Rassegna stampa 13 marzo

 

Giustizia: Napolitano; rispetto per le vittime del terrorismo

 

La Repubblica, 13 marzo 2007

 

Dopo l’intervista in televisione all’ex brigatista Alberto Franceschini il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scritto una "lettera aperta" a Corrado Augias.

Caro Augias, la lettera indirizzatale dai famigliari dei carabinieri e degli agenti della Polizia di Stato barbaramente uccisi dalle Brigate Rosse a via Fani, nel corso del brutale rapimento dell’on. Moro, mi trova pienamente concorde. Anche nel mio messaggio di fine anno volli esprimere un chiaro richiamo al rispetto della memoria delle vittime del terrorismo e dunque al rispetto - in tutte le sedi - del dolore dei loro famigliari.

Rinnovo perciò il mio fermo appello perché di ciò si tenga conto anche sul piano dell’informazione e della comunicazione televisiva. Il legittimo reinserimento nella società di quei colpevoli di atti di terrorismo che abbiano regolato i loro conti con la giustizia dovrebbe tradursi in esplicito riconoscimento della ingiustificabile natura criminale dell’attacco terroristico allo Stato e ai suoi rappresentanti e servitori e dovrebbe essere accompagnato da comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura. Cordialmente.

 

Giorgio Napolitano

 

Questa lettera del Presidente Napolitano, che ringrazio, riprende una richiesta avanzata dai familiari degli agenti e dei carabinieri assassinati in via Fani a Roma quando, nel 1978, l’onorevole Aldo Moro venne rapito dalle Br. I congiunti delle vittime chiedevano che si usasse maggior riguardo nell’intervistare ex brigatisti tenendo in considerazione le ferite riaperte ad ogni loro apparizione in Tv, magari in un’atmosfera distesamente colloquiale, dimentica delle tragedie di allora.

Credo che il punto di vista espresso dal presidente della Repubblica rispecchi i sentimenti della stragrande maggioranza degli italiani e mi pare di poterlo racchiudere nelle ultime parole del suo messaggio sulle quali tra poco tornerò. La lettera dei congiunti delle vittime, pubblicata nella mia rubrica venerdì scorso, denunciava in particolare l’insensibilità di una testata tele-giornalistica che aveva intervistato l’ex brigatista Alberto Franceschini (fondatore nel 1970 con Renato Curdo del gruppo terroristico) nel luogo stesso dell’eccidio, luogo di "memoria storica" per la Nazione. A quella lettera hanno fatto seguito varie reazioni.

Mi ha colpito l’autocritica del direttore di Studio Aperto, Mario Giordano, che ha ammesso di non aver pensato alle conseguenze emotive che l’intervista avrebbe potuto provocare. Sbagliamo tutti, ammetterlo è segno di onesto coraggio. A meno che non mi sia sfuggito non mi pare invece che Claudio Martelli, conduttore del programma, abbia commentato. Il Tg1 diretto da Gianni Riotta ha intervistato Maria Ricci, vedova dell’appuntato Domenico.

Da altre parti le reazioni sono state diverse, alcuni hanno obiettato che anche a chi si è macchiato di un delitto non si può continuare a chiedere continui atti di pentimento, una volta che abbia scontato la pena. È un’obiezione che risponde più che alle critiche alla loro caricatura. Nessuno chiede di continuare a battersi il petto per tutta la vita. Le pene comminate sono state severe e solo l’età dei colpevoli all’epoca dei fatti rende possibile che alcuni di loro dopo decenni di carcere escano in età ancora relativamente giovane.

Stiamo parlando di persone che hanno militato nelle Brigate Rosse, o in altri gruppi terroristici che predicavano e praticavano la lotta armata, seminando dolore e provocando lutti, accecati dai loro inutili fantasmi, e non sempre hanno espresso rammarico o hanno condannato quegli atti nefandi. Certo, anche loro hanno diritto a reinserirsi nella società, anzi è doveroso che vengano aiutati, se davvero crediamo, in senso religioso o civile, alla redenzione.

Tra il reinserimento e il salire in cattedra a fare lezione, o a diventare piccole star, o esperti da dibattito televisivo però ce ne corre. Tanto più che alla asimmetria di allora, assassini contro vittime, fa da specchio la asimmetria di oggi: piccoli divi contro familiari dimenticati nel loro oscuro dolore. Qui vengono le parole del Presidente che raccomanda. "Comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura". Questo davvero sembra di poterlo esigere da tutti.

 

Corrado Augias

Giustizia: allarme a Milano; quello che il sindaco non vede

 

Corriere della Sera, 13 marzo 2007

 

Diceva Sciascia che la linea della palma e del caffè risale lentamente la penisola: ora ha raggiunto Milano, è ufficiale. Come leggere altrimenti l’appello del sindaco ai milanesi perché scendano in piazza per la sicurezza? Letizia Moratti chiede 500 poliziotti in più, e il governo reagisce assicurando buona parte delle risorse richieste; ma questo sembra l’appello del sindaco di una città del Sud piagata dalla violenza, non della "capitale morale". Dov’è la Milano col cuore in mano, quella che risolve da sé, con spirito pratico e senza piagnistei, i propri problemi? Questo appello pare il sintomo di una deriva sudamericana: e pensare che i milanesi attendevano atti concreti da un sindaco manager, per di più donna, quindi ritenuta attenta ai problemi veri. Certo non si aspettavano una tirata populista: il potere che aizza contro il potere.

Letizia Moratti dà dei problemi della città una lettura monca, e si comporta come se, avendo fatto tutto il proprio dovere, attendesse impaziente che anche gli altri lo facessero; prende un pezzo dei problemi di Milano, decide che lei non c’entra, e lancia un appello. Ce lo saremmo attesi da dei professori, non da una donna del fare! In verità, il sindaco di Milano prende uno spicchio della mela e ce lo offre come fosse la mela intera. In città i reati, dicono le statistiche, sono in lieve calo: aumentano invece quelli commessi dentro casa, nel seno della "sacra" famiglia, dove l’utilità dei 500 agenti reclamati pare assai dubbia.

Letizia Moratti fa violenza alla propria natura per urlare molti "basta", ma forse dovrebbe ascoltare altri "basta", che i suoi cittadini le dicono civilmente ogni giorno su giornali che lei forse non legge. Cosa pensa il sindaco del traffico a Milano, ha poteri e doveri in materia, o no? Non crede che levare i vigili dagli uffici e metterli in strada migliorerebbe la situazione? Se l’esperienza del suo predecessore, che sul tema si è scornato, la induce a guardare da un’altra parte, non se la prenda con Roma. Non sentiamo più parlare di ticket d’ingresso e ci domandiamo perché. E il trasporto pubblico, che solo può avviare a soluzione il problema, non rientra fra le sue competenze dirette? È certa di aver fatto tutto quanto in suo potere? Non ce ne eravamo accorti, ma forse il federalismo allo zafferano assegna questo compito allo Stato centralista.

Poi c’è la qualità dell’aria, cosi legata ai due temi suddetti, che pare assai più pressante della violenza. Ogni morte è inaccettabile, ma quanti sono i morti e i feriti ogni anno a Milano per violenze? E quanti muoiono, o si ammalano gravemente, per l’aria che i milanesi, grandi e piccini, respirano non disponendo di un’aria di ricambio? Perché non guardiamo in faccia alla realtà? Coraggio, sindaco, ci parli anche di questo.

Poi c’è il problema della casa, che un Comune florido dovrebbe affrontare cercando di sottrarre la città, divenuta ormai ostile ai giovani, a quella opulenta gerontocrazia che la domina. Se la città non attrae più, come una volta, un ceto di giovani, creativi e dirigenti, la colpa non è della violenza montante, ma della fine di una borghesia imprenditoriale che guardava lontano; al suo posto ora c’è poco più che un ceto dedito a piccoli commerci, che non lascerà alcuna eredità, morale o materiale, alla città.

Per Letizia Moratti il problema sono le sopraffazioni degli immigrati irregolari, che esistono, ma sono solo uno spicchio della mela. Il sindaco non vede, infatti, le sopraffazioni e gli autentici reati di cui tutti gli immigrati sono ogni giorno vittima, per mano di rego-larissimi cittadini italiani: dalle code inumane per ogni tipo di autorizzazione, magari elargita solo dietro compenso da chi è tenuto a darla, alle soper-chierie subite da chi paga cifre folli per miseri posti-letto, o dai tanti che lavorano in nero, sottoposti a ogni ricatto. Fino ai casi limite del quasi pogrom di Opera o di persone uccise o ferite gravemente da chi le fa lavorare e oggi è libero.

Chi delinque vada in galera: tutti però. E ci si ricordi che ognuno, salvo eccezioni equamente distribuite, preferisce una vita decente nella legalità, ad una vissuta sul filo del pericolo e del crimine. A meno di pensare che "gli altri" siano costitutivamente diversi, e malvagi: attenti a non svegliare la bestia dormiente. Se poi il sindaco cerca idee nuove, vada a Monaco o a Barcellona, non a Lamezia. E se davvero vuol parlare per la città tutta, è meglio che cambi spartito.

Giustizia: Cacciari; a Milano subito rinforzi, io li chiedo da 14 anni

 

Corriere della Sera, 13 marzo 2007

 

È stato sindaco dal 1993 al 2000, quindi dal 2005 a tutt’oggi. Da dieci governi sì è sentito rispondere "niet" a più uomini e più fondi per la sicurezza della sua città. Tre di questi erano targati Berlusconi (con Maroni e Pisanu al Viminale). Eppure non ha "mai" pensato di portare in piazza (come poi ha fatto contro l’ultima Finanziaria) la sua protesta. Dopo le "minacce" della collega Moratti e gli "immediati e positivi riscontri presso il governo" il primo cittadino di Venezia Massimo Cacciari (Margherita) però la butta là: "Vorrà dire che al prossimo "no" farò la stessa cosa".

 

Scusi, sindaco, come?

"Sì, alla prossima occasione, invece di aprire tavoli di confronto con commercianti, esercenti, comitati vari per individuare risposte adeguate e concertate ai problemi dell’ordine pubblico, li inviterò a organizzare proteste di piazza, e parteciperò con tanto di

fascia tricolore".

 

Quindi la sua è una conversione al metodo - Moratti?

"Ma c’è bisogno di dire che la mia è pura ironia? Io penso che la Moratti si dovrebbe vergognare. Non ci sono solo la piazza e i salotti tv per farsi ascoltare. Il compito di un sindaco non è quello di accendere la piazza ma di scegliere la strada istituzionale".

 

Anche davanti a un’emergenza inascoltata? Amato ha detto che i 110 agenti in più a Milano erano previsti dallo scorso autunno.

"Senta, ogni giorno io, così come i sindaci Chiamparino, Cofferati e Russo Iervolino, chiediamo le stesse cose della Moratti. E ripetutamente, come lei, ci sentiamo dire "no". Ma mai abbiamo pensato alla piazza".

 

Forse perché tutti siete legati al governo dallo stesso colore?

"Ho incassato "no" di tutti i colori evitando sempre ogni demagogica esternazione, anche e soprattutto con il precedente governo. Sì, insomma: non ho mai pensato di scendere in piazza neppure contro Pisanu".

 

Un esempio di "no"?

"Giusto per stare sulla notizia, il Tronchetto: dieci anni fa il Comune aveva predisposto dei locali blindati per ospitare un nucleo interforze, tutto è naufragato per mancanza di forze dell’ordine".

 

Dieci anni fa a capo del Viminale c’era Napolitano. Un esempio di "no" di centrodestra?

"E allora prendiamo la Biennale: richiama a Venezia centinaia di migliaia di persone e un esercito di borseggiatori. Con il prefetto chiediamo, ma la risposta è sempre "no". E i turisti? Venti milioni in un anno. Io mi chiedo...".

 

Che cosa?

"Ma deve arrivare la Moratti, con questa stupidata, a far svegliare Amato e la stampa? I problemi ci sono e non saranno 100 o 500 uomini in più a risolverli. È evidente che ci sono questioni di strategia, di maggior coordinamento nazionale, di raccordo tra vigili e forze dell’ordine. Ma la soluzione non passa dalla piazza".

Saluzzo: Sergio Dalmasso (Rc) sulla situazione del carcere

 

PMnet, 13 marzo 2007

 

Una delegazione del Partito della Rifondazione comunista, formata dalla senatrice Daniela Alfonzi, dai consiglieri regionali Sergio Dalmasso e Juri Bossuto, dal funzionario del Gruppo consiliare Roberto Moretto e da Edgardo Filippi della L.I.D.A. (Lega Italiana Diritti Animali) ha visitato, ieri lunedì 5 marzo l’istituto penitenziario di Saluzzo.

La struttura è aperta dal 1992 ed ha sostituito la vecchia "Castiglia" ubicata nel centro storico della cittadina; la capienza regolamentare per i detenuti è di 187, ma il carcere ne ha praticamente sempre contenuti il doppio - nel corso delle nostre precedenti visite la popolazione detenuta oscillava tra i 300 e i 360 - ora, dopo l’indulto i numeri sono molto più vicini al previsto: ieri erano 220. Dobbiamo dire che la differenza si vede: con questi numeri più "umani" è molto più facile, per l’Amministrazione penitenziaria, fornire quelle possibilità di reinserimento sociale che la Costituzione prevede.

Ben 20 detenuti godono dei benefici dell’art. 21 (lavoro esterno) della legge carceraria e quasi tutti sono impiegati presso gli enti locali del territorio. A tal proposito, un significativo indice della recettività del territorio è dato dal fatto innovativo che questi detenuti hanno a disposizione un alloggio esterno in cui possono trascorrere quei momenti di relazioni socio-affettive che il loro programma trattamentale gli consente.

La Polizia penitenziaria continua a versare in una situazione di organico sottodimensionato,soprattutto a causa dei distacchi in altri istituti, soprattutto del Sud Italia. L’area pedagogica ora, grazie anche ai due educatori a tempo determinato assunti grazie alla recente legge regionale, riesce ad adempiere ottimamente al suo mandato istituzionale; residua però il problema della sempre più necessaria stabilizzazione di questi lavoratori. Sarà anche compito di questa delegazione adoperarsi presso il Governo in tal senso.

È positiva, ed ora anche quasi sufficiente rispetto all’attuale domanda, la presenza di corsi scolastici e di formazione professionale. Sono attivati corsi di alfabetizzazione (licenza elementare) frequentato in particolare da immigrati, ma anche da alcuni italiani; la formazione professionale propone due corsi biennali di falegnameria e per cuochi, uno (annuale) in florovivaistica - ed è interessante l’interazione di questo corso e di quello per cuochi con Slowfood - e vi è anche un corso in legatoria.

È in funzione un laboratorio artistico di mosaico. Esiste uno storico giornalino interno che, alcune volte all’anno, esce come supplemento al "Corriere di Saluzzo". Da quasi un anno inoltre, la TV a circuito chiuso, oltre alla programmazione cinematografica, produce un TG interno multilingue che ha suscitato un grande interesse del mondo dei mass media italiana e estera (BBC). Molto apprezzata all’esterno l’attività teatrale che tutti gli anni apre al mondo esterno le porte del carcere con suo spettacolo autoprodotto.

Alquanto deficitari sono invece i collegamenti dei servizi pubblici con la città di Saluzzo. Tra i pochi impegni assunti nella campagna elettorale del 2005 (regionali), il maggiore era stato quello di visitare, se eletto, tutte le carceri piemontesi. Ho terminato il giro nel primo anno di mandato e ora ho iniziato il secondo.

La differenza: l’alleggerimento prodotto dal tanto discusso indulto del luglio scorso. La situazione resta pesantissima, colma di enormi problemi sociali e materiali. La struttura delle carceri è vecchia e spesso cadente, anche alcune recenti presentano problemi enormi; non a caso, pochi decenni fa vi fu lo scandalo delle carceri d’oro (speculazioni, costi aumentati, a danno della qualità e delle condizioni di vita dei detenuti, appalti...). Le stesse norme nazionali sugli spazi, sulla metratura delle celle, sui servizi igienici non sono quasi mai applicate.

La continua penuria di fondi rende difficili anche i lavori ordinari, quelli di semplice manutenzione. Il rapporto con la realtà esterna è spesso difficile. Gli operatori, le associazioni di volontariato, tutti i gruppi che operano su questa realtà si impegnano al massimo, ma il muro carcere/società, istituzione totale/città continua a vivere, soprattutto nella mentalità comune, nei comportamenti, spesso anche nella scarsa attenzione di forze politiche ed amministrazioni locali.

La realtà piemontese presenta situazioni differenziate: carceri per detenuti con condanne brevi (massimo tre o cinque anni) quali Fossano e Verbania, quindi con condizioni e rapporti migliori rispetto alla media, realtà con problemi strutturali pesanti (Ivrea), altre con attività interne, ma un sovraffollamento gravissimo (Torino), altre ancora con la realtà specifica di sezioni soggette all’articolo 41 bis (quello nato negli anni di piombo) con rigida limitazione di ogni forma di contatto esterno (visite, aria…).

Ogni realtà presenta problemi specifici anche per i problemi della polizia carceraria che abbiamo imparato a conoscere meglio in questi mesi: carenza di organici, lontananza degli agenti da casa, difficoltà di inserimento nel nuovo ambiente e di trovare abitazione, contratti di lavoro spesso scaduti da anni. Il nostro convegno vuole iniziare a ragionare su questi temi, ma soprattutto sulla progressiva trasformazione della realtà carceraria nel corso degli ultimi decenni.

Ovvia la trasformazione della tipologia media dei detenuti: i carcerati degli anni ‘40 e ‘50 (disoccupati, ladri, alcolizzati, mendicanti…) vengono progressivamente sostituiti da immigrati dal meridione e da fenomeni legati ai processi di inurbamento. Gli anni ‘70 vedono una maggiore presenza di una dimensione politica, legata agli "anni di piombo". Tra i ‘70 e gli ‘80 il fenomeno della tossicodipendenza ha un riflesso pesante anche sulla realtà carceraria. Negli anni ‘80 si hanno prima la legge sulla depenalizzazione dei reati minori, poi la legge Gozzini che apre a misure alternative alla detenzione (semilibertà, affidamento in prova). La realtà attuale, almeno pre-indulto, vede almeno un terzo di detenuti immigrati da paesi poveri, un terzo detenuto per tossicodipendenza.

È ovvio che solo una modificazione di leggi può invertire la tendenza ad una società che fa sempre più ricorso alla detenzione (cosa chiesta da parte consistente dell’opinione pubblica), che il carcere deve entrare veramente "nell’agenda politica" non come tema secondario, che anche i nostri iscritti debbano coglierne l’importanza.

Proposte elementari debbono essere presentate sulla sanità carceraria, sulle forme di contatto con la città (dagli autobus, alle biblioteche, agli spettacoli), sul lavoro (tema centrale e ineludibile, da quello interno a quello esterno), sui temi specifici relativi agli immigrati (lingua, contatti con la famiglia…), soprattutto sul dopo carcere (accoglienza, avviamento al lavoro) per impedire le ricadute. Per questo ci è indispensabile la presenza di operatori, educatori, direttori, agenti di polizia, (ex) detenuti.

Il pianeta carcere è spesso sconosciuto, spesso frammentato in isole incomunicanti, spesso volutamente ignorato. Il lavoro dei consiglieri e dei parlamentari è piccola parte di quanto si può mettere in campo, ma può sommarsi ad un impegno quotidiano e spesso poco conosciuto di migliaia e migliaia di uomini e donne che a questo hanno dedicato il proprio tempo e le proprie energie. Al convegno parteciperanno, oltre a me, il consigliere regionale Bossuto, la senatrice Alfonzi.

 

Sergio Dalmasso

Consigliere Regionale Rifondazione Comunista

Lazio: lettera del Sindacato Sumai sulla medicina penitenziaria

 

Il Bisturi, 13 marzo 2007

 

"È necessario che i detenuti possano godere dell’assistenza dei medici di medicina generale, degli psicologi, che già lavorano nelle strutture deputate, e degli specialisti necessari". "La medicina del territorio è pronta a fare la sua parte ma è molto importante che sia la Regione a dare un segnale forte". È quanto afferma Roberto Lala, segretario nazionale del Sumai, in una lettera aperta indirizzata a Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio, e a tutta la Giunta, in occasione della discussione della proposta di legge regionale sugli interventi a favore dei diritti della popolazione detenuta.

 

Roma, lì 13 marzo 2007

Al Presidente della Giunta Regionale del Lazio

Oggetto: proposta Legge Regionale n. 11 del 28.06.2005

 

Egregio Signor Presidente, martedì 14 marzo la Giunta discuterà la proposta di legge regionale sugli interventi a favore dei diritti della popolazione detenuta. Sono persuaso che all’interno di tali diritti ci sia quello di godere della tutela del bene salute. Oggi, sia chi in carcere lavora sia chi sconta la sua pena, vive su questo fronte una situazione drammatica. Il decreto legislativo che avrebbe dovuto trasferire al ministero della Salute e quindi al sistema sanitario nazionale le competenze sulla salute dei detenuti è solo in parte applicato. Si è creato un vuoto, solo in parte colmato da leggi regionali studiate ad hoc, come è già accaduto in Emilia Romagna, in Toscana e in Campania. Con la proposta in discussione domani, anche il Lazio dovrebbe adeguarsi al trend positivo permettendo al personale sanitario di passare dalle competenze del ministero di Giustizia a quelle del ministero della Salute.

Chi è in carcere non ha perduto i diritti di cittadinanza che assicurano l’erogazione delle prestazioni di cura, prevenzione, riabilitazione e diagnosi sulla base degli obiettivi generali e dei livelli essenziali di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale e in quelli regionali. Obiettivi ambiziosi da raggiungere al di fuori degli istituti di detenzione e tanto più difficili da realizzarsi in situazioni particolari come gli istituti di detenzione.

Tuttavia la civiltà di un paese si misura anche dalla capacità che ha di affrontare le questioni più complesse e nell’impegno che esercita per garantire salute a quanti sono in condizioni di oggettivo svantaggio. È necessario, a mio modesto avviso, che i detenuti possano godere dell’assistenza dei medici di medicina generale, degli psicologi, che già lavorano nelle strutture deputate, e degli specialisti necessari. Le cure dentistiche, le visite cardiologiche e oculistiche, l’assistenza a chi deve liberarsi dalla tossicodipendenza, le cure complesse di cui necessitano i malati di Aids - che in carcere restano nonostante una legge ne preveda il ricovero a casa o presso strutture specializzate - possono essere erogate senza dover trasformare gli istituti penitenziari in ospedali.

La medicina del territorio è disponibile ad affrontare anche questa difficile sfida, se le istituzioni si aprono e collaborano. In un momento così difficile per la sanità della regione Lazio in cui è stato varato un complesso piano per il rientro della spesa è necessario dare un segnale forte, anche ai più deboli tra i cittadini, perché sentano che il doveroso risparmio economico non si traduce nell’abbandono delle cure e dell’assistenza - primo dovere di ogni sistema sanitario che si rispetti - ma solo in una razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse disponibili.

In qualità di segretario Regionale Lazio del Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana e professionalità dell’area sanitaria (Sumai Assoprof) credo che, in questo momento, sia mio dovere morale e deontologico prendere la parola in favore di chi non può parlare per garantire loro il nostro impegno a salvaguardia delle loro condizioni di salute e perché possano, nei tempi più brevi possibili, godere di tutta l’assistenza cui hanno diritto. A nome della categoria che rappresento e che vede al suo interno medici specialisti, biologi, psicologi e medici generici, tutti quanti già impegnati al lavoro nel sistema penitenziario, le chiedo di spendersi per l’approvazione della legge regionale e per la sua attuazione.

 

Roberto Lala

Terni: l’importanza dell’arteterapia in carcere

di Francesco dell’Aira, direttore della Casa Circondariale di Terni

 

Corriere dell’Umbria, 13 marzo 2007

 

Francesco dell’Aira è il Direttore della Casa Circondariale di Vocabolo Sabbione a Terni, direttore che non trascura di utilizzare tutte le categorie moderne dei concetti di pena e recupero in sintonia con un progettare che fa della psicologia, dello scandaglio dell’anima, uno dei maggiori perni su cui basare un rimpossessarsi a pieno titolo di una piena cittadinanza. Ospitiamo in questa pagina stralci di un suo intervento dal titolo "Le ferite dell’anima" al Terzo Corso di arteterapia che si è svolto alla Cittadella di Assisi nei giorni compresi tra il 16 e il 18 febbraio scorsi.

"L’evoluzione del concetto di pena e del carcere, da momento custodiale e di esclusione a momento di recupero e reinserimento, trova oggi sempre maggiore impulso attraverso la ricerca di più efficaci iniziative che offrano ai detenuti opportunità trattamentali di crescita personale e di recupero che accorcino la distanza fra accrescimento culturale ed esperienza professionale. In tale ambito significative le strategie di art-counseling: esplorare emozioni, atteggiamenti, comportamenti, raccontare e raccontarsi attraverso l’uso di attività artistico espressive che trovano concretezza nelle iniziative di: decorazione delle pareti, decorazioni su vetri, laboratorio di ceramica, fotografia, animazione teatrale e, più di recente musica.

L’utilizzo di linguaggi quali il disegno, il colore, la pittura, ma anche i suoni, l’espressione corporea, può facilitare nel detenuto la canalizzazione della propria energia al meglio per se stessi e, per se stessi, nel rapporto con gli altri e con l’ambiente. l’arte funge da "neg/oziatore": l’arte che nega l’ozio e diventa facilitatore di possibile cambiamento. D’altronde non è forse una situazione di "ozio" quotidiano quello che colora maggiormente la detenzione?

In definitiva un’esecuzione penale capace di guardare essenzialmente all’uomo che prova a coniugare le ragioni di sicurezza con quelle della revisione critica delle ragioni che hanno determinato la devianza. Che trova le risorse e gli stimoli affinché la pena non si traduca in una inedia che la rende inidonea e forse ancor più deleteria per l’animo del condannato costretto a regredire in una condizione di infantilismo e che abbia rispetto dell’armonizzazione dei percorsi di uscita anche attraverso la rete di sostegno post penitenziario.

 

L’arteterapia in ambiente penitenziario

 

L’arteterapia utilizza i materiali, le tecniche ed i criteri di decodifica dell’arte visuale. È finalizzata alla migliore individuazione e gestione del mondo emozionale della persona, con particolare attenzione alle problematiche del disagio psicologico e sociale e può avere finalità preventive, riabilitative e terapeutiche rivolte, fino ad oggi, a differenti utenze, specialmente nelle dipendenze, nelle condotte trasgressive, nei disturbi alimentari, nell’area del benessere.

In particolare l’attenzione non è rivolta all’interpretazione psicologica delle opere o all’addestramento artistico ma alla decodifica del linguaggio grafico-plastico come specchio delle vicende interne e relazionali dell’utente. La messa in forma visiva, che si sostituisce al linguaggio parlato e scritto, permette la visibilità dei desideri, dei traumi, delle aspirazioni delle inquietudini e dei problemi che altrimenti rimarrebbero sopiti e non compresi. Semplicemente il malessere può essere gestito attraverso un lavoro introspettivo e cognitivo.

L’approccio nel complesso mondo penitenziario dove sono concentrate variegate forme del disagio può farsi risalire, in termini scientifici ed organici, nel progetto L’arteterapia come attività sperimentale riabilitativa e preventiva di tossicodipendenti in regime di reclusione che si è sviluppato dal 2000 al 2002 presso gli istituti di Viterbo e di Padova. Nasce dalla collaborazione con la società italiana di medicina e sanità penitenziaria, con i servizi per le tossicodipendenze delle due città e con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

L’itinerario emotivo/affettivo ha consentito una iniziale elaborazione di alcuni vissuti interni "sospesi" dall’esperienza detentiva. Si è osservata una riduzione degli atti di autolesionismo e del consumo di psicofarmaci tra i partecipanti al progetto . È emerso come l’esperienza dell’arteterapia inserita nello specifico progetto è stata di supporto al detenuto tossicodipendente, mettendolo in condizione di confrontarsi attraverso il medium artistico. Nel confronto con i propri vissuti di passività e di dipendenza (dalla famiglia, dalla sostanza, dagli operatori, dalle istituzioni) la facoltà di sentirsi artefice di questa esperienza riflette sicuramente una condizione diversa e più avanzata.

L’arte può entrare nella nostra vita come la chiave che finalmente apre porte che sembravano irreversibilmente chiuse. L’opera realizzata e firmata per reclamare la propria identità, diventa lo strumento per appropriarsi della propria vita, di una quotidianità non più subita ma scelta e ritrovata.

Di pari importanza gli aspetti positivi che sono stati rilevati in corrispondenza degli operatori penitenziari, attori/spettatori coinvolti nel progetto i quali, superando il disagio e la diffidenza iniziali hanno poi scoperto la " buona prassi" del progetto trattamentale.

Le tecniche di arteterapia appaiono proficue perché qualificano il tempo pena come tempo di vita con conseguenti ricadute positive sulla gestione del contenimento;sono di facile applicazione e possono essere utilizzate a favore di qualsiasi soggetto e prescindere dalla cultura, dallo status sociale,dalla provenienza (anche extracomunitari che non comprendono bene la lingua);hanno costi economici contenuti;possono essere valutate e monitorate con opportune metodologie di rating scale; possono essere diffuse in moltissime realtà penitenziarie.

In tal modo convalidando una prospettiva di lavoro nell’area trattamentale che mira a far acquisire nuovi strumenti espressivi per veicolare emozioni, convinzioni ed azioni attraverso canali socialmente accettati e normalizzanti. Sinteticamente i risultati osservati al termine della sperimentazione evidenziano significatività rispetto alla gestione del danaro, alla capacità di essere diplomatici, agli interessi sociali, all’iniziativa sociale, al miglioramento dei contatti di gruppo, alla soddisfazione del contatto, alla comprensione delle necessità altrui ed alla soddisfazione alle relazioni sociali.

Gli organi di informazione, presenti al convegno conclusivo, titolano: "con la terapia artistica i suicidi calano del 20% (Gazzetta del mezzogiorno, 5.12.2002), "colori per dimenticare il tempo della droga" (il Mattino di Padova, 5.12.2002).

 

L’arteterapia nella Casa circondariale di Terni

 

La peculiarità dell’esperienza ternana è frutto di una serie di positività che si sono mirabilmente miscelate tra loro per giungere, quasi naturalmente, a risultati che non erano chiaramente programmati ma che si sono resi visibili giorno dopo giorno. Lo splendido panorama che ci meraviglia al dissolversi della nebbia.

Ci si è confrontati così su alcune riflessioni sulla personalità umana che è caratterizzata da una qualità peculiare ed unica, la creatività, la capacità di vedere ciò che non esiste ancora, di immaginare soluzioni nuove combinando conoscenze acquisite, di miscelare elementi conosciuti creandone di nuovi: l’evoluzione dell’uomo deve tutto a questa caratteristica.

Da qui l’intento di far uscire le menti dall’ozio, che produce scambi di pensiero quasi sempre intorno agli stessi avvenimenti, anche attraverso la promozione di attività artistiche, troppo spesso percepite con significati non sempre positivi e di cui difficilmente se ne intravedono i benèfici effetti, trattate invece come "vie" o "strumenti" che possono favorire libertà di espressione, creatività, consapevolezza delle proprie potenzialità.

Da qui anche l’idea di coniugare insieme arte, lavoro, cultura. Apparentemente un compito difficile, se portato avanti con rigida programmazione scientifica, assolutamente naturale se inteso come gamma di comportamenti condivisi e ricostruiti. Le energie personali trovano una via di uscita che non è rivolta né contro se stessi, né contro gli altri o l’ambiente, il detenuto può più facilmente cominciare a "pensare" ad un progetto di vita per il "dopo pena", per il "fuori carcere", ovvero può cominciare a curare la propria progettualità dando alla stessa obiettivi meno distruttivi.

Non si può ambiziosamente parlare di risultati, ma questi si cominciano a delineare in modo chiaro attraverso una abbassamento del livello di conflittualità sociale, una riscoperta della dignità della persona, atteggiamenti più responsabili e meno manipolatori, reciproco rispetto dei ruoli.

Il valore aggiunto nel vedere rispuntare margini di soddisfazione e di crescita nei detenuti, l’appropriarsi di un ruolo trattamentale negli operatori. Condizione che si evidenzia attraverso la ricerca di una osmosi tra dentro e fuori in un indirizzo di massima apertura all’esterno per rendere sempre più intenso e strutturato il lavoro di rete con gli enti locali e le strutture pubbliche, con il privato sociale e con il volontariato.

Visibilità di tutto ciò nel dono alla città di un’opera collocata al Palazzo di primavera e realizzata dai detenuti che frequentano il corso di ceramica, ispirata all’Adorazione dei Magi di Giotto. Un secondo contributo con l’inaugurazione di una scultura in ferro progettata e realizzata dai detenuti impiegati nell’officina fabbri, dal titolo dentro e fuori posta in un’area verde del quartiere di San Valentino. Terza iniziativa la Mostra dal titolo forme e colori del silenzio inaugurata dal ministro della giustizia il 31 ottobre scorso.

In definitiva quindi un percorso che all’inizio è stato più intuitivo che programmato, che certamente si è calibrato sulle esperienze di altre realtà, ma che si è sviluppato e si è poi caratterizzato in modo da dare la più ampia significatività al precetto costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione ne che si racchiude nel messaggio che accoglie tutti sulla porta di ingresso dell’istituto "Chi salva un uomo salva il mondo ed anche se stesso".

Volterra: quando i detenuti diventano chef per solidarietà

 

Toscana In, 13 febbraio 2007

 

Galeotte sì, ma per solidarietà. Parte al Maschio la seconda edizione delle cene preparate dai detenuti cuochi. In tutto quattro appuntamenti a tavola, con temi specifici (selvaggina, pesce, cucina vegetariana, carni); il ricavato sarà destinato ad adozioni a distanza.

Una nuova formula gastronomica rispetto alla prima edizione: l’anno scorso in un ciclo di otto cene nella chiesa sconsacrata della fortezza medicea che ospita la casa circondariale furono passati in rassegna i sapori tipici dei paesi di origine dei detenuti. Un percorso attraverso la cucina del Nordafrica fino alla Sicilia, alla Sardegna e alla tradizione napoletana, culminato con un’ultima cena all’aperto, nel cortile esterno del Maschio, dove i detenuti cuochi e camerieri (molti dei quali anche attori della Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo) raccontavano origine e preparazione dei cibi serviti in uno stile da monologo teatrale.

Quest’anno i detenuti cuochi prepareranno, nella cucina industriale al piano terra del carcere, piatti più tradizionali, caratteristici della migliore tradizione toscana. Mentre i detenuti camerieri serviranno ai tavoli e i detenuti sommelier consiglieranno i commensali sull’abbinamento dei vini.

Ma le novità delle quattro cene galeotte edizione 2007 (anche queste si svolgeranno nello spazio dell’ex chiesa) non sono nella composizione del menù. Il tratto distintivo di quest’anno è lo sfondo sociale del progetto. Tra cuochi, maitre di sala, camerieri e sommelier, i detenuti mobilitati per le cene saranno 27 (erano 18 l’anno scorso, due dei quali, grazie al corso di formazione frequentato in carcere, hanno trovato lavoro come maitre e pizzaiolo in due locali volterrani). E si adopereranno, ciascuno, per mettere a tavola ogni volta circa ottanta persone; il ricavato delle cene (quota di partecipazione 25 euro) servirà a finanziare adozioni a distanza di bambini nei paesi del sud del mondo, attraverso Unicoop Firenze, nuovo partner del progetto.

Per Maria Grazia Giampiccolo, direttrice del carcere e artefice con la condotta volterrana di Slow Food della prima edizione delle cene galeotte, "la continuazione del progetto con il protocollo Unicoop è una cosa bellissima. Considero straordinario il fatto che dei bambini vengano adottati dai detenuti, che questi ultimi si impegnino in un aiuto sociale quando di solito sono destinatari di progetti a sfondo sociale".

Quest’anno, nel gruppo dei promotori organizzatori dell’iniziativa, accanto alla direzione del carcere, a Slow Food Volterra e a Unicoop che fornirà gli alimenti, c’è anche la Fisar, i cui sommelier professionisti affiancheranno quelli "cresciuti" con in corsi in carcere.

Tutti insieme per raggiungere un doppio risultato: gusto e solidarietà. La prima cena galeotta è in programma per il 23 marzo e sarà a base di selvaggina (il ricavato andrà al movimento Shalom per il Burkina Faso e alla diocesi di Fiesole per un progetto in Palestina). Cena a base di pesce il 13 aprile; i proventi andranno al movimento dei Focolari per un progetto in Camerun e all’Arci per il Libano. A seguire il 18 maggio: chi parteciperà alla cena vegetariana finanzierà un progetto delle suore francescane di Santa Elisabetta per la solidarietà in India e all’Arci per un progetto nelle Filippine. Gran finale il 21 giugno: cena con piatti di carne per i progetti Agata Smeralda in Brasile e Arci in Perù. Tutti inseriti nel contesto della campagna di solidarietà "Un cuore si scioglie" di Unicoop Firenze. Prenotare è semplice: basta telefonare al supermercato Coop di Volterra o all’agenzia toscana turismo Argonauta Viaggi (tel. 055.2342777).

Roma: domani a Regina Coeli anteprima del film "Il lupo"

 

Roma One, 13 marzo 2007

 

Dopo l’anteprima stampa di mercoledì de "Il lupo", film di Stefano Calvagna sulla storia del killer Luciano Liboni, a vedere la pellicola che uscirà il 23 marzo saranno per primi, sabato prossimo, i detenuti del carcere romani di Regina Coeli. Un’iniziativa, questa, voluta dallo stesso regista che, accogliendo l’interesse di alcuni detenuti per il personaggio di Liboni, ha avuto il placet da parte del direttore del carcere Mauro Mariani.

"Ho fatto questa richiesta e il direttore è stato molto contento - spiega Calvagna - ma ha voluto che prima delle proiezione tenessi un discorso per spiegare come alla fine il crimine non paga". In realtà già l’anno scorso ci fu un’operazione simile per "Romanzo Criminale", ma questa volta, ci tiene a dire Calvagna, "sarà un’anteprima assoluta. I detenuti lo vedranno prima del pubblico".

Tra le curiosità de "Il lupo" - con Massimo Bonetti, Enrico Montesano, Maurizio Mattioli, Antonella Ponziani, Mirco Petrini e Claudio Angelini, liberamente ispirato alla storia di Luciano Liboni - il fatto che nel 2004, spiega il regista, "lo stesso Liboni passò sul set del mio film "L’uomo spezzato". L’ho visto ma non ho realizzato subito chi fosse. Stavamo girando, mi fece: "Scusi, se mi metto qui do fastidio", e si fermò. Dieci giorni più tardi - conclude - fu ucciso. Da quel momento mi sono dedicato alla sua storia e alla sua latitanza".

Sanremo: giovedì uno spettacolo teatrale fatto dai detenuti

 

Secolo XIX, 13 marzo 2007

 

Giovedì alle 14, presso la casa circondariale di Valle Armea a Sanremo, si svolgerà lo spettacolo di teatro "Realtà o finzione nei manicomi? Come dare le perle ai porci", realizzato dalla compagnia di teatro "Brigante", dei detenuti dell’istituto, diretta da Davide Barella dell’Orlando dissennato.

Lo spettacolo, che conclude il quinto anno di corso di teatro con finalità terapeutiche e l’anno scolastico 2006/2007, vede la partecipazione di nove (sette italiani, uno spagnolo e uno sloveno) detenuti-attori che si sono cimentati nella scrittura, nello studio e nella tecnica teatrale per una creazione originale, a tratti irresistibile, molto sentita e molto personale. A differenza di altre occasioni, questa volta gli attori hanno creato un continuo laboratorio aperto di idee, traducendole in modo molto propositivo al regista che, occupandosi prevalentemente dell’aspetto drammaturgico, ha lasciato libero sfogo alla creatività e alla fantasia degli allievi.

I nove attori (divenuti anche scenografi, attraverso il corso di disegno) interpretano il sequel dello spettacolo dell’anno passato, il riuscito "Carnevalera, el circo dei mat", muovendo i loro personaggi fra gli angusti locali di un manicomio. Il regno dei matti si anima di megalomani imperatori, pervertiti, sensibili poeti, schizofrenici mutilati con gemelli immaginari, silenziosi bestioni, maniaci della pulizia e salutisti ossessionati, sotto il controllo totale di infermieri/padroni, ruffiani asserviti al luminare di turno. Lo spettacolo, mix di demenzialità e riflessione a ritmo vertiginoso, si colloca all’interno di un percorso molto articolato di drammaturgia della detenzione che è iniziato nel 2002.

Parma: incontro con Manconi "Per un buon uso dell’indulto"

 

Comunicato stampa, 13 marzo 2007

 

A Parma ieri si è svolto un dibattito pubblico "Per un buon uso dell’indulto". È intervenuto il Sottosegretario di Stato al Ministero della giustizia prof. Luigi Manconi che ha illustrato l’iter parlamentare della Legge 241/2006 ed ha messo in risalto come l’indulto è venuto incontro ad una emergenza penitenziaria con un sovraffollamento negli istituti penitenziari di oltre 61.000 detenuti.

Lo stesso Sottosegretario ha illustrato i contenuti della ricerca operata dall’Università di Torino sulla recidiva degli "indultati": la media nazionale si attesta poco sopra l’1.1%, di gran lunga inferiore alla recidiva della restante popolazione detenuta che non ha fruito di provvedimenti demenziali, la percentuale in questi casi si attesta intorno al 68%. Con la riduzione di 20.000 detenuti nelle carceri italiane, ha proseguito il prof Manconi, si potranno avviare gii istituti della riforma penitenziaria.

È intervenuto nel dibattito il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Regione Emilia Romagna Dott. Nello Cesari, che ha illustrato il progetto I.N.D.U.L.T.O. presentato dal suo ufficio. Progetto che ha avuto, addirittura, il raddoppio delle borse lavoro dalle 57 previste in origine alle 106 finanziate, per un importo che è passato da € 166.474,00 agli attuali € 319.000,00, da parte della Cassa delle ammende.

Predisposto nel giro di 10 gg. attraverso l’attivazione dei Comitati locali per l’Area dell’esecuzione penale adulti istituiti in ogni Provincia, il progetto ha avuto l’approvazione ed il riconoscimento da parte del Consiglio d’amministrazione della Cassa delle ammende.

Hanno aderito al progetto, oltre Comune e Provincia, componenti dei Comitati provinciali per l’Area dell’esecuzione penale adulti, anche numerosi altri partner del mondo della cooperazione del private sociale che concorrono con le loro risorse umane e finanziarie al concreto reinserimento dei detenuti nelle attività produttive. Viene invece erogare dall’Amministrazione penitenziaria l’importo di € 500,00 lordi mensili. L’obiettivo del progetto è quello del reinserimento effettivo dei detenuti nel mondo del lavoro, come è già avvenuto in più di qualche caso. La dott.ssa Tiziana Mozzoni, Assessore alle politiche sociali e sanitarie della provincia dì Panna, ha diretto e coordinato il dibattito che ha visto la partecipazione di numerosi cittadini alla discussione.

 

Il Provveditore Regionale

dell’Amministrazione Penitenziaria

Napoli: una Casa di accoglienza per i minori scarcerati

 

Apcom, 13 marzo 2007

 

A Napoli una casa di accoglienza per i minori che hanno scontato la propria pena, ma che ancora non sono riusciti a inserirsi nella società. È l’iniziativa alla quale sta lavorando l’arcivescovo del capoluogo campano, Crescenzio Sepe. Il cardinale ne ha parlato con i giornalisti a margine della sua visita al carcere minorile di Nisida, a Napoli.

"Ho individuato un posto, poco lontano dal centro, dove accogliere i giovani una volta che hanno terminato la pena - ha detto Sepe - Li accoglieremo in un centro dove continuino a fare formazione, a compiere arti e mestieri intanto che si riesca a inserirli nella società".

Il presule, elogiando i lavori manuali realizzati dai ragazzi detenuti, il corso di musica, quello teatrale e il nuovo laboratorio per l’informatica, ha dichiarato: "Questi giovani si sentono valorizzati e quando usciranno non si sentiranno estranei dal resto della società". Sepe ha poi ricordato un accordo stipulato con gli istituti penitenziari napoletani di Poggioreale e Secondigliano che rendere possibile "trovare una casa dove accogliere uomini e donne, che hanno terminato la pena e che ancora non si sono inseriti nella società". Un’iniziativa che adesso si estende anche ai minori.

Bologna: assessore istruzione visita l'Istituto penale minorile

 

Adnkronos, 13 marzo 2007

 

L’assessore all’Istruzione, Formazione, Lavoro della Provincia di Bologna, Paolo Rebaudengo, accompagnerà mercoledì mattina il direttore generale dell’ufficio Scolastico regionale Luigi Catalano e il dirigente dell’ufficio Scolastico provinciale Paolo Marcheselli a visitare l’Istituto Penale Minorile P. Siciliani di via del Pratello. A riceverli saranno il dirigente del dipartimento per la Giustizia Minorile Emilia Romagna Giuseppe Centomani e la direttrice dell’Istituto penale per minorenni Paola Ziccone.

Savona: senatrice Haidi Giuliani chiede lavoro per i detenuti

 

Secolo XIX, 13 marzo 2007

 

Ieri una delegazione di Rifondazione Comunista capitanata dalla senatrice Haidi Giuliani più i savonesi Giorgio Barisone e Milva Pastorino è stata in visita al Sant’Agostino. "La prima notizia è positiva: i detenuti per fortuna non sono troppi - ha detto Haidi Giuliani - Al momento sono 47, un numero appena superiore alla capienza ma non certo allarmante.

E c’è anche una seconda notizia positiva: presto una parte di loro potranno lavorare. Il carcere ha infatti dismesso il contratto con la ditta che fa le pulizie e farà svolgere il servizio ad alcuni detenuti che così potranno darsi da fare e aiutare le famiglie a casa. Il problema che resta, ed è grave, è invece quello della struttura antiquata e fatiscente"

Immigrazione: il ddl di riforma presto in Consiglio dei ministri

 

Stranieri in Italia, 13 marzo 2007

 

Il disegno di legge delega per la riforma dell’immigrazione preparato dai ministri Amato e Ferrero è pronto e dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana. Un unico lungo articolo, che impegna il governo a varare entro 12 mesi un decreto legislativo che modifichi il Testo Unico, raccoglie tutte le novità anticipate negli scorsi mesi.

La programmazione dei flussi diventerà triennale, con aggiustamenti annuali in base alle esigenze del mercato del lavoro e un occhio di riguardo per colf e badanti che potranno sfondare il tetto numerico fissato dal governo se ci sono più richieste da parte dei datori di lavoro. Canali preferenziali, con ingressi al di fuori delle quote, sono previsti anche per lavoratori specializzati, studiosi e manager.

Presso le nostre ambasciate all’estero verranno create liste di collocamento nelle quali si guadagneranno posizioni in base al grado di conoscenza della lingua italiana e alla frequenza di corsi di formazione. Parallelamente, tornerà anche lo sponsor, che potrà garantire economicamente per far entrare in Italia chi vuole cercare lavoro: un ruolo che potrà esser ricoperto da associazioni datoriali, sindacati ed enti locali, ma anche da privati cittadini o dallo straniero stesso (auto - sponsorizzazione).

Il ddl riconosce anche l’elettorato attivo e passivo alle amministrative ai soggiornanti di lungo periodo, cioè ai cittadini stranieri che sono in Italia con un permesso di soggiorno da almeno cinque anni. Questi ultimi potrebbero anche accedere ai concorsi pubblici, venendo di fatto equiparati ai cittadini Ue.

Quanto ai Cpt, uno dei punti su cui è stato più difficile trovare un accordo all’interno della maggioranza, è prevista una diversificazione: strutture "aperte" per chi collabora all’identificazione e strutture "chiuse" per chi non si fa identificare, ma all’interno delle quali si potrà comunque rimanere per un periodo inferiore ai 60 gironi previsti oggi. I detenuti verranno invece identificati in carcere, senza passare per i Cpt.

Immigrazione: dalla riforma una nuova idea di cittadinanza

 

La Repubblica, 13 marzo 2007

 

Forse questo governo non arriverà a fine legislatura. Forse le priorità del "dodecalogo" prodiano sono altre. Ma la legge delega sull’immigrazione, che Giuliano Amato presenterà nei prossimi giorni in Consiglio dei Ministri, è un buon esercizio di "riformismo praticato", e non solo declamato, di cui questo centrosinistra avrebbe un gran bisogno.

Risorsa o minaccia? Sospeso in questo limbo sociologico e psicologico, l’immigrato in questi anni è stato uno dei principali fattori di polarizzazione politica nel Paese. La Bossi-Fini ha rappresentato il riflesso legislativo di un ciclo improntato alla logica dello "scontro di civiltà". Il provvedimento del ministro degli Interni sembra il riflesso culturale di una doppia, diversa volontà. La volontà del legislatore: uscire da una fase emergenziale che nella complessa combinazione tra la norma giuridica e la sua attuazione pratica ha spesso declinato la categoria dei diritti in forme vagamente xenofobe.

La volontà del riformista: recuperare i principi di legalità e sicurezza che spesso, nella dicotomia tra coesione/conflitto sociale, la sinistra ha colpevolmente sottovalutato.

Il recupero avviene sulla carne viva d’Europa, attraversata allo stesso modo dall’esodo migratorio non più solo da Sud a Nord, ma anche da Oriente a Occidente. Il modello assimilazionista francese bilancia la parificazione esplicita dei diritti e doveri con la neutralizzazione implicita delle appartenenze religiose e culturali.

Il modello multi-culturalista anglo-sassone coniuga l’integrazione con la difesa di "recinti etnici" in cui le singole comunità preservano le rispettive diversità religiose e culturali. Ciascuno dei due modelli, oggi, è in sofferenza. Il primo produce i roghi della banlieue parigina. Il secondo gli attentatori della metropolitana londinese. Il modello italiano ipotizzato dal Viminale sembra tentare una via mediana.

Al di là di ogni pregiudizio ideologico, la Bossi-Fini non ha dato i risultati che prometteva. Ha reso più difficile la vita per gli immigrati regolari, e non ha fermato l’arrivo degli immigrati clandestini. A monte, non ha funzionato la pianificazione degli ingressi. I decreti annuali sui flussi sono stati solo l’altra faccia dei condoni fiscali sui tributi. Le complicazioni burocratiche sui visti e le vessazioni procedurali sui permessi, invece che impedirla, hanno favorito l’irregolarità. Umiliando gli immigrati, tartassando i datori di lavoro, e spingendo l’intero sistema verso il sommerso.

A valle, non ha funzionato il meccanismo delle espulsioni. Nel 2005, secondo l’ultimo rapporto della Caritas, le persone destinatarie di una misura di espulsione sono state quasi 120 mila. Di queste, quelle effettivamente rimpatriate sono state solo il 45.3%. Gli altri sono i nuovi "invisibili" delle nostre metropoli. Quelli che nessuno identifica, nessuno controlla. Transitano tra le celle promiscue delle patrie galere e la terra di nessuno dei Cpt, ormai trasformati nella prosecuzione del carcere con altri mezzi. Poi si disperdono per i mille rivoli della miseria e della criminalità.

Per ciascuno di questi problemi, la legge delega azzarda una soluzione. Il decreto flussi diventa triennale, e questo consente più certezze a famiglie e imprese interessate all’impiego di manodopera straniera. Per colf e badanti, le categorie più richieste, si prevede finalmente la possibilità di ingresso anche al di fuori delle quote. Per i lavoratori in regola, si allunga la durata dei permessi di soggiorno. Per le imprese che li assumono, si snelliscono i carichi burocratici. Per le università e gli istituti di ricerca diventa possibile attivare canali sui visti per lavoratori e docenti altamente qualificati. Le espulsioni diventano più praticabili, attraverso la formula mutuata dal sistema francese del "rimpatrio volontario e assistito".

Sui Cpt Amato insegue un’ambizione. Chiudere i centri è impossibile, come pretende quella parte di sinistra radicale che parla a sproposito di "lager". Ma cambiarli radicalmente è doveroso, come impongono il senso civico e la cultura delle garanzie. La legge delega punta a interrompere la perversa continuità tra carcere e Cpt. La gran parte dei centri attuali viene riconvertita in strutture di accoglienza temporanea, e non più di detenzione, aperte al controllo delle autorità politiche e dei giornalisti, nelle quali lo straniero viene identificato. Solo chi si sottrae sarà destinato a un numero limitato di centri "per l’esecuzione dell’espulsione".

Nessun modello di integrazione può attecchire, se non presuppone anche un’idea della cittadinanza. Per questo, la norma forse più qualificante della delega, sul piano della civiltà giuridica, resta quella sul diritto di voto. Dopo cinque anni di residenza regolare in Italia, gli stranieri acquistano l’elettorato attivo e passivo alle amministrative. Una norma che non è né di destra, né di sinistra.

Nella passata legislatura la propose, inutilmente, proprio il leader di An Fini, poi bloccato dal veto del "partito degli uomini spaventati", la Lega di Bossi. È il principio basilare di una democrazia rappresentativa. Lo stesso che caratterizzò per decenni le proteste degli immigrati d’America: oggi marciamo, domani votiamo. Da loro ha funzionato. Con un po’ di realismo, e un po’ di idealismo, può funzionare anche da noi.

Immigrazione: permessi; per le Poste un affare da 80 milioni

 

Redattore Sociale, 13 marzo 2007

 

Assegnato senza gara d’appalto il servizio che riguarda tre milioni di persone. E la spa parastatale ha già aumentato i costi: 73 euro per un rinnovo. I dati dell’inchiesta di Altreconomia.

Il futuro di oltre 3 milioni di cittadini stranieri è nelle mani di Poste italiane, che dall’11 dicembre 2006 è diventato il canale obbligato per ottenere il visto di soggiorno e di lavoro. "Senza gara d’appalto, il ministero dell’Interno ha affidato all’azienda la gestione in esclusiva del servizio di rinnovo dei documenti dei cittadini stranieri: un giro d’affari di circa 75-80 milioni di euro l’anno".

Lo racconta Silvia Ognibene nell’inchiesta pubblicata sul numero di marzo del mensile Altreconomia (www.altreconomia.it). L’obiettivo del Governo era quello di eliminare le file davanti alle Questure e accorciare i tempi di rilascio del permesso di soggiorno (che diventerà elettronico, come una moderna carta di credito; ndr).

A distanza di oltre tre mesi dall’avvio però la Questura che si occupa di uno dei territori a più alta densità di immigrati, la provincia di Milano, ha ricevuto da Poste italiane meno di venti pratiche, e nessuna è arrivata al termine dell’iter. A metà febbraio non era stato rinnovato nemmeno uno dei 265 mila permessi di soggiorno dei residenti stranieri in provincia. Nel 2006 i permessi rinnovati erano stati 159 mila, l’anno precedente 180 mila. Del tutto simile la situazione nelle altre questure d’Italia.

Una procedura che rischia la paralisi, e a essere penalizzati sono gli immigrati. Uno straniero senza permesso di soggiorno non può stipulare un contratto di lavoro, affittare un immobile, iscrivere i figli a scuola, ricevere assistenza sanitaria, tornare al Paese d’origine per le vacanze o per un lutto. Una situazione drammatica e paradossale alle stesso tempo: la procedura messa in piedi per eliminare le file di extracomunitari davanti alle questure d’Italia ha creato un incredibile ingorgo cartaceo e burocratico.

La memoria ritorna al 14 marzo del 2006, quando centinaia di migliaia d’immigrati bivaccavano di fronte agli uffici postali di tutta Italia. Aspettavano di poter presentare la domanda di rinnovo del contratto di soggiorno: 500 mila richieste per 170 mila nuovi permessi previsti. A distanza di un anno, solo poche decine di migliaia di pratiche sono state concluse. Le altre sono perse nei meandri della burocrazia.

Con la nuova riforma del dicembre 2006, gli immigrati pagano conti salati e le Poste sono le uniche a guadagnarci. Per legge. Ma quanto costa rinnovare il permesso di soggiorno? Oggi ciascun immigrato paga 73 euro e cinquanta: 30 euro vanno direttamente alla Poste per inviare la raccomandata, ma l’immigrato spende anche 27,50 euro per il rilascio del permesso, 14,62 per il bollo e 1 euro di bollettino postale. Prima il costo totale dell’operazione era di 14,62 euro.

Si stima che la procedura porti a Poste italiane un giro d’affari di circa 75-80 milioni di euro l’anno. "Sii è consegnato a Poste italiane un segmento di mercato, quello degli stranieri, sempre più importante - scrive Silvia Ognibene -: tutti potenziali clienti per altri prodotti e servizi, alcuni dei quali già messi a punto da Poste italiane, come la concessione del mutuo per la casa e il trasferimento di denaro all’estero che l’azienda fornisce attraverso Banco Poste Money Gram".

L’accordo fra ministero e Poste ha esautorato i Comuni, "mandando su tutte le furie chi da anni era impegnato sul fronte immigrazione" scrive ancora Ognibene, portando l’esempio di Prato. "Abbiamo formato 43 operatori, evaso gratuitamente 16 mila pratiche in due anni e offerto un efficace servizio di mediazione linguistica che alle Poste manca completamente -spiega Andrea Frattani, assessore del Comune toscano-. Grazie ad anni di collaborazione con le questure eravamo arrivati a rilasciare i permessi di soggiorno in 15 giorni".

Immigrazione: a Ferrara una Giornata di studio sui diritti

 

Estense.com, 13 marzo 2007

 

Le "Giornate di studio sui diritti dei migranti" entrano con il secondo appuntamento nel pieno dei temi relativi alla tutela dei diritti dei migranti. Dopo aver dato conto delle novità in materia di immigrazione lo scorso 28 febbraio, si approfondirà il 14 marzo alle ore 15 presso l’Aula magna della Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara la normativa italiana in materia di espulsione e processo penale (prof.ssa Stefania Carnevale, università di Ferrara), nonché la legislazione italiana ed europea in tema di detenzione dello straniero (prof.ssa Lucia Re, università di Firenze).

Di particolare interesse, inoltre, sarà l’intervento del "Garante delle persone private della libertà personale" per il comune di Bologna, avv. Desi Bruno. Tale nuova figura istituita in soli otto Comuni italiani costituisce una novità importante con la quale si cerca di configurare un nuovo strumento di tutela per le persone che - detenute in carcere o trattenute in un Centro di Permanenza Temporanea (Cpt) - possono in questo modo vedersi riconoscere il rispetto dei diritti già prescritti dalle norme vigenti.

Il Centro Servizi Integrati per l’Immigrazione, organizzatore e promotore dell’iniziativa - insieme a Comune, Provincia, Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara, Arci, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e Centro interculturale "Luoghi della terra" - intende affrontare così un tema ad oggi non ancora dibattuto nel Nostro territorio, che presenta numerosi aspetti di interesse non solo per i giuristi e gli operatori dell’immigrazione, ma anche per chi intende comprendere

Droghe: Ferrero all’Onu; depenalizzare il consumo personale

 

Notiziario Aduc, 13 marzo 2007

 

Depenalizzare il consumo personale di sostanze stupefacenti e adottare misure alternative alla detenzione al fine di facilitare il percorso riabilitativo delle persone dipendenti. Queste le proposte illustrate dal Ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, alla 50esima sessione della "Commission on narcotic drugs", l’organo centrale dell’Onu che si occupa del tema delle droghe, istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1946.

"L’ipotesi di sanzionare i consumi si è infatti rivelata inadeguata rispetto al contenimento degli stessi. Inoltre, l’unificazione delle sostanze in un’unica tabella e la definizione di spaccio basata unicamente sul parametro del possesso di una certa dose di principio attivo, stanno comportando un ulteriore aumento delle denunce penali".

Secondo il ministro si deve "ricreare una tabella apposita per la cannabis in quanto sostanza stupefacente distinta da eroina, cocaina, anfetamine, ecc."; "eliminare la dose massima consentita per uso personale, restituendo al giudice la piena discrezionalità nel valutare, situazione per situazione, se il possesso di sostanze sia riconducibile allo spaccio"; "prevedere l’ampliamento delle possibilità di pene alternative al carcere" e "riequilibrare l’entità delle pene per spaccio - oggi in Italia molto severe - a livello della media europea".

L’obiettivo è quello della diminuzione dell’offerta e della domanda di sostanze stupefacenti, del potenziamento del sistema delle cure e dei percorsi di recupero delle persone dipendenti, del contenimento della diffusione delle malattie e dei comportamenti illegali correlate agli stati di dipendenza.

È necessario quindi "investire sul contenimento della domanda oltre che sulla repressione dell’offerta" e nel campo della cura e riabilitazione, "superare gli attuali impedimenti legislativi che limitano la creazione di un sistema di allarme rapido in grado di fornire in tempo reale l’informazione sulla composizione delle sostanze illegali con la finalità di soccorrere in modo più rapido e mirato le persone in stato di bisogno".

Riguardo al contrasto al narcotraffico, appare "necessario concentrare gli sforzi nelle operazioni di intelligence volte a sgominare le grandi organizzazioni criminali (a cominciare da quelle che gestiscono il sempre più ingente traffico di cocaina)". Infine, in relazione all’uso terapeutico della cannabis, Ferraro ha detto di ritenere "doveroso facilitare l’accesso ai preparati farmacologici, naturali e sintetici, medicalmente prescritti ed acquistabili nelle farmacie".

Droghe: Corleone; da Amato messaggio sbagliato e pericoloso

 

Ansa, 13 marzo 2007

 

Rischia di lanciare un messaggio "sbagliato e pericoloso" la provocazione del Ministro Amato sull’antidoping nelle scuole: "l’idea cioè che basta prendere una sostanza per sostenere un’interrogazione brillante". Per questo il presidente del Forum Droghe Franco Corleone si augura che rimanga "solo una boutade".

"Da questa proposta emerge una concezione magica delle sostanze psicotrope - dice Corleone - che denota una totale ignoranza del fenomeno. Manderò alcuni libri al ministro che nella sua vita ne ha letti tanti, ma evidentemente non su questo tema". Corleone assicura che se un alunno "è un asino, rimane tale anche se prende le amfetamine o qualsiasi altra droga".

Per questo il presidente del Forum Droghe si chiede "sulla base di quale allarme se non quello della retorica antidroga si fondi questo allarme". E perché "Amato si arroga il diritto di intervenire su competenze di altri ministri, come, ad esempio, Ferrero". "Se fossi Prodi -conclude - mi preoccuperei molto per il rischio che questo governo da un coro di voci dissidenti si trasformi in un circo Barnum".

Droghe: don Albanesi; proposta di Amato è una stupidaggine

 

Il Giornale, 13 marzo 2007

 

Don Vinicio Albanesi, lei è presidente della Comunità di Capodarco, organizzazione non governativa che si occupa di emarginazione sociale a livello internazionale. Cosa pensa della proposta di Amato di effettuare controlli antidoping nelle scuole?

"Stupidaggini. Questi ragazzi li controlliamo il sabato dopo la discoteca, il lunedì prima della scuola, è assurdo. E inutile: i giovani son furbi, non si fanno trovare drogati all’interrogazione".

 

Dice il ministro che la proposta può sembrare "idiota", ma che bisogna pensare anche a soluzioni del genere.

"Il governo dovrebbe pensare a investire di più in politiche sociali, invece, cosa che non fa".

 

Che cosa manca?

"Tutto. Mancano le politiche sociali di sostegno alle famiglie, mancano le politiche giovanili. E non ci sono investimenti".

 

No alle boutade, quindi, e sì a un piano più organico?

"Certo. Un piano organico che non esiste. Se le famiglie vengono lasciate sole, se la scuola ha ormai abdicato al suo ruolo educativo per prediligere quello della pura trasmissione di conoscenza, a questi ragazzi che cosa resta? Che cosa fanno da giugno a settembre?"

 

Da dove bisogna partire?

"Per esempio bisogna dare sostegno alle associazioni, alle parrocchie, ai circoli, ai gruppi sportivi, musicali, artistici, e insomma a tutti quei soggetti che aiutano la crescita dei giovani in ambienti sani, evitando gli sbandamenti. Dico un’ovvietà, ma la sola via è questa: se i ragazzi vivono in ambienti positivi non rischiano così tanto. Se li si lascia al celebre branco, invece, poi non li si controlla più".

 

Secondo Amato più che contro i trafficanti dovremmo fare "campagna contro noi stessi, integerrimi consumatori di droga".

"Se è un modo per segnalare che c’è un’elite negli alti ranghi che consuma cocaina, ha ragione. Solo che non sono i figli dei "nobili" il problema, ma le famiglie povere. Ecco, la famiglia: tutti ne parlano, ma nessuno fa nulla".

Droghe: Andrea Muccioli; il test è utile, nelle classi gira di tutto

 

Il Giornale, 13 marzo 2007

 

Andrea Muccioli, lei che dirige la comunità di San Patrignano, è d’accordo con il ministro?

"Sono totalmente d’accordo. Forse l’idea dell’antidoping è più una provocazione che una proposta vera e propria, ma non c’è dubbio che servano dei controlli sui ragazzi, che fanno un uso larghissimo di droga".

 

Anche in classe?

"Ma certo, basta guardare su internet. Ci sono dozzine di video filmati con i telefonini dove si vedono studenti che "rollano" uno spinello durante la lezione. L’età della prima assunzione si è abbassata paurosamente, siamo arrivati a 13 anni".

 

Giusta la linea dura quindi?

"La mia posizione è netta. Sono anche d’accordo con il ministro Bianchi che propone l’arresto per chi guida ubriaco. Ma il governo deve avere una linea coerente, invece sulla droga dà messaggi totalmente contraddittori".

 

Cioè?

"Cioè da una parte si individuano misure giuste come queste per combattere il consumo di droga tra i giovani, dall’altra si alzano i livelli di marijuana tollerati, come fa la Turco, o addirittura si tenta di introdurre le stanze del buco o la somministrazione controllata di eroina come propone Ferrero; così ai giovani arriva un messaggio incomprensibile".

 

Il ministro parla di controlli per esempio dopo le interrogazioni. Ma lei crede davvero che gli studenti si dopino per riuscire meglio?

"Questo non lo credo. Il problema è piuttosto che ai ragazzi non interessa un bel niente della scuola, anche perché dall’altra parte hanno genitori pronti a giustificare ogni loro comportamento. Il sistema educativo è allo sfascio".

 

Ma c’è già chi considera questa idea di Amato un’esagerazione.

"È uno strumento che va affiancato con un intervento profondo sul ruolo degli educatori. Un test può dirci se il ragazzo si droga - e questo è utile - ma non perché lo fa.

 

E all’estero?

"Negli Stati Uniti ci sono cani antidroga fuori dalle scuole ma nessuno si scandalizza. Perché hanno capito che danni può fare una gioventù bruciata dalle droghe"

Droghe: antidoping; ma il ministro degli Interni dice sul serio?

 

Notiziario Aduc, 13 marzo 2007

 

Il ministro degli Interni, Giuliano Amato, oggi a Firenze per un colloquio pubblico sulla sicurezza nelle città, ha lanciato una proposta: antidoping all’uscita delle discoteche e delle scuole "...io penso che se lo studente risulta positivo dopo l’interrogazione può perdere punti e l’interrogazione non vale", "bisogna pensare anche a cose del genere, anche se può apparire una cosa un po’ idiota ma che vale la pena di essere valutata e magari sostituita da altre".

Visto l’argomento, ci chiediamo se il nostro ministro fosse nel pieno possesso dei propri freni inibitori o sotto l’effetto di una di quelle sostanze su cui vorrebbe intervenire. Se fosse vera quest’ultima ipotesi, non lo sapremo mai. Crediamo, comunque, che quando un ministro parla e propone, non tra amici a casa sua, ma in un luogo pubblico e a valenza istituzionale, le cose che dice abbiano un peso. Ed entriamo nel merito.

Prima di tutto, se fosse accolta questa proposta, si dovrebbe fare altrettanto dopo ogni votazione del Governo e del Parlamento... e così faremmo contento l’on. Pierferdinando Casini che da tempo chiede una cosa del genere, anche se più blanda nel metodo.

Dopo di che, se ancora ci fossero margini al confronto in materia (o se dovesse essere arrestato il pusher del nostro ministro senza che egli abbia potuto realizzare questa proposta), prima di militarizzare tutta la società, sarebbe bene avviare una riflessione: non sarà il metodo stesso seguito fino ad oggi ad aver causato ciò che si proponeva di estirpare?

Non è che la punizione e l’illegalità di sostanze che gli esseri umani comunque vogliono utilizzare, abbiano favorito il cattivo uso delle stesse nonché la loro pessima qualità? Non è che questo abbia portato ad incrementare la criminalità nelle città e a maggiori pericoli e costi sanitari per i cittadini? Una riflessione che chiediamo al ministro Amato prima di continuare con le sue attuali riflessioni/proposte, anche per cercare di capire dove intende realmente arrivare oltre a voler oggi apparire duro e forte.

 

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