Rassegna stampa 15 maggio

 

Giustizia: le prigioni d’Italia dopo un anno di governo

 

Liberazione, 15 maggio 2007

 

Luci e ombre del sistema dopo la misura che ha estinto la pena per 13mila persone. Arriva il Garante ma molti istituti non rispettano i regolamenti. Un Dossier di Prc e Antigone.

Un’occasione per fare il punto, per analizzare e approfondire lo stato delle carceri nel dopo indulto. Lo ha fatto ieri rifondazione comunista organizzando un dibattito dal titolo esplicito: "Carcere e pena dopo un anno di governo". Presenti Giuliano Pisapia, Graziella Mascia, Imma Barbarossa; Arturo Salerni, Daniele Farina, Susanna Marietti di Antigone e Luigi Nieri.

Un dibattito inevitabilmente "viziato" dalle recenti campagne mediatiche inneggianti alla sicurezza e alla tolleranza zero - alla quale, secondo lo stesso Pisapia, bisogna contrapporre "informazione, informazione, informazione" - e che ciò nonostante è riuscito ad offrire un quadro completo sullo stato degli istituti penitenziari nel nostro paese.

Sul tavolo tante questioni: il rispetto dei regolamenti penitenziari - sui 23 istituti oggetto di osservazione nessuno rispetta integralmente il regolamento; l’assistenza sanitaria - si registra un uso massiccio di psicofarmaci; i dati sull’indulto, dai quali si ricava un sostanziale successo visto che, un numero su tutti, solo il 12% dei beneficiari hanno commesso nuovi reati; infine la questione del garante per i diritti dei detenuti che, grazie al lavoro di Graziella Mascia, Daniele Farina e Mercedes Frias è arrivato finalmente in parlamento. "Un Garante - ha spiegato la stessa Mascia - che sarà un collegio di cinque persone e tutte di nomina parlamentare, potrà entrare in tutti i settori del carcere in ogni ora del giorno e della notte, non avrà l’obbligo di essere accompagnato da agenti o direttori, e potrà avere colloqui riservati con i detenuti ma anche con gli agenti penitenziari".

Su tutto la questione della depenalizzazione dei reati. Dopo l’indulto, che ha portato ad una situazione quantomeno vivibile le carceri italiane, il nodo di fondo da risolvere, il nodo senza il quale l’indulto stesso sarebbe vanificato, è proprio quello relativo alla riforma del sistema penale. Un lavoro questo coordinato dallo stesso Giuliano Pisapia in qualità di presidente della commissione di riforma del codice penale. Un modo per restringere sempre più l’ambito della punibilità penale onde evitare il nuovo riempimento degli istituti di pena. Un carcere che deve quindi diventare extrema ratio.

Inevitabili i riferimenti a due leggi ancora in vigore: la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. Due leggi che hanno riempito e continuano a riempire gli istituti di pena. Dunque depenalizzazione di tutte le pratiche di consumo e depenalizzazione di tutto ciò che riguarda la condizione giuridica dello straniero.

Ma sono anche altre le riforme da fare: l’introduzione del crimine di tortura nel codice penale, il nuovo ordinamento penitenziario per i minori, l’esclusione dal circuito carcerario dei bambini figli di madri detenute, l’applicazione piena e incondizionata del Regolamento di esecuzione entrato in vigore il 20 settembre del 2000 ed il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.

Giustizia: la legalità è il contenitore formale della democrazia

di Patrizio Gonnella (Antigone) e Luigi Nieri (Assessore al Bilancio Regione Lazio)

 

Liberazione, 7 maggio 2007

 

Il dibattito sul tema della legalità, dell’immigrazione e della sicurezza ci induce ad alcune riflessioni.

1) La legalità è sicuramente un valore. In uno stato costituzionale di diritto muoversi nel rispetto della legge significa accettare regole condivise democraticamente. La legalità comprende però in sé anche la critica alla legalità, altrimenti significa supina e passiva accettazione di un contenitore formale di norme. La critica alla legalità può portare fino a pratiche di disobbedienza qualora nasca un contrasto, un dissidio insolubile tra valori fondamentali. Sono queste le regole della obiezione di coscienza. La disobbedienza comporta che siano accettate le conseguenze della propria azione.

La tragedia di Antigone è la metafora del conflitto tra giustizia e legalità. Non tutto ciò che è legale è anche giusto. Un esempio a riguardo è proprio la legge sull’immigrazione, tema che ha ispirato il dibattito su Repubblica. Quella legge è una legge dello Stato. Quella legge tratta le persone immigrate molto male, a prescindere dal reato commesso. Anzi le getta nei circuiti della clandestinità rendendo impossibile la vita legale dello straniero. Ecco la contraddizione. Rispettare la legge sino in fondo in quel caso significa costringere donne e uomini a scegliere circuiti illegali, gettarli nella illegalità. Quella legge si pone in contrasto con il buon senso, con i diritti umani, con altri valori costituzionalmente protetti. Chi mai direbbe che una persona che assume e accoglie in casa una badante clandestina sta compiendo un’azione ingiusta? Ciò non significa che possiamo sceglierci arbitrariamente le leggi da rispettare e quelle da violare. Significa però che la legalità non è un totem. La legalità è il contenitore formale della democrazia. Va rispettato e, se mal gestito, criticato. Se usato contro la democrazia va contrastato.

2) La legalità e la sicurezza sono due cose ben distinte. Vengono comunemente considerate come se fossero la stessa cosa. Non è così. Si pensi ai voli Cia, al sequestro di Abu Omar, alle pratiche della tortura ad Abu Ghraib o a Guantanamo, alle intercettazioni telefoniche illegittime, alle violenze al G8 di Genova. Nel nome di una presunta sicurezza, la legalità in questi casi è stata tragicamente violata. C’è chi invoca la sicurezza - a sinistra - come se fosse la nuova questione morale. C’è chi la contrappone - a destra - alla solidarietà. Chi vorrebbe urlare "più manette per tutti" ma, essendo politically uncorrect, è costretto a invocare la legalità. Le legalità però è un’altra cosa.

Al diritto alla sicurezza, diceva Alessandro Baratta, padre della sociologia critica, va contrapposta la sicurezza dei diritti. Negli anni settanta avevamo gli assessorati alla sicurezza sociale. Oggi abbiamo gli assessorati alla sicurezza. È questa una evoluzione o un segno deteriore di una politica che rincorre gli umori della piazza? Nelle carceri italiane ci sono molti stranieri (il 35% del totale della popolazione detenuta). Sommati ai meridionali raggiungono i tre quarti del numero complessivo di detenuti. È questo segno di una loro maggiore propensione a delinquere o di una drammatica anti-moderna sovrapposizione tra questione penale e questione sociale? In quelle stesse carceri è rimasta carta straccia un regolamento approvato con decreto del capo dello stato nel 2000. Prevedeva standard di vita migliori per chi vive in condizione reclusa. Nessuno si indigna che le carceri versino nell’illegalità formale, giustificata di sovente invocando oscure esigenze di sicurezza.

3) Il rispetto della legge non è di sinistra o di destra. La legalità, essendo il contenitore della democrazia, dovrebbe essere il terreno comune di tutti. Le distinzioni tra sinistra riformista e destra si ritrovano invece tutte sul solo terreno della efficienza dell’organizzazione, del buon governo o proprio della legalità. È sufficiente questo per distinguere destra e sinistra? Le distinzioni tra destra e sinistra radicale sono invece molto più profonde e vanno a toccare al cuore tutti i grandi temi storici, filosofici, etici, politici, economici dell’oggi.

4) È giusto assicurare la vita serena delle persone. Non lo si fa però minacciando pene severe. La lezione di Beccaria è un’altra. Lo si fa con l’efficienza della giustizia, la rapidità della risposta, l’ascolto delle vittime, la mitezza delle pene, l’inclusione sociale. Il Presidente della Repubblica, ieri in visita a Rebibbia, lo ha esplicitamente ricordato.

Uepe e Polizia Penitenziaria: il confronto è stato rimandato

 

Blog di solidarietà, 15 maggio 2007

 

Polizia penitenziaria e misure alternative: interrotto il confronto tra Amministrazione Penitenziaria e Sindacati.

Al termine dell’incontro tra Dap e Sindacati, tenutosi nel pomeriggio di ieri, sulla sperimentazione del nucleo della polizia penitenziaria negli uffici dell’esecuzione penale esterna (Uepe), con il ruolo di controllo nelle Misure Alternative, l’Amministrazione Penitenziaria, tenuto conto del dissenso esistente su tale proposta, della mobilitazione degli Assistenti Sociali di quasi tutti gli Uepe presenti sul territorio nazionale, del volontariato, di alcuni sindacati, della magistratura, nonché delle osservazioni formulate in tale sede e della necessità di una più attenta riflessione, ha comunicato il rinvio della discussione a data da definire. Il moltiplicarsi delle dichiarazioni di dissenso all’idea del ministro Mastella, diffuse dal blog di solidarietà degli assistenti sociali (www.solidarietaasmilano.blogspot.com), ha prodotto un primo importantissimo risultato: la sospensione di ogni decisione in merito alla sperimentazione prevista dalla proposta di Decreto del ministro Mastella.

Uepe e Polizia Penitenziaria: Uil; avanti, ma confronto difficile

 

Blog di solidarietà, 15 maggio 2007

 

Si è tenuto ieri pomeriggio l’incontro tra Dap e OO.SS. (Comparto Ministeri e Comparto Sicurezza) per un confronto sulla bozza di Decreto per l’istituzione, in via sperimentale, dei Nuclei di Verifica presso gli Uepe. Il Vice Capo del Dap, Di Somma, ha illustrato a grandi linee le motivazioni che hanno indotto il Dap alla proposta, tra le quali l’esigenza di garantire i controlli che (anche a detta della Magistratura di Sorveglianza) oggi sono insufficienti se non addirittura inesistenti.

La Uil-Penitenziari nel proprio intervento ha, in premessa, espresso il proprio disappunto "sulla levata di scudi di tanti operatori Uepe rispetto ad una proposta che nulla toglie ai loro meriti e compiti ma che realizza una previsione normativa dei compiti istituzionali del Corpo… d’altro canto già gli ex Agenti di Custodia provvedevano al controllo dei detenuti ammessi all’art. 21…".

Il Segretario Generale, Eugenio Sarno, ha altresì ripreso uno scritto elaborato dal Dr. Margara (ex capo del Dap) rilevando come lo stesso sia, a suo parere, immotivatamente pregiudizievole rispetto alla possibilità che la polizia penitenziaria eserciti funzioni di controllo sulle persone ammesse a regime di esecuzione penale esterna".

Il Presidente Margara è parte della storia di questa Amministrazione anche se non ha contribuito significativamente a scriverla con la sua gestione… non è possibile pensare che quando la polizia penitenziaria svolge compiti di autista, usciere, dattilografo, ecc. negli Uepe non crea problemi e quando, invece, deve assolvere a compiti definiti dalla legge questi problemi si creino…".

La Uil ha ribadito la propria convinzione che l’istituzione dei Nuclei di Verifica sia propedeutica ad innalzare i livelli di sicurezza per l’intera collettività sottolinenando come " lo stesso Ministro ha più volte, in ultimo l’8 maggio di fronte al capo dello Stato, espresso l’auspicio che la polizia penitenziaria assuma tali compiti…". Nel merito delle proposta avanzata dal Dap la Uil ha rammentato di aver inoltrato una controproposta tendente a correggere/rimodulare alcuni aspetti.

"La nostra proposta tende a definire percorsi di accesso del personale trasparenti a garanzia delle pari opportunità" , Sarno ha anche rimarcato che " il personale sarà deputato a compiti di controllo, quindi a compiti di polizia, pertanto non ravvediamo alcuna necessità di corsi di formazione. La polizia penitenziaria ha già l’adeguata professionalità per svolgere tali compiti…".

Sulla gestione dei Nuclei di verifica la Uil ha dichiarato la propria contrarietà che essi siano gestiti dai Dirigenti degli Uepe "…noi pensiamo ai Commissariati provinciali ma in prima battuta, per la fase sperimentale, i Nuclei possono essere coordinati dall’Ufficio Sicurezza dei Prap… solo così realizzeremo quella catena di comando interna al Corpo che noi auspichiamo…" . Il Dr. Di Somma a conclusione della riunione ha comunicato che l’Amministrazione valuterà nel merito le proposte alternative avanzate da alcune O.S. (tra cui la Uil) e che provvederà a convocare un nuovo incontro sottolineando che "….non capisco i dubbi, la sorpresa, le perplessità, in fondo stiamo facendo qualcosa che è già scritto nelle leggi…".

Uepe e Polizia Penitenziaria: comunicato stampa dell'Osapp

 

Blog di solidarietà, 15 maggio 2007

 

Si è svolto ieri pomeriggio al Dap il previsto incontro tra l’Amministrazione e le OO.SS. (del Comparto Sicurezza e del Comparto Ministeri) sulla partecipazione della Polizia Penitenziaria agli Uffici Uepe (ex Cssa) e l’istituzione dei c.d. Nuclei di Verifica.

Ferme restando le polemiche dei giorni precedenti a cui volutamente l’Osapp si è sottratto per non gettare benzina sul fuoco rispetto ad un discorso che è di estrema importanza per il futuro della Polizia Penitenziaria, le posizioni espresse dalle OO.SS. sono risultate, in sintesi, di due tipi.

Assolutamente contraria la posizione di un numero minoritario di Sindacati rappresentativi del Personale del Comparto Ministeri e favorevole con vari distinguo, di maggiore o minore portata, la posizione delle altre OO.SS.. La posizione dell’Osapp, in particolare, è stata quella di dirsi favorevole al progetto in generale ma di non condividere l’eccessiva genericità di previsioni nel testo del provvedimento per quanto riguarda:

i rapporti con le altre Forze di Polizia di cui, se il progetto ha un senso, il Corpo quando impiegato negli Uepe, dovrebbe assumere pienamente le funzioni , al fine di evitare "duplicazioni";

gli organici impiegabili, per i quali benché si possa al momento prevedere un minimo impatto a livello periferico, è urgente che la Parte Politica assuma una volta per tutte precisi impegni, tenuto conto che da almeno 15 anni la Polizia Penitenziaria ottiene esclusivamente assunzioni in "soprannumero" e riassorbibili, come nell’ultimo caso degli ex ausiliari e mai un incremento effettivo. Esclusa da parte dell’Osapp la possibilità, come richiesto da qualcuno, che possano impiegarsi gli attuali N.T.P. già oberati di incarichi e il più delle volte "sotto scorta";

le procedure di individuazione del Personale, che devono essere al massimo trasparenti e partecipate mediante un più diretto rapporto tra Amministrazione e OO.SS..

Ulteriori motivi di perplessità, poi, secondo l’Osapp, hanno riguardato la scarsa chiarezza sui Vertici (Ufficiali r.e., Commissari o Ispettori?) dei vari Nuclei e Coordinamenti, il fatto che, addirittura le attività di controllo demandate alla Polizia Penitenziaria dovrebbero avere luogo senza alcuna spesa di missione (solo nel Comune) ed infine che la c.d. sperimentazione di 6 mesi avrebbe luogo in un’unica regione, la Campania, secondo una volontà che più che intesa ad attribuire al Corpo nuove e più opportune funzioni potrebbe riguardare la "necessità" di impiego definitivo delle decine e decine di unità al momento colà distaccate a tempo indeterminato. Al termine dell’incontro, l’Amministrazione, tenuto conto delle osservazioni formulate e nella necessità di una riflessione e di un più diretto coinvolgimento dell’Autorità Politica, ha comunicato il rinvio della discussione ad un nuovo e prossimo incontro.

Liguria: il Sappe incontra il Sottosegretario Luigi Manconi

 

Comunicato stampa, 15 maggio 2007

 

Questa mattina, presso il Ministero della Giustizia in via Arenula a Roma, una delegazione ligure del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Corpo con 12mila iscritti (più di 600 dei quali in servizio negli Istituti e servizi penitenziari della Liguria), ha incontrato il Sottosegretario di Stato con delega sulla materia prof. Luigi Manconi.

La delegazione del Sappe era composta dal Segretario Generale aggiunto e Coordinatore regionale per la Liguria Roberto Martinelli, dal vice Segretario regionale Cosimo Galluzzo, dal Segretario Provinciale di Genova Antonio Martucci e dai Segretari sindacali del carcere di Genova Marassi Antonio Abbinante e Salvatore Cocco.

L’incontro era stato concordato nei giorni scorsi, dopo che il Sappe aveva sospeso la pubblica manifestazione in programma sabato 28 aprile (in occasione della visita, poi revocata, del Ministro della Giustizia Mastella al penitenziario genovese) organizzata per denunciare le gravi carenze di organico di Personale di Polizia nelle 7 carceri regionali.

Al Sottosegretario Manconi i sindacalisti del Sappe hanno rappresentato, cifre alla mano, i gravi disagi che quotidianamente i poliziotti penitenziari devono affrontare per effetto della grave carenza di Personale.

Alla data del 30 aprile 2007, infatti, fronte di un organico previsto di 1.264 unità (1.164 uomini e 100 donne), sono amministrate (presenti, cioè, sulla carta) 1.021 poliziotti mentre la forza effettivamente operante è pari a 891 unità. Ciò vuol dire che, in Liguria, si lavora con quasi 400 unità di Polizia Penitenziaria in meno.

L’ordinario numero di ingressi quotidiani in carcere, in assenza di interventi strutturali sull’esecuzione della pena, ha praticamente già esaurito gli effetti dell’indulto, per effetto del quale sono stati scarcerati 848 detenuti (170 dei quali sono stati riarrestati),

Oggi infatti, nelle sette carceri liguri, rispetto a una capienza regolamentare di 1.140 posti sono già presenti 974 detenuti. Per sottolineare il trend in crescita, basti considerare che con l’effetto indulto le presenze dei detenuti in Liguria si erano attestate intorno alle 740 presenze.

E ciò nonostante, continuano ad arrivare, dal Ministero, anziché rinforzi, provvedimenti beffa di trasferimento temporaneo di alcuni dei pochi agenti rimasti per "potenziare" (!) presidi del Centro-Sud Italia. Come, ad esempio, i varchi d’accesso del Palazzo di Giustizia di Roma, la squadra di calcio dell’Astrea, l’Istituto per minorenni di Firenze o addirittura il Gruppo Operativo Mobile, che dovrebbe rappresentare l’èlite del Corpo ma a cui continuano ad essere aggregate unità di Polizia Penitenziaria senza alcuna esperienza professionale, scelte non si sa in base a quali criteri, visto che da anni non viene fatto nessun interpello trasparente per l’assegnazione del Personale.

E al danno si aggiunge la beffa, visto che i destinatari di questi provvedimenti sono quasi sempre persone con pochi anni di servizio, mentre colleghi più anziani e con gravi problemi familiari non riescono ad ottenere un provvedimento di distacco temporaneo o un trasferimento in altre sedi penitenziarie, fattispecie per altro previste dal nostro Contratto di lavoro. Il Sappe ha voluto sottolineare che non intende affatto contestare i distacchi per art. 7 del Contratto (assegnazioni temporanee per gravissimi motivi di carattere familiare), per legge 104/92 (assistenza familiari disabili) e/o per mandato elettorale.

Per fronteggiare questa allarmante situazione, la delegazione del Sappe ha chiesto al Sottosegretario Manconi l’assegnazione in Liguria di un congruo numero di Agenti già ausiliari che prossimamente saranno inviati a frequentare il corso di formazione e, ribadendo che non intende affatto contestare i distacchi per art. 7 del Contratto (assegnazioni temporanee per gravissimi motivi di carattere familiare), per legge 104/92 (assistenza familiari disabili) e/o per mandato elettorale, hanno chiesto la revoca di tutti gli altri provvedimenti di distacco disposti al di fuori di tali fattispecie.

Il Sottosegretario Manconi, da parte sua, ha assicurato la delegazione del Sappe che oggi stesso "un minuto dopo il nostro incontro, attiverò ogni provvedimento nelle mie competenze per interessarmi presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Provveditorato Regionale della Liguria sulle problematiche che il Sindacato Autonomo, con estrema concretezza, mi ha sottoposto. Certamente chiederò lumi sui provvedimenti di distacco ministeriale disposti in favore con gravissimi problemi di carattere familiare e "bloccati" dal Provveditore ligure nonché su quelli attualmente in atto. E concordo sulla richiesta sindacale di assegnare nuovi Agenti tra quelli neo-assunti per le esigenze della Liguria". Il Sappe, che si ritiene al momento moderatamente soddisfatto, ha auspicato quanto prima l’adozione di concreti provvedimenti ministeriali per risolvere la grave carenza di Personale di Polizia Penitenziaria in Liguria.

Milano: a San Vittore inchiesta sui bisogni dei detenuti

 

Il Giornale, 15 maggio 2007

 

A S. Vittore si parla sempre meno italiano. Lo dicono i numeri: delle 2mila742 persone transitate nella casa circondariale durante il 2006 ben 1.802 sono straniere, contro le 940 italiane. Praticamente il doppio. Marocchini, romeni, tunisini e albanesi rappresentano la maggioranza dei detenuti del carcere che attualmente ospita 1.214 uomini e 92 donne (circa 600 unità in meno rispetto a un anno fa, per effetto dell’indulto della scorsa estate), di cui il 60 per cento proveniente dall’estero.

I dati risultano dallo studio effettuato dalla direzione del penitenziario nell’ambito dell’iniziativa "Incontro ai bisogni - Enti in rete" realizzata dall’associazione Banca telematica della solidarietà, con il sostegno della Regione Lombardia e in collaborazione con la Sesta opera S. Fedele. Un progetto senza scopo di lucro (di cui l’attore comico Leonardo Manera è il testimonial d’eccezione) partito l’anno scorso con il fine di consegnare ai detenuti di S. Vittore - e di altre tre carceri lombarde - beni materiali in eccedenza presso aziende.

Dai prodotti per l’igiene all’abbigliamento, dagli alimentari alla cancelleria. Insomma, tutto ciò di cui la popolazione carceraria ha bisogno e in prigione scarseggia, vuoi per il sovraffollamento vuoi per le restrizioni previste dai regolamenti interni. La scelta dei prodotti da recapitare ai detenuti non è stata affidata al caso. Le necessità sono emerse da un questionario compilato da circa 200 carcerati. La Banca telematica della solidarietà ha poi agito di conseguenza, raccogliendo e smistando a S. Vittore beni per un valore vicino ai 70mila euro.

L’eterogeneità dei detenuti, diversi per origine, gusti e tradizioni, ha complicato non poco la situazione all’interno di S. Vittore. C’è chi per esempio non mangia alcuni cibi per motivi religiosi, ma non può scegliere un menù alternativo. Oppure chi ha bisogni particolari che non trovano riscontri nel materiale messo a disposizione dal personale (il cosiddetto kit, previsto per legge). Spesso poi chi arriva in carcere non possiede altro che ciò che indossa e non ha famigliari in Italia a cui rivolgersi per procurarsi indumenti o altro. Risulta così fondamentale il contributo fornito dai volontari e dalle associazioni non profit che operano nei penitenziari, come riconosciuto dalla stessa direttrice di S. Vittore, Gloria Manzelli.

Padova: assumere i detenuti, opportunità per le aziende

 

Padova News, 15 maggio 2007

 

516,46 euro mensili di credito d’imposta per detenuti e internati in regime di lavoro esterno e una riduzione dell’80% dei contributi per l’assicurazione obbligatoria previdenziale e assistenziale per lavoro intramurario.

Questi sono alcuni dei contributi a disposizione dell’imprenditore che assuma detenuti e internati per attività produttive e di servizi, anche con contratto a tempo parziale.

Queste opportunità, sancite dalla Legge Smuraglia (193/2000) e dal successivo decreto interministeriale (87/2002), non definivano però chiaramente le garanzie di cui è necessario disporre operando con detenuti e in assenza delle quali l’imprenditore rinuncia volentieri a qualsiasi beneficio.

A questa lacuna sopperisce l’ordinamento penitenziario che attraverso l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, Uepe, emanazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, assiste imprenditore e detenuto nel processo di inserimento e nel corso dell’attività lavorativa. Il detenuto viene infatti preso in carico da un assistente sociale che sarà il riferimento dell’imprenditore per qualsiasi problematica di gestione della risorsa umana in stato di detenzione.

A noi imprenditori è a questo punto richiesto lo sforzo di non vedere nel detenuto solo una persona di estrazione e cultura bassa o medio-bassa. In carcere si ritrovano anche persone di istruzione elevata, in grado di portare contributi aggiornati rispetto alle attuali esigenze delle aziende.

Non va infine sottovalutato l’aspetto di ricaduta sociale cui anche noi imprenditori dobbiamo concorrere: la recidiva nella commissione di reati commessi da ex carcerati non beneficiati di un percorso di reinserimento socio-lavorativo è di circa il 70%; si riduce al 18% per chi ha fruito di programmi di recupero e integrazione sociale. Questi dati mi provengono dal direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Padova e Rovigo Leonardo Signorelli, col quale ho avuto il piacere di un recente incontro. L’esecuzione penale esterna è ritenuta dal Ministero della Giustizia, dati alla mano, "il miglior compromesso fra la finalità punitiva e quella rieducativa della pena", sancite dalla Costituzione. L’ufficio Uepe si trova a Padova in Viale della Navigazione Interna 38/A. Il telefono è 049.7811911, il fax 049.8076902, l’e-mail cssa.padova@giustizia.it. Indirizzo e-mail protetto dal bots spam, deve abilitare Javascript per vederlo. Non credo sia casuale la localizzazione dell’Uepe all’interno della ZIP. Credo, piuttosto, si tratti di un invito.

 

Roberto Rovoletto, Presidente GIZIP

Gruppo Imprenditori della Zona Industriale di Padova

Verona: carcere sovraffollato, ma c’è un po’ di lavoro in più

 

L’Arena di Verona, 15 maggio 2007

 

Sono decisi a tenere monitorata la situazione della casa circondariale di Montorio, per questo periodicamente il deputato di Rifondazione comunista Tiziana Valpiana e il consigliere comunale uscente Fiorenzo Fasoli anche ieri sono stati a Montorio. "Attualmente ci sono 580 detenuti maschi e 45 femmine", ha detto Fasoli, "il 70% sono immigrati e condannati per furto, droga e prostituzione. Siamo preoccupati perché la popolazione carceraria sta salendo di nuovo, ma soltanto 10 detenuti ora in carcere avevano usufruito dell’indulto". Il sovraffollamento resta il problema maggiore, visto che in cella ci sono tre o quattro detenuti a stanza.

Una nota positiva, ha ribadito Fasoli, è che la cooperativa "Lavoro e futuro" ha già assunto 23 detenuti e altri sette li assumerà entro fine mese. Lavoreranno nella costruzione di rastrelliere porta biciclette, pannelli con vetri e quarzi e nella fabbricazione di contenitori per magazzino. Secondo quanto rilevato da Fasoli, la situazione del personale è positiva al maschile mentre è carente al femminile così che se qualche agente penitenziaria si ammala la situazione va subito in emergenza. Il consigliere ha sottolineato che la condizione in carcere è migliorata grazie alla presenza costante di un direttore che prima invece si doveva dividere tra più sedi.

Como: le detenute protestano; non vogliamo Rosa Bazzi

 

Quotidiano Nazionale, 15 maggio 2007

 

Protestano e battono contro le sbarre delle celle le detenute del carcere Bassone di Como: non vogliono che in quel penitenziario resti un minuto di più Rosa Bazzi, rea confessa della strage di Erba compiuta assieme al marito Olindo Romano. La protesta - secondo quanto si è appreso - è scattata nel primo pomeriggio, ed è stata la reazione alle lacrime della donna che con il marito, l’11 dicembre 2006, massacrò Raffaella Castagna, il figlio di 2 anni Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.

Dalla tv Rosa Bazzi è venuta a sapere quanto riportato oggi da un quotidiano, e cioè che suo padre non ne vuole più sapere niente di lei. Sempre dalla tv, la scorsa settimana, la donna aveva appreso la notizia della morte di sua madre. Oggi è scoppiata in lacrime, nella cella singola dove si trova dal 9 gennaio scorso, quando è stata arrestata. Il suo pianto è stato udito dalle detenute vicine di cella che hanno cominciato ad inveire, accusando il personale penitenziario di avere troppi riguardi nei suoi confronti.

Rosa Bazzi è in isolamento e guardata a vista. I suoi spostamenti all’interno del carcere sarebbero organizzati in modo tale da non farla entrare in contatto con le altre detenute. Oltre al prete, l’educatore, lo psichiatra e l’ avvocato, non vede nessun’altro. Solo il giovedì, per un’ora, può incontrarsi con il marito, anche lui detenuto nel carcere di Como. Il legame tra i due coniugi sarebbe sempre molto intenso. Tanto che i due avrebbero chiesto una cella "matrimoniale".

Reggio Emilia: in carcere un ciclo lezioni sulla Costituzione

 

Emilia Net, 15 maggio 2007

 

Prende il via domani, 15 maggio alle 14.30, all’interno della Casa Circondariale di Reggio Emilia, un ciclo di lezioni sulla Costituzione tenute da storici dell’Istituto per la storia della Resistenza e della Società contemporanea di Reggio Emilia (Istoreco) e da autorevoli personalità della cultura reggiana. Il progetto - che rinnova la collaborazione tra Istoreco e la Direzione della Casa Circondariale già felicemente sperimentata esattamente due anni fa sul tema della Resistenza - prevede una serie d’incontri che mirano ad illustrare ed approfondire i contenuti della Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e dalla guerra di liberazione nazionale 1943-1945.

Se il ciclo precedente ha permesso di dipingere un affresco generale della storia della liberazione, raffigurante il difficile cammino della società italiana dalla guerra alla sospirata pace fino alla Repubblica e alla Costituzione, questo secondo ciclo di conferenze consentirà ai detenuti-allievi di conoscere non solo le varie tappe istituzionali che consentirono il varo della Costituzione, il 1° gennaio 1948, ma anche le sue successive modifiche e i diritti e i doveri dei cittadini in essa contenuti. Un approccio interdisciplinare che unisce storia ed educazione civica. I temi, per costruire un "lessico civile" atto a rafforzare il legame fra cittadini e istituzioni democratiche, saranno, dunque, la Resistenza, da cui nacque la Costituzione, la questione femminile, i Costituenti e la Costituzione. La prima lezione, tenuta dal prof. Capitani, ha come tema "Dalla Resistenza alla Costituente" seguiranno, il 17 maggio, quelle dell’avv. Giovanna Fava "Il voto alle donne e la questione femminile nella Costituzione e nelle leggi seguenti"; il 22 maggio, del dott. Mirco Carrattieri "I lavori e i protagonisti dell’Assemblea costituente"; il 29 maggio, dell’on. avv. Antonio Soda "La Costituzione del 1948 e le successive modifiche". Il ciclo si concluderà il 5 giugno con la lezione del dott. Francesco Palella "I diritti e i doveri dei cittadini nella Costituzione repubblicana".

Firenze: a Sollicciano arriva la prevenzione cardiologica

 

Ansa, 15 maggio 2007

 

È il progetto pilota promosso dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) e dalla sua Fondazione, la Heart Care Foundation, che hanno avviato la prima Campagna Nazionale di Prevenzione ed Educazione Cardiovascolare negli Istituti Penitenziari in Italia. L’ avvio è il 18 maggio contemporaneamente in Toscana, Marche e Liguria. Il programma, informa una nota, prevede una giornata di incontri e corsi tenuti dai cardiologi ospedalieri presso la Casa Circondariale di Sollicciano a Firenze.

Ogni anno, spiegano gli organizzatori, numerosi detenuti muoiono in carcere e alcuni di questi decessi sono dovuti a cause cardiovascolari, ad esempio un arresto cardiaco. "La popolazione carceraria - spiega Francesco Bovenzi, Presidente Regionale Anmco Toscana e Direttore della Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale Campo di Marte di Lucca - é peculiare per il suo rapido mutamento e negli ultimi dieci anni ha visto accrescersi la percentuale di migranti rispetto alla popolazione italiana generale. In carcere convivono diverse etnie e culture, per questo risulta difficile stimare il rischio cardiovascolare dei detenuti. Negli istituti di pena è arduo correggere lo stile di vita: l’attività fisica non è incoraggiata, la dieta può non essere adeguata, il fumo è diffusissimo. Se a questo aggiungiamo i fattori di rischio individuali, come l’ipertensione arteriosa, le dislipidemie, o il diabete, il carico di stress che i detenuti sostengono ogni giorno e il fatto che in molti casi si tratta di soggetti che provengono da un forte disagio sociale con una condotta di vita disastrata, si comprende quanto sia opportuno intervenire con un progetto educativo per la salute del cuore dei carcerati".

Scopo dell’iniziativa Anmco e Heart Care Foundation è fornire ai detenuti elementi e supporto per prevenire e curare le malattie cardiovascolari ed addestrare il personale di Polizia Penitenziaria alla gestione delle emergenze cardiovascolari. La giornata sarà scandita da due momenti distinti, spiega Giuseppe Fradella, Coordinatore Regionale dell’iniziativa per la Toscana e Cardiologo presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. Al mattino, dalle 10 alle 13, i cardiologi tratteranno i temi relativi ai fattori di rischio cardiocircolatorio e illustreranno le manovre di primo soccorso spiegando come attivare il sistema di emergenza in modo corretto.

All’incontro parteciperanno i detenuti e il personale di polizia penitenziaria; seguirà una tavola rotonda cui prenderanno parte anche personalità del Ministero della Giustizia, esperti della sanità cittadina e Associazioni di tutela. Nel pomeriggio istruttori Anmco terranno un corso teorico-pratico di gestione dell’emergenza basato sulle manovre di rianimazione cardiopolmonare e sull’uso dei defibrillatori semiautomatici, destinato al personale di polizia penitenziaria che, dopo una valutazione finale, otterrà un certificato di superamento del corso". Alla luce dei risultati di questa fase pilota potrebbe prendere l’avvio una vera e propria cascata formativa che i Cardiologi dell’Anmco sono pronti ad attivare insieme al Ministero di Giustizia e alla Amministrazione Penitenziaria.

Padova: il "Team Due Palazzi", la pallavolo dal carcere

 

Il Gazzettino, 15 maggio 2007

 

C’è una squadra davvero particolare tra quelle che partecipano al torneo provinciale Primavera di volley Csi. Gioca sempre in casa e gli avversari quando arrivano sono anche un po’ impauriti: la squadra è il Team Due Palazzi ed è composta da una quindicina di detenuti della sezione Alta Sicurezza del carcere padovano. Dopo i corsi di arbitro e allenatore, organizzati dall’associazione Tangram, gli incontri con il Sempre Volley di Pupo Dall’Olio e Gigi Schiavon, questa volta i tecnici Michela Gamba e Fabio Baldin hanno coinvolto i loro giocatori in un vero torneo, dove in palio ci sono i tre punti.

Per Diego, calabrese capitano della squadra, la partita con Cadoneghe è stata l’ultima: per lui la pena è finita e dopo quattordici anni torna alla vita normale. "Mi sforzo di continuare a pensare in positivo anche dopo essere stato quattordici anni in galera e assolto due volte racconta - È la mia indole onesta che mi fa pensare così. Se pensi positivo le cose ti riescono bene, la vita è breve. In carcere ho vissuto con la speranza dell’amore dei miei, che mi hanno assistito, che da casa venivano ai colloqui anche fino a Milano. Mi hanno seguito come un re. Mi è ritornato indietro con gli interessi il bene che avevo dato".

Ora l’occasione è quella di tornare a pensare, a 47 anni, al futuro: "Accompagnerò subito mia madre a curarsi. Glielo devo, anche per avermi aspettato. Non resterò in Calabria: ne ho una grande nostalgia, ma non c’è lavoro. Tornerò verso Milano, penso". La pallavolo l’ha conosciuta al Due Palazzi: "Qui ho fatto il corso per arbitro e anche quello per allenatore.

Tra calcio e pallavolo, scelgo la pallavolo: è uno sport più disciplinato, molto educativo, che ti può dare tanto. Mi sento un pallavolista! Il tempo qui dentro grazie a Michela, Fabio, Lara, Titti, Giuliana è volato. Parli con loro e ti sembra di parlare con il mondo. Anche con gli ospiti che vengono a fare le partite: basta un ciao, un sorriso, per avere speranza". Al Due Palazzi il calabrese ha anche frequentato il secondo anno di ragioneria, con l’iniziativa dell’Itc cittadino "Antonio Gramsci": "Ho quasi paura ad uscire. Dopo quattordici anni la vita non sarà come prima. Spero che mi si riconosca di avere pagato il mio debito".

Informazione: Radio Carcere in edicola con "Il Riformista"

 

Comunicato stampa, 15 maggio 2007

 

Domani, mercoledì 16 maggio, con il Riformista uscirà la pagina di Radio Carcere. In questo numero ci occuperemo della misura cautelare in carcere. Uso o abuso? Si tratta di un tema importante e dalle notevoli implicazioni sul corretto svolgimento del processo penale. Esamineranno i vari aspetti della questione, se pur da prospettive diverse, Fabio Lattanzi, il Cons. Gianfranco Viglietta e l’on. Gaetano Pecorella.

Sulla pagina di domani di Radio Carcere col Riformista troverete anche i nuovi candidati al premio La Pantegana d’oro. I candidati della settimana sono: 1. I magistrati di Tivoli, che hanno scelto in modo inopportuno di arrestare maestre, parenti, bidelle e benzinai di Rignano, hanno probabilmente compromesso quel processo penale. Miracolo! La moltiplicazione delle vittime: bambini e arrestati. 2. BeppeGrillo.it, frequentatissimo blog che si occupa troppo spesso di temi economici, di sovente di temi ambientali, ogni tanto di altro e quasi mai di Giustizia. "Beppe: sei proprio sicuro che la Giustizia debba meritare l’ultimo posto?" 3. Il Corriere della Sera, che ieri a pagina 20 ha dedicato una pagina intera a Cesare Battisti, colpevole anche di aver assassinato un macellaio. Espressione di una moda, che speravamo non diventasse tale, di far diventare opinionisti vili assassini. Votate a chi dare la Pantegana su www.radiocarcere.com. Grazie per la vostra attenzione.

 

Riccardo Arena

Televisione: "Cominciamo bene" affronta il tema del carcere

 

Comunicato stampa, 15 maggio 2007

 

Domani, 16 maggio alle ore 11.00, il programma televisivo "Cominciamo bene" in onda su Rai 3 affronterà il problema del carcere. Saranno presenti in studio la dott.ssa Tricoli e il dott. Starnini per l’Amministrazione Penitenziaria, il Commissario Capece per l’organizzazione sindacale di Polizia Penitenziaria Sappe, il dott. Patrizio Gonnella per l’Associazione "Antigone" , oltre ad esponenti di una cooperativa di ex detenuti.

Televisione: domani a "Confronti" speciale "Oltre le sbarre"

 

Comunicato stampa, 15 maggio 2007

 

Mercoledì 16 maggio alle ore 21.30, su Nuova TVP, andrà in onda lo speciale "Confronti" intitolato "Oltre le sbarre" con riprese realizzate nel carcere di Ascoli Piceno.

Per la prima volta le telecamere di una tv entrano alla casa Circondariale di Marino del Tronto. Un viaggio di 45 minuti, ricco di testimonianze e di immagini che mostrano finalmente una realtà sconosciuta, ma a noi molto vicina. Varcare l’ingresso di un carcere fa uno strano effetto, camminare fra due portoni, attraversare sbarre enormi e pesanti rende finalmente palpabile un concetto troppo aleatorio come quello di "libertà".

Il distacco dal mondo libero però non deve essere un alibi per considerare il carcere un tabù, un mondo a sé, lontano dalla nostra realtà, ignorando "chi è dentro" o chi "dentro" vi opera quotidianamente. Per la prima volta le telecamere di una tv entrano alla casa Circondariale di Marino del Tronto. Mercoledì 16 maggio alle ore 21.30 infatti su Nuova TVP andrà in onda lo speciale "Confronti" intitolato "Oltre le sbarre". Si tratta di una particolare edizione del talk show "Confronti" in cui verrà presentato il reportage realizzato proprio presso il Supercarcere di Marino del Tronto. Storie di vita, sguardi di chi sta scontando una pena ed adatta i suoi ritmi a quelli del carcere, ma anche storie di chi lavora presso la Casa Circondariale, con impegno e passione. Tutto ciò è stato possibile grazie all’autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma e della Direttrice della Casa di Marino, Dott.ssa Lucia Di Feliceantonio.

"Oltre le sbarre" è un viaggio di 45 minuti, ricco di testimonianze e di immagini che mostrano finalmente una realtà sconosciuta, ma a noi molto vicina. Nel corso di "Confronti" interverranno anche Ismaela Evangelista e Davide Alfredo Castelletti, autori del libro "Il Supercarcere di Ascoli Piceno" (editore Librati) che presenteranno il loro lavoro. Spazio poi per una grande intervista: a più di 30 anni di distanza dalla sua esperienza a TVP, Maurizio Costanzo racconterà i segreti del programma più ambizioso della sua ultima stagione televisiva "Altrove": un’indagine fra reality e documentario che su Italia 1 ha mostrato una faccia inedita della vita nel carcere e dei detenuti.

Moda: ecco le collezioni che nascono dietro le sbarre

 

Webmoda.net, 15 maggio 2007

 

Si diffondono sempre di più, nelle carceri italiane, i corsi professionali organizzati con il preciso intento di permettere ai detenuti, una volta scontata la pena, il reinserimento nel mondo del lavoro. Molti di questi corsi di formazione professionale sono orientati al settore moda, al punto che sono ormai tantissime le collezioni "made in jail", nate appunto dietro le sbarre. A cavalcare l’onda del "jailwear" anche quattro detenute del carcere di Vercelli che dal 2002 lavorano, in collaborazione con lo studio stile torinese "Vanilla Lab", al progetto "Codice a sbarre" (Cdsb). I Magazzini Generali, rinomato tempio della musica milanese, hanno offerto l’azzeccata location e la giusta atmosfera per la presentazione della collezione autunno-inverno 2007-08 di questo insolito brand.

Cdsb propone un look casual, sia per l’uomo che per la donna: pantaloni alle caviglie, felpe reversibili, comodi tricot, anfibi ai piedi. Non mancano le idee originali come il cappotto con cappuccio applicato in maglia, il leggings-collant con bordino in pizzo e la cravatta al posto della cintura. La tavolozza dei colori si muove tra le tonalità scure: prevale il grigio, il nero e il color cachi. Le righe da carcerato sono dominanti e fanno emergere l’idea che "Codice a Sbarre" sia un progetto solidale. Il comico in questione è Luca Bizzarri delle Iene, che con la verve che lo contraddistingue ha chiuso la sfilata, prendendo in passerella il testimone dalla madrina della scorsa collezione: la cantante Andrea Mirò.

Immigrazione: il "ricordo" di un genitore mai conosciuto

 

Redattore Sociale, 15 maggio 2007

 

La storia di Ayman e di una migrazione non riuscita. Deciso ad arrivare in quella Italia dove il padre aveva perso la vita per un incidente stradale è stato rispedito in Libia e ha trascorso 25 giorni nel terribile Fellah di Tripoli.

Iniziamo oggi la pubblicazione di alcune storie di immigrazione. Storie singolari ma, a loro volta, paradigmatiche di quella che rimane una tragedia personale e collettiva. Storie di persone che scelgono di abbandonare il loro Paese alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, brillantemente inserite nel libro di Gabriele Del Grande "Mamadou va a morire", uno dei reportage più completi mai scritti sui morti a causa dell’immigrazione africana e asiatica.

La storia. 12 agosto 2006. ‘Abd Razaq T., professore di storia contemporanea all’università di Sousse, abbandona un seminario a Parigi per recarsi d’urgenza in Libia. Da due mesi la sorella non ha più notizie del figlio. Hanno cercato negli ospedali, chiesto alla polizia, ma dal 23 giugno 2006 Ayman è semplicemente scomparso. Un ragazzo dello stesso villaggio nelle campagne di ulivi di Mahdia, appena liberato dalle carceri libiche, ha avvisato il giorno prima la famiglia: Ayman è vivo, l’hanno arrestato a Zuwarah con un gruppo di harrag, i clandestini, è al carcere del Fellah, a Tripoli.

La mamma di Ayman è analfabeta e il papà è morto nel 2002 in un incidente stradale, in Italia, dove viveva da 17 anni. La morte del padre è stato un trauma fortissimo per Ayman, all’epoca tredicenne. Da allora ha lasciato gli studi e si è lasciato prendere dall’ossessione di partire. Diceva sempre che doveva vedere il luogo dove il padre era morto, per mettersi in pace con i sensi di colpa per un’infanzia trascorsa senza papà, partito un bel giorno per offrire un futuro migliore ai quattro figli, e ritornato dentro una cassa da morto. Voleva partire e aveva saputo prendere al volo un’occasione che gli si era presentata a Sousse.

Lo aveva conosciuto per caso in un bar: era un libico, sulla trentina; gli offriva un passaggio gratis in Italia se portava con sé almeno cinque passeggeri a 2.300 euro l’uno. Ayman non se l’era fatto ripetere due volte e all’appuntamento, tre giorni dopo, si era presentato con una lista di 30 nomi, due amici di lunga data del villaggio e altri ragazzi dei paraggi, uno di 14 anni, gli altri di 21, 24 e fino a 34. Alla fine in 65 tra tunisini, algerini e marocchini lasciano la Tunisia a bordo di otto fuoristrada attraversando illegalmente la frontiera libica all’altezza di Farwa, il 23 giugno 2006, diretti a Riqdalin, un villaggio dell’entroterra, a una trentina di chilometri dalla costa di Zuwarah. Le famiglie dei ragazzi sono tenute all’oscuro di tutto.

Ayman racconta di una villa grande e lussuosa, su tre piani, con climatizzatore e televisori al plasma, di proprietà di ‘Ali Sawan. Ci sono ospitate almeno 180 persone, tra cui una ventina di ragazze. Il terzo giorno si sparge la voce della partenza. Appena fa buio il gruppo inizia a spostarsi, in auto, a gruppi di cinque, verso Farwah, un isolotto sul litorale di Bu Kammash, a metà strada tra Ras Jedir e Zuwarah, punto ideale di imbarco. Una striscia piatta di palme e dune di sabbia, praticamente disabitata. Per raggiungerla, basta attraversare a piedi una secca di mare di 500 metri. Ai 180 si aggiungono una quarantina di egiziani. All’una di notte la Tulaitila di ‘Abdullah Jamal muove i motori. Una barca in ottime condizioni, a quanto racconta Ayman.

Tutto sembra andare per il meglio, ma dopo 20 ore di navigazione la nave è intercettata da una corvetta militare battente - secondo le dichiarazioni di Ayman - bandiera italiana. Ayman non è mai stato in Italia prima, ma nel gruppo alcuni dicono che quella che si vede all’orizzonte sia la Sicilia. A ogni modo, la barca attracca scortata da una nave militare alle otto del mattino del 28 giugno 2006. Lo stesso giorno le agenzie stampa danno notizia di una barca di 20 metri soccorsa a nord est di Lampedusa con 274 persone a bordo e di una seconda nave con 266 persone intercettata invece nelle acque di Malta. Ayman non sa se quella fosse Malta o l’Italia. Sa solo che al momento dell’attracco almeno 40 persone si gettano in mare e riescono a scappare a piedi, compresi il capitano libico e i due membri dell’equipaggio. Tutti gli altri sono portati in quello che Ayman chiama "centro" pur non sapendo l’italiano. Vengono loro prese le impronte digitali. Il giorno stesso, verso le nove di sera, il gruppo viene caricato nuovamente a bordo della Tulaitila. La nave viene quindi scortata fino a mattino, quando viene data in consegna a una motovedetta verde della guardia costiera libica in acque internazionali.

Rispediti al mittente. Si continua a navigare verso sud, direzione Zuwarah. A un certo punto a bordo del natante esplode una rissa tra un gruppo di marocchini e un gruppo di tunisini, pieni di rabbia per l’impresa fallita. Senza pensarci due volte, la polizia libica impugna le armi e apre il fuoco sulla mischia. La folla si disperde, Ayman si butta a terra. Il sangue già scorre sul ponte salato. I militari ordinano di gettare in mare i cadaveri di sei uomini morti ammazzati sul colpo. Altre dieci persone ferite gravemente muoiono di lì a poche ore. Di loro Ayman conosce soltanto il nome di un ragazzo, Hasan Yusef, marocchino. Anche i loro cadaveri sono gettati nel Mediterraneo, spariscono tra la schiuma bianca della scia dei motori. La mattina del 30 giugno la Tulaitila attracca finalmente al porto di Zuwarah. Dopo una notte al commissariato gli harrag trasferiti a aj-Jmayl.

Durante l’interrogatorio Ayman viene preso a calci da alcuni agenti. Due giorni dopo è ricoverato all’ospedale centrale di Tripoli con tre costole rotte e una ferita interna che, non curata, lo costringerà a settembre a un intervento chirurgico a Sousse, di ritorno dalla Libia. Appena dimesso inizia la discesa agli inferi al Fellah di Tripoli, il leggendario carcere libico. 1.600 detenuti, nove su dieci migranti, 260 donne. Ayman ci passerà soltanto 25 giorni, abbastanza per non dimenticare. "Un giorno là dentro è come un anno fuori", dice. Il Fellah è un carcere blindato, sorvegliato da uomini armati, nel cuore di Tripoli, nell’omonimo quartiere. Intorno a un cortile sale una struttura quadrata su due piani e un seminterrato.

Su ogni piano sei camerate senza porte, suddivise ciascuna in otto celle di cinque metri per tre. Porte di ferro, sportellino ad altezza d’uomo, finestre alte e sbarrate. Nella penombra niente letti né armadietti. In ogni cella una decina di persone, un metro quadrato e mezzo a testa, sì e no lo spazio per dormire incastrati. Ogni cella ha una turca e un rubinetto. I compagni di viaggio di Ayman sono condannati a sei mesi di carcere e mille euro di multa. Ma la maggior parte dei detenuti non ha mai visto un giudice. Nemmeno Ayman, forse perché minorenne, forse perché senza nessun documento d’identità appresso.

Ayman parla di malnutrizione e lavori forzati. Sveglia alle cinque del mattino con l’appello nel cortile. Alle otto la colazione. Tè caldo e una baguette ogni tre persone. Alle 12,00 il pranzo. Una porzione di riso da dividere in tre, con le mani, niente posate. Lo stesso la sera. Ogni giorno una squadra di una ventina di persone parte per i lavori forzati in montagna, nei campi, a Misratah. Durante il giorno i detenuti sono lasciati nel cortile sotto il sole. La sera, dopo le nove, le sbarre si chiudono e tutti tornano in cella. Le donne stanno in una camerata a parte. Una sera una di loro ha le doglie. Urla e piange perché la portino in ospedale a partorire. Inutile fatica. Il bambino nasce lo stesso, crescerà dietro le grate di ferro.

È a questo punto che a Tripoli arriva lo zio ‘Abd Razaq. Con una piccola tangente il cancello si apre. Uno dei poliziotti manda un detenuto indiano a chiamare il ragazzo. Ayman arriva poco dopo, in un cortile grande come un campo da basket. Finalmente si abbracciano. Gli agenti propongono loro un affare: 500 dinar sul tavolo e se lo porta a casa subito. Trecento euro, due salari medi di un poliziotto. Nessun documento di rilascio, ovvio. ‘Abd rifiuta. Peccato, per mille dinar lo avrebbero addirittura potuto mettere in contatto con dei passeurs fidati, gente che lavora con loro, con tutte le garanzie per arrivare in Italia senza essere fermati dalla guardia costiera libica. Nel giro di tre giorni ‘Abd ha tutte le carte perché Ayman sia rimesso in libertà. Ma devono prima passare altri sei giorni. La polizia aspetta la liberazione di altri cinque detenuti per riempire l’auto che deve accompagnarli alla frontiera. Poco importa se lo zio sia pronto a pagare il trasporto tutto e subito. Finalmente Ayman rimette piede a Scusse. I compagni al momento restano al Fellah. Al Consolato di Tripoli ‘Abd ha visto la lista dei clandestini tunisini arrestati. Tre pagine, 60-100 persone.

Svizzera: le prigioni non sono adatte per i minorenni

 

Swiss Info, 15 maggio 2007

 

Troppo spesso i minorenni incarcerati finiscono in prigioni per adulti. È quanto emerge da uno studio dell’Ufficio federale di giustizia, che tira il campanello d’allarme. La situazione è particolarmente critica nella Svizzera francese, dove mancano le strutture d’accoglienza specializzate. "Durante la carcerazione preventiva i minori devono essere collocati in un istituto speciale o in un reparto speciale del carcere giudiziario, separati dai detenuti adulti". L’articolo 6 del Diritto penale minorile svizzero è chiaro, ma è raramente applicato. La maggior parte dei minorenni posti in detenzione preventiva si trova infatti in una situazione preoccupante, stando ad uno studio pubblicato lunedì dall’Ufficio federale di giustizia (Ufg). In mancanza di strutture appropriate, i giovani di età inferiore ai 18 anni sono spesso imprigionati con detenuti adulti senza un sostegno socio-educativo.

 

Standard non rispettati

 

La situazione è particolarmente problematica nella Svizzera francese, dove i minori sono più facilmente messi in detenzione preventiva rispetto a quanto avviene nel resto della Svizzera, indica l’analisi dell’UFG. Secondo il rapporto, in generale gli standard della nuova legge penale dei minori non sono rispettati. Nel 2005, su 1.005 minori posti in detenzione preventiva, 726 si trovavano in prigione, 273 in istituti specializzati e sei in ospedali. La maggior parte delle prigioni - si precisa nello studio - non dispone di strutture adatte ai minorenni e negli istituti specializzati vi è una carenza di posti. Un altro aspetto allarmante rilevato dall’indagine dell’UFG è il fatto che numerosi ragazzi di età inferiore ai 18 anni, in prigione frequentano dei detenuti adulti. E ciò avviene sia nell’ambito di una detenzione preventiva sia dopo la sentenza.

 

Berna interverrà

 

L’UFG sottolinea che solo un numero ridotto di strutture di detenzione prevede una separazione a livello architettonico tra minori e adulti e ciò vale anche per la gestione quotidiana dei detenuti. Secondo l’UFG, il regime della detenzione, basato in primo luogo su misure di sicurezza, non garantisce ai minori un sostegno socio-educativo adeguato. Sulla base di questi elementi, la Confederazione ha deciso di esercitare pressione sui cantoni al fine di accelerare la costruzione di sezioni per giovani inferiori ai 18 anni, previste dai nuovi standard. Dal gennaio 2008 sarà introdotto un sistema di "malus": se un cantone non garantisce prigioni conformi al diritto federale, le sovvenzioni alla costruzione destinate ad altre istituzioni dello stesso cantone potranno essere ridotte o addirittura rifiutate.

 

Terre des Hommes inquieta

 

La fondazione per l’aiuto all’infanzia "Terre des Hommes" si è detta inquietata da questa situazione. "All’estero ci battiamo affinché i minorenni abbiano diritto ad un altro tipo di giustizia, quando in Svizzera la Convenzione dei diritti del bambino e il Codice penale dei minorenni non sono rispettati", ha deplorato uno dei suoi responsabili, John Orlando, intervistato dalla Radio della Svizzera francese. "Dagli anni ‘70 alcuni cantoni tardano a creare gli istituti appropriati per minorenni", sottolinea l’organizzazione in un comunicato, dicendosi disposta ad appoggiare le azioni delle autorità, volte a far applicare le convenzioni.

 

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