Rassegna stampa 21 febbraio

 

Giustizia: medici penitenziari in sciopero della fame a oltranza

 

Agi, 21 febbraio 2007

 

Neppure le dichiarazioni del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, sono servite a fermare la rabbia degli oltre 4000 medici ed infermieri dell’Amapi, che, domani mattina, inizieranno uno sciopero ad oltranza, manifestando davanti alle Prefetture e Carceri nelle principali città italiane. Ferrara, nella giornata di oggi, aveva dichiarato il suo personale impegno per risolvere la questione innescata dai drastici tagli economici apportati dalla Finanziaria 2007, che di fatto avrebbero smantellato la Medicina Penitenziaria. Pronta la replica del presidente nazionale Amapi, prof. Francesco Ceraudo.

"Ho preso atto - dice Ceraudo - dell’impegno del Capo del Dap, il tempo delle parole però è finito, il diritto alla salute dei detenuti, (oggi sono oltre 40mila, nonostante l’indulto) e le nostre professionalità acquisite in decenni di impegno e sacrifici, ed in taluni casi anche a prezzo della nostra vita, non possono essere sostenute da promesse. Quando avremo un impegno formale, scritto, torneremo ad esercitare. Non prima!".

La durissima replica di Ceraudo che, con gli altri colleghi del direttivo italiano è in sciopero della fame da tre giorni, sciopero a cui aderisce anche l’On. Franco Corleone, Garante dei detenuti della Toscana, segna di fatto l’inizio di una situazione di estrema tensione anche tra i detenuti nelle patrie galere. "Loro comprendono e ci sostengono - conclude Ceraudo riferendosi ai detenuti -. Certo che si paventa una situazione drammatica, dovuta alla estrema leggerezza con la quale si sono tagliate risorse economiche, senza pensare alle conseguenze".

Giustizia: perché i medici e gli infermieri carcerari protestano?

 

Pronto Consumatore, 21 febbraio 2007

 

Medici ed infermieri penitenziari hanno iniziato uno sciopero della fame per tentare di richiamare l’attenzione sulla grave situazione che si sta verificando nelle carceri italiane dopo il taglio di ben 13 milioni di euro, sancito dalla Finanziaria 2007.

Una scelta estrema, quella dello sciopero della fame, da parte di medici e infermieri per denunciare la grave situazione sanitaria nelle carceri, destinata a peggiorare a causa dei tagli operati dalla Finanziaria. Gli scioperanti fanno parte dell’Amapi, Associazione Medici dell’Amministrazione Penitenziaria Italiana: la protesta nasce dal taglio di 13 milioni di euro, stabilito dalla Finanziaria 2007, che "di fatto ha sancito lo smantellamento della Medicina Penitenziaria". Le risorse destinate alla medicina penitenziaria, già insufficienti secondo l’Amapi, hanno subito un ulteriore, pesante taglio, che, oltre a ridurre lo staff sanitario, ha già prodotto gravi mancanze nell’approvvigionamento dei farmaci salvavita.

Sono infatti previsti entro il primo semestre di quest’anno il licenziamento o il non rinnovo di contratto di circa 1.400 addetti, gran parte dei quali infermieri professionali e medici specialisti, mentre mancano già le forniture di alcuni medicinali per i malati cronici, come insulina, interferone (molto usato nei pazienti con epatite C, malattia di cui sono affetti gran parte delle migliaia di detenuti tossicodipendenti), senza contare i cortisonici, gli anticoagulanti, gli antipertensivi e altri farmaci di base. "È un emergenza sanitaria: c’è il rischio concreto - afferma l’Amapi - che si scateni un’ecatombe di detenuti, ed é facile prevedere che si verificherà comunque una serie spropositata di ricoveri ospedalieri per soggetti che necessitano di vigilanza non stop da parte di almeno due o più guardie penitenziarie a seconda del regime penitenziario della condanna, costi spropositati che andrebbero a gravare anche sui già provati bilanci delle Asl locali".

La situazione è così pesante da aver già portato alle dimissioni lo stesso presidente dell’Amapi, Francesco Ceraudo, che ha dichiarato: "Mi sono dimesso perché sono impotente di fronte all’indifferenza di Parlamento e Governo riguardo al caos che ci sarà nelle carceri a causa di questi tagli". "Abbiamo scritto anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma finora nessuno ha dimostrato interesse verso questo problema gravissimo", ha aggiunto Ceraudo. Lo sciopero, annuncia la associazione, continuerà ad oltranza fino a quando non vi sarà una risposta e il Governo non mostrerà una volontà reale di risolvere la situazione.

Giustizia: stop a legge su detenute madri... ragioni di bilancio

 

Apcom, 21 febbraio 2007

 

"È grave che la commissione Bilancio della Camera non abbia espresso un parere positivo sulla legge in merito alla detenute madri". Lo lamenta la responsabile Giustizia dei Verdi, Paola Balducci, relatrice del provvedimento, segnalando che "la Commissione ha espresso preoccupazione per l’aggravio dei costi derivanti dallo spostamento delle donne carcerate e dei loro figli in case famiglia, come prevede il testo del progetto in discussione".

"È inaccettabile - sostiene Balducci - che una norma di civiltà come questa, pensata a tutela dell’infanzia, sia respinta per questioni economiche che potrebbero senz’altro trovare una soluzione. La vicenda della mamma rinchiusa con le sue figlie in una gabbia del tribunale di Napoli - ricorda l’esponente dei Verdi - dovrebbe invece sollecitare il Parlamento ad una rapida approvazione di un provvedimento necessario e atteso da tempo per la protezione e la salvaguardia dei diritti dei bambini".

Giustizia: il grido del Cnca; "Fuori i bambini dal carcere"

 

Redattore Sociale, 21 febbraio 2007

 

L’organizzazione esprime sconcerto e rabbia per la presenza delle due bambine rom in gabbia con la madre al Tribunale di Napoli. La Federazione disponibile ad accoglierle nelle proprie strutture.

Il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) esprime il proprio sdegno e una ferma condanna per l’episodio accaduto recentemente a Napoli: due bambine rom di 1 e 3 anni sono state rinchiuse in gabbia insieme alla loro madre durante un’udienza avvenuta presso la Corte di Appello del Tribunale del capoluogo napoletano.

"Tale gravissimo evento - afferma il Cnca - è stato provocato non soltanto da un’incuria episodica per la condizione dei minori, ma dalla politica che il nostro paese adotta nei confronti delle madri con figli trattenute in carcere. Per questo l’invio di un ispettore presso il Tribunale di Napoli, annunciato dal ministro di Grazia e Giustizia, è una risposta del tutto insufficiente rispetto all’entità del problema".

Sono, infatti, circa 60 i bambini da zero a tre anni che vivono negli istituti di pena italiani accanto alle loro madri detenute. "Spero che i nostri legislatori - afferma Lucio Babolin, presidente del Cnca - non pensino che basti mettere in galera anche i figli, i bambini di qualche mese o anno di età, per aver tutelato il diritto del minore a crescere con il proprio genitore. Si è creata, così, una situazione intollerabile, che lede fortemente la possibilità del minore di avere uno sviluppo sano e positivo".

Già lo scorso anno il Cnca aveva posto pubblicamente la questione dei bambini in carcere, presentando il proprio documento sul carcere intitolato "Carcere e cittadinanza": "Si levi un grido:", si legge nel documento, "fuori i bambini dal carcere. L’infamia di far crescere in carcere dei bambini, fosse anche uno solo, è un’offesa intollerabile che ci riempie di vergogna e c’indigna profondamente. Tenerli in carcere e farli crescere tra i cancelli e gli spazi angusti non può non essere considerato un delitto contro l’umanità, una violazione flagrante dei diritti universali. Basta con i bambini galeotti."

Per il Cnca è necessario prevedere interventi normativi che limitino il più possibile, in presenza di tali situazioni, il ricorso al diritto penale e, quando ciò non è possibile, stabiliscano misure alternative alla detenzione: "Non possiamo mettere i bambini in carcere, né allontanarli dalla loro madre", continua Babolin. "Si è aperta una stagione di cambiamenti normativi - indulto, legge sull’immigrazione, legge sulle droghe - che dovrebbe prendere in considerazione anche questo rilevante problema di violazione di diritti fondamentali. Il Cnca dà pubblicamente la propria disponibilità ad accogliere le madri detenute, e i loro bambini, per le quali si potrebbe attivare l’istituto della messa alla prova in comunità."

Giustizia: nel 2006 74 mila donne vittime di violenze sessuali

 

Redattore Sociale, 21 febbraio 2007

 

Il 31,9% delle donne italiane tra 16 e 70 anni intervistate ha subito almeno una volta nella vita un episodio di violenza fisica o sessuale. Sono i partner i maggior responsabili. I dati della prima ricerca Istat commissionata dal governo.

È l’esordio dell’Istat sulla violenza. L"Istituto centrale di statistica ha realizzato la prima ricerca sulla violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori dalla famiglia, su commissione del ministero per i Diritti e le Pari Opportunità. Si tratta di una ricerca realizzata su un campione di 25 mila donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni. Le donne sono state intervistate solo da ricercatrici su tutto il territorio nazionale in un arco di tempo di 10 mesi, da gennaio 2006 all’ottobre dello scorso anno. La ricerca è stata finanziata con i fondi del Programma Operativo nazionale "sicurezza" e "Azioni di sistema" del Fondo Sociale Europeo.

Le denunce, è stato detto oggi a palazzo Chigi durante la conferenza stampa di presentazione alla quale ha partecipato Barbara Pollastrini, ministra dei Diritti e delle Pari Opportunità e il presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, sono solo la punta di un iceberg del fenomeno poiché la stragrande maggioranza delle donne che subiscono violenza rimane in silenzio. La novità di questa ricerca, oltre ai dati statistici veri e propri, consiste anche nel fatto che molte donne che non avevano mai parlato di ciò che era accaduto loro, lo hanno fatto per la prima volta con le ragazze dell’Istat che le intervistavano. Quasi un terzo delle intervistate che hanno rivelato episodi di violenza non avevano mai parlato con nessuno prima.

Nella nota metodologica della ricerca si definiscono anche i concetti di violenza fisica e violenza sessuale. Per violenza fisica i ricercatori dell’Istat hanno inteso: minaccia di essere colpita fisicamente, essere spinta, afferrata o strattonata, essere colpita con un oggetto, schiaffeggiata, presa a calci, pugni o a morsi, tentativi di strangolamento, soffocamento o ustione, minaccia con armi, altri tipi di violenze fisiche. Per quanto riguarda la violenza sessuale si parla invece di stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi, rapporti sessuali non desiderati vissuti come violenza, attività sessuali degradanti e umilianti, violenza sessuale in altro modo. Oltre a queste due macrodefinizioni, l’Istat ha analizzato anche la violenza psicologica.

Il 31,9% delle donne intervistate (in tutto erano appunto 25 mila) ha dichiarato di aver subito almeno una volta nella vita un episodio di violenza fisica o sessuale. Si tratta di una cifra molto alta che corrisponde in termini assoluti a 6 milioni e 743 mila donne. Tra queste donne (di età compresa tra i 16 e i 70 anni) una parte più ridotta ha subito stupri (il 2,3%, pari a 482 mila donne) o tentati stupri, il 3,3% del totale, pari a 703 mila donne. Complessivamente sono un milione le donne che hanno subito stupri o tentati stupri. La somma di 703 mila e di 482 mila è maggiore di un milione perché ci sono donne che hanno dichiarato (nella voce tentati stupri) di aver subito più di una volta tentativi di violenza sessuale. In ogni caso, solo negli ultimi 12 mesi, circa 74 mila donne hanno subito stupri o tentativi di stupro.

La ricerca dell’Istat, che secondo la proposta di legge presentata oggi (vedi lancio successivo) dovrebbe diventare un osservatorio permanente sulla violenza, è importante anche perché mette in luce il sommerso. Nella quasi totalità dei casi, infatti, le violenze non vengono denunciate. Su questo specifico punto è stato prodotto anche lo spot televisivo dove si vede una ragazza con un occhio nero che prende l’autobus la mattina e dice: "mi sono alzata questa notte per bere e ho sbattuto alla porta", oppure "mio figlio mi ha dato un calcio", oppure "sono caduta con gli sci", insomma le molte frasi di routine che migliaia di donne sono state costrette a pronunciare nel corso della loro vita per coprire in qualche modo un fatto di violenza inconfessabile.

Molto netti anche i dati sugli autori delle violenze. I partner sono i maggior responsabili. Il 21% delle vittime ha subito violenza sia dentro, sia fuori la famiglia. Ma il 22,6% ha subito violenza solo dal partner. Evidenti le percentuali per tipologie di reati. Il 69,7% degli stupri è stato commesso dal partner, il 17,4% da un conoscente e il 6,2% da un estraneo. Anche per i tentati stupri i partner sono al primo posto con il 37,9% dei casi, così come la stragrande maggioranza dei rapporti sessuali indesiderati per paura di conseguenze è da attribuire al partner.

Giustizia: entro giugno la legge contro la violenza sulle donne

 

Redattore Sociale, 21 febbraio 2007

 

Il testo si compone di 22 articoli che spaziano dal campo della comunicazione a quello sanitario e psicologico. Sostegni previdenziali per le donne vittime di reati di violenza.

La ministra Barbara Pollastrini (che ci tiene a farsi chiamare "ministra"), ha detto questa mattina a palazzo Chigi, presentando la ricerca Istat sulla violenza contro le donne, che la legge sulle "misure di sensibilizzazione e di prevenzione contro la violenza in famiglia, di genere e contro le discriminazioni" presentata dal suo dicastero dei Diritti e delle Pari Opportunità sarà varata entro giugno. Il testo si compone di 22 articoli che spaziano dal campo della comunicazione a quello sanitario e psicologico. Il primo articolo stabilisce che l’amministrazione pubblica dovrà produrre - nell'ambito delle risorse effettivamente disponibili - campagne di sensibilizzazione e di informazione anche acquisendo il parere dell’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale. Il governo ha intenzione di produrre quindi un sistema integrato di informazione e comunicazione che comprenda sia la formazione specifica nei confronti degli insegnanti (perché la cultura della non violenza si cominci ad apprendere dalla scuola), sia le campagne pubblicitarie vere e proprie, tipo pubblicità progresso. Oltre alla comunicazione e alla diffusione di una nuova cultura del rispetto, si tratta di tenere costantemente sotto osservazione i fenomeni. Per questo (articolo 5 della proposta di legge) viene affidato all’Istat il compito di assicurare una rilevazione continua sulla violenza e i maltrattamenti.

La legge presentata dalla ministra Pollastrini prevede (anche se in forma molto ridotta, vista la scarsità delle risorse finanziarie), anche sostegni previdenziali per le donne vittime di reati di violenza. Per le vittime che non possono svolgere per determinati periodi il loro lavoro a causa delle violenze subite è previsto infatti l’esonero del versamento dei contribuiti e il pagamento di contributi figurativi a copertura dei periodi di "buco" previdenziale. La legge istituisce il Registro nazionale dei centri antiviolenza e ne stabilisce le modalità di azione e di reclutamento e selezione dei membri effettivi. Il Registro verrà costituito presso la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri. Novità importante anche quella relativa ai diritti delle donne. Per la prima volta si definiscono in un provvedimento di legge i "livelli essenziali" delle prestazioni socio-assistenziali in favore delle persone e delle famiglie vittime del reato di violenza. Tra i livelli essenziali viene compresa l’informazione, l’effettiva fruizione dei servizi e la loro completa integrazione, la previsione di azioni si sostegno sociale e nei casi più gravi la possibilità di inserire la vittima in comunità di tipo familiare per un periodo sufficiente a realizzare un progetto di reinserimento sociale.

Vengono stabiliti appositi programma di protezione delle vittime, e vengono previste norme speciali per i maltrattamenti che avvengono in famiglia. Per quanto riguarda i partner, per esempio, sono previste aggravanti in caso di violenze fisiche e sessuali, in particolare se vengono reiterate nel tempo. Il carcere è previsto (da sei mesi a 4 anni di reclusione) per tutti coloro che sottraggono un minore al genitore o al tutore, conducendolo all’estero, o non facendolo rientrare in Italia. "Se il fatto è commesso (dice l’articolo 11 della legge) nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni 14 e col suo consenso, si applica la pena di reclusione da sei mesi a quattro anni". Se il reato è commesso dai genitori, questo comporta la sospensione dell’esercizio della potestà di genitori.

Nello schema di articolato di legge vengono previste poi varie modifiche al codice di procedura penale, sia per quanto riguarda le aggravanti, sia per quanto riguarda le pene per reati commessi contro i minori. L’articolo 18 prevede anche modificazioni alla legge del 1975 per quanto riguarda i delitti motivati da odio o discriminazione fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Nei procedimenti per i delitti commessi per finalità di discriminazione, motivati da ragioni di discriminazione o aggravati da tale finalità (articolo 20) la Presidenza del Consiglio dei Ministri potrà costituirsi parte civile.

Giustizia: Sindacato Direttori carceri incontra il Capo del Dap

 

Comunicato Stampa, 21 febbraio 2007

 

Il Si.Di.Pe. - aff. Cisl/Fps incontra il Presidente Ferrara, Capo del Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria). Ieri, 20 febbraio 2007, Enrico Sbriglia, Segretario Nazionale del Si.Di.Pe. - aff. Cisl/Fps, insieme con una delegazione dell’O.S., ha incontrato il Capo del Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria, Pres. Ettore Ferrara.

Sono stati toccati l’insieme dei punti-cardine che aspettano pronta risposta, i quali vanno dall’inquadramento dirigenziale di tutti i direttori, ex Legge Meduri, n. 154/2005, a quello del ridimensionamento degli organici, dalla necessità di accelerare la produzione di tutti gli adempimenti di parte pubblica propedeutici per l’avvio del tavolo di lavoro per il primo contratto di rilevanza pubblica, all’esigenza che vengano emanate disposizioni provvisorie "interne" omogenee alle quali ci si debba attenere nel rispondere alle istanze dei dirigenti penitenziari.

Confortante è risultato prendere atto di come il Pres. Ferrara abbia mostrato di comprendere la "mission" dei dirigenti penitenziari, di come - seppure nel breve tempo finora trascorso dal suo insediamento - si sia calato nelle problematiche e nella complessità che contraddistinguono l’amministrazione penitenziaria, le carceri, l’esecuzione penale esterna, gli O.p.g., al fine di mettere a disposizione della nostra realtà la di lui esperienza di magistrato abituato a confrontarsi con le difficoltà con senso pragmatico e sistematico. Bello è stato sentirlo pronunciare che "Insieme si può…", insieme si può migliorare l’amministrazione, insieme si può esaltare ancora di più il suo fine istituzionale che discende dall’art. 27, comma 3° della Costituzione.

Sentire il Pres. Ferrara che mostrava di comprendere la fatica, il pathos dei direttori-dirigenti penitenziari, speciali funzionari dello Stato che governano esseri umani, che devono tradurre in azioni il contenuto delle sentenze, che devono coniugare sicurezza e trattamento, dove il rapporto non passa attraverso "il cartaceo" ma è inciso nella relazione con le persone, ha confortato lo spirito di appartenenza ad una comunità speciale.

Resta però il punto critico che il Sidipe rimane contrario ad ogni forma di ridimensionamento o, che dir si voglia, non partecipata razionalizzazione delle dotazioni organiche dirigenziali: si ritiene un valore irrinunciabile quello del coinvolgimento delle OO.SS. rappresentative delle categorie interessate.

Il Sidipe non accetterà che possano esservi istituti ove non siano presenti dirigenti penitenziari titolari degli stessi, "un istituto, un direttore-dirigente titolare", mai si converrà su un depotenziamento degli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna, di una loro "aggregazione" che ne modifichi l’intima natura di presidii di sicurezza sociale sul territorio. Si è fortemente contrari a forme di declassamento di Provveditorati. Il Sidipe ha assicurato al Pres. Ferrara il suo leale aiuto nell’espletamento del di lui mandato davvero impegnativo, ma proprio per questo esaltante, porgendogli l’esperienza dei propri iscritti sul campo e la loro passione per un lavoro difficile.

 

Il Segretario Nazionale

Mafia: Caruso a familiari vittime; il 41-bis non ripaga dolore

 

Apcom, 21 febbraio 2007

 

Il regime del carcere duro non ripaga il dolore delle vittime delle stragi di mafia: lo Stato non può essere vendicativo e torturatore. Il deputato di Prc, Francesco Caruso, spiega il senso della posizione espressa contro il 41 bis, contestata dall’associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili. "Una tortura bianca e una barbarie - hanno replicato in una nota - è assistere ogni giorno alla distruzione di vita dei nostri parenti rimasti invalidi sotto il tritolo stragista del 1993".

Parole che hanno spinto il deputato no-global a scrivere all’associazione. "Vorrei rassicurarvi - esordisce Caruso - che i responsabili della vile e cieca violenza di cui sono state vittime i vostri familiari sono rinchiusi in carcere e lo resteranno per lungo tempo, probabilmente fino all’ultimo dei loro giorni. Credo che la notizia della fine del 41 bis debba essere accolta con soddisfazione da parte vostra perché significa che la magistratura ha accertato che finalmente questi personaggi pericolosi e vili hanno definitivamente reciso e perso ogni controllo, relazione e contatto con l’esterno: questo era l’obiettivo per il quale hanno subito la detenzione speciale, un obiettivo raggiunto dopo diversi anni, e di questo non possiamo che essere profondamente soddisfatti".

Tuttavia, sostiene ancora Caruso, "i carnefici di via Georgofili non escono dal carcere, come sembra evincersi dai titoli di alcuni giornali o dalle dichiarazioni di qualche politico, né finiscono di scontare la pena in un regime normale di detenzione: semplicemente passano dal 41 bis ad un altro girone infernale della detenzione, ossia i reparti EIV (Elevato Indice di Vigilanza) o AS (Alta Sicurezza), nei quali alcuni diritti riconosciuti ai detenuti comuni vengono negati e sacrificati per motivi di sicurezza".

Caruso assicura di comprendere il "dolore"dei familiari delle vittime della strage dei Georgofili e giudica "anche legittimo che questo immenso dolore possa ricercare anche un accanimento vendicativo nei confronti di chi ha funestato e straziato le vostre vite e quelle dei vostri familiari": "Ma guai - sostiene - se le istituzioni e lo Stato, nella speranza di ripagare e rincorrere questo dolore, sacrifichino i propri principi di democrazia e di diritto. Allo stesso modo mi sembra completamente assurdo proporre oggi una rivisitazione del 41 bis in chiave ulteriormente peggiorativa: significherebbe dar ragione a chi afferma che il vero obiettivo del 41 bis non è quello ufficialmente enunciato - recidere i legami con l’esterno - ma è una forma di tortura bianca tesa a estorcere confessioni e pentimenti". "Solo poche settimane fa alla Camera - ricorda Caruso - abbiamo finalmente approvato l’istituzione del reato di tortura nel nostro paese: non voglio pensare che lo Stato sia il primo imputato di questo vile reato".

Mafia: Grasso; la legge sul 41-bis va riveduta alla base

 

La Sicilia, 21 febbraio 2007

 

Palermo. La legge 279 del 2002 che disciplina il regime carcerario differenziato dell’art. 41 bis per i mafiosi va rivista. È quanto sostiene da tempo il procuratore nazionale Pietro Grasso, "sia perché la sua applicazione diventa sempre più difficile sia perché i boss continuano a comunicare con l’esterno". Il 13 febbraio, nel corso dell’audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, Grasso ha sottolineato che "la legge, attraverso l’interpretazione dei Tribunali di sorveglianza e della Corte Costituzionale, non dà gli effetti sperati. Tuttavia bisogna trovare una soluzione, visto che il regime del "41 bis" è utile per continuare il contrasto alla mafia". Tra le soluzioni, Grasso suggerisce di "cambiare l’istituto del 41 bis alla base, facendone una sorta di misura accessoria della pena non soggetta a revoche" o di "istituire una indagine sui detenuti al 41 bis per poter dimostrare, laddove questo si verifica (cosa che accade molto spesso), che continuano a comunicare con l’esterno mantenendo il loro potere direttivo e intimidatorio". Un’indagine ormai indispensabile dopo una sentenza della Consulta secondo cui per prorogare il carcere duro occorre la prova dell’attualità dei legami tra il mafioso in prigione e i suoi gregari all’esterno.

Gli espedienti usati per inviare messaggi fuori dal carcere vanno dall’occultamento di bigliettini sul retro dei termosifoni nelle docce o sotto le finestre ai fogli nei panini ai quali si dà un solo morso; dalle conversazioni nelle sale di videoconferenza durante la celebrazione dei processi ai messaggi cifrati affidati ai parenti durante il colloquio; dalla corruzione del personale sanitario per essere trasferiti nei centri clinici ai bigliettini ricuciti nella patta interna dei pantaloni.

I detenuti sottoposti al regime del 41 bis oggi sono 521, di cui 455 presi direttamente in carico dall’amministrazione penitenziaria. Un numero in costante diminuzione, con un calo di 245 detenuti negli ultimi 4 anni: 60 in meno nel 2003, 35 nel 2004, 45 nel 2005, 93 nel 2006 e 12 già nel gennaio 2007. Con riferimento ai Tribunali di sorveglianza che non hanno prorogato il carcere duro, nel 2006 quello di Torino ha bocciato 27 richieste di proroga, quelli di L’Aquila e Roma 14, quello di Perugia 24.

Indulto: un bilancio fatto dopo sei mesi e tremila recidivi

 

www.centomovimenti.com, 21 febbraio 2007

 

L’Università di Torino ha presentato al Ministero di Grazia e Giustizia i dati relativi ad un’indagine sugli effetti dell’indulto, a sei mesi di distanza dall’emanazione del decreto firmato da Mastella.

Da questa ricerca emerge che l’11% degli indultati è già tornato in carcere. Secondo qualcuno, si tratterebbe di un dato positivo; sembra di poter dire, invece, che tali numeri siano scoraggianti, in quanto dimostrano che ben tremila beneficiari del provvedimento di clemenza hanno ripreso a delinquere. Tremila non sono cinque o sei. Per di più, va fatta una doverosa precisazione.

Chi si esprime in tono ottimistico trascura, infatti, un punto fondamentale: questi tremila recidivi sono coloro che, sorpresi a delinquere nuovamente, sono effettivamente tornati in cella; ma quanti, fra quei 25 mila, hanno commesso - non appena tornati in libertà - reati il cui autore sia rimasto ignoto? Si tenga conto del fatto che circa l’80% dei piccoli reati rimane impunito, in Italia; se applicassimo tali percentuali - anche in misura inferiore - al numero degli indultati ripiombati in prigione, verrebbe da pensare che i recidivi siano molti di più rispetto a quelli colti a delinquere nuovamente.

Si tratta, naturalmente, di semplici ipotesi, ma un punto fermo c’è già: l’indulto, oltre ad aver salvato numerosi pezzi da novanta (ed è questo il profilo maggiormente irritante di tale provvedimento oltre che il movente di questa scelta politica) ha consentito il reinserimento nel circuito della malavita di un bel po’ di manodopera criminale.

Altra questione spinosa: è di qualche giorno fa la notizia per cui Mastella sarebbe indagato per vicende relative al fallimento del Napoli Calcio, riguardo a fatti verificatisi nel 2004. Tutti noi ci auguriamo che l’indagine venga archiviata e che si dimostri l’estraneità ai fatti del leader dell’Udeur. Se però, disgraziatamente, dovesse accertarsi la colpevolezza del Ministro, questi beneficerebbe dell’indulto di cui è stato autore, in quanto i fatti risalgono al 2004 e l’indulto riguarda tutti i reati commessi in data anteriore a quella del 2 maggio 2006. Ecco un motivo in più per contestare la vergognosa scelta di non limitare la clemenza ai reati accertati con sentenze passate in giudicato prima di tale data.

C’è da fare una ulteriore considerazione, rispetto ai dati poc’anzi citati. Si disse che l’indulto sarebbe servito per svuotare le carceri e consentire di addivenire con maggiore tranquillità ad una riforma del sistema penitenziario. Pare, tuttavia, che tale riforma sia stata rinviata alle calende greche, dato che nessuno, fino a questo momento, ha avanzato delle proposte serie in tal senso. Il ferro andava battuto finché caldo; al giorno d’oggi, non sembra che ci sia tantissimo interesse ad impegnare il Parlamento con una discussione che, invece, risulta davvero necessaria. Il Guardasigilli, in questi sei mesi, si è occupato di limitare le prerogative dei magistrati in tema di intercettazioni, di combinare un pasticcio in sede di revisione della riforma dell’ordinamento giudiziario, persino di difendere pubblicamente Bettino Craxi, mentre ha ingiustificabilmente tralasciato di avanzare proposte serie relativamente alla spinosa questione carceraria.

Di questo passo, non vorremmo che nei mesi estivi si ripresenti il problema del sovraffollamento degli istituti di pena. Il varo di un nuovo indulto non sarebbe ipotizzabile, per ragioni di convenienza politica; non si potrebbe neanche addivenire, in tempi brevi, ad una riforma dell’ordinamento penitenziario, che è materia per la quale sarebbe necessaria una discussione approfondita. Sarebbero, così, i carcerati a subire le conseguenze dei gravi ritardi della politica o, più precisamente, di certi politici. Tra le vittime di questa inerzia non saranno compresi, ovviamente, i cittadini diversi dagli altri, come, ad esempio, l’indultato Previti, per il quale la pena a 6 anni di reclusione si è trasformata nell’obbligo di svolgere una consulenza legale a favore di un centro di solidarietà per circa un anno e mezzo; termine che andrà a sommarsi ai sei mesi di comodi arresti domiciliari già scontati (dovuti ad una delle tante leggi ad personam); fino a quando la Giunta per le Elezioni di Montecitorio non si darà una mossa (su queste cose non c’è mai fretta, in tempi di inciucio), Previti continuerà a percepire anche lo stipendio da parlamentare. Per queste persone, il problema della vivibilità delle carceri non si pone. Forse è proprio per questo che i politici, avendo salvato in maniera bipartisan chi doveva necessariamente essere protetto, non mostrano più quella sospetta impazienza che aveva caratterizzato il varo dell’indulto. Le riforme e i detenuti possono aspettare, i potenti no. Perché qualche cambiamento possa vedere la luce dovremo, probabilmente, attendere la prossima condanna illustre.

Viterbo: carcere di Mammagialla fa la raccolta differenziata

 

Tusciaweb, 21 febbraio 2007

 

"Il carcere di Viterbo fa la differenza… da luglio 2007 il nostro impegno per l’ambiente". Titolo e soprattutto promessa di un’iniziativa promossa da Provincia di Viterbo, Regione Lazio, Amministrazione penitenziaria, Cev e Legambiente per introdurre la raccolta differenziata all’interno della casa circondariale di Viterbo. Il progetto, diviso in due parti distinte, una teorica e una prettamente pratica, è stato affidato alla cooperativa la Zaffa che, insieme ai responsabili di Legambiente, ne segue in ogni particolare lo svolgimento.

"L’obiettivo - dice l’assessore all’Ambiente, Tolmino Piazzai - è promuovere la cultura della differenziata coinvolgendo in prima persona i detenuti ottimizzando le risorse dell’istituto. Ma anche stimolare i modelli di comportamento sul risparmio nella prospettiva di reinserimento per creare opportunità lavorative".

Ieri pomeriggio alla presenza dei detenuti di alta sicurezza gli enti promotori hanno preso parte ad un incontro di sensibilizzazione sul tema, che si è svolto nella sala del teatro di Mammagialla. "La Provincia ha aderito entusiasta a questo progetto - continua Piazzai, presente ieri all’iniziativa - perché, oltre a diffondere valori e doveri civili, ha insito anche un altro aspetto di vitale importanza per i detenuti. Ovvero la possibilità di fare di questi insegnamenti una opportunità di occupazione.

La raccolta differenziata è una necessità ambientale, che fortunatamente inizia a farsi avanti nelle abitudini dei cittadini e delle amministrazioni. Il traguardo è ancora lontano ma aver intrapreso la strada giusta è segno che qualcosa sta cambiando". Gli incontri formativi per i detenuti continueranno fino a marzo, in seguito si entrerà nel vivo del progetto, quando prenderà il via la raccolta vera e propria. "Trasformare un problema, come quello dei rifiuti, in una risorsa - dice ancora - è di vitale importanza e che questo avvenga anche nel carcere di Mammagialla non può che essere un ottimo esempio per tutti.

Entro l’estate nello spazio esterno del penitenziario sarà allestito un apposito sito dove saranno conferiti i rifiuti già riciclati, che dopo la fase di stoccaggio saranno venduti ai consorzi di filiera. I proventi di questa vendita saranno destinati ad incrementare le iniziative e le attività che si svolgono all’interno del carcere.

L’iniziativa è quindi un’occasione di crescita in ogni senso, in quanto permetterà ai detenuti di imparare un metodo di riutilizzo che sarà utile loro quando usciranno dalla casa circondariale per diffondere la cultura nel rispetto dell’ambiente. Inoltre farà aumentare i servizi e le iniziative durante la loro detenzione". Al Mammagialla saranno donate anche 40 compostiere, che serviranno per lo smaltimento e il riutilizzo dell’umido.

"Oltre a differenziare alluminio, plastica e carta - conclude Piazzai - c’è anche l’intento di raccogliere l’umido, ovvero gli scarti di provenienza alimentare, vegetale, animale ad alta umidità. Il compost che sarà ricavato potrà essere utilizzato come l’humus prodotto in natura elemento nutritivo fondamentale per la crescita degli organismi vegetali".

Modena: detenuti-giardinieri per la cura delle aree-verdi

 

Modena 2000, 21 febbraio 2007

 

La Casa Circondariale S. Anna potrebbe adottare un parco, una rotonda, un’aiuola o un’altra area di verde pubblico, a prendersene cura saranno i detenuti. La Direzione del Carcere ha già manifestato il proprio interesse a riguardo, nell’ambito di una convenzione complessiva. Lo ha fatto sapere l’assessore all’Ambiente Giovanni Franco Orlando rispondendo all’interrogazione presentata dai consiglieri Sergio Rusticali (Sdi) e Rosa Maria Fino (Società civile) che chiedevano se, "sull’esempio di Spilamberto fosse possibile anche per il Comune di Modena definire un progetto per la manutenzione del verde con la Casa Circondariale della città".

"Tale progetto - ha spiegato Rusticali - non solo contribuirebbe a favorire una maggiore cura delle nostre aree verdi, ma darebbe anche una risposta a un problema sociale". Due le strade che possono essere percorse secondo l’assessore Orlando: "La prima, quella di una convenzione che preveda l’utilizzo di un gruppo di detenuti in aree di verde pubblico che per altro aumentano di anno in anno; la seconda è di prevedere nel bando di assegnazione della gestione del verde la possibilità per i soggetti privati di avvalersi del lavoro di detenuti. Ipotesi che vanno entrambe valutate sia per quanto riguarda gli aspetti operativi che retributivi".

La strada sembra comunque aperta e d’altra parte, ha ricordato l’assessore, già negli anni ‘96 e ‘97 erano state avviate esperienze positive grazie al progetto seguito dall’Istituto Fermo Corni, in accordo con il Comune, per i programmi di formazione al lavoro dei detenuti. Rusticali si dichiara soddisfatto della risposta e afferma: "Mi auguro che l’interessamento dimostrato dal direttore della Casa Circondariale si traduca in aspetti operativi al più presto. Credo che questo sia un progetto innovativo e che possa avere ulteriori sviluppi anche nell’intera provincia, mi risulta che oltre a Spilamberto esperienze simili si fanno in Appennino. Il progetto si inserisce in un settore in cui per ora operano solo addetti e volontari e ha anche valenza sociale: i detenuti vengono tolti alla rigidità carceraria e si facilita il loro reinserimento al termine della pena".

Droghe: a Milano Sud cresce il consumo di alcol e cocaina

 

Redattore Sociale, 21 febbraio 2007

 

Cresce il consumo di alcol e cocaina nei comuni della cintura sud di Milano. L’allarme arriva dal settimo rapporto sulle dipendenze, che è stato presentato questa mattina dalla Asl Milano 2, competente sul territorio di 46 comuni della zona sud orientale della Provincia. Sei persone su mille farebbero un uso pesante di cocaina, poco meno degli eroinomani (6 per mille). Ma il dato che preoccupa è l’incremento dei cocainomani: nel 2005 erano il 40% dei nuovi utenti dell’Asl e nel 2006 sono stati il 50%.

Per quanto riguarda l’alcol, i dati disponibili sono pochi, riguardano solo chi è in cura: 300 in tutto, su una popolazione complessiva di oltre 370 mila persone fra i 15 e i 64 anni. Ma sono la punta dell’iceberg: "La nostra stima è che chi si è rivolto a noi è pari a solo il 15% delle persone che hanno il vizio di bere e che avrebbero bisogno di un aiuto per smettere - afferma Alfio Lucchini, direttore del Dipartimento delle dipendenze dell’Asl -. E questo è il primo problema di chi abusa di alcol: non ammettono di aver bisogno, non riconoscono che sono alcoldipendenti". La diffusione di alcol è confermata anche dai ricoveri ospedalieri: nel corso del biennio 2005-2006 più del 50% per cento delle 3.500 persone finite in ospedale per abuso di sostanze legali o illegali erano alcolizzati, seguiti a ruota dai cocainomani.

Sono persone in apparenza normali quelle che si rivolgono all’Asl per problemi di stupefacenti. "Hanno un’età media di 35 anni, un lavoro, una casa e un livello di istruzione medio alto - spiega Alfio Lucchini -. Sono inoltre quasi tutti italiani, solo l’1,2% dei nostri utenti è straniero". E non è sempre facile raggiungerli e aiutarli. "È necessario puntare sull’informazione e sulla prevenzione -dice il ricercatore dell’Asl -. Lavoreremo con i comuni per mettere in campo iniziative e campagne con l’obiettivo di arrivare a tutte queste persone senza aspettare che si rivolgano ai nostri servizi quando ormai la situazione è grave".

Il Rapporto contiene anche i risultati di un’indagine condotta nelle scuole medie superiori della zona. Sono stati intervistati 600 studenti ai quali è stato chiesto se e come facessero uso di sostanze stupefacenti. Il 34% ha risposto che ha fumato almeno una volta lo spinello, mentre il 4% afferma che fa un uso quotidiano. La cocaina è stata provata almeno una volta dal 5,5% e qualche volta in maniera occasionale il 2% . Più basse le percentuali di chi fa uso di eroina: il 2,3% almeno una volta e solo lo 0,1% ogni giorno. Il 20% di chi ha fatto uso di droghe sostiene infine di aver provato più sostanze stupefacenti. n capitolo a parte è dedicato ai detenuti del carcere di Opera. Sono circa 1500, il 50% tossicodipendente. Anche fra le sbarre cresce il numero di chi fa uso di cocaina: sarebbero il 60%.

Giappone: è "record" di condannati nei bracci della morte

 

Ansa, 21 febbraio 2007

 

I detenuti nei bracci della morte dei penitenziari giapponesi hanno raggiunto oggi la cifra record di 100. La centesima condanna alla pena capitale è stata confermata dalla Corte suprema a carico di un malvivente di 55 anni, Kazuo Shinozawa, che nel giugno 2000 aveva dato fuoco a una gioielleria appena rapinata provocando la morte di 11 persone.

 

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