Rassegna stampa 18 giugno

 

Giustizia: Mastella; sono contrario all'abolizione dell’ergastolo

 

Il Velino, 18 giugno 2007

 

Una "grande giustizia" che deve essere "preservata da ideologie e pregiudizi". E poi un netto "no" all’eliminazione della pena dell’ergastolo nel nuovo Codice penale. Questa la strada maestra indicata da Clemente Mastella nel suo intervento a Bolzano per arrivare a un’equa riforma dell’apparato giuridico. Intervento in cui il ministro della Giustizia non ha rinunciato a scagliare qualche frecciata agli amici di maggioranza.

Come quando ha detto la sua sulla questione dell’abolizione dell’ergastolo, fortemente promossa dagli esponenti della sinistra e da quelli della Rosa nel pugno. "Io sono contrario all’eliminazione dell’ergastolo - ha detto il ministro -, credo che gli ergastolani in Italia sono pochissimi. Mi suona pesante l’idea che, per chi ammazza qualcuno, non ci sia neppure la pena dell’ergastolo". Il leader dell’Udeur ha poi detto la sua sullo stato del giornalismo italiano, troppo spesso "pigro e d’accatto".

Commentando la pubblicazione dei colloqui intercettati e le recenti inchieste su una presunta nuova P2, il titolare alla giustizia non è stato meno caustico. "Mi piace più il giornalismo d’inchiesta di quanto non mi piaccia quello di riporto. Il giornalismo pigro non mi piace - ha aggiunto -, se poi si inserisce anche qualche Servizio deviato, allora lo scoop, più che il giornalista, l’ha fatto il Servizio".

Il guardasigilli è intervenuto inoltre sullo stop del disegno di legge a sua firma, che da mesi appare incagliato in commissione Giustizia del Senato. "Se il provvedimento è fermo - ha detto - è colpa non dei magistrati, ma del Parlamento". Rimane ferma la condanna del leader centrista alle pubblicazioni di documenti e verbali che ledano la privacy del cittadino.

"Vorrei un Paese sereno dove se tu chiami tua moglie non succede nulla - ha scherzato il ministro -, e vorrei che non succedesse nulla nemmeno se qualcuno vuole chiamare anche l’amica, nel senso che al massimo, poi, se la vede con il confessore". Infine il duro attacco alla durata dei procedimenti civili.

"Le lungaggini della giustizia civile sono la causa di mancati investimenti stranieri in Italia più della mala pianta della criminalità organizzata". Mastella ha quindi auspicato "una riforma che abbia l’appoggio di tutti. Soltanto in questo modo sarà possibile evitare forme di pallidi rossori quando ci confrontiamo con il resto dell’Europa".

Giustizia: suicidi di detenuti, nel 2007 sono diminuiti del 40%

 

Ansa, 18 giugno 2007

 

Forte calo dei suicidi dietro le sbarre: nei primi 6 mesi 2007 sono stati 17, circa il 40% in meno rispetto ai 29 del primo semestre del 2006. L’ultima rilevazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria segna un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi 10 anni. Dal 1996 tra i 50 e i 60 detenuti l’anno hanno deciso di farla finita. Il 2001 è stato l’anno peggiore con 69 suicidi, mentre nel 2003 e nel 2005 ce ne sono stati 57, contro i 52 del 2002 e 2004, e i 60 dello scorso anno.

Probabilmente le condizioni di minore sovraffollamento hanno contribuito a far calare il dato drammatico. "Il nostro obbiettivo è arrivare ad azzerare il numero dei suicidi nelle carceri - spiega Sebastiano Ardita, capo della direzione Generale detenuti del Dap -. Il calo di presenze di quest’ultimo anno rappresenta una buona occasione per fare interventi radicali. Pochi giorni fa abbiamo emanato una circolare per una gestione innovativa dei nuovi giunti, tra i quali è più alto il rischio di suicidio". La circolare obbliga le 205 carceri italiane ad adeguarsi entro il prossimo 10 agosto a nuove regole di accoglienza.

Giustizia: Manconi; con nuove regole Dap meno rischio suicidi

 

Ansa, 18 giugno 2007

 

"Ritengo possibile che entro la data del 10 agosto possa essere avviato un processo che renda disponibile strutture, risorse e strumenti per ridurre il più possibile il dramma dell’impatto del carcere e il rischio di suicidi" tra i detenuti appena arrivati. Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi (Ds), plaude alla circolare con cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dettato nuove regole per l’accoglienza dei detenuti.

"Da una decina di anni ho individuato nella debolezza di ciò che si chiama presidio nuovi giunti uno dei fattori più significativi nella interpretazione di dinamiche che conducono al suicidio. Da quando esiste quel presidio il numero è rimasto inalterato. Questa circolare - afferma Manconi - va incontro al problema in una maniera che giudico assai efficace.

Nella serie di motivazioni che possono portare al suicidio o al tentato suicidio ha infatti un peso rilevantissimo l’impatto, ovvero l’incontro, quasi sempre brutale con un universo chiuso e per molti completamente sconosciuto, dove dominano regole, linguaggi, rapporti che possono risultare incomprensibili a chi arriva dall’estero, tanto più se per la prima volta". Il sottosegretario alla Giustizia fa notare che "negli ultimi nove mesi il numero dei suicidi si è particolarmente ridotto grazie soprattutto a un minor sovraffollamento e a una conseguente maggiore vivibilità delle carceri, e quindi a una più assidua attenzione per i nuovi giunti. Ma - aggiunge Manconi - per stabilizzare questo dato positivo, sia chiaro, c’è bisogno di tempo e di mezzi. La circolare sui nuovi giunti è un primo passo".

Giustizia: Mastella; sulla riforma l'accordo con la Cdl o il rinvio

 

Il Sole 24 Ore, 18 giugno 2007

 

La decisione dei magistrati di non proclamare (per ora) lo sciopero è un "importante gesto di distensione". Tanto più in un clima politico "peggiorato" rispetto a qualche tempo fa. La riforma dell’ordinamento giudiziario ha una "caratura istituzionale" che impone di trovare soluzioni "condivise"; ma se la Cdl, nonostante le concessioni del Governo, decide di fare ostruzionismo, non rimangono che due soluzioni: o il voto di fiducia; o un accordo tra maggioranza e opposizione per "ibernare la situazione".

In tal caso, si potrebbe ricorrere a un disegno di legge per prorogare l’attuale scadenza del 31 luglio, termine entro il quale dovrebbe essere approvata la riforma del Governo per evitare che si applichi quella votata nella scorsa legislatura dal Governo Berlusconi.

Al momento è solo "un’ipotesi del tutto personale", ci tiene a precisare il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, mentre percorre l’autostrada che lo porta a Trento da Bolzano, dove ha consegnato il certificato di qualità Ue al Procuratore della Repubblica Cuno Tarfusser.

Prima di salire in auto, scambia qualche battuta con i giornalisti ai quali dichiara, tra l’altro, di essere contrario all’abolizione dell’ergastolo. Durante il viaggio lo raggiunge la notizia che a Roma l’Associazione nazionale magistrati ha deciso di soprassedere sulla proclamazione dello sciopero contro il rischio di stravolgimento della riforma sull’ordinamento giudiziario.

"Apprezzo la decisione - dice in questa intervista al Sole 24 Ore -.

È un importante segnale di distensione, di cui c’è bisogno in un momento caldo come questo nei rapporti tra poteri dello Stato. La dialettica istituzionale è sempre costruttiva. E spero che anche l’opposizione apprezzi, e ne tenga conto.

 

Signor ministro, l’Anm aspetta di vedere che cosa accadrà nei prossimi giorni al Senato, ma ha già indicato dei punti irrinunciabili della riforma. Ritiene possibile, entro il 31 luglio, un accordo con l’opposizione che non scontenti né i magistrati né gli avvocati, anch’essi in stato di agitazione ma per motivi opposti a quelli dei giudici?

Purtroppo devo dire che la parola sciopero è quella più inflazionata del vocabolario degli avvocati penalisti. Francamente, il mio ddl era un punto di equilibrio tra le aspettative dei magistrati e i diritti degli avvocati. Ma poiché parliamo di temi che hanno una caratura istituzionale e che riguardano i cittadini è necessario che vi sia la più ampia condivisione, anche con l’opposizione.

Temo che il clima sia molto peggiorato da quello che ho vissuto al Senato qualche tempo fa. Antagonismi, richieste continue di elezioni anticipate, attacchi contro il Capo dello Stato, che viene tirato per la giacca e poi criticato per aver semplicemente rivolto una sollecitazione al Parlamento. Tutto questo rischia di creare ulteriori problemi e difficoltà. Speriamo che ci siano margini di recupero e di saggezza in ognuno di noi.

 

Il Governo ha già fatto alcune concessioni all’opposizione. Per tagliare il traguardo entro il 31 luglio dovrà farne altre, o l’accordo raggiunto è il massimo di apertura possibile, da difendere con il voto di fiducia?

Ho spiegato all’opposizione fin dove possiamo arrivare. Se loro insistono su alcune modifiche, come la separazione delle carriere, vuol dire che non vogliono l’accordo. Credo che si possa arrivare a soluzioni comuni e, là dove non sia possibile, che ognuno possa legittimare il proprio dissenso davanti all’opinione pubblica. Questo rientra in una dialettica parlamentare costruttiva. Se però l’obiettivo è l’ostruzionismo parlamentare, allora dovrò, drammaticamente e a malincuore, prenderne atto. Io sono disposto ad arrivare al Km 101, ma se ci muoviamo noi deve muoversi anche l’opposizione.

 

Il tempo stringe e al Senato la Cdl protesta perché il Parlamento è costretto a lavorare a marce forzate…

Non ne ho ancora ragionato con la mia maggioranza, con la quale ho il dovere di farlo prima, ma potrei rivolgere all’opposizione questa proposta: se vogliamo prenderci un po’ di tempo in più, troviamo Un accordo per approvare un disegno di legge che legittimi un’ulteriore proroga. Così potremo discutere del merito con più calma. Teniamo ibernata la situazione in attesa di tempi migliori. Se però neppure su questo ci fosse la possibilità di dialogare, non potrei che andare al voto di fiducia. Ripeto: con grande amarezza e rammarico. Non so quanto convenga all’opposizione: tra tutti i ministri, io sono il più dialogante che ci sia. Prenda il ddl sulle intercettazioni: prima di presentarlo, ho parlato più con la Cdl che con la mia maggioranza. Quindi, un eventuale ostruzionismo equivarrebbe a uno scontro con me.

 

L’Anm ha lasciato intendere che lo sciopero non riguarderebbe solo l’ordinamento ma la politica giudiziaria del Governo, che promette tanto e mantiene poco…

Consiglierei di essere più ragionevoli. Ho avviato, per novembre, una grande Conferenza nazionale sulla giustizia, per trovare vie d’uscita rispetto a questi ritardi, alcuni obiettivamente reali, altri un po’ mitizzati. Insomma, non si può solo chiedere. Mi pare che il caso della Procura di Bolzano debba far riflettere sul perché uffici di dimensioni analoghe a questo non sono in grado di realizzare gli stessi standard di qualità. A Bolzano non c’è mica una forma di autarchia austro-italiana.

Lei ha detto che la lentezza della giustizia frena gli investimenti stranieri più della criminalità organizzata. Una maggioranza che punta al rilancio economico dovrebbe quindi impegnarsi nelle riforme della giustizia. Che invece stagnano. Sembra che la giustizia vi interessi poco.

A volte anch’io ho l’impressione che i problemi della giustizia interessino milioni di italiani e

meno la mia maggioranza. Non parliamo poi dell’opposizione.

 

L’impressione è anche che il Governo sia ostaggio delle lobby, dei magistrati e soprattutto degli avvocati, che sono 180mila: una vera e propria classe sociale...

Le lobby sono elementi di democrazia. Ragionerei in termini diversi: che cosa fare per rendere la giustizia simmetrica alle richieste dei cittadini. Tutti abbiamo responsabilità. Una giustizia funzionante darebbe respiro a tanta povera gente. E tra le lobby più grandi c’è quella del favore popolare.

 

L’attacco del vicepremier D’Alema alle toghe riecheggia, nelle parole e nei toni, quelli di Berlusconi. Siamo a un nuovo scontro politica-giudici? Può incidere sulle riforme?

C’è questo rischio, perché gli stati d’animo non sono irrilevanti rispetto alla risposta politica di ogni parlamentare. Tra tante difficoltà ho cercato di superare l’incredibile deficit di comunicazione tra magistratura e politica. Non vorrei che ora precipitassimo in un mulinello incredibile che va a danno della pace tra istituzioni, di cui il Paese ha bisogno.

 

D’Alema è andato oltre una legittima critica?

Legittima critica... essendoci passato, potrei dire che ognuno di noi, quando viene toccato, esprime certi giudizi. Ma non è corretto. Se bisogna tutelare la libertà e la dignità della persona, bisogna farlo sempre, non solo quando si è toccati personalmente. Al momento non ho niente da dire sul comportamento dei magistrati di Milano. La verità è che dobbiamo stare attenti quando facciamo leggi che sembrano avanzate nella difesa delle prerogative parlamentari ma poi si rivelano timide. La legge attuale non tutela adeguatamente la privacy. Questo è il suo limite e su questo dobbiamo lavorare.

Giustizia: amnistia strisciante... e prescrizione galoppante!

 

Il Sole 24 Ore, 18 giugno 2007

 

Amnistia mascherata, prescrizione galoppante, effetti perversi dell’indulto. Le immagini non mancano per definire quella che è una vera e propria emergenza, figlia delle lungaggini dei processi in Italia. A prescindere dai ritardi e dalla loro ragione, l’approvazione di leggi come quella dell’indulto, che cancella la pena ma non il reato e che impone comunque la celebrazione del processo, sta portando il sistema sull’orlo del baratro.

Perché la maggior parte dei processi penali rischia di non celebrarsi mai, nonostante una apposita legge di amnistia, che invece avrebbe cancellato i reati e quindi i procedimenti, non sia stata approvata. L’allarme, peraltro, è stato lanciato dallo stesso Guardasigilli lo scorso anno, quando ha inviato al Csm una nota per valutare la "possibilità di differenziare la tempistica dei processi destinati a esaurirsi" proprio in virtù dell’indulto. In quella nota, il ministro Mastella ha citato dati che fanno rabbrividire: una quota prossima all’80% dei procedimenti allora pendenti sembrava destinata a concludersi, in caso di condanna, con una pena interamente condonata.

Dunque di cosa parlare se non di amnistia, sia pure "mascherata" o "strisciante", quando, probabilmente per una lunghissima serie di crimini, la verità processuale non verrà mai a galla? E si può a cuor leggero puntare il dito contro quelle procure che, sommerà se da un arretrato spaventoso, individuano da sole la strada per sopravvivere?

Per evitare cioè quel paradosso, non giuridico per carità, ma logico, di dover portare avanti fascicoli che una volta arrivati dal Gip o in dibattimento troverebbero il semaforo definitivamente sul rosso della prescrizione o dell’indulto se non della somma di tali benefici processuali?

È così che alcune procure fanno di necessità virtù, individuando nei meccanismi di "accantonamento" una possibile soluzione al paradosso. Una soluzione che a volte è formale - ad esempio a Torino, dove Marcello Maddalena, ha adottato all’inizio dell’anno le proprie "direttive in tema di trattazione dei procedimenti" in conseguenza dell’applicazione della legge sull’indulto - e che in altre latitudini è invece rimessa alla discrezionalità dei singoli procuratori.

È il caso di Milano, dove non è stata assunta una posizione formale dai vertici dell’ufficio, ma che comunque, come ci ha spiegato Edmondo Bruti Liberati, uno degli "aggiunti", il problema c’è, ed è il singolo procuratore a dover stabilire l’ordine di priorità nel trattamento delle notizie di reato. E lo stesso discorso vale per la Capitale.

Tornando a Torino, capofila tra gli uffici che hanno messo nero su bianco la propria posizione, che peraltro ha recentemente avuto il via libera da parte del Csm insieme alle direttive di Palermo e Busto Arsizio, Marcello Maddalena ci tiene a sottolineare che però la procura non si è sostituita al legislatore.

E ha infatti affermato che "non ci troviamo di fronte a un’amnistia, seppure utile in questa situazione". Anche se poi ha dovuto ammettere che "avanti di questo passo, ci troveremo di fronte a un numero sempre maggiore di reati che cadranno in prescrizione: quindi non si può parlare di amnistia strisciante, ma di prescrizione galoppante".

In ogni caso, quella torinese è una misura temporanea, quanto lunga non è dato sapere, ma di sicuro, "in attesa di tempi migliori" citiamo dalla direttiva, i singoli magistrati sono tenuti ad adottare alcuni criteri di selezione e "accantonamento" di fascicoli con variabili legate ad alcuni elementi. Quali la gravità della lesione degli interessi protetti, la soggettività del reo, oppure l’interesse all’azione tanto dell’indagato quanto della parte offesa. Se quest’ultima, ad esempio, manifesta la volontà di avere giustizia, allora il fascicolo non potrà essere spostato sotto gli altri.

C’è poi chi dell’organizzazione dell’ufficio ne fa una missione. È il caso, ad esempio, di Bologna dove il procuratore capo Enrico Di Nicola è dal 2002che ha stabilito dei criteri di priorità e di difficoltà, che ciascun magistrato deve osservare naturalmente con riferimento al caso concreto e che hanno passato il vaglio prima dei consigli giudiziari e poi del Csm.

A differenza di Torino, dove si parla di "accantonamento", a Bologna il sistema individuato è quello del "raffreddamento". Come ci ha spiegato lo stesso Di Nicola "il termine può cambiare, ma la sostanza è quella".

Quanto al criterio di priorità, la direttiva bolognese esclude dal "raffreddamento" tutti quei reati che presuppongono il giudizio del tribunale in composizione collegiale, oppure per i quali siano previste pene superiori a 4 anni, oppure, ancora, reati contro il patrimonio di rilevante gravità. Ecco dunque che già il primo criterio, quello della pena, è assolutamente sovrapponibile ai reati "in odore" di indulto, che si applica infatti a pene fino a tre anni.

Infine c’è chi, pur riconoscendo la nobiltà dell’intento, non ritiene legittima la strada del trattamento differenziato. Secondo Ubaldo Nannucci, capo della procura di Firenze, la circolare Maddalena "documento apprezzabilissimo nelle intenzioni, presenta aspetti di grave rischio istituzionale". Un aspetto non marginale della questione, spiega Nannucci, non è tanto nella capacità delle procure di evadere i fascicoli, quanto il carico di udienza nell’attuale sistema processuale che "rende assolutamente impossibile lo smaltimento di ciò che le procure producono".

Giustizia: dopo-indulto, quando la sentenza diventa un optional

 

Il Sole 24 Ore, 18 giugno 2007

 

Nato per affrontare l’emergenza carceri, l’indulto rischia di affondare il processo penale. Svuotare celle che scoppiavano: era questo l’obiettivo del Governo al suo primo impegnativo provvedimento in materia di giustizia nell’estate scorsa. È così che venne approvato l’indulto. Con la collaborazione di una buona parte dell’opposizione, è bene ricordarlo. E i penitenziari si sono certo svuotati (per quanto?).

Nel frattempo però si sono aggravati i mali della giustizia penale. Al punto che, stretti nella tenaglia tra prescrizione e clemenza, la stragrande maggioranza dei processi penali si sta celebrando per nulla. E la sensazione di una macchina della Giustizia che, prima gira a vuoto con l’effetto indulto e poi si ferma definitivamente per la prescrizione, si trasforma in certezza. Perché poche situazioni danno la misura della crisi di sistema quanto lo svolgimento di un processo che tutti, magistrati e avvocati, sanno già essere destinato al tunnel dell’inutilità.

Urla dal silenzio però. L’allarme era già arrivato dal Csm a novembre: allora venne segnalato che, sulla base dei dati diffusi dalle principali procure del Paese il 90% dei processi sarebbe stato inutile. I giudici li avrebbero celebrati, ma, alla fine, le eventuali condanne sarebbero state vanificate dall’indulto. A voler tacere poi del fatto che, se non ci avesse pensato l’indulto, i processi sarebbero stati fulminati dai nuovi, e più brevi, termini di prescrizione modello ex Cirielli. A ulteriore riprova che i mali della giustizia penale hanno molti padri e non di

un unico segno politico. Nasce di qui l’effetto amnistia. Che è di fatto e non di diritto solo perché una maggioranza nata già debole non ebbe coesione sufficiente a portare in fondo il tandem amnistia-indulto come era già stato fatto in altre 17 occasioni. Certo, è una distorsione pensare che l’unico processo buono è quello che si conclude con una condanna.

E su questo punto hanno buone ragioni i penalisti. La certezza del diritto non passa solo per quella della detenzione. Però a questa maggioranza, non solo al Governo, si deve chiedere uno scatto di responsabilità. Dall’Esecutivo qualche segnale è arrivato: una riforma del processo penale che al di là degli slogan ("la sentenza in 5 anni") riscrive la prescrizione, individua una soluzione per i giudizi sottoposti a indulto, rivede istituti chiave come la contumacia, contingenta le fasi processuali. Interventi a costo zero in termini di risorse. Non per il tempo a disposizione. Domani potrebbe essere tardi.

Giustizia: se cambia la riforma i magistrati scendono in sciopero

 

Ansa, 18 giugno 2007

 

I magistrati sono pronti a ricorrere a "una o più giornate di mobilitazione o di protesta, anche nelle forme dello sciopero" se ci saranno modifiche peggiorative al ddl Mastella di riforma dell’ordinamento giudiziario: firmato l’Anm, il sindacato delle toghe.

Le notizie sul lavoro del comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato allarmano le toghe, che hanno messo nero su bianco la minaccia dello sciopero, da attuarsi entro il 20 luglio prossimo. "L’impianto originario del ddl Mastella subisce quotidianamente - lamentano i magistrati facendo riferimento a indiscrezioni ed esternazioni - modifiche ed emendamenti destinati a snaturarne l’impronta originaria".

Il sindacato delle toghe mette in chiaro i paletti oltre i quali non si può andare. E ribadisce esplicitamente il no a un concorso separato per l’accesso in Cassazione e alla partecipazione di avvocati alle deliberazioni dei Consigli giudiziari in tema di valutazioni di professionalità dei magistrati. Un rifiuto netto anche per la norma che imporrebbe il trasferimento di distretto o addirittura di regione per i magistrati che intendono passare dalle funzioni di giudice a quelle di pm o viceversa. "Irrinunciabili" per l’Anm sono anche la revisione della disciplina delle procure e del sistema di nomina del comitato di gestione della Scuola della Magistratura.

Roma: domani convegno "Il sistema penitenziario che cambia"

 

Redattore Sociale, 18 giugno 2007

 

Domani a Roma un convegno dal titolo "Il trattamento penitenziario nel carcere che cambia". Oltre 90.000 persone entrate in carcere ogni anno nell’ultimo quinquennio, quasi altrettante scarcerate; detenzione media pro capite di 5 mesi.

"Il trattamento penitenziario nel carcere che cambia" è il tema dell’incontro annuale promosso dalla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento che si terrà domani a Roma con la partecipazione del Ministro della Giustizia Clemente Mastella.

L’incontro - nel corso del quale saranno forniti rilevanti dati sulla criminalità e sullo stato del trattamento penitenziario - avrà ad oggetto una analisi della situazione delle carceri dopo l’indulto, alla luce di un sistema penale profondamente mutato negli ultimi anni. L’incremento delle fattispecie di reato da una parte e l’incremento in assoluto dei reati commessi dall’altro, la ricettività invariata delle strutture penitenziarie, hanno determinato infatti un fenomeno di flusso all’interno delle carceri, poco conosciuto ai non addetti ai lavori, che ha mutato il senso, le modalità e gli obiettivi del trattamento penitenziario. Oltre 90.000 persone entrate in carcere ogni anno nell’ultimo quinquennio e poco meno di tante scarcerate, con una detenzione media pro-capite di poco più di cinque mesi.

A fare da sfondo a questa situazione la questione dei suicidi, in calo nell’anno in corso (17 nel semestre che sta per concludersi, a fronte di poco meno di 60 negli ultimi anni), grazie anche alle misure specifiche che sono state adottate. Nel corso dell’incontro ci sarà modo di illustrare e dibattere sulle proposte di riforma strutturale del sistema penale, avanzate dal Ministro della giustizia per porre rimedio a questa situazione, e sulle misure organizzative recentemente varate dal Dap, tra cui la recentissima circolare sui nuovi giunti, che stabilisce nuove regole di accoglienza, interventi psicologici e corretta allocazione per le persone appena arrestate, in particolar modo per coloro che sono più giovani o alla prima carcerazione.

Il convegno - organizzato da Sebastiano Ardita, direttore generale detenuti, e moderato dalla giornalista del TG 2 Daniela de Robert - vedrà la partecipazione, tra gli altri, del sottosegretario Luigi Manconi, del capo del Dap Ettore Ferrara, del presidente del Comitato europeo antitortura Mauro Palma e di Carlo Romeo, responsabile del segretariato sociale Rai.

Genova: Sappe; il "patto per sicurezza" dimentica le carceri

 

Comunicato stampa, 18 giugno 2007

 

"Il patto per la sicurezza, firmato a Genova giovedì scorso è un documento con gravi omissioni e carenze sul sistema penitenziario genovese. Quando si parla di sicurezza non si può non parlare di Polizia Penitenziaria (gravemente sotto organico nei 2 penitenziari genovesi di Marassi e Pontedecimo come negli altri 5 della Liguria) e di carcere, che spesso è il terminale ultimo della sicurezza stessa.

Eppure nel patto per la sicurezza per Genova nulla sembra essere previsto per il sistema carcere e soprattutto per chi in esso lavora in prima linea, ovvero le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Passato "l’effetto indulto", di cui hanno beneficiato nella sola provincia di Genova ben 500 detenuti (400 a Marassi e 100 a Pontedecimo), oggi ci troviamo ad avere i due penitenziari genovesi affollati di detenuti ben oltre la capienza regolamentare ed estremamente carenti per quanto concerne invece gli organici dei poliziotti.

Maggiore sicurezza vuol dire certamente più azione preventiva da parte delle Forze di Polizia ma anche, inevitabilmente, più repressione e quindi più arresti. E questo, non essendo stati previsti nel patto per la sicurezza di Genova adeguati interventi strutturali per le carceri della città e un sostanzioso incremento degli organici della Polizia Penitenziaria che in esse lavora in prima linea, vuol dire confinare e relegare nella terra sconosciuta del penitenziario tutte le contraddizioni di una classe politica che assicura alla gente più sicurezza ma dimentica colpevolmente le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano quotidianamente in prima linea nelle carceri genovesi con mille difficoltà e gravemente sotto organico."

Queste le parole critiche del segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Roberto Martinelli, al patto per la sicurezza siglato alcuni giorni fa nel capoluogo ligure alla presenza fra gli altri del viceministro dell’Interno Marco Minniti.

"Per risolvere i problemi del carcere e dei poliziotti penitenziari l’indulto, da solo, non è bastato. Sarebbe stato necessario ripensare il carcere, insomma, e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, come ha chiesto più volte anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale.

Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori socialmente utili non retribuiti. Nulla di tutto questo, però, ci risulta abbia fatto il Governo, che sembra navigare a vista sul tema carceri non avendo di fatto adottato alcun intervento strutturale sul sistema penitenziario nazionale. E nulla di tutto ci risulta essere nel patto per la sicurezza di Genova, che in fondo sancisce solo l’ordinaria amministrazione poiché non si scava, ad esempio, nel disagio sociale che poi è il terreno sul quale si nutre, si alimenta la mala pianta della criminalità".

Napoli: il 21 gli internati dell’Opg di Aversa recitano Beckett

 

Comunicato stampa, 18 giugno 2007

 

 

Il 21 giugno al Teatro Mercadante - nell’ambito della rassegna Il Carcere Possibile - un gruppo di ricoverati nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa debutterà con il testo teatrale "Aspettando Godot" di Samuel Beckett, realizzato con gli operatori della Teatro Terapia presso l’Istituto aversano (Gesualdi - Trono - Scotto ) e la supervisione alla regia di Enzo Moscato.

Dalle note di regia: "Il tempo di questi uomini - quello dei loro occhi che guardano in direzione di un altrove - un non/luogo dove i nostri sguardi troppo lineari non arrivano - essi descrivono in maniera circolare un mondo dove tempo e spazio seguono le regole del vuoto e del silenzio. Questi due elementi sono il fondamento e la principale risorsa di una totale libertà creativa e genitrice : questi uomini sono figli di se stessi.

Come lo sono i personaggi di Aspettando Godot: "Tale spettacolo è realizzato per richiamare l’attenzione ancora una volta sui soggetti reclusi nell’Opg di Aversa e che mantengono tale stato di reclusione a causa di assenze sul territorio di provenienza di strutture sanitarie o di servizi psichiatrici in grado di accoglierli".

Libri: "Marsalone Rocco", dell'Ispettore di P.P. Giuseppe Romano

 

La Sicilia, 18 giugno 2007

 

Marsalone Rocco, romanzo per i palermitani "veraci". Destino, criminalità e miseria si intrecciano nel secondo libro di Giuseppe Romano.

È da poco uscito nelle librerie Marsalone Rocco, secondo romanzo del palermitano Giuseppe Romano, scrittore e ispettore di Polizia Penitenziaria, attualmente residente a Bagheria. Un libro in cui si intrecciano storie di criminalità, di povertà, storie di vite e destini in una città ricca di cultura, affacciata sul mare e sormontata dal Monte Pellegrino. La Palermo dei quartieri popolari in cui spesso si lotta per la sopravvivenza, dove non si conoscono le mezze misure, dove tutto è bianco o nero, bene o male. Un libro dedicato ai palermitani "veraci", in cui grottesco e comico si intrecciano per raccontare Palermo, una città sospesa tra mille pregi e difetti.

 

Marsalone Rocco, protagonista del suo libro, è un palermitano come tanti, con molti problemi, con un passato difficile, la guerra, la fame, la povertà. Si è ispirato a qualcuno in particolare per creare questo personaggio o è puro frutto di fantasia?

In parte è frutto di fantasia, in parte è un personaggio che rispecchia inevitabilmente l’autore. E poi ho preso spunto soprattutto nell’ambito del mio lavoro e attraverso la costante osservazione dei personaggi, dei detenuti in questo caso, ho potuto cogliere le peculiarità di un popolo - quello palermitano - che ha tanti pregi e tanti difetti, ma che valeva la pena descrivere.

 

Il problema dei furti, dello spaccio di droga, dei posteggiatori abusivi è fortemente marcato nel suo libro. Lei che vive la situazione da vicino, come percepisce il dramma della delinquenza palermitana?

È una piaga non soltanto di Palermo, ma delle più grandi metropoli dell’Italia. Non dimentichiamo che Roma è al primo posto per la delinquenza minorile. Se poi vogliamo considerare la delinquenza della criminalità organizzata, ci sono secoli e secoli di retaggi culturali che ne hanno favorito e diffuso il fenomeno. Quello che comunque mi sono prefisso è descrivere un personaggio che rispecchia un popolo che abita nei quartieri antichi della città, un popolo che deve necessariamente arrabattarsi tutti i giorni per poter sperare in un futuro migliore del presente, e deve arrangiarsi perché non ha i mezzi per poter affrontare con più legalità la propria vita.

 

Perché ha scelto l’uso del dialetto per i dialoghi, i continui riferimenti a luoghi simbolo di Palermo, quali Mondello, il Foro Italico, Monte Pellegrino, a cibi tipici e ad atteggiamenti comuni?

Io mi sono prefisso di guardare Palermo con i miei occhi, quasi con un’aria poetica, il rimpianto di certi luoghi che spesso sono degradati e che andrebbero rivalutati. Marsalone Rocco è un personaggio che assume anch’egli una veste poetica, a volte piena di commiserazione, a volte di rabbia per la sua ostinazione a non aver mai cercato nella sua vita di vivere più onestamente. Sono luoghi che ho visto e rivisto tante volte anche attraverso il tempo, attraverso i miei ricordi di ragazzino. Ho voluto dare a Palermo forse la giusta dimensione di una città che vale la pena vivere, assaporare, in tutte le sue situazioni, in tutti i suoi colori, in tutti i suoi sapori.

 

Lo stereotipo di donna moglie-madre e quello di uomo padre-padrone è un tratto caratteristico del libro, evidente nei personaggi di Girolama e Rocco. Crede che ancora in Sicilia sia realistico continuare a pensare a questa netta distinzione di ruoli?

Purtroppo ancora ci sono questi retaggi culturali. Attraverso la cultura e la scolarizzazione possiamo lottare questa arretratezza culturale. Però in fondo nel mio racconto c’è la donna che si ribella a questa situazione e lo fa dove più facile può esserlo, nella possibilità di contare in seno alla famiglia attraverso i soldi, avere la possibilità di spendere come vuole. Non è una situazione anomala, purtroppo nei rioni antichi di Palermo i casi in cui la donna vive ancora in una situazione non dico di schiavismo ma comunque di sottomissione sono all’ordine del giorno.

 

Il suo libro è dedicato ai palermitani "veraci". Come li descriverebbe?

Il palermitano è un grande popolo che ha subìto tanto nel corso della sua storia, ha tanti pregi e tanti difetti. Io preciso nella mia storia che il palermitano non sa vivere in mezzo, vive agli antipodi, il bene e il male, il bianco e il nero, il buono e il cattivo, non sa vivere tra queste polarità. Il popolo palermitano non sa vivere del proprio passato e non sa vivere di un eventuale futuro, non ha prospettiva, vive pienamente del presente, tanto che molti studiosi hanno affermato che nel dialetto siciliano i verbi non hanno la coniugazione al futuro.

 

Cosa rappresenta questo libro?

È un omaggio che rendo alla città. Sentivo da molto tempo di dover scrivere una storia simile, non ho voluto farlo ricalcando le classiche storie romanzate di mafia, di tragedie familiari o sociali, anche se sullo sfondo ci sono i problemi che inevitabilmente si tramanda da generazione in generazione questa città. È una storia diversa dalle altre perché ho cercato di renderla simpatica attraverso situazioni che fanno sorridere e allo stesso tempo riflettere. Ho deciso di devolvere parte del ricavato della vendita del libro all’associazione ABC dei bambini cardiopatici del Civico di Palermo e in questo il professore Carlo Marcelletti mi ha dato piena solidarietà ed appoggio.

Trento: Mastella; il nuovo carcere sarà pronto entro il 2010

 

www.stato-oggi.it, 18 giugno 2007

 

Il nuovo carcere di Trento dovrebbe essere pronto entro il 2010, previsione sottolineata con favore dal ministro della giustizia Clemente Mastella che ha firmato con il governatore trentino Lorenzo Dellai una convenzione per la gestione degli uffici giudiziari. Al ministro è stata sottoposta inoltre dai parlamentari trentini la situazione di una giovane bielorussia che rischia l’estradizione dall’Italia per un reato minore commesso in patria, fatto a cui si è sempre dichiarata estranea. Mastella sul caso ha promesso il suo interessamento, concedendo invece poche speranze per la vicenda del surfista trentino Chico Forti - condannato negli Stati Uniti per omicidio - che si è sempre detto vittima di un equivoco e ha chiesto di scontare in Italia la pena dell’ergastolo a cui è stato condannato.

Cinema: Abel Ferrara sta girando un documentario sul carcere

 

www.cinecitta.com, 18 giugno 2007

 

Abel Ferrara celebra il suo stretto legame con Napoli, dove affondano le sue origini, attraverso una serie di progetti cinematografici. Il regista, ospite del Napoli Film Festival (13/10 giugno) sta lavorando ad un documentario incentrato sulle donne detenute nel carcere di Pozzuoli.

Insieme ad altri registi - Mario Martone, Carlo Luglio, Diego Olivares e Toni D’Angelo - è al momento impegnato in laboratori di scrittura creativa presso i penitenziari di Pozzuoli, Lauro di Nola, Nitida e Aversa. Nello stesso tempo sta intervistando le detenute del carcere femminile di Pozzuoli. "Più che un racconto sul dentro - ha dichiarato Ferrara - questa è un’occasione per uscire fuori e svelare un sistema che non funziona". Secondo il regista la cosa che più colpisce nelle detenute è "l’assenza di speranza, la loro ineluttabile impossibilità di riscatto".

Nella città partenopea, inoltre, sarà girato a partire da ottobre Pericle il nero, tratto da un romanzo di Giuseppe Ferrandino. Nel cast del film, che sarà tra l’altro interamente in dialetto, dovrebbe esserci anche Riccardo Scamarcio, nel ruolo di Pericle.

Ed ancora, il regista starebbe pensando anche sceneggiatura sulla vita di suo nonno, emigrante che da Sarno sbarcò a New York, per poi approdare in California. "Non escludo che ci saranno punti di contatto con il documentario sulla Casa Circondariale di Pozzuoli - ha dichiarato - Quando sei nato in una città come Napoli è come se non te ne potessi mai davvero allontanare". Ferrara non sarà però per Napoli solo regista, ma anche musicista: a luglio suonerà infatti al Maschio Angioino insieme a Francis Kuiper, chitarrista e autore di molte colonne sonore dei suoi film.

Milano: il carcere di San Vittore apre le porte alla musica

 

Affari Italiani, 18 giugno 2007

 

Per due pomeriggi il rumore di chiavi, portoni di ferro e sbarre sarà sovrastato da musica e battute da cabaret. Nelle carceri di San Vittore di Milano e di Bollate, si svolgerà il "San Vittore Sing Sing 2007", festival nel quale artisti di fama nazionale e gruppi musicali di detenuti si esibiscono insieme. L’iniziativa è promossa dalle direzioni delle due case circondariali, in collaborazione con le cooperative dei detenuti e il Mantova Musica Festival.

All’edizione 2007 del Festival parteciperanno Daniele Silvestri, Ale e Franz, Simone Cristicchi, La Pina, Giovanni Cacioppo, Geppi Cucciari, Mitoka Samba, Meg, Africa Unite, Casino Royale, I Papu, Bove e Limardi, Marco della Noce, Germano Lanzoni e Flavio Settegrani, Sidh, , Bove e Limardi, Franziska, Raiz con gli Almamegretta, Club Dogo, Mondo Marcio, Compagnia del Piffero e Ricky Gianco.

I gruppi "interni" sono: "VlpSound", formato da detenuti di San Vittore, "Francobranco", fondato dall’agente penitenziario Franco Carnevale, "Suonisonori and the Reggae Band" e "Aria Dura" nati all’interno del carcere di Bollate. Il 18 giugno si inizierà a San Vittore, con 13 gruppi che si esibiranno su quattro palchi allestiti nelle zone d’aria dei reparti femminile e maschile, mentre uno spettacolo pomeridiano intratterrà i bambini ospitati nella "casa protetta" per detenute madri di via Macedonio Melloni a Milano. Il 20 giugno toccherà al carcere di Bollate, dove altri tredici gruppi daranno il loro spettacolo sul palco montato nel campo da calcio.

Roma: permesso di lavoro a Priebke, protesta comunità ebraica

 

Reuters, 18 giugno 2007

 

Il primo giorno di permesso lavorativo di Erich Priebke, il 93enne ex capitano delle SS condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, è stato subito segnato da una manifestazione di protesta organizzata da un centinaio di persone, in gran parte giovani ebrei, sotto lo studio del suo avvocato.

Priebke è giunto allo studio di via Panisperna alle 7.15, sullo scooter dell’avvocato Paolo Giachini. Più tardi, davanti all’ufficio sono arrivati i primi manifestanti, che mostravano striscioni con scritto "Priebke Boia", "Vergogna tribunale militare" - per aver concesso all’ex ufficiale tedesco la possibilità di lasciare gli arresti domiciliari - e "335 volte vergogna", con riferimento al numero delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

"La protesta andrà avanti finché avremo fiato", ha detto Roberto Limentani, un esponente della comunità ebraica, che partecipava al presidio anti-Priebke. "Siamo qui per la giustizia. Noi non dimentichiamo, e spero che anche il resto del mondo civile non dimentichi. Mi dispiace che qui ci siamo solo noi (ebrei), perché il problema non è solo nostro, è un problema di tutti".

Dopo essere stato estradato dall’Argentina in Italia nel 1995, Priebke è stato condannato all’ergastolo da un tribunale militare per il massacro, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale a Roma, come rappresaglia contro un’azione condotta dai partigiani contro le truppe d’occupazione. L’avvocato Giachini, che ospita in un appartamento l’anziano condannato, ora agli arresti domiciliari, ha difeso la decisione del tribunale di concedere a Priebke il permesso di lavoro esterno: "La legge prevede che dopo un certo periodo in prigione, i detenuti abbiano il diritto di ottenere certi benefici, perché in Italia la pena non è punitiva ma mira alla rieducazione dei condannati".

Droghe: il 26 manifestazione contro le politiche del governo

 

Fuoriluogo, 18 giugno 2007

 

Il Cartello "Non incarcerate il nostro crescere" lancia la protesta per il 26 giugno. Dalle ore 9.30 sit-in in Piazza Montecitorio. Alle 12 Conferenza stampa in Sala Stampa della Camera.

Ad un anno dal cambio di direzione politica alla guida del Paese, ad un anno dall’impegno esplicito - assunto da tutte le forze politiche di centrosinistra nel loro programma di governo - di un cambiamento sostanziale in materia di politiche sulle droghe, ci ritroviamo purtroppo a fare i conti, nei nostri servizi e sulle strade, con domande e questioni che non hanno ancora trovato risposte diverse o ipotesi alternative su cui discutere se non quelle lasciateci in eredità da una politica sulle droghe punitiva, crudele e miope, che insieme abbiamo contrastato e condannato o addirittura con affermazioni, prese di posizioni e proposte che riteniamo gravi e incomprensibili. Alla luce di questi ritardi e distanze ci sentiamo in questa fase "feriti da fuoco amico", ma soprattutto riteniamo estremamente grave il ritardo con cui il governo ed il parlamento stanno affrontando il percorso di revisione verso una nuova proposta di legge.

Alla luce di queste considerazioni il cartello "Non incarcerate il nostro crescere" organizza per la mattina del 26 giugno dalle 9,30 alle 11 a Roma davanti alla Camera, all’entrata degli Onorevoli, augurandoci anche una loro significativa presenza, un sit-in sui ritardi della politica, per chiedere con forza l’avvio urgente di una discussione parlamentare per la costruzione di una nuova proposta di legge sulle droghe, volta alla cancellazione della Fini Giovanardi e l’approvazione di una nuova cultura sulle droghe. In tale occasione sarà distribuito anche il nostro nuovo documento di richiesta e proposta alle forze politiche ad un anno dal governo.

Tale iniziativa promossa dal Cartello vorremmo si possa allargare a tutti gli operatori interessati, ai vari altri cartelli nati dal contrasto alla Fini Giovanardi, e a tutte le organizzazioni di operatori ed alle forze politiche interessate.

Droghe: Piobbichi (Prc); fallite le politiche repressive dell’Onu

 

Ansa, 18 giugno 2007

 

Bisogna aprire un ragionamento critico rispetto alle politiche dell’Onu: "dovevano estinguere dal pianeta le droghe, ma a distanza di dieci anni il loro fallimento è enorme, basti vedere quanta cocaina, e a che prezzo, gira nelle strade del nostro Paese o l’aumento esponenziale di problemi al naso e alla bocca che la sostanza sta provocando ai consumatori". Così Francesco Piobbichi, responsabile alle Politiche sociali del Prc commenta il risultato dello studio di "Libera" presentato a Roma. "Purtroppo - aggiunge - anche in Italia esiste una legge che ispirandosi a queste assurde politiche, invece di contrastare le mafie alimenta il consumo di sostanze pesanti". Secondo Piobbichi, i movimenti devono contestare duramente la conferenza sulle droghe dell’Onu che si terrà il prossimo anno a Vienna e fare del prossimo 26 giugno "la giornata nazionale di mobilitazione per chiedere al governo l’abrogazione della Legge Fini Giovanardi".

Iran: 4 impiccati per traffico di droga; già 100 esecuzioni nel 2007

 

Notiziario Aduc, 18 giugno 2007

 

Quattro uomini condannati a morte per traffico di stupefacenti sono stati impiccati oggi nel carcere di Bandar Abbas, nel sud dell’Iran, facendo salire a oltre cento il numero delle esecuzioni capitali avvenute nella Repubblica islamica dall’inizio dell’anno.

L’agenzia Irna, che ha dato notizia delle esecuzioni odierne, ha fornito i nomi degli impiccati, ma non i cognomi. Si tratta di Malek, condannato a morte per traffico di un chilogrammo di eroina, Javad, giudicato colpevole di avere comprato e venduto 29 chilogrammi di oppio, e Qassem e Kavus, condannati per traffico di 154 chilogrammi di oppio, oltre che per un conflitto a fuoco con la polizia in occasione del loro arresto.

In Iran è prevista la pena di morte per diversi reati, tra i quali l’omicidio, la rapina a mano armata, la violenza carnale, il traffico di droga, l’adulterio e l’apostasia. Secondo dati di Amnesty International nel 2006 sono state impiccate 177 persone, mentre, secondo testimonianze e notizie di stampa, sono 102 le esecuzioni avvenute dal primo gennaio del 2007. In soli quattro giorni, tra domenica e mercoledì scorsi, sono state impiccate dieci persone, tre delle quali sulla pubblica piazza.

Stati Uniti: carceri e processi, il segreto dell'efficienza americana

di Claudio Giusti (Osservatorio sulla legalità e sui diritti)

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 18 giugno 2007

 

Il sistema giudiziario americano funziona perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze. Secondo il governo statunitense il 96% delle condanne per i felonies è ottenuta con il patteggiamento. Solo il 40% delle condanne per omicidio criminale (preterintenzionale e volontario) è ottenuta con un processo, mentre la quasi totalità delle cause civili, grazie all’American Rule, si conclude con un accordo.

Per i misdemeanors poi la procedura è estremamente sommaria e si ritiene che, nei due terzi dei casi, il procedimento non duri più di un minuto. Questa rapidità è dovuta al fatto che, nelle corti di basso livello che sbrigano queste faccende, la presenza di un avvocato difensore non è prevista e spesso nemmeno consentita. Se però insistete a chiedere un processo vero passate alla corte superiore e intanto restate in cella.

Prassi comune è quella di tenere quegli arrestati che si devono affidare alla difesa pubblica, in prigione per un tempo pari a quello che si prenderebbero in caso di condanna: poi, una dozzina alla volta, li portano, incatenati l’uno all’altro, davanti al giudice dove il difensore d’ufficio li fa dichiarare colpevoli e il giudice li condanna "time served". Questo sistema serve a sbrogliare una quantità di lavoro immensa. Perché ogni anno, anche se il 50% dei crimini gravi non viene denunciato alle autorità, le 18.000 polizie statunitensi compiono più di 14 milioni di arresti.

I processi davanti a una giuria o un giudice togato (quelli che producono la nostra conoscenza telefilmica della giustizia americana) sono solo 150.000 e hanno il vantaggio di non richiedere che il verdetto e la sentenza siano motivati. La giuria non deve spiegare perché vi dichiara colpevole e vi manda al patibolo: non deve motivare il suo giudizio, spiegare come ha valutato le prove e le testimonianze e nemmeno lo deve fare il giudice. Le sentenze, di norma, sono immediatamente esecutive e il condannato va, o torna, in prigione direttamente dall’aula. In molti casi però il giudice decidere di metterlo "in prova", a volte anche per crimini gravi e condanne lunghe.

Questa enorme quantità di arresti e condanne ha prodotto la più grande incarcerazione di massa dai tempi di Stalin e l’immenso gulag americano accoglie 2.350.000 carcerati. (Nel 2005 è aumentato di un numero pari a quello di tutta la popolazione carceraria italiana.) Di questi 1.450.000 sta scontando condanne superiori a un anno nelle carceri statali e federali (trent’anni fa erano 200.000). Gli ergastolani sono 130.000, un quarto dei quali Lwop, e di questi 2.000 erano minorenni al momento del crimine. I minorenni in riformatorio sono più di 100.000 e 15.000 sono invece finiti nelle carceri per adulti (i minori arrestati sono 2.300.000 l’anno, di cui 500.000 sotto i 15 anni, 120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10 anni d’età. Non è inusuale l’arresto di bimbetti di quattro anni). 100.000 sono le donne. Degli 800.000 che affollano le jails circa 500.000 sono, più che in attesa di giudizio, in attesa che qualcuno gli trovi uno straccio di difensore. Gli altri stanno scontando pene inferiori all’anno.

A questa enorme massa bisogna aggiungere i 4.200.000 che sono in probation, gli 800.000 in parole (non hanno scontato tutta la pena) e i 5 milioni che hanno perso i diritti civili. Se aggiungiamo i minorenni che hanno almeno un genitore in prigione vediamo come negli ultimi trent’anni sia stata creata una sottoclasse "carceraria" pari al 5% della popolazione americana. Il turn over è impressionante: nel 2003 è stato, nella probation, di 2.200.000 persone e nelle carceri di 600.000. Incalcolabile quello nelle jails.

In America l’appello non è un diritto costituzionale e solo i condannati a morte godono di una revisione automatica della condanna, ma questa non è un rifacimento del processo. L’appello americano è una verifica della correttezza formale del primo procedimento: in esso non si riascoltano i testi, non c’è giuria e il condannato ha perso la sua (teorica) presunzione d’innocenza. L’appello capitale può diventare una messa cantata pluridecennale che va su e giù per le corti statali e federali, ma per tutti gli altri la musica è ben diversa. L’appello vene concesso molto raramente e quasi mai a chi ha patteggiato.

I tempi sono così lunghi che, per rimettere in libertà i 13 innocenti di Tulia, il Texas ha dovuto fare un’apposita legge. Capita spesso che l’innocenza di qualcuno condannato a soli 5 - 10 anni venga riconosciuta a condanna scontata. Non c’è il pericolo della prescrizione, perché questa si è interrotta con l’inizio dell’azione giudiziaria.

Il sistema giudiziario prevede corti d’appello e supreme in ogni Stato. Per ogni Stato c’è almeno un distretto giudiziario federale e i distretti sono raggruppati in 11 circuiti federali. Sopra tutti c’è la Corte Suprema Federale. Le corti d’appello statali e federali hanno, di norma, un potere assoluto nel decidere quali casi udire e quali respingere senza spiegazione. La Scotus riceve 7 - 8.000 richieste l’anno ed emette 60 - 70 sentenze.

Non è corretto dire che i giudici americani sono politicizzati, perché essi appartengono a pieno titolo al mondo della politica: sono cioè uomini politici a tutti gli effetti. Essi, avvocati o procuratori che fossero, hanno tutti alle spalle un periodo più o meno lungo di attivismo politico. A volte sono eletti, ma più spesso nominati da altri uomini politici e tutti, alla fine, rispondono delle loro sentenze al "popolo". Non sono pochi i giudici che hanno pagato a caro prezzo decisioni invise alla maggioranza degli elettori.

Stati Uniti: pena di morte; l'ultimo desiderio? una barzelletta

 

La Repubblica, 18 giugno 2007

 

Morir dal ridere, in faccia al boia che sta per giustiziarti, armato soltanto di un’ultima battuta per esorcizzare il terrore. Il classico morto che cammina della letteratura abolizionista diventa il "morto che ride", nel penitenziario del Texas dove Patrick Knight sarà ucciso tra una settimana, alle ore 18.00 del 26 giugno, confortato dalle barzellette sull’esecuzione che ha chiesto di mandargli per confortarlo e "ridurre un po’ la tensione". Non fiori, non opere di bene, non preci né veglie con flebili e inutili lumini fuori dal carcere, ma un’ultima, macabra risata. Prima dello stantuffo nel braccio di un uomo che non chiede requiem, ma barzellette per l’assassino.

Patrick Knight ha trascorso 16 dei suoi 39 anni nel braccio della morte del carcere di Polunsky, nel sud del Texas alle porte di Houston, lo stato leader nella produzione di omicidi legali. Il trasferimento ad altro incarico nel 2001 dell’executioner in chief, del boia in capo George W. Bush che rimane tuttora insuperato nella classifica della forca con un totale storico di 152 esecuzioni e nessuna commutazione, ha ridotto il lavoro per gli addetti alla siringa. Ma il Texas continua a rimanere primo fra gli Stati Uniti, e dunque nel mondo, fra le 68 nazioni come Cina, Sudan, Yemen, Iran, Iraq, Cuba, Corea del Nord, Botswana, Arabia Saudita, Siria, Somalia, Mongolia, Uganda e Guinea Equatoriale e altri templi dei diritti umani e civili, dove la pena capitale è ancora considerata legittima e praticata.

Knight sarà l’ottavo in questo 2007, ma certamente il primo nella storia del patibolo ad avere trascorso gli ultimi giorni della propria vita non a diffondere petizioni, a chiedere pietà, a convertirsi a una fede tardiva, a implorare commutazioni e neppure a proclamare ingiustizie. Il suo crimine, l’uccisione ad Amarillo, sempre nel Texas, per rapina e per droga, dei coniugi Walter e Mary Walker nel 1991, è fuori discussione. Li uccise lui, dopo averli torturati, per rubare la loro automobile, l’ha ammesso e ha accettato la pena estrema. Ma vuole negare allo stato e al sistema giudiziario che lo sopprimerà la soddisfazione delle lacrime e della paura. "Io vi riderò in faccia".

Poiché ai detenuti nei penitenziari più duri, e soprattutto nei raggi della morte, è proibito possedere un computer, per aprire il suo sito di humor nerissimo ha chiesto l’aiuto di un amico, che raccoglie le barzellette sul sito di MySpace e le recapita in carcere. Knight le sta selezionando e per la scelta finale, quella del passo d’addio prima che si abbassi il sipario nella stanzetta dove gli saranno iniettati in vena i tre cocktail letali e dolorosissimi, secondo le più recenti inchieste, utilizzerà una giuria di suoi pari, gli altri condannati che hanno appuntamento - si dice così nel gergo dell’ultima stazione, date, come per un appuntamento d’amore - con il boia.

L’ispirazione gli è venuta dal classico Dead Man Walking, il morto che cammina, della suora Helen Prejean, ma adattato. "Io voglio essere il dead man laughing", il morto che ride. La messe di barzellette e di battute raccolta finora è modesta, ammesso che si possa davvero ridere con un omicida, per lo più ispirata al comprensibile odio per la professione legale, la giurisprudenza e il sistema giudiziario che in ogni carcere è merce standard e negli autori che hanno offerto il loro contributo si avverte un certo rancore per la legge. "Che cosa fanno mille giudici incatenati a un blocco di cemento sul fondo dell’oceano? Un buon primo passo". "Perché gli avvocati vorrebbero far sesso con i loro clienti detenuti? Per potere chiedere una doppia parcella".

Altre sono riciclaggi di vecchie barzellette ispirate al gallows humor, allo spirito della forca che in questa terra di giudici spicci e di cappi gettati attorni ai rami più robusti della frontiera ha una lunga tradizione. Abbondano le variazioni sul motivo maschilista delle bionde stupide, nella gag della rossa, della bruna e della bionda condannate a morte che devono essere uccise su una sedia elettrica difettosa. Fino a quando la bionda si spazientisce e cinguetta: "Ho trovato io il guasto e ve lo aggiusto".

Rari lettori di classici suggeriscono le ultime parole famose di Charlie Chaplin sul letto di morte, che al prete che chiedeva al Signore di avere pietà della sua anima sussurrò: "E perché non dovrebbe? Dopotutto appartiene a Lui" e una suora di evidente buona cultura offre la citazione del martire cattolico Tommaso Moro, che, spinto dal boia su un patibolo traballante gli disse: "Per favore mi aiuti a salire, che poi a scendere ci penso da solo".

La barzelletta o la battuta prescelta dalle giuria dei dannati sarà declamata ad alta voce dal morituro, quando già sarà legato alla barella nella stanza dell’esecuzione e nessuna legge può impedirglielo. Il diritto di pronunciare un ultimo messaggio è garantito e di solito consiste in richieste di perdono, affermazione di amore per i propri cari, estreme e vane proteste di ingiustizia suprema, "voi uccidete un innocente", che non turbano gli addetti ai lavori.

Turbati invece, e fortemente, da questa tragica irriverenza, sono molti texani, da questo gesto che pare un rifiuto sfrontato di contrizione per un delitto confessato e orribile e una mostruosa mancanza di rispetto per i parenti dei coniugi trucidati. Lo sceriffo della contea dove avvenne il massacro ha chiesto al giudice di vietare a Patrick Knight lo sberleffo macabro, ma il giudice ha risposto che il giustiziando ha il diritto di dire quel che vuole, anche "l’ultima sul morto che ride". E che nel suo caso, sarà proprio l’ultima.

 

 

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