Rassegna stampa 22 gennaio

 

Lazio: il Garante; rispettare principio territorialità della pena

 

Asca, 22 gennaio 2006

 

Viaggio aereo di andata e ritorno e tre agenti di polizia penitenziaria mobilitati per scortare dal Piemonte a Roma, per 7 volte in due anni, Carlo P., un detenuto di 69 anni imputato per truffa in diversi processi. Carlo P., è stato trasferito nel giugno 2005 dal carcere di Rebibbia (dove era presidente del circolo "Albatros Arci" e scrivano volontario) a quello di San Michele, in provincia di Alessandria, "per ragioni di ordine e sicurezza" legate alla presentazione di un esposto anonimo contro di lui rivelatosi totalmente infondato, in seguito al quale fu aperta un’inchiesta della Procura di Roma conclusasi proprio in questi giorni con l’archiviazione da parte del GIP.

La vicenda di Carlo P. - si legge in una nota - è stata segnalata ripetutamente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L’uomo è in carcere dal 1998 con un fine pena nel 2049 per un cumulo di condanne definitive per truffe e reati contro il patrimonio. Nell’anno è mezzo di reclusione in Piemonte è venuto a Roma in aereo 3 volte nel 2005 e 4 nel 2007. È già previsto che, ovunque sia recluso, dovrà tornare a Roma nel 2007 per altre 3 udienze prefissate mentre altre sono in fase di fissazione.

Per 22 volte nell’ultimo anno e mezzo, Carlo ha scritto al Presidente della Repubblica, al ministro della Giustizia, ai vertici del Dap e ad esponenti politici chiedendo, invano, di essere di nuovo trasferito a Rebibbia o a Civitavecchia per evitare gli spostamenti e per stare vicino ai familiari. "Un mese fa, quasi a Natale - ha raccontato amaramente il Garante Angiolo Marroni - la sua richiesta di avvicinamento è stata beffardamente accolta e Carlo è stato trasferito a Berlizzi Irpino, in provincia di Avellino, a trecento chilometri dai suoi familiari e dal suo avvocato.

Il trasferimento a Berlizzi Irpino - ha scritto l’uomo al Garante - ha aggravato la situazione, poiché il carcere è fuori dalla città, raggiungibile solo con mezzi privati (.) Siamo in 4 in cella e sempre chiusi, fa un freddo cane, siamo abbandonati a noi stessi. Nella situazione economica attuale, dove continuamente ci viene detto che non ci sono risorse, - ha detto il Garante Angiolo Marroni - è sconcertante constatare come lo Stato sprechi soldi e professionalità per spostare come un pacco postale dal nord al sud d’Italia un detenuto di quasi 70 anni, peraltro ingiustamente trasferito da Rebibbia.

La sua pericolosità è nulla come dimostra il suo impegno sociale a Rebibbia. Ho scritto alle autorità - continua Marroni - chiedendo che Carlo sia riassegnato a Roma, visto che con l’indulto e la conseguente diminuzione del numero dei detenuti ristretti, è possibile riaffermare il principio della "territorialità della pena", consentendo ai detenuti di poter contare almeno sul conforto e sul sostegno delle proprie famiglie".

Verona: "Ludwig"; pena finita, ma ora 3 anni in "Casa di Lavoro"

 

L’Arena di Verona, 22 gennaio 2006

 

Sono passati molti anni da quando all’inizio degli anni Ottanta Verona fu attraversata da una serie di sconvolgenti omicidi seriali firmati "Ludwig". Delitti presto estesi anche ad altre città - Trento, Vicenza, Milano, persino Monaco di Baviera - e che cessarono solo con l’arresto di due studenti giovani veronesi, Wolfgang Abel e Marco Furlan, fermati all’interno della discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere con una tanica di benzina in mano, dopo che ne avevano già versato buona parte del contenuto in vari punti del locale al cui interno c’erano circa 400 giovani. Ne seguì un processo, al termine del quale i due vennero condannati a 27 anni di carcere.

Mentre Furlan era fuggito prima della sentenza definitiva del 1991 per poi essere catturato nel maggio 1996 a Creta, dopo altre quattro anni di latitanza, e ora è detenuto nel carcere di Opera, Abel dal febbraio 1991 è stato ospite del Due Palazzi di Padova. Per lui ora, grazie agli abbuoni e agli sconti di pena "regolari" (tre mesi per ogni anno di detenzione scontato, compresi i due anni nel manicomio criminale di Reggio Emilia e quattro anni tre mesi e dodici giorni della carcerazione preventiva), sarebbe arrivato il momento della libertà. A 48 anni di età.

"Sarebbe" e non "è", perché i giudici di sorveglianza del Tribunale di Padova gli hanno confermato i tre anni di pena accessoria previsti nella sentenza definitiva e lo hanno spedito alla casa di lavoro di Sulmona, dove troverà altri cinquanta internati, e che è una delle quattro ancora esistenti in Italia (le altre tre sono a Castelfranco Emilia, Modena, con circa trenta internati, Saliceta San Giuliano, Modena, circa 25 internati, e Favigliana, Trapani, meno di dieci internati).

Le motivazioni, probabilmente, sono gli stessi che nel 2002 portarono al rigetto della semilibertà. A partire dal fatto che non ha mai confessato le sue responsabilità. "Non ha contribuito allo svolgimento delle riflessioni sulle proprie condotte antigiuridiche", avevano scritto allora i giudici per motivare il rigetto, "e sulle loro motivazioni". Ossia non ha mai dato segno di essersi veramente pentito di aver ucciso 28 persone, tanti sono gli omicidi che gli sono stati attribuiti (fu riconosciuto colpevole con Furlan di di tre omicidi "singoli" e di tre stragi). "Abel, che pure ha serbato regolare condotta e che ha avuto accesso all’esperienza dei permessi premio", spiegavano ancora i giudici, non meritava la semilibertà perché non bastava "la corretta fruizione dei permessi-premio, la cui concessione risponde a una tecnica valutativa della pericolosità sociale".

L’avvocato difensore di Abel, Fabio Pinelli, ha già impugnato la decisione in Cassazione. Anche perché il suo assistito non solo si è nel frattempo laureato in matematica e ha sempre mantenuto una buona condotta carceraria, ma aveva già ricevuto delle offerte di lavoro. Una gli era arrivata da una ditta veronese di Cavaion, la Baumann, che fabbrica carrelli di sollevamento industriali e gli aveva offerto un posto di lavoro. Era stato il titolare in persona, Wolfgang Baumann, ingegnere e amico del padre di Abel, a proporre il contratto per il suo reinserimento. E Abel, in aggiunta, aveva proposto anche di svolgere attività di volontariato come esperto di informatica in una struttura gestita da un sacerdote, proprio una di quelle figure che erano state uno dei bersagli preferiti delle sue imprese criminali.

Ma ci sono anche motivazioni di ordine giuridico nel ricorso del difensore. La condanna originaria prevedeva infatti come misura di sicurezza, a pena espiata, un periodo di ricovero in una casa di cura e custodia. In questi istituti sono "ricoverati" (una volta scontata la condanna), per un periodo minimo di un anno, i condannati che hanno usufruito di una diminuzione della pena a causa di una parziale infermità mentale. Ma questo non è il caso di Abel, perché non è mai stato riconosciuto come matto, e la misura è quindi venuta a decadere. Tuttavia, secondo l’avvocato Pinelli, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto di modificare quella che in origine era una previsione "terapeutica" in una misura afflittiva detentiva, cioè la custodia in una casa di lavoro. A questo tipo di strutture sono assegnate, secondo la legge, le persone dichiarate "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", una volta che abbiano scontato la pena alla reclusione. Il regime, in questi istituti, è di normale detenzione e, spesso, manca pure la possibilità di lavorare, come ha denunciato recentemente il deputato di Rifondazione Comunista Francesco Caruso, che dopo una visita proprio a Sulmona ha annunciato una proposta di legge per la loro chiusura.

La difesa di Abel contesta che il giudice di sorveglianza abbia il potere di trasformare una misura di sicurezza in un’altra. E la decisione configurerebbe una violazione del principio di legalità, essendo palese una erronea applicazione di una misura afflittiva al di fuori dei casi previsti dalla legge. L’ordinamento penitenziario, conclude la difesa, non consente la trasformazione della misura individuata dal giudice della cognizione e neppure la sua applicazione ex novo.

A Sulmona, nel carcere normale, Abel troverà un altro serial killer veronese, Gianfranco Stevanin, che vi è detenuto per scontare la condanna all’ergastolo.

La negazione della libertà a fine pena ad Abel, oltre che essere conferma di un dispositivo previsto nella sentenza del 1991, è chiaramente legata anche a una preoccupazione sociale, per l’enormità dei crimini commessi. In fin dei conti la vicenda di Ludwig, sotto la cui sigla di ispirazione neonazista veniva annunciata la purificazione del mondo da omosessuali, prostitute e preti, è stata un fenomeno criminale quasi unico al mondo. E il suo fantasma continua a incutere timore.

Libri: "In carcere, scomodi", storia del volontariato giustizia

 

Comunicato stampa, 22 gennaio 2006

 

In carcere, scomodi. Cultura e politiche del volontariato giustizia

di Livio Ferrari. Editore Franco Angeli. Euro 16,00

 

Il volontariato delle carceri è lì per dar voce a chi non ce l’ha, per ovvi motivi, che non è un’affermazione retorica e ancor meno di comodo, senza assolvere o condannare, ma con quel ruolo di stimolo e coscienza critica della società, per promuovere nuove e più umane idee di giustizia che passano anche attraverso forme di intervento che privilegino modalità di pace, quali l’istituto della mediazione nel settore penale per gli adulti, una nuova legislazione per i giovani-adulti, per parlare maggiormente di riconciliazione sociale, con un’attenzione e un coinvolgimento particolare rivolto alle vittime dei reati. L’atteggiamento è, pertanto, la ricerca paziente e consapevole di scelte che siano a favore di tutti, attraverso la cultura della condivisione, della testimonianza civile, di gioia e fatica, di tensione ed attenzione al soggetto umano.

Pertanto, ciò che connota le politiche del volontariato, che si interessa delle persone detenute e degli ex, oggi diventa sempre più chiaro: essere il volano di una crescita collettiva sulle tematiche della giustizia in Italia. Che significa anche maggiore capacità dei volontari nell’intervento di servizio, forte dialogo ed incisivi e segnanti accordi con le istituzioni pubbliche e le agenzie private a tutti i livelli, incidenza sulle scelte operative e legislative per quanto riguarda le politiche della giustizia, ed infine crescita dei percorsi sociali di pace rivolti al territorio.

Livio Ferrari, giornalista, fondatore e direttore dell’associazione di volontariato Centro Francescano di Ascolto di Rovigo, è stato presidente nazionale del Seac, è fondatore e direttore responsabile della rivista Seac Notizie, è il fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia di cui è stato anche il presidente.

Il volume è acquistabile nelle librerie a euro 16,00 o richiedendolo alla Franco Angeli Editore Milano . Gestioni & Partecipazioni Viale Monza,106 - 20127 Milano. vendite@francoangeli.it - fax 02.26141958

Unabomber: Procura Trieste chiede nuova perizia sulle forbici

 

Agi, 22 gennaio 2006

 

La Procura della Repubblica di Trieste ha accolto la richiesta della difesa e ha disposto un supplemento alla superperizia sulle forbici sequestrate nel marzo scorso all’ingegner Elvo Zornitta, indagato nell’inchiesta su Unabomber. Al termine della camera di consiglio per l’incidente probatorio sul lamierino e sulle forbici sequestrate a Zornitta, la Procura del capoluogo giuliano ha rilasciato un comunicato a firma del procuratore della Repubblica Nicola Maria Pace e del sostituto procuratore Pietro Montrone: "L’accusa ha preliminarmente dato notizia ufficiale al gip della pendenza presso la Procura di Venezia di un procedimento penale iscritto nei confronti di Ezio Zernar, aperto in seguito alla trasmissione per competenza, da parte di questa Procura, di un fascicolo penale a carico di persone da identificare, contenente l’esposto di Elvo Zornitta presentato presso questi uffici il 10 gennaio 2007 e avente come oggetto le alterazioni subite dall’ormai noto lamierino. La stessa Procura di Trieste ha quindi revocato in udienza la nomina di Ezio Zernar quale consulente tecnico dell’accusa nell’incidente probatorio".

Il comunicato della Procura quindi prosegue: "Il pm ha poi manifestato la propria adesione - riconoscendone la pertinenza, rilevanza e ammissibilità processuale - alla richiesta della difesa (già formulata in precedenza per iscritto al gip e ribadita oggi) di un accertamento tecnico integrativo in ordine alla probabile alterazione del reperto-lamierino oggetto di esame nell’attuale incidente probatorio unitamente alle forbici. Cio’ ha fatto, anche alla luce della sostanziale conferma delle anomalie riscontrate dalla difesa da parte del Ris di Parma, delegato in via d’urgenza da questa Procura alle verifiche del caso, già all’indomani del deposito dell’esposto difensivo. La richiesta è stata accolta dal gip che ha anche dichiarato ammissibile e rilevante l’estensione oggettiva dell’originario quesito formulato in incidente probatorio proposto dalle parti, con specifico riferimento alla posizione dell’indagato Zornitta. La Procura di Trieste ha perciò conferito un nuovo incarico al professor Alessio Plebe della Facoltà di informatica dell’Università di Messina e ha rinviato all’udienza del 9 febbraio 2007 per la discussione sulle conclusioni dei periti e la chiusura dell’incidente probatorio. Il pubblico ministero infine ha rinnovato, per questa integrazione peritale, la nomina del capitano Fratini del Ris dei Carabinieri di Parma quale c.t. del pm".

Finanziaria: il Comandante dei Carabinieri; siamo appiedati

 

Il Giorno, 22 gennaio 2006

 

Amareggiato. Il comandante generale dei carabinieri ha usato parole soft per esprimere concetti pesanti: la Finanziaria porta nuovi tagli e incide molto sul capitolo sicurezza. È stato il più contenuto. I sindacati di polizia hanno portato in piazza il dissenso con manifestazioni. I vigili del fuoco hanno gridato al disastro civile. È tutto un elenco doloroso di tagli, compressioni, che intervengono su un terreno già compresso.

Si è risparmiato talmente tanto che, nel caso della polizia - ma i carabinieri non viaggiano meglio - il 60% dei mezzi è fuori uso per mancanza di manutenzione. Mezzi significano macchine per andare dietro ai cattivi e magari inseguirli (a volte con Fiat Marea che si portano sulle spalle cosine come 160mila chilometri) ma anche elicotteri che non pattugliano o aerei che restano sulle piste. L’altro giorno, ad Asti, tra guasti e problemi vari non c’era un’auto della polizia per fare la sorveglianza. La soluzione? È stato fatto uscire il camper.

Da un paio di mesi, ma questo è solo colore, è stato tagliato Internet nelle questure e nei commissariati. Si spendeva troppo. Rigore è la parola d’ordine e tutti si devono piegare. Compresi i cittadini che di questi tagli sono i destinatari ultimi. Perché meno mezzi significa meno garanzia per tutti. E c’è da restare basiti a vedere come poi tanta rigida disciplina in materia di economie non tocchi altri.

Facile cadere nel qualunquismo, ma altrettanto difficile evitarlo perché se poliziotti e carabinieri vanno a spasso su macchine vetuste, il parco auto dei soliti vip non fa che rinnovarsi con impegni di spesa ingiustificabili. Un dato: la sola presidenza del Consiglio vanta un parco auto blu di 115 esemplari. E le spese ricadono sui fondi della polizia. Le due voci, risparmi e sprechi, finiscono con l’essere indissolubili. Un apparato come quello del ministero dell’Interno, ossia il Viminale, assorbe uomini a centinaia, a migliaia.

Poliziotti a fare da portieri, da sorveglianti e da autisti tuttofare. Non che, spesso, ai poliziotti in questione la cosa dispiaccia perché la vita è più comoda. Nulla da obiettare. E a furia di non obiettare prefetture e ministero hanno fagocitato almeno tremila uomini in divisa con queste funzioni. E sono molti di più se allarghiamo il conto ad altri uffici distaccati. Ma per restare ai tremila, se soltanto questi fossero rimessi su strada si potrebbero riempire tre volanti in più, nelle 24 ore, per ogni provincia italiana. Mica roba da ridere.

Se Roma se la cava con 9 volanti per l’intero territorio in tutta la notte e a Torino spesso viaggiano in tre, si può capire che il valore aggiunto sarebbe, appunto, un valore. A fare da portieri o da centralinisti basterebbero dei civili, a fare la guardia anche gli agenti delle polizie private. Lo fa l’Fbi in America, noi potremmo copiare.Dicono che non si può. Allora cambiamo versante e pensiamo che, stante il personale così com’è, almeno si potrebbero combattere alcune sacche di lassismo. Ministero dell’Interno, tanto per non cambiare ambiente.

Si sono spesi milioni per mettere in sicurezza gli accessi e tutti i dipendenti sono stati dotati di tesserino magnetico per entrare e uscire. Bene. Il medesimo sistema, già in uso, potrebbe comodamente registrare anche gli orari dei lavoratori. Sarebbe logico. Forse troppo. Così il controllo meccanizzato degli accessi è rimasto inattuato e per le presenze si ricorre al vecchio sistema delle firme. Lecito lasciarsi prendere dal sospetto che così le cose siano un po’ meno disciplinate. Non solo.

Nel medesimo calderone del ministero dell’Interno ognuno l’orario se lo fa a modo suo. Chi sceglie i rientri pomeridiani, chi preferisce lavorare anche il sabato, chi salta da un orario all’altro a seconda delle esigenze. Tutto legittimo se non fosse che si arriva al paradosso di dipendenti che con tre giornate lavorate in una settimana riescono ad accumulare ben 40 ore di straordinario. Eppure, calcolando a spanne, se per ogni impiegato, funzionario etc. il controllo elettronico delle presenze riuscisse a ridurre di un paio d’ore gli straordinari, si potrebbero risparmiare, in un anno, 50 milioni di euro e oltre. Malanimo verso i dipendenti pubblici? No. Soltanto rispetto delle regole perché, alla fine, se la cinghia si deve stringere, che nei buchi ci rientrino tutti. Ancora capitolo scorte.

L’idea era stata di Berlusconi che per gli agenti che lo seguivano (erano 48) aveva escogitato il trasferimento al Cesis con inevitabile triplicazione dello stipendio. Arriva Prodi e le cose non cambiano. Oltre a quelli di Berlusconi che sono stati sparsi nei vari uffici dei servizi, i nuovi agenti di scorta hanno avuto il medesimo trattamento andando a ingrossare di 38 unità (ma dovrebbero scendere a 36) gli organici del Cesis. Un mistero gaudioso resta poi quello delle consulenze e degli appalti esterni. E qui sì che il riserbo è massimo.

Persino le questioni tecniche e informatiche relative al Viminale vengono gestite all’esterno. Addirittura i progetti che significano pianificare gli accessi degli immigrati o studiare l’incidenza dell’ordine pubblico, vengono elaborati all’esterno. Eppure il ministero ha assunto ingegneri, architetti, specialisti in tutti i settori. Lungo l’elenco degli sprechi o quantomeno dell’assenza di un’oculata gestione delle risorse. Logica vorrebbe che fosse reale la possibilità di destinare le somme o i titoli sequestrati ai mafiosi all’ammodernamento dei mezzi delle forze dell’ordine.

Non è così. I beni sequestrati vanno altrove. I fondi, in particolare, finiscono al ministero di Grazia e Giustizia che sovente li utilizza per pagare i processi ai medesimi mafiosi. Tutto, avvocato di fiducia compreso. Perché loro, ormai nullatenenti, approfittano del gratuito patrocinio che assicura il legale di grido a spese dello Stato. Mica il semplice avvocato d’ufficio.

Unione Europea: da Strasburgo "no" deciso a pena di morte

 

Market Press, 22 gennaio 2006

 

Prendendo spunto dalla condanna alla pena capitale inflitta da un tribunale libico a cinque infermiere bulgare, il Parlamento ribadisce la radicale opposizione alla pena di morte. La risoluzione adottata dall’Aula sollecita l’annullamento del verdetto, si appella al Colonnello Gheddafi affinché assicuri il rilascio degli operatori sanitari e, in caso contrario, chiede alla Commissione e al Consiglio di prendere in considerazione una revisione della politica comune di impegno con la Libia.

Adottando la risoluzione comune sostenuta da tutti i gruppi politici esclusi Ind/dem e Its (con 567 voti favorevoli, 1 contrari e 7 astensioni), il Parlamento ribadisce "la sua radicale opposizione alla pena di morte" e ricorda che l’Unione europea ritiene che l’abolizione della pena di morte "contribuisca al rafforzamento della dignità umana e al progressivo sviluppo dei diritti umani". Sottolinea, inoltre, che l’Unione europea è andata oltre questo impegno e sostiene l’abolizione della pena capitale nei paesi terzi. Il 9 febbraio 1999 le autorità libiche hanno arrestato alcuni operatori sanitari bulgari che lavoravano presso l’ospedale "Al-fatih" di Bengasi (sei cittadini bulgari, un cittadino palestinese e nove cittadini libici), accusandoli di aver volontariamente infettato con il virus Hiv centinaia di bambini.

Sottoposte a diversi processi, queste persone sono state condannate a morte il 19 dicembre 2006. Il Parlamento deplora tale verdetto ed esprime nuovamente la sua seria preoccupazione per quanto concerne la base sulla quale gli imputati sono stati processati, il loro trattamento durante il periodo di detenzione e i lunghi ritardi nel processo. Esorta le autorità libiche a adottare le misure necessarie per rivedere e annullare la condanna alla pena capitale e ad aprire la strada a una tempestiva soluzione del caso su una base umanitaria, "rispettando in tal modo i prerequisiti necessari per il proseguimento della politica comune di impegno nei confronti della Libia".

Al riguardo invita il Colonnello Gheddafi "a esercitare i suoi poteri e ad assicurare urgentemente il rilascio degli operatori sanitari arrestati". Ma esorta anche la Commissione e il Consiglio a intervenire presso il governo libico, al fine di assicurare la tempestiva liberazione degli operatori sanitari detenuti in carcere.

In mancanza di una soluzione positiva del caso, il Parlamento chiede che sia presa in considerazione "una revisione della politica comune di impegno con la Libia in tutti i settori interessati che l’Unione ritenga opportuni". Il Parlamento invita infine la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a continuare a fornire assistenza per l’attuazione del Piano d’azione per la lotta all’Hiv e a sostenere il Fondo internazionale per Bengasi, "al fine di alleviare le sofferenze dei bambini infetti e delle loro famiglie e di aiutare le autorità libiche a prevenire e a contrastare la diffusione del contagio da Hiv nel paese".

Ruanda: il paese verso l’abolizione della pena di morte

 

Market Press, 22 gennaio 2006

 

Il governo ruandese ha annunciato di aver approvato un progetto di legge per l’abolizione della pena di morte: il ministro della Giustizia, Tharcisse Karugarama, ha spiegato che la legge dovrà ora essere approvata dal parlamento. "Le consultazioni che abbiamo avuto - ha detto il ministro - ci hanno dimostrato che i ruandesi sono favorevoli all’abolizione della pena capitale". Il voto parlamentare dovrebbe essere una formalità, dal momento che il Fronte Patriottico Ruandese del presidente Paul Kagame, ha una larga maggioranza in entrambe le camere.

Se il parlamento approverà la legge, i detenuti nel braccio della morte avranno commutata la pena con l’ergastolo. L’eliminazione della pena capitale aprirebbe la strada per l’estradizione in Ruanda di persone sospettate per il genocidio del 1994, da parte di diversi paesi occidentali e del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, operante in Tanzania. Le estradizioni finora non sono state concesse per paura che in Ruanda queste persone possano essere condannate a morte.

Usa: Guantanamo? Non è peggio di certe carceri di Londra

 

Affari Italiani, 22 gennaio 2006

 

Un gruppo di deputati britannici sostiene che le condizioni di vita dei detenuti nel campo di prigionia americano di Guantanamo, a Cuba, sono "largamente comparabili", quindi pressoché equivalenti, a quelle riscontrabili nelle carceri britanniche. La delegazione di parlamentari inglesi, tutti membri della commissione Esteri, è giunta a questa conclusione dopo aver compiuto lo scorso novembre una visita a Guantanamo.Malgrado le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo abbiano raccolto, e continuino a raccogliere, interi dossier sugli abusi compiuti sistematicamente tra il 2002 e il 2004 sui prigionieri a Camp Delta, i deputati britannici ritengono "improbabile" che tali episodi siano tuttora motivo di preoccupazione.

A loro avviso, secondo quanto riporta il domenicale Sunday Times, la struttura è "largamente comparabile" alla prigione di massima sicurezza di Belmarsh, nel sudest di Londra.Il rapporto dei deputati inglesi sarà accolto con favore a Washington, che continua a resistere agli appelli, non ultimo quello dell’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, per l’immediata chiusura del campo di prigionia.

 

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