Rassegna stampa 11 maggio

 

Giustizia: quella "certa sinistra" che insegue la destra

di Cesare Salvi (Senatore Sinistra Democratica)

 

Liberazione, 11 maggio 2007

 

La democrazia non garantisce uguaglianza di condizioni: garantisce solo uguaglianza di opportunità. Ma non per tutti, ovviamente. Perché quelle opportunità quasi sempre sono solo appannaggio di pochi. Spesso vengono considerate dei piccoli "te-soretti" da tenere ben stretti per evitare che vadano a finire - non sia mai - nelle mani di quanti vivono ai margini della società.

Credo sia utile, dunque, oltre che interessante, approfondire il dibattito sul tema della sicurezza nelle città intrapreso dopo che un elettore del centrosinistra, con una lettera inviata a Corrado Augias, dalle colonne di Repubblica lanciava il suo S.O.S perché rischiava (e credo che rischi tuttora) di trasformarsi, ahinoi, nel primo esempio di "razzista - progressista - democratico".

L’uomo, il giorno dopo, è stato subito rassicurato dal sindaco di Roma Walter Veltroni, che pur tra mille rivoli sulla tolleranza e la solidarietà della città eterna, ha in definitiva ammesso quali rischi potremmo correre se, "noi compagni", non mettiamo subito mano a questo tema che, fino a ieri, sembrava essere di proprietà della destra e della sua propaganda.

Che bisogno aveva Veltroni di citare "gli immigrati" che spacciano droga o il borseggio di una vecchietta ad opera di un rom? Perché se lo spaccio l’avesse compiuto un romano e il borseggio un milanese, sarebbe stato diverso? E la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta sono forse di origine cingalese o peruviana?

E se fosse stato un polacco adulto ad ammazzare una bambina napoletana di cinque anni, quante aperture di telegiornali e quante paginate di quotidiani "politically correct" avremmo ascoltato e letto? Bene ha fatto il direttore di Liberazione a richiamare l’attenzione sui rischi di una deriva sarkozyana.

Perché è proprio quando una causa sembra impopolare che scopriamo come anche a una certa "sinistra" - non più solo la destra e la Lega, dunque - ama togliersi la maschera e mostrare i muscoli, sbandierando il totem della sicurezza, per poi scrivere ricette che risulterebbero ineccepibili persino per Le Pen.

Come, ad esempio, trasferire fuori dal grande raccordo della capitale tutti i rom e gli zingari. È una storia già vista. Così, nelle lontane periferie, magari vicino una discarica, in una "terra di mezzo", come tanti piccoli Hobbit (quei "mezzi uomini" di tolkieniana memoria) potremo finalmente parcheggiare gli esclusi, gli ultimi.

In fin dei conti la multiculturalità e le "politiche dell’inclusione", come ama dire qualcuno, sono solo un espediente per i buoni propositi elettorali e propagandistici. Abbiamo visto l’anno scorso in Francia, con la rivolta nelle banlieues, gli effetti della politica della "tolleranza zero" dell’ex ministro dell’Interno Sarkozy, che tra qualche giorno occuperà ufficialmente la poltrona dell’Eliseo.

Credo che sia questa la lezione che deve essere raccolta da chi, anche qui in Italia, oggi ama lanciare proclami apparentemente banali ma in realtà pericolosi, all’insegna di altrettanto facili slogan come quello per il quale la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Mentre c’è una politica per la sicurezza che appartiene alla destra e un’altra che dovrebbe appartenere alla sinistra. E quest’ultima passa, inevitabilmente, dai diritti che riusciamo a riconoscere a tutti, indistintamente.

Non so se il termine "fascismo", usato dal direttore Sansonetti, sia quello giusto; dico però che la legalità non può essere sempre e solo invocata come una sorta di caccia allo straniero, perché è proprio quella l’anticamera che porta al razzismo. Magari a un razzismo più subdolo, culturalmente differenzialista, ma comunque al razzismo che matura nel terreno dell’intolleranza e si manifesta nella pianta dell’odio e della violenza urbana.

Certo che la legalità di sinistra non si esaurisce nella politica dell’inclusione. Legalità di sinistra vuol dire anche tolleranza zero nei cantieri edilizi, dove a Roma migliaia di rumeni fanno i muratori in nero per quattro soldi, rischiando la vita tutti i giorni. Legalità di sinistra vuol dire un indulto concepito diversamente da quello imposto da Forza Italia, che ha escluso gli infortuni sul lavoro e si è allargato fino a tre anni per comprendere i corrotti, con gli effetti negativi sull’opinione pubblica che ben conosciamo.

Legalità di sinistra vuol dire certezza della pena: abolire l’ergastolo, evitare leggi-manifesto che prevedono pene elevatissime al minimo allarme dell’opinione pubblica, ma anche tempi e modalità di applicazione della pena certi e sicuri: sei mesi di carcere, se scontati davvero e poco tempo dopo il crimine, sono una pena molto più seria che una condanna a otto anni mai scontata.

Quello che è successo in Francia deve essere per noi, uomini e donne di sinistra, un allarme, un monito che dovrebbe farci guardare in faccia la vera realtà anziché inseguire un certo malsano realismo. Chi è sceso per le strade di Parigi, dando sfogo alla rabbia che gli covava dentro, erano prevalentemente giovani con un’età compresa tra i 16 e i 25 anni.

Abitano quelle periferie non per scelta, ma perché costretti da uno status sociale, da una dissennata politica che ha abbandonato ogni logica di integrazione, e che li ha voluti ghettizzare magari per poterli controllare meglio, senza che mai nessuno ascoltasse le loro ragioni, le loro aspettative, le loro paure, il loro malessere, le loro difficoltà a costruirsi un destino né migliore né peggiore ma uguale a quello degli altri loro coetanei che hanno la fortuna di appartenere alla razza "eletta" francese, quelli che abitano in centro, lontano dalle banlieues, e che possono comprare una baguette tre volte al giorno. Come fanno tutti i "veri" francesi. Non so se il sonno della ragione genera il fascismo. Di sicuro genera mostri. E noi, per quanto ci riguarda, preferiamo coltivare l’insonnia.

Giustizia: Caruso (Rifondazione); chiudiamo subito gli Opg

 

Redattore Sociale, 11 maggio 2007

 

In un’interrogazione urgente, il deputato ha denunciato una realtà allarmante nell’Opg napoletano dove, visionando il registro medico, ha appurato che in 2 mesi almeno una decina di internati sono finiti sul letto di contenzione.

La risposta del ministro Mastella al question time conferma la presenza della sala di coercizione nell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) Sant’Eframo di Napoli. Lo sostiene Francesco Caruso, parlamentare indipendente del Prc, che ribadisce la necessità e l’urgenza di superare e di chiudere tali Opg, che "sono veramente un istituto del passato, considerato che la legge n. 180 del 1978 ha già chiuso tutti manicomi".

Caruso, in un’interrogazione urgente, aveva denunciato una realtà allarmante nell’Opg napoletano. Recatosi in visita presso la struttura in cui sono internate 104 persone, il deputato campano aveva potuto constatare le condizioni fatiscenti e disumane del centro. Ma la questione più inquietante riguardava la presenza di una "camera della coercizione" nella quale - in base alla ricostruzione di Caruso - i pazienti vengono legati alle estremità del letto, per i polsi, per le caviglie e per il torace.

Visionando il registro medico Caruso ha quindi appurato che negli ultimi due mesi almeno una decina di internati erano finiti sul letto di contenzione, cioè immobilizzati per diversi giorni con le braccia e le gambe legate ad un letto, con al centro un buco per permettergli di effettuare i bisogni fisiologici senza essere slegati.

Rispondendo all’interrogazione, il ministro Mastella ha spiegato che, per quanto riguarda il problema delle contenzioni fisiche, si tratta di atti di stretta competenza medica, disposti soltanto dopo un accurato esame psichiatrico e solo al fine di scongiurare che il paziente in stato di acuto scompenso psichico si renda pericoloso. Se le condizioni cliniche dell’internato non sono estremamente gravi si opta, invece, per il regime di isolamento idoneo ad impedire il contatto con altri soggetti.

Per quanto riguarda l’internato sottoposto a coercizione a seguito di un tentativo di evasione - fatto questo che Caruso denunciava nell’interrogazione - Mastella ha precisato che la contenzione è stata disposta previa visita del sanitario ed è durata soltanto un giorno, venendo subito sostituita con il regime di isolamento. Il Guardasigilli ha comunque assicurato che sarà impegno costante del ministero effettuare scrupolose verifiche ed adottare gli opportuni provvedimenti.

Tra le priorità indicate da Mastella nella risposta emerge quindi la necessità che sia data piena attuazione al decreto legislativo n. 230 del 1999, con il quale fu stabilito il trasferimento delle competenze sanitarie dall’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale ed alle regioni. Il responsabile della giustizia ha inoltre ribadito l’impegno a verificare l’attualità dei criteri seguiti per registrare il tempo di permanenza degli internati in ospedale, ponendo in primo piano l’attenzione sulla questione della imputabilità degli autori di reati.

Giustizia: dall'Uepe Liguria un appello a Governo e sindacati

 

Comunicato stampa, 11 maggio 2007

 

Il 14 maggio prossimo, presso il Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, è fissato un incontro con le Organizzazioni Sindacali per esaminare la bozza di decreto ministeriale che prevede la presenza di un quarto corpo di polizia sul territorio: la polizia penitenziaria inserita negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna.

Su questo argomento vogliamo richiamare l’attenzione di quanti parteciperanno all’incontro sottolineando che l’azione repressiva non è garanzia di sicurezza per le città, i quartieri...

La sicurezza deve essere agita attraverso una dimensione di recupero sociale, di lotta all’emarginazione ed all’esclusione. Se la prevenzione, in generale, deve mirare a rendere maggiormente difficile il verificarsi di fenomeni criminali, una politica di prevenzione inclusiva deve favorire i processi di integrazione sociale delle fasce deboli maggiormente esposte al rischio di devianza.

Il precedente governo con i tagli al welfare ha eliminato tutti gli interventi di prevenzione inclusiva sostituendoli con interventi che tendevano ad isolare e ad escludere (vedi legge ex Cirielli, legge Bossi - Fini, etc.) Pensiamo sia, invece, necessario attivare una rete di servizi atta a costruire politiche sociali per favorire percorsi di integrazione delle persone che vivono ai margini del contesto sociale favorendo quindi la sicurezza del territorio.

Riteniamo pertanto opportuno suggerire che all’incontro vengano: rivisti gli interventi di politica sociale che si vogliono realmente mettere in campo; interrotti quei processi per cui l’amministrazione pubblica agisce il controllo quale unico ed esclusivo intervento per la sicurezza; attivate risorse per migliorare veramente la realtà e la vivibilità del territorio senza rincorrere e aumentare le paure sociali.

 

Assistenti Sociali Uepe

di Genova, Savona, Imperia

Giustizia: caso Rignano; scarcerati cinque dei sei accusati

 

Corriere della Sera, 11 maggio 2007

 

Occorrerà attendere le motivazioni del Tribunale del Riesame di Roma per conoscere le prossime mosse della procura di Tivoli e quindi i possibili sviluppi dell’inchiesta che vede ancora indagati, anche se scarcerati, Gianfranco Scancarello, la moglie Patrizia Del Meglio, le maestre Marisa Pucci, Silvana Magalotti, e il benzinaio cingalese, Kerum Weramuni De Silva. Indagata, e ancora in carcere, è anche la bidella Cristina Lunerti. Il ricorso di quest’ultima sarà oggetto di riesame il prossimo 15 maggio.

Il procuratore di Tivoli Claudio D’Angelo e il pm Marco Mansi - dalla procura trapela, secondo indiscrezioni, un comprensibile disappunto - dovranno prendere visione delle motivazioni del provvedimento del Riesame prima di un presumibile ricorso in Cassazione. Ovvero capire se il collegio presieduto da Bruno Scicchitano - che ha fatto sgombrare dai carabinieri i giornalisti che stazionavano al secondo piano del palazzo A di Piazzale Clodio, davanti alla segreteria - sia o meno entrato nel merito dell’impianto accusatorio. A giudizio dell’avvocato Giosué Bruno Naso, difensore di Silvana Magalotti, il Riesame ha disposto le scarcerazioni per la "insussistenza dei gravi indizi".

Se fosse questa la motivazione, sarebbe un colpo di maglio all’inchiesta. Tuttavia, a prescindere anche dall’esito del ricorso in Cassazione, la procura di Tivoli potrà proseguire nelle indagini e chiedere, come ha anticipato ieri il pm Mansi nella requisitoria, il rinvio a giudizio degli indagati. E ciò a meno di sviluppi nell’attività investigativa da cui potrebbero scaturire magari nuovi provvedimenti cautelari.

 

Mastella agli ispettori: esaminate l’ordinanza

 

Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha chiesto agli ispettori di acquisire copia dell’ ordinanza di scarcerazione dei cinque indagati per i presunti abusi di Rignano Flaminio. "Il Guardasigilli - è detto in una nota - nel doveroso rispetto del segreto investigativo, ha chiesto di essere messo al corrente di ogni elemento utile per una valutazione di quanto é accaduto, alla luce delle competenze del Dicastero". Clemente Mastella ha incaricato il capo dell’ Ispettorato Generale del Ministero di acquisire copia dell’ ordinanza del tribunale del riesame di Roma.

 

Il dispositivo del Tribunale del riesame

 

Il dispositivo del Tribunale del riesame, che ha deciso la scarcerazione dei cinque arrestati per la vicenda di Rignano Flaminio che avevano proposto ricorso, è di poche righe: "Sulle richieste di riesame - è detto nell’atto - dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e avverso l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 23 aprile 2007 dal Gip di Tivoli nei confronti di Patrizia Del Meglio, Gianfranco Scancarello, Marisa Pucci, Silvana Magalotti e Kelum De Silva, visto l’art. 309 del codice di procedura penale, annulla l’ordinanza in epigrafe e ordina l’immediata scarcerazione degli indagati se non detenuti per altra causa".

Giustizia: Mastella; sui "fatti di Rignano" va fatta chiarezza

 

Rai News, 11 maggio 2007

 

Sulla vicenda di presunta pedofilia nella scuola di Rignano Flaminio "c’è bisogno di capire se qualcosa non ha funzionato nel modo giusto, nel pieno rispetto dell’attività dei magistrati". Ad affermarlo nel corso della trasmissione "Il caffè" a Rainews 24 il ministro della Giustizia Clemente Mastella, che annuncia la sua intenzione di fare chiarezza anche sulle presunte violenze subite in carcere da alcune maestre indagate.

Il Guardasigilli ribadisce di avere dato incarico al capo dell’Ispettorato Generale del Ministero, di acquisire copia dell’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Roma ha disposto la scarcerazione di cinque delle sei persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi nella scuola materna di Rignano Flaminio.

"Non entro nel merito dei provvedimenti dei magistrati", spiega Mastella, ma proprio per l’effetto che la vicenda ha creato nell’opinione pubblica "ho chiesto un’ispezione in quanto gli atti investigativi e la decisione del Tribunale del Riesame, sono l’uno rispetto all’altro completamente differenti".

Il giorno dopo la scarcerazione di 5 dei 6 indagati per i presunti abusi sessuali sui bambini della scuola, tra le mamme serpeggiano sentimenti contrastanti: "Conosciamo le maestre da anni - racconta una di queste - eravamo sicure della loro innocenza, oggi siamo felici". Passa l’assessore comunale alla Scuola, visibilmente soddisfatto, e si intrattiene con il cronista dicendo: "Oggi fate pure tutte le domande che volete. Siamo tutti più sereni".

Ma non tutti sono pienamente soddisfatti della decisione del Riesame: finito il va e vieni di bambini, due giovani mamme si intrattengono a parlare, e confidano i loro dubbi: "Ci pare impossibile - spiegano - che questi bambini si siano inventati tutto. Noi per fortuna non siamo direttamente coinvolte, quindi non ci schieriamo, ma vogliamo sapere la verità". Malgrado i dubbi, hanno portato i loro bambini a scuola (meno della metà degli iscritti è presente questa mattina nelle aule), perché, spiegano, "non vogliamo negare ai nostri figli il diritto alla scuola. Hanno chiesto perché sono così pochi i compagni, e abbiamo detto loro che si sono ammalati di varicella".

Sappe: illazioni sulle persone coinvolte nei fatti di Rignano

 

Comunicato stampa, 11 maggio 2007

 

"Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione sindacale più rappresentativa del Corpo, non accetta la criminalizzazione dei poliziotti di Rebibbia fatta da alcune delle persone scarcerate ieri nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi sessuali nella scuola di Rignano Flaminio.

Conosciamo bene le colleghe ed i colleghi che lavorano nell’Istituto di Roma Rebibbia e non abbiamo alcun dubbio sulla loro professionalità, senso del dovere e della giustizia. Uno dei compiti istituzionali del Corpo di Polizia Penitenziaria è quello di garantire l’ordine all’interno degli Istituti attraverso la vigilanza e l’osservazione nelle sezioni degli Istituti, nelle infermerie, sulle attività lavorative e scolastiche dei detenuti all’interno degli Istituti, con la funzione di prevenire crimini o infrazioni verso le persone ristrette o che operano nella struttura penitenziaria. E tutto questo le colleghe ed i colleghi di Rebibbia lo fanno egregiamente ogni giorno, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno."

È il commento della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria alla lettura degli articoli pubblicati oggi su diversi quotidiani (tra i quali il "Corriere della Sera"- "Le insegnanti: Picchiate in carcere qualcuno dovrà chiederci scusa"; su "La Repubblica" - "Un tormento lungo 16 giorni presa a botte dalle detenute"; sul notiziario on-line "L’espresso Local" - "Io, picchiata e insultata all’uscita dal carcere", in cui una delle maestre ha rilasciato gravi dichiarazioni che descrivono aggressioni da parte delle altre detenute durante la detenzione e al momento della scarcerazione) circa il trattamento riservato in carcere a Rebibbia alle persone coinvolte nell’inchiesta sui presunti abusi sessuali nella scuola di Rignano Flaminio.

"I poliziotti penitenziari" prosegue nella sua nota il Sappe "quali rappresentanti dello Stato che lavorano all’interno dei reparti detentivi, gestiscono ogni giorno, nel migliore dei modi, situazioni ben più gravi e più pericolose di quelle che ruotano attorno alle problematiche innescate dalla vicenda dei presunti reati avvenuti nella scuola di Rignano Flaminio. In un lancio pubblicato oggi da una nota Agenzia di stampa, per altro, ha pubblicato le dichiarazioni del marito delle stessa maestra che confermano la nostra fiducia nei colleghi di Rebibbia: "Ricevevano continuamente insulti, perché accusate del reato considerato peggiore. Per fortuna - aggiunge - sono state tutelate durante la detenzione, evitando il contatto diretto con le altre detenute". In molti degli articoli pubblicati oggi, le aggressioni ottengono massima enfasi nei titoli, ma nel resto delle esposizioni sono liquidate in poche righe. Ci sorge il dubbio allora che vengano utilizzate dichiarazioni parziali per ottenere la massima attenzione, per poi esporre altri fatti. Ed è inaccettabile che per ottenere ciò, si criminalizzi l’operato delle colleghe e dei colleghi della Polizia Penitenziaria che lavorano a Roma Rebibbia, a cui va tutta la nostra solidarietà".

Sicilia: "Parlamento della legalità" in tutte le carceri regionali

 

Redattore Sociale, 11 maggio 2007

 

Il "Parlamento della Legalità" è un’iniziativa finalizzata alla rieducazione dei detenuti al rispetto dei valori della società che, partita lo scorso dicembre presso il carcere Pagliarelli di Palermo, si vuole adesso estendere a tutte le Case Circondariali presenti in Sicilia. La notizia è stata resa nota da Orazio Faramo, provveditore capo in Sicilia dell’amministrazione penitenziaria nel corso di una trasmissione radiofonica locale. Il prossimo 21 maggio istituiremo la sezione del Parlamento della Legalità nel carcere di Agrigento, in contrada Petrusa, e così faremo nel corso di quest’anno e dei prossimi anni negli altri 27 istituti siciliani", ha riferito il provveditore Faramo.

Il Parlamento della Legalità è costituito da un gruppo di trentaquattro detenuti di cui dodici comuni e ventidue di alta sicurezza perché condannati per reati di associazione mafiosa. L’iniziativa consiste in un percorso che ha finora coinvolto questi detenuti in una serie di incontri sulla legalità tenuti dal prof. Nicolò Mannino e di gesti altamente simbolici di lotta alla mafia e di rispetto delle norme sociali. Si tratta di un progetto regionale, originariamente partito per le scuole, che la direttrice del carcere Laura Brancato ha pensato di estendere a favore dei detenuti dell’istituto di pena. Lo scorso 18 dicembre è stato istituito, infatti, il Parlamento della Legalità all’interno del Pagliarelli, coinvolgendo circa 50 detenuti.

Fra le iniziative previste nel percorso di legalità realizzato da questi detenuti, oltre a degli incontri sulla legalità realizzati dal prof. Nicolò Mannino, c’è stata l’adozione simbolica di alcuni monumenti come simbolo della lotta alla mafia. Il mese scorso è stata adottata la piazza antistante il carcere, inaugurata come piazza Cerulli in memoria dell’agente Pietro Cerulli ucciso dalla mafia negli anni 80. Nella piazza è stato deposto un masso proprio con le iniziali dell’agente ucciso. "Il 16 maggio, invece, il gruppo dei detenuti del Parlamento della Legalità deporranno alcune mattonelle realizzate da loro, in piazza Anita Garibaldi proprio nei pressi del portone davanti il quale fu ucciso padre Pino Puglisi. A giugno, inoltre è previsto una visita al Papa a Roma. Il fatto di omaggiare una vittima della mafia è già un messaggio forte che viene dato sia agli altri compagni di detenzione del carcere che a tutta la società", ha detto Laura Brancato, direttrice del carcere Pagliarelli di Palermo.

Enna: Manconi; una precisazione sul caso di Pietro Arena

 

Comunicato stampa, 11 maggio 2007

 

In riferimento alle notizie pubblicate relative alla vicenda di Pietro Arena, l’omicida e sequestratore di Regabulto (Enna), e al fatto che questi è stato qualificato come beneficiario del provvedimento di indulto si precisa che il soggetto in questione non ha beneficiato della misura di clemenza. Infatti, Pietro Arena al momento del varo del provvedimento di indulto (luglio 2006) non era in stato di detenzione. Nel 2006 Pietro Arena è stato detenuto nella Casa circondariale Nicosia di Enna per una settimana (dal 15 al 23 febbraio), la misura di custodia cautelare è stata, infatti, sostituita dalla competente autorità giudiziaria con quella dell’obbligo di firma presso il Comando stazione dei Carabinieri di Adrano e dal divieto di dimora nel Comune di Ragalbuto.

 

Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia

Cosenza: al via progetto per il reinserimento di 60 detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 11 maggio 2007

 

L’Amministrazione comunale di Cosenza, fra le prime in Calabria e in Italia, avvia un progetto per il reinserimento degli ex detenuti, significativamente denominato PR.I.DE (Progetto Inclusione Detenuti), che in questo caso sta per orgoglio di ricominciare, di rialzarsi dopo aver sbagliato, forti della fiducia di istituzioni e forze sociali e sindacali.

Il progetto, presentato dagli assessori al Welfare Alessandra La Valle e alle Attività economiche e produttive Maria Rosa Vuono, è infatti nato e cresciuto grazie al coinvolgimento preventivo di tutta una serie di attori del mondo del terzo settore, imprenditoriale e dell’associazionismo e con l’ausilio determinante dell’Uepe-Ufficio Esecuzione Penale esterna.

Molti di questi soggetti erano stamani rappresentati. Altri hanno comunque aderito. Li elenchiamo tutti: Uepe, Confindustria Cosenza, Coop. Sociale Delfino Lavoro, Confail, Confartigianato, Azienda Fratelli Cava, Confagricoltura, Coldiretti, Cia (Confederazione italiana Agricoltori), Agci Calabria (Associazione Generale Cooperative), Ugl (sindacato), Azienda TI&SI sas (Innovazione tecnologica, unica in Calabria con certificazione SA 8000 di responsabilità sociale), Associazione Yairaia Onlus.

"È una giornata molto importante - ha esordito l’assessore La Valle - poiché si dà corso ad un punto basilare del programma del Sindaco, rivolto all’inclusione sociale attraverso la condivisione dei progetti." Ottenuti i finanziamenti (100.000 euro dalla Regione e 20.000 dalla Provincia, con il Comune a fare da coordinatore) saranno 60 gli ex detenuti cui si cercherà di aprire la strada di un futuro più sereno. Si lavorerà su un doppio binario: per alcuni ci sarà la possibilità di essere inseriti subito in ambito lavorativo per 5 o 6 mesi, terminati i quali spetterà all’azienda ospitante decidere se continuare.

Per altri, invece, vi sarà un sostegno, un "accompagnamento" perché si formino o si consolidino situazioni di crescita personale ancora in corso e permettere loro un inserimento successivo. "Il principale pregio del progetto - ha proseguito l’assessore La Valle - è che siamo riusciti a fare rete su una tematica così delicata. Inoltre si coniuga a questa esperienza l’aumento di responsabilità sociale d’impresa in città.

Per parte nostra faremo di tutto per ottenere dalle istituzioni superiori altri finanziamenti: oggi è solo l’inizio di un percorso". L’assessore Vuono ha sottolineato come con questo progetto si superi la prassi del contributo finanziario fine a se stesso e destinato a non produrre nulla di duraturo. "Abbiamo invece voluto promuovere un incontro tra domanda ed offerta di lavoro e in questo ambito speriamo di vedere risorgere anche attività del nostro passato regionale come la lavorazione della seta, che può essere uno dei primi banchi di prova".

Immigrazione: dall’Arci dure critiche alla linea di "Repubblica"

 

Redattore Sociale, 11 maggio 2007

 

Dura critica di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, secondo cui il quotidianoLa Repubblica ha "montato una campagna di stampa che altera la verità dei dati".

"Un’offensiva culturale davvero preoccupante" quella di Repubblica sul tema dell’immigrazione, "affrontato come strettamente connesso a quello della sicurezza e dell’ordine pubblico". È il giudizio di Filippo Miraglia responsabile immigrazione Arci. "Si parte con il grande spazio dato alla nazionalità e all’attività della ragazza che ha ucciso la povera Vanessa nella metropolitana di Roma. Si prosegue con la lettera in prima pagina dell’ormai famoso dipendente del Quirinale che lamenta come la maleducazione, i furtarelli, i comportamenti fastidiosi di migranti e rom rischino di far diventare lui, persona perbene e di sinistra, un razzista.

Angius gli risponde rassicurandolo: si può continuare ad essere perbene e di sinistra e sì, provare fastidio per questi teppistelli stranieri. Si prosegue il giorno dopo con una lettera, sempre in prima pagina, di Veltroni che con tono rassicurante spiega ai lettori che legalità e sicurezza sono valori in sé, né di destra né di sinistra, e che sì, oltre a godere di diritti (quali?) i migranti devono rispettare i doveri. - scrive Miraglia - Infine oggi, titolo di prima: ‘un reato su tre commesso da immigrati.

Salvo poi leggere i dati dell’indagine conoscitiva del Ministero degli Interni cui si fa riferimento nell’articolo, per scoprire che gli immigrati hanno rappresentato nel 2005 il 33,41% del totale delle persone denunciate, denunciate, non condannate. Chiunque abbia un minimo di cultura giuridica sa che la denuncia è solo il primo atto di un procedimento giudiziario che può concludersi con l’assoluzione, l’archiviazione o la condanna. Presumerne automaticamente, come fa Repubblica, la colpevolezza è un’operazione di disinformazione, tanto più grave in quanto utilizzata per sostenere una tesi politica: e cioè che in Italia i migranti rappresentano un grave problema di sicurezza. Il che alla fine ci riporta alla lettera da cui siamo partiti: si può diventare razzisti perché ci si sente insicuri".

Secondo il responsabile immigrazione Arci "questo avviene a pochi giorni dal varo, da parte del Consiglio dei Ministri, di un Disegno di legge sostitutivo della Bossi-Fini, che ribalta l’impianto culturale e politico della destra, mettendo al centro il migrante come persona, con la sua storia e il suo bagaglio di diritti, oltre che di doveri. Ed avviene mentre si concretizza il progetto di partito democratico e si apre la discussione sui contenuti che dovrebbero caratterizzare questo nuovo contenitore, contenuti su cui forse anche Repubblica vorrebbe esercitare un’influenza". "Una cosa è la normale dialettica tra punti di vista diversi, - conclude - una cosa è montare una campagna di stampa che altera, in questo caso, la verità dei dati".

Droghe: la Turco e i Ds alla ricerca del consenso drogato

di Franco Corleone (Forum Droghe)

 

Il Manifesto, 11 maggio 2007

 

Franco Corleone commenta le uscite di Chiamparino e Livia Turco.

Che sta succedendo a sinistra, o meglio nei Ds? Sembra appartenere a un’altra era il tempo in cui il congresso del Pds approvava un ordine del giorno per la legalizzazione della canapa e il manifesto poteva intitolare la prima pagina "Sesso, droga e rock and roll". Ancora più lontani appaiono gli anni in cui come deputato dei "Progressisti" potevo presentare una proposta di legge per la legalizzazione del consumo, della vendita e della produzione della marijuana con la firma di più di centoventi parlamentari tra cui quella di Luciano Violante.

Ora cresce irrefrenabile la ricerca del consenso delle prede del senso comune più becero, alimentato da una cultura costruita sui luoghi comuni dei giornali e della televisione. L’incattivimento, la violenza e l’imbarbarimento non sono presi in considerazione con la dovuta attenzione e vengono invece come il nuovo che avanza.

Certo per un partito che poneva al centro dell’agire politico l’egemonia, si tratta di una svolta consistente. Non si tratta più di studiare, di comprendere i fenomeni sociali, di riflettere collettivamente per raggiungere un sapere non banale con l’ambizione di cambiare il mondo, non solo i modi di produzione ma soprattutto i modi di pensare. Ci si accontenta di lisciare il pelo della cosiddetta opinione pubblica e a adeguarsi ai sondaggi. Da questo punto di vista l’intervista di Sergio Chiamparino sul Corriere della Sera di due giorni fa è davvero sconvolgente e segna forse una mutazione irreversibile.

Innanzitutto colpisce lo stile accattivante: ci si appropria di una identità, l’antiproibizionismo, mai praticata, per dichiararsi pentiti. Vale la pena di ricordare che qualche anno fa Forum Droghe organizzò a Torino un seminario sulle "stanze del consumo sicuro", sull’esperienza di Francoforte, dopo una serie di morti tragiche di consumatori di eroina. Chiamparino che nell’intervista, bontà sua, sollecita per i tossicodipendenti un trattamento sotto controllo medico e non la punizione, si limitò a istituire una commissione di studio che insabbiò tutto.

Veniamo a una topica gigantesca. Chiamparino sostiene con sicumera che la modica quantità costituisce un’ipocrisia senza sapere, o forse lo sa ma gli fa gioco nella ricerca del consenso populista, che la modica quantità non c’è nel nostro ordinamento dal 1990 da quando Craxi impose la svolta al Psi e al governo di allora. La campagna metteva sotto scacco il cosiddetto club della modica quantità, la sinistra libertaria e i comunisti proprio nella ricerca di una nuova identità per acquistare centralità nel sistema politico parlando direttamente al popolo. Così abbiamo avuto la legge Jervolino-Vassalli fino all’anno scorso, sostituita dalla Fini-Giovanardi che ha assunto integralmente il proibizionismo come discrimine morale tra ciò che è bene e ciò che è male e che prevede la punizione da sei a venti anni di carcere per la detenzione di qualunque sostanza oltre i limiti stabiliti dalla Commissione voluta dall’allora ministro della salute Storace.

La giornalista chiede ragione della punizione che si vuole imporre al consumatore e Chiamparino motiva così: occorre riparare al danno fatto alla società alimentando il mercato illegale e quindi il malcapitato dovrà spazzare le strade della città ripulita dallo spaccio per alcuni giorni. Dalla coca alla ramazza è davvero un bel salto riparatore! Ovviamente il sindaco non è tenuto a dirci chi dovrebbe comminare queste pene; forse un tribunale del popolo?

Ma quello che colpisce è che Chiamparino proprio non tollera la "normalità" del consumo, specialmente se è dei ricchi e dei borghesi. Ecco un’idea di classe e di sinistra! È intollerabile che una questione sociale e politica e che divide, più che destra e sinistra, sostenitori dello stato etico e propugnatori del diritto laico, sia declinata strumentalmente come questione eticamente sensibile assieme ai Dico, alla famiglia, all’eutanasia, all’aborto, al divorzio e chi più ne ha più ne metta, per ragioni di schieramento.

Non vogliamo perdere più tempo dietro ai fantasmi identitari di chierici di complemento. Stupisce che Livia Turco si accodi a Chiamparino nell’acchiappare farfalle invece di dirci se il Governo vuole rispettare il programma dell’Unione o no presentando finalmente il disegno di legge di abrogazione della Fini-Giovanardi che aspettiamo da un anno. Le parole stanno a zero e le chiacchiere sottozero.

Droghe: quanto siamo lontani dall’Europa

di Sergio Segio (Società INFormazione)

 

La Repubblica, 11 maggio 2007

 

Caro direttore, la droga è un male assoluto e il drogato un criminale, dicono alcuni. Opposto il parere di altri, secondo cui il consumo di stupefacenti va trattato semmai come una malattia. Secondo altri ancora, anzitutto bisognerebbe parlare, al plurale, di droghe: alcune sono nocive (e tra queste l’alcool e il tabacco sono quelle che mietono più vittime), altre meno e necessitano di risposte differenziate, da sottrarre comunque alla sfera penale.

Il sindaco di Milano, in evidente rincorsa di quello di Torino (il quale a sua volta rincorreva quello di Milano: e chissà quando si fermeranno), ci dice invece che le droghe sono tutte uguali e che, anzi, occorre dismettere ogni finanziamento per i servizi che operano per la "riduzione del danno".

Si profila così il rinnovarsi di scontro tutto ideologico, in controtendenza rispetto a molti paesi europei dove gli approcci sono invece pragmatici, al di là degli schieramenti politici. Pragmatici e articolati, come quelli condensati nella politica elvetica "dei quattro pilastri" (prevenzione, terapia, riduzione dei danni e repressione), che si è rilevata efficace sia nel garantire vita e salute ai tossicodipendenti, sia nel limitare emarginazione e delinquenza e sia, in definitiva, nel ridurre il ricorso alle droghe.

In Italia si preferiscono la propaganda, la reiterazione di politiche rivelatesi fallimentari e l’investimento quasi esclusivo sul piano repressivo. I risultati si sono visti e si vedono: carceri piene, consumatori di droghe spinti a nascondersi e dunque più facile preda di Aids, criminalità e morti per overdose. La riduzione del danno è da sempre avversata dalla comunità di San Patrignano, di cui il sindaco è grande sponsor.

Il suo contrasto muove dalla logica del "fare toccare il fondo" alla persona tossicodipendente in modo da poterla poi "salvare". Si dimentica però che, spesso, da quel fondo, il tossicodipendente non risale più, ucciso dall’Aids, dal carcere e dalla clandestinità cui viene costretto. A questa stessa logica rimanda anche la proposta rivolta ai genitori dei test antidroga, ora rilanciata da Letizia Moratti. Il messaggio demonizzante e minaccioso rivolto ai giovani è sempre controproducente. È molto più efficace, semmai, prospettare loro i rischi, educarli a distinguere uso e abuso. Lo stesso vale per i genitori, naturalmente inclini a considerare il problema con ansie e paure.

Il kit antidroga solletica i timori ma non sostiene il ragionamento. Il genitore ha bisogno di essere aiutato a capire, non di essere investito di un compito equivoco e snaturante. Sulle droghe, come si vede di nuovo dalle dichiarazioni del sindaco, vi sono posizioni divergenti, spesso incomunicanti. Ma comunque la si pensi, rimane vero che le sostanze psicoattive sono anche - principalmente - una merce, legale o illegale a seconda dei casi e dei paesi, e dunque un business; legato alla loro produzione e smercio, innanzitutto, ma pure al loro contrasto. Ad esempio, vi sono comunità terapeutiche centrate sul sostegno e sul rispetto delle persone assistite e altre molto più sensibili ai profitti economici che le strutture riabilitative consentono. Tanto più se esse vengono viste come una panacea, valida per tutti i tipi di consumo e non solo per le dipendenze più problematiche.

Al proposito, è bene sapere che il 75% delle persone prese in carico dai servizi terapeutici sono adulti con un posto di lavoro, non giovinastri o emarginati: come a dire che le dipendenze riguardano la "normalità", e forse i genitori più che i figli. Come ha annotato Maurizio Baruffi, le famiglie dovrebbero essere maggiormente preoccupate dai modelli culturali e dagli stili di vita che vanno invece - incontrastati - per la maggiore. E sono quelli che vediamo trionfare in certa vita notturna milanese e in molti programmi televisivi, dove ai giovani si insegna che ciò che conta è l’apparire, il successo e l’arricchimento a tutti i costi o che fare la velina o il "tronista" è la più encomiabile delle aspirazioni.

Droghe: Moratti; stop alla distribuzione gratuita di siringhe

 

Notiziario Aduc, 11 maggio 2007

 

Il Comune di Milano finanzierà solo quelle comunità, associazioni e quei progetti che puntano alla cura e al pieno recupero del tossicomane e non distribuirà più siringhe gratuite ai drogati. Lo ha annunciato il sindaco Letizia Moratti prima di partire per Istanbul dove parteciperà alla quattordicesima conferenza dei sindaci che aderiscono all’organizzazione delle città europee contro la droga (Ecad).

"Credo che sia arrivato il momento di dire la parola fine a tutte le forme di distinzione tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti occorre recuperare lo spirito e i contenuti della legge Giovannardi-Fini che non è una legge repressiva e punitiva ma anzi favorisce la possibilità di percorsi di recupero". Secondo il sindaco, non solo tutte le droghe sono nocive, ma dalla droga si può uscire con l’aiuto e gli strumenti giusti.

"Basta quindi spendere soldi per distribuire siringhe pulite bisogna smettere di pensare a politiche di contenimento dei danni ma iniziare ad investire seriamente in forme di prevenzione di recupero e reinserimento".

Il Comune ha quindi deciso di dire basta ai finanziamenti a cascata a comunità e soggetti che si occupano di tossicomani, verificando quindi d’ora in poi risultati e sostenendo solo chi riesce ad aiutare realmente quanti cercano di recuperare un proprio progetto di vita.

"Le parole del sindaco Moratti annunciano una premialità che andrà a foraggiare i trattamenti di strutture amiche". Così il responsabile della comunità Saman, Achille Saletti, commenta l’annuncio del sindaco di Milano che promette finanziamenti solo ai programmi di pieno recupero del tossicodipendente e nega la distribuzione di siringhe gratis.

"Rispediamo al mittente questa visione minimale del fenomeno droga, che se attuata condannerà migliaia di consumatori problematici a sviluppare malattie, emarginazione e ulteriore sofferenza. Speriamo che il sindaco Moratti possa essere meglio consigliato dal confronto con i servizi pubblici e privati che da anni cercano di mantenere con i soggetti, condannati oggi dalla Moratti, rapporti per aiutarli ad elaborare una strategia di uscita dalla condizione in cui versano. Speriamo inoltre che questa boutade del sindaco di Milano faccia parte del solito teatrino della politica che nella vicinanza di elezioni alza la voce.

Dividere il mondo dei servizi per i tossicodipendenti in amici e non corrisponde a una visione reale dal momento che la quasi totalità delle comunità che trattano i tossicodipendenti attuano servizi di riduzione del danno cercando di costruire un rapporto significativo per poi curarli".

Droghe: incidente autobus; tracce di cannabis in sangue autista 

 

La Repubblica, 11 maggio 2007

 

La notizia delle tracce di cannabis nel sangue del conducente dell’autobus che si è ribaltato ha destato grande impressione. Al di là delle polemiche immancabili tra "legalizzatori" e "proibizionisti", è difficile contestare chi chiede quantomeno controlli più rigorosi sui lavori a rischio. E il conducente di un autobus é sicuramente tra questi.

E comunque, di fronte alla tragedia di Vercelli, è importante tener conto dell’opinione degli esperti. Che avvertono: non bastano "tracce" di cannabis trovate con il narcotest per dedurre che gli effetti della cannabis siano ancora attivi. Il professore Eugenio Muller del Dipartimento di farmacologia, chemioterapia e tossicologia medica dell’università di Milano sostiene che non si hanno abbastanza dati per capire se e come l’uso della sostanza e l’incidente siano correlati. E fa un invito alla prudenza: "Uno spinello può essere più o meno innocuo a seconda della concentrazione della componente attiva", dice. "La relazione tra il fumare lo spinello e provocare l’incidente può essere reale se il soggetto assumeva in maniera continua e cronica cannabis, se ne aveva fatto uso in relazione al viaggio, ma sono tutte cose che non sappiamo".

L’unica cosa certa, sottolinea Muller, è che la cannabis ha un’azione rapida: "Fumando uno spinello nel giro di mezz’ora si hanno già i segni dell’assunzione, e dopo qualche ora la sintomatologia va a scomparire, ma le tracce rimangono". E possono rimanere nel tempo, precisa ancora: "Bisogna capire in che concentrazione erano ancora nel sangue".

Franco Corleone, segretario dell’associazione Forum droghe, contesta il legame tra l’incidente e l’assunzione di cannabis da parte dell’autista che l’ha determinato. "Per l’ennesima volta, diciamo che la presenza di tracce di cannabis nel sangue non dimostra un consumo immediatamente precedente, ma un consumo che può risalire fino a un mese prima" sostiene.

Dello stesso avviso Pietro Yates Moretti, consigliere dell’associazione di consumatori Aduc: "Se passasse l’equazione antiscientifica tracce uguale a intossicazione - spiega Moretti - giungeremmo a una criminalizzazione senza precedenti del consumo di cannabis". Moretti sottolinea inoltre "che il Codice della strada vieta la guida in stato di alterazione fisica e psichica. Uno spinello fumato giorni addietro, anche se rintracciabile nel sangue, non provoca alterazione".

Droghe: Turco; introdurremo test obbligatori per gli autisti

 

Notiziario Aduc, 11 maggio 2007

 

"Qualcuno come Sergio Chiamparino dimentica che abbiamo in vigore norme severissime quanto inefficaci. E le soglie sono un’assurdità". Lo dichiara in un’intervista a "La Stampa" il ministro della Salute, Livia Turco, che aggiunge "non ha senso fissare le quantità per legge o per atto amministrativo". Sulla tragedia del pullman di bambini, continua, "Non c’entrano nulla i quantitativi ammessi, piuttosto la tragedia di Vercelli dimostra che la linea repressiva non funziona". Nell’esprimere solidarietà alle famiglie delle giovani vittime, la Turco prosegue, "Non sta certamente a me esprimere condanne o anticipare sentenze su eventuali responsabilità dell’accaduto. Però una cosa è evidente. Malgrado la Fini-Giovanardi sanzioni pesantemente il consumo di cannabis, l’autista ha fatto ciò che ha fatto". Il dramma di Vercelli, sottolinea, "entra nella sfera della responsabilità della persona. Sulla strada l’uso di droga può essere mortale come lo è, e ce lo confermano tutte le statistiche, l’abuso di alcol".

Sul da farsi, il ministro della Salute risponde in un’intervista a "La Repubblica", "Per quanto riguarda il tragico incidente posso assicurare che entro l’estate ci saranno test obbligatori per i lavoratori la cui occupazione comporta la sicurezza di altri". Su questi esami, aggiunge, "Erano già previsti da anni ma il passato governo non aveva trovato l’accordo con le regioni". Sul kit antidroga che si vuole sperimentare a Milano, conclude, "Non mi pare sciocca come idea, anzi ammetto che mi intriga. So che è una cosa rischiosa, potrebbe mettere in crisi il rapporto con un figlio, i ragazzi potrebbero rifiutarsi, ma credo sarebbe un test di verità nella relazione tra genitori e ragazzi".

 

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