Rassegna stampa 23 febbraio

 

Giustizia: sospeso sciopero dei medici, ma i timori rimangono

 

Il Cassetto, 23 febbraio 2007

 

L’associazione dei Medici dell’Amministrazione Penitenziaria ha interrotto lo sciopero della fame e tutte le altre forme di protesta. Questo dopo la dichiarazione del ministro della Giustizia, Mastella, sul recupero integrale dei fondi tagliati dalla Finanziaria 2007 alla Medicina Penitenziaria. A cominciare il digiuno erano stati lunedì i 10 esponenti dell’ufficio di presidenza dell’Associazione. Ieri i medici aderenti all’Amapi avevano proclamato lo sciopero a oltranza. I tagli decisi dalla Finanziaria avevano fatto scattare la protesta. Mastella annuncia il recupero dei fondi. Ma i timori rimangono.

Sono stati recuperati interamente i 12 milioni e 500 euro tagliati dai fondi destinati alla sanità penitenziaria all’origine del digiuno di protesta cominciato all’inizio della settimana dai vertici dell’ associazione dei medici e dagli infermieri delle carceri e dello sciopero a oltranza proclamato ieri da tutta la categoria. Lo fa sapere il ministero della Giustizia in una nota in cui è detto che il Guardasigilli, Clemente Mastella "ha dato disposizioni affinché vi sia una ripartizione dei fondi di funzionamento che consentirà di fare fronte alla lamentata riduzione degli stanziamenti previsti nella Finanziaria. Le richieste degli operatori sanitari degli istituti penitenziari - spiega la nota - sono al centro dell’attenzione del ministro, consapevole che la salute è un diritto fondamentale da tutelare e da garantire a chiunque. Un diritto dal quale non può essere escluso nessuno, nemmeno i detenuti, che se malati e privi di cure, si troverebbero a vivere una sofferenza resa ancora più drammatica dalla condizione in cui si trovano". I 12 milioni e 500 mila euro sono stati recuperati "unitamente ad un surplus da utilizzarsi per gli adeguamenti contrattuali".

"Se non ci scappa prima il morto, l’Italia non si muove". Francesco Ceraudo aveva commentato così la riduzione di spesa per la medicina in carcere. Rafforza la denuncia, dopo essersi dimesso dalla carica di presidente dell’Amapi, Associazione medici penitenziari, abbassa quindi un po’ il tono della voce e, per esser ancor più incisivo, infine aggiunge: "A pensarci bene, un morto in carcere non interessa nessuno". Deciso, seccato, decisamente demoralizzato. Ceraudo ha un diavolo per capello dal momento in cui il ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, ha sottratto 13 milioni di euro alla più delicata forma di assistenza penitenziaria.

"Siamo di fronte - osserva il deputato della Rosa nel pugno Maurizio Turco - a una riduzione del 25 per cento della spesa complessiva". Tutto ciò accade ha spiegato, il 17 gennaio, Mastella in Parlamento - perché "la Finanziaria ha previsto anche alcuni accantonamenti e l’indisponibilità di 4.571 milioni di euro nella attuazione delle unità previsionali di base iscritte nel bilancio dello Stato. Tutto questo, evidentemente - ammette il ministro -, ha comportato una ricaduta, ahimé, in

negativo per quanto riguarda l’assistenza e le rieducazione degli stessi detenuti". Con l’effetto certo che "ci saranno - aggiungono le associazioni - ancor meno medicine, meno medici, meno infermieri e più detenuti malati". Niente di nuovo.

Ogni governo ha fatto del suo meglio per ridurre all’osso risorse e strumenti utili ad assistere (curare, si presume, sia altra cosa), in questi ultimi anni, diecimila detenuti positivi al test della tubercolosi, quattromila sieropositivi, di cui 600 affetti da aids conclamata, 17.000 tossicodipendenti,1.157 alcolisti, novemila malati mentali, altrettanto affetti da epatiti e altre centinaia da cardiopatie, diabete e patologie varie. Tra il 1999 e il 2002 si registrava una diminuzione dell’11,4 per cento per ogni carcerato. Già allora, a tre anni dell’entrata in vigore del decreto che stabiliva il passaggio delle competenze sulla salute dei detenuti dall’amministrazione penitenziaria alle Asl, c’era molta confusione. Ma adesso c’è davvero il caos. E una forte preoccupazione, che Ceraudo sintetizza in una frase: "Con la metà degli psichiatri in funzione in carcere è facile prevedere un raddoppio dei suicidi".

Un rischio troppo spesso sottovalutato. Ovunque , ma non dalle colonne del Lancet. Sull’autorevole rivista scientifica Seena Fazel, psichiatra di Oxford e John Danesh, epidemiologo di Cambridge affermano che se c’è un luogo preciso dove l’Occidente concentra la gran parte dei suoi malati mentali, questo è la prigione. Nei paesi ricchi, calcolano Danesh e Fazel, un detenuto ogni sette è affetto da malattie psichiche gravi o da una forte depressione (con alto rischio di suicidio).

Qualcosa di simile sembrò preoccupare persino Romano Prodi quando, a inizio legislatura, parlò di "una forma di detenzione sociale". L’espressione fu utilizzata dal premier per introdurre, durante un convegno sulla riforma penale, le parole del docente fiorentino, Emilio Santoro. Parole accostate, l’una dopo l’altra, con dovizia di particolari giuridici per formulare un’accusa inappellabile. Il carcere, sostenne Santoro, è ormai diventato un "centro di prima accoglienza per malati mentali, tossico-dipendenti e immigrati il cui unico reato è il non aver abbandonato il paese. L’insieme di questi sfortunati, per il ricercatore, formavano il 70 per cento della popolazione carceraria prima dell’indulto".

Prima dell’indulto, appunto. Poi c’è stato il decreto legislativo al quale i media hanno attribuito la responsabilità dei più efferati delitti del dopoguerra. E oggi "i politici di sinistra - dice Ceraudo - sfilano in prima fila a Vicenza, ma paiono completamente insensibili alla gravità del dramma che si sta per compiere. Si è perso - insiste- il senso della misura". Dello stesso tono gli appelli dell’Amapi rivolti ai partiti di sinistra per salvaguardare la sopravvivenza della medicina penitenziaria: "È stata tagliata, colpita a morte la medicina dei poveri, dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi". Con i tagli, sostengono, non si toglie il superfluo ma il minimo indispensabile per sopravvivere: quelle ultime guardie mediche e infermieristiche che rappresentano, dopo la fine dei centri clinici e specialistici, le ultime instabili sentinelle della salute in carcere. Sacrifici che il generale Giuliano Verrengia del Dap spiega così: "Il capitale complessivo del Dipartimento amministrazione Giustizia è di due miliardi e 800 milioni di euro. Del budget due miliardi e cento finiscono per spese considerate rigide, destinate in pratica a strutture e stipendi degli agenti. Ne restano settecento di cui 99 andrebbero tutte all’assistenza sanitaria, ma si vuole risparmiare il 12,54 per cento". Si arriva così a poco più di 63 milioni.

È una soluzione d’emergenza, sostengono a Montecitorio, per far riprender fiato alle casse dello Stato. "Tutt’altro", obietta Ceraudo. In che senso, chiediamo. "A causa dei trasferimenti dei detenuti malati - chiarisce - nei Pronto soccorso, a causa delle ospedalizzazioni e, in conseguenza, di maggiori piantonamenti della Polizia penitenziaria, le spese triplicheranno rispetto ai tredici milioni risparmiati". Ragionamento difficile da confutare: se manca la sanità in carcere, questo si trasferisce in ospedale. Con oneri relativi. E la cella può così, lamenta il medico, "continuare ad assolvere tranquillamente alle due principali sue funzioni: quella di deterrenza e quella di neutralizzazione". Sembrano presupposti creati ad arte per arrivare a pensare che si può far a meno anche del personale medico. Quanto meno di quello senza tutele. Responsabilizzando, contestualmente, oltremisura i 350 camici bianchi. Tanti sono quelli di ruolo. Gli altri 2600 possono contare solo su contratti a prestazione: 1400 servono per l’assistenza 24 ore su 24, mentre i restanti 1.200 svolgono funzioni specialistiche da cardiologo, psichiatra o infettivologo.

"Tutti precari - protesta Ceraudo - su cui si abbatterà la scure dei tagli". Non verranno, in pratica, rinnovati buona parte dei loro contratti. Ma senza di loro - avvertono medici e infermieri - si blocca tutto". Non starete esagerando? "Già prima della Finanziaria - chiosa Ceraudo - si sono verificati problemi per l’acquisto di farmaci. Ora - conclude - siamo al collasso". Meglio sarebbe, allora, tamponare il problema con quei 200 milioni di euro che il Ministero ha ricevuto in più dalla Finanziaria sul capitolo "beni e servizi". Un palliativo certo, ma darebbe tempo a chi cerca alternative. Una, più terapeutica per il sistema penitenziario, prima o poi, si trova.

Anzi per Pisapia, presidente della Commissione per la riforma del codice penale ci sarebbe già da tempo, ovvero: portare a termine un disegno di riforma del codice e ottenere il consenso da parte del Parlamento. Ma si presenta un problema, anzi un grande ostacolo alla riforma del codice. Si chiama opinione pubblica. Il noto penalista sogna una "nuova mentalità": fare uso abbondante di pene alternative al carcere come per esempio le pene interdittive e prescrittive, ma soprattutto fare del carcere "l’estrema ratio".

Quasi a dire che le belle parole devono lasciare la sede dei convegni per entrare nella testa della gente. Cosa che non accadrà, complice anche la campagna stampa anti indulto, proprio domani. Nel frattempo, Ceraudo e i suoi serrano le fila per difendere l’art. 32 della Costituzione a tutela della salute in carcere. Mobilitati in tutto il paese contro la "Finanziaria che risparmia sulla pelle dei detenuti". S’incatenano, indicono lo sciopero della fame, tutto per richiamare l’attenzione della pubblica opinione, per sensibilizzare i politici. Per evitare che ci scappi ancora il morto.

 

Un confusione normativa che fa male all’amministrazione penitenziaria

 

Capire di chi sia la competenza finanziaria e gestionale della medicina penitenziaria non è affatto semplice. Sembra un mistero avvolto da una fitta rete di decreti che risalgono quasi a dieci anni fa.

Quello del 10 aprile 2002, ad esempio, dovrebbe rendere praticabile il primo risalente al 1999. Si tratta dell’art. 8 del D.Lgs 230/1999. Dispone che con decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze vengano assegnati al Fondo Sanitario nazionale le risorse connesse al personale operante negli istituti penitenziari, nei settori della prevenzione e dell’assistenza ai detenuti tossicodipendenti, iscritte nello stato di previsione del ministero di Giustizia. Risorse che vengono gestite dal Dap, Dipartimento amministrazione penitenziari. E che ammontano per 2007 al 99 milioni di euro. Di cui 4,9 sono destinati in favore, si dice così, di tossicodipendenti e affetti da Hiv.

 

Pino Di Maula

Bologna: sono pochi i dati sulle patologie psichiche dei detenuti

 

Redattore Sociale, 23 febbraio 2007

 

È l’unica malattia per cui non è prevista una misura alternativa alla detenzione. I dati della ricerca "L’assistenza psichiatrica nel carcere di Bologna" presentata in un convegno a Bologna.

I dati sulle patologie psichiche dei detenuti sono insufficienti e non coprono nemmeno tutta l’Italia. Le carceri continuano ad essere isolate dai servizi del territorio, tanto che non si può neppure sapere se chi entra sta portando avanti qualche terapia. Poi i farmaci: si registra un uso spropositato di quelli per il sistema nervoso, in particolare delle benzodiazepine.

Oltre all’approccio verso la patologia mentale che si riflette anche dietro le sbarre: è l’unica malattia per la quale non è prevista una misura alternativa alla detenzione, a meno che non ci siano dei riflessi negativi sul fisico. La denuncia arriva dalla ricerca "L’assistenza psichiatrica nel Carcere di Bologna" curata da Laura Astarita, coordinatrice dell’Osservatorio Antigone, e presentata oggi a Bologna durante il convegno "Il carcere fa male" promosso dalle associazioni "A Buon diritto", "Nuovamente" e realizzato con il patrocinio del Comune e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio. "Questa ricerca - spiega Laura Astarita - riguarda il carcere di Bologna, ma per le sue caratteristiche può essere un buono specchio della situazione di tutte le carceri italiane. Bologna si presta molto bene perché è una struttura che ha un po’ di tutto: è un carcere di transito, ha un polo per i Nuovi giunti, ha un reparto di Osservazione Psichiatrica, il cosiddetto repartino, cartelle cliniche informatizzate. Mette in luce, insomma, i nodi critici e il disagio sociale carcerario in generale".

Primo punto, i numeri: nonostante l"Amapi, principale associazione dei medici penitenziari in Italia, abbia reso noto di recente che il 20% dei detenuti soffrono di patologie psichiatriche, non esistono dati dettagliati che coprano tutta l’Italia e che osservino questa realtà in profondità. "Non ci sono dati nazionali fedeli - sottolinea Laura Astarita -, l’unico metodo efficace ed esistente per osservare il fenomeno è quello delle Cartelle cliniche informatizzate.

Un progetto avviato a Bologna, ma senza strumenti per poter sopravvivere. Anche qui, dunque, i dati a disposizione sono parziali". Seconda questione: nel 2005 è stato aperto all’interno del carcere bolognese il reparto di Osservazione Psichiatrica, quattro celle singole dove i detenuti devono stare 30 giorni in osservazione. "Che cosa serve? - si chiede la ricercatrice -. Abbiamo visto quanto discutibile sia l"effettiva utilità di un reparto del genere, senza aree per la socialità e senza alcun altro sfogo. Gli operatori con i quali abbiamo discusso di questo e la stessa Direzione sanitaria, sono concordi nel ritenere il reparto, così com’è attualmente, lesivo del senso di dignità della persona e non utile ai fini terapeutici".

E di alternative potrebbero essercene: in passato, infatti, era stato proposto un progetto dell’Ausl che permetteva l’ingresso in carcere di medici esterni e la possibilità per i detenuti di essere ricoverati in Day Hospital per pazienti psichiatrici. Il reale problema del carcere, secondo Laura Astarita, è infatti l’isolamento in cui vive e la mancanza di servizi integrati: "Nessun servizio del territorio è collegato al carcere, e questo vale per tutta l’Italia. Una persona detenuta perde quindi continuità anche con le eventuali terapie che stava seguendo fuori. Gli operatori non hanno rapporti con i servizi sul territorio e non conoscono la storia delle persone con disagio psichico che si trovano ad incontrare in carcere. Va un pò meglio per i tossicodipendenti grazie ai Sert, ma dipende sempre dalla buona volontà degli operatori". La causa di tutto ciò? Il mancato passaggio - sostiene la ricercatrice - avviatosi e mai concluso, delle competenze in materia di salute in carcere dal Ministero della Giustizia a quello della Salute.

 

Il 46% dei farmaci utilizzati all’interno del carcere di Bologna sono medicine per il sistema nervoso. Parla Laura Astarita, coordinatrice dell’Osservatorio Antigone. "Il 30% delle persone che vengono sottoposte a visite psichiatriche in carcere sono stranieri. Per loro il carcere è una rottura ulteriore dei legami con la realtà".

Il 46% dei farmaci utilizzati all’interno del carcere di Bologna sono medicine per il sistema nervoso, in maggioranza benzodiazepine. "Una cifra spropositata - spiega Laura Astarita, coordinatrice dell’Osservatorio Antigone - segno che il carcere non è capace di supportare questo problema, che è sociale e non di sicurezza. Si interviene quindi sul sintomo, non sulla storia e sulla persona. Sono interventi senza passato e senza futuro, non c’è la possibilità di costruire una alternativa e una prospettiva". Quanto dunque il disagio in carcere è "psichico" e quanto, invece, "sociale"? "I numeri e gli operatori - sottolinea la ricercatrice - ci dicono che l’aumento delle patologie psichiatriche degli ultimi anni è legato indissolubilmente a due fattori: sovraffollamento e disagio sociale.

L’aumento vertiginoso (da 447 del 2001 a 1025 del 2005), in pochi anni, del numero delle persone accolte in un carcere che è già di per sé un carcere di transito, fa sì che la prospettiva indicata dal legislatore come il trattamento individualizzato sia impraticabile. Non solo non ci sono lavoro, formazione professionale, corsi di istruzione e attività ricreative sufficienti a soddisfare le esigenze di un numero tanto elevato di persone, ma non è possibile neanche un lavoro, da parte degli operatori, di accompagnamento alla persona durante la detenzione".

Oltre a ciò, gli operatori hanno riferito di cambiamenti in corso negli ultimi anni all’interno del carcere che non sono in grado di affrontare: il numero crescente di giovani stranieri che presentano altre problematicità e commettono spesso atti di autolesionismo. "Il 30% delle persone che vengono sottoposte a visite psichiatriche in carcere - precisa Laura Astarita - sono stranieri. Per loro il carcere è una rottura ulteriore dei legami con la realtà, oltre a quella di essere in un altro paese. Soffrono spesso di depressione per la detenzione stessa".

A questo ampio e complesso quadro del carcere, si aggiunge una riflessione più ampia sulla malattia psichica: "voglio sottolineare - conclude la ricercatrice - che quella mentale è l’unica patologia per la quale non è prevista misura alternativa alla detenzione, a meno che non ci siano dei riflessi negativi sul corpo della persona; il detenuto con patologia psichiatrica deve essere curato in carcere o in Ospedale psichiatrico giudiziario.

Ma spostare una persona in osservazione psichiatrica o in Opg non costituisce un percorso di salute mentale. Si tratta, naturalmente, del primo nodo da sciogliere, quello più grande, quello legato anche alla percezione che si ha della patologia psichiatrica, ai pregiudizi che, nonostante la rivoluzione culturale della legge Basaglia, sono radicati nella società". Al convegno "Il carcere fa male", che comincia questo pomeriggio alle 17 (Sala Cappella Farnese, Palazzo D’Accursio, piazza Maggiore 6, Bologna) partecipano il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, la ricercatrice Laura Astarita, l’avvocato Desi Bruno, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna, Libero Mancuso, assessore comunale agli Affari generali e istituzionali, Giovanni Bissoni, assessore regionale alle Politiche per la salute, Maria Longo, magistrato di sorveglianza, Diego Benecchi, associazione Nuovamente.

Bologna: proposta legge regionale per recupero dei detenuti

 

Ansa, 23 febbraio 2007

 

Tutelare i detenuti, favorirne il recupero e il reinserimento nella società ed evitare che, una volta fuori, rientrino in carcere. Sono gli obiettivi del progetto di legge regionale dal titolo "Disposizione per la tutela delle persone limitate e private legalmente della libertà nella Regione Emilia-Romagna" presentato questo pomeriggio dal proponente e primo firmatario Gianluca Borghi (consigliere di Ecologisti per l’Ulivo).

L’iniziativa intercetta una necessità particolarmente evidente in Emilia-Romagna, dove neppure gli ampi effetti dell’indulto sono stati sufficienti a far rientrare il numero dei detenuti al di sotto della capienza regolamentare: al 31 dicembre 2006 se ne contano 2.945 a fronte di una capienza massima di 2.401 (una situazione comunque migliorata se pensiamo che al 30 giugno dello stesso anno i detenuti in regione erano 3.882). Un disagio avvertito più che altrove a Bologna (786 a fronte di un massimo di 483), a Piacenza (239 su 178) e all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia (257 su 120).

La proposta cerca d’altra parte di limitare anche il reingresso in carcere di coloro che hanno beneficiato dell’indulto: un fenomeno che, secondo un apposito studio "Indulto e recidiva" a cura di Giovanni Jocteau e Giovanni Torrente dell’Università di Torino, commissionato a sei mesi dal provvedimento, piazza l’ Emilia Romagna tra i primi posti nella triste classifica dei "rientri", con un "tasso di recidiva" del 13 per cento (1.565 persone: il dato più alto è la Campania con il 15 per cento, il più basso il Molise con il 2 per cento). Lo studio peraltro sottolinea come si confermi "una maggiore tendenza al reingresso in carcere nelle regioni più grandi e con una maggiore densità di popolazione. Ciò è spiegabile con la tendenza da parte delle persone scarcerate a recarsi nei grandi centri urbani".

Sulla base di queste considerazioni, il progetto di legge Borghi impegna la Regione Emilia-Romagna a tutelare i carcerati su quattro fronti: in primo luogo sulla salvaguardia della salute, attraverso accordi con le Aziende Usl; quindi organizzando attività socio-ricreative che possano sostenere il percorso di reinserimento sociale e rafforzare il legame con la famiglia d’origine (previsti anche iniziative di sostengo alle donne e interventi di mediazione culturale per i detenuti stranieri); dedicando poi programmi d’istruzione e formazione professionale collegati alle esigenze del mercato del lavoro; mettendo a punto, infine, iniziative di orientamento consulenza e motivazione al lavoro dei detenuti incentivandone in particolare la partecipazione alle attività di imprenditorialità sociale. Il ruolo della Regione, secondo il progetto di legge, sarà quello di coordinare i diversi livelli istituzionali che operano nel settore, in accordo in particolare con il ministero della Giustizia i cui rapporti andrebbero disciplinati da un apposito protocollo d’intesa.

Per quanto riguarda il reinserimento sociale e lavorativo, intanto, contemporaneamente all’uscita delle prime migliaia di detenuti, sono stati stanziati dal governo 17 milioni di euro. Per l’accesso a questi finanziamenti la Regione Emilia-Romagna e l’intera rete dei Comitati Locali per l’Area Penale hanno collaborato con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria nella messa a punto del progetto (denominato In.D.U.L.T.O.), che produce e produrrà entro il prossimo settembre borse lavoro per l’ammontare complessivo di 319mila euro per 106 ex-detenuti.

Lamezia: contro mafia servono repressione e educazione legalità

 

Quotidiano di Calabria, 23 febbraio 2007

 

Lezione di legalità del governatore della Calabria Agazio Loiero all’Università "La Sapienza" di Roma. L’ateneo romano e gli studenti calabresi iscritti alla facoltà di Giurisprudenza hanno organizzato un convegno-studi sul tema: "‘Ndrangheta, di fronte ad uno stato mentale cosa può fare la sola repressione istituzionale". All’incontro, aperto dal magnifico rettore dell’Università, Renato Guarini, è intervenuto Loiero che ha dichiarato: "Nella lotta alla ‘ndrangheta c’è un deficit dello Stato che va colmato. L’azione deve essere condotta su due fronti: serve la repressione delle forze dell’ordine e serve l’educazione alla legalità, da far partire fin dalla scuola materna".

Il presidente della Regione ha sottolineato che "la ‘ndrangheta si è rafforzata enormemente negli ultimi quindici anni, sia perché i riflettori erano puntati sulla mafia siciliana, sia per la struttura parentale che la rende quasi impenetrabile. Lo Stato, oltre a rafforzare gli organici delle forze di polizia, deve garantire più intelligence per le indagini. Poi, occorre far fronte alle carenze della magistratura e degli uffici giudiziari. Ci sono centinaia di richieste di arresto bloccate negli uffici dei Gip. Ma sono anche convinto che in questa battaglia abbia un ruolo fondamentale la scuola".

Per Loiero "è inaccettabile che ci siano giovani che seguono le regole dell’anti-Stato: è di vitale importanza che l’educazione alla legalità sia inserita nella didattica. La società calabrese punta sui giovani per cambiare. Fin dall’inizio - ha commentato Loiero - ho visto con favore il fenomeno, completamente nuovo per la nostra regione, del movimento dei ragazzi di Locri, che ha segnato una profonda differenza con la cultura del passato".

Il governatore ha anche informato gli studenti dell’ateneo su quanto la Calabria ha già fatto nel settore della cultura della legalità e della sicurezza. "Pur nella limitatezza del competenze legislative e finanziarie - ha detto il presidente - la Regione ha istituito la consulta antimafia con personalità e magistrati; rafforzato i controlli di primo e secondo grado per la trasparenza amministrativa anche per riacquistare la fiducia dell’Unione Europea. Inoltre è stato approvato l’Apq sicurezza che mette a disposizione cinque milioni di euro per gli interventi dello Stato su Locri, Lamezia Terme e Gioia Tauro". "La Regione - ha precisato ancora il governatore- si è già impegnata, approvando leggi e regolamenti specifici, finanziando cooperative e Comuni per l’utilizzo dei beni confiscati, costituendosi sempre in giudizio nei processi di mafia come parte civile".

Firenze: il Garante dei detenuti presenta relazione in Comune

 

Toscana In, 23 febbraio 2007

 

"A Firenze abbiamo, oltre alla casa circondariale di Sollicciano, anche le strutture Mario Gozzini (Solliccianino) e il minorile del Meucci. Sicuramente la riflessione viene incentrata sul carcere più grande, su Sollicciano che, per i suoi numeri ha bisogno di una riflessione. Come ha già ricordato il Garante dei detenuti, c’è bisogno di intraprendere una linea nazionale ma anche locale".

È questo il primo commento dell’assessore all’accoglienza e integrazione Lucia De Siervo, durante il consiglio comunale, dopo la relazione annuale del garante dei diritti dei detenuti Franco Corleone.

"Oggi siamo alla fase del dopo l’indulto che è servito, nel momento iniziale, per sbloccare un sistema ingolfato. Quindi è arrivato il momento di avere nuove regole - ha sottolineato l’assessore De Siervo - abbiamo bisogno che le commissioni parlamentari elaborino un disegno nuovo per il momento dello scontare la pena, perché non ci si può limitare a misure straordinarie, noi siamo perché ci sia una risposta politica a questi problemi".

"Quindi, abbiamo bisogno di un carcere che sia all’altezza della nostra città e non un luogo di vera disperazione, ma un carcere che permetta a chi ha sbagliato di ripartire". A livello locale l’assessore De Siervo ha ricordato le varie attività che svolge il comune di Firenze in collaborazione con le associazioni, che comprendono varie aree: da quelle culturali e sportive, all’informazione e di ascolto, a quelle di orientamento e di inserimento lavorativo a favore di soggetti detenuti.

Inoltre sono previste attività di accompagnamento dei minori figli di detenute dal carcere di Sollicciano all’Asilo nido, ma anche attività d’interpretariato linguistico per i detenuti di Sollicciano. Per quanto riguarda i centri d’accoglienza che possono accogliere i detenuti per vari motivi, l’assessore ha ricordato vari centri, tra cui il centro Oasi, il Samaritano, Casanova, il Centro d’accoglienza "S. Maria", il Centro Sociale Attavante.

Tra i vari progetti sostenuti ricordiamo "La poesia delle bambole", il laboratorio femminile interno ed esterno di costruzione bambole. Il "Laboratorio biciclette": un’officina interna a Sollicciano di riparazione biciclette; noleggio in città in collaborazione con Firenze parcheggi e il "Teatro in carcere 2006", il Laboratorio teatrale alla sezione femminile di Sollicciano. Infine il "Progetto Theo", che accoglie donne con figli da 0 a 3 anni.

"Una delle ultime iniziative intraprese per il carcere di Sollicciano - ha spiegato l’assessore De Siervo - è stata la pubblicazione di una guida che è punto di riferimento per il detenuto che entra in carcere, e dove sono raccolte regole di gestione e di organizzazione del carcere stesso".

"Queste sono attività svolte a livello locale, ma sicuramente ci vuole un piano nazionale forte su come noi intendiamo gli istituti penitenziari e forse ripensare ad una territorializzazione delle pene - ha proseguito l’assessore -.

"Sarebbe opportuno togliere da Sollicciano un po’ di sezioni, poiché lì dentro ci sono tutte le sezioni possibili e immaginabili di tutto l’arco penale esistente. Invece, con meno sezioni il carcere potrebbe svolgere più efficacemente, oltre alla sua funzione di reclusione anche quella di ripartenza delle persone recluse".

"Un ultimo accenno sugli educatori, che sono molto pochi, quindi su questo ci vuole una svolta - ha concluso l’assessore - . Come facciamo a dire che deve essere un luogo di rieducazione se poi mancano proprio queste figure. È importante quindi una richiesta al ministero della giustizia ma poi anche, forse, alla regione per aiutarci a fare in modo che il carcere di Firenze sia un momento, un’occasione di ripartenza per tutti coloro che devono scontare la pena e che dovranno poi reintegrarsi nella società".

Catanzaro: Rifondazione chiede meno carcere e chiusura Cpt

 

Quotidiano di Calabria, 23 febbraio 2007

 

Abolizione dei famigerati Centri di Permanenza Temporanea e revisione sostanziale del sistema penale italiano basato, più che sul recupero di chi commette il reato, sulla punizione dello stesso per il tramite di un sistema carcerario inadeguato. Su queste basi si è svolto il convegno-dibattito organizzato dai gruppi consiliari di Rifondazione Comunista del Comune e della Provincia di Catanzaro in collaborazione con l’associazione Antigone.

Ad introdurre il tema è stato il capogruppo alla Provincia di Rifondazione Comunista Pino Comodari che, prendendo spunto dalla invivibile situazione del CPT di Lamezia Terme, definito, senza mezzi termini, una "discarica sociale" in cui - ha affermato - "si fa anche uso di un controllo farmacologico sugli extracomunitari" ha auspicato una decisa inversione di tendenza nella politica dedicata ai migranti chiedendo l’abolizione immediata della Bossi - Fini.

Il responsabile regionale dell’associazione Antigone, Pietro Caroleo, ha criticato la "logica panpenalistica" che provoca un sovraffollamento delle carceri solo mitigato dal provvedimento dell’indulto varato nel corso di questa legislatura. Caroleo, oltre alla citata Bossi - Fini, ha fatto l’esempio anche della legge sulle tossicodipendenze e di quella sulla legittima difesa. Per Caroleo, il rimedio starebbe nella adozione di misure alternative alla detenzione. La conclusione del dibattito è stata affidata alla componente della segreteria nazionale del partito, Roberta Fantozzi.

Verona: Mastella con volontari dell'associazione "La Libellula"

 

L’Arena di Verona, 23 febbraio 2007

 

C’era anche Giuseppe Amenduni, presidente dell’associazione villafranchese "La Libellula" all’incontro con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, intervenuto a Verona per il convegno dei Popolari Udeur alla Gran Guardia e per discutere con il sindaco Paolo Zanotto il piano per trasformare l’ex carcere in sede della Corte d’appello. Insieme sono andati all’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) di Verona, in quanto Amenduni è anche assistente volontario di questo ufficio.

Dopo il cerimoniale (presentazione del direttore Maria Rosaria Caso e degli assistenti sociali), si è parlato delle misure alternative alla detenzione e il ministro ha ribadito il suo sostegno alle pene alternative. Durante l’incontro Amenduni ha voluto donare un simbolo villafranchese al ministro: il gagliardetto dell’associazione "La Libellula" dono che è stato molto gradito dal ministro, che ha promesso di esporlo nel suo ufficio.

"Il ministro della Giustizia ha quindi visitato la Casa Circondariale di Verona e durante la sosta nelle sezioni dove si trovano i detenuti è stato accolto con grande gioia dai carcerati", racconta Amenduni. "Mi sono molto emozionato quando il ministro si è fermato a parlare con alcuni di loro: ha un invidiabile carisma e una grande sensibilità. Tutti i detenuti che hanno chiesto di poter parlare con lui hanno ricevuto una risposta".

L’associazione "La Libellula" aiuta detenuti ed ex detenuti. Offre sostegno morale con colloqui individuali, gestisce servizi rivolti ai detenuti, si occupa di percorsi alternativi alla detenzione, accompagna i carcerati in permesso e sostiene le famiglie di chi sta scontando una pena in carcere.

Inoltre visita e sostiene chi si trova agli arresti domiciliari e aiuta gli ex carcerati a trovare un lavoro, offrendo loro la possibilità di riscattarsi e di cominciare una nuova vita.

Lombardia: dalla regione progetto pilota per sport in carcere

 

Asca, 23 febbraio 2007

 

La Regione Lombardia sostiene e promuove la pratica sportiva nelle carceri con un progetto pilota per il biennio 2007-2008, da realizzare in collaborazione con federazioni ed enti di promozione sportiva, società sportive e associazioni di volontariato che abbiano già maturato esperienza nell’organizzazione di iniziative nell’ambito sportivo, con un’attività documentata nel settore penitenziario di almeno 3 anni. Il termine per la presentazione dei progetti ammessi al finanziamento (pari al 50% del costo) è fissato al 20 marzo prossimo.

Il progetto, i cui criteri e modalità sono stati definiti dalla Giunta regionale, su proposta del presidente Roberto Formigoni, è finanziato con 80 mila euro (30 mila euro per il settore penale minorile e 50 mila euro per il settore adulti, solo per il 2007) e prevede il coinvolgimento di circa 500 detenuti per un totale di 1000 ore al semestre.

Ballo, pallavolo, ginnastica, podismo, calcetto, scacchi, tennis, sollevamento pesi, calcio e atletica le discipline che figurano tra le attività proposte. Previste anche iniziative di studio degli aspetti correlati alla pratica sportiva in ambiti penitenziari, dal sistema educativo alla tutela della salute fino al reinserimento sociale. Il progetto pilota dovrà svilupparsi in forma continuativa per un massimo di due anni, con ‘moduli’ di attività di due, tre mesi, con l’obiettivo di coinvolgere più soggetti possibili in attività sportive diverse e raccordare le attività ricreative, culturali e di socializzazione presenti sia nell’ambito penitenziario sia nel territorio di riferimento della struttura carceraria.

Como: polvere tossica per Rosa Bazzi, un agente in ospedale

 

Ansa, 23 febbraio 2007

 

Un agente del carcere di Como, addetto all’apertura della posta per i coniugi Romano, i rei confessi della strage di Erba, è stato trasportato in ospedale dopo essere venuto a contatto con della polvere irritante contenuta in una lettera indirizzata a Rosa Bazzi. L’agente è stato sottoposto a tampone nel reparto malattie infettive e dimesso alcune ore dopo. Il contenuto della busta è stato prelevato e analizzato.

Gli accertamenti hanno escluso gravi conseguenze, tanto che l’agente è potuto tornare a casa con una prognosi di pochissimi giorni, giusto il tempo di riaversi dallo shock. In ogni caso, dovrà seguire una cura antibiotica. Per quanto si apprende, l’uomo finito in ospedale al Sant’Anna non avrebbe dovuto aprire quella busta. Il regolamento di sicurezza, infatti, prevede l’apertura solo di plichi che si presentino sospetti. Non è escluso che proprio al tatto si sia insospettito decidendo di aprirla.

Probabilmente la polverina contenuta nella busta non è una sostanza pericolosa: potrebbe trattarsi di quelle usate per gli scherzi di carnevale. Si dovrà comunque attendere l’esito degli esami per capire quale sostanza era stata immessa nella busta destinata alla donna. Per ora l’unica cosa certa è che la missiva era indirizzata a Rosa Bazzi, la vicina di casa dei Castagna che ha confessato la strage, assieme al marito Olindo Romano. I coniugi, arrestati l’8 gennaio scorso, sono ancora in regime di isolamento nel carcere del Bassone.

Immigrazione: rapporto di Amnesty sui minori alle frontiere

 

Asca, 23 febbraio 2007

 

A un anno esatto dal lancio della campagna "Invisibili", Amnesty International ha diffuso un nuovo rapporto sulla situazione dei minori migranti detenuti all’arrivo alla frontiera marittima italiana. Il documento vuole attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità sulla detenzione, in violazione delle norme internazionali, di minori migranti soli e accompagnati approdati sulle coste del Paese. Al compleanno della campagna partecipano 24 classi di tutta Italia che aderiscono al progetto Amnesty Kids, un programma di sensibilizzazione dei ragazzi delle scuole su questo tema. Secondo Amnesty, uno dei risultati più importanti della campagna Invisibili è l’accresciuta conoscenza della situazione dei minori che arrivano in Italia via mare.

Resi disponibili i dati sugli arrivi di migranti sulle coste italiane nel 2005 e nel 2006, per la prima volta disaggregandoli per età. I dati riferiscono di 1.622 minori su 22.939 arrivi nel 2005 e di 1.335 minori tra i 22.016 nel 2006. E mostrano la provenienza di centinaia di minori da aree di conflitto e di crisi, in particolare dai paesi del Corno d’Africa, e la presenza ingente di minori non accompagnati provenienti da Marocco, Tunisia e, soprattutto, Egitto. Una delle principali preoccupazioni di Amnesty resta quella legata ai rischi dell’uso esclusivo della medicina legale per la determinazione dell’età. Questo sistema alimenta il rischio che un certo numero di minori possa essere erroneamente espulso, respinto alla frontiera o trattenuto in un Cpta. Amnesty International chiede che vengano emanate al più presto norme che disciplinino la materia "conformemente a quanto richiesto dagli standard internazionali, indicati dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia".

Droghe: dopo questa crisi di governo addio alla riforma

di Donatella Poretti (Deputata della Rosa nel Pugno)

 

Notiziario Aduc, 23 febbraio 2007

 

È cominciata in Svizzera la sperimentazione dell’ecstasy contro i disturbi e lo stress post-traumatico. Swissmedic, l’agenzia svizzera del farmaco, ha dato via libera alla sperimentazione. Secondo il direttore della ricerca, le metilenedioximetamfetamine (Mdma, alias ecstasy) "somministrate oculatamente, sotto controllo medico e a maggiori di 18 anni, sono innocue e sicure, anche a lungo termine".

Questa sperimentazione si unisce alle numerose altre in corso in vari Paesi europei e americani. Ricordo ad esempio le sperimentazioni sulle stanze del buco, sul trattamento della tossicodipendenza con eroina, sull’efficacia antidolorifica e terapeutica della cannabis, e sulla distribuzione controllata di eroina.

Eppure, in Italia, non si riesce a sperimentare, a fare ricerche significative che potrebbero beneficiare enormemente sia i tossicodipendenti che centinaia di migliaia di altri malati. Questo perché vi è uno stigma sulle droghe non di natura medico-scientifica, ma culturale ed ideologico.

A questo si aggiunge la legge Fini-Giovanardi, una delle più repressive conosciute nel mondo occidentale - così repressiva da impedire addirittura anche la registrazione e commercializzazione di farmaci a base di cannabis sintetica. Purtroppo, nonostante i numerosi e ripetuti annunci, questa legge è praticamente stata fatta propria dal Governo Prodi. Oggi, dopo ciò che è accaduto al Senato, appare improbabile che si arriverà in questa legislatura ad una modifica della legge Fini-Giovanardi. Le priorità, ci verrà detto, sono altre.

La mancata modifica di questa norma, il voltare le spalle alla ricerca e alle sperimentazioni, è una delle maggiori responsabilità di un Governo e di una maggioranza che, in materia di tossicodipendenze, ha fatto poco o niente nel nome della sua precaria sopravvivenza.

Droghe: Torino; comunità di recupero aperta ad adolescenti

 

Notiziario Aduc, 23 febbraio 2007

 

Una comunità di recupero per adolescenti tossicodipendenti. È a Torino, nel popolare quartiere di Mirafiori, in un luogo che è ovviamente tenuto segreto. A dare notizia dell’esistenza del centro, unico anche per la giovane età di quanti lo frequentano, è oggi il quotidiano La Stampa nelle pagine i cronaca locale. La struttura, fondata nel 1991 da alcuni volontari, vede all’opera alcune famiglie di volontari e un sacerdote, tutti residenti al suo interno. Gli adolescenti in terapia, rivela La Stampa seguono regole rigide: quelli che riescono ad allontanarsi dagli spacciatori, studiano e si creano un percorso con un obiettivo finale: un lavoro e una vita normale.

Percentuali d’uscita dal tunnel al momento non sono disponibili ma le storie raccontate dai volontari parlano di una lotta terribile contro la dipendenza dalla droga, spesso dalle droghe, oltre che dall’alcol. Alle spalle dei giovani storie terribili, tessuti famigliari caratterizzati da grande degrado. Alla fine qualcuno ce la fa, molti restano anche in comunità ad aiutare ma altri, come racconta ancora La Stampa, scompaiono e non frequentano più la comunità come un giovane, un ragazzino di 12 anni, che si "faceva" di eroina.

Droghe: Reggio Emilia; enti locali mobilitati contro dipendenze

 

Redattore Sociale, 23 febbraio 2007

 

La Conferenza Provinciale dei Sindaci in un recente incontro con il Tavolo Provinciale "Dipendenze e Coesione Sociale" ha realizzato un approfondimento ed un confronto sull’evoluzione degli stili di consumo delle sostanze stupefacenti illegali e legali nella consapevolezza dell’importanza che ciò rappresenta per il benessere e la qualità sociale delle Comunità locali.

In particolare gli Amministratori della Provincia e dei Comuni si sono soffermati sulle motivazioni, per molti aspetti inedite, che sembrano favorire i nuovi stili di consumo: non più tanto l’isolamento, l’antisocialità e la sofferenza psichica quanto il desiderio di primeggiare, di entrare meglio in relazione con gli altri, di piacere e divertirsi di più, di favorire le proprie prestazioni lavorative, sportive, sessuali. In questa luce si spiega il significativo incremento del consumo di cocaina e psicostimolanti, ma anche di cannabis e di alcol. In secondo luogo non può essere sottovalutata l’estensione di questa "tendenza" sociale e culturale non solo per i suoi aspetti quantitativi ma anche perché attraversa diverse generazioni e diversi strati sociali.

Chi ha una responsabilità primaria del governo delle comunità locali è consapevole quanto questi nuovi stili di consumo si combinano con nuovi stili di vita che rischiano di compromettere la qualità della vita e delle relazioni interpersonali minando i reali livelli di coesione sociale. L’assunzione di responsabilità e di iniziative all’altezza di questa problematica non può essere pertanto in capo principalmente al Sistema dei Servizi Pubblici e del Privato Sociale, per quanto essi siano competenti, ma afferisce alle responsabilità istituzionali ed educative, a partire dai Comuni, dalla Scuola, dai servizi di prossimità e dalle Famiglie.

È per questa ragione che la Conferenza dei Sindaci esprime forte apprezzamento per la costituzione del Tavolo Provinciale "Dipendenze e Coesione Sociale" in quanto le sue finalità e la sua composizione (Provincia, Comuni sede di Distretto, Anci, Ausl Sert, Comunità Terapeutiche, Questura, Ufficio Scolastico Provinciale, Osservatorio Provinciale per la Sicurezza Stradale) può costituire una risposta fondamentale per conoscere e affrontare efficacemente questa nuova sfida sociale e culturale sia sul piano del consumo che su quello dello spaccio.

In questa prospettiva particolare rilievo assume la decisione di conoscere adeguatamente tale fenomeno sul territorio Reggiano attraverso una Ricerca/Azione in grado di promuovere, attraverso la ricerca stessa, una estesa assunzione di responsabilità e una forte alleanza territoriale. La Conferenza dei Sindaci nel dar avvio a questo cammino articolato nel biennio 2007/2008, sottolinea il carattere fortemente innovativo di questa esperienza, come confermato, tra l’altro dal sostegno della Regione Emilia Romagna e dalla collaborazione dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Dipendenze con sede a Lisbona.

Droghe: Cassazione; punibile chi non rivela il nome del pusher

 

Notiziario Aduc, 23 febbraio 2007

 

La Cassazione cerca di arginare l’area dell’omertà che protegge gli spacciatori -dal rischio di essere denunciati dalle persone alle quali forniscono la droga- inasprendo i rischi di condanna "per favoreggiamento" nei confronti di chi fa uso personale di stupefacenti e rifiuta di rivelare i nomi dei fornitori alla polizia giudiziaria. Le Sezioni Unite penali della Cassazione hanno stabilito che, è "configurabile" l’accusa di favoreggiamento, nei confronti di chi spontaneamente ammette di essere un tossicodipendente o è già noto come tale alle forze dell’ ordine (e per questo è già stato sanzionato con provvedimenti amministrativi limitativi della libertà personale come la sospensione della patente, del passaporto o del porto d’armi).

Avrà, invece, la possibilità di tacere il nome dello spacciatore, senza essere incriminato per favoreggiamento - almeno questo sembra il senso della massima provvisoria depositata oggi e relativa alla soluzione di un contrasto di giurisprudenza - il consumatore (non noto in quanto tale agli inquirenti) che per la prima volta incappa in indagini sullo spaccio. In questo caso potrà tacere - invocando l’esimente della non punibilità prevista dal codice penale - per evitare il danno che gli deriverebbe dall’applicazione delle sanzioni amministrative conseguenti all’ammissione della tossicodipendenza.

Ecco il testo della massima delle Sezioni Unite (le motivazioni saranno depositate entro trenta giorni): "È configurabile il delitto di favoreggiamento ed è applicabile l’esimente di cui all’art. 384, comma 1, cp, se in concreto le informazioni richieste possono determinare un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, anche se determinato dall’applicazione delle misure previste dall’art. 75 legge stupefacenti".

L’avvocato Giovanni Cipollone che ha difeso il consumatore abituale -condannato per favoreggiamento senza concessione dell’esimente in quanto era già un tossicodipendente acclarato- ha accolto "positivamente" la decisione delle Sezioni Unite, come dichiarazione di principio, anche se il verdetto concreto applicato al suo caso sarà noto solo domani.

Iraq: stuprò e uccise ragazzina, 100 anni di carcere a soldato

 

La Repubblica, 23 febbraio 2007

 

Un soldato americano, Paul Cortez, è stato condannato dalla corte marziale di Fort Campbell nel Kentucky, a cent’anni di prigione per aver preso parte alla violenze fisiche e all’omicidio di una giovane irachena di 14 anni e di tre membri della sua famiglia. Lo riferiscono oggi fonti militari. Il militare, un sergente di 24 anni, aveva scelto di dichiararsi colpevole di fronte ai pesanti capi d’accusa (fra cui assassinio, violenza, cospirazione criminale, ostruzione, incendio doloso) per evitare di essere condannato a morte.

A novembre un altro soldato americano, James Barker dichiaratosi colpevole per gli stessi fatti, è stato condannato a novant’anni di prigione militare. Altri tre uomini, Steven Green, Jesse Spielman e Bryan Howard sono accusati di avere partecipato alla violenza selvaggia che nella notte tra 11 e 12 marzo a Mahmoudiyah, a 30 chilometri a sud di Baghdad, portò all’omicidio di una ragazza di 14 anni di sua madre, suo padre e di sua sorella più piccola. Steven, considerato il capo del gruppo, deve comparire davanti ad una corte federale in quanto non più militare. e rischia la pena di morte. Spielman e Howard saranno giudicati dalla corte marziale. I cinque, all’epoca dei fatti, facevano parte della prestigiosa divisione aerea. E alla tragica vicenda dello stupro e degli omicidi si ispira anche il film low budget che Brian De Palma sta per realizzare, dal titolo Redacted.

Russia: detenuto fa causa a Dio, non ascolta le sue preghiere

 

Ansa, 23 febbraio 2007

 

Strano ma vero: uomo cita in giudizio Dio perché, nonostante sia stato battezzato, non è stato protetto dal demonio, e la Chiesa - rappresentate diretta sulla terra - dovrebbe rispondere dei danni

Secondo quanto riportato dalla testata giornalistica russa Ria Novosti (Russia news Information Agency) un detenuto di una prigione rumena ha fatto causa a Dio perché, testuali parole, "Dio ha ricevuto le mie offerte e le mie preghiere in cambio di una vita migliore, ma questo non è avvenuto e mi sono ritrovato nelle mani del demonio".

L’uomo, detenuto presso la prigione di Timisoara dove sta scontando una pena a 20 anni di reclusione, afferma che è stato regolarmente battezzato, e quindi che il battesimo è un regolare contratto con effetto legale che lo deve difendere dal male. Forse il credente ferito ha confuso il battesimo con l’assicurazione ma, nel suo ragionamento, ha indicato la Chiesa ortodossa come la diretta e concreta rappresentante di Dio sulla terra, che dovrebbe compensarlo per i danni subiti dalla mancanza di protezione da parte di Dio.

La strana denuncia ha comunque dovuto subire l’iter processuale ed è arrivata all’equivalente del nostro giudice per le indagini preliminari, il quale ha sentenziato che Dio non è né un individuo, né un’azienda, e quindi non è soggetto alle leggi ordinarie. Il processo non può quindi aver luogo, Dio l’ha scampata. E ci ricorda un altro personaggio che più volte si è paragonato a personaggi della Bibbia e recentemente ha evitato un processo.

 

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