Rassegna stampa 9 maggio

 

Giustizia: Napolitano visita il carcere, si colga l’occasione

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 9 maggio 2007

 

Ieri il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato in visita al carcere femminile e alla casa circondariale Rebibbia di Roma. Con lui il ministro della Giustizia Clemente Mastella e il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara. Lo scorso mese una giovane tossicodipendente si è suicidata nel carcere femminile. Pochi giorni fa un detenuto rumeno si è suicidato nel braccio G11 del carcere maschile di Rebibbia.

All’indomani dell’approvazione del provvedimento di indulto da parte del Parlamento il Capo dello Stato dichiarò: "Vanno finalmente affrontate in modo organico le cause remote e attuali della sofferenza del presente modello penale. L’approvazione di un provvedimento di clemenza e di urgenza volto a lenire una condizione intollerabile di sovraffollamento e di degrado nelle carceri sollecita ancora di più Governo e Parlamento a procedere decisamente, con misure efficaci, sulla via tanto della riduzione della durata dei processi quanto dell’ulteriore ricorso a pene alternative alla sanzione detentiva". Mai parole avrebbero potuto essere più appropriate. Sono passati alcuni mesi e luci ed ombre si addensano sul cammino delle riforme.

Quella condizione insopportabile di sovraffollamento che ha indotto l’adozione di un provvedimento di clemenza impone una decisa stagione riformatrice. I detenuti prima dell’approvazione dell’indulto erano 61.246; sono scesi a 38.847 a settembre. Sono risaliti oggi a 42.533.

Una velocissima crescita che si spiega solo in minima parte con il rientro degli indultati. La gran massa dei nuovi ingressi è il frutto di tre leggi illiberali (immigrazione, droghe e recidiva) che si innestano su un codice penale dell’era fascista che prevede al proprio interno pene elevatissime per i reati contro il patrimonio. Il cammino legislativo dei progetti di riforma è stentato. Se non si modificano radicalmente queste quattro leggi nel giro di qualche anno si tornerà alla situazione pre-indulto.

Il Capo dello Stato ha potuto giudicare con i suoi occhi se l’indulto è stata o meno un’occasione sprecata dall’Amministrazione penitenziaria per far vivere meglio le detenute e i detenuti in Italia. Sappia però il Capo dello Stato che ciò che ha visto a Rebibbia è la vetrina pubblica di una condizione carceraria che in periferia vede ancora detenuti ammassati (si sono chiusi i reparti per risparmiare personale, ma non li si è ristrutturati per renderli più vivibili, così la popolazione detenuta ha continuato a vivere disagiata), una sanità che non funziona, l’ozio che prevale, regolamenti dello stato deliberatamente inattuati, l’illegalità che persiste.

Un’illegalità che esige l’approvazione in tempi rapidi di due leggi: quella sul garante dei diritti delle persone private della libertà e quella sull’introduzione del crimine di tortura nel codice penale. A nostro avviso in questi mesi l’amministrazione penitenziaria ha perso una occasione. Con i numeri bassi del post-indulto - gli agenti di polizia penitenziaria sono in numero superiore ai detenuti - poteva (e può ancora) riorganizzare i regimi penitenziari, favorire le politiche di reinserimento sociale, impegnare gli operatori nel lavoro di rete con l’esterno (un esterno che nei giorni dell’estate 2006 si è dimostrato accogliente e disponibile), ed invece si è occupata prevalentemente di alta sicurezza, di estensione del 41 bis, di poliziotti penitenziari da impiegare nel controllo delle persone in misura alternativa così squalificando il lavoro classico degli assistenti sociali.

Il sistema penitenziario richiede riforme urgenti e un’amministrazione coraggiosa. Dal Presidente della Repubblica sono venute parole di umanità e di giustizia. Come quelle del luglio 2006. Un discorso laico che spinge laicamente il Ministro Mastella a non fidarsi troppo dei suoi consiglieri securitari.

Giustizia: il Viminale; dopo l’indulto un aumento dei reati

 

La Stampa, 9 maggio 2007

 

Proprio mentre il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e il ministro di Giustizia, Clemente Mastella, nella loro visita al carcere di Rebibbia, difendevano il provvedimento di indulto approvato dalla maggioranza del Parlamento (per Napolitano "un passo eccezionale ma necessario per rendere più vivibili e degne le carceri italiane"), la commissione Affari costituzionali del Senato discuteva il rapporto del Viminale sullo stato della sicurezza nel nostro Paese, nel quale si analizzano gli "effetti" dell’indulto: "Nel periodo agosto-ottobre 2006 si è registrato rispetto all’anno precedente un incremento di 1.952 rapine e di 28.830 furti".

Il fattore indulto, secondo il Viminale, ha fatto registrare "un tendenziale incremento dei reati predatori, quelli che più negativamente condizionano la percezione di sicurezza dei cittadini". Che questo aumento sia (anche) effetto dell’indulto, viene confermato dal dato che fino al luglio scorso, e cioè prima dell’entrata in vigore del provvedimento di clemenza, "tali fenomeni presentavano una leggera flessione".

L’indulto, insomma, continua a rappresentare un nervo scoperto. Lo è perché è materia di polemica politica da parte di An e Lega, che quel provvedimento non hanno votato, ma anche all’interno della maggioranza non tutti furono d’accordo, e successivamente il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, non ha nascosto le sue "perplessità".

E anche perché ha diviso e continua a dividere la circolare del procuratore di Torino, Marcello Maddalena, che ha invitato i suoi sostituti ad accantonare i fascicoli destinati ad essere archiviati per l’indulto. Ieri il ministro di Giustizia, Clemente Mastella, difendendo l’indulto ("Se non ci fosse stato avremmo avuto un’esplosione di collera incontenibile nelle carceri"), ha fornito una serie di numeri e di valutazioni: "Solo l’11,11% dei 25.694 indultati sono tornati in carcere.

Un dato questo estremamente più basso se paragonato al tasso ordinario di recidiva, che raggiunge il 60%. L’indulto non ha prodotto alcuna crescita dei fenomeni criminali. Anzi, l’analisi dei flussi di rientro ha dimostrato come la recidiva dei soggetti beneficiari del provvedimento di clemenza si sia mantenuta all’interno di limiti certamente più bassi delle attese".

L’indulto, in generale, non ha ricadute solo sul terreno dell’ordine e della sicurezza collettiva, con l’uscita anticipata dalle carceri di migliaia di detenuti, le ha anche dal punto di vista dei processi. La circolare del procuratore di Torino, Marcello Maddalena, che ha invitato i suoi sostituti ad accantonare i processi destinati a non avere un futuro per via dell’indulto, ha spaccato il Csm (sulla vicenda si dovrà pronunciare il plenum di Palazzo dei Marescialli), e anche il mondo politico.

Per l’ex magistrato ed ex presidente dell’Antimafia, il forzista Roberto Centaro, "la circolare è suscettibile di un esame in sede disciplinare perché va ben oltre i poteri del capo di un ufficio giudiziario, visto che uccide di fatto il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale".

Di parere opposto l’ex magistrato veneziano, oggi senatore dell’Ulivo, Felice Casson: "Il procuratore di Torino si è mosso in maniera intelligente e ha dato indicazioni chiare ai magistrati del suo ufficio su cosa fare di fronte a una situazione grave, la semiparalisi degli uffici giudiziari. La circolare serve a razionalizzare il lavoro dei magistrati ed è quel che ogni procura dovrebbe fare".

L’ex deputato di Rifondazione Giuliano Pisapia, pur riconoscendo che la circolare Maddalena "parte da un problema reale", la boccia perché incostituzionale, essendo "in contrasto con l’obbligatorietà dell’azione penale". L’Unione delle Camere Penali insiste nel denunciare le "gravi violazioni" della circolare Maddalena.

Giustizia: Violante (Ds); la cultura del "perdonismo" è sbagliata

 

La Stampa, 9 maggio 2007

 

Onorevole Violante, il capo dello Stato ha richiamato alla necessità di maggior attenzione ai diritti dei detenuti, ma anche a quelli delle vittime. Il tema della sicurezza è sulle prime pagine dei giornali tutti i giorni, e dal punto di vista politico ha portato in Francia alla vittoria Sarkozy, e in Italia ad accuse alla sinistra, che non ha tra i propri valori la legalità...

"Il Presidente ha ragione. Ma andiamo con ordine. La Camera ha approvato da poche settimane una proposta di legge che istituisce la figura del garante dei diritti dei detenuti, e spero che il Senato possa discuterla in tempi brevi".

 

E i diritti delle vittime?

"Abbiamo una scarsa attenzione alle vittime dei reati. Ad esempio l’Italia è tra i pochi paesi avanzati che non ha ancora ratificato la convenzione europea per il risarcimento delle vittime di reati violenti che risale al 1983. Il Governo dovrebbe portarla presto in Parlamento. Affronteremo proprio oggi in Commissione una proposta a favore delle vittime della mafia. E sarebbe necessario dare più forza alla vittima nel processo penale".

 

C’è però un aspetto consolidato, culturale, di mancanza di rispetto delle vittime, dal momento della denuncia in avanti.

"Concordo. La cultura nazionale è intrisa di perdonismo e non considera il principio di responsabilità. Di qui viene anche l’assistenzialismo e il mancato rispetto del merito delle persone. La classe dirigente deve impegnarsi a trasmettere valori di responsabilità e rigore morale".

 

Sarkozy ha vinto le elezioni anche sul tema della sicurezza, proponendo il poliziotto di quartiere tanto caro a Berlusconi...

"Era una buona idea, ma si è tradotta in un manifesto propagandistico e non in una riforma".

 

Voi però quella proposta non l’avete mai fatta. La legalità non è un valore di sinistra?

"In verità la proposta fu avanzata dal ministro Bianco, nel duemila, mi pare. E sulla legalità le dico che è un grande valore democratico. Io sono un legalitario, ma mi hanno a volte accusato di essere "giustizialista" perché sono attento ai diritti delle vittime, e ai problemi della responsabilità individuale e della sicurezza dei cittadini. No, la sinistra della quale io faccio parte ha la legalità tra i suoi valori. Anche perché le vittime dei reati sono i più deboli, e una concezione perdonistica della sicurezza è profondamente sbagliata".

 

Tornando a Sarkozy e alle politiche di sicurezza della sinistra?

"Vede, il tema della destra è la sicurezza attraverso coercizione e discriminazione. Per la sinistra la sicurezza si realizza attraverso la prevenzione e l’integrazione. La destra usa il tema della paura. La sinistra fa leva sulla fiducia. Questa, detto in poche parole, è la differenza di fondo tra destra e sinistra su questi temi. Ma ai miei compagni dico questo: per il cittadino è importante non solo la sicurezza in sé, ma anche la percezione della sicurezza, vedere risultati. Su questo terreno dobbiamo fare di più".

 

Non le sembra che la destra parli esplicitamente di sicurezza, mentre la sinistra la prenda invece alla larga, dall’integrazione?

"Ha ragione. Ma l’integrazione è un presupposto della sicurezza, la ghettizzazione invece produce violenza e quindi insicurezza. Il caso della banlieu parigine è emblematico. Punire può essere necessario e va fatto. Ma non basta".

 

Ha ragione Mercedes Bresso a chiedere più poteri per le regioni in materia di sicurezza?

"Sulle maggiori competenze non sono d’accordo. Ma tra Stato, Regioni e Comuni è necessaria la collaborazione. Perché vede, dove c’è una cabina telefonica rotta, domani ci sarà una panchina divelta, e dopodomani un’auto bruciata. I sociologi lo chiamano "il principio della finestra rotta". Se in un quartiere prevale il degrado delle cose, saranno più probabili comportamenti teppistici o violenti. Al contrario se c’è cura anche per le periferie, è più probabile che le persone abbiano più rispetto per le cose e per gli altri. Allo stesso modo, se una famiglia disagiata è assistita, e meno probabile che i figli tengano comportamenti irregolari. Per queste ragioni ci deve essere integrazione tra politiche locali e nazionali".

Giustizia: per i "manicomi giudiziari", è l’ora della chiusura

 

La Stampa, 9 maggio 2007

 

Il 13 aprile lo hanno trovato impiccato nella sua cella. Era detenuto per oltraggio a pubblico ufficiale. Ma Salvatore, 50 anni, era un recluso particolare: stava nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e quel 13 aprile aveva saputo che era stata "prorogata la misura di sicurezza". Gli Opg sono sei in Italia, per più di 1200 internati, tre presto saranno chiusi e da subito non accoglieranno più detenuti: uno è proprio quello di Aversa, poi Castiglione delle Stiviere e Reggio Emilia. Rimangono in attività Montelupo Fiorentino, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).

 

La proposta

 

La proposta è stata presentata nella sede del Ministero della Salute la settimana scorsa, in una riunione sulla salute mentale da Marco D’Alema, psichiatra e consigliere sulla psichiatria del ministro della Salute Livia Turco. "La misura è stata decisa in accordo con il ministero della Giustizia" assicurano i tecnici del ministero. "Si tratta di una dismissione graduale - spiega D’Alema -. Si calcola che almeno trecento persone detenute negli Opg possano essere reinseriti nella società. È necessario rivedere le situazioni singolarmente, fare progetti "di uscita"".

L’ultima relazione sugli Opg scritta dai responsabili di Antigone, associazione che si occupa della vita in carcere, parla di letti di contenzione e strutture come lager, lo racconta Susanna Marietti, dell’osservatorio sugli Opg: "Ci sono persone che si fanno 25 anni di carcere per reati minimi, solo perché di anno in anno viene prorogata la misura di sicurezza". L’ultima visita a Sant’Eframo a Napoli: "Resti di cibo in terra, odore di urina nelle stanze e lungo i corridoi. Gli operatori e sanitari si sforzano ma non basta. E poi i letti di contenzione, ci sono persone che restano lì per giorni, altri imbottiti di farmaci". Antigone li ha visitati tutti gli Opg e ne chiede la chiusura immediata. "Sono anni che se ne parla - ribatte D’Alema - adesso vogliamo farlo ma creando strutture adeguate, magari più piccole, o ristrutturando quelle esistenti. Si inizierà col non inviare più persone ai tre previsti per la chiusura, per quanto riguarda Castiglione delle Stiviere verrà trasformato in una struttura sanitaria". Trasformazione che vuol dire anche cambio di competenze "la sanità interna agli istituti di pena deve passare come competenza al ministero della Salute e su questo sono d’accordo entrambi i dicasteri, Giustizia e Salute appunto". Nuove strutture, riqualificazione di alcune esistenti. Chi lo farà e quanto costa? "Ci sono già in discussione accordi con le regioni interessate che avranno anche finanziamenti adeguati per questo tipo di progetti" sottolinea D’Alema.

 

Le perplessità

 

Tutti d’accordo quindi? Non del tutto. I primi a parlare di "perplessità" sono gli psichiatri che, come si dice in questi casi, "operano sul territorio". "Non siamo contro la chiusura degli Opg anzi" spiega Silvio Frazingaro, psichiatra e rappresentante per il Veneto che alla riunione del ministero ha espresso più di una dubbio: "Prima si deve creare l’accoglienza di queste persone, è impensabile che possano diventare ospiti nelle comunità dove adesso ci sono i nostri pazienti". Le comunità di accoglienza sono aperte, finestre senza inferriate e porte senza serrature chiuse a chiave.

"Questo è un problema soprattutto per gli operatori - prosegue Frazingaro - abbiamo impiegato anni a trasformare chi lavorava nei vecchi manicomi da sorveglianti in infermieri. E adesso dovremmo fare un passo indietro?". Dello stesso tenore Ludovico Cappellari, vice presidente della Società italiana di psichiatria: "Chiariamo subito una cosa: come Sip siamo completamente d’accordo nella chiusura degli Opg, sono una vergogna nazionale.

Il problema è il metodo, non si può decidere di chiudere senza prima fare formazione per i medici che dovranno prendersi carico di queste persone, e creare strutture adatte che sostituiscono il carcere. Dobbiamo concordare i passi e le modalità". Quelli che qualcuno ha chiamato gli "orfani della 180" presto saranno liberi. E i più pericolosi? "Saranno trenta le persone veramente a rischio - conclude Marco D’Alema - per loro si troveranno soluzioni adeguate".

Giustizia: dopo la chiusura degli Opg dove andranno gli internati?

 

La Stampa, 9 maggio 2007

 

Nessun agente di polizia penitenziaria all’ingresso, case basse e prati ben curati oltre il bosco, pareti affrescate, padiglioni con nomi di fiori, voci basse, parenti in visita, quando un barlume dì famiglia ancora esiste, ma non è detto. Fine pena mai, essendo l’ergastolo del cuore la migliore delle prospettive possibili, e la presa di coscienza del delitto commesso l’unico passaggio obbligato d’un percorso terapeutico che possa dirsi riuscito.

Vista da qui, la questione sta in questi termini: "Ben vengano proposte alternative, se il paziente andrà a stare meglio". "Qui" è l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, l’unico che accolga anche donne, meglio conosciuto come il luogo dove scontano la loro pena infinita le "mamme assassine", una decina in tutto in realtà sulle 180 persone attualmente ospitate dalla struttura.

Hanno tra i 28 e i 35 anni, qualcuna ha già "preso coscienza", passando dal buio a un buio ancora peggiore, altre sono convinte di essere innocenti. Tutte sono sorvegliate a vista, perché la pulsione all’autolesionismo è sempre in agguato. Il dottor Giuseppe Gradante, primario nel reparto che segue "queste donne che hanno molto sofferto e ancora stanno soffrendo", guarda con atteggiamento pragmatico alla prospettiva di chiusura degli Opg: "Ne sento parlare da trent’anni, ma è un dibattito di tipo politico-dottrinale, che lascia il tempo che trova. Fino ad oggi è prevalso un atteggiamento di tipo distruttivo.

Se c’è un modo di far stare meglio queste donne, ripeto, perché no: ce lo dimostrino, e noi psichiatri continueremo a fare il nostro lavoro altrove". Il fatto è che lui, probabilmente, dubita: "Qui da noi il malato di mente ha possibilità di recupero, e anche di semplice esistenza, migliori che in altre strutture analoghe.

Non mi piace fare confronti, ma le differenze tra struttura e struttura esistono e bisogna tenerne conto. Io non sono contrario a cambiare, però so bene di cosa stiamo parlando, non prendo posizioni astratte leggendo articoli sensazionalistici sui giornali. Ci sono in Italia almeno 1.200 internati che dovranno essere sistemati altrove. Dove? Dove li mettiamo i matti che delinquono? In carcere? In comunità? E in che tipo di comunità?".

Già, e le madri che scontano la pena più dura, dopo aver preso coscienza del fatto di aver ucciso il proprio figlio, dove le mettiamo? "Non esiste una facile risposta", assicura il dottor Gradante, "ogni percorso riabilitativo è diverso; per alcune di loro si può ipotizzare un ritorno in famiglia, perché la relazione con il marito è stata pian piano ricostruita e mantenuta in vita attraverso visite e persino uscite della donna, l’uomo ha per così dire "perdonato" ed è pronto a farsi carico della moglie; altre invece sono rimaste sole, la famiglia di origine non vuole più saperne di loro, il compagno, che è pur sempre il padre del bambino ucciso, ha chiesto il divorzio". E se non è la famiglia, qual è l’alternativa a un posto come questo? "È da quando gli Opg sono stati aperti che se ne discute. Le risposte le stiamo ancora attendendo".

Giustizia: Balducci (Verdi); subito la legge sulle detenute madri

 

Ansa, 9 maggio 2007

 

La deputata Verde Paola Balducci, che si è recata oggi a Rebibbia durante la visita del presidente Napolitano al cercare romano, chiede l’approvazione rapida della legge sulle detenute madri. "In Parlamento - ricorda la parlamentare che fa parte della commissione Giustizia della Camera - c’è una proposta di legge sulle detenute madri che ha già avuto il via libera in sede referente dalla commissione Giustizia, mi auguro che questa normativa venga al più presto discussa in aula e che l’iter non trovi nessun ostacolo così che si affronti finalmente questo che è uno degli aspetti più drammatici della vita in carcere".

"Il testo spiega Balducci relatrice del provvedimento - tutela il rapporto tra detenute madri e figli minori, una esigenza non rinviabile, un impegno etico del Parlamento che deve dare risposte a un problema che in un paese ad alta civiltà giuridica come è l’Italia va risolto".

La deputata Verde ricorda inoltre l’approvazione di un suo emendamento sulla copertura finanziaria del progetto, in relazione ai costi della realizzazione delle case famiglia per la detenzione di madri che non possono fruire delle misure alternative al carcere e dove possono essere tutelati i loro figli minori. "Ci sono dunque - conclude Balducci - tutte le condizioni per una approvazione definitiva e rapida delle nuove norme".

Giustizia: Crapolicchio (Pdci); il lavoro in carcere è usurante

 

Ansa, 9 maggio 2007

 

Silvio Crapolicchio, del Pdci, sottolinea l’importanza del Comitato Problemi Penitenziari, costituito nella Commissione giustizia della Camera, di cui è vice presidente. Crapolicchio annuncia quindi l’intenzione di "espletare diversi sopralluoghi nelle carceri d’Italia per redigere un piano di lavoro che possa seriamente affrontare e tentare di risolvere almeno parte dei problemi che vivono quotidianamente sia i detenuti che il personale di polizia penitenziaria ed in generale tutti coloro i quali svolgono attività connesse al mondo carcerario". In particolare "dopo la visita presso le carceri di Alessandria effettuata nelle scorse settimane, reputo opportuna la predisposizione di una proposta di legge che preveda il riconoscimento della qualità di lavoro usurante per le attività connesse alla vita carceraria", perché "le condizioni di vita e di lavoro dentro gli istituti penitenziari e nell’area penale esterna, comportano di riflesso smisurati disagi anche psicologici a tutti gli operatori del settore".

Sappe: comunicato sulla visita di Napolitano a Rebibbia

 

Comunicato stampa, 9 maggio 2007

 

"Le autorevoli parole espresse ieri dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, durante la visita al carcere romano di Rebibbia, sulla necessità di ripensare l’intero sistema sanzionatorio e della gestione della pena nel nostro Paese sono di alto spessore istituzionale e centrano il cuore del problema penitenziario nazionale.

Le abbiamo molto apprezzate, e per questo lo ringraziamo, come rappresentanti di coloro che quotidianamente rappresentano in prima linea lo Stato nel difficile contesto degli Istituti di pena: le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Non da meno è da evidenziare il richiamo del Presidente della Repubblica affinché, in Parlamento, sia indispensabile la ricerca di soluzioni condivise per la trasformazione dell’amministrazione della giustizia e del mondo penitenziario, soluzioni che tengano nel dovuto conto proprio un nuovo impiego operativo della Polizia Penitenziaria".

È soddisfatta la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, dalle parole espresse ieri a Rebibbia dal Presidente della Repubblica in occasione della visita al penitenziario romano.

Il Sappe esprime pieno apprezzamento anche per i contenuti del discorso espresso dal Ministro della Giustizia Clemente Mastella, con particolare riferimento al ruolo del Corpo: "Benissimo ha fatto il Guardasigilli a ribadire che il Corpo di Polizia Penitenziaria merita di essere considerato oggi un presidio di legalità al servizio della giustizia penale nel suo complesso e non solo del carcere.

Ed è ovvio e naturale che se la pena evolve - come deve - verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze aldilà delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale.

Non è dunque azzardato parlare di un momento storico per il futuro della Polizia Penitenziaria e del sistema penitenziario nazionale, perché il futuro di questo Corpo di Polizia deve vedere rivolto il suo impiego verso un quadro diversificato di sanzioni, nella considerazione del carcere come extrema ratio della risposta sociale ai fenomeni di illegalità. Ora ci attendiamo fatti concreti dal Parlamento".

Sappe: un sacrario per i caduti della Polizia Penitenziaria

 

Comunicato stampa, 9 maggio 2007

 

"Per la prima nella storia della Repubblica italiana, oggi si celebra finalmente la "Giornata della memoria" dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Ed è lodevole che questa importante legge sia stata da pochi giorni approvata definitivamente dal Parlamento (prima al Senato e poi alla Camera), con larghissimo consenso, e quindi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

L’occasione è per noi importante per ricordare in particolare quanti sono stati uccisi perché appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia e del soppresso ruolo delle Vigilatrici penitenziarie, donne e uomini rappresentanti di una Istituzione fondamentale dello Stato e che proprio perché rappresentanti dello Stato nel duro, difficile e pericoloso contesto delle carceri furono barbaramente trucidati da assassini imbevuti di fanatismo ideologico. Riteniamo che in questo senso il Ministero della Giustizia debba fare un passo in più nel Loro ricordo, ad esempio realizzando quanto prima, in un sito ministeriale adeguato, un Sacrario in ricordo dei Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria, del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia e del soppresso ruolo delle Vigilatrici penitenziarie."

La richiesta proviene dalla Segreteria Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 12mila iscritti, in occasione della celebrazione per la prima volta della "Giornata della memoria" che ricorre il 9 maggio, cioè il giorno del barbaro assassinio dell’on. Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Il Sappe ricorda di avere già proposto, nei mesi scorsi, l’istituzione di un Sacrario dei Caduti del Corpo al Ministro della Giustizia Clemente Mastella, al Sottosegretario delegato Luigi Manconi ed al vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Emilio Di Somma.

Spiega il Sappe: "Lo scorso 21 novembre chiedemmo al Guardasigilli ed ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria di erigere un Sacrario dedicato ai Caduti della Polizia Penitenziaria, per non dimenticarli e per fornire a tutti un’ottima occasione di raccoglimento per ricordare i Poliziotti vittime della ferocia terroristica e mafiosa o della criminalità comune. L’unica arma contro l’oblio è, infatti, tenere vivo il ricordo di chi non c’è più, perché il ricordo delle vittime non è solo un lutto privato ma anche un lutto collettivo. Tra gli impegni morali del Sappe vi è quello di non dimenticare coloro che hanno perso la vita al servizio delle Istituzioni e soprattutto i loro familiari.

Per questo, il Sappe ha recentemente chiesto all’Amministrazione Penitenziaria di realizzare una pubblicazione sul tema della "Memoria", che ricostruisca la storia umana e professionale delle vittime, che raccolga le testimonianze e il ricordo dei familiari. Iniziativa, questa, che ha trovato l’entusiastica adesione dell’allora Capo Dipartimento Giovanni Tinebra, che ha conferito all’Ufficio Studi e Ricerche del Dap formale incarico.

Sempre il Sappe è stato promotore di quello che è, a tutt’oggi, l’unico esempio di una stele commemorativa dedicata ai Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria, in memoria dell’estremo sacrificio al servizio del Paese e per la difesa delle istituzioni (inaugurata al cimitero monumentale Staglieno di Genova il 5 aprile 2005) e della intitolazione del largo antistante la Scuola di Formazione di Cairo Montenotte ai Caduti del Corpo."

"Ed è per questo" conclude la Segreteria Generale del Sappe "che proprio in occasione della ricorrenza del 9 maggio rinnoviamo la nostra richiesta al Ministro Clemente Mastella ed al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara, che sappiano sensibili su questo tema, se non ritengano necessario che venga realizzato quanto prima, in un sito ministeriale adeguato, un Sacrario in ricordo dei Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria, del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia e del soppresso ruolo delle Vigilatrici penitenziarie."

Udine: libri per evadere con il progetto "Banco libero"

 

Comunicato stampa, 9 maggio 2007

 

Il "Banco libero" entra in carcere per promuovere la lettura e per gettare le basi di possibili progetti culturali con il territorio.

L’iniziativa sorta alcuni anni fa presso la fondazione della "Casa dell’Immacolata" denominata "Banco libero", che ha dato vita alla raccolta gratuita di libri usati e la loro successiva distribuzione, sempre gratuita, è da circa un mese attiva anche all’interno della Casa Circondariale di Udine. Grazie all’opera di alcune volontarie dell’Associazione "Icaro", associazione attiva da più di un decennio all’interno del carcere di Udine, ciascun detenuto può ricevere, dietro apposita domanda, tre libri al mese precisando il genere preferito ed eventualmente titolo e autore; libri che vengono recuperati, se disponibili, presso il "Banco libero" e consegnati agli interessati dopo il controllo previsto dal regolamento.

L’iniziativa, dopo un lento avvio, sta riscontrando un certo gradimento da parte della popolazione detenuta che ha manifestato una pluralità di interessi letterari. Non sempre in verità le richieste vengono soddisfatte, si pensi ad esempio alla difficoltà di reperire testi per i detenuti stranieri o particolari pubblicazioni scientifiche, eppure queste difficoltà non scoraggiano le richieste.

La consegna dei libri permette poi un iniziale colloquio con le persone detenute, uno scambio di opinioni sull’iniziativa, sui libri richiesti, sulla condizione detentiva, brevi momenti di socializzazione che suggeriscono anche possibili ulteriori iniziative da realizzare all’interno di un luogo dove il tempo da occupare risulta un "nemico" non facile da sconfiggere.

L’iniziativa se ha infatti come principale obiettivo la promozione della lettura all’interno della struttura penitenziaria udinese intende anche creare, tramite la valorizzazione della biblioteca interna, specifici momenti culturali con le persone detenute. L’ordinamento penitenziario tra l’altro prevede una permanente comunicazione tra la popolazione detenuta, gli operatori penitenziari e la comunità esterna, necessaria per avviare opportuni percorsi di reinserimento sociale.

Purtroppo a livello locale permangono delle difficoltà di non poco conto in quanto la recente ristrutturazione del carcere di Udine ha interessato solo l’area delle sicurezza, dimenticando, per ora, le aree della "socializzazione", aree strategiche e di fondamentale importanza per rendere i luoghi di detenzione aderenti al dettato costituzionale per il quale la pena detentiva è intesa come momento transitorio orientato al reinserimento sociale della persona detenuta.

L’ingresso del "Banco libero" nel carcere di Udine chiaramente è solo la prima fase di questo progetto, ci si augura non velleitario, che deve vedere il coinvolgimento non solo del tessuto sociale ma delle istituzioni locali, si pensi al Comune e alla Provincia di Udine, non sempre attente alle problematiche inerenti alla condizione detentiva; nel piano di zona dell’ambito socio-assistenziale udinese, ad esempio non si è ancora aperta una mirata riflessione sulla condizione detentiva e sull’esecuzione esterna e molte delle istanze contenute in apposite convenzioni, che vedono coinvolte le istituzioni del sistema penitenziario e le istituzioni locali, rimangono praticamente sulla carta.

Il progetto legato al "Banco libero" può comunque gettare le basi per un primo percorso utile a coinvolgere le istanze culturali espresse dal territorio oltre che richiamare le competenze in materia penitenziaria delle istituzioni locali. Una sede di confronto e di proposta tra le componenti, che, in diversa maniera, operano nell’ambito del sistema penitenziario, sarebbe a questo punto auspicabile e toglierebbe, almeno in parte, il carcere di Udine dal cronico isolamento in cui attualmente versa. Non sarebbe poca cosa per la nostra realtà, in fondo il "Banco libero" ha aperto una piccola "breccia" tra le mura del carcere…

Enna: il calcio in carcere per il progetto "sport e legalità"

 

Vivi Enna, 9 maggio 2007

 

Il progetto "sport e legalità", elaborato dalla direzione del carcere di Enna, auspice la direttrice Letizia Bellelli e il gruppo di insegnanti presenti all’interno dell’istituto, ha consentito ieri mattina di avere graditi ospiti Armando Pantanelli, portiere del Catania, ed il presidente provinciale del Coni, Roberto Pregadio.

Ovviamente al centro dell’attenzione dei detenuti "i fatti incresciosi" avvenuti in quel famigerato "2 febbraio scorso", nel corso del derby Catania-Palermo, che ha condizionato il cammino del Catania. È stata la direttrice Letizia Bellelli, in apertura dell’incontro, a chiarire le motivazioni di un progetto che ha suscitato l’interesse di tutti i detenuti e il presidente provinciale del Coni ha lanciato una proposta molto significativa, con la collaborazione della Scuola regionale dello Sport, la organizzazione all’interno del carcere di un corso di formazione per tecnici di primo livello.

I lavori si sono aperti con la lettura di una missiva toccante di un detenuto catanese, Gianluca Marino, il quale sottolinea che "lo sport è un divertimento, quindi tifare non vuol dire confrontarsi contro gli avversari, ma aiutare la squadra cantando con gioia, avere delle nuove amicizie.

Ai tifosi rivolgo un appello: "Non continuate a commettere gli sbagli che avete commesso, ma dimostrate a tutto il mondo che tutto quello che è accaduto sino ad oggi non è solo un brutto ricordo da cancellare; tifare non vuol dire uccidere, ma dire con dolcezza cosa è lo sport". Una tavola rotonda che ha tracciato per grandi linee cosa è successo e perché è successo a Catania nel derby, come Armando Pantanelli e tutto il Catania hanno vissuto quei momenti terribili, cosa si può fare per evitare che questi incidenti possano succedere nuovamente, perché non portare il calcio ad uno sport che coinvolga tutte le famiglie.

Un confronto che è durato circa tre ore, durante il quale Pantanelli, Roberto Pregadio, la coordinatrice dell’incontro Pierelisa Rizzo, la direttrice Bellelli hanno cercato di dare una visione, la più reale possibile, del mondo del calcio in particolare.

L’incontro è finito con un applauso ad Armando Pantanelli ed un "Forza Catania" per l’incontro con il Milan, quindi con tanti autografi, poi il portiere del Catania è stato portato nella scuola elementare "De Amicis" dove ha incontrato i ragazzini della scuola ed anche in questo caso al portiere del Catania è stato chiesto di salvare la squadra rosso azzurra e di vincere contro il Milan, anche se la formazione di Ancelotti è forte.

Televisione: la Garante dei detenuti di Bologna su "Rai Utile"

 

Comunicato stampa, 9 maggio 2007

 

"Carceri: arriva il Garante". Rai Utile, giovedì 10 maggio 2007, dalle ore 9.00 alle ore 10.30. La Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, Avv. Desi Bruno, in occasione dell’approvazione da parte della Camera dei Deputati del provvedimento che istituisce una Commissione nazionale per la tutela dei diritti umani con una sezione che prevede il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private delle libertà personali è stata invitata ad un pubblico dibattito su Rai Utile.

Si attende ora un sollecito esame da parte del Senato, dove sono depositati analoghi disegni di legge. Tra chi la definisce una legge di grande civiltà e chi un inutile carrozzone, il dibattito condotto da Marina Nalesso ed a cui parteciperà il sottosegretario alla Giustizia, prof. Luigi Manconi, ci porterà attraverso la realtà delle carceri a poco meno di un anno dal provvedimento di indulto votato dal parlamento italiano.

Immigrazione: Cassazione; punire gli "ex clandestini" rumeni?

 

Ansa, 9 maggio 2007

 

Devono essere ancora condannati - dopo l’ingresso ufficiale della Romania nell’Unione Europea, avvenuto lo scorso gennaio - quei rumeni che sono clandestinamente entrati in Italia e, prima del 2007, hanno continuato a restarci nonostante l’ordine di espulsione ricevuto dal questore?

Il quesito - che riguarda i processi per violazione delle norme sull’immigrazione ancora pendenti a carico di cittadini rumeni - sarà risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione. Infatti la Prima sezione penale - con l’ordinanza 15758 - si è posta il problema, per evitare che in proposito possano nascere delle decisioni contrastanti.

Il nodo giuridico da sciogliere è: "se la sopravvenuta circostanza che dal primo gennaio 2007 la Romania è entrata a fare parte dell’Unione Europea, giustifichi l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2 del Codice penale, e debba far pronunciare l’assoluzione, con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, nel processo a carico di un cittadino rumeno imputato per l’inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio italiano anteriormente emesso dal questore a seguito del decreto prefettizio di espulsione".

Si tratta, in sostanza, di stabilire se debbano essere applicate ai rumeni le norme più favorevoli previste dall’articolo 2 del Codice penale. Secondo il Sostituto procuratore generale, Vladimiro De Nunzio, "in caso di modifiche mediate della legge penale, conseguenti alla successione di norme integrative del precetto penale", l’applicazione dell’art. 2 cp che stabilisce che nessuno può essere punito per un reato abrogato da una legge successiva alla sua commissione, "costituisce una linea di fondo prevalente nella giurisprudenza".

Droghe: Turco; sono d'accordo, mandiamoli a pulire le strade

 

Corriere della Sera, 9 maggio 2007

 

Io smentita da Chiamparino? Non sono mai stata antiproibizionista. La destra si sbaglia. La mia priorità è sostenere una campagna forte e decisa con un unico slogan: "no alle droghe, tutte le droghe". Replica così agli attacchi di chi vorrebbe farla passare come ministro degli spinelli, Livia Turco. Colpa del decreto, poi annullato dal Tar, che aveva raddoppiato la quantità di cannabis da poter tenere in tasca senza rischiare il carcere ed essere assimilato a uno spacciatore.

 

Condivide la posizione del sindaco?

"In pieno. Ma qual è la novità? Questo governo ha sempre percorso strade che conducono verso la prevenzione, il recupero sociale dei tossicodipendenti e la lotta ai trafficanti. In politica, però, contano i messaggi e in questo caso non sfugge l’enfasi sulla proposta di introdurre sanzioni non penali per il consumatore".

 

Meglio infliggere lavori di giardinaggio o pulizia delle strade anziché ritirare la patente?

"Sì, la trovo una scelta simbolicamente più efficace. Il consumatore non è punito con il carcere ma gli si dimostra chiaramente che lo Stato non considera lecito il suo comportamento".

 

Dopo la bocciatura del decreto sulla cannabis il governo ha annunciato un disegno di legge. A che punto è?

"Il lavoro istruttorio procede, coordinato dal ministro Paolo Ferrero. Vogliamo investire su prevenzione e sanzioni amministrative".

Droghe: Chiamparino; basta con l'ipocrisia sulle "dosi minime"

 

Notiziario Aduc, 9 maggio 2007

 

"Mi auguro proprio che adesso questa discussione ci sia". Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino insiste: dopo avere lanciato la proposta di punire i consumatori di droga, che ha sollevato ieri polemiche e divisioni tra i Poli, il sindaco di Torino rilancia su quella che definisce "l’ipocrisia della dose minima".

"Ho visto oggi che la Ministro Turco - spiega dai microfoni di Play Radio - mi ha dato ragione, io vorrei però che per le sostanze considerate pericolose non ci sia nessuna ipocrisia su dosi minime garantite, dosi che portano con se tutta la catena criminale dello spaccio e inviano anche un messaggio profondamente sbagliato, cioè quello di dire: si può fare".

Per Chiamparino "bisogna dare un segnale forte invece, ha insistito Chiamparino, "chi si droga per sballarsi il venerdì e il sabato sera sbaglia e deve essere punito. Non con la galera, ma con delle pene riparative nei confronti della società".

Droghe: Ronconi; quelle di Chiamparino sono parole gravissime

 

Ansa, 9 maggio 2007

 

"Non ci siamo mai accorti che Chiamparino fosse un antiproibizionista, non possiamo dire che Torino abbia sperimentato politiche alternative a quella nazionale": così Susanna Ronconi, presidente di Forum Droghe ed ex membro della Consulta nazionale delle tossicodipendenze, commenta le affermazioni del sindaco di Torino sulla questione droga.

Ronconi, torinese e operatrice da anni nel campo delle tossicodipendenze, ritiene infatti che le città italiane siano "ferme da questo punto di vista, non si prova a governare il fenomeno con strumenti innovativi. Se paragonati ai sindaci di città come Barcellona, Francoforte e Ginevra, quelli italiani non hanno una politica locale sulle droghe, delegano tutto ai Ser.T., non c’è un pensiero originale".

"Ma cosa aspettiamo - si chiede - a metterci attorno a un tavolo e fare un serio ragionamento?". In secondo luogo, secondo Ronconi "Chiamparino confonde la causa con l’effetto: dice che serve una legge più repressiva, ma l’Italia in questo momento ha la legge più repressiva d’Europa, e d’altronde sono decenni che si risponde al consumo di droghe con la legge penale. E il fatto che esista un mercato nero e dei consumatori clandestini è l’esito di questa scelta politica. Occorre fare un bilancio e decidere che così possiamo solo peggiorare la situazione".

Infine, Ronconi definisce "gravissimo" il fatto che il sindaco di Torino se la prenda con i consumatori cosiddetti integrati: "punire queste persone è contro qualsiasi cultura del diritto, perché il consumo individuale è un diritto della persona e non fa danno a terzi". "È imbarazzante che a dirlo sia una persona di sinistra. Se noi puniamo i consumatori socialmente integrati, facciamo un danno pazzesco perché saremmo noi, in questo modo, a creare dei delinquenti. Non capisco - conclude - chi se ne potrebbe avvantaggiare".

Droghe: allora stavamo meglio... quando stavamo peggio?!

di Pietro Yates Moretti (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 9 maggio 2007

 

Siamo al paradosso: Carlo Giovanardi difende la depenalizzazione del consumo dagli attacchi di una maggioranza che aveva chiesto i voti degli italiani impegnandosi appunto a depenalizzare il consumo di droga e a rivedere la legge Fini-Giovanardi, una delle più repressive nel mondo occidentale. Non solo, in un anno dal suo insediamento esso non ha modificato una virgola di quella legge, ma ora il ministro della Salute - evidentemente ispirata dalla svolta neo-giustizialista del sindaco di Torino - parla addirittura di inasprire le punizioni per il consumo.

Ricordiamo al ministro Livia Turco che il consumo è già punito con pesanti sanzioni amministrative e spesso, a causa delle rigide tabelle sulle minime quantità, anche con il carcere da 6 a 20 anni. Basta infatti superare di poco il limite minimo dell’ingrediente attivo nella sostanza illecita, impossibile da individuare senza un laboratorio chimico portatile, per essere condannato alla stregua di uno spacciatore. Cosa fa più male alla società e all’individuo, qualche spinello, o anni di imprigionamento?

Fino ad ora l’azione di Governo in materia di droga era quella dell’incapace buono a nulla. Oggi sembra entrare in una nuova, e ben più pericolosa fase: quella dell’incapace pronto a tutto. In materia di tossicodipendenze il Governo ha prodotto solo proposte estremiste e dannose: divieto della pubblicità dell’alcool, sanzioni arbitrarie previste nel ddl sulla sicurezza stradale per chi è sospettato di guida sotto l’influenza di droghe, ed ora la criminalizzazione del consumo. Vien proprio da dire che si stava meglio quando si stava peggio.

Polonia: triplicati in un anno i detenuti al lavoro esterno

 

Ansa, 9 maggio 2007

 

Sempre più ricercata in Polonia la manodopera dei detenuti che prestano lavoro: 5.000 di essi lavorano presso società o aziende esterne e altri 14.000 all’interno dei carceri. Lo ha scritto oggi il giornale "Rzeczpospolita" ricordando che il numero totale dei detenuti in Polonia è 91.000 di cui 76.000 già condannati.

Un anno fa il numero dei detenuti che lavoravano presso società esterne era 1.664. Secondo il quotidiano, il loro lavoro è ricercato perché costa molto meno. Per "Rzeczpospolita" un detenuto che lavora guadagna in Polonia 468 zloty al mese (126 euro) mentre un operaio libero che fa lo stesso lavoro fino a 2.000 zloty (540 euro).

Secondo i dati distribuiti oggi dal ministro del lavoro Anna Kalata, nel 2006 i polacchi emigrati per lavorare all’estero sono stati 800.000. Nello stesso anno 521.000 persone hanno trovato un posto di lavoro nel proprio paese. Nel 2006 il tasso di crescita in Polonia era del 6,1%. La disoccupazione è in calo e nell’aprile scorso era del 13,7%.

 

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva