Rassegna stampa 17 marzo

 

Roma: come vivono ragazze e ragazzi nel carcere minorile

 

korazym.org, 17 marzo 2007

 

Dietro un muro. Giorni normali da piccoli reclusi. Sveglia alle otto, apertura delle celle, attività della mattina, chiusura delle celle (12.30 - 16.00), apertura delle celle, attività del pomeriggio, chiusura delle celle (19.30), tutti i giorni. Circa il 40 per cento dei ragazzi sono tossicodipendenti; la quasi totalità, recidivi. Alcuni finiscono dentro anche 10, 12 volte

Sono ragazzi che vestono le scarpe da ginnastica della marginalità e hanno in testa il gel dell’esclusione sociale. Che portano la maglia di un paese lontano, spesso dell’est europeo, in qualche caso maglie di nazionali che non esistono più, e in Italia si trovano senza famiglia e senza amici. Ragazze rom 14enni con i figli al seguito, che dormono dentro passeggini recuperati, ex bambini costretti a stare dietro i banchi dei peggiori quartieri di Roma, unica insegnante la vita.

Italiani, rom della ex Jugoslavia, romeni, albanesi, una città dei ragazzi dietro le sbarre. Sono gli ospiti forzati, dai 14 ai 21 anni, dell’Istituto penale minorile di Roma Casal del Marmo. Ad oggi si tratta di 53 ragazzi, 35 maschi (8 gli italiani, 4 minorenni e 4 giovani adulti dai 18 ai 21 anni) e 18 femmine (1 italiana minorenne) che vivono la vita scandita dal metronomo della detenzione: sveglia alle 8, apertura delle celle, attività della mattina, chiusura delle celle (12,30-16), apertura delle celle, attività del pomeriggio, chiusura delle celle (19,30), giorno dopo giorno. Circa il 40 per cento dei ragazzi si dichiara tossicodipendente, la quasi totalità è fatta di recidivi.

 

Lo zoccolo duro

 

"Chi entra qua una volta ci rientra di sicuro la seconda, e quando cresce è probabile che finisca in un istituto per maggiorenni" - dice Liana Giambartolomei, direttrice dell’area pedagogica di Casal del Marmo, quella degli educatori. "Qui arriva lo zoccolo duro, e trattare con lo zoccolo duro è difficile". Questo perché in linea di massima - esistono eccezioni - chi arriva in un istituto penale per minori è passato attraverso tutta una serie di misure esterne, come l’affidamento ai servizi sociali o ad associazioni di volontariato, oppure la detenzione domiciliare, senza alcun esito. "Sono ragazzi strutturati, recidivi - dice Liana - che entrano qua dentro anche 10, 12 volte. Oppure si tratta di stranieri, per i quali il ricorso alla custodia cautelare è più frequente. Senza documenti, senza famiglia, senza casa, senza una rete sociale di riferimento, come le applichi le misure alternative?".

Casal del Marmo è una struttura di circa 12mila metri quadrati molti dei quali verdi, però dentro ti ci muovi liberamente solo a patto di essere un agente, un educatore, uno psicologo, un gallo (o gallina) un’oca o un gatto. I detenuti per svolgere le attività della mattina o quelle del pomeriggio, o lo sport, si muovono accompagnati. Dormono in due o tre per cella - si cerca di evitare sia il sovraffollamento che l’isolamento - al primo piano di tre palazzine color mattone, sbarre alle finestre dello stesso colore, due maschili e una femminile. Al piano terra di ciascuna la "mensa detenuti" e alcuni spazi comuni destinati a sabati, domeniche e giorni di festa: niente educatori, niente attività, vengono i volontari e con loro lo spirito d’iniziativa. Una delle palazzine ospita la cucina, che funziona anche da laboratorio di pizzeria.

Le attività della mattina iniziano un’ora dopo la sveglia. Prima la pulizia della cella e la colazione. Alle nove gli ospiti di ciascuna palazzina vengono radunati e portati alla "palazzina attività", una lunga C rossa con una cappella a un’estremità e una sala più grande con un palco per il teatro (due volte la settimana) o i concerti, se ci sono, e la festa di fine anno scolastico all’altra estremità. In mezzo il lungo corridoio con le aule. Dentro, un po’ di tutto. Le scuole: elementari, medie e Ctp - centro territoriale permanente, per chi ha passato l’età dell’obbligo scolastico (18 anni) ma non ha la licenza media - il laboratorio di sartoria, di disegno, quello dove si lavora il cuoio. C’è anche una biblioteca, gestita dal comune di Roma. I libri non li prende mai nessuno, però c’è qualche ragazzo che si mette a catalogarli.

Non ci sono più di tre, quattro ragazzi per stanza, qualcuna, tipo quella di disegno, è vuota. Alcune attività, come la scuola o il teatro, sono miste, altre no: il laboratorio di sartoria lo fanno le ragazze, quello di falegnameria o il giardinaggio (che si fa la mattina) i maschi. Bigliettini, sguardi, ammiccamenti, lettere (interne: missili d’amore a corta gittata) sono a malapena tollerati. Più oltre non si va nella maniera più assoluta.

"L’affettività è un problemone, da noi - dice Francesco D’Ortenzi, comandante, a capo dell’area sicurezza del minorile romano - uno sguardo e una lettera vanno bene, però poi basta. Certo, sono tutti adolescenti, tenergli a bada gli ormoni non è semplice. Per l’ultima festa di fine anno scolastico abbiamo organizzato una piccola discoteca, con ragazzi e ragazze. Si facevano certi sguardi. Volevano tenere le luci spente".

In questi giorni c’è una ragazza che non partecipa alle attività. Gli agenti la portano nelle celle-aula, e lei si ferma sulla soglia. È una giovane romena arrivata da meno di una settimana, non fa che piangere. Cammina e piange. Insieme ad un agente, ad una delle tre psicologhe di ruolo del carcere, ad un educatore, gira per il perimetro dell’istituto. È depressa. La psicologa chiederà per lei un esame tossicologico.

 

Rivotril e Roipnol

 

Molti ragazzi arrivano con problemi di dipendenza da Rivotril e da Roipnol. Sono benzodiazepine, psicofarmaci che hanno effetti simili a quelli di robuste quantità di alcool. Sicurezza e calma in pillole, alla portata di scippatori o rapinatori alle prime armi. Piccole età, grandi storie e poco spazio sono gli ingredienti di un mix che i primi giorni, soprattutto, è difficile da mandare giù.

Autolesionismo e suicidi sono i segni forti di un malessere che spesso viene da più lontano. Lo dice Giovanna Serafini, da tre anni psicologa a Casal del Marmo: "Da noi ci sono adolescenti che hanno storie di uso e abuso di sostanze, che soffrono di attacchi di panico o ansia. Molte donne rom hanno attacchi di isteria, c’è qualche borderline. E non dovrebbero star qua. Un ragazzo psichiatrico dovrebbe stare in una struttura di cura. Però non ce ne sono, e se ci sono non sempre sono adatte a contenerlo. E allora finiscono dentro".

L’ultimo suicidio dietro il muro coperto di graffiti di Casal del Marmo - il venerdì pomeriggio c’è il corso di cultura hip-hop - è di due anni fa. Un’accoglienza, l’ingresso di un ragazzo la mattina, si trasforma in dramma alle 5 e mezza di pomeriggio. Nessuno ha fatto in tempo a registrare una storia, un pericolo, un perché.

"Negli ultimi 6 mesi - dice il comandante - ci sono stati due o tre tentativi più seri. Un paio a carattere più che altro dimostrativo, non con l’effettiva volontà di togliersi la vita. Nel primo caso una ragazza ha cercato di impiccarsi con un maglione, troppo morbido. Nel secondo un ragazzo ci ha provato con un laccio troppo ruvido, il nodo del cappio non scivolava. In entrambi i casi, poi, siamo intervenuti".

 

Tre mesi o tre giorni

 

Nella faticosa scalata alla libertà, il tempo è una roccia che si sgretola sotto le mani. Casal del Marmo funziona soprattutto come carcere giudiziario, per (giovani) detenuti in attesa di una sentenza definitiva. Vuol dire che un ragazzo ci rimane in media tre mesi, tre mesi e mezzo. Nel caso di ragazze madri, spesso il limite scende a tre giorni.

"Con un periodo così breve a disposizione - spiega la direttrice, Laura Grifoni - anche le attività che proponiamo hanno un valore relativo. Servono soprattutto come aggancio, a dare uno strumento in più nella speranza che qualcuno lo sfrutti. Magari seminiamo un interesse che fuori diventa una carta in più".

Il pomeriggio - che a Casal del Marmo, a gennaio come ad agosto, va dalle 4 alle 7 - è tempo di sport. Il minorile romano ha tradizionalmente, in barba alla breve media di permanenza, una discreta squadra di calcio che si allena su un campo un po’ meno discreto, e una seconda squadra mista agenti-ragazzi da cui ci si aspettano faville.

E poi c’è un bel campo da basket all’aperto e una grande palestra. Vuota, per "esigenze di sicurezza". Niente pesi, attrezzi, panche. Ci sono dentro solo la rete per la pallavolo (femminile) e i canestri per il basket al coperto. Dieci ragazzi si affrontano, cinque contro cinque, davanti al pubblico delle grandi occasioni: sei reclusi, un agente e un educatore. E mentre la partita si infiamma, tra improbabili lanci lunghi e virtuosismi vietati da qualunque regolamento, si compie il miracolo di questo paese dei balocchi al contrario, in cui detenuti adolescenti svezzati dalla strada giocano come semplici ragazzi.

Biella: agente indagato per il suicidio (nel 2006) di un detenuto

 

La Stampa, 17 marzo 2007

 

Un agente di Polizia penitenziaria in forza al carcere di Biella risulta indagato per il suicidio di Emiliano Santangelo, l’uomo che nel novembre del 2005 accoltellò mortalmente Deborah Rizzato, si era tolto la vita un anno fa. Il poliziotto è già stato interrogato alla presenza del suo difensore: il reato ascrittogli è quello di omicidio colposo, per non aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per salvare la vita al detenuto.

Facciamo un passo indietro nel tempo e torniamo a quel 3 febbraio del 2006. Sono da poco passate le 19 e l’agente in servizio sta facendo il giro della sezione d’isolamento per ritirare i vassoi della cena. Emiliano Santangelo, arrestato a Genova con la pesante accusa di aver accoltellato Deborah Rizzato, è stato trasferito da pochi giorni a Biella dal carcere di Marassi.

Rinchiuso in cella, si rifiuta di uscire anche solo per recarsi alle docce. Trascorre le sue giornate steso a letto, con la coperta tirata fin sopra la testa. Durante i colloqui con il suo legale chiede di essere trasferito altrove, perché qui si sente a disagio. Quella sera l’agente arriva davanti alla cella del canavesano.

Guarda dalla feritoia e vede una sagoma rannicchiata sotto la coperta. Lo chiama; lui non risponde. Sono momenti concitati, cerca le chiavi, si affanna con la serratura e poi la drammatica scoperta: Emiliano Santangelo ha un sacchetto di plastica che gli copre il capo, non respira. Si tenta di rianimarlo, arrivano i sanitari del 118, ma non c’è più nulla da fare. È morto per soffocamento. È l’ultimo atto di uno dei casi più controversi degli ultimi tempi.

Nessuno poteva immaginare che volesse farla finita. O forse sì. La procura apre un’inchiesta dalla quale emerge che l’uomo era stato curato per anni per disturbi psichici per i quali aveva ottenuto l’invalidità. Ma non solo: Emiliano Santangelo aveva già provato in passato ad ammazzarsi con le stesse modalità.

Nell’inverno del 2000, mentre si trovava rinchiuso a Biella, dove scontava la pena per aver abusato sessualmente di Deborah Rizzato, un agente era entrato nella sua cella e lo aveva trovato con la coperta tirata fin sopra al capo. Intuito che qualcosa non andava, lo aveva scoperto e salvato appena in tempo, prima che il sacchetto infilato sul volto lo soffocasse.

L’episodio era finito a verbale e quindi nel fascicolo che lo riguardava. Possibile che a distanza di così pochi anni nessuno si sia ricordato del tentativo di suicidio e non abbia preso gli adeguati provvedimenti per prevenirlo? Ora non resta che attendere la risposta a una domanda che apre a sua volta altri inquietanti interrogativi.

Ferrara: vietato l'ingresso a presidente Ass. Papillon Bologna

 

Comunicato stampa, 17 marzo 2007

 

Il Presidente dell'Associazione Culturale Papillon-Rebibbia Onlus di Bologna,

Il 26 marzo 2007 all’interno della Casa Circondariale di Ferrara si terrà il Seminario finale del Progetto "Casa Circondariale Sostenibile" realizzato dalla Provincia di Ferrara con il contributo della Regione Emilia Romagna. Gli organizzatori della Provincia mi avevano invitato per tenere la relazione conclusiva del lavoro svolto in quanto collaboratore al Progetto con una giornata di comunicazione dedicata agli operatori. Inaspettatamente mi viene comunicato che il Direttore del carcere, dott. Francesco Cacciola, ha imposto il divieto alla mia entrata nell’Istituto.

Premesso che la nostra Associazione ormai da anni collabora fattivamente con la Regione Emilia Romagna e con Provincie e Comuni, che grazie alla collaborazione della Direzione della Casa Circondariale di Bologna ha realizzato con ottimi risultati un progetto per la reinclusione sociale e lavorativa di detenuti in penalità esterna (Progetto sperimentale Papillon a Casalecchio di Reno), che ha promosso una cooperativa sociale di detenuti ed ex detenuti (Cooperativa Sociale Croce Servizi), che come esponente dell’Associazione ho tenuto un corso di educazione alla legalità agli studenti del liceo Minghetti di Bologna e un uguale corso dedicato ai giovani presso un Centro Sociale del Comune di Casalecchio, e, non ultimo, ho tenuto una relazione sullo stato delle carceri italiane in Parlamento dinanzi ai Deputati e al Presidente della Commissione Giustizia della Camera (Roma 15/12/04), sono francamente sconcertato dal comportamento del Direttore dott. Cacciola che giudico come discriminatorio nei confronti di un’Associazione di detenuti ed ex detenuti che utilizza la cultura per formare una coscienza critica in chi, avendo operato uno strappo con la società, possa riconoscere come un disvalore le pratiche illegali e si adoperi quindi per modificare il proprio comportamento.

Penso che un atto discriminatorio e autoritario come quello di cui siamo oggetto non ci aiuti nella lotta contro la recidiva in favore dei cittadini, i quali legittimamente reclamano il sacrosanto diritto alla sicurezza.

 

Valerio Guizzardi

Presidente Associazione Culturale

Papillon-Rebibbia Onlus di Bologna

Roma: Regina Coeli; revocato permesso a proiezione "Il Lupo"

 

Roma One, 17 marzo 2007

 

Il direttore del carcere Mariani nega la proiezione del fim su Luciano Liboni all’interno del penitenziario. Una risposta al regista Stefano Calvagna, che aveva criticato la gestione del caso da parte dell’Arma.

Il direttore del carcere romano di Regina Coeli Mauro Mariani ha deciso di sospendere la proiezione del film "Il Lupo" prevista per domani per le polemiche suscitate dalle dichiarazioni del regista Stefano Calvagna, in particolare per le critiche espresse nei confronti dei carabinieri su come è stata gestita la cattura di Luciano Liboni.

"L’iniziativa della proiezione - ha spiegato Mariani - era nata con una finalità trattamentale - rieducativa concordata con lo stesso regista. Ma le recenti dichiarazioni di Calvagna nei confronti dei carabinieri sulla gestione della cattura di Liboni rischiano di far passare in secondo piano il nostro obiettivo che era, ripeto, soltanto rieducativo e voleva esaltare il percorso di legalità. Quindi in questo momento non siamo disponibili né a partecipare a strumentalizzazioni, né a speculazioni, né a polemiche".

Mariani ha riferito di aver sentito nel primo pomeriggio il registra, il quale avrebbe sostenuto di "essere stato travisato", ma "pur non mettendo in dubbio la buona fede - ha concluso il direttore - ho deciso di sospendere almeno per il momento la proiezione".

Firenze: con il progetto "Salvagente" più lavoro agli indultati

 

Toscana In, 17 marzo 2007

 

Scarica il bando (zip)

Ulteriori contributi per i soggetti produttivi ed imprenditoriali che assumono persone ex detenute che hanno usufruito dell’indulto.

La prima fase del progetto "Salvagente" ha prodotto un’offerta di lavoro pari a 30 posti nei settori privilegiati di edilizia interni, facchinaggio, pulizie e ristorazione. Ad oggi sono in corso le procedure finali per le vere e proprie assunzioni.

Parte in questi giorni la seconda fase del Progetto con la riapertura dei termini di partecipazione da parte di imprese, aziende, ditte, cooperative, associazioni, fondazioni ed onlus del territorio toscano. Lo scopo è quello di ampliare la rete di collaborazione sociale con il mondo imprenditoriale e produttivo, così da consentire un maggiore sbocco occupazionale ai cittadini ex detenuti, beneficiari dell’indulto.

"Salvagente", attraverso il fine ultimo dell’inserimento nel mondo del lavoro degli ex detenuti, intende quindi contribuire anche ad aumentare il livello di sicurezza dei cittadini, andando ad incidere su una delle cause che possono favorire lo sviluppo di percorsi di devianza e di emarginazione, quale è la mancanza di un lavoro.

La seconda fase di "Salvagente" era già prevista, ma appare maggiormente motivata anche per la rilevante richiesta di partecipazione pervenuta dal settore produttivo dopo la scadenza dei termini del bando precedente. È stato quindi possibile intervenire nel concreto con una significativa azione anche grazie all’integrazione del budget messo a disposizione dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Toscana. Le realtà produttive della Toscana saranno informate e coinvolte direttamente con iniziative di incontro con i referenti della Regione e del Ministero della Giustizia.

Le domande vanno inviate entro il 31 marzo 2007 al seguente indirizzo: Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, Via Bolognese n. 84, 50139 Firenze. Per ulteriori informazioni: dr. Amato Dessì, c/o Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, tel. 055.460761 - mail: amato.dessi@giustizia.it; per la parte contabile, rag. Guglielmo Mottola, c/o Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, tel. 055.460761; mail: guglielmo.mottola@giustizia.it.

Firenze: la provincia contro i tagli alla medicina penitenziaria

 

Toscana In, 17 marzo 2007

 

Approvata, all’unanimità dal Consiglio provinciale, la mozione della VI Commissione consiliare sui tagli alla medicina penitenziaria. Il Consiglio provinciale riconosce la mobilitazione dei lavoratori dei centri clinici penitenziari; sostiene il percorso iniziato dalla Regione Toscana con la legge 64/05 e auspica una rapida attuazione del protocollo d’intesa tra Regione Toscana e i soggetti preposti all’Amministrazione penitenziaria al fine di realizzare gli obiettivi di universalità del diritto alla salute.

Massimo Lensi (FI) ha sottolineato che: "La mobilitazione dell’Associazione Medici penitenziari d’Italia che si é svolta il 21 febbraio è stata sostenuta anche da numerose forze politiche tra cui Rifondazione Comunista, i Radicali, Marco Pannella, Adriano Sofri e tutta una serie di personalità che si sono interessate ad una situazione generale delle carceri che è preoccupante per quanto riguarda i tagli avvenuti con la Finanziaria 2007.

Dobbiamo pensare a quello che può vivere il detenuto ammalato in quell’ecosistema che è il carcere. Nella cella se uno si ammala, gli altri sono costretti a vivere la malattia e questo non fa altro che peggiorare la situazione di giorno in giorno. Dalla provincia di Firenze chiediamo al Ministro Mastella di arrivare, urgentemente, ad un ripristino di quelli che sono stati i tagli descritti in finanziaria 2007. Questa è una iniziativa importante del nostro Consiglio così come è altrettanto importante continuare a verificare e vigilare affinché si ritorni a ripristinare la situazione precedente".

Toscana: progetto sulla giustizia riparativa a Lucca e a Pisa

 

Toscana In, 17 marzo 2007

 

La giustizia riparativa è un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso. Lo scopo è quello di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

L’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna di Pisa, forte di un bilancio positivo del lavoro avviato dallo stesso EPE in provincia di Lucca, nel 2007 rilancia azioni di giustizia riparativa anche nei comuni del territorio pisano.

Risale al 6 aprile 2006 la firma del Protocollo "Giustizia riparativa", promosso dall’EPE e condiviso dalla Provincia di Lucca, dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, dal Gruppo Volontari Carcere e da associazioni di volontariato e cooperative sociali della provincia di Lucca. Nel corso del 2006 sono state inserite in servizi di pubblica utilità presso associazioni o cooperative sociali 13 persone in regime di esecuzione penale esterna, cioè condannate ad una pena detentiva ed ammesse a scontare tale pena in tutto o in parte all’esterno del carcere.

Il Protocollo rappresenta la risposta ad una sollecitazione che, oltre ad essere legata alla normativa, è soprattutto etica e culturale. Serve a rendere concreta la diffusa esigenza di trasformare sempre più la "pena" in azioni di "restituzione" di qualcosa che il reato ha sottratto. Il reato ferisce infatti certamente la vittima, ma ferisce anche la società nel suo insieme, evidenziando una falla nel patto di convivenza civile. Il valore di un servizio gratuito di utilità pubblica poggia sulla volontà di riparazione nei confronti della collettività, in quanto organismo ferito. Ed al tempo stesso si rivela strumento di crescita per chi ha commesso un reato, sottraendo l’individuo all’astrazione di una legge violata per metterlo di fronte al diritto e all’integrità violate delle sue vittime.

È la stessa Costituzione della Repubblica a gettare le fondamenta di un principio che oggi appare più che mai attuale, ma richiede ulteriori riflessioni e definizioni in linea con il mutare del pensiero e dell’organizzazione sociale.

La Regione Toscana, con la sua radicata e convinta vocazione di fattiva solidarietà sociale, offre un terreno particolarmente propizio alla creazione di una rete che condivide obiettivi e linee di intervento, capace di scambiare informazioni e proposte e di individuare soluzioni e buone prassi.

Il protocollo Giustizia Riparativa per le province di Lucca e Pisa sancisce e rinsalda un lavoro già avviato negli anni, magari in modo spontaneo, offrendo un tavolo comune attorno al quale riconoscersi, specchio di una società all’interno della quale il reato matura, e nella quale però germinano anche soluzioni di pacificazione.

 

Ufficio EPE di Pisa

Volterra: un ristorante nato dentro il carcere per fini solidali

 

Toscana In, 17 marzo 2007

 

Quattro "ghiotte" occasioni per partecipare alle cene preparate dalle persone in detenzione a Volterra: il ricavato sarà devoluto a "Un cuore si scioglie", la campagna di adozioni a distanza promossa dall’Unicoop Firenze.

Una cena al mese, per quattro mesi a partire dal 23 marzo. Quattro appuntamenti straordinari perché straordinaria è la localizzazione del "ristorante": la ex Cappella della Fortezza, dove ha sede la Casa di reclusione di Volterra. La prima cena, il 23 marzo, sarà a base di selvaggina; pesce per la seconda, il 13 aprile; solo per vegetariani la terza, il 18 maggio; carne, carne e ancora carne per la quarta, il 22 giugno: questo è il programma 2007 delle Cene galeotte, presentate nella sede dell’Unicoop Firenze venerdì 16 marzo.

Ma non sarà solo il cibo il motivo principale per non perdere neanche uno solo di questi appuntamenti. Il ricavato delle cene, infatti, sarà devoluto alla campagna di solidarietà "Un cuore si scioglie", promossa dall’Unicoop per sostenere attraverso le adozioni a distanza i bambini del Sud del mondo. E così le persone in detenzione, oggetto spesso di solidarietà da parte della società civile, promuovono a loro volta solidarietà verso altre persone in difficoltà.

Proprio questa particolarità che rende speciale il progetto delle Cene galeotte giustifica l’inusuale presenza alla conferenza stampa di presentazione di Riccardo Nencini, Presidente del Consiglio regionale: "Nonostante che l’iniziativa sia promossa da una grande struttura privata, l’Unicoop, non era possibile mancare ad un evento che batte il chiodo del volontariato e della solidarietà. In un prossimo futuro, non escludo la partecipazione diretta del Parlamento regionale toscano ad iniziative del genere".

L’idea nasce l’anno scorso con le "Serate galeotte", progetto dalle condotte Slow Food di Volterra e dell’Alta Valle di Cecina in collaborazione con la Casa di reclusione di Volterra. Un progetto a più fasi a cui hanno partecipato una ventina di persone detenute. Prima i Laboratori del Gusto per scoprire e conoscere i cibi, poi la formazione per imparare l’arte della cucina e dell’allestimento dei tavoli, poi le cene galeotte. 5 serate aperte al pubblico dove le persone detenute, nelle vesti di esperti nell’allestimento dei tavoli, di cuochi e camerieri, hanno cucinato cene tipiche regionali e accolto i commensali che a decine hanno cenato nella ex Cappella della Fortezza. Al termine del progetto due ragazzi sono stati assunti da ristoranti della zona.

"È fondamentale che il carcere si apra al territorio anche per offrire un contributo e non solo per riceverlo". È l’affermazione di Maria Grazia Giampiccolo, direttrice dell’istituto di pena, che sottolinea anche la straordinaria partecipazione al progetto da parte della popolazione detenuta, del personale di sicurezza e di tutti gli operatori e i volontari che nella Fortezza lavorano. Partecipazione confermata dalle emozionate parole di Adamo, cameriere e sommelier nella Fortezza di Volterra, contento di avere l’opportunità di portare a termine il suo progetto di vita in modo da aiutare anche la vita degli altri.

Pierluigi Dei, Vicesindaco e Assessore alle politiche Sociali del Comune di Volterra, sottolinea come, in dieci anni, il carcere da struttura isolata in cima alla collina, si è sempre più integrato nel tessuto cittadino. "Volterra accoglie con sensibilità la comunità dei reclusi ben 20 dei quali ogni giorno escono per andare a lavorare all’esterno dell’istituto, percentuale notevole se posta in relazione con i 10.000 abitanti della cittadina toscana", dice Dei.

Ma a chi sarà venuta in mente l’idea delle serate galeotte di solidarietà? "Alle 38 sezioni soci dell’Unicoop Firenze scatenate nella ricerca di fondi per le adozioni a distanza" - rivela Marco Posarelli, direzione soci e consumatori dell’Unicoop Firenze - "In particolare alla sezione soci di Volterra che ha fatto la proposta immediatamente recepita dalla Direzione della casa di Reclusione di Volterra".

"Ogni cena sosterrà due progetti diversi della campagna "Un cuore si scioglie" in otto diversi paesi: Burkina Faso, Palestina, Libano, Camerun, Filippine, Perù, India e Brasile". Unicoop fornirà i prodotti alimentari che serviranno per le cene, mentre la condotta Slow Food di Volterra e la Fisar, Federazione italiana sommelier, collaborano all’intero progetto.

25 euro è la cifra che per ogni cena pagheranno i 100 (e non di più per la ridotta capienza della ex Cappella della Fortezza dove le cene verranno servite) commensali che dieci giorni prima di ogni cena dovranno prenotarsi allo 055.2342777 delle agenzie di toscana Turismo o presso il box soci del punto vendita della Coop di Volterra.

Palermo: Cisl-Fp; offensivo definire il Pagliarelli "colabrodo"

 

Agi, 17 marzo 2007

 

Come al solito in Italia all’accadere di un fatto individuale, sicuramente gravissimo e non giustificabile, si tende a generalizzare non tenendo in considerazione di quella che è poi la realtà". Lo afferma il coordinamento nazionale Cisl Fp Penitenziario, dopo l’arresto, l’altro ieri, di un agente di custodia accusato di aver fornito telefoni cellulari e droga ai detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo, su alcuni giornali bollato come "un colabrodo".

Per il sindacato "tale generica definizione è offensiva nei riguardi di tutto il personale che quotidianamente svolge il proprio compito con dedizione, professionalità e spirito di sacrificio". Secondo la Cisl Fp, le accuse contestate all’agente sono "un fatto individuale gravissimo, ma non per questo tale da giustificare una denigrazione generalizzata del lavoro che viene svolto dal personale di polizia penitenziaria al carcere di Palermo Pagliarelli".

Il sindacato sottolinea che "la direzione in questi anni, concordemente al personale sia del comparto sicurezza che del comparto ministeri, ha realizzato eccellenti risultati sia sul piano della sicurezza, che delle attività mirate al reinserimento sociale dei detenuti, e quindi non può essere un singolo disdicevole episodio ad oscurare quanto sin qui realizzato"

La Fp Cisl invita "tutti ad isolare le mele marce che in ogni contesto lavorativo (anche quello di un carcere) possono accadere", ed esprime "la propria solidarietà a tutti i colleghi e le colleghe in servizio presso l’istituto di Palermo Pagliarelli, che in questi giorni sono stati oggetto di dichiarazioni denigratorie, anche tramite organi di stampa".

Vigevano: agente fa sesso in carcere con un detenuto trans

 

La Stampa, 17 marzo 2007

 

Un giovane agente di polizia penitenziaria sorpreso in atteggiamento intimo con un detenuto colombiano transessuale di 39 anni in un locale del carcere di Vigevano utilizzato dai lavoranti. La vicenda risale a quattro mesi fa ma è trapelata solo ora, suscitando sconcerto ed imbarazzo. Dell’episodio la Procura non è informata, mentre il direttore della casa circondariale rifiuta ogni dichiarazione, non conferma ma neppure smentisce. Da quanto si è appreso il detenuto è stato subito trasferito in un altro carcere e poi liberato per l’indulto, mentre nei confronti dell’agente è stato aperto un procedimento disciplinare.

Roma: a Casal del Marmo 50 ragazzi che aspettano il Papa

 

Apcom, 17 marzo 2007

 

I 50 ragazzi detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo doneranno al Papa oggetti artistici fabbricati con le loro mani nei laboratori di pittura, falegnameria e tappezzeria, quale segno di riconoscenza per la visita. Poi leggeranno una lettera al Papa, con la richiesta "Liberaci tutti!": è quanto racconta all’agenzia della Cei, il Sir, padre Gaetano Greco, cappellano del carcere minorile dove Benedetto XVI si recherà domenica mattina.

"C’è un’attesa frenetica da parte dei ragazzi - racconta padre Greco - sono curiosi ed entusiasti. Al Papa i ragazzi chiederebbero la libertà, ma poi riflettendo con loro, si rendono conto che per loro è già importante sentirsi al centro dell’attenzione. Si aspettano cose buone in funzione della loro detenzione ma anche della loro libertà, possibilmente. Anche i ragazzi ortodossi e musulmani (molto pochi in questo momento) attendono con la stessa ansia".

Padre Greco si augura che l’attenzione generale "metta al centro dell’interesse della nazione e dei politici il tema della giustizia minorile" e "il tema degli adolescenti in genere, in un momento così tragico come quello che stiamo vivendo oggi in Italia, a causa dei tanti colpi di testa dei ragazzi che leggiamo sui giornali".

"A pagare - sostiene il cappellano di Casal del Marmo - in carcere sono sempre i più poveri e sprovveduti: qui ci sono 50 ragazzi colpevoli soprattutto di essere soli, senza famiglia, stranieri. Ma le denunce sono molte di più". "Nonostante la qualità dei servizi per i minori - sottolinea padre Greco - gli strumenti non sono ancora sufficienti. C’è bisogno di uno sforzo in più nel sociale, la risposta educativa va chiesta prima, in un discorso forte di prevenzione e attenzione all’area adolescenziale. Serve anche un attento reinserimento sociale, che risponda alle istanze dei ragazzi. Si tratta di aiutarli con la scuola, i laboratori, lo sport".

Libro: 3 milioni i "dipendenti da sesso", la metà commette reati

 

Kataweb Salute, 17 marzo 2007

 

Manuale sulla Sexual Addiction

di Franco Avenia e Annalisa Pistuddi

Edito da Franco Angeli

 

Il fenomeno della Dipendenza da Sesso è di grandi proporzioni e, purtroppo, è destinato a crescere nel tempo. Secondo una ricerca svolta negli Usa, la sexual addiction ha un’incidenza nella popolazione statunitense di circa il 6%. In Italia, la percentuale è leggermente più bassa (5,8%), ma egualmente molto alta (dati Airs, 2004, in appendice al manuale).

In più, va considerato che il 55% dei dipendenti da sesso commette reati a sfondo sessuale e ciò potrebbe spiegare, almeno in parte, il crescente aumento di violenze sessuali sulle donne. I numeri, infatti, ci dicono che per ogni donna con la dipendenza da sesso ci sono cinque uomini con lo stesso problema (dati Airs, 2004).

È uscito in questi giorni nelle librerie "Manuale sulla Sexual Addiction", a cura di Franco Avenia e Annalisa Pistuddi, edito dalla Franco Angeli. Il libro, per la prima volta in Italia, mette compiutamente a fuoco la Sexual Addiction (Dipendenza da Sesso), dandocene definizione, caratteristiche, inquadramento diagnostico e terapeutico, aspetti psicologici e sociali.

La rilevanza sociale del fenomeno è, dunque, di grande importanza e merito del libro è quello di aver portato con grande chiarezza alla ribalta scientifica, dei media e del grande pubblico una seria problematica che si stava diffondendo sommessamente.

Si pensi che non solo il dipendente da sesso crea con i suoi comportamenti gravi danni a se stesso nella vita affettiva, relazionale e nell’attività lavorativa, ma mostra una forte propensione a delinquere poiché quasi sempre associa la dipendenza da sesso con quella di droghe, da rischio o con perversioni sessuali che vanno dall’esibizionismo alla pedofilia (l’80% dei dipendenti da sesso - secondo uno studio condotto negli Usa - dichiara che il suo comportamento sessuale potrebbe portarlo all’arresto).

Ma in cosa consiste la Sexual Addiction? A rispondere è Franco Avenia, sociologo e sessuologo, uno dei curatori del volume: "La dipendenza da sesso è la condizione nella quale un individuo percepisce la propria sessualità centrale rispetto alla sua vita ed agisce in risposta ad un irrefrenabile impulso sessuale, indipendentemente dagli effetti negativi che il suo comportamento può arrecare a sé ed agli altri, poiché la soddisfazione del bisogno che genera l’impulso gli procura piacere ed, al contempo, ricava forte disagio, ansia e mal-essere dalla sua mancata soddisfazione".

La dipendenza da sesso, dunque, va chiaramente distinta da un normale, anche se robusto, desiderio sessuale ed, invece, assimilata ad una tossicodipendenza della quale ha le stesse caratteristiche.

Tali caratteristiche - come precisa Avenia, nelle pagine del libro - sono: "La centralità del sesso nella vita del soggetto. Si noti, infatti, che i sexual addicts orientano e regolano la loro vita in base alla possibilità di soddisfare i desideri sessuali. Le loro scelte - con ricaduta di effetti a breve, ma anche a medio o lungo termine - sono indirizzate a metterli il più possibile in condizione di attuare i comportamenti sessuali che bramano e che sanno di non poter in alcun modo controllare.

La pervasività, ovvero l’inarrestabile spinta dei comportamenti sessuali ad insinuarsi in ogni ambito della vita del soggetto dipendente, poiché la sessualità non solo è dominante a livello mentale (centralità), ma lo diviene anche nel pratico, diffondendosi capillarmente in gran parte delle azioni quotidiane.

Le conseguenze dei comportamenti che vengono sottostimate o negate. Il soggetto dipendente da sesso, infatti, nel suo distorto progetto di vita, indirizza le scelte in base ad un’alterata scala di priorità e valori e, poiché pone al centro la soddisfazione dei suoi impulsi sessuali, inevitabilmente si trova a produrre conseguenze dannose per sé e/o per altri che tende a sottovalutare o ignorare. L’impossibilità di gestire l’impulso sessuale,che si mostra irrefrenabile; la tolleranza (ovvero la necessità di aumentare sia l’intensità degli stimoli necessari ad attivare il comportamento sessuale, sia la loro frequenza) e l’astinenza."

In merito alla pericolosità sociale del dipendente da sesso, oltre alle citate ricerche statunitensi, vanno considerati i dati che emergono dalla parte della ricerca Airs 2004 svolta nel carcere milanese di Opera, dalla dottoressa Annalisa Pistuddi, psicoterapeuta sessuologa, che ha curato il manuale con il dottor Avenia.

"A un campione di popolazione - scrive Pistuddi - di 60 soggetti detenuti tossicodipendenti, non condannati per reati a sfondo sessuale che, secondo le ricerche internazionali, si può ipotizzare a rischio per la presenza di comorbilità fra dipendenze e per la pericolosità individuale e sociale, abbiamo somministrato il questionario SAI/2 di F. Avenia per la Rilevazione della Sexual Addiction.

Dall’analisi dei questionari, sono emersi dati che sostengono le ipotesi degli altri Autori che si sono interessati al fenomeno, ovvero un’alta concentrazione di Sexual Addiction in soggetti che commettono gravi reati. La presenza della dipendenza da sesso rilevata in questo campione è, infatti, del 12% e anche le situazioni limite si rilevano in misura maggiore (17%), rispetto alla media nazionale del campione casuale che ammonta al 6%.

Per quanto riguarda il tipo di reato - continua Pistuddi - anche qui troviamo una comorbilità fra il tipo di sostanza, il tipo di reato e i segni di presenza o situazione a rischio per la dipendenza da sesso. Rapina e spaccio sono i reati più diffusi tra i cocainomani e sono fra i principali reati che commettono le persone che hanno una particolare propensione a sperimentare situazione ad alto rischio.

Si rileva in questa tipologia di persone che fanno parte del nostro campione anche una comorbilità con la dipendenza da sesso. Relativamente, poi, al titolo di studio e alla condizione sociale troviamo segnali di presenza e di stato limite relativamente alla dipendenza da sesso in soggetti con una scolarità che arriva fino alla frequenza dei primi anni delle scuole medie superiori, senza aver raggiunto il conseguimento del diploma, la classe socio-culturale che ha, in questo periodo socio-economico, le difficoltà maggiori a trovare un’occupazione gratificante sia dal punto di vista del contenuto del lavoro che contrattuale."

La domanda che, dunque, dobbiamo innanzitutto porci è: quali sono le motivazioni che possono rendere il dipendente da sesso incline a delinquere? Il dipendente da sesso - risponde Avenia - è sicuramente un soggetto facilmente incline a delinquere per una serie di motivi.

La storia personale. In base a studi effettuati negli Usa, l’80% dei dipendenti da sesso proviene da famiglie dove almeno uno dei membri è già dipendente (droga, gioco d’azzardo, ecc.). In più, secondo letteratura, alcuni soggetti dipendenti da sesso, in percentuale maggiore rispetto alla media della popolazione, hanno subito abusi sessuali nell’infanzia o nell’adolescenza. Ciò c’induce facilmente a considerare che l’humus socio-culturale dei dipendenti da sesso sia di per sé disadattivo, inducendo verso comportamenti asociali e delinquenziali.

L’inclinazione alla trasgressione. Il dipendente da sesso, da qualsivoglia prospettiva possa essere inquadrato, mostra una disregolazione istintuale e comportamentale. Ciò lo rende incline alla trasgressione e, dunque, ad infrangere norme sociali e leggi.

Le conseguenze. Le note gravi conseguenze familiari, sociali ed economiche che la dipendenza da sesso produce, lasciano emergere due aspetti: il primo, di natura psico-individuale, che consiste nell’impostare una vita fuori dagli schemi socioculturali di cui non ha più interesse al rispetto; il secondo, di carattere pratico, che si sostanzia nella spinta a sopravvivere, nonostante le gravi conseguenze del proprio comportamento, costringendo spesso a soluzioni estreme che portano a delinquere.

L’essenza della dipendenza. La dipendenza da sesso ha nell’attività sessuale la sua sostanza. Tale attività spesso non si soddisfa da soli, ma necessita del concorso di una o più persone e, laddove non vi sia il consenso di queste, lo si ottiene con la violenza. Ciò spiega, perché il 55% dei dipendenti da sesso compie reati a sfondo sessuale.

La comorbilità. Le dipendenze più frequentemente correlate alla Dipendenza da Sesso sono quella da rischio e da droga: in entrambi i casi è evidente il collegamento con comportamenti delittuosi. Come si nota, l’aspetto delinquenziale della Sexual Addiction s’interseca in ogni ambito della vita del dipendente sessuale che, oltre a vivere un forte disagio psicologico, deteriora progressivamente i rapporti affettivo-relazionali e compromette l’attività lavorativa ed economica. Pertanto la problematica della Dipendenza da Sesso non ha solo rilevanza clinica individuale, ma anche significativi riflessi sociali.

Dobbiamo, pertanto chiederci: i soggetti con dipendenza da sesso la riconoscono, ne sono di solito consapevoli? Quando chiedono di essere aiutati? È poi possibile curare chi soffre di dipendenza da sesso? Quali terapie sono oggi a disposizione?

"I pazienti - dice Pistuddi - arrivano a chiedere aiuto spontaneamente o inviati da colleghi che non si occupano del problema. Altre volte giungono per disturbi della sfera sessuale, non avendo individuato in se stessi i sintomi della dipendenza. Molto spesso sono addirittura i partner dei dipendenti che chiedono consiglio e assistenza. Importante è fargli capire che la dipendenza da sesso si può curare e che oggi abbiamo molti iter terapeutici a disposizione: dai gruppi di auto-aiuto, alla psicoterapia individuale e di coppia, alle terapie farmacologiche".

Infine, qual è l’identikit del dipendente sessuale in Italia? Secondo i dati della ricerca Airs, curata da Avenia e Pistuddi e pubblicata interamente nel manuale, "il normotipo del dipendente sessuale è: uomo, tra i 36 ed i 50 anni, residente al nord Italia, con licenza media inferiore, separato o vedovo."

"Premesso che la Dipendenza da Sesso sottende una psicopatologia - continua Avenia - cerchiamo di capire perché il dipendente ha queste caratteristiche. La nostra società è ossessionata dal sesso (da sessuofobica negli anni ‘50 è divenuta di recente sessuofila) e l’uomo è più esposto delle donne ai continui e martellanti stimoli sessuali che i mass media impongono, proponendo figure femminili sempre più spogliate, sempre più provocanti.

È residente al nord Italia perché al nord i rapporti umani sono, in genere, più rarefatti ed più facile sentirsi soli, spronando a cercare comunque una relazione. Ha un basso livello d’istruzione e ciò innesca due processi distinti e sinergici: primo, ha meno strumenti culturali per difendersi; secondo, le sue frustrazioni sociali sono più probabili, inducendolo a cercare una facile gratificazione nel sesso. Infine, è single (separato o vedovo) e la ricerca - non sempre facile - di una partner lo spinge a surrogare un rapporto affettivo con l’attività sessuale." "Ma il nostro lavoro - concludono gli Autori - non ha la pretesa di sviscerare esaurientemente l’argomento, né di arrivare a conclusioni certe e definitive. Sull’interpretazione di tali dati ci sarà ancora da lavorare ed integrare, certi che altri ricercatori ed esperti andranno oltre il labile confine da noi tracciato."

Immigrazione: misure alternative anche a clandestini detenuti

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 17 marzo 2007

 

Il tribunale di sorveglianza di Cagliari aveva concesso ad un clandestino condannato per reati in materia di stupefacenti la misura dell’affidamento ai servizi sociali.

Anche gli extracomunitari clandestini in carcere hanno diritto ai benefici penitenziari come, ad esempio, l’affidamento in prova ai servizi sociali o la semilibertà. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che, con una sentenza interpretativa di accoglimento, ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme dell’ordinamento penitenziario del 1975.

I giudici della Consulta - con la sentenza n° 78 scritta da Maria Rita Saulle - hanno così accolto una questione di legittimità sollevata dal tribunale di sorveglianza di Cagliari. Il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari aveva concesso ad un clandestino condannato per reati in materia di stupefacenti la misura dell’affidamento ai servizi sociali, ma la Corte di Cassazione aveva annullato il provvedimento sul presupposto che il detenuto era illegalmente presente nel nostro Paese e dunque - anche alla luce delle norme sull’immigrazione previste dalla Turco-Napolitano e dalla Bossi-Fini - non aveva diritto ai benefici penitenziari.

La Corte Costituzionale, con la sentenza depositata oggi in cancelleria, ha invece dato ragione ai giudici di sorveglianza di Cagliari che avevano lamentato un contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27 della Costituzione). Non solo: secondo i giudici della Consulta si tratta di una esclusione automatica che ha "un carattere assoluto" e che, quindi, accomuna "irragionevolmente situazioni soggettive assai eterogenee: quali, ad esempio, quella dello straniero entrato clandestinamente nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso e detenuto proprio per tale causa, e quella dello straniero che abbia semplicemente omesso il rinnovo del permesso di soggiorno e che sia detenuto per un reato non riguardante la disciplina dell’immigrazione".

Dopo aver bocciato la "radicale discriminazione" che si verifica vietando in toto i benefici penitenziari ai detenuti extracomunitari senza permesso di soggiorno, la Corte precisa che è sempre possibile una modifica della legge che "tenga conto della particolare situazione dello straniero clandestino o irregolare".

Nel senso che - spiega la Corte - per il legislatore è possibile diversificare "le condizioni di accesso, le modalità esecutive e le categorie di istituti trattamentali fruibili dal condannato o, addirittura, crearne di specifici, senza però spingersi fino al punto di sancire un divieto assoluto e generalizzato di accesso alle misure alternative".

Un simile divieto, infatti, "contrasta con gli stessi principi ispiratori dell’ordinamento penitenziario che, sulla scorta della funzione rieducativa della pena (articoli 2, 3 e 27 della Costituzione), non opera alcuna discriminazione in merito al trattamento sulla base della liceità della presenza del soggetto nel territorio nazionale".

Droghe: l’incontro di Vienna è inutile, c’è ben altro da fare

di Peter Cohen (Cedro - Centre for Drug Research)

 

Fuoriluogo, 17 marzo 2007

 

Se mi si chiede che cosa l’Europa dovrebbe fare al prossimo appuntamento di Vienna 2008, non so che rispondere. Non c’è proprio niente da fare a Vienna 2008. I trattati internazionali sono testi in cui non si delinea alcuna politica della droga, ma solo la Proibizione. Sono testi sacri, già scritti. Sono scritti sulla pietra. Né l’Europa, né il Giappone, né l’Africa, né un’associazione come Encod hanno la minima influenza sui testi sacri.

Il Trattato è scritto in modo tale che risulterebbe più facile cambiare la Bibbia che non il trattato stesso. Per la Bibbia, si può sempre fare una traduzione nuova e moderna, dove si possono utilizzare le più recenti conoscenze linguistiche per cambiare il testo. I trattati Onu non permettono tanta flessibilità, tanto allontanamento dall’ortodossia.

I trattati sono quelli, e basta. Naturalmente l’Europa potrebbe dire che abbandona i Trattati. È stato un errore aver firmato i testi sacri come Unione Europea. Questo fatto ci rende responsabili per questo fondamentalismo quale mai si era visto prima. Si potrebbe dire: se gli stati membri vogliono firmare, è affare loro. Se i paesi membri vogliono distruggere certi testi nella versione che hanno firmato, è affare loro. Se i paesi membri vogliono denunciare i trattati nel loro insieme perché non hanno intenzione di aspettare il "mai e poi mai" per adattare i trattati ai tempi moderni, è affare loro. Ma l’Europa non dice questo.

L’Europa si è fatta attrarre nella trappola dei trattati ed ora è prigioniera, perché sulle droghe le differenze intra-europee sono paralizzanti. L’argomento è intoccabile, come i paria in India. Naturalmente l’Europa potrebbe usare il cervello. E dire che sì, saremo a Vienna a farci un pisolino in attesa del prossimo meeting rituale, ma nel frattempo troveremo i fondi per fare qualcosa di utile. Creeremo un fondo di dieci milioni di euro e daremo cinque milioni in cinque anni ai ricercatori per produrre e testare teorie sul perché i livelli di consumo in Europa sono così diversi.

E spenderemo cinque milioni di euro in cinque anni per organizzare ricerca per stabilire criteri di qualità per i dati ufficiali sulla droga. Non vogliamo più pagare l’Emcdda per compilare una lista di numeri. Vogliamo dati validi e comparabili. Vogliamo criteri, ad esempio per definire quanto deve essere valida una ricerca per essere pubblicata. Finora l’Emcdda ha solo aggiunto una presentazione alle cifre che riceve dai governi, la stampa e la mette su internet. Non mettono bocca su come vengono prodotti quei numeri né su come è fatta la ricerca che li produce. Danno per buono che i dati che vengono dai paesi siano comparabili.

La mia proposta non riguarda Vienna, ma Bruxelles. Propongo che l’Europa allarghi moltissimo la ricerca sociale sulle droghe. Non propongo che l’Europa spenda un sacco per la ricerca sul cervello o per la ricerca farmacologica, in modo da foraggiare la già ricca industria farmacologica... ma una ricerca per capire di più sui consumi nelle differenti culture e perché i livelli sono così diversi fra i vari paesi e al loro interno, questa sì che è utile!

Fino a questo momento, nessuno sa perché a Parigi si usa più droga che ad Amsterdam, e perché ad Amsterdam si consuma di più che a Rotterdam, e perché a Rotterdam si consuma di più che a Brema. Vogliamo sapere di più sui consumi e vogliamo sapere quali fattori li influenzano. L’Europa dovrebbe fare cose utili, almeno alcune, per farci vergognare un po’ meno della sua partecipazione allo stupido rituale di Vienna, insieme alla folla di quei morti che camminano.

Droghe: sentenza Tar; accuse e incoraggiamenti a Livia Turco

 

Notiziario Aduc, 17 marzo 2007

 

"Se i Dico sono considerati una questione che attiene alla coscienza, ritengo che ciò valga ancora di più per il tema della droga, che influisce in maniera determinante sulla salute e spesso sulla vita di migliaia di giovani". A dichiararlo Silvana Mura, deputata di Idv, che aggiunge: "Su questo tema non si può procedere in maniera ideologica e aprioristica".

La sospensione del decreto Turco "sia l’occasione di una generale riflessione sull’impostazione da dare alla politica sulla droga e le tossicodipendenze, anche perché in questa direzione andava un ordine del giorno approvato in Senato ben prima della sospensiva adottata dal Tar".

Il modo migliore per fronteggiare la droga, spiega Mura, "è individuare un mix virtuoso tra prevenzione, contrasto e decriminalizzazione di alcuni comportamenti in rigoroso ordine di priorità, e iniziare l’opera innalzando il limite per il consumo di cannabis - conclude l’esponente di Idv - non ci sembra certo in linea con questa impostazione".

"La decisione del Tar mi sorprende. Il decreto Turco era molto equilibrato e sbloccava una situazione non facile, anche se riguardava solo un aspetto della materia". Lo afferma a "Il Mattino" don Luigi Ciotti che intervenendo sulla bocciatura del Tar del Lazio che ha messo uno stop al decreto sulla droga, aggiunge: "Ora bisogna impostare una strategia più ampia di contrasto alla droga con un raggio di azione a 360 gradi".

"Si deve puntare soprattutto – prosegue - sull’educazione e sulla prevenzione". Per don Ciotti, inoltre la legge Fini-Giovanardi è un buon punto di partenza e "non si deve ripartire da zero. E ora fa bene il ministro Turco a presentare ricorso contro la bocciatura del decreto attuativo di quella normativa. Non possiamo criminalizzare le persone più deboli".

"Non è tutto da rifare -ribadisce- ma va certamente attuato un disegno di legge più ampio considerando che in questi anni non siamo riusciti ad essere più efficaci. La domanda e l’offerta di droga non sono mai diminuite".

"Non gioisco affatto e non credo proprio che il giudizio del Tarsia contro il ministro della Salute Livia Turco". Lo dice al "Il Messaggero" Enzo Carra (Margherita), dicendosi comunque "lieto che si metta la parola fine all’impostazione ideologica su un tema così serio come quello della tossicodipendenza".

Secondo Carra, "se il centrodestra ha varato un provvedimento che punta sulla repressione, il centrosinistra si sente in obbligo di dimostrare tutto il contrario, promuovendo una legge più comprensiva e permissiva. Ma così non si va da nessuna parte", afferma il deputato della Margherita e aggiunge: "non si può passare da indietro tutta a avanti tutta solo per motivi ideologici".

"Con altri senatori del centrosinistra votammo un ordine del giorno che invitava il ministro a ripensare la sua decisione di alzare le quantità di droga che motivano l’arresto". Lo ricorda Antonio Polito in un’intervista al "Corriere della Sera", rilevando che ora "siamo di fronte a una gran confusione istituzionale" e dicendosi comunque "contrario alle leggi fatte dal Tar".

Se fosse nei panni del ministro della Salute Livia Turco, il senatore della Margherita dice che non prenderebbe "la sospensiva del Tar come uno sfregio personale. Piuttosto - spiega Polito - coglierei lo spunto come dicevamo nell’ordine del giorno di novembre, per riconsiderare la materia".

"La Turco prova e rimettere assieme i cocci ma ha solo una scelta: dimettersi. Con lei, tutto il governo è stato clamorosamente bocciato dalla magistratura. Prodi cosa ne pensa? Dal professore è arrivato solo un fragoroso silenzio". Lo afferma Isabella Bertolini, vice capogruppo dei deputati di Fi. "Il ministro riceve attacchi - prosegue la Bertolini - pure da parte dell’Unione che, tanto per cambiare, finisce in pezzi. Dopo la bocciatura del decreto sciagurato, il governo deve invertire la rotta. Contro la droga è necessario stringere le maglie, non allargarle. Dobbiamo difendere i nostri ragazzi. La Cdl lo ha fatto e lo farà sempre. Il governo Prodi, ostaggio della sinistra massimalista- conclude la Bertolini -, fa il contrario".

"La decisione del Tar di ieri rafforza la necessità di intervenire oltre che con un ricorso in Consiglio di stato, come annunciato dal ministro Turco, anche con un intervento politico-legislativo per cancellare la legge Fini-Giovanardi". Lo dichiara il sottosegretario all’Economia, Paolo Cento, lasciando Palazzo Chigi dopo la "riunione istruttoria" sulle linee guida sulla nuova legge sulle tossicodipendenze, a cui hanno partecipato il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, e le ministre della Salute, Livia Turco, e della Famiglia, Rosy Bindi.

Chiedere al sindaco Walter Veltroni di intervenire presso il ministro della Sanità, Livia Turco, affinché rinunci a ricorrere in appello al Consiglio di Stato e lasci fissate le vecchie quantità. È lo scopo della mozione che i consiglieri comunali di Roma di An, Luca Malcotti e Federico Guidi, il 19 marzo, in Consiglio comunale di Roma presenteranno a seguito alla sentenza del Tar del Lazio che sospende il decreto, del ministro Livia Turco, che raddoppiava la quantità di sostanza stupefacente consentita per uso personale. I consiglieri di An si augurano che alcune forze politiche della maggioranza, con un atto di responsabilità, votino a favore della mozione.

"La decisione del Tar del Lazio contro il decreto del Ministro della Salute sulle tossicodipendenze merita senza alcun dubbio il ricorso annunciato da Livia Turco". Lo dice il vicepresidente della Camera di Deputati, Carlo Leoni, vicepresidente della Camera.

"È la legge Fini-Giovanardi - ricorda Leoni - che affida al ministro il potere di emanare un decreto sulle quantità detenibili di principio attivo di sostanze stupefacenti, oltre le quali scatta la sanzione penale; se fosse illegittimo il decreto Turco, lo sarebbe ancor più quello emesso per primo da Storace, verso il quale invece non furono sollevate contestazioni di legittimità". "Fra i due decreti - sottolinea Leoni - la differenza è solo di contenuto, non di forma né di procedura, e sarebbe assai grave se il Tar iniziasse ad intervenire sul merito degli atti istituzionali". "Hanno quindi ben poco da cantare vittoria - conclude Leoni - quegli esponenti della Cdl e perfino della Margherita che hanno strumentalizzato questa vicenda per aggredire Livia Turco e le sue iniziative, assolutamente giuste e razionali, in materia di tossicodipendenze. Ci tengo per questo ad esprimere ancora una volta a Livia Turco la mie piena solidarietà".

"Dopo la bocciatura da parte del Tar il governo, invece di insistere su proposte alternative alla legge Fini-Giovanardi, dovrebbe fare mille passi indietro". Lo dichiara Maurizio Gasparri, deputato di Alleanza Nazionale. Peraltro, Prodi e la Turco sanno benissimo che al Senato una proposta per la legalizzazione della droga non avrebbe nessuno spazio - continua Gasparri - perché si ripeterebbe quanto sta avvenendo sui Dico. Bisogna invece salvaguardare ed applicare la legge Fini e sostenere l’azione delle comunità per il recupero dei tossicodipendenti. La decisione della giustizia amministrativa dovrebbe indurre al silenzio coloro che parlano ancora di legalizzazione della droga - sostiene il deputato - in realtà il vero problema è che abbiamo un governo morto e che non ha la legittimità democratica per affrontare argomenti così delicati. L’agonia del governo, la decisione del Tar, la realtà dei fatti ci inducono a rappresentare le ragioni della lotta alla droga in nome della maggioranza degli italiani. Difendiamo quindi - conclude Gasparri - la legge vigente ed invitiamo la Turco ad un atto di umiltà. Le sue dichiarazioni dopo le decisioni del Tar sono state sbagliate ed arroganti. La Turco ha compiuto un errore ed un abuso. Farebbe meglio a lasciare il posto a qualcun altro".

Le sanzioni amministrative e riparatorie sono meglio del carcere per contrastare l’uso di sostanze stupefacenti. È l’opinione del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che è intervenuto sul tema della droga parlando agli studenti di un liceo classico torinese.

Proprio stamani, nel cosiddetto tossic park di Torino, i giovani di varie comunità per il recupero dei tossicodipendenti hanno ripulito le sponde del torrente Stura da siringhe e sporcizia, una sorta di gesto pacificatorio nei confronti degli abitanti del quartiere protagonisti di ronde e proteste.

"Anziché discutere sulla quantità di droga consentita dalla legge per l’uso personale - ha detto Chiamparino a proposito delle polemiche sul decreto Turco - sarebbe meglio studiare sanzioni che abbiano un maggiore valore deterrente. Le statistiche - ha spiegato - dicono che la maggioranza delle persone che assumono sostanze stupefacenti non sono tossicodipendenti, ma persone normali che ne fanno uso una tantum per sballarsi.

Mi chiedo quindi se una serie di sanzioni amministrative e riparatorie, come ad esempio quella inflitta negli Stati Uniti alla modella Naomi Campbell per aver molestato una sua collaboratrice domestica, non sarebbero più utili. Forse - ha concluso - mille euro di multa e l’obbligo di pulire i bagni pubblici per una settimana sarebbero un deterrente migliore del carcere".

"Sensibilizzare genitori e figli non basta, bisogna eliminare i pericoli che sono fuori dalle nostre case". Maurizio Conte, consigliere regionale veneto della Lega, pone l’accento sull’emergenza droghe, il cui mercato è in esponenziale aumento nel padovano. In due anni, un incremento del 24% dei reati connessi alle droghe, con 120 indagati a piede libero e 343 fermati per i medesimi reati. Sono numeri che fanno impressione e non si può più restare a guardare - ha commentato Conte -. Educare e sensibilizzare sul problema non basta, bisogna agire contro chi approfitta dell’ingenuità dei nostri ragazzi".

L’esponente padovano del Carroccio ha le idee chiare e rilancia il controllo del territorio come primo passo per combattere lo spaccio di stupefacenti, il cui incremento è inevitabilmente legato all’aumento del numero di extra-comunitari irregolari nelle aree patavine. "Ricominciamo a sorvegliare le zone calde in cui clandestini sono liberi di agire e spacciare - ha spiegato -. In questo senso, il lavoro dei nostri volontari durante i controlli notturni può senz’altro essere un ottimo deterrente". Conte muove critiche al sindaco Flavio Zanonato, incapace, a suo dire, di trovare soluzioni alla questione: "L’arroganza del primo cittadino non è utile a nessuno - ha concluso -. La Lega Nord ha capito dove sta il problema e tenta di risolverlo, mentre il Governo della città resta impotente nelle mani degli spacciatori".

Angelo Sanza, di Forza Italia, definisce "sconcertante" la decisione del ministro della Sanità, Livia Turco, di ricorrere al Consiglio di Stato contro la decisione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha sospeso l’efficacia del decreto sulle quantità di stupefacenti per uso personale. Per Sanza, si tratta di una "presa di posizione che potrebbe assurgere anche a fattore determinante ed incoraggiante alla circolazione ed all’assunzione della polvere micidiale - così Sanza - sempre più richiesta da tanti giovani".

Prima di fare ricorso, il ministro "farebbe bene - secondo Sanza - a raccordarsi con i colleghi della Pubblica Istruzione e dell’Interno, almeno per farsi relazionare di quanto succede quotidianamente fuori e dentro le scuole, non solo di Roma ma di tutta Italia. Si renderebbe così conto - conclude Sanza - che il fenomeno droga non può essere debellato col discorso a sconti o con il far prevalere il proprio convincimento personale sul comune sentire, soprattutto su quello delle mamme coraggio".

Droghe: Caruso (Rc); il decreto Turco era solo un pasticcio

 

Corriere della Sera, 17 marzo 2007

 

Francesco Caruso, lei solidarizza con Livia Turco bocciata dal Tar?

"Nemmeno per idea. Il decreto per ritoccare la tabella delle quantità ammesse di cannabis era un pasticcio nato da un compromesso inaccettabile. Invece di avere il coraggio di abrogare la legge Fini-Giovanardi si è ripiegato su un provvedimento confuso e parziale. Io non piango una lacrima per questa ordinanza, anzi: meglio che questo inguardabile provvedimento-tampone sia stato spazzato via così adesso la parola tornerà al Parlamento".

 

Veramente prima c’è il ricorso al Consiglio di Stato...

"La Turco faccia ciò che vuole, può pure impugnare il provvedimento ma la questione non cambia minimamente. A me interessa che si faccia una nuova legge, il resto è tutta un’inutile scorciatoia. Penalizzare chi fuma spinelli, mandare in carcere senza motivo ragazzi senza nessun motivo resta una vergogna anche se si raddoppia la quantità detenibile".

 

Cioè?

"È passato sotto silenzio che mentre si grida ipocritamente allo scandalo per l’hashish, poi si obbligano le famiglie con bambini difficili ad assumere gli psicofarmaci. Figurarsi se muoverò un dito per difendere delle inutili e velleitarie tabelle degli spinelli proprio ora che il governo spaccia droghe tremende come il Ritalin".

Droghe: Padova; il sindaco scrive ai giovani "non drogatevi"

 

Il Gazzettino, 17 marzo 2007

 

Il sindaco Flavio Zanonato scrive ai giovani padovani invitandoli a non usare droghe e a non abusare di alcol. Nei prossimi giorni saranno inviate 7.200 lettere, firmate dal primo cittadino, a tutte quelle famiglie di Padova con ragazzi dai 13 ai 18 anni.

L’iniziativa parte dal piano triennale area dipendenze 2006-2008 promosso dalla Regione, dall’Ulss 16 e dal Comune e presentato, ieri mattina, a palazzo Moroni. Incontro a cui hanno partecipato il vice sindaco con delega al sociale, Claudio Sinigaglia, il direttore dell’Ulss 16, Fortunato Rao, il capo della squadra Mobile, Marco Calì, il primario del Sert, Andrea Vendramin, il presidente dell’associazione famiglie padovane contro la droga, Tina Ciccarelli e il coordinatore dell’Agenzia territoriale per le tossicodipendenze, Stefano Angelini.

"Il piano triennale area dipendenza - ha spiegato Sinigaglia - è stato finanziato dalla Regione con 1 milione e 400 mila euro, dal privato sociale con 700 mila euro e dai comuni che partecipano con 50 mila euro. I comuni, infatti, sono 20 ossia tutti quelli presenti nel territorio dell’Ulss 16.

Il piano - ha proseguito Sinigaglia - prevede soprattutto una massiccia prevenzione contro la droga e l’alcol. Ad esempio domani (oggi per chi legge, ndr) all’istituto Severi comincerà un corso per gli insegnanti sul tema delle tossicodipendenze. Quindi, il 22 aprile giorno della Maratona del Santo installeremo uno stand per informare i giovani su gli effetti devastanti che causano alcol e droga".

Allarmanti i dati forniti da Fortunato Rao. "Ogni anno il Ser.T. - ha affermato Rao - ha in cura per abuso di droga e di alcol 1.300 persone. Ogni anno finiscono nel carcere circondariale di Padova almeno 800 detenuti con problemi di tossicodipendenza. Noi abbiamo già 25 specialisti che girano per le scuole di Padova nel tentativo di avvicinare i ragazzi e convincerli a non usare le droghe e a non bere. Compito non facile, se si considera il fatto che l’Ulss 16 opera su 20 comuni pari a un indotto di 410 mila abitanti".

Altri dati piuttosto negativi e che fanno capire come sia aumentato l’uso di stupefacenti, sono forniti dalla questura. Nel 2005 il numero di reati legato alla droga è stato di 596, mentre nel 2006 di 743. Nel 2005 il numero di soggetti arrestati e fermati è stato di 278, nel 2006 di 343.

"La cosa che preoccupa maggiormente - ha spiegato Marco Calì - è che molti consumano nello stesso momento diversi tipi di stupefacenti. Il problema della droga non si combatte solo con la repressione, ma anche con la prevenzione". Ricorda le sostanze pericolose che portano un uomo ad usare gli stupefacenti, Andrea Vendramin. "L’alcol, ad esempio - ha detto il primario del Ser.T. - è un primo attore ed è vero che molti soggetti fanno uso di più droghe nello stesso tempo".

Iraq: evasione di 11 detenuti dal carcere di Bassora

 

Ansa, 17 marzo 2007

 

Undici detenuti iracheni sono evasi dalla prigione militare britannica di Shuaiba, nel sud dell’Iraq. "10 di loro si sono scambiati con i visitatori la scorsa settimana" ha dichiarato un portavoce dell’esercito, "ma la loro sparizione è stata scoperta solo oggi". Il comando della Coalizione ha annunciato che un’indagine è in corso per scoprire le modalità dell’evasione. I detenuti fuggiti erano tenuti prigionieri da due anni, ma non erano stati accusati per alcun crimine.

 

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