la ricerca e la difesa della verità in quanto tale? Oppure dobbiamo pensare che i protagonisti "giovani e belli" del caso Kercher meritano maggiore attenzione perché fanno più audience?

Perugia: caso Bianzino; una lettera della Polizia Penitenziaria

 

Sinappe Umbria, 16 novembre 2007

 

Il dipinto fatto del caso Bianzino sui quotidiani locali e nazionali è un insulto alla costituzione italiana. La Polizia Penitenziaria è stata condannata senza essere processata.

Non sempre c’è una logica nei fatti, soprattutto quando a raccontarli non sono i diretti interessati. Sulla vicenda sono state raccontate tante inesattezze, talvolta ingiuriose, solo perché si pensa di aver capito tutto. La verità è un’ambizione legittima per i familiari della vittima, ma è anche una necessità per la Polizia Penitenziaria. Qui nessuno vuole coprire le mele marce, qui ci sono solo operatori coscienziosi e attenti allo stato di diritto.

Sentiamo soltanto ripeterci: "la democrazia di un paese si vede dalla civiltà del suo sistema carcerario", che è diventata una formula tirata fuori solo quando succede un fatto grave, nient’altro che belle parole. Ma dove sono questi oratori quando le forze dell’ordine gridano la loro insofferenza, la mancanza di fondi, uomini e regole, quando chiedono la "certezza delle regole", fondamentale per l’equazione sicurezza/democrazia?

Nelle carceri non c’è democrazia, c’è anarchia. Un uomo entra in carcere e il giorno dopo tutto un sistema si muove intorno a lui per farlo uscire prima possibile.

Il Sistema Penitenziario è un mondo complesso e delicato, perché se è vero che anche chi si trova in carcere è un essere umano, è altrettanto vero che questo essere umano si trova lì perché ha violato le regole della società a cui appartiene. Il buonismo nei confronti di chi è stato punito, ha raggiunto soglie allarmanti, fatevelo dire da un Poliziotto Penitenziario che vede ogni giorno il senso di impunità sul volto dei detenuti, un sorriso beffardo in cui leggo il fallimento del mio lavoro, il fallimento della democrazia nel suo concetto di equilibrio fra diritti e doveri.

Raccontare questo mondo è difficile, e non si dovrebbe permettere a chi non lo conosce di giudicarlo superficialmente, perché quando si innesca il giudizio della gente su fatti come il caso Bianzino, a farne le spese sono gli agenti della Polizia Penitenziaria, additati come aguzzini, picchiatori, torturatori, termini ingenerosi per chi ha deciso di lavorare dove la società rinchiude chi deve essere punito.

Il ruolo della Polizia Penitenziaria è stato definito risultato di un’equazione impossibile, per non parlare della Gozzini, che non è più adatta né ai tempi né alla tipologia dei detenuti, sempre più multietnica: a Capanne quasi l’80 per cento dei detenuti sono stranieri.

Con questa lettera aperta, noi agenti vorremmo raccontare ai cittadini la nostra verità. Vorremmo dire che siamo consapevoli che i detenuti sono esseri umani e che per tali li trattiamo nel rispetto della legge, perché crediamo che il carcere non è un ambiente esclusivamente punitivo, ma anche riabilitativo.

Però vorremmo anche ricordare che in carcere ci sono assassini, pedofili, spacciatori, violentatori, mafiosi: sono queste le persone con cui ci rapportiamo tutti i giorni, e se dietro a queste persone c’è un essere umano che ha sbagliato, dietro a un agente c’è un essere umano che lavora per riabilitare chi ha sbagliato. La Polizia Penitenziaria è al servizio del paese con senso del dovere e altruismo. Grazie.

 

Il vice segretario regionale Sinappe

Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

Rosati Daniele

Bollate: "esperienze teatrali di residenza" anche per detenuti

 

Redattore Sociale, 16 novembre 2007

 

È uno dei nove realizzati in Lombardia in spazi insoliti e abbandonati grazie al progetto "Etre-Esperienze teatrali di residenza" della Fondazione Cariplo che li finanzia con 1,5 milioni di euro.

Un acquedotto del 1908, il carcere di Bollate, una ghiacciaia dove venivano conservati i pesci del Lago: sono alcuni dei nove teatri che nasceranno in Lombardia nell’arco del prossimo anno. Si tratta di edifici nati non come teatri, ma trasformati in laboratori artistici dal lavoro di compagnie emergenti.

Il progetto "Etre-Esperienze teatrali di residenza" della Fondazione Cariplo ha deciso di finanziarli con 1,5 milioni di euro. Le compagnie selezionate si impegnano a promuovere festival, spettacoli ed eventi. Le loro "residenze teatrali" potranno così diventare dei laboratori creativi e ospitare produzioni proprie. Soltanto negli ultimi dodici anni, in Lombardia sono nate un centinaio di compagnie teatrali, molte delle quali a carattere professionale. "Queste realtà - spiega Andrea Rebaglio, responsabile del progetto per Fondazione Cariplo - stentano a trovare spazi e finanziamenti per le loro produzioni e faticano a entrare nei circuiti tradizionali, poiché anche nel teatro, non esistono politiche volte a favorire il ricambio generazionale".

Tra le residenze teatrali più originali c’è il progetto al carcere di Bollate (Milano), chiamato anche Residenza Teatro In-stabile: una compagnia di attori, detenuti e non, creerà un laboratorio teatrale attrezzato all’interno del penitenziario e una struttura esterna per permettere ai tutti di assistere agli spettacoli. Il bando ha anche l’obiettivo di valorizzare spazi abbandonati a sé stessi, come la residenza Torre dell’Acquedotto a Cusano Milanino, un esempio di archeologia industriale alla periferia di Milano che accoglierà, tra gli altri, "Progetto 21", uno spettacolo dedicato alla disabilità in nome del cromosoma in più che caratterizza la sindrome di Down.

"Vogliamo creare uno spazio aperto alle contaminazioni, un luogo dove potremo ospitare anche artisti stranieri e che vogliamo riempire di contenuti - dice Raffaella Bonivento, attrice e produttrice teatrale della compagnia Aia Taumatica, che gestirà la struttura -. Così come un tempo l’acquedotto distribuiva l’acqua, noi vogliamo far scorrere idee, musica e stimoli culturali in città". La Residenza Glazer, nascerà invece in una ex ghiacciaia a Cusago Brabbia (Varese), dove venivano un tempo conservati i pesci del Lago di Varese: " La residenza organizzerà un festival dei burattini coinvolgendo nove comuni intorno al lago".

Ci sono poi gemellaggi insoliti, come quello tra Casa del popolo e Parrocchia ideato dalla Residenza Textura, a Vimercate (Milano): nei due luoghi si alterneranno rappresentazioni e laboratori artigianali. La compagnia Qui e ora utilizzerà invece la biblioteca di Dalmine (Bergamo) per indagare e raccontare il mondo giovanile attraverso il teatro di inchiesta.

La compagnia IDra invece agirà nel comune di Brescia non solo con spettacoli, ma anche con installazioni e video arte. Infine dal colle di Monte di Brianza (Lc), l’associazione Scarlatti Progetti vuole creare un circolo virtuoso per rianimare il piccolo borgo e fare rivivere lo spazio naturale circostante. A Pavia, grazie all’associazione Motoperpetuo, nascerà la Residenza Oltrepavia, spazio di sperimentazione e incontro e infine a Gallarate nascerà la Residenza Dionisio in A8: una compagnia tutta al femminile si propone di creare oltre agli spettacoli, un foyer in grado di accogliere artisti e appassionati. La prima inaugurazione avverrà a Pavia il 23 novembre, nella residenza OltrePavia. A gennaio invece la Fondazione Cariplo attiverà un secondo bando per le residenze teatrali, volto a selezionare un’altra decina di compagnie emergenti.

Roma: concluso il convegno "Una nuova politica della pena"

 

Comunicato Dap, 16 novembre 2007

 

Si è concluso oggi a Roma, presso la sede dell’Istituto Superiore di Studi penitenziari, il convegno, organizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Coordinamento dei magistrati di Sorveglianza, dedicato al tema "Una nuova politica della pena".

Gli interventi del sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, dei professori Giuliano Pisapia, Presidente della Commissione per la riforma del codice penale e Giuseppe Riccio, Presidente della Commissione per la riforma del codice di procedura penale; di Ettore Ferrara, capo del Dap e di Giovanna Di Rosa, magistrato di Sorveglianza , dei relatori delle diverse professionalità che operano nell’Amministrazione penitenziaria hanno condiviso il sostanziale positivo bilancio dell’applicazione delle misure alternative alla detenzione e la necessità di una maggiore estensione di tali misure.

Un reale sostegno al reinserimento sociale dei detenuti e un puntuale controllo dell’andamento dei benefici sono i principi sui quali impegnare risorse e professionalità, affinché sia garantita la sicurezza dei cittadini e l’attuazione del principio costituzionale della pena.

Immigrazione: Lega; chiudiamo le frontiere per cinque anni

 

Corriere di Como, 16 novembre 2007

 

Frontiere chiuse per i prossimi cinque anni e stop all’immigrazione selvaggia. Questi i due punti per cui la Lega Nord di Como scenderà in piazza per tutto il prossimo fine settimana.

Con circa 60 gazebo, organizzati nei diversi Comuni della provincia, i militanti padani raccoglieranno firme con il fine - come si legge nel volantino ufficiale dell’iniziativa - "di porre fine all’immigrazione incontrollata".

Curioso, peraltro, che negli stessi giorni - 17 e 18 novembre prossimi - anche tutto il resto della Casa delle Libertà, con Forza Italia in testa, sarà nelle piazze lariane per un’altra petizione, in questo caso però interamente dedicata al governo Prodi e all’avviso di sfratto politico al centrosinistra dal governo nazionale.

"Condividiamo anche questa battaglia del resto della Cdl, ovviamente - ha tenuto a precisare il segretario provinciale del Carroccio, Edgardo Arosio - ma noi avremo banchetti e gazebo separati per porre l’attenzione soprattutto sul tema dell’invasione di stranieri".

A questo proposito, decisamente esplicito è il volantino che accompagnerà l’iniziativa leghista nel prossimo fine settimana.

"Soltanto con la Lega Nord al governo - recita il testo - è stato possibile mettere un freno alle leggi (Turco-Napolitano) che da anni permettevano un’immigrazione incontrollata. Inoltre - rivendicano i padani - l’approvazione della legge Bossi-Fini rappresentò un primo fondamentale punto fermo per porre un freno al fenomeno attraverso l’obbligo di avere un contratto di lavoro". Pesante quanto inevitabile l’attacco al governo Prodi sulla gestione dei flussi migratori e degli ingressi in Italia.

"Il governo - si legge nel volantino leghista - ha fatto retromarcia, riaprendo le porte ad ogni tipo di immigrazione, mettendo in discussione la Bossi-Fini e soprattutto non applicando la moratoria nei confronti della Romania che invece tutti gli altri governi europei, di destra e di sinistra, hanno opportunamente applicato".

Il governo Prodi, continua l’attacco politico del Carroccio, "votando l’indulto ha rimesso in libertà migliaia di delinquenti, molti dei quali (il 70%) di provenienza extracomunitari" (l’indulto, in realtà, è stato un provvedimento di iniziativa parlamentare, ndr). Da qui, dunque, l’appello finale al Presidente della Repubblica e all’esecutivo "per attivare tutte le misure necessaria per chiudere immediatamente le frontiere e per evitare, anche nel rispetto della legge Bossi-Fini, che immigrati di qualsiasi provenienza arrivino clandestinamente nel nostro Paese".

Droghe: un'indagine conoscitiva su effetti Fini-Giovanardi?

 

Notiziario Aduc, 16 novembre 2007

 

Il netto contrasto tra Unione e Cdl emerso dal dibattito nelle Commissione Giustizia ed Affari Sociali sulle pdl dirette a rivedere la legge Fini-Giovanardi sulle droghe ha, almeno per il momento, registrato un punto di convergenza: l’opportunità di effettuare un ampio approfondimento della questione attraverso una specifica indagine che accerti se la normativa introdotta alla fine della scorsa legislatura ha realmente portato ad un peggioramento sul piano delle carcerazioni, se l’azione di contrasto alla diffusione degli stupefacenti è stata o no più efficace.

Tesi sulle quali i due schieramenti continuano a contrapporsi in modo frontale come hanno confermato gli interventi in Commissione di Carlo Giovanardi (Udc), Mariella Bocciardo (Fi) e Daniele Farina (Rc-Se), ma concorde è stato l’accoglimento della proposta di Luigi Cancrini (Com. It.) di affrontare la questione, senza ulteriori rigide posizioni preconcette, sulla base di un reale approfondimento effettuato con una indagine conoscitiva o, se necessario, con una Commissione d’inchiesta.

Il Presidente della Affari Sociali, Mimmo Lucà e quello della Giustizia Pino Pisicchio hanno condiviso l’esigenza di procedere ad un ciclo di audizioni informali prima di affrontare la messa a punto di un testo unificato tenendo conto che alle pdl già da tempo depositate se ne è aggiunta un’altra che punta ad introdurre specifiche sanzioni anche nei confronti di alcol e nicotina.

Droghe: Roma; false le accuse alla Fondazione Villa Maraini

 

Notiziario Aduc, 16 novembre 2007

 

Erano false le accuse rivolte due anni fa alla Fondazione Villa Maraini di richieste di denaro imposte agli utenti. Gli operatori sono stati prosciolti da ogni presunto addebito. Il Tribunale di Roma, lo scorso maggio, ha infatti condannato A. T., uno degli accusatori, a 5 anni e 10 mesi di reclusione per calunnia continuata commessa ai danni degli operatori della Fondazione. Lo rende noto Massimo Barra, fondatore di Villa Maraini e presidente della Croce Rossa Italiana.

La vicenda "ha causato gravissimo danno alle attività della Fondazione, svolte non solo all’interno della comunità ma nelle carceri, nelle strade di Roma, nei tribunali e solo la professionalità e l’impegno degli operatori sono stati capaci di superare i pregiudizi creati da tali accuse. Adesso che la verità sta venendo a galla, ci domandiamo come mai, dopo aver curato 40 mila tossicodipendenti di tutto il paese senza mai aver dato adito alla minima contestazione, Villa Maraini sia stata accusata da alcuni tossicomani attivi abitanti nello stesso quartiere e se per caso la vicenda non sia stata costruita da una regia occulta a noi sconosciuta".

Diritti: l’Onu approva la moratoria contro la pena di morte

 

Asca, 16 novembre 2007

 

Un passo storico. Una battaglia vinta nella lunga guerra intrapresa contro la pena capitale nel mondo. Un lungo applauso ha salutato nella tarda serata di ieri l’approvazione da parte della terza commissione riunita al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York della risoluzione sulla moratoria dell’esecuzione della pena di morte con 99 voti a favore.

Hanno votato contro 52 paesi. Gli astenuti sono stati 33. Una vittoria anche italiana, considerata la grande spinta che il nostro paese ha dato per cercare più consensi possibile. "È un grande successo dell’Italia", ha detto il sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti, dopo il voto. "La risoluzione approvata dalla terza commissione - ha aggiunto - rappresenta una formidabile arma di dissuasione politica e morale".

A New York in questi giorni si è giocata una partita fondamentale e storica per il diritto internazionale. Una partita non senza intoppi. A far slittare di diverse ore il voto finale, infatti, una serie di emendamenti orali sull’aborto presentati dal partito pro-pena di morte. Gli emendamenti esortavano al rispetto del diritto alla vita equiparando aborto a pena capitale sono stati presentati da Egitto, Singapore e paesi caraibici e respinti a larga maggioranza dopo un dibattito. Nel corso della discussione sono intervenuti, favorevoli, il rappresentante degli Usa e del Vaticano.

La Santa Sede all’Onu non ha diritto di voto ma rango di osservatore. I tempi del voto finale si sono allungati anche perché l’Egitto, che guida il fronte contrario, ha chiesto che il testo finale della risoluzione sia votato paragrafo per paragrafo. E mentre all’Onu si discuteva sulla moratoria la Corte Suprema degli Stati Uniti nella stessa serata di ieri ha fermato il boia della Florida che alla mezzanotte di ieri avrebbe dovuto mettere a morte Mark Dean Schwab. Il detenuto era stato condannato all’iniezione letale ma la Florida ha fermato le esecuzioni da quasi un anno.

Da quando, a metà dicembre del 2006, Angel Diaz condannato a morte per omicidio, impiego 34 minuti per morire. Dopo il caso Diaz e l’ondata di proteste sollevate dalla fine atroce del condannato, il governatore Jeb Bush aveva dichiarato una moratoria fino a che lo Stato non avesse cambiato la procedura della camera della morte. Le nuove regole, convalidate il primo novembre dalla Corte Suprema statale, prevedono che un agente della polizia penitenziaria verifichi direttamente se il condannato abbia perso conoscenza e sensibilità prima che il boia possa dare il via alle altre due iniezioni, quelle che lo paralizzano e poi gli fermano il cuore.

Ma è da settembre, anche grazie al caso Diaz, che negli Usa la "morte di Stato" ha subìto una battuta d’arresto: da quando cioè la Corte Suprema ha accettato di esaminare il ricorso di un condannato del Kentucky, secondo il quale l’iniezione letale è un metodo "inusuale e crudele" e come tale viola l’ottavo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

Germania: gli stranieri sono criminali, oppure no?

di Martin Zwick (articolo tradotto con il permesso dell’autore)

 

Corriere d'Italia, 16 novembre 2007

 

Il fenomeno delle alte quote di criminalità negli stranieri in Germania. Perché e cosa veramente significano. La verità ed il trucco delle statistiche

Quando ci si accosta al tema "stranieri e criminalità" ci si accorge di essere su un campo minato, fatto di pregiudizi, di animosità, con complicati meccanismi giuridici e con malignità che vengono dall’ufficio di statistica. Ci sono un paio di ideali "cartelli di ammonimento" a cui bisogna fare attenzione quando si tratta dell’argomento, ed è necessario non perdere di vista l’obiettivo attraverso una eccessiva e referente attenzione nei confronti di chicchessia. Importante è chiamare con il proprio nome fatti certi; importante è interpretarli nelle loro condizioni quadro. Questo significa fare attenzione da una parte alle limitate capacità descrittive della statistica criminale, dall’altra significa considerare le condizioni di vita dei migranti.

 

Primo cartello di ammonimento: attenzione alle esagerazioni e al creare panico

 

La criminalità è lo sviluppo di un comportamento deviante, quindi un fenomeno che si rileva in qualsiasi società e da sempre. Anche se la criminalità oggi sembra un argomento particolarmente attuale ed in continua crescita (e questo viene spesso e volentieri attribuito dagli autoctoni agli stranieri), bisogna avere presente che una gran parte della criminalità che viene percepita come tale è dovuta ad una maggiore circolazione di informazione e soprattutto ad un ruolo più massiccio della stampa e della informazione scandalistica, affamata di sensazioni. La questione politica è invece la seguente: quando la criminalità raggiunge una misura ed una qualità tali da essere distruttiva per la vita in comune? Questo non significa sottovalutare gli effetti della criminalità stessa o considerare poco le vittime dei delitti, le quali sono da ogni singolo atto criminale seriamente colpite. Al contrario. Una visione razionale del fenomeno criminale, un serio processo di ricerca delle cause e delle condizioni, sono la via migliore per combatterlo e diminuirlo attraverso la prevenzione.

 

Secondo cartello di avvertimento: "criminalità degli stranieri", un concetto che porta su una strada errata.

 

La Germania è una terra di immigrazione, quindi deve convivere con tutte le conseguenze positive e negative della immigrazione, compresa la criminalità degli immigrati. Qui comincia però già il problema. Chi sono gli immigrati, gli stranieri? Profughi e asilanti? Famiglie di lavoratori stranieri che da quattro decenni vivono in Germania e i cui figli e nipoti costituiscono la seconda e terza generazione cresciuta in Germania? Imprenditori ed impiegati degli Stati dell’Unione e delle altre nazioni industrializzate che fanno i loro affari in Germania o con la Germania, (siano essi leciti o qualche volta meno leciti; ciò che nelle rubriche va sotto il nome di criminalità economica od organizzata)? Esperti altamente qualificati (vedi i possessori della "Carta Verde") e studenti stranieri? Persone immigrate illegalmente? Turisti stranieri? Tutti costoro finiscono nelle statistiche della polizia criminale (PKS) quando compiono atti contro le leggi vigenti in Germania o tengono comunque un comportamento criminale. Visto, però, che i comportamenti devianti di queste diverse categorie di persone sono molto diversi tra loro, si capisce che il concetto di criminalità degli stranieri è un concetto in sé fuorviante. Gli stranieri non sono più criminali dei tedeschi, bensì alcuni singoli gruppi o parti di gruppi tra loro.

 

Terzo cartello di avvertimento: insidie nelle statistiche

 

Le statistiche criminali (PKS) che comprendono atti criminali e sospetti di atti criminali, così come le statistiche di atti criminali giudicati come tali da un tribunale, presentano buchi e manchevolezze che conducono a giudizi sbagliati. In particolare nella categoria forfettaria degli stranieri, questi deficit delle statistiche mostrano il loro effetto, presentando gli stranieri in una cattiva luce ed attivando i relativi pregiudizi.

Tra i reati conosciuti (nel 2003, 6,57 milioni) e il numero dei sospettati di reato (2,35 milioni) c’è un campo oscuro fatto di reati non dichiarati, di criminali con plurireati, di criminali che compiono reati non perseguibili (soprattutto minorenni). Tale campo oscuro copre però anche i reati non conosciuti, e ciò con la conseguenza che quando aumenta la possibilità di denuncia della popolazione o la intensità di intervento della polizia, il limite del campo oscuro, e quindi il quadro statistico, cambiano, senza che questo comporti un cambiamento del comportamento criminale della popolazione.

Se gli stranieri rappresentano il 23,5% dei sospettati di reato, e sono invece solo il 8,9% della popolazione; ciò da luogo alla interpretazione che essi sono più criminali. In realtà però nella PKS tutti gli stranieri sospettati di reato vengono raggruppati, anche turisti, visitatori, coloro che attraversano il Paese, pendolari di frontiera, forze di stazionamento, immigrati illegali. Costoro non appartengono alla popolazione stanziale, ciò nondimeno aumentano la quota di reati.

Determinati reati, ad esempio contro la legge dell’immigrazione o la procedura di asilo possono essere compiuti solo da stranieri. Anche questi reati che vengono riconosciuti come delitti specifici stranieri aumentano significativamente la quota delle statistiche dei non-tedeschi.

Una forma particolarmente grave di criminalità è quella organizzata, che però paradossalmente esce dalle statistiche. La Pks registra solo determinati casi singoli, non le strutture criminali organizzate. Esse sono costituite da forze internazionali che utilizzano per i loro sporchi affari (commercio di droga, commercio di persone, prostituzione, immigrazione illegale) le frontiere aperte e gli appoggi in altri stati. Con questo universo una famiglia media di stranieri ha tanto poco a che fare quanto un funzionario tedesco.

 

I fattori strutturali

 

Cosa rimane quindi per la conoscenza di questi fenomeni, quando le statistiche si rivelano così poco credibili? Nella statistica dei delitti specifici degli stranieri figurano senza dubbio gruppi di stranieri che innalzano i numero medio dei reati. Si tratta di giovani della seconda e della terza generazione (soprattutto turchi) con scarsa formazione professionale e/o con deficit nella conoscenza della lingua. Il noto criminologo Christian Pfeiffer arriva alla conclusione che un gruppo di motivi porta a questo tipo di comportamento, che sono: scarsa formazione, esperienza di violenza in famiglia, una concezione tipica del ruolo maschile (comportamento da macho) che tuttavia viene messa sempre più in discussione, famiglie distrutte. Inoltre a questi si aggiungono fattori come la povertà, la disoccupazione e l’assenza di prospettive. Molti giovani stranieri si intendono come perdenti del processo di migrazione. La frustrazione che ne deriva porta a comportamenti aggressivi.

A tutto ciò si aggiunge inoltre il fatto che questi giovani vivono generalmente in grandi centri urbani, dove normalmente la quota di criminalità è più alta. I punti citati sono l’indice di una integrazione bassa o mancata. Sa in futuro riusciranno a mediare migliori conoscenze della lingua, una formazione scolastica e professionale più alta, migliori chance nel mercato del lavoro, così come la facoltà di risolvere conflitti in maniera non violenta, questo sarà un concreto apporto alla integrazione e alla eliminazione di strutture che favoriscono la criminalità.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva