Rassegna stampa 20 giugno

 

Giustizia: disponibile da oggi la bozza di riforma del Codice penale

 

Ansa, 20 giugno 2007

 

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Sono numerose le novità previste dal progetto di riforma del Codice penale elaborato dalla Commissione presieduta da Giuliano Pisapia (Prc) e presentata nei giorni scorsi al ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Ora la bozza della riforma è all’esame degli uffici legislativi del Ministero, che la dovrebbe trasformare in un disegno di legge per poi approdare in Parlamento. Un lavoro durato otto mesi con riunioni a cadenza settimanale della Commissione composta da 19 membri, tra professori, avvocati e magistrati, oltre al Comitato composto da altri quattro membri, professori provenienti da diverse aree geografiche del Paese.

Durata massima dei processi: tra i primi punti del progetto di riforma c’è la proposta della durata massima del processo fissata a cinque anni e di due anni per l’appello, come previsto dall’articolo 44 della bozza di riforma.

Razionalizzare i tempi della giustizia introducendo, pena la prescrizione del reato, termini massimi per l’esercizio dell’azione penale e per l’emanazione delle sentenze è uno dei punti chiave del progetto di riforma del codice penale.

La normativa stabilisce, infatti, che l’emissione della sentenza di primo grado non potrà giungere oltre i 5 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio e fissa a due anni il termine massimo previsto per la pronuncia del dispositivo che conclude ogni eventuale successivo grado di giudizio.

Il reato si prescrive se trascorrono più di 12 anni tra la consumazione dello stesso e la richiesta di rinvio a giudizio nel caso di delitti puniti con pena non inferiore a 10 anni; più di 8 anni per i reati puniti con pena non inferiore a 5 anni; più di 7 per i reati puniti con pena inferiore a 5 anni.

Abolizione dell’ergastolo: la detenzione di massima durata, secondo la bozza, non deve essere inferiore a 34 anni e superiore a 38 anni, ma può essere ridotta a seguito di verifiche sulla condotta del condannato.

Secondo il gup Morosini, l’abolizione dell’ergastolo "punta all’effettività e per questo prevede un sistema di verifiche periodiche sulla personalità del condannato per rendere più seria l’applicazione dei benefici, come la liberazione condizionale, la semilibertà".

E questo perché, "una persona, anche se ha commesso un delitto grave, non può essere trattata alla stregua di un vuoto a perdere. Quindi, ci sono anche ragioni umanitarie molto serie dietro certe proposte".

Legittima difesa: si sono anche allargate le maglie della legittima difesa per i "soggetti aggrediti all’interno delle loro abitazioni o in luoghi isolati in situazioni oggettive di pericolo per la vita, l’integrità fisica, per la libertà personale o per la libertà sessuale".

Il progetto, che si compone di 57 norme, all’art. 15 introduce tra le "cosiddette cause soggettive di esclusione della responsabilità", "l’eccesso dei limiti della legittima difesa per grave turbamento psichico, timore o panico, in situazioni oggettive di rilevante pericolo per la vita, l’integrità fisica, per la libertà personale o per la libertà sessuale di un soggetto aggredito in luoghi isolati o chiusi o comunque di minorata difesa".

"Si tratta certamente - spiega Piergiorgio Morosini - di un allargamento delle maglie dell’istituto della legittima difesa ma, a differenza del passato, a vantaggio della persona e della vita e non della sfera patrimoniale".

Certezza ed effettività della pena: sicurezza della pena, per il magistrato che ha fatto parte del progetto di riforma, significa anche "aggredire penalmente i patrimoni delle potenti organizzazioni criminali". E in questo campo si è ampliato notevolmente il campo di applicazione della confisca, estesa non solo ai beni conseguiti con il reato o utilizzato per il reato, ma anche per l’equivalente a quello delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, salvo i beni impignorabili".

Oltretutto per i recidivi c’è un aggravamento della pena che oscilla tra un sesto e un quarto della pena, previsti anche aumenti di pena per tutti i reati con finalità terroristiche o mafiose per agevolare associazioni terroristiche o mafiose. E ancora, carichi sanzionatori più consistenti per chi delinque per futili motivi, per chi abusa dei disabili o delle persone in stato più deboli per gli anziani e per chi delinque usando armi improprie come la siringa.

"Noi - ha ribadito più volte Morosini - condividiamo la giusta richiesta dei cittadini che invocano la certezza e la effettività della pena. La gente è scossa dal vedere in circolazione delinquenti con fedina penale lunghissima".

Infine, la riforma della Commissione prevede anche un aggravamento della pena per i reati commessi per finalità di discriminazione razziale, religiosa e di nazionalità. L’ultima parola spetta adesso al ministro Guardasigilli Clemente Mastella che, su un punto, ha già fatto sapere di non essere d’accordo: "abolizione dell’ergastolo".

Concorso in reato: concorre nel reato chi "apporta un contributo causale alla realizzazione del fatto". È il nuovo testo della norma sul concorso di persone nel reato, introdotto dall’articolo 21 della bozza di riforma del Codice Penale. Il legislatore richiede, dunque, per la sussistenza del concorso un contributo concreto. Una novità che potrebbe avere ripercussioni soprattutto sulla fattispecie del concorso in associazione mafiosa, finora mai tipizzata specificamente nel codice. "Nel caso del concorso esterno in associazione mafiosa - spiega il giudice Piergiorgio Morosini, che ha partecipato alla redazione della bozza - si richiede che venga apportato un contributo specifico all’associazione criminale. La norma è frutto di una sintesi di quanto prevedeva il codice Zanardelli, in vigore prima del codice Rocco e, soprattutto, della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione emessa nel 2005 al processo Mannino. I giudici indicarono proprio la concretezza del contributo arrecato alla mafia come discrimine per la prospettazione del concorso".

Discrezionalità del Giudice su riduzione della pena: eliminazione delle circostanze attenuanti generiche e obbligo per il giudice di indicare specificamente nelle motivazioni della sentenza i criteri seguiti nella quantificazione della pena: sono alcune delle novità introdotte dalla bozza di riforma del codice penale. "Il fine - spiega il gup Piergiorgio Morosini, componente della commissione - è quello di ridurre i margini di discrezionalità nell’applicazione della pena di cui ora godono i giudici. D’altro canto, introducendo principi certi nella commisurazione delle pene volevamo evitare le cosiddette condanne esemplari".

Sistema sanzionatorio: il progetto di riforma della Commissione Pisapia rivede l’intero sistema sanzionatorio, con un maggiore ricorso a sanzioni interdittive, riparatorie e pecuniarie che vanno nella direzione auspicata anche dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso della sua visita a Rebibbia, all’inizio di maggio: il carcere deve essere considerato come "extrema ratio" ed eventualità da riservare ai casi più gravi.

La riforma del codice penale messa a punto dai 19 esperti della Commissione Pisapia fa cadere la distinzione tra delitti e contravvenzioni: resta come unica categoria quella dei reati. Fondamentale il principio di offensività: non sarà punibile un fatto se a seguito della sua commissione non c’è stata una effettiva lesione del bene o dell’interesse protetto dalla norma. Nella bozza Pisapia, inoltre, è stato definito con più precisione il dolo, così da evitare confusione con i reati colposi.

Definizione più attenta anche della responsabilità penale, per esempio rispetto al concorso di persone, così da evitare discrezionalità interpretative del giudice. Cambia anche il sistema sanzionatorio: oltre al carcere, vengono previste anche le pene interdittive, prescrittive e la detenzione domiciliare. Nella sentenza di condanna, il giudice potrà disporre pene alternative al carcere (mentre nell’attuale sistema è il tribunale di sorveglianza a stabilirle).

La previsione di un maggiore ricorso alle sanzioni alternative al carcere dovrebbe avere come effetto una riduzione del sovraffollamento negli istituti penitenziari, dove assistenti sociali e agenti penitenziari potranno lavorare con l’obiettivo di più sicurezza e più reinserimento sociale.

Giustizia: riforma Pisapia; l’iter parlamentare sarà molto lungo

 

Ansa, 20 giugno 2007

 

Ci hanno lavorato per anni tre commissioni parlamentari (Pagliaro, Grosso, Nordio).Ora, dopo altri dieci mesi di studio, la commissione per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia trae le somme e domani presenta il proprio lavoro a Siracusa, nel corso di un convegno di tre giorni.

Le nuove regole. Abolizione dell’ergastolo, introduzione di nuovi sistemi diretti ad assicurare la certezza e l’effettività delle sanzioni, ampia depenalizzazione, forti limitazioni alla discrezionalità dei giudici, riduzione dei tempi dei giudizi. Sono queste le linee-guida di una riforma che prima dovrà passare al vaglio del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, poi al Consiglio dei ministri e infine al Parlamento, che dovrà approvare la legge delega per il varo delle nuove norme.

Ergastolo. In base alla normativa vigente il carcere a vita è mitigato da alcune disposizioni che consentono, per i reati non macchiati da finalità di mafia o di terrorismo, di ottenere - se viene tenuta una buona condotta - i permessi premio dopo dieci anni, la semilibertà dopo venti, la liberazione condizionale dopo ventisei. "In ossequio alle disposizioni costituzionali, che prevedono una finalità rieducativa della pena - dice il Gup Piergiorgio Morosini, componente della commissione Pisapia - occorre mettere un tetto alla detenzione. Nascono da qui la sostituzione con un massimo di 38 anni e l’applicazione di limiti molto più rigidi nell’applicazione dei benefici. Dietro la riforma ci sono ragioni umanitarie molto importanti, ma la soluzione tecnica è aperta, dato che è possibile ipotizzare un trattamento diverso per chi venga condannato per reati aggravati da finalità di mafia e di terrorismo".

Oltre la Cirielli. Le esigenze di sicurezza verranno tutelate attraverso una diversa disciplina della recidiva, che modificherà la legge "ex Cirielli", dura con chi commette più volte lo stesso reato ma tanto criticata per il caso Previti. Le pene saranno aumentate fino a un quarto per chi commetterà reati della stessa specie (cosiddetta recidiva specifica) entro dieci anni dal primo fatto penalmente accertato. Fino alla metà sarà l’aumento per i reati che agevolano o hanno finalità terroristiche o mafiose. Saranno considerate circostanze aggravanti l’avere abusato di anziani, disabili, persone deboli. Anche agire con armi improprie (ad esempio la siringa) sarà un’aggravante.

Legittima difesa. Verranno ampliati i limiti della legittima difesa, che sarà riconosciuta anche se non sarà proporzionata rispetto all’offesa subita. Oltre che nell’abitazione e nelle pertinenze di essa, sarà ammessa nei luoghi isolati e per tutelare la vita, l’integrità fisica, la libertà sessuale e personale.

Soldi, soldi, soldi. Le confische avranno confini molto più ampi: riguarderanno non solo i beni che sono direttamente "prodotto, profitto o prezzo del reato", ma anche l’equivalente di questo "profitto". In sostanza potranno essere aggrediti i patrimoni di chi ruba o provoca danni. E se da un lato le pene detentive potranno essere ancora sospese, dall’altro chi fruisce della sospensione dovrà sapere di rischiare comunque qualcosa: da qui la proposta di sospendere temporaneamente la licenza per il commercio o l’iscrizione all’albo degli imprenditori nei confronti di colui che sia stato condannato per vicende riguardanti la sua attività.

Pene. "Il problema principale - dice il giudice Morosini - è la certezza della pena, senza arrivare agli eccessi di legislazione, come quella degli Usa, in cui si va all’ergastolo per avere commesso tre reati, anche tre furti". Fioccheranno così le misure interdittive, le sospensioni da incarichi, uffici, albi, ma pure le pene prescrittive, che impongono di svolgere lavori di pubblica utilità a titolo gratuito. Il carcere, con la riforma, sarà l’extrema ratio. Tra le nuove sanzioni anche la possibilità di una detenzione domiciliare per fasce orarie oppure nei fine settimana, cosa che servirebbe ad esempio contro la violenza negli stadi. La sospensione della pena non sarà "gratis", ma sottoposta ad esempio allo svolgimento gratuito di lavori di utilità pubblica.

Depenalizzazione. Per evitare il proliferare di processi e di pene che, tra sospensioni condizionali e prescrizione, difficilmente vengono scontate, la commissione propone di abolire le contravvenzioni dal sistema penale e di derubricarle a violazioni amministrative. Modificando però la natura dei reati ambientali e contro la sicurezza del lavoro, che diventerebbero delitti e dunque verrebbero sempre puniti penalmente.

Basta processi alle calende greche. Il progetto rivoluziona la prescrizione, stabilendo che il reato cade per il lungo tempo trascorso se entro un certo numero di anni (che varia secondo il minimo edittale della pena) non viene esercitata l’azione penale. Se invece entro il termine stabilito viene chiesto il rinvio a giudizio il reato non si prescrive più ma si prescrive il processo. In primo grado il limite massimo sarà di cinque anni, in appello di due. Per i maxiprocessi i termini si allungheranno se dovranno essere eseguite rogatorie, perizie, consulenze o se gli imputati o i difensori avranno impedimenti.

Mafiosi: dal concorso esterno all’associazione. La riforma del codice sarà un passaggio fondamentale per determinare infine con precisione natura e limiti, ad esempio, del concorso esterno in associazione mafiosa. "Faremo proprie le prescrizioni della Cassazione a sezioni unite - dice ancora Morosini - per il processo Mannino. Occorrerà cioè non una generica disponibilità del concorrente esterno, ma precise condotte specifiche dirette a rafforzare l’associazione".

Giustizia: Mastella; in carcere solo chi è veramente pericoloso

 

Il Campanile, 20 giugno 2007

 

Il ministro Mastella al convegno sul sistema penitenziario: "Gli effetti di risanamento dell’indulto necessitano di tempo".

Ribadisce di volere una giustizia "più credibile e più efficace". Forse per questo, ad esempio, esprime qualche perplessità rispetto all’ipotesi di abolire l’ergastolo. E nello stesso tempo difende, ancora una volta, una scelta come quella dell’indulto. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella interviene al tradizionale convegno promosso dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento dal titolo "Il trattamento penitenziario nel carcere che cambia", che si è svolto ieri presso la sede Rai in Viale Mazzini, e parla delle linee di politica per la giustizia che il suo dicastero ha inteso e presto intende attuare.

Il Guardasigilli fa sapere di aver voluto presentare in Parlamento un "pacchetto organico di proposte che servisse a rendere la giustizia uno strumento più credibile e più efficace, provando a ridefinire i margini, l’effettività e i modi del suo intervento". In questo senso, ha notato Mastella, l’indulto ha avuto "la funzione e il merito di azzerare una condizione di sofferenza e di illegalità che affliggeva le carceri". Per il titolare di Via Arenula le scelte in materia di giustizia, e tanto più decisioni quali l’indulto, "a volte vengono malintese, perché gli effetti dell’azione di risanamento non si vedono subito, ma necessitano di tempo.

Sarebbe stato molto più semplice lasciare la situazione invariata e magari costruire nuove carceri facendo credere all’opinione pubblica che la sicurezza dei cittadini passasse dall’elevato numero di reclusi". Al contrario, "bisogna avere il coraggio di dire alla gente che quel numero elevato, se non accompagnato dalla stabilità della detenzione, ma anzi espressione di un fenomeno di flusso, ossia sottoposto ad un ricambio costante di presenze, non solo non giova alla sicurezza, ma rischia di nuocervi".

Fenomeno, quello del turn-over carcerario, confermato anche dai dati forniti dal Dipartimento amministrazione penitenziaria: nelle 205 carceri italiane, ogni anno entrano circa 90mila detenuti e dopo un anno ne escono 88mila. Sempre secondo il Dap, l’indulto non ha responsabilità (se non per il 10 per cento) in questo "endemico meccanismo" di flusso di ingresso e di uscita dagli istituti di pena.

Il ministro Mastella ha osservato, perciò, che il carcere come risorsa "deve essere riservato a chi è realmente pericoloso". Secondo il Guardasigilli, bisogna lavorare per far sì che i reati "per i quali è possibile una scelta diversa dal carcere, evitino a chi li commette di trascorrere pochi ed inutili giorni di detenzione, magari in custodia cautelare". Infatti, "non bisogna dimenticare i limiti strutturali del sistema penitenziario che, se troppo affollato, finisce inevitabilmente per togliere spazio ai soggetti che appaiono realmente e concretamente pericolosi per la società".

Questo però non vuol dire non esprimere più di qualche dubbio rispetto alle ipotesi di abolizione dell’ergastolo: "Mi parrebbe improvvido - sostiene Mastella - sul piano psicologico dare l’idea di essere indulgenti o indulgentisti a tutti i costi". Inoltre, il Guardasigilli ha sottolineato che è importante stimolare e gratificare gli operatori della giustizia "chiamati ad un arduo compito che è quello di rendere efficace un sistema nel quale occorre far quadrare i conti del surplus di criminalità e della quantità di fattispecie di reato con la ristrettezza delle risorse e delle strutture penitenziarie". Infine, un commento il ministro lo ha dedicato anche alla sospensione del permesso permanente di lavoro che era stato concesso ad Eric Priebke, l’ex capitano delle SS condannato per la strage delle Fosse Ardeatine: "Mi pare quasi un atto dovuto, evidentemente quando scatta una reazione rispetto all’opinione pubblica odierna e di quella che ha residui di quanto ha patito precedentemente, motivi di indulgenza sul piano penale non possono essere dati a cuor leggero".

Giustizia: Gonnella; i cattolici, da sempre contrari all'ergastolo

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2007

 

"La contrarietà del ministro della giustizia Clemente Mastella all’abolizione dell’ergastolo - ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, a margine del convegno annuale del Dap - non si muove in linea con quella che è la grande e nobile tradizione giuridica democratico - cattolica del nostro paese.

Da Giuseppe Dossetti, ad Aldo Moro, sempre i grandi statisti di origine cattolica si sono dichiarati contrari alla pena perpetua perché nega alla radice ogni speranza per il futuro". Per quanto ci riguarda - ha concluso Gonnella - noi continueremo nella nostra campagna per il superamento della pena dell’ergastolo nel tentativo di avvicinare il sistema penale italiano ai più avanzati sistemi giuridici europei".

A nome di Antigone è intervenuta nel corso del dibattito del convegno del Dap, Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’Osservatorio di Antigone, che si è concentrata essenzialmente sulla detenzione delle donne e quindi anche sui problemi della genitorialità in carcere. Secondo Marietti i problemi di questa natura possono (e dovrebbero) essere affrontati con una certa facilità perché in fondo stiamo parlando di un numero molto esiguo di persone.

Le donne in carcere in Italia sono oggi circa 1.800 (di cui molte sono straniere) e anche negli altri paesi europei la percentuale di presenze femminili nelle carceri si attesta sempre tra il 4 e l’8 per cento della popolazione detenuta complessiva. Le donne incarcerate sono spesso condannate per piccoli reati e le pene sono sempre al di sotto dei tre anni.

Si tratta quindi di piccola criminalità, legata ai furti o alla prostituzione (favoreggiamento quando le donne vengono trovare insieme) oppure reati legati alla droga. "Non esiste insomma una forte connotazione criminale delle donne - spiega Susanna Marietti - ed è bene che questi problemi vengano affrontati per interrompere quel circuito perverso che porta dalla strada al carcere, dal carcere alla strada e viceversa". Per la coordinatrice dell’osservatorio di Antigone si parla quasi esclusivamente di madri quando si affronta il tema della detenzione al femminile. Ma non è l’unico aspetto.

Uno dei problemi specifici di tutte le donne in carcere o comunque delle donne condannate riguarda per esempio la possibilità di accedere alle misure alternative al carcere verso cui giustamente l’amministrazione penitenziaria sta spingendo. Ebbene ci sono centinaia di casi (come quelli delle donne Rom e Sinti per esempio) di impossibilità pratica di applicazione delle misure alternative. Ci sono donne che non hanno una casa, per esempio, e che di conseguenza non possono beneficiare degli arresti domiciliari. Anche la legge Finocchiaro (sulle detenute madri con figli sono i 10 anni) non è stata mai applicata fino in fondo proprio per questi motivi.

Giustizia: Mastella; con l’indulto abbiamo fatto un buon lavoro

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2007

 

Il ministro della giustizia rivendica gli effetti positivi del provvedimento: "Ha azzerato una sofferenza divenuta insopportabile. Ora il carcere deve diventare necessario solo per le persone socialmente pericolose".

Elogio dell’indulto (con una certa delusione per come è stato accolto dalla società italiana), no alle proposte di abolizione dell’ergastolo, annuncio di una revisione complessiva del sistema della giustizia che dia la possibilità ai magistrati di lavorare meglio e in serenità. Questo in sintesi il contenuto dell’intervento del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che ha partecipato a un convegno sul "trattamento penitenziario nel carcere che cambia" organizzato dal Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nella sede nazionale della Rai. "Con l’indulto abbiamo fatto bene", ha detto il ministro Mastella che si è però lamentato della pessima accoglienza che ha avuto in Italia il provvedimento. "Non c’è stata certo alcuna benevolenza nei miei confronti - ha spiegato il ministro - anche se è stato evidente come l’indulto abbia azzerato una sofferenza divenuta insopportabile negli istituti penitenziari".

Il ministro della Giustizia, ha ribadito la centralità del dettato costituzionale che mette al centro la persona e la funzione educativa della pena. Oggi più che mai è necessario quindi conciliare le esigenze di sicurezza dei cittadini con quelle di giustizia, si "devono curare i mali, non solo i sintomi", ha spiegato Mastella, che ha ricordato il pacchetto di proposte già presentate in Parlamento per la riforma del sistema. Oltre all’indulto che è stato già applicato, il ministro ha detto che si tratta di introdurre modifiche strutturali. È soprattutto assurdo continuare a puntare tutto sul carcere, come è assurdo dover aspettare 20 anni per la costruzione di un nuovo istituto penitenziario, salvo assistere all’arresto dei rappresentanti delle stesse aziende costruttrici del carcere. Insomma ha fatto bene il Dap, ha commentato Mastella, a organizzare il convegno di oggi che appare quindi come una sorta operazione verità. Bisogna ripartire proprio dalla situazione reale che viene descritta nelle statistiche sui detenuti e nelle relazioni degli operatori per migliorare una situazione che comunque appare più favorevole rispetto a qualche anno fa.

Come esempio dei miglioramenti avvenuti, intervenendo oggi al convegno organizzato dal Dap, il ministro Mastella, ha ricordato che i suicidi in carcere sono diminuiti del 40% negli ultimi anni. È il segno, ha detto Mastella, che qualcosa sta realmente cambiando e questo è sicuramente il frutto del lavoro di tutti coloro che stanno cercando di umanizzare l’istituzione penitenziaria.

Si deve però continuare a intervenire perché dopo l’indulto, tra qualche tempo, potremmo ritrovarci facilmente di fronte a nuove emergenze. Secondo Mastella il carcere dovrebbe essere utilizzato solo per i soggetti realmente pericolosi perché solo così (con istituti non sovraffollati) si può mettere in pratica il principio costituzionale della rieducazione.

Il ministro ha fatto riferimento anche ai dati forniti dal Dap sull’altissimo "turn-over" delle carceri. Si tratta di intervenire su un fenomeno che ha aspetti negativi anche sui comportamenti delle forze di polizia. "Perché rischiare in operazioni di arresto - si potrebbero chiedere parecchi poliziotti - se poi l’arrestato viene scarcerato dopo pochissimo tempo?". Ma non si tratta certo dell’unica contraddizione da affrontare. Molto si è fatto insomma, ma molto c’è ancora da fare per il ministro, secondo il quale si devono conciliare giustizia e carità.

Giustizia: custodia cautelare; il ministro risponde… e non risponde

 

Il Riformista, 20 giugno 2007

 

Mercoledì 13 giugno, "Radio Carcere" ha pubblicato una lettera inviata al ministro della Giustizia Clemente Mastella, con la quale gli si chiedeva di conoscere il numero delle persone arrestate e poi prosciolte. Il ministro ha cortesemente risposto, con una lunga lettera, che pubblichiamo. Purtroppo il dato richiesto non è stato comunicato. Non è stato comunicato neanche qual è il numero dei procedimenti per ingiusta detenzione, ovvero quei procedimenti che vengono instaurati per ottenere dallo Stato un indennizzo per essere stati sottoposti ingiustamente a custodia cautelare.

 

"Gentile dottor Arena, so bene come la durata e gli effetti della custodia cautelare rappresentino un aspetto importante del sistema penale, con rilevanti riflessi sulla persona innanzitutto oltreché sulla realtà penitenziaria. Com’è noto, la ratio della custodia cautelare risiede nella necessità di assicurare che la persona gravemente indiziata per allarmanti reati, che si sia data o si stia per dare alla fuga, o per la quale esista il concreto pericolo che commetta nuovi delitti, sia messa in condizione di non nuocere, mentre è in attesa di giudizio. Il tema in questione è comunque all’attenzione degli uffici del mio ministero che stanno elaborando proposte concrete con l’obiettivo di far sì che venga ancor più allargato, laddove possibile, l’ambito delle misure alternative alla detenzione, rendendo il carcere sempre più ultima ratio.

Non bisogna tuttavia, sottovalutare l’importanza che la custodia cautelare ha per l’ordinato vivere civile né dimenticare che la legge opportunamente pone un limite al tempo che un

indagato può trascorrere in detenzione senza un titolo definitivo. Questo termine spesso è di molto inferiore, in ragione delle garanzie dovute all’imputato, al tempo medio in cui un processo attualmente si svolge e arriva a conclusione.

Sui tempi lunghi dei processi, peraltro, il consiglio dei ministri ha già licenziato un provvedimento da me proposto che mi auguro il Parlamento voglia approvare al più presto, portando a cinque anni, salvo casi eccezionali, la durata dei procedimenti. Non è compito del Guardasigilli, invece, giudicare i giudici nell’esercizio delle loro funzioni. E semmai mio compito analizzare il funzionamento del sistema giustizia, assicurando che sia garantita l’autonomia delle decisioni, ma al tempo stesso sia offerta all’imputato la possibilità di ottenere rimedi molteplici alle pronunce a sé sfavorevoli Questi rimedi sono esperibili anche nella fase della custodia cautelare, e se producono i loro effetti non devono fare gridare allo scandalo, perché la ricostruzione della verità avviene secondo un precedere graduale che ha la sua fine solo con la pronuncia definitiva.

Certo, è vero che possono esistere casi in cui soggetti arrestati vengono successivamente prosciolti. Ciò da un lato costituisce uno stimolo per operare in modo da ridurre il più possibile questi, ma dall’altro è un dato che dimostra come il sistema dei rimedi e delle garanzie funzioni ed è la riprova che il sistema giudiziario italiano è fondato sulla ricerca della verità e sul rispetto della giustizia.

Avrei paura di essere ministro della giustizia in un paese dove non esiste la possibilità di affermare con gli strumenti della difesa l’innocenza di un imputato; dove i giudici non abbiano il coraggio di dire anche cosa diversa da quella che in precedenza hanno sostenuto altri giudici. In democrazia può esserci chi sbaglia, ma c’è sicuramente chi riconosce e corregge gli errori. Altra questione è quella relativa ad eventuali abusi nell’uso della custodia cautelare, che tuttavia è fenomeno assai circoscritto, nei confronti della quale è sempre massima la mia attenzione verso i profili disciplinari collegati.

 

Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella

Giustizia: da Reggio Emilia proposta per superamento degli Opg

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2007

 

È l’impegno che si sono assunti ieri a Reggio Emilia esponenti di Governo, regione Emilia Romagna ed enti locali durante il convegno "Oltre gli Opg", organizzato dal gruppo Uniti nell’Ulivo.

Una proposta a cavallo tra modifica della normativa penale e operatività socio-sanitaria per arrivare al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e all’istituzione di tante strutture protette garantendo, comunque, sia i diritti dei reclusi sia la sicurezza della comunità.

È l’impegno che si sono assunti, ieri pomeriggio a Reggio Emilia, esponenti del Governo, della Regione Emilia-Romagna e degli enti locali reggiani durante il convegno "Oltre gli Opg. Per una riforma necessaria a 30 anni dalla legge Basaglia", organizzato dal gruppo Uniti nell’Ulivo e a cui hanno partecipato anche Marco D’Alema, consigliere del ministro Livia Turco per la salute mentale e il sottosegretario al Ministero della Giustizia Luigi Manconi.

"Sono circa una quarantina le persone impropriamente internate nell’Opg di Reggio Emilia che sconta, come tutti gli altri in Italia, anche un’inaccettabile condizione di sovraffollamento", hanno detto i consiglieri regionali Gianluca Borghi e Laura Salsi (250 reclusi su una capienza di 190 posti).

E la situazione potrebbe peggiorare se arrivassero, come teme il sindaco di Reggio Graziano Delrio, "altri 50 o 60 ospiti attualmente detenuti nell’Opg di Napoli che è a rischio di chiusura". Attualmente i "manicomi giudiziari" attivi sono sei (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto e Castiglione delle Stiviere) per un totale di circa 1.100 reclusi. Ma per arrivare a superare "queste strutture dovremo sostituire gli Opg con piccoli istituti a livello territoriale che siano in grado di garantire il trattamento e il reinserimento sociale degli internati. Che questo sia possibile lo dimostra l’esperienza del progetto Antares, un reparto dell’Opg reggiano che, in virtù di una convenzione con Regione Emilia-Romagna, Asl e associazioni del terzo settore, funziona a custodia attenuata, con celle aperte e detenuti che lavorano di lavoro all’esterno grazie a una cooperativa sociale", ha precisato Borghi.

Come fare concretamente? Accanto alla modifica in corso del codice penale da parte della commissione Pisapia (che prevede, tra le novità più importanti, l’eliminazione della detenzione per le persone non imputabili, misure di cura e di sostegno che non potranno superare l’entità della pena e rivede la concezione dell’incapacità di intendere e volere specificando che la valutazione medico legale dovrà considerare non soltanto le malattie psichiche ma anche i gravi disturbi della personalità), "è necessario sostenere, da subito, iniziative che blocchino l’inappropriata custodia in Opg anche attraverso un miglior trattamento sanitario nelle carceri - hanno sottolineato i consiglieri dell’Ulivo Borghi e Salsi -. In tal senso è di fondamentale importanza il recente accordo tra il Ministero della Giustizia e la Regione, teso a garantire l’assistenza medica specialistica, a carico del Servizio sanitario regionale, per tutti i detenuti nelle infermerie negli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna".

"Definire dimissioni programmate per chi oggi si trova rinchiuso in un Opg in modo improprio (circa il 20% non e più in grado di nuocere a nessuno) e riconsiderare tutti gli invii che dalle carceri passano negli ospedali psichiatrici giudiziari, sono procedure che potrebbero diminuire di almeno il 40% gli internati - ha detto infine Marco D’Alema -; inoltre è necessario dare ai servizi socio sanitari la capacità di gestire tutta una nuova categoria di utenza giovanile con disturbi della personalità o che fa uso di sostanze che, secondo una sentenza della Cassazione, risulterebbero non imputabili e sarebbero quindi nuovi possibili candidati per queste nuove tipologie di strutture".

Giustizia: "schede" sui sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2007

 

O.P.G. Barcellona Pozzo di Gotto (Messina)

Direttore: Nunziante Rosalia

Indirizzo: Via V. Madia 31, 98051 - Barcellona Pozzo di Gotto (ME)

Tel.: 090.9709311 - Fax: 090.9791234. E-mail: opg.barcellona@tin.it

Infermeria e Terapie

Situazioni di lunga degenza. Molti anziani e cronici. Terapie farmacologiche. Psicoterapia in casi selezionati. Misure ergoterapiche. La contenzione viene eseguita dagli infermieri con gli agenti di polizia penitenziaria di reparto

 

O.P.G. Napoli

Direttore: Umberto Raccioppoli

Indirizzo: Via M. R. Imbriani 218, 80136 - Napoli

Tel.: 081.5493381- Fax: 081.5493279

Infermeria e Terapie

Terapie farmacologiche prescritte esclusivamente da medici. Psicoterapia condotta da psicologhe.

 

O.P.G. Aversa (Caserta)

Direttore: Adolfo Ferraro

Indirizzo: Via S. Francesco 2, 81031 - Aversa (CE)

Tel.: 081.8155111- Fax: 081.5038409. E-mail: opg@opgaversa.it

Infermeria e Terapie

Psicoterapie. Terapie farmacologiche (neurolettici, benzodiazepine, antidepressivi etc.); è in uso, per i tempi terapeutici, la contenzione e sono in uso i letti di contenzione. Spesso viene usato anche l’internamento. Sia la contenzione che l’internamento sono decise dal medico di turno.

 

O.P.G. Montelupo Fiorentino

Direttore: Franco Scarpa

Indirizzo: Viale Umberto I, 50053 - Montelupo Fiorentino (FI)

Tel.: 057.1913192 - Fax: 057.1913315. E-mail: fscarpa@internetlibero.it

Infermeria e Terapie

Vi è un reparto che contiene fino a 30 posti letto dove vengono messi gli internati in osservazione, soggetti con situazioni di emergenza clinica e con necessità di trattamento intensivo. In questo reparto viene predisposta una cella per l’accoglienza e il trattamento di soggetti con patologia HIV correlata o in grave deficit immunologico. Il reparto è dotato di Infermeria per terapia e colloqui sanitari e psichiatrici. La terapia effettuata comprende l’uso massiccio di psicofarmaci, depressivi o eccitanti a seconda dei casi, prescritte da specialista psichiatra e medico. Somministrazione da parte del personale infermieristico. Contenzione effettuata in stanze apposite con l’assistenza di personale infermieristico, applicata solo in casi di emergenza e per il tempo strettamente necessario. Non si effettua con il letto di contenzione, ma con delle fascette di tela, con le quali il detenuto viene immobilizzato a letto.

 

O.P.G. Castiglione delle Stiviere (Mantova)

Direttore: Michele Schiavon

Indirizzo: Loc. Ghisiole, 46043 - Castiglione delle Stiviere (MN)

Tel.: 037.66355021/2 - Fax: 037.6672920. E-mail: direzione@opgcastiglione.it

Infermeria e Terapie

Prevalentemente farmacologiche, talvolta psicoterapie, trattamenti socio-riabilitativi. Raro il ricorso alla contenzione, fatto sui letti con fascette ai polsi e alle caviglie, le braccia e le gambe aperte. Non vengono effettuate terapie di shock. Esistono camere singole per malattie infettive e contagiose. Dei 5 reparti, uno è adibito ad ospitare pazienti con significative riacutizzazioni delle psico-patologie. Le terapie vengono eseguite esclusivamente dagli Infermieri su precisa indicazione medica. Per tutti i pazienti viene applicato un piano di trattamento che, pur tenendo conto dell’Ordinamento penitenziario, privilegia le convenzioni terapeutico-sanitarie di ogni singolo caso. All’atto dell’ingresso agli internati viene effettuata una serie numerosa di esami clinici, allo scopo di accertare le condizioni generali di salute fisica del soggetto e la presenza di eventuali malattie. Contemporaneamente viene osservato il comportamento del soggetto al fine di accertare il tipo di malattia o anomalia psichiatrica; il tipo di terapia da adottare; la qualità e la quantità di terapia farmacologia; l’accettazione da parte del paziente della terapia proposta e la capacità di stare con gli altri internati.

 

O.P.G. Reggio Emilia

Direttore: Valeria Calevro

Indirizzo: Via Settembrini 18, 42100 - Reggio Emilia

Tel.: 0522.332070 - Fax: 0522.551232. E-mail: opg.re@comune.re.it

Infermeria e Terapie

Terapie psichiatriche ed internistiche. Nell’istituto vi è una grossa presenza di tossicodipendenti. Viene eseguita la contenzione in apposite stanze di degenza. Le terapie sono esclusivamente prescritte da medici e somministrate da infermieri. Nella struttura è operante il progetto "Antares", per il superamento dell’isolamento attraverso attività quali la lettura, il disegno, la cucina, il gioco, la visione di film. Esso è destinato ad una quarantina di persone a cui è garantita la riabilitazione e un rafforzamento delle attività nelle strutture esterne.

Giustizia: ricerca nazionale del Dap sulla detenzione femminile

 

Vita, 20 giugno 2007

 

Uno stralcio del report del Programma esecutivo d’azione che riguarda la condizione della donna dietro le sbarre. Un dossier in cui si esaminano le condizioni di vita delle detenute rispetto agli spazi detentivi, al servizio di biblioteca, all’identità femminile, alla genitorialità, ai rapporti familiari, alle attività lavorative e alla sfera psico-fisica.

I risultati della ricerca, condotta su scala nazionale, sono stati resi noti nel corso del convegno organizzato questa mattina dalla Direzione generale dei detenuti del trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Dal rapporto è emerso che spesso nelle 205 carceri italiane i servizi igienici per le detenute non sono completamente idonei, in taluni casi non sono neanche sufficienti e le camere sono sovraffollate.

Modesta è la presenza di aree verdi, ma si evidenziano alcune punte di eccellenza a Venezia, Bologna e Reggio Emilia e alcune punte di criticità a Trani, Catania, Belluno, Trieste, Rovereto, Verona e Pozzuoli dove non esistono affatto. Le stanze spesso sono scarsamente o per niente personalizzabili, gli spazi angusti e la chiusura eccessiva delle stanze crea problemi di vivibilità e litigiosità.

Per quanto riguarda il servizio biblioteca si è rilevato che in alcune realtà le donne non possono usufruirne e altre volte l’accesso al servizio è consentito soltanto durante una piccola fascia oraria. La biblioteca viene utilizzata poco come luogo di aggregazione, ma in molte carceri, come Genova, Bologna e Milano è sede di iniziative culturali.

Per quanto riguarda la tutela dell’identità femminile all’interno del progetto pedagogico, sono presenti interventi dedicati alle donne e i servizi di cura alla persona consistono nel servizio di parrucchiera, presente in quasi tutti gli istituti, mentre l’opportunità di fruire di uno specchio a tutta persona esiste solo a Venezia e la possibilità di fare fotografie è molto diffusa. L’acquisto di prodotti di bellezza non sempre è consentito.

Dal punto di vista del sostegno alla genitorialità in qualche realtà sono stati sottoscritti protocolli di intesa con Enti locali, Regioni, Province e Comuni e in particolare a Roma nel carcere di Rebibbia il volontariato attua interventi intra-murari ed extra-murari mirati al mantenimento dei legami delle detenute straniere con i figli rimasti nei Paesi d’appartenenza.

In molti casi si è rilevato che la sezione madri con bambini non è assolutamente adeguata alla crescita del minore. Nel dossier inoltre una parte è dedicata al sostegno dei rapporti familiari delle detenute: in quasi tutti gli istituti i colloqui con i familiari si svolgono in una sala apposita, tranne in alcune realtà dove esistono aree attrezzate; inoltre vengono svolte poche attività extramurarie per rinforzare i legami detenuto-famiglia o risolvere situazioni di crisi.

Infine un apposito capitolo è dedicato alla tutela della multiculturalità, dove si rileva che solo in alcuni istituti sono in fase di attuazione gli sportelli multiculturali (Genova e Bologna); dal punto di vista della tutela della sfera psico-fisica delle detenute si pongono in atto attività sportive, ricreative e interventi di volontariato ed è stato rilevato che la capacità del personale penitenziario di leggere le espressioni della sfera affettiva, emotiva, sessuale e culturale delle donne è alta. Ma talvolta gli operatori sono particolarmente sensibili e professionalmente attrezzati come a Genova, Empoli, Milano e Roma.

Minori: intervista a Rita Barbera, direttrice dell’Ipm di Palermo

 

La Sicilia, 20 giugno 2007

 

Rita Barbera, una vita professionale dedicata all’amministrazione penitenziaria, è la direttrice dell’Istituto penale per i minorenni "Malaspina" di Palermo dopo avere diretto la Casa circondariale di "Pagliarelli".

 

Quali sono le difficoltà nel dovere gestire un istituto come il Malaspina?

"Sono innumerevoli perché ogni caso affrontato è particolarmente difficile. Abbiamo a che fare con ragazzi dai 14 ai 18 anni e puntiamo al loro recupero accompagnandone la crescita morale, sociale e intellettuale. Il problema è fare loro capire che hanno commesso un reato, che ci sono state delle vittime, che è stato un comportamento che ha violato le regole della società. Siamo tutti impegnati a raggiungere questo obiettivo: gli agenti della polizia penitenziaria, gli educatori, lo psicologo, il cappellano, gli insegnanti, il personale dell’Ufficio dei servizi sociali, i volontari della varie associazioni. A parole sembra facile, nella realtà è un’impresa".

 

Perché?

"Perché sono ragazzi che provengono da contesti sociali, familiari ed economici in cui la distinzione tra bene e male è molto labile. Attraverso il colloquio, l’introspezione e la maturazione l’équipe di educatori punta al recupero di certi valori, alla rieducazione e alla risocializzazione. Se restano qui il processo continua. Il problema è che una volta rientrati in famiglia e nel contesto sociale in cui sono cresciuti, di colpo tornano com’erano prima".

 

È più facile il recupero di un detenuto adulto o di un minore?

"Di minori me ne occupo da meno di 4 anni, di adulti per 20 anni. A Pagliarelli, che ho diretto per quasi 8 anni, c’erano 1.100 detenuti. Dal punto di vista organizzativo al Malaspina è più facile, visto il numero esiguo di detenuti: meno di una ventina. Dal punto di vista del recupero, l’impegno è però maggiore e anche dal punto di vista della sicurezza. I ragazzi sono più temerari (evasioni, risse, aggressioni al personale di custodia) rispetto agli adulti. I ragazzi fanno cose che in un carcere per adulti non accadono. E anche il recupero dell’adulto è più facile perché riesce a capire, per esperienza, quali sono i veri valori della vita: la libertà, la famiglia, il lavoro. Non solo, ma il tempo che trascorre in carcere gli offre una maggiore capacità di introspezione e di riflessione su quanto commesso. Per questo motivo, tra gli adulti, la voglia di non tornare in carcere è molto forte. Anche se il rischio di farvi ritorno dai 20 ai 35 anni resta molto alto. Dopo, diventa più difficile. Il ragazzo, invece, entra ed esce dal carcere minorile".

 

Come mai?

"Stabilire un rapporto con un ragazzo è molto difficile. Anche se ci sono gli strumenti per fargli capire la differenza tra il bene e il male, il ragazzo che viene da un contesto dove l’illegalità fa parte del suo back-ground culturale, come fa ad essere diverso quando vi ritorna? Una volta che rientra al Malaspina bisogna riprendere il processo di recupero. Per fortuna gli operatori non si lasciano sopraffare dal cinismo di ritenere ineluttabili queste situazioni sociali. Riprendiamo daccapo il nostro lavoro come se davanti ci trovassimo per la prima volta quel ragazzo. La professionalità ci aiuta a non farci demoralizzare dall’insuccesso. L’esigenza che il ragazzo impari a gestire bene gli strumenti che gli sono offerti durante il periodo di detenzione ha la verifica nel momento del suo ritorno in famiglia".

 

C’è una soluzione?

"Purtroppo il carcere minorile ripropone quello degli adulti. Qui, in teoria, hanno tutte le carte da giocare per una vita migliore: la scuola, l’apprendimento di un mestiere. Il carcere offre delle opportunità, ma poi ci sono regole di sottocultura carceraria: la costrizione nella cella; la frustrazione di dipendere in tutto dagli altri; la perdita della libertà. Come dire che il carcere, così com’è concepito, non serve per il recupero di questi ragazzi".

Scuola: esami di maturità... anche per 53 studenti-detenuti

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2007

 

Tra i 500 mila esaminandi 53 detenuti in 11 carceri e oltre 60 non vedenti e ipovedenti; per loro testi in braille e con caratteri ingranditi. Fioroni: "Lo studio vale più delle raccomandazioni".

Sono quasi 500 mila gli studenti che oggi hanno affrontato la prima prova scritta degli esami di maturità e tra loro molti "candidati speciali": 53 detenuti, in 11 penitenziari, ma anche 51 non vedenti e 11 ipovedenti per i quali sono stati predisposti temi in linguaggio braille e con caratteri ingranditi. Lo ha reso noto il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, alla fine del saluto rivolto ai maturandi. Nel messaggio Fioroni ha parlato di "impegno e passione nello studio come nei confronti di se stessi, della vita". "L’impegno - ha detto - non è una cosa triste e pesante, nasce dalla vostra libertà. L’uomo è fatto per impegnarsi, per mettere a frutto le proprie capacità, per costruire. Il ministro ha poi parlato di "merito, senza il quale "non c’è futuro di qualità". "La vostra preparazione, la vostra cultura sono la vera forza per farvi largo nel mondo, per affrontare il futuro e le sfide della vita. - ha concluso - Solo se il merito tornerà a contare davvero e sarà chiaro che la cultura, lo studio e la preparazione valgono più delle raccomandazioni o della ricerca di qualche Santo in Paradiso, saranno garantite a tutti pari opportunità e il Paese potrà decollare".

Polizia Penitenziaria negli Uepe: una interrogazione al Senato

 

Blog di Solidarietà, 20 giugno 2007

 

Contro la proposta del Ministro della Giustizia di inserire dei nuclei di Polizia Penitenziaria negli Uepe con compiti di controllo sulle misure alternative, oltre che alla Camera dei deputati (Interrogazione a risposta scritta 4-03683 /seduta 159) anche al Senato, attraverso i senatori Boccia Maria Luisa, Russo Spena, Liotta, Alfonzi, Emprin Gilardini (atto 4-01895/seduta 148) è stata presentata Interrogazione parlamentare al Ministro Mastella.

"La bozza di decreto ministeriale avente per oggetto l’intervento della Polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna ha suscitato notevoli perplessità e preoccupazione fra gli operatori degli uffici di esecuzione penale esterna (E.P.E.)".

I Senatori firmatari dell’interrogazione hanno evidenziato come nella suddetta bozza di decreto la stessa "attività prevista per la Polizia penitenziaria è sminuita nel ruolo e nelle funzioni, finanche rispetto a quella oggi svolta dall’Arma dei Carabinieri e dalla Polizia di Stato, che assicurano questo servizio senza limitazioni territoriali e in una prospettiva di autonomia rispetto alla magistratura di sorveglianza; il progetto, invece, propone una rilevante limitazione delle attività di controllo della Polizia penitenziaria al solo ambito comunale".

Gli stessi evidenziano come invece "il controllo delle prescrizioni inerenti le limitazioni di mobilità nel territorio e il rispetto degli orari di dimora sia possibile attraverso la concertazione tra gli uffici E.P.E. e le forze dell’ordine territoriali senza determinare sovrapposizioni di ruoli che snaturerebbero l’intervento sociale".

L’interrogazione denuncia inoltre come "la suddetta bozza di decreto non preveda risorse sufficienti a garantire il trattamento individualizzato della persona su cui si fonda l’istituto della esecuzione penale esterna, che come tale necessita di un rapporto costante tra il condannato, il servizio sociale ed in genere gli operatori coinvolti nell’E.P.E., come dispone l’articolo 118 del decreto del Presidente della Repubblica 230/2000, secondo cui gli interventi del servizio sociale per adulti nel corso del trattamento in ambiente esterno sono basati su un rapporto di fiducia tra soggetto stesso ed istituzione - così da realizzare pienamente il reinserimento sociale della persona.

Nella medesima prospettiva, l’art. 47, comma 9, della legge 354/1975 dispone che il Servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri ambienti di vita sottolineando quindi espressamente il ruolo centrale che nell’E.P.E. svolge il servizio sociale".

Inoltre viene evidenziato come "le limitazioni previste dalla suddetta bozza di decreto, in ordine alla competenza e alle risorse disponibili per gli operatori dell’E.P.E. sembrano contrastare con le numerose richieste dagli stessi manifestati, volte ad ottenere l’assegnazione di locali idonei all’attività da svolgere, nonché l’ampliamento dell’organico e delle risorse in misura corrispondente al lavoro da effettuare".

Nell’interrogazione viene data voce alle associazioni degli operatori E.P.E. i quali hanno denunciato come "le misure e limitazioni dell’organico e delle risorse disponibili per l’E.P.E., previste dalla bozza di decreto in esame, rischino di pregiudicare la funzionalità e il corretto svolgimento dell’esecuzione penale esterna, in particolare sotto il profilo della necessaria multidisciplinarietà delle competenze e delle professionalità degli operatori, come disposto dall’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 230/2000".

I senatori Boccia, Russo Spena, Liotta, Alfonzi, Emprim Gilardini, concludono l’interrogazione al Ministro Mastella chiedendo se "non ritenga opportuno fornire ulteriori informazioni in ordine agli orientamenti del Ministero sulla questione in analisi; se non ritenga opportuno, prima di avviare qualsiasi sperimentazione del decreto o di portarlo a completa definizione, coinvolgere gli operatori dell’E.P.E. e le loro associazioni rappresentative, al fine di recepirne, ove possibile, le istanze, e di acquisirne le proposte e le osservazioni".

Roma: imputato muore d’infarto durante interrogatorio in aula

 

Quotidiano Nazionale, 20 giugno 2007

 

L’uomo, 59 anni, è stato stroncato da un infarto fulminante mentre rispondeva alla domande del pubblico ministero. Era accusato di aver ucciso l’ex convivente americana.

Da pochi minuti stava rispondendo alle domande del pubblico ministero, quando ha accusato un fortissimo dolore al petto, risultato fatale. È morto così, stroncato da un infarto fulminante, nell’aula della prima corte d’assise di Roma, il 59enne Carlo Alberto Ventre, imputato di omicidio volontario per la morte, avvenuta il 28 luglio del’98 al Villaggio Tognazzi di Torvaianica, della ex convivente americana di 29 anni, Marie Toni Dykstre, con la quale i rapporti si erano ormai deteriorati per l’affidamento della figlia. A nulla sono serviti i soccorsi.

Interrogato dal pm Giancarlo Capaldo, l’imputato stava raccontando la sua storia, soffermandosi soprattutto sull’evoluzione dei tormentati rapporti con l’ex convivente alla quale un giudice americano aveva tolto la figlia (che adesso ha undici anni ed è affidata, negli Usa, al fratello di Ventre), concedendo alla madre soltanto un diritto di visita monitorato.

Ancora pochi minuti di esame, e l’imputato sarebbe entrato nel merito dell’accusa contestata dalla procura di aver ucciso la donna e avrebbe spiegato che fu la Dykstre, accecata dall’ira per l’impossibilità di vedere la ragazzina, a scagliarsi contro di lui, armata di accetta, a cadere in terra per una spinta e a morire sul colpo dopo aver sbattuto la testa.

"Il mio assistito è stato accusato - ha raccontato l’avvocato Roberto Leonardo, presente in aula - da alcuni testi americani che, dopo la morte della Dykstre, hanno parlato di minacce rivolte alla donna e di circostanze chiaramente inventate. Avremmo dimostrato alla corte che qualcuno non ha detto la verità. Ieri Ventre mi aveva confidato che temeva di essere sopraffatto dall’emozione. Sentiva molto l’appuntamento di oggi in udienza. Detenuto per quattro anni in America perché il permesso gli era scaduto, aveva fatto di tutto per essere processato in Italia e provare la propria estraneità. Il suo pensiero era quello di ritornare al più presto dalla figlia, che ha cresciuto sin dalla nascita perché la madre non ha mai mostrato troppa attenzione. Quella donna non riusciva a controllare il suo carattere, era spesso di una violenza inaspettata".

Ventre, stando all’avvocato Leonardo, ha iniziato con una "apparente tranquillità" la deposizione davanti alla corte. Ad un certo punto, si è sentito male, è svenuto, si è ripreso un attimo dopo aver bevuto un sorso d’acqua, ma poi si è accasciato definitivamente a terra.

Carlo Alberto Ventre, che commerciava in rubinetteria tra gli Stati Uniti e l’Italia, era stato colpito da infarto già qualche anno fa. Prendeva cardioaspirine ma non sembrava un soggetto a rischio. "Probabilmente questa vicenda giudiziaria e i tormentati rapporti con la ex convivente per l’affidamento della figlia - ha provato a giustificare l’avvocato Leonardo - hanno aggravato il suo stato di salute. Secondo me, questo processo non andava celebrato. Ventre riteneva infamante essere imputato di omicidio, accusa che considerava motivo di ostacolo nei rapporti con la ragazzina. Forse non ha retto al carico di tensione accumulato in tutti questi anni. Deporre oggi per raccontare la sua verità costituiva per lui una liberazione che ha pagato a carissimo prezzo".

Della morte dell’imputato è stato informato il pm di turno Francesco Scavo. Il magistrato ha già fatto un sopralluogo nell’aula della corte d’assise e disposto i primi accertamenti.

Verona: morì in carcere, i familiari fanno causa al ministero

 

www.emilianet.it, 20 giugno 2007

 

I familiari di Christian Orlandi, il giovane modenese deceduto il 21 luglio 2004 nel carcere di Montorio Veronese, dove era detenuto per aver ucciso un altro giovane modenese, Stefano Malagoli, all’uscita di una discoteca veronese, hanno intentato una causa civile (per omesso controllo) nei confronti del ministero di Grazia e Giustizia e della stessa casa circondariale di Verona. La madre chiede che sia fatta chiarezza sulla morte di Christian, a suo dire ancora avvolta da molti lati oscuri. Ne ha dato notizia il legale della famiglia, l’avvocato modenese Marco Enrico Sgarbi.

Christian Orlandi fu arrestato il 21 dicembre 2003. Dopo una serata trascorsa in discoteca a Castagnaro (Verona), nel fare rientro a casa Christian Orlandi e Stefano Malagoli avevano avuto un diverbio, pare per motivi sentimentali e di gelosia. Presso una rotatoria di Legnago la lite era degenerata e Orlandi aveva colpito Malagoli con varie coltellate, uccidendolo. Era stato arrestato poco dopo e rinchiuso in carcere. Fu trovato morto in cella nel luglio 2004: la versione ufficiale parla di overdose di droga. Ma la madre e i familiari non si sono mai detti convinti e hanno chiesto un supplemento di indagini.

"Mio figlio mi raccontava di abusi e percosse ricevute in prigione, e aveva scritto una lettera chiedendo di essere trasferito", ha detto già nei mesi scorsi. Oggi l’Avv. Sgarbi ha ribadito le motivazioni che hanno portato all’avvio di una causa civile. Nella cella di Orlandi furono trovate dosi di droga ma, dice il legale, "furono scoperte sei ore il decesso.

Ci sembra improbabile che chi sta in una cella possa avere tanta droga - ha aggiunto - Se così è, ci sembra comunque grave che la struttura del carcere possa consentire l’ingresso e la circolazione della droga in modo così rilevante". La causa civile inizierà a essere discussa il 4 luglio. La madre di Christian Orlandi aveva parlato del caso anche nell’autunno del 2005 alla trasmissione di Maurizio Costanzo "Tutte le mattine" su Canale 5: l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli aveva telefonato in diretta, assicurando che si sarebbe adoperato per fare chiarezza sulla morte del giovane.

Palermo: dopo 30 anni niente libertà perché è "condizionato"

 

La Sicilia, 20 giugno 2007

 

"La personalità del Marano appare rigida e fortemente condizionata dalla congrua carcerazione sofferta". Così il Tribunale di Sorveglianza di Palermo ha respinto l’istanza di libertà condizionale avanzata da Antonino Marano, 63 anni, nativo di Mascali, attualmente detenuto all’Ucciardone.

Contro questo rigetto è stato avanzato ricorso per Cassazione. Marano in passato è stato noto alle cronache perché fece parte dei killer catanesi delle carceri assieme a Nino Faro e Vincenzo Andraous. Marano venne anche giudicato a Napoli nel contesto del processo a Enzo Tortora perché accusato di far parte dell’associazione camorristica.

Il Tribunale di sorveglianza nel negare la libertà condizionale scrive che non emergono "i presupposti di sicuro ravvedimento, che deve intendersi non già come generica buona condotta o come mera partecipazione all’opera di rieducazione, quanto piuttosto come radicale evoluzione della personalità del reo, improntata al definitivo abbandono dei disvalori sui quali si fondavano le scelte criminali operate.

Al riguardo è appena il caso di rilevare che il condannato ha tenuto condotta regolare e corretta, che ha partecipato con lodevole profitto alle attività trattamentali, e in particolare alle iniziative di carattere scolastico, che si è distinto per impegno e particolare abilità per il progetto "Palermo apre le porte" e che ha mostrato disponibilità al dialogo. Nonostante questo la personalità del Marano appare rigida e fortemente condizionata dalla congrua carcerazione sofferta".

Nel ricorso per Cassazione si fa presente che Marano si trova in carcere da oltre 30 anni, non ha mai usufruito durante questo lunghissimo periodo di alcun permesso e versa in precarie condizioni di salute. Inoltre negli ultimi decenni il suo comportamento in carcere non ha più dato alcun problema, per cui, sostiene la difesa, la detenzione record di Marano non ha più motivi validi per proseguire. "La decisione del Tribunale di sorveglianza - scrive il difensore - è anche contraddittoria, perché da un lato afferma la correttezza e la disponibilità del comportamento del Marano, e dall’altra respinge la sua istanza a causa del "condizionamento provocato dalla lunga carcerazione". Quindi logica avrebbe voluto che, essendo la detenzione la causa del preteso condizionamento della personalità del Marano, che il detenuto potesse ottenere la libertà condizionale".

Roma: Coppola rifiuta l’ospedale, vuole andare in clinica

 

Ansa, 20 giugno 2007

 

Danilo Coppola sta male ma non vuole essere ricoverato in ospedale. Con una lettera inviata al gip Maurizio Caivano che ieri aveva ordinato il suo trasferimento al Sandro Pertini, l’immobiliarista, finito in carcere il primo marzo scorso e alle prese con problemi depressivi e di natura cardiovascolare che gli hanno fatto perdere sedici chili di peso, ha comunicato di non voler andare in ospedale perché lì non sarebbe sottoposto a cure adeguate al suo grave stato di salute. In realtà sembra che il motivo sia un altro: stando al Pertini, nella sezione riservata ai detenuti, Coppola non potrebbe vedere alcun familiare, figli compresi.

Erano stati ieri i difensori dell’immobiliarista, gli avvocati Bruno Assumma e Antonio Fiorella, a spiegare al gip che Coppola sta male e che in carcere può solo peggiorare: da qui la sua disponibilità a trasferirsi, ovviamente a sue spese, presso una clinica privata attrezzata della capitale, come la Quisisana o Villa Margherita. E il giudice, anche alla luce del parere negativo espresso dalla procura, ha immediatamente risposto ordinando il trasferimento del paziente al Pertini. Adesso il no di Coppola, che ieri mattina si è presentato in barella davanti ai giudici del riesame precisando di aver avuto cinque giorni fa un principio di ictus.

Televisione: anche un ex detenuto in prossimo "Grande Fratello"

 

Adnkronos, 20 giugno 2007

 

Il leader del "Movimento Diritti Civili" afferma in una nota di essere stato "contattato dalla redazione del Grande Fratello" in vista della prossima edizione del programma che, sostiene Corbelli, "affronterà il tema della Giustizia e del dramma delle carceri in Italia" per individuare un "ex detenuto(a), vittima di una ingiustizia" da inserire "nella casa del Grande Fratello".

"Uno degli ospiti sarà infatti anche un ex detenuto (potrebbe essere anche una donna, ex detenuta), vittima di un clamoroso errore di giustizia. Lo sceglierà e indicherà, su incarico dei responsabili del programma di Canale 5, il leader del Movimento Diritti Civili", si legge ancora nel testo diffuso da Corbelli che definisce la scelta in questo senso della trasmissione "coraggiosa, di grande impegno civile e importante valore sociale".

"La decisione del Grande Fratello di rivolgersi a Diritti Civili è un importante riconoscimento al nostro Movimento -prosegue Corbelli- che da venti anni conduce grandi battaglie civili, libertarie, garantiste e umanitarie, contro ogni forma di ingiustizia e di discriminazione, per una giustizia giusta e umana e contro la disumanità delle carceri. In questi ultimi 20 anni abbiamo fatto scarcerare oltre una cinquantina di detenuti, diversi immigrati, molti anche innocenti".

Pesaro: agente di P.P. aggredita e picchiata da una detenuta

 

Corriere Adriatico, 20 giugno 2007

 

Un’agente di custodia del carcere di Villa Fastiggi a Pesaro è stata aggredita da una detenuta per reati comuni, e ha riportato lesioni giudicate guaribili in dieci giorni. Un episodio sconcertante che testimonia ancor maggiormente il malessere che regna nei nostri istituti di pena. A darne notizia è stato il segretario regionale del sindacato di polizia Sappe, Aldo Di Giacomo, secondo il quale l’episodio è riconducibile "alla carenza di organico degli agenti di custodia che affligge le carceri marchigiane". Un problema antico, che è stato richiamato più volte, dai sindacati competenti, all’attenzione delle autorità preposte.

Attualmente, ha ricordato Di Giacomo, a Pesaro sono reclusi 193 detenuti; gli agenti invece sono 123, rispetto ad una pianta organica di 169 unità. Una situazione "destinata a peggiorare ulteriormente, con ogni probabilità, durante l’estate - ha concluso il segretario regionale del Sappe - quando non si potrà più contare su 20 agenti attualmente distaccati presso la struttura di Villa Fastiggi, e i benefici legati alle scarcerazioni seguite alla legge sull’indulto saranno ormai cessati".

Sicurezza: Padova; A.N. apre la sede provinciale in via Anelli

 

Agi, 20 giugno 2007

 

"Alleanza Nazionale si trasferirà in via Anelli per affermare il diritto alla convivenza civile e favorire tutte le iniziative possibili alla lotta allo spaccio e alla criminalità". Lo annuncia il consigliere regionale di An, Raffaele Zanon commentando l’apertura della nuova sede della federazione provinciale nel corso di un incontro al quale erano presenti l’on Filippo Ascerto ed Enrico Pavanetto, coordinatore regionale di Azione Giovani. È stato distribuito un volantino in tre lingue (italiano, francese e arabo) con le iniziative e i programmi.

Sulla sede campeggia lo striscione: "Nessun dio accetta la droga nessun uomo può spacciarla." "La sede di An diventerà un presidio politico e sociale per affrontare i problemi del degrado legati allo spaccio di stupefacenti, alla prostituzione e ad ogni forma di sfruttamento - prosegue Zanon -.

Tra le iniziative più importanti e a breve termine, proponiamo di attivare uno sportello legale per tutelare i cittadini del quartiere che ancora vivono nella paura e nell’insicurezza. Contemporaneamente verrà attivato un servizio multi culturale per sconfiggere tra i cittadini stranieri la cultura dell’omertà che favorisce le organizzazioni dello spaccio, ora indisturbate nel mercato dello droga e del sesso, nonostante le misure intraprese dalla giunta Zanonato, che finora si sono dimostrate solo palliativi mediatici".

Immigrazione: vecchie trappole sul cammino della nuova legge

 

La Stampa, 20 giugno 2007

 

In politica le opinioni sono fatti. Vere o false che siano, vanno prese sul serio. Si trasformano in voti nelle urne, in prese dì posizione e comportamenti nelle aule parlamentari. Ne cito una in particolare, perché aiuta a capire di cosa sia fatta la trappola in cui resta spesso bloccata la capacità decisionale dell’attuale maggioranza.

Si dice: "Se i consensi per il centro-sinistra sono drasticamente calati, la colpa è anche delle eccessive concessioni del governo agli immigrati". Fin qui si potrebbe rispondere: "Può darsi, parliamone", ma, come esempio principe di tali smodate concessioni, in informati salotti e televisivi talk-show, si cita la proposta di riformare la legge sulla cittadinanza. L’opinione corrente dà, infatti, per scontato che il progetto di riforma sia un ennesimo regalo a stranieri che nulla hanno fatto per meritarlo, un altro colpo di maglio inferto dalla sinistra all’identità nazionale, un furbesco tentativo di guadagnare futuri consensi dai nuovi elettori.

Il fatto è che il progetto elaborato da Amato e quello uscito poi dalla I Commissione Affari Costituzionali della Camera incorporano molte misure che in altre democrazie sono state volute da governi, spesso di centro-destra, desiderosi forse di non alienarsi con atteggiamenti ostili consensi e voti dei futuri cittadini, ma certamente decisi a difendere l’identità nazionale, i moderni valori democratici, la legalità.

A differenza di quanto vuole la legge in vigore, la riforma consentirebbe di fare domanda dopo cinque anni invece di dieci, che è quanto avviene in esemplari democrazie europee tipo Francia, Gran Bretagna e Svezia. Inoltre, il "favore" della riduzione dei tempi d’attesa riguarderebbe solo chi conosca la lingua italiana, e la nuova legge chiederebbe in più agli aspiranti cittadini non solo di parlare italiano, ma anche di condividere i valori fondamentali della nostra democrazia, come il rispetto del pluralismo religioso e la parità tra i sessi. Quanto alla legalità, i matrimoni di comodo, oggi possibili, perché basta essere stati sposati sei mesi per fare domanda, diventerebbero più difficili: due anni come minimo.

Vorrei sottolineare un fatto spesso trascurato: nessun provvedimento di concessione della cittadinanza, in nessun ordinamento giuridico, accetta come nuovi cittadini i delinquenti e neppure i fannulloni. A parte i requisiti di reddito e di fedina pulita (sia nel Paese d’arrivo, sia nella patria di origine) che vengono richiesti a chi presenta domanda, è evidente che coloro che hanno il numero di anni di residenza regolare richiesti, hanno sempre potuto rinnovare il permesso di soggiorno, e dovrebbero quindi avere percepito onestamente un reddito.

Le eccezioni, quando ci sono, riguardano di solito i bambini nati sul territorio, che non si possono considerare responsabili d’essere nati da famiglie povere. Se ci sono dubbi sulla propensione all’operosità e alla legalità degli aspiranti italiani, si riveda il controllo dei rinnovi dei permessi di soggiorno: fannulloni, delinquenti e sovversivi sono sgraditi non solo come concittadini, ma anche come compagni di quartiere e condominio. È al momento in discussione in Parlamento una misura che dovrebbe contrastare l’uso di false generalità da parte dello straniero che delinque. Buona idea.

A queste specifiche difficoltà si aggiunge la generale propensione dei governi appena in carica a fare subito, quindi a fare spesso troppo in fretta. Lo fanno anche perché vogliono rispettare le promesse elettorali. Come mi disse una volta un colto politico di centro-destra: "La Bossi-Pini è stata una cambiale in bianco che abbiamo dovuto pagare all’elettorato".

Si sa però che l’idea iniziale sui modi di pagare quella cambiale subì poi molte revisioni, sia per le pressioni delle minoranze moderate interne alla Casa delle Libertà, sia per le necessità degli imprenditori e delle famiglie italiane. Di fatto, il governo Berlusconi varò due grosse regolarizzazioni e ampliò notevolmente le quote di permessi programmati.

Fu però capace di comunicare un atteggiamento di fermezza nei confronti dell’immigrazione irregolare e della criminalità immigrata. Non è importante ora valutare l’efficacia delle misure adottate allo scopo: in politica le opinioni contano più dei fatti. La difficoltà nel comunicare all’opinione pubblica la validità delle proprie riforme, anche quando sono di fatto valide, costituisce l’ultimo dente della trappola decisionale dell’attuale maggioranza.

Non vorrei che a farne le spese fossero i diritti di quegli "onesti lavoratori immigrati", gli unici potenziali beneficiari di una nuova legge sulla cittadinanza, che non solo il centro-sinistra, ma anche il centro-destra affermano di tenere in così gran conto. Speriamo che, passato il trambusto elettorale e risolti i dubbi di copertura finanziaria, la riforma della cittadinanza arrivi finalmente in aula, che ci arrivi in un clima sereno. È uno di quei progetti che in linea di principio potrebbero unire la maggioranza e trovare convergenze da una parte dell’opposizione. In linea di principio.

Droghe: sanzioni severe per chi guida sotto effetto sostanze

 

Notiziario Aduc, 20 giugno 2007

 

Inasprimento delle sanzioni, nuove procedure per il recupero di punti e rinnovo delle patenti e altre specifiche per quanto riguarda giovani e neopatentati. Sono queste le proposte di un gruppo di associazioni come l’Aicat, Aliseo, Eurocare Italia, Gruppo Abele e Sia, per il rafforzamento delle misure legislative in tema di alcool, droghe, e guida e per l’applicazione delle normative in vigore. Proposte giunte oggi nella giornata in cui alla Camera è iniziato l’esame del disegno di legge riguardante le nuove disposizioni in materia di autotrasporto merci e di circolazione stradale. Tra le altre proposte avanzate dai gruppi anche il potenziamento dei sistemi di controllo sulle strade, il comportamento alla guida di autisti e autotrasportatori, la normativa relativa ai locali di divertimento, la pubblicità e la distribuzione, le scuole, le Commissioni medico-provinciali per le patenti e l’aiuto a coloro che dall’incontro dimostrano di avere problemi di dipendenza.

"Sostanzialmente si tratta di avviare un sistema complesso, che sappia operare di concerto tra le varie e diverse agenzie, educative, di cura e di controllo sociale. Un sistema che sia in grado di svolgere una funzione deterrente e dissuasiva, ma anche educativa, formativa e partecipativa secondo un modello integrato e sinergico". "La sfida dell’intero pacchetto di proposte è di essere capace di coniugare il necessario incremento del sistema sanzionatorio col potenziamento dell’aspetto preventivo e la crescita complessiva di una cultura di maggior consapevolezza. È questa l’unica via per andare oltre ad una logica meramente repressiva".

 

 

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