Rassegna stampa 15 marzo

 

Giornali dal carcere: domani a Bologna l'incontro nazionale

 

Redattore Sociale, 15 marzo 2007

 

Giornalismo dal carcere, se ne discute domani a Bologna. Iniziativa della Federazione nazionale dell’informazione dal e sul carcere e Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna. Si parlerà anche di come i media hanno trattato il tema dell’indulto

Utilizzare parte del fondo della Cassa delle ammende dei detenuti per progetti dedicati al giornalismo dal carcere. Si discuterà anche di questo domani, 16 marzo, a Bologna, in occasione della giornata di lavoro sulle realtà dell’informazione dal carcere, "Le parole per dirlo", organizzata dalla "Federazione nazionale dell’informazione dal e sul carcere" e dall’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna.

"Affronteremo diverse questioni - spiega la Federazione, che si è costituita ufficialmente a Bologna nel 2005 -, ma vorremmo mettere a punto un progetto comune sull’informazione dal carcere, da realizzare con i fondi della Cassa delle ammende, ovvero gli oltre 100milioni di euro raccolti dalle multe pagate dai detenuti e, per legge, da investire per il loro reinserimento nella società.

E il giornalismo è un grande aiuto: non solo per il reinserimento nella società di chi sta in carcere, ma anche per spianare la strada ai pregiudizi da parte di chi sta fuori". All’incontro di domani parteciperanno una quarantina di realtà da tutta Italia: associazioni, testate, gruppi di lavoro (tra cui la redazione"Ristretti Orizzonti" della Casa di reclusione di Padova e Istituto Penale Femminile Giudecca, quella di "Sosta Forzata" della Casa circondariale Piacenza, quella di "Altrove" con detenuti in permesso di Alessandria, di "Uomini Liberi" con detenuti in permesso di Lodi, l’associazione "A Roma insieme" il Gruppo della Trasgressione di San Vittore).

La giornata (si comincia alle 10, fino alle 17.30, all’Hotel Europa, via Boldrini 11) è divisa in tre parti. Nella prima si parlerà di indulto e di come i mass media ne hanno trattato: "un tema per noi molto importante - spiega la Federazione - e che ha tenuto banco sui media per molti mesi. Vorremmo contribuire a sfatare l’allarme che è nato in seguito al provvedimento. I dati parlano chiaro: a distanza di sette mesi il livello di recidiva è inferiore rispetto a quello dei detenuti che scontano la pena fino alla fine".

Introduce all’argomento Gerardo Bombonato, presidente Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, insieme ad Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci, e all’avvocato Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna.

La seconda parte della giornata sarà invece un confronto tra le diverse esperienze di giornali dal carcere e tra redattori "ristretti" e redattori liberi. L’obiettivo della Federazione è infatti quello di trovare spazio per l’informazione dal carcere sulla stampa generalista.

Alcuni progetti sono già attivi: a Padova il quotidiano "Il Mattino" ospita una rubrica settimanale dei detenuti, mentre a Lodi e ad Alessandria i giornali del carcere escono in allegato ai quotidiani cittadini. "Troppo spesso - precisa la Federazione - i nostri giornali rimangono tra addetti ai lavori.

Nostro obiettivo futuro è quello di sviluppare il più possibile le esperienze che escono dagli istituti penitenziari, in tutta Italia". Infine si parlerà di prevenzione, ovvero dei progetti organizzati nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi sulla devianza e per fargli conoscere la realtà del carcere. Per saperne di più: www.ristretti.it.

Giustizia: intercettazioni, ovvero la politica dell’immondizia

di Mauro Paissan (Componente del Garante privacy)

 

Il Manifesto, 15 marzo 2007

 

Ci risiamo. Di nuovo intercettazioni telefoniche, di nuovo larga diffusione più o meno integrale dei contenuti sui giornali, di nuovo attenzione esasperata verso tutto ciò che è legato al sesso, di nuovo massacro di alcune persone. Non importa, poi, se le persone citate, coinvolte, ferite nella loro immagine, sono estranee all’inchiesta o addirittura vittime dell’azione criminale di arrestati e imputati. Con l’inchiesta giudiziaria sul mercato del gossip a ricatto, tornano i vizi del giornalismo senza limiti, senza precauzione.

Sembra quasi che i media vogliano fare di tutto per aizzare il legislatore ad adottare provvedimenti restrittivi della libertà di cronaca. Che è ciò che, presto o tardi, accadrà con un consenso vastissimo. Più che bipartisan: mono-partisan. Nel senso del partito unico del "basta, così non si può andare avanti, non si può ammettere la distruzione delle persone".

Infatti, a leggere certi giornali, si è tentati di iscriversi a questo partito unico della mordacchia alla stampa. Tentazione davvero diabolica. Eppure non si può giustificare l’assenza di misura, l’incapacità di dosare la divulgazione di nomi e circostanze.

Spesso si assiste a una sorta di gioco concertato tra magistrati, forze dell’ordine e giornalisti. Nei provvedimenti di arresto vengono inserite le informazioni più pepate, così da renderle pubblicabili senza fastidi di secretazione. I direttori si difendono con la motivazione più banale: è una notizia, non posso accettare che la concorrenza pubblichi qualcosa in più. L’inchiesta di Potenza svela un mondo marcio che è giusto venga portato a conoscenza dei cittadini. Ma deve pur esserci un limite invalicabile, che è quello del rispetto della dignità anche della persona di spettacolo, anche dell’uomo politico, anche del vip. Con chi vada a letto la signorina Aida Yespica saranno affari suoi, se non siamo di fronte a un reato. E gli itinerari automobilistici di un

deputato, idem, se la notizia non è strettamente legata al merito della sua attività politica.

Riconosco che è un’impresa ardua difendere la qualità e l’autorevolezza dell’insieme del nostro ceto politico attuale. Ma non si può nemmeno essere conniventi verso una ricorrente campagna di stampa che tratteggia parlamentari e governanti come ladruncoli, drogati, puttanieri, frequentatori di transessuali e (forse proprio per questo) favorevoli a chissà quali nefandezze attraverso i Dico.

Il caso che coinvolge il portavoce di Prodi, il deputato Silvio Sircana, va forse inserito in questo quadro di autodemolizione pubblica. Si prende un accenno contenuto in una telefonata tra due paparazzi e lo si enfatizza sbattendolo in prima pagina: il portavoce di Prodi è sistemato.

E magari si chiede di preparare lo stesso servizio contro il capogruppo della Lega Maroni. Se personaggi simili vengono colpiti, ancorché vigliaccamente, su aspetti di vita delicati, ogni accusa verso altri perde di forza o di credibilità. Se è tutta materia di color marrone, nessuno si potrà tirar fuori. Con buona pace della dignità delle persone. E della politica.

Giustizia: ddl su intercettazioni in aula la prossima settimana

 

Apcom, 15 marzo 2007

 

Alla Camera sono possibili "tutte le accelerazioni del caso" per il ddl sulle intercettazioni, anche "sulla base dei fatti che accadono". Il presidente della Camera Fausto Bertinotti si pronuncia così sul ddl Mastella, tornato alla ribalta dopo gli ultimi sviluppi dell’inchiesta "Vallettopoli" e il caso del portavoce di Prodi, Silvio Sircana, finito al centro di una gogna mediatica. Una vicenda che potrebbe dare una spinta al provvedimento, calendarizzato in Aula a Montecitorio da fine gennaio ma ‘fermò al quarto punto dell’ordine del giorno. Il testo potrebbe essere esaminato dall’Aula la prossima settimana, dopo il decreto sulle liberalizzazioni.

"Il testo è pronto, si potrebbe cominciare già oggi - dice il relatore, Lanfranco Tenaglia (dl) -. Ci sono ancora punti su cui discutere, ma si possono sempre presentare emendamenti in Aula". Le questioni aperte, spiega, "riguardano la gestione dei costi delle intercettazioni, onerosi per il ministero della Giustizia, le motivazioni delle stesse e l’inserimento dei contenuti, perché bisogna tutelare la privacy ma anche garantire il diritto alla difesa".

Tutte questioni che si possono risolvere in Aula, secondo Tenaglia: "Auspico che nella prossima capigruppo ci sia una dichiarazione d’urgenza per il provvedimento", in modo da metterlo all’ordine del giorno dopo il dl sulle liberalizzazioni e non più, come ora, al quarto punto dopo la pdl sul Garante dei detenuti e quella per l’italiano lingua ufficiale della Repubblica. Cosa "possibile", secondo il vice presidente della Camera Carlo Leoni, e sulla quale concorderebbe anche la Cdl. Dopo le ultime vicende, dice Enrico La Loggia (Fi), serve "un confronto" sul ddl Mastella.

Giustizia: a Milano i reati calano, la città ha ugualmente paura

 

La Repubblica, 15 marzo 2007

 

"Lo dicevano anche a noi, quando eravamo bambini. Se arrivavano quelli con le carrozze, le donne con la sottana lunga. Ci dicevano: attenti, che gli zingari vi portano via". Ride Stefan, un omone di 39 anni, padre di 4 figli, nonno di 2 nipoti. Zingaro, rumeno. Non ride più, quando racconta di come sono dovuti scappare da Opera, perché il paese inferocito non li voleva, "e avevamo paura, per i bambini soprattutto ma anche per noi".

C’è sempre qualcuno più zingaro di te di cui aver paura, c’è sempre qualcuno che ti caccia via perché ha paura. La paura: l’unico collante sociale che resiste, il solo tema politico che assicura ascolto facile. L’insicurezza. Anche qui a Milano, Italia, Europa.

Il sindaco Letizia Moratti chiama la cittadinanza a sfilare con una fiaccola in mano il prossimo 26 marzo, "per la sicurezza". Per avere dal governo più agenti di polizia. Per avere più "attenzione" da Roma. Le statistiche della prefettura dicono che i reati a Milano sono in calo. Non tutti: aumentano le violenze sessuali e i danneggiamenti.

I milanesi tendono a sfogare i loro cattivi umori facendo violenza alle donne e alle cose. Anche questo dato si potrebbe interpretare. "Statisticamente, le cose non vanno male - commenta Bruno Ferrante, ex-prefetto, ex-sfidante di Letizia Moratti per il Comune - Però non sono solo i dati ad aver valore. C’è la sensibilità della gente, che ha paura. E se ha paura, è difficile farle credere che tutto va bene. Detto questo, che un sindaco si appelli alla piazza è poco serio. È populista, demagogico e aumenta l’allarme che vuole denunciare".

La paura e l’insicurezza, in questa Milano sempre più vecchia e disordinata, sono merce corrente. C’è chi ha i viados sotto casa, chi ha gli extracomunitari che si radunano e fanno casino, chi ha gli italiani che pisciano e schiamazzano all’uscita dalle discoteche, chi vede gli spacciatori al lavoro dalle proprie finestre, chi è stato scippato, chi ha avuto la casa svaligiata, chi viene investito sulle strisce.

Tutto sotto gli occhi di tutti. Impossibile negare, o sminuire. Tranquillizzare è operazione rischiosa, ormai. Trovare soluzioni che non siano "più polizia" difficile, e faticoso, e lungo, e poco remunerativo. Molti segnali dicono che la comunità tende a perdere la testa. L’ultimo esempio - clamoroso, sottovalutato, allarmante - è il caso Opera.

Un paesone alle porte di Milano. I più lo conoscono come sede del carcere. Ma è un posto tranquillo, gradevole, normale. Qui il 21 dicembre, a pochi giorni dal Santo Natale, c’è stato un pogrom. Sì, al sindaco ulivista Alessandro Ramazzotti questa parola non piace. La chiama, però, "la notte delle streghe".

Un folto gruppo di cittadini operesi s’è diretto in corteo verso l’area dove sarebbe stato ospitato (temporaneamente) un piccolo campo nomadi: 75 persone, la metà bambini, sloggiati da via Ripamonti, comune di Milano, poco distante. Qualcuno degli operesi s’era portato delle taniche di benzina. Hanno dato fuoco alle tende che la Protezione civile stava montando.

Poi, per 50 giorni, hanno allestito un presidio permanente. Notte e giorno. C’era un chiosco, piacevolmente chiamato "Rom-P-Bar", dove si vendevano vin-brulé e birra, dove si friggevano salsicce. Quando è arrivato il bus con le famiglie Rom hanno lanciato petardi e fumogeni. Hanno insultato e minacciato i volontari che prestavano assistenza.

Ci sono 15 indagati per la "notte delle streghe", compresi i consiglieri comunali Ettore Fusco (Lega) e Pino Pozzoli (An). Ma il pogrom ha vinto. Il 10 febbraio, con 40 giorni di anticipo sulla data prevista, i Rom se ne sono andati: "Siamo intimiditi e impauriti, non ce la facciamo più". Adesso sono ospiti del Ceas di don Virginio Colmegna. È lì che vive Stefan, l’omone: "Noi lavoriamo, e non siamo ladri. Sì, ci sono anche i ladri fra i Rom, lo sappiamo bene. Dappertutto, c’è gente buona e gente cattiva".

Opera è oggi un paese spaccato. Dice il sindaco: "Resta un senso di disorientamento, uno stato depressivo. Come dopo una sbornia". Pino Pozzoli, il consigliere di An, non è dello stesso parere: "I cittadini ora sono soddisfatti, sono contenti della fuoriuscita dei nomadi".

Don Renato Rebuzzini, l’anziano prete della parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo, è amareggiato. Ha scoperto che al presidio anti-Rom c’erano delle donne catechiste. Che c’erano ferventi cattolici dell’associazione per l’assistenza ai disabili. L’hanno chiamato "prete bolscevico", sui manifesti che invitavano a disertare la sua messa di Natale. Lui, per protesta contro la protesta, non ha dato dall’altare l’invito a scambiarsi un segno di pace.

Il caso Opera, un caso di scuola, una specie di paradigma. Claudia, una ragazza che era fra i volontari, s’è presa ogni sorta di insulto, passando ogni giorno attraverso le forche caudine del presidio per andare ad assistere i bambini Rom: "Quei bambini avevano avuto le baracche rase al suolo, in via Ripamonti.

Poi hanno avuto l’assalto con fumogeni e petardi. Le tende bruciate. Gli insulti. I Rom sono gli unici che si devono sentir gridare "vi bruciamo". Noi non è che li santifichiamo, i Rom. Ma nemmeno siamo disposti a lasciar passare sotto silenzio quello che è successo". Lo dice anche il sindaco: "C’è chi vorrebbe metterci una pietra sopra. No, bisogna discuterne".

Ma Opera è un precedente: pericoloso. E paradossale. Il campo aveva tutti i crismi escogitati per un’accoglienza corretta: a tempo determinato, con i Rom che avevano firmato il "patto di socialità e di legalità". L’impegno alla pulizia, al rispetto, la rinuncia all’elemosina, e anche all’alcol. Fuori gli operesi vendevano vin-brulé, nel campo la polizia sorvegliava che non entrasse una birra. E poi il lavoro comune del Municipio, dell’amministrazione Moratti, della prefettura, della Caritas di don Colmegna. Esperimento fallito. E come lo si ripeterà, ogni volta che i 4 mila Rom (dati dell’Opera Nomadi) verranno sloggiati e spostati da qualche altra parte?

"Il vero problema, la cosa che Opera evidenzia - riflette Aldo Bonomi, sociologo - è che si dissolve la comunità di quelli che ci sono, non di quelli che arrivano. L’arrivo del diverso, del forestiero, mette in luce le debolezze. I legami sociali che non ci sono più. Che cosa sono diventati, questi nostri quartieri, questi nostri paesi?". È una domanda, dice, che riguarda tutte le forme di aggregazione: "Le famiglie, le parrocchie, i partiti, le associazioni".

La paura e l’insicurezza come la mancanza di relazioni. Minimizzare è assurdo. Ma anche limitarsi a chiamare la piazza: "A voler essere polemici, io dico che fra la Moratti della fiaccolata e il Veltroni che organizza la festa del vicino, la festa di condominio, io scelgo Veltroni. Sarà populista, paraculo, quello che si vuole. Ma almeno c’è dentro la voglia di recuperare la comunità".

Marche: nella regione ci sono 622 detenuti in sette istituti

 

Corriere Adriatico, 15 marzo 2007

 

A fine 2006 erano 622 le persone recluse nei sette istituti di pena delle Marche, di cui 612 uomini e dieci donne, mentre la capienza regolamentare totale regionale è di 753 posti. Il carcere di Montacuto di Ancona nel periodo considerato conteneva 208 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 172, Ancona Barcaglione ne ospitava nove, quello di Ascoli Piceno 90 (capienza 125), Camerino 29 (capienza 33), Fermo 20 (capienza 36), Fossombrone 126 (capienza 186) e Pesaro 140 (capienza 201). Gli imputati erano 296, i condannati 325 e gli internati uno.

Dal 2000 al 2006 - secondo l’assessore regionale Marco Amagliani - le risorse assegnate agli ambiti territoriali sociali dove sono ubicati gli istituti di pena sono aumentate da 21.000 a 170.00 euro, con una previsione per l’anno in corso di 200.000 euro.

Dalle Marche al territorio nazionale. Erano 61.264 le persone recluse nei 208 istituti di pena italiani nel giugno 2006, prima dell’indulto, a fronte di una capienza di 42.800 posti letto. Attualmente, dopo l’applicazione della legge sull’indulto (29 luglio 2006), che ha rimesso in libertà 25.000 persone, le carceri italiane ospitano circa 40.000 detenuti, con un tasso di recidiva per gli indultati pari all’11%. I dati sono emersi, nel corso di un incontro stampa ad Ancona nel quale ha parlato Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione nazionale Antigone, che si batte per i diritti e le garanzie dei detenuti nell’ambito del sistema penale italiano. La Regione Marche ha già redatto su questa materia una proposta di legge che sarà presentata entro aprile e alla quale sta lavorando l’assessore Amagliani.

Lodi: la cooperativa "il Germoglio" offre lavoro ai detenuti

 

Il Cittadino, 15 marzo 2007

 

C’è un posto a San Giuliano dove i fiori, anche se finti, spandono ugualmente nell’aria il loro profumo: profumano di libertà, di riscossa e di speranza, come solo le cose vive si crede facciano. E non per licenza poetica è lecito affermare che la cooperativa "il Germoglio" alleva i suoi virgulti fino a che riusciranno a sopportare le intemperie di questo mondo; solo allora li lascerà liberi di svettare verso più ampi orizzonti, nel posto al sole che saranno riusciti, con il lavoro, a conquistarsi.

Il Germoglio infatti è una azienda "no profit" che accoglie detenuti ed ex detenuti, offrendo loro un’occupazione retribuita: donne provenienti dalle carceri del lodigiano e del milanese, tossicodipendenti e disabili accostano spighe e fiori artificiali in graziose composizioni, mentre gli uomini si occupano della falegnameria, costruendo fantasiose basi in legno su cui appuntarle. Il risultato è un’allegra mescolanza di colori e materiali, che la cooperativa vende a parrocchie e mercatini, nella speranza di ottenere un ricavo sufficiente.

Molti anni sono passati da quando il primo fiore è sbocciato tra le mani di Laura, responsabile della cooperativa: "Nel 1990 la casa circondariale di Verona promosse l’apertura di un laboratorio artigianale, per offrire un’opportunità formativa a quanti vi erano rinchiusi". Con il passare del tempo il progetto prese piede, estendendosi a realtà esterne al carcere: nel 1998 l’approdo a San Giuliano, in collaborazione con istituti di correzione milanesi e con quello di Lodi.

"Oggi il Germoglio è una realtà ben affermata, più piccola rispetto all’esperienza veronese, ma animata da identici propositi". Lo scopo della cooperativa è offrire un nuovo futuro a quanti potrebbero incontrare serie difficoltà a ritornare a una quotidianità sociale spesso chiusa. "Le persone che vengono da noi devono manifestare buona volontà e mostrarsi convinte che soltanto su un lavoro onesto si fonda la possibilità di un cambiamento positivo". Ma nonostante gli obiettivi sociali del Germoglio rivestano senza dubbio un ruolo di primo piano nella gestione dell’azienda, una cooperativa ha l’obbligo di provvedere al mantenimento concreto di quanti collaborano alla sua sopravvivenza.

Le difficoltà finanziarie sono all’ordine del giorno, ma ogni parziale insuccesso è lo sprone che spinge a fare meglio: "Ci servirebbe un nuovo furgone, quello che abbiamo non è più in linea con le nuove normative anti inquinamento: stiamo cercando donazioni, anche se ci piacerebbe molto di più riuscire ad acquistarlo con i nostri fondi. Ma proprio qui sorgono i problemi più grossi. Le altre realtà commerciali del territorio e le istituzioni tendono a trattarci con falso paternalismo: sono generose quando si tratta di offrire contributi o agevolazioni, ma quando pretendiamo di essere trattati come un’azienda convenzionale incontriamo scarsa fiducia".

Quadrature di bilancio, preventivi di spesa sono tutte voci quantificabili in moneta sonante e, per depennarle, il Germoglio dovrebbe abbassarsi a una perenne questua. Invece non lo fa e continua a lottare per trasformare la propria dignità professionale in una solida reputazione, che gli permetta di rinunciare a facili favoritismi.

Verona: un dvd omaggio, in vista del Garante dei detenuti

 

Comunicato stampa, 15 marzo 2007

 

Problemi del carcere e del reinserimento post-carcere, effetti dell’indulto e rispetto della legalità e, non da ultimo, ruolo del Garante dei diritti dei detenuti: questi i temi affrontati da L’anno che verrà, la trasmissione andata in onda recentemente su Telepace.

L’associazione La Fraternità ha realizzato qualche copia del programma su supporto dvd, invitando il Presidente della Commissione consiliare quinta del comune di Verona, Mauro Peroni, a distribuire il materiale a ogni suo membro.

Il servizio di Telepace si basa su interviste a persone scarcerate in applicazione dell’indulto e commenti in studio del Presidente della Fraternità Roberto Sandrini e della Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno, già conosciuta e apprezzata come relatrice al Convegno sul Garante tenutosi a Verona l’11 novembre scorso. La Commissione quinta è chiamata a discutere l’istituzione e il regolamento del Garante dei diritti dei detenuti a Verona. Con il suo omaggio La Fraternità pensa di far cosa gradita ai membri della Commissione, fornendo loro del materiale prezioso per ascoltare direttamente dalla voce di una Garante in attività a quali esigenze risponde il suo servizio e come viene in concreto esercitato.

 

Per ulteriori informazioni: Associazione La Fraternità

Chiara Bazzanella - 393.5641003

Roma: tra cronaca e fiction, storia del "Lupo" Luciano Liboni

 

Roma One, 15 marzo 2007

 

Stefano Calvagna porta sullo schermo la vicenda di Luciano Liboni, protagonista di tragici fatti di cronaca meglio noti come la caccia al "Lupo", che terrorizzò mezza Italia ed fu ucciso nel 2004 al Circo Massimo.

Tra il cinema civile e la fiction Stefano Calvagna porta sullo schermo la storia di Luciano Liboni, protagonista di tragici fatti di cronaca meglio noti come la caccia al "Lupo", che terrorizzò mezza Italia ed ebbe il suo epilogo nell’estate del 2004 al Circo Massimo a Roma. Nella pellicola Massimo Bonetti interpreta Liboni, che per l’occasione diventa Scattoni "perché non volevo stare fermo 5 anni come Rosi con Salvatore Giuliano" afferma il regista.

L’affermazione ci trascina nella cronaca del ricordo: "Ero sul set dell’Uomo spezzato" - racconta il regista - quando fui avvicinato da Liboni come un normale cittadino che è affascinato dalla magia di un set. Di lì a poche ore quella stessa persona che mi aveva avvicinato amabilmente chiedendo anche per favore, terminava la sua fuga dalle forze dell’ordine, freddato da un colpo in piena testa".

"Quando ho visto i fiori sul luogo del decesso o scritte inneggianti a lui sui muri della Capitale ho voluto vederci chiaro" prosegue il regista. "Ho parlato con la gente del Pigneto dove il Lupo comprava il giornale o il latte e nessuno mi ha detto che, almeno apparentemente Liboni era una "cattiva persona".

Ora noi tutti sappiamo quello che è la realtà dei fatti e la sua follia dell’epilogo - quando fu freddato aveva appena preso una donna in ostaggio ndr. - ma volevo dare uno sguardo anche all’altro lato della medaglia, l’infanzia difficile, l’epilessia e il colpo con il calcio della pistola alla tempia quando era sulla barella nell’ambulanza agonizzante".

È una tesi forte questa, anche se questa testimonianza non viene attribuita a nessuno di preciso da regista e dal protagonista Massimo Boneti, che incalza: "Non si può lavare sangue con altro sangue; mi ha dato fastidio anche vedere Saddam impiccato, sono contro la pena di morte e non vedo differenza tra un ago che entra nella carne di un condannato - nonostante sia colpevole - e la pallottola che ha ucciso Liboni".

Il film è stato attaccato in conferenza stampa da alcuni giornalisti di cronaca nera, per via di una caduta sul finale, in verità parecchio romanzato: "Al momento finale, a quello del colpo mortale, non c’ero, mi sono preso la licenza poetica, anche perché nessuno di quelli che ho sentito mi hanno saputo spiegare come sono andati esattamente i fatti. Io riflettevo su una giustizia giusta, credo che nell’attimo finale gli è stato data la possibilità di vivere da criminale o da condannato per tutta la vita, lui ha scelto la prima e gli hanno sparato. Non ne parlo come eroe, certo, ma come uomo, non dimenticando che se non avesse ucciso il figlio di un carabiniere sarebbe in Sri Lanka con moglie e figli...".

Un film a tesi molto polemico quello di Calvagna che non ha ancora superato la prova della proiezione pubblica, con la probabile reazione dei diretti interessati, nella fattispecie i Carabinieri. Sabato seconda uscita per il film, a Regina Coeli, perché?

"Mi sorprende sempre che quando si mostra un film ai detenuti si deve pensare a cosa ne diranno le forze dell’ordine" risponde polemicamente Calvagna. "Non credo che si siano fatti gli stessi problemi con Romanzo Criminale. Si attacca il mio film tacciandolo di essere una fiction ma... se mi si parla di verità quello di Placido non ne ha raccontata nemmeno un minuto...

Se parliamo di verità bisogna dire che con quello spiegamento di polizia e carabinieri Liboni si poteva semplicemente catturare. Ciò detto questo non è un film contro l’arma, è un discorso su come le istituzioni possono gestire situazioni come quelle che hanno visto protagonista Liboni. Quanto ai ragazzi di Regina Coeli il discorso è partito dalla struttura carceraria, vogliamo fare l’anteprima per i carcerati perché crediamo che possa servire al fine rieducativo della pena di cui parla l’art. 27 della nostra Costituzione".

Droghe: il Tar del Lazio sospende decreto del ministro Turco

 

La Repubblica, 15 marzo 2007

 

Il Tar del Lazio ha sospeso il cosiddetto "decreto Turco", il provvedimento che ha innalzato da 500 milligrammi a 1 grammo la quantità massima di principio attivo di cannabis per uso personale, oltre la quale scattano le sanzioni penali. Lo hanno deciso i giudici della III sezione quater, presieduta da Mario Di Giuseppe, che hanno pubblicato oggi la loro ordinanza con la quale hanno accolto le richieste di sospensione del Decreto fatto dal Codacons e da una cooperativa sociale - comunità terapeutica di Taranto.

Immediata la replica di Livia Turco: "Farò ricorso al Consiglio di stato", ha detto a margine del convegno "Bambini che non guariranno" a Roma. I giudici amministrativi del Tar hanno ritenuto che la Legge "non conferisca - si legge nel provvedimento - al decreto un potere politico di scelta in ordine alla individuazione dei limiti massimi delle sostanze stupefacenti o psicotrope che possono essere detenute senza incorrere nelle sanzione penali".

Bensì "un potere di scelta di discrezionalità tecnica, soprattutto per quanto attiene alle competenze del Ministero della Salute". Non solo; il Tar ha anche ritenuto che, nel caso specifico, "la scelta effettuata con il decreto impugnato non risulta supportata da alcuna istruttoria tecnica che giustifichi il raddoppio del parametro moltiplicatore".

Il ministro della Salute Turco replica in questo modo: "C’è un dato tecnico giuridico mi pare infondato, vale a dire che non possa intervenire la discrezionalità della politica. Non è così sulla base della legge Fini-Giovanardi, non è così sulla base degli atti della commissione insediata dal governo precedente che stabilisce che sulla definizione della soglia massima sull’uso della cannabis sia una discrezionalità politica. Se invalidato questo decreto - ha concluso la Turco - è invalidato anche il decreto precedente e quindi anche invalidata la legge Fini-Giovanardi".

Le reazioni. "Quella di oggi del Tar del Lazio sul "decreto Turco" è senza alcun dubbio una decisione giusta, visto anche il raddoppio, dal 2001 al 2005, del numero di consumatori di cannabis soprattutto dei giovani tra i 15 e i 24 anni", ha commentato il presidente del Codacons Carlo Rienzi. "La facilità di passaggio alle droghe più pericolose - ha continuato Rienzi - è scientificamente dimostrata.

La decisione del Tar eviterà l’attività di quell’uso in comune di cannabis che finiva per diventare una sorta di spaccio involontario creatosi tra i giovani ai quali, col nuovo provvedimento, era in pratica data la possibilità di avere con sé ben 40 dosi di cannabis e di poterle così facilmente scambiare con gli amici". Per Maurizio Gasparri di An la decisione del Tar dovrebbe far riflettere il ministro Turco.

"Il Tar - spiega Gasparri - sospendendo il decreto ministeriale di Livia Turco che raddoppiava la quantità di cannabis e marijuana che poteva legalmente circolare ha dimostrato come fosse assurda e sbagliata la scelta del Governo. La decisione del Tar - aggiunge - ci conforta e dimostra che la lotta alla droga deve proseguire con l’applicazione della legge Fini. Una normativa che consente la prevenzione ed il recupero per i tossicodipendenti e che contrasta lo spaccio. Le decisioni di Livia Turco avevano invece alimentato una politica demagogica che ora viene clamorosamente sconfessata".

Carlo Giovanardi (Udc) sostiene che "il governo avrebbe fatto meglio a consultarsi sulla materia con il Parlamento, che ha criticato quella scelta sia da parte di esponenti dell’opposizione che della maggioranza". Mentre per Giampiero Catone, capogruppo vicario della Democrazia Cristiana per le Autonomie alla Camera, l’ordinanza del Tar "è una conferma dell’atteggiamento spregiudicato tenuto dal Governo Prodi in tema di droga".

Droghe: Livia Turco; faremo appello contro questa sentenza

 

Notiziario Aduc, 15 marzo 2007

 

In relazione alla decisione del Tar del Lazio di sospendere il decreto del Ministro della Salute sulla quantità massima detenibile di cannabis oltre la quale scattano le sanzioni penali, il Ministro Livia Turco ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Rispetto sempre le sentenze. Ma contro questa farò appello al Consiglio di Stato perché ne ritengo infondate le motivazioni. Al contrario di quanto sostiene il Tar del Lazio, infatti, la legge Fini-Giovanardi, nell’ambito della quale ho emanato a novembre il decreto di revisione della quantità massima detenibile di cannabis oltre la quale sono previste sanzioni penali, non offre al Ministro della Salute alcun criterio tecnico per determinare tale quantità.

La stessa Commissione scientifica, insediata dall’allora Ministro Storace per determinare i quantitativi di sostanze stupefacenti ai fini della prescrizione delle sanzioni, concluse i suoi lavori segnalando l’impossibilità di una valutazione tecnica che fosse sostituiva della decisione politica. E ciò proprio in riferimento alla determinazione delle quantità massime detenibili senza incorrere in sanzioni penali. La decisione spetta al Ministro, sostennero allora i tecnici nominati da Storace.

Da ciò si deduce che, qualora anche il Consiglio di Stato dovesse confermare gli orientamenti del Tar, si potrebbe ritenere annullabile anche il vecchio decreto "Berlusconi-Storace", rendendo di fatto inapplicabile la stessa legge Fini-Giovanardi alla quale mi sono strettamente attenuta nella formulazione del nuovo decreto.

Penso comunque che, al di là di questi aspetti giurisprudenziali, c’è la forte necessità di una profonda revisione di quella legge. Serve una nuova normativa per le tossicodipendenze che riaffronti globalmente metodi e scopi della lotta alla droga, facendo prevalere nei confronti dei tossicodipendenti gli aspetti della prevenzione, della cura e della riabilitazione rispetto a quelli repressivi.

Su questa linea darò il mio contributo al ddl in via di definizione da parte del Governo, e annuncio sin d’ora il mio impegno a potenziare servizi e strutture per la prevenzione e l’educazione sanitaria contro tutte le droghe, con particolare attenzione ai giovani.

Su questi temi, in vista della definizione di un nuovo Piano nazionale di prevenzione e lotta alle dipendenze, si svolgerà una Conferenza nazionale a Roma il prossimo 7 maggio, dove saranno chiamati a dare il proprio contributo tutti gli operatori pubblici, privati e del volontariato che ogni giorno prestano la loro opera al servizio di tanti cittadini e delle loro famiglie sconvolte dal dramma della droga e della dipendenza patologica".

Droghe: Ferrero; dopo sentenza Tar confronto su nuova legge

 

Redattore Sociale, 15 marzo 2007

 

Il ministro ha incontrato oggi gli Assessori regionali che si occupano di tossicodipendenze e vedrà domani i ministri interessati per "discutere le linee guida" della nuova normativa.

Sulla sospensiva concessa oggi dal Tar del Lazio sul decreto che innalzava la soglia della cannabis voluto dai ministri Livia Turco e Clemente Mastella, è intervenuto il ministro per solidarietà Paolo Ferrero, chiedendo "l’avvio di una rapida discussione sulla nuova legge sulla lotta alle droghe".

Pur esprimendo "piena condivisione con quanto affermato dalla ministra Livia Turco sulla necessità di impugnare il provvedimento", Ferrero insiste sulla "urgenza di avviare un intervento coordinato nella lotta alla droga", urgenza dettata dalla "emergenza creata dall’aumento dell’uso di sostanze dannose per la salute, da un lato, e la sospensione del Tar del Lazio, resa nota oggi, che blocca il decreto sull’aumento della soglia della quantità massima di cannabis consentita".

Il ministro che oggi ha incontrato gli Assessori regionali che si occupano di tossicodipendenze "per definire un programma di prevenzione finanziato con 10 milioni di euro e attuare il Piano di azione richiesto dall’Unione Europea e mai fatto dal precedente Governo", fa sapere di aver convocato per domani, prima del Consiglio dei ministri, la riunione dei ministri interessati per "discutere le linee guida di una nuova legge sulla droga, visto il fallimento della normativa in vigore in materia di tossicodipendenze".

Droghe: i consumatori ringraziano il Tar

di Franco Corleone (Segretario di "Forum Droghe")

 

Fuoriluogo, 15 marzo 2007

 

"Finalmente abbiamo compreso perché il Movimento di difesa dei consumatori in Italia è cosi debole!" Così Franco Corleone, segretario di Forum Droghe, commenta la notizia appena battuta dalle Agenzie della bocciatura da parte del Tar del decreto Turco sulla Cannabis. "Per quanto riguarda la decisione del Tar - continua Corleone - appare ad una prima lettura assolutamente immotivata e senza fondamento non diciamo giuridico ma neppure di elementare sensatezza. Fu la commissione stessa a dichiarare l’arbitrarietà del moltiplicatore affidato alla mera discrezionalità politica. Ma il Tar non è intervenuto su questo punto: con una decisione politica ha respinto una decisione politica del ministro Turco." "Forum Droghe e Fuoriluogo - precisa inoltre l’ex sottosegretario alla Giustizia - quando si discusse di questo argomento suggerirono la via maestra di abrogazione della legge Fini-Giovanardi ma in particolare per l’abrogazione integrale della tabella costruita dalla Commissione di stretta obbedienza dell’ex Ministro Storace."

Corleone conclude con un appello al mondo politico: "Ora non rimane che il ricorso al Consiglio di Stato ma soprattutto una scelta netta, politica e non amministrativa, per cambiare la legge repressiva e proibizionista."

Droghe: Antigone; la sentenza del Tar del Lazio è suicida

 

Redattore Sociale, 15 marzo 2007

 

La sentenza del Tar del Lazio che sospende il decreto Turco Mastella sulla cannabis ha sollevato numero se prese di posizione. "È una sentenza suicida. - commenta Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone -.

Se è illegittimo il decreto Turco, lo era, per le identiche ragioni anche quello Storace", Secondo Antigone è "nella legge Fini-Giovanardi il problema". "Quella legge offre al Ministero della salute la possibilità di incidere sulla sanzionabilità penale. - spiega l’associazione - Quella legge va abrogata.

Ma va abrogata non per i sofismi formali del Tar, ma perché è una legge che mette sullo stesso piano criminale consumatori di droghe leggere e spacciatori di droghe pesanti, servizi pubblici e comunità private. Speriamo che la sentenza sia un’occasione per velocizzare l’iter parlamentare di quelle proposte che si muovono nel segno della depenalizzazione e del buon senso."

Di segno opposto il commento del deputato dell’Udc Luciano Ciocchetti: "La decisione del Tar del Lazio dimostra tutta l’artificiosità del decreto Turco che con un colpo di spugna aveva raddoppiato le soglie per l’uso della cannabis. È sì una sconfitta per il governo ma prima di tutto è una buona notizia per i nostri giovani e più in generale per la nostra società che deve esser messa in condizione di poter continuare la giusta battaglia contro l’uso delle droghe e degli stupefacenti. Il messaggio che il decreto Turco conteneva - conclude Ciocchetti - era infatti devastante."

Droghe: con legge Fini-Giovanardi arresti non sono aumentati

 

Redattore Sociale, 15 marzo 2007

 

Le cifre degli arresti mensili per possesso di hashish e marijuana dicono che l’incremento registrato nel 2006 è avvenuto prima della riforma entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi. Nell'estate-autunno 2006 c'è stato addirittura un lieve calo.

Ai primi di novembre, poco prima di firmare insieme al collega Mastella il decreto sulla quantità di principio attivo della cannabis sospeso oggi dal Tar del Lazio, il ministro della Salute Livia Turco aveva relazionato in Parlamento sui primi 6 mesi di applicazione della legge Fini-Giovanardi sulla droga.

Ad avvalorare l’opportunità del decreto aveva commentato i dati del ministero dell’Interno sulle persone segnalate all’autorità giudiziaria nel periodo 1 gennaio - 31 ottobre 2005 raffrontati con lo stesso periodo del 2006. Da questi dati erano stati poi disaggregati e messi a confronto i periodi 1 maggio - 31 ottobre dei due anni.

La legge Fini-Giovanardi è entrata infatti in vigore ai primi di maggio dell’anno scorso. L’intento era quello di dimostrare come, a partire da maggio 2006 vi fosse stata un’impennata degli arresti per la semplice detenzione di piccole quantità di hashish e marijuana. E come fosse di conseguenza necessario aumentare la soglia della quantità di principio attivo dei derivati della cannabis per evitare che entrassero nel circuito penale molti semplici consumatori, in gran parte giovani.

Il risultato di questa lettura dei dati era in effetti allarmante: da maggio a ottobre 2006 si era avuto - rispetto allo stesso periodo del 2005 - un aumento del 10.1% di arresti per possesso di hashish (i casi numericamente di gran lunga più frequenti), del 63.9% degli arresti per possesso di marijuana e del 17.85% per possesso di piante intere di cannabis.

Ma le cose stavano davvero così? Una lettura degli stessi dati fatta con maggiore attenzione e un confronto con il consuntivo di tutto il 2006 fornitoci dal ministero dell’Interno, dimostra che in realtà con l’entrata in vigore della Fini-Giovanardi non è cambiato quasi nulla, almeno rispetto al capitolo cannabis.

Quelle che abbiamo analizzato sono infatti le medie mensili degli arresti per possesso di hashish e marijuana nei periodi presi in considerazione con la relazione che doveva supportare il decreto Turco-Mastella.

Ne risulta che la media egli arresti per possesso di cannabis è rimasta praticamente stabile, ed anzi ha avuto una lieve diminuzione, passando dalle 560 persone dei primi mesi del 2005 ai 545 dell’estate-autunno 2006. Riguardo la media mensile degli arresti per possesso di marijuana si osserva invece che l’incremento (da 84 a 165 in un anno) c’è stato prima dell’entrata in vigore della Fini-Giovanardi e che da allora è rimasta praticamente uguale.

Questa osservazione viene confermata dal confronto tra i consuntivi 2005 e 2006 del ministero dell’Interno, da cui emerge che le segnalazioni alle autorità giudiziarie per possesso di hashish sono aumentate solo del 2,43%, mentre quelle per possesso di marijuana sono cresciute del 53% (il ministero non fornisce le disaggregazioni per "stato di libertà" e "arresti", ma normalmente i secondi sono circa il 70% del totale delle segnalazioni).

Riguardo quest’ultima percentuale rilevante va aggiunto un elemento: nel 2006 si è avuto un aumento del 119% di sequestri di marijuana, e si può quindi supporre che una parte degli arresti abbia riguardato "veri" trafficanti di quella sostanza.

Immigrazione: legge per superare la Bossi-Fini e voltare pagina

di Paolo Ferrero (Ministro della Solidarietà Sociale)

 

Liberazione, 15 marzo 2007

 

Indiscrezioni giornalistiche hanno anticipato i termini della nuova legge sull’immigrazione, concordata tra il ministro Amato e il sottoscritto, che nelle prossime settimane, dopo una fase di verifica tra i vari ministeri interessati, dovrà essere varata dal Consiglio dei Ministri. Si tratta di una legge che abroga nei fatti la Bossi-Fini intervenendo su alcuni punti decisivi che proveremo a sintetizzare. Cambiano radicalmente le modalità di ingresso in Italia e la pluralità di canali previsti dovrebbe permettere l’incontro legale tra domanda e offerta di lavoro anche sul territorio italiano, superando cosi l’attuale situazione in cui è la legge ad obbligare alla clandestinità centinaia di migliaia di migranti. Allunga significativamente (sino al raddoppio) i tempi dei permessi di soggiorno, prevedendo la loro validità anche nelle more del rinnovo e prevede il passaggio delle competenze per i rinnovi agli enti locali. Prevede il diritto di voto attivo e passivo per i migranti alle elezioni locali.

Prevede la modifica del trattamento dei minori non accompagnati, rendendo più semplice la loro permanenza in Italia al compimento del diciottesimo anno di età e istituendo un apposito fondo con cui curare il loro inserimento sociale. Riconduce la disciplina dell’immigrazione nell’alveo della giurisdizione ordinaria, visto che si tratta di diritti soggettivi.

Supera il sistema dei Cpt per come l’abbiamo conosciuto, riducendo drasticamente il loro impatto sui migranti, sia per il numero di persone potenzialmente coinvolte, sia per il numero di strutture interessate, sia per le condizioni di trasparenza delle strutture stesse (apertura ai giornalisti, ai rappresentanti degli enti locali, ecc.). Abolisce il contratto di soggiorno e rende meno stringente il legame tra rapporto di lavoro e regolarità della presenza del migrante in Italia.

Permette la regolarizzazione dei migranti che, dopo essere stati regolarmente presenti sul territorio italiano per almeno 18 mesi e aver perso la condizione di regolarità, abbiano trovato un lavoro al nero. Prevede l’estensione di tutte le forme di assistenza sociale ai migranti dopo due anni di permanenza in Italia.

Si tratta quindi di un disegno di legge che, pur non recependo completamente le richieste del movimento (ad esempio io mi sono battuto sino all’ultimo affinché i Cpt fossero chiusi e basta), se approvato costituirebbe una vera svolta in materia di politiche dell’immigrazione. In particolare questa legge permette, a mio parere, di modificare radicalmente l’approccio al tema dell’immigrazione: da problema di ordine pubblico a questione sociale.

Si pongono così le basi per la costruzione di un movimento dei lavoratori effettivamente multietnico, il che equivale anche a un deciso rafforzamento dello stesso. È infatti evidente che, con oltre due milioni di lavoratori immigrati, la possibilità di riunificare il movimento dei lavoratori e di porre esplicitamente il nodo dell’allargamento del welfare ai migranti è la condizione per costruire una società multietnica.

È questa la strada per evitare che il razzismo diventi il principale strumento di divisione del movimento dei lavoratori. Questo primo risultato è stato reso possibile da due elementi: in primo luogo, la capacità del movimento antirazzista di sedimentare la propria presenza attraverso l’enorme lavoro sul territorio svolto dalle associazioni, che ha permeato larga parte delle amministrazioni locali. In secondo luogo, la capacità di costruire i canali e i percorsi perché questa elaborazione e questa pratica politica diffusa entrassero nel processo di produzione della legge.

Da questo punto di vista il percorso di ascolto fatto con le assemblee regionali svolte nei mesi scorsi e con i numerosi incontri nazionali con il mondo associativo è stato elemento decisivo e costitutivo del processo. Il testo prodotto è, quindi, il frutto della precisa impostazione politica che abbiamo scelto, puntando a contaminare la politica con le pratiche sociali e costruendo processi partecipati che impedissero separatezze autoreferenziali della politica stessa. Da qui, credo, occorre partire per approvare la legge - e se possibile migliorarla - e porre per questa via un decisivo tassello che renda il nostro paese civile nei confronti dei migranti. Sono le basi per battere il populismo di destra, che ha nel razzismo, nella produzione di paure e nella divisione dei lavoratori ha i propri punti di forza.

Immigrazione: Dap; identificare i detenuti stranieri in carcere

 

Comunicato stampa, 15 marzo 2007

 

Oggetto: Procedura di identificazione dei detenuti e degli internati extracomunitari

 

All’esito di un tavolo di lavoro tenutosi in data odierna tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il Ministero dell’Interno ed il Ministero degli Affari Esteri, si è dato avvio all’elaborazione di una procedura congiunta volta a definire le modalità di identificazione dei detenuti e degli internati extracomunitari, nonché di acquisizione dei documenti abilitativi all’espatrio, durante il periodo di detenzione, onde renderne possibile l’immediata espulsione una volta avvenuta la dimissione dal carcere.

A tal fine il Dap, su disposizione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, ha manifestato la più ampia volontà di collaborazione, rendendosi disponibile a curare la traduzione dei detenuti extracomunitari in istituti di pena situati nelle città sedi dei consolati; a mettere a disposizione, all’interno degli istituti penitenziari, locali idonei allo svolgimento della c.d. intervista consolare; a curare, in via sperimentale, la traduzione dei detenuti extracomunitari da avviare all’espatrio in istituti prossimi al luogo in cui dovrà essere data esecuzione all’espulsione e a rendere disponibili, all’interno degli istituti di pena dei locali per lo svolgimento, da parte del giudice di pace, dell’udienza di convalida dell’espulsione comminata in sede amministrativa.

Ciò nel quadro di una serie di iniziative volte ad evitare che i detenuti e gli internati extracomunitari, una volta terminato il periodo di detenzione, debbano essere trattenuti per l’identificazione presso i centri di permanenza temporanea, subendo un ulteriore protrazione della durata della limitazione della libertà personale.

Immigrazione: industriali; meno burocrazia per le assunzioni

 

Corriere della Sera, 15 marzo 2007

 

L’ingegner Andrea Moltrasio apprezza lo sforzo del governo, che con il ddl delega Amato-Ferrero intende riformare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, tuttavia non coltiva grandi illusioni. Perché, spiega il vice presidente della Confindustria per l’Europa, l’iter parlamentare del provvedimento sarà lungo e pieno di insidie: "Poi, chi scriverà i decreti attuativi dovrà puntare soprattutto sulla semplificazione delle procedure perché questo è uno dei grandi problemi nazionali. Inoltre, bisognerebbe svuotare di contenuto ideologico tutte le discussioni su questo testo cercando invece di affrontare con concretezza e serietà il problema".

 

L’opposizione sostiene che nel testo c’è molto Ferrero e poco Amato.

"Da parte nostra c’è una apertura di credito su questo testo. A noi piacciono di più gli approcci razionali, e se questo è il riformismo caro ad Amato a me va benissimo. Ecco, preferiamo la razionalità agli aspetti più ideologici".

 

Pensa alla corsia preferenziale creata per l’ingresso dei talenti in Italia?

"Apprezziamo l’attenzione nei confronti dei lavoratori specializzati, i cosiddetti talenti: ingegneri, ricercatori, manager ma anche immigrati che sappiano fare a un certo livello i saldatori. Tutte queste figure servono al mondo dell’impresa. Già l’articolo 27 (della Bossi-Fini, ndr) prevedeva un canale preferenziale ma il ministro Amato ha fatto uno sforzo per ampliarlo, semplificando anche le procedure".

 

Quali sono, oggi, le difficoltà per un imprenditore che vuole assumere talenti all’estero?

"Ci sono parecchie difficoltà burocratiche. Ma più che di difficoltà si tratta di impossibilità: infatti serve molta assistenza da parte delle nostre associazioni perché da solo un imprenditore oggi non riesce ad accedere al mercato dei talenti. Penso alla Cina, all’India e a quei Paesi dell’Est Europa in cui c’è una professionalità tecnica rilevante".

 

Anche sulla programmazione delle quote, non più annuale ma triennale, la Confindustria è favorevole?

"Noi avevamo contestato la gestione annuale e un po’ burocratica delle quote d’ingresso. La rigidità non aiuta".

 

Liste di collocamento nelle ambasciate italiane e sponsor. Cosa ne pensa?

"Meccanismi a punti vengono utilizzati con successo in Canada dove hanno accumulato una grande esperienza in materia. Da noi, comunque, temo la burocrazia perché siamo specialisti nel complicare le cose. Invece, il meccanismo dello sponsor personalmente non mi entusiasma: per ora mi sembra un po’ vago".

 

Il voto amministrativo dopo 5 anni aiuterà l’integrazione dei lavoratori stranieri?

"Questa è un’ipotesi praticabile però all’interno di una politica articolata: non solo, quindi, accesso alla cittadinanza ma anche una politica di integrazione dei minori nelle scuole, l’apertura al pluralismo religioso, il rispetto delle regole e un’attenzione molto forte alla seconda generazione di immigrati".

 

Esiste una via italiana al multiculturalismo?

"Noi italiani abbiamo un punto di forza e uno di debolezza. La forza: abbiamo una grande capacità di metterci in contatto con altri popoli. La debolezza: noi stessi non abbiamo un grande senso della legalità".

 

È ottimista sull’iter parlamentare del ddl?

"In realtà bisognerebbe essere ottimisti sull’attività parlamentare in generale. Ma in questo momento risulta difficile".

Usa: 14enne ucciso di botte dagli agenti del riformatorio

 

La Repubblica, 15 marzo 2007

 

Lo hanno picchiato a morte. Letteralmente. È la storia di Martin Lee Anderson, la cui fine assurda, avvenuta per mano delle guardie in un "boot camp", un centro di rieducazione per minori a Panhandle, in Florida, sta sconvolgendo gli Stati Uniti. Gli aguzzini del ragazzo, che aveva solo 14 anni, hanno sempre sostenuto di essere innocenti. Ma un nuovo filmato, rilasciato oggi, sembra indicare il contrario. Il video mostra due secondini del campo costringere Martin Lee in ginocchio e picchiarlo ripetutamente. Le sevizie, però, non si limitano agli schiaffi. La testa del ragazzo viene sbattuta più volte contro il terreno, e poi contro un’inferriata.

Entrambi gli uomini, poi, lo prendono a pugni. Alla fine gli premono sul volto un pezzo di stoffa, forse intriso di ammoniaca. Martin Lee aveva appena avuto un collasso mentre faceva ginnastica. Le guardie, sostiene la difesa, stavano solo cercando di farlo riprendere. Dopo 27 minuti, si vede arrivare un’infermiera e, dopo 35 minuti, dei barellieri, che portano via il corpo, quasi esanime, del ragazzo. Che morirà, il giorno dopo, in ospedale.

Dopo la diffusione del video shock, però, la posizione della difesa è sempre più scricchiolante. I condannati rischiano 30 anni di carcere. E lo Stato della Florida di dover risarcire 40 milioni di dollari alla famiglia Anderson.

Gran Bretagna: i criminali incontrino le vittime, per scusarsi

 

Ansa, 15 marzo 2007

 

"I criminali dovrebbero essere costretti a incontrare le loro vittime e chiedere loro scusa": lo dice Cherie Blair, moglie del premier britannico, invocando la necessità di una "giustizia riparatrice", che porti chi è stato condannato per un reato faccia a faccia con chi lo ha subito per fare personale ammenda per i propri crimini. La signora Blair sostiene che andare in galera non modifica, sul lungo periodo, l’attitudine e i comportamenti di un delinquente. La colpa è del sistema carcerario in crisi per il sovraffollamento, tanto che il ministero degli Interni ha dovuto attuare una serie di misure di emergenza per la crescita costante del numero di persone condannate a finire dietro le sbarre.

"A volte mi chiedo se i criminali provino del rimorso per quanto hanno fatto", ha detto la moglie del Primo Ministro che sosterrà stanotte, durante una trasmissione di Radio 4 della Bbc, che la giustizia riparatrice dovrebbe essere applicata in maniera costante per quei reati quali aggressione, rapina, furto e, dove ritenuto opportuno, nei casi di violenza domestica e stupro.

"Quest’idea ha trovato ulteriori spunti quando mi è capitato di visitare delle prigioni e parlare con i reclusi. Il processo e il periodo passato in carcere non aiutano in alcun modo a confrontarsi con quanto accaduto né con le conseguenze delle proprie azioni", dice Cherie Blair. Questo intervento ha già trovato l’appoggio di quanti caldeggiano la riforma della giustizia penale e hanno proposto questa misura come alternativa al carcere.

 

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