Rassegna stampa 5 dicembre

 

Giustizia: se il sindaco cavalca la paura, di Valerio Onida

 

Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2007

 

Siamo un Paese di aspiranti "supplenti". Ai fenomeni non infrequentemente denunciati di malfunzionamento o non funzionamento di questa o quella istituzione si aggiunge spesso quello di organi istituzionali che cercano o pretendono di sostituirsi ad altri nell’esercizio dei loro compiti: il che però non fa, di solito, che accrescere la confusione e il malessere. Se ognuno si preoccupasse di fare bene il proprio mestiere, sarebbe meglio per tutti. Si iscrive in questa serie la "moda" insorta fra alcuni sindaci del Nord di emettere ordinanze "contingibili e urgenti".

E si iscrivono anche altri atti per regolare questo o quell’aspetto della vita dei cittadini stranieri che risiedono o chiedono di fissare la propria residenza nel Comune, dall’iscrizione anagrafica al matrimonio.

Nel caso delle ordinanze è già dubbio l’uso dello strumento: l’ordinanza è provvedimento da utilizzare per fare fronte a concrete situazioni d’urgenza (che so: un crollo, un fenomeno di inquinamento improvviso), non per dettare le regole relative a procedimenti che riguardano il normale svolgimento della vita civile e i servizi che quotidianamente gli enti pubblici rendono ai cittadini (intesi nel senso ampio delle persone, italiane o straniere, che hanno a che fare con le strutture e le attività delle istituzioni locali).

Nel merito, poi, appare improprio l’uso dell’atto del sindaco, apparentemente per disciplinare attività o servizi comunali, in realtà per cercare di incidere su aspetti e problemi sui quali la competenza spetta ad altri, e nella specie agli organi statali, come è il caso della regolamentazione anagrafica o della disciplina del matrimonio. Quest’ultimo, sia detto fra parentesi, può essere contratto, come si sa, anche per procura, e quindi non presuppone nemmeno sempre che entrambi i nubendi si trovino nel territorio dello Stato.

Immigrazione e condizione giuridica dello straniero sono materie che spettano all’esclusiva competenza legislativa dello Stato, eventualmente con forme di coordinamento fra Stato e Regione stabilite dalla legge statale (articoli 117 e 118 della Costituzione). La condizione dello straniero è regolata (art. 10 della Costituzione) dalla legge statale in conformità alle norme e ai trattati internazionali, fra cui i patti internazionali che riguardano la protezione dei diritti fondamentali.

Dove sono in gioco tali diritti - e il diritto alla residenza come quello di contrarre matrimonio sono fra questi - è inammissibile che vi siano regole diverse addirittura da Comune a Comune, ed è dunque inammissibile che organi locali privi di competenza cerchino di condizionare o di integrare la regolamentazione in vigore.

Prendiamo ad esempio l’ordinanza del 16 novembre adottata dal Sindaco di Cittadella. Essa si diffonde per otto pagine a ricordare le leggi in vigore, a esporre considerazioni sul fenomeno migratorio e sulla importanza della situazione abitativa ai fini dell’integrazione della persona nella collettività (non ce n’eravamo accorti!), per poi cercare, attraverso una disciplina dell’iscrizione anagrafica o assumendo questa come occasione, non (come ci si potrebbe attendere dal Comune) al fine di portare rimedi a situazioni di degrado accertate, ma a quello esplicito di interdire eventualmente l’utilizzabilità di alloggia chi chiede la residenza, e addirittura di prevedere "segnalazioni" al Prefetto e al Questore dei soggetti richiedenti dei quali il Comune accerti (non si capisce in base a quali criteri) "un presunto (sic!) status di pericolosità sociale": cioè un elemento che, incidendo sulle libertà fondamentali della persona, nel nostro ordinamento è rigorosamente riservato agli accertamenti del magistrato ed eventualmente alle proposte degli organi di polizia.

Si dice che i sindaci, rappresentanti della collettività locale, ne interpretano le tendenze e le aspirazioni, e si fanno carico dunque del bisogno di sicurezza che non sarebbe soddisfatto adeguatamente dalle leggi in vigore e dall’attività degli organi statali competenti. Ma, in primo luogo, è pericoloso pensare che gli "umori" affioranti nella collettività esprimano richieste che devono sempre e indiscriminatamente essere assecondate (secondo le generazioni della pseudo - democrazia del sondaggio): basti pensare quante volte, in occasione di fatti che suscitano emozioni, qui e là ricompaiano invocazioni alla pena di morte, che la Costituzione e i patti internazionali (per ora in Europa) bandiscono definitivamente. La politica della sicurezza, la politica criminale e dell’ordine pubblico, si fanno con gli strumenti della ragione, sulla base dell’analisi "fredda" degli obiettivi, dei mezzi impiegabili e della loro reale efficacia, facendo buone leggi (noi spesso, non sempre, le abbiamo) e applicandole correttamente, con rigore e dovunque (su questo siamo molto più carenti).

La politica, anche quella locale, è chiamata a governare i fenomeni, nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone, degli interessi generali e delle rispettive competenze, non a produrre "manifesti" che parlino alla "pancia" dei cittadini e ne strumentalizzino le legittime paure.

 

Valerio Onida (ex presidente della Corte Costituzionale)

Giustizia: il "pacchetto sicurezza"? è solo un primo passo

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2007

 

L’ok al pacchetto sicurezza è un primo passo. Ma il "disagio urbano", come lo chiamano i sindaci, non si risolverà d’un colpo. In commissione Affari Costituzionali alla Camera molti primi cittadini e prefetti hanno ribadito ieri lo stato di insicurezza e di precarietà nella gestione delle città. La buona volontà, che non basta, messa nei "Patti per la sicurezza" promossi dal Viminale sul territorio. Ma anche una diffusa sensazione di "vorrei ma non posso". Una catena di norme superate e inefficaci che il ddl del Governo risolve solo in parte. Senza contare le risorse finanziarie "inadeguate".

Una condizione di vero e proprio stress amministrativo, dove è poi facile assistere a episodi di intolleranza razzista come quello di ieri del consigliere comunale leghista di Treviso, Giorgio Bettio. Parlando di immigrati Bettio ha detto: "Sarebbe giusto fargli capire come ci si comporta usando gli stessi metodi dei nazisti. Per ogni trevigiano a cui recano danno o disturbo, vengono puniti dieci extracomunitari". Critiche e condanne da tutta Italia.

Xenofobia a parte, rimane nei primi cittadini un disorientamento diffuso e politicamente trasversale. "Non esiste nessuna legge nazionale che affronti il tema dei rom - si lamenta il vicepresidente Anci e sindaco di Foggia, Orazio Ciliberti - pertanto i comuni affrontano il problema in maniera differenziata". Intanto la Regione Veneto ha varato una "delibera-modello" per i sindaci che intendono regolamentare le richieste di residenza degli immigrati.

A Montecitorio il primo cittadino di Genova, Marta Vincenzi, e quello di Modena, Giorgio Pighi, hanno chiesto l’aumento delle materie oggetto di ordinanza da parte dei sindaci. Precisa Flavio Zanonato (Padova): "È stucchevole la discussione sui maggiori poteri ai sindaci. Non esiste nessuno strumento che dia ai primi cittadini maggiori poteri. Mi interesserebbe enormemente di più una serie di norme per cui chi rappresenta lo Stato nel territorio possa agire in modo più efficace".

Poi torna e ritorna il tema dei maggiori poteri alla polizia municipale. Sempre più impegnati contro l’immigrazione clandestina, l’abusivismo commerciale e la contraffazione, i vigili hanno, secondo i sindaci, armi spuntate mentre affrontano nuove battaglie.

Con intensità diverse da sindaco a sindaco, la richiesta - che al Viminale piace poco - è di equiparare il più possibile i vigili urbani alle forze di polizia. Ma c’è chi non aspetta: ieri il consiglio comunale di Verona, con una mozione presentata dal capogruppo di An, Massimo Mariotti, approvata dalla maggioranza di centro-destra, ha chiesto al sindaco Flavio Tosi di costituire un reparto di polizia municipale formato da volontari, per rafforzare i controlli soprattutto di notte e nelle periferie.

Qualche prefetto ricorda che nelle città ci sono emergenze ultradecennali, perfino secolari. Francesco Alecci, rappresentate dello Stato a Messina, ha detto che nel capoluogo siciliano ci sono circa 8mila baracche, non allacciate alla rete fognaria e con la copertura in eternit, che ospitano dai 10 ai 12 mila abitanti: furono edificate dopo il terremoto del 1.908 e stanno ancora lì. Mentre Alessandro Pansa rammenta che "a Napoli per tradizione il codice della strada non viene rispettato né viene fatto rispettare. Non interviene nessuno".

Giustizia: subito fuori dall’Italia gli immigrati senza mezzi

 

La Stampa, 5 dicembre 2007

 

Smussare ma non troppo, usare il pugno duro ma con moderazione. Difficile impresa quella del ministro dell’Interno Giuliano Amato, impegnato ieri in Senato a rendere il decreto legge sulle espulsioni degli immigrati comunitari accettabile sia per la sinistra sia per i "ribelli" centristi, da Lamberto Dini a Willer Bordon.

"Un decreto - ha spiegato Amato - che colpisce quei cittadini comunitari che non lavorano ma hanno la Mercedes, e che è nato per evitare una reazione xenofoba che investiva la comunità europea dopo l’uccisione di Giovanna Reggiani". E il responsabile del Viminale ne ha riferito al premier, ieri sera, in una cena a Palazzo Chigi che Amato e Prodi definiscono come "prevista da tempo".

Il governo, dopo aver recepito i correttivi di Rifondazione Comunista, ha apportato altre modifiche che sembrano in qualche modo ispirarsi ad alcuni emendamenti del centrodestra, condivisi dai liberaldemocratici di Dini e dai senatori Bordon e Manzione. Con il consenso della maggioranza sono passati pure tre ordini del giorno del centrodestra: quelli del leghista Calderoli sulle risorse finanziarie per le attività delle forze dell’ordine, di Antonio Del Pennino (Repubblicani-Fi) sulla possibilità per il cittadino comunitario condannato di espiare la pena nel Paese d’origine nel caso ammetta il reato, e del centrodestra che impegna il governo a promuovere in sede europea una normativa che consenta di determinare con certezza la data d’ingresso dell’immigrato in un Paese dell’Unione.

Ma la vera novità sta nelle ulteriori modifiche del dl che sarà votato oggi, con esito incerto. La prima riguarda il limite dei tre mesi di permanenza in Italia imposto al cittadino comunitario privo di mezzi di sussistenza per sé e la famiglia. Come accertare se sia stato superato, quel periodo, visto che nessuna direttiva europea obbliga l’immigrato a registrarsi all’ingresso in un Paese dell’Unione?

Se An chiede la registrazione obbligatoria, il governo presenta un emendamento che sa di mediazione: "in ragione della prevista durata del suo soggiorno, il cittadino dell’Unione può presentarsi a un ufficio di polizia per dichiarare la propria presenza... In caso contrario si presume, salvo prova contraria, che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi". In altri termini, sarà l’immigrato che per qualche motivo è oggetto di accertamenti a dover dimostrare di trovarsi in Italia da meno di 90 giorni.

Si allunga anche la durata del divieto di reingresso nel Paese: 10 anni invece che 3, se il provvedimento è per motivi di ordine pubblico; 5 anni e non più 3, se l’espulsione è stata decretata per problemi di pubblica sicurezza. L’allontanamento, inoltre, potrà essere adottato "tenendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco" del Comune in cui l’immigrato soggiorna. Un altro emendamento riformula con maggiore precisione i motivi di pubblica sicurezza che consentono al prefetto di decretare l’allontanamento. È quanto avevano chiesto i senatori della sinistra.

Si ricompatterà la maggioranza sul decreto? Fonti vicine al ministro Amato sostengono di sì, anche se il senatore Bordon non nasconde di avere ancora riserve su alcuni punti del dl. L’ottimismo del governo sembra però un po’ più rafforzato da una dichiarazione fatta ieri dal diniano Giuseppe Scalerà, che sostanzialmente ha annunciato il voto favorevole dei liberaldemocratici. Sembrano meno bellicosi anche i senatori della sinistra, nonostante un piccolo incidente di percorso che ieri mattina ha tenuto per un po’ la maggioranza con il fiato sospeso. Paola Binetti, senatrice teodem del Pd, avrebbe infatti espresso critiche all’emendamento proposto dalla sinistra sulle pene da infliggere contro "chiunque compia atti di discriminazione razziale, etnica, religiosa o fondati sull’orientamento sessuale". Alla Binetti quelle ultime due parole, "orientamento sessuale", non sarebbero piaciute affatto.

Giustizia: Amato; espelleremo disonesti, non onesti indigenti

 

L’Unità, 5 dicembre 2007

 

"Il decreto e destinato, come dice la direttiva comunitaria, a colpire in ragione del loro specifico comportamento, persone che risultino pericolose". È il ministro dell’Interno Giuliano Amato che parla, nell’aula del Senato,

in merito alla conversione del decreto legge sull’allontanamento dal territorio nazionale di cittadini comunitari per esigenze di pubblica sicurezza. Finora, annota, gli allontanamenti sono stati 200, in linea con quanto fa la vicina Francia, arrivata a 750 nel 2007.

È da qui che parte Amato, proprio a sottolineare come il problema non sia "italiano" ma "europeo", e che, se la direttiva Ue non fornisce strumenti adeguati, è in Europa che va modificata (ad esempio dando ai prefetti la possibilità di allontanare dal territorio europeo e non solo da quello nazionale i cittadini considerati "pericolosi").

C’è poi la questione del reddito. Spiega Amato: "Ho dato disposizioni ai prefetti ed ai questori non tanto di verificare se una persona perbene che guadagna poco raggiunga o superi di dieci euro il livello minimo, ma se qualcuno che viaggia con la Mercedes abbia un lavoro in Italia. E quello il mio primo bersaglio: colui che i mezzi di sussistenza li ha, ma difficilmente è in grado di dimostrare che sono leciti".

È questo lo spirito di uno dei sei emendamenti che il governo ha presentato ieri in aula. Gli altri riguardano la possibilità, per i sindaci delle città in cui costoro risiedano, di "segnalare" alle Prefetture i nominativi dei "pericolosi". Il Governo è poi convinto di togliere la competenza sugli allontanamenti ai giudici di pace per affidarla ai tribunali ordinari ("Io non posso trasferire al ginecologo un’operazione di cardiochirurgia solo perché penso di avere meno cardiochirurghi", osserva Amato) e di concedere all’allontanato la possibilità di chiedere il reingresso (motivato e non prima dei tre anni).

L’allontanamento avrebbe durata massima di 10 anni. Infine è prevista, nel caso in cui l’allontanato sia sottoposto a provvedimento penale, la possibilità, di essere trattenuto "in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea". La formulazione, su richiesta della sinistra, non parla esplicitamente di "Cpt". Il Prc su questo punto si è fatto evidentemente sentire. La destra può rivendicare le "fonti lecite e dimostrabili di reddito" e i tempi più lunghi per il rientro, e anche, giusto ieri in aula, l’accoglimento dell’ordine del giorno Calderoli (che impegna il governo a garantire le risorse necessarie alle forze dell’ordine), votato all’unanimità dall’aula. Il clima appare sereno. A parte qualche sgomitata tra i diniani (che si tengono le mani libere) e Rifondazione (che minaccia di non votare un testo ibrido). Previsto per oggi il voto finale.

Giustizia: decreto sicurezza, governo battuto per due volte

 

Ansa, 5 dicembre 2007

 

La maggioranza è andata sotto sempre con il punteggio di 156 sì e 154 no su due emendamenti presentati dalla Cdl. Chiti e Mastella: "Niente fiducia, il governo reggerà".

Il Governo in difficoltà al Senato per il Decreto Sicurezza: per ben due volte, durante la votazione, la maggioranza è andata sotto sempre con il punteggio di 156 sì e 154 no su due emendamenti presentati dalla Cdl. Il senatore del gruppo PD Gerardo D’Ambrosio, ex capo della Procura di Milano, intervenendo in Aula, dove è ripreso l’esame del decreto sulla sicurezza, ha invitato il governo e l’intera assemblea a rimandare il provvedimento nella Commissione Giustizia del Senato criticando anche le forze politiche che hanno voluto e votato l’indulto.

"La decisione non spetta a me ma certo sarebbe meglio lasciar cadere il decreto", dice il ministro della Giustizia Clemente Mastella commentando la fase di stallo al Senato tra maggioranza e opposizione nella discussione che prevede la trasformazione in legge del decreto in materia di espulsioni.

"Meglio consentire a maggioranza e opposizione una discussione più agevole - ha aggiunto - si tratta di un problema serio che va affrontato con maggiore serenità rispetto all’impellenza di dover trasformare un decreto legge". "Dopo il puerile tentativo del governo di salvare le inconciliabili esigenze della sua contraddittoria maggioranza, cercando di mettere insieme un testo sul pacchetto sicurezza che potesse essere interpretato da tutti a proprio piacimento, abbiamo assistito ad una debacle totale del centrosinistra", ha commentato Roberto Castelli, presidente dei senatori leghisti

Il governo non metterà la fiducia sul dl espulsioni al Senato. Lo affermano i ministri dei Rapporti col Parlamento, Vannino Chiti, e della Giustizia, Clemente Mastella, al termine del vertice di maggioranza convocato dopo la debacle di stamattina in Aula.

Il Guardasigilli ha assicurato: "il governo è forte e unito" e quindi "reggerà". Convinzione espressa anche da Chiti, secondo il quale la "maggioranza è forte e unita. Non mettiamo la fiducia perché abbiamo valutato un’ampia condivisione politica delle scelte del governo e sugli emendamenti a cui darà parere favorevole. Non ci sono - ha continuato - questioni politiche". "Vedremo poi sulle questioni numeriche, ma per adesso andremo avanti in Aula, dove non mi pare che ci sia ostruzionismo".

Marche: proposta di legge per il reinserimento dei detenuti

 

Dire, 5 dicembre 2007

 

Ecco la proposta di legge della Giunta Regionale: Sviluppare le opportunità di reinserimento sociale degli ex reclusi e consolidare i percorsi rieducativi dei minorenni autori di reato.

Migliorare le condizioni di vita dei detenuti, sviluppare le opportunità di reinserimento sociale degli ex reclusi e consolidare i percorsi rieducativi dei minorenni autori di reato: sono gli obiettivi della proposta di legge presentata dalla Giunta Regionale per un "sistema integrato degli interventi a favore dei soggetti adulti e minorenni sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e a favore degli ex detenuti".

Prendendo spunto dalle principali leggi nazionali in materia, il provvedimento è mirato a riordinare e mettere a sistema i servizi pubblici e del privato sociale presenti sul territorio regionale. La proposta stessa, infatti, è frutto di un lavoro sinergico che ha coinvolto un insieme di forze: servizi regionali, amministrazione penitenziaria, Centro di giustizia minorile, enti locali, privato sociale, centri per l’impiego, sistema scolastico ed esperti del settore.

Un tavolo concertato, nel rispetto delle reciproche competenze, dove è stata definita un’organizzazione del sistema territoriale integrato a tutela delle persone coinvolte, per migliorare le loro condizioni attraverso il recupero delle qualità individuali e lo sviluppo della consapevolezza della dignità.

La realtà dei cittadini detenuti è ancora poco nota, considera l’assessore ai Servizi Sociali della Regione, Marco Amagliani: "Non si parla di carcere e detenuti - circa 55 mila nel Paese, 938 dei quali reclusi nei sei istituti marchigiani - se non per evasioni o rivolte. Il vissuto quotidiano, sia dei reclusi che del personale a loro addetto, come agenti di polizia penitenziaria, educatori, medici, infermieri o amministrativi, sfugge in gran parte all’attenzione dei cittadini. Sfugge, a volte, anche agli eletti nelle istituzioni, che pure sono tenuti a governare, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, anche la condizione penitenziaria e post penitenziaria.

Una scarsa attenzione al fenomeno che rende difficile il controllo del rispetto della legge e dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Da queste considerazioni ha preso avvio il necessario riordino del sistema nella nostra regione con questa importante proposta di legge".

Il Comitato regionale di coordinamento, composto da tutti i soggetti, pubblici e non, che agiscono nell’ambito penitenziario, avrà funzioni consultive e propositive nei confronti della Giunta regionale per l’attuazione degli interventi. Verrà convocato almeno quattro volte l’anno e, nel corso della legislatura, eserciterà attività di monitoraggio, promozione di conferenze sulla condizione penitenziaria e di modelli operativi di rete, elaborazione di progetti di studio e ricerca.

La legge proposta esamina, inoltre, tutte le adempienze a favore dei detenuti ed ex detenuti: dalla tutela della salute all’istruzione, prevedendo percorsi di educazione culturale, fisica e sanitaria; promuove il lavoro e la formazione professionale, prevede la realizzazione di iniziative culturali e l’adozione di misure alternative alla detenzione.

Gli enti locali, d’intesa con gli istituti penitenziari e con gli Uffici per l’esecuzione penale esterna, creeranno inoltre interventi di supporto alle famiglie, in particolare a tutela del ruolo genitoriale promuovendo colloqui in istituto con i figli minorenni.

In via sperimentale, infine, verrà sostenuto finanziariamente per tre anni il potenziamento quantitativo di educatori professionali e psicologi da destinare al supporto del personale in carico all’Amministrazione penitenziaria e ai servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia; verranno poi promossi interventi di mediazione penale per adulti e realizzati progetti sperimentali di giustizia riparativa con attività gratuite a favore della collettività di persone in esecuzione penale esterna.

Roma: la Consulta penitenziaria cittadina compie 10 anni

 

Dire, 5 dicembre 2007

 

Da quando è stata istituita, ha raggiunto circa 11.800 persone, con una media annuale di 1.200 utenti, seguiti sia all’interno che all’esterno degli istituti di pena, con l’eccezione del 2006 quando, a seguito dell’indulto, ne sono stati raggiunti 2.200. È la Consulta penitenziaria del Comune di Roma, formata da 85 organizzazioni di volontariato, che oggi, nell’aula Giulio Cesare del Campidoglio, ha festeggiato i dieci anni di attività. La celebrazione è stata l’occasione per fare un bilancio del lavoro svolto finora e per dare voce anche ad alcuni rappresentanti dei detenuti e alle loro richieste.

Dal 2000 a oggi, il servizio Pronto intervento detenuti (Pid) ha segnalato circa 1.500 utenti al V Dipartimento, Ufficio detenuti ed ex e ha inserito 850 persone nelle strutture a loro rivolte. Duemilasettecento, invece, le donne che sono state accolte dalle strutture comunali dedicate alle mamme e ai loro figli, 8.000 gli utenti segnalati ai servizi territoriali, 5.000 gli utenti inviati ai patronati e all’Inps, circa 450 quelli che hanno beneficiato di un inserimento lavorativo attraverso le borse lavoro finanziate dai vari Municipi di residenza o da progetti specifici per ex detenuti.

Secondo gli ultimi dati sulla popolazione detenuta forniti dal ministero della Giustizia, nelle carceri di Roma e provincia i detenuti sono 3.417 così suddivisi: maschile Rebibbia nuovo complesso 1.190, Regina Coeli 903, Rebibbia femminile 340, casa di reclusione Rebibbia 220, III casa Rebibbia 28, Velletri 339, Civitavecchia 331 uomini e 34 donne, Civitavecchia 32. In tutta Italia, il 37% dei detenuti è di origine straniera, un dato molto elevato se si considera che negli anni ‘90 non superavano il 15%. Infine, per quanto riguarda la giustizia minorile, i ragazzi tratti in arresto sono per il 50% rumeni, il 30% nomadi e soltanto il 15% italiani.

 

Incentivi per chi assume ex-detenuti

 

Finora sette-otto imprese hanno chiesto il finanziamento del Campidoglio: 12 i dipendenti tra le persone uscite dal carcere per fine pena o per indulto. Soddisfatti Pomponi e Milano. Uno stimolo per le imprese che assumono ex detenuti. Ben 1 milione di euro per le imprese che assumono beneficiari dell’indulto ed ex detenuti. È la somma stanziata dal Comune di Roma e "per adesso sono sette-otto le imprese che hanno chiesto il finanziamento e 12 persone sono state assunte", fa sapere l’assessore alle Periferie del Campidoglio Dante Pomponi.

In occasione dell’anniversario dei dieci anni della consulta cittadini per i problemi penitenziari, in Aula Giulio Cesare, Pomponi ribadisce l’importanza "di chiedere al mondo delle imprese di proporre già dentro - riferendosi alle carceri - quel processo che porterà i detenuti fuori". L’assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Raffaela Milano, durante la manifestazione ricorda quindi ‘‘che l’intervento sulle carceri vuol dire investire sullo sviluppo della società". Milano infine auspica: "Spero che nel 2008 apra una casa famiglia per le mamme detenute e i loro bambini".

Firenze: un kit che aiuta i detenuti al momento dell’uscita

 

Agi, 5 dicembre 2007

 

Un kit per aiutare chi viene dimesso dal carcere, che contiene biglietti per l’autobus, una piantina della città di Firenze e buoni pasto, ma non solo. È il progetto "IdentiKit" realizzato dall’associazione Ciao (Centro Informazione Ascolto Orientamento) con il contributo dell’assessorato all’accoglienza e integrazione, del Cesvot e in collaborazione con l’Associazione Volontariato Penitenziario, l’associazione Pantagruel e la Caritas "Il Samaritano", oltre alla Direzione del carcere fiorentino di Sollicciano. Lo scopo del progetto è quello di aiutare chi viene dimesso dal carcere, offrendo i riferimenti essenziali sul territorio e gli strumenti per affrontare le emergenze relative all’alloggio, al vitto, agli spostamenti e ad altre eventuali urgenze.

"Si tratta di un progetto sperimentale, innovativo, il primo in Toscana - ha spiegato l’assessore all’accoglienza e integrazione Lucia De Siervo - che cerca di sopperire alle nuove esigenze che si sono venute a presentare dopo l’indulto. Si tratta di cose semplici, che vengono offerte a chi è in carcere e da uscendo, che però sono molto utili per favorire il reinserimento nella comunità. Un aspetto fondamentale di questo progetto è quello della relazione, grazie ai colloqui che svolgono al centro Attavante.

Il progetto infatti non si vuole caratterizzare esclusivamente con la consegna di oggetti, ancorché importanti, ma anche con un sostegno ed un segnale di vicinanza a queste persone, che non devono sentirsi sole al momento dell’uscita, ma che vengono seguite fino ad un inserimento sul territorio". Durante la presentazione del kit, contenente importanti informazioni tradotto in albanese, arabo e rumeno, è stato ricordato che è molto importante il momento dell’uscita, infatti circa il 20% dei detenuti hanno problemi di carattere psichico, il 40% sono persone con problemi di tossicodipendenza e il 65% sono stranieri. Il progetto si concretizza con il primo colloquio con il detenuto già nel periodo precedente la scarcerazione, che si svolge al Centro Attavante. Quindi gli viene offerto, al momento dell’uscita, un kit di prima necessità: biglietti bus, piantina della città e indicazione dei servizi da contattare.

Altri interventi di aiuto per i giorni immediatamente successivi alla scarcerazione riguardano la consegna di indumenti e buoni pasto, la possibilità di pernottamento, i biglietti per spostamenti, bolli per documenti, farmaci e altre urgenze che verranno rilevate al momento del colloquio. Infine, verrà data la disponibilità a seguire la persona in percorsi di orientamento e di accompagnamento per il periodo di stabilizzazione successiva. L’iniziativa "IdentiKit" è rivolto quindi a persone le cui condizioni di estrema difficoltà al momento dell’uscita dal carcere, soprattutto quando questa avviene in tempi imprevisti o anticipati rispetto alle previsioni.

Padova: il Capo del Dap ha incontrato i detenuti-pasticceri

 

Padova News, 5 dicembre 2007

 

Il grande dirigente della Pubblica amministrazione e il celebre critico gastronomico. Due personaggi dal curriculum molto diverso, Ettore Ferrara e Davide Paolini, sono stati protagonisti martedì 4 dicembre di una visita fuori ordinanza nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Ad unire il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il "gastronauta", nonché arbitro di gusti delle frequenze di Radio 24, sono stati i panettoni prodotti in carcere dai detenuti coordinati dal Consorzio sociale Rebus.

Un’esperienza, quella del lavoro in carcere, che viene spiegata da Nicola Boscoletto, presidente del consorzio, addirittura scomodando sant’Agostino. Qualche giorno fa infatti, il procuratore della Repubblica di Padova Pietro Calogero, aveva tenuto nell’università di Padova una lezione sul concetto di pena nel santo vescovo di Ippona. E Boscoletto, cogliendo la palla al balzo, cita senza risparmio. "La pena deve essere proporzionata alla colpa del reo, non deve avere il carattere di una vendetta né di una incontrollata ed esorbitante scarica emotiva, ma di un atto di ragione commisurato al duplice fine: della conservazione della società e della correzione del colpevole. Nella proporzionalità sta la giustizia della pena".

Parole sante, è il caso di dirlo. E la solennità, nel silenzio di giornalisti, fotografi e cameramen, è accresciuta dal luogo in cui Boscoletto parla, il call center del carcere, altro luogo di lavoro per i detenuti, alle cui pareti sono riprodotte le scene giottesche della vita di Maria e Gesù della Cappella degli Scrovegni, assieme alle raffigurazione delle virtù e dei vizi. C’è anche la riproduzione di una vecchia foto del 1951: è l’ingresso del carcere di Noto, sormontato dalla scritta "Vigilando redimere". "Si devono perseguire i peccati e non i peccatori. La condanna deve estirpare il peccato e non annientare il peccatore; bisogna disapprovare la colpa e amare l’uomo", è la sintesi agostiniana. I detenuti con le cuffie telefoniche ascoltano attentamente.

Si passa ai vari laboratori attivati dal consorzio: valigeria, assemblaggio gioielli, legatoria, confezione di manichini per l’haute couture, cucina. Tornano in mente le cifre snocciolate da Boscoletto: 85 detenuti inseriti al lavoro nelle attività all’interno del carcere (il 60% stranieri, dall’Albania al Perù), con 35 nuovi inserimenti solo nel 2007, 40 detenuti coinvolti in attività formative, 150 colloqui formativi, 16 detenuti in misura alternativa inseriti al lavoro all’esterno. E soprattutto, la recidiva che crolla, sfiorando quota zero, mentre per tutti gli altri detenuti l’uscita dal carcere è quasi sempre un arrivederci.

Si arriva in pasticceria e Paolini prende in mano la situazione. "Avevo assaggiato questo panettone e ne ero rimasto entusiasta: leggero, fragrante, con materiali di qualità, uno dei migliori che abbia mai assaggiato, con un tempo di lavorazione evidentemente molto lungo", esordisce. "Allora ho chiesto: "Ma quale pasticceria lo produce?", e quando mi hanno risposto "Il carcere di Padova" non ci volevo credere. Qui alle spalle c’è un grande maestro pasticcere", ipotizza il critico. Non per nulla quei prodotti da forno solo pochi mesi fa hanno ricevuto anche l’ambito "piatto d’argento" dall’Accademia italiana della Cucina. Paolini passa alle altre squisitezze prodotte in via Due Palazzi: zaleti, baci di dama, "soprattutto le splendide palle di neve", spiega, "una pasta di mandorle così l’ho trovata solo in Sicilia". E lancia una proposta: il panettone a Ferragosto. "Abbinato a un gelato al moscato è ideale. Io sono un cultore del panettone, è un controsenso mangiarlo dieci giorni l’anno".

La conclusione è lasciata al numero uno delle 204 carceri italiane. "Una cucina come quella che abbiamo appena visitato esiste solo in quattro carceri", confessa. E le altre duecento? "È stato perso molto tempo, abbiamo un lavoro grandissimo da fare", dice Ferrara, che ricopre la carica solo da poco tempo. Esempi come quello padovano consentono di non perdere la fiducia. "Se si vuole passare da una pena retributiva a un trattamento più fedele a quanto dice la Costituzione, il lavoro è una risorsa fondamentale. Padova da questo punto di vista è una situazione privilegiata. Esperienze come questa vanno fatte conoscere, prese a modello e diffuse il più possibile". E chissà che presto anche in altre case di reclusione del nostro Paese le parole di sant’Agostino si traducano in panettoni.

Bari: l’Asm di Molfetta assume nove ex detenuti indultati

 

Molfetta Live, 5 dicembre 2007

 

L’ASM, Azienda Servizi Municipalizzati di Molfetta, si è inserita, in collaborazione con Italia Lavoro Spa. in un progetto, che coinvolge complessivamente 14 aree metropolitane nazionali (Torino, Milano, Venezia, Genova, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Catania, Messina, Palermo), che mira a promuovere il re-inserimento lavorativo per ex detenuti beneficiari dell’indulto.

Questa iniziativa è stata varata dal Parlamento con la legge 241/2006, e gli indultati sono selezionati dagli sportelli territoriali presso i Centri per l’Impiego, attraverso la possibilità di seguire tirocini formativi di 4 mesi. In particolare, commenta il Presidente dell’ASM Francesco Nappi, "la nostra azienda ha diritto, in base alla legge, all’utilizzo di massimo 9 indultati. Il numero di 9 scaturisce in rapporto al numero dei dipendenti a tempo indeterminato di forza lavoro ASM. Saranno utilizzati come "operatori ecologici" e nessun costo grava sulle casse del Comune di Molfetta oppure sull’ASM perché è totalmente finanziato dallo Stato.

Per l’azienda questo è un ottimo risultato, infatti, Molfetta sarà servita e "pulita" da ulteriori 9 lavoratori senza dimenticare l’importanza sociale e le ricadute positive su una comunità che purtroppo vede numerose persone che hanno ricevuto il provvedimento di scarcerazione dopo l’approvazione dell’indulto e sono senza alcuna occupazione".

Le 9 unità interessate sono e saranno seguite per tutti i 4 mesi da un "tutor" di Italia Lavoro che si attiva per il reclutamento tramite elenchi in dotazione ai Centri per l’Impiego, segue l’iter amministrativo e si coordina costantemente con le unità interessate. La normativa prevede l’erogazione, da parte dello Stato di sostegni al reddito per i tirocinanti e incentivi, in caso di assunzione a tempo determinato o indeterminato, per le aziende che li ospiteranno

Vercelli: in passerella "Codiceasbarre", griffe delle detenute

 

La Stampa, 5 dicembre 2007

 

La location ispira evasione: sabbia fine a terra, sgabelli di bambù. L’occasione e quella per presentare la collezione autunno-inverno 08-09 di un marchio nato nel più impensabile dei luoghi: nel carcere di Vercelli le detenute pensano, cuciono e confezionano i capi "Codiceasbarre".

L’elemento essenziale sono le grandi righe che giocano sulle tonalità del grigio e del bianco, spesso accompagnate al nero anche se qua e là spuntano fuori schizzi di verde e blu. Il prodotto "Cdsb-Codiceasbarre" nasce nel 2002, due anni dopo veniva presentato il marchio e quindi presfilate: nel 2005 al Gattopardo, nel 2006 ai Mercati generali, quest’anno presso il locale Ondanomala con una testimonial di eccezione: Gianna Nannini. La cantante senese ha conosciuto il marchio grazie alle persone, per l’entusiasmo, il desiderio, la sensibilità delle detenute che l’hanno cercata, le hanno scritto e l’hanno invitata.

Dopo la visita al carcere di Vercelli Gianna Nannini ha deciso di sposare il marchio e con esso la forza delle donne che ce la fanno. Ad Ondanomala sono stati presentati 50 modelli: una linea essenziale ma non minimale, un aspetto pulito. In tutto trapela forte la sensazione della comodità che ha un’unica chiave di interpretazione: la libertà.

L’ispirazione viene direttamente dal contesto meglio conosciuto da chi fa nascere i capi dalla propria fantasia e dalla proprie mani: l’elemento rigato è proprio del tradizionale abbigliamento carcerario, i dettagli delle chiusure, delle cuciture, delle rifiniture sono rubati ai veri capi utilizzati nelle carceri. E quindi, rielaborati, trasformati, preparati per un utilizzo quotidiano pieno di freschezza. L’attività delle detenute è sostenuto da cooperative che si sono poste come intermediarie per la riabilitazione sociale attraverso il lavoro.

Genova: direttore e polizia denunciano il sovraffollamento

 

Comunicato Sappe, 5 dicembre 2007

 

"L’allarme lanciato oggi dal direttore del carcere di Marassi, Salvatore Mazzeo, sul sovraffollamento della struttura penitenziaria della Valbisagno è indice di una insostenibilità rispetto alla quale il Sappe ha da tempo sollecitato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ad assumere urgenti determinazioni. A fronte di una capienza regolamentare di 450 posti, oggi abbiamo più di 600 detenuti, e tra un po’ non sapremo più dove mettere i detenuti.

E ciò si ripercuote principalmente sulle drammatiche condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria, considerato che il sovraffollamento dei penitenziari ricade principalmente proprio sui poliziotti penitenziari, che sono impiegati nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico in una sistematica inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti. A Marassi mancano più di 120 agenti. Ed è sulle evidenti criticità del sistema carcere, che permangono a livelli allarmanti, che si deve intervenire con urgenza."

È il commento di Roberto Martinelli e Michele Lorenzo, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario regionale ligure del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 12mila iscritti, che preannunciano l’invio di una nota urgente sulle criticità del carcere di Marassi al Ministro della Giustizia Clemente Mastella ed al Capo del Dap Ettore Ferrara.

"Approvato l’indulto" aggiungono Martinelli e Lorenzo "Governo e Parlamento avrebbero dovuto prevedere con urgenza provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci ed incrementando quindi gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare tutti i compiti di controllo sull’esecuzione penale e, soprattutto, una legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia (a livello nazionale, pre-indulto erano il 30% - circa 20mila - i detenuti stranieri, percentuale che si è sempre raddoppiata negli Istituti liguri).

Quella degli stranieri in carcere è ancora una drammatica emergenza: si pensi che al 30 settembre scorso erano stranieri il 60% dei detenuti di Marassi. Non è allora il caso che questi detenuti scontino la pena nei loro Paesi d’origine? E non sarebbe il caso di un ripensamento organico del carcere e dell’Istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva?"

Critiche dal Sappe anche al patto per la sicurezza firmato a Genova nel giugno scorso: "È un documento con gravi omissioni e carenze sul sistema penitenziario genovese. Quando si parla di sicurezza non si può non parlare di Polizia Penitenziaria (gravemente sotto organico a Marassi) e di carcere, che spesso è il terminale ultimo della sicurezza stessa. Eppure nel patto per la sicurezza per Genova nulla è previsto per il sistema carcere e soprattutto per chi in esso lavora in prima linea, ovvero le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria.

Maggiore sicurezza vuol dire certamente più azione preventiva da parte delle Forze di Polizia ma anche, inevitabilmente, più repressione e quindi più arresti. E questo, non essendo stati previsti nel patto per la sicurezza di Genova adeguati interventi strutturali per le carceri della città e un sostanzioso incremento degli organici della Polizia Penitenziaria che in esse lavora in prima linea, vuol dire confinare e relegare nella terra sconosciuta del penitenziario tutte le contraddizioni di una classe politica che promette alla gente più sicurezza ma dimentica colpevolmente le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano quotidianamente in prima linea nelle carceri genovesi con mille difficoltà e gravemente sotto organico".

Roma: tavola rotonda sul sistema penitenziario in Congo

 

Comunicato stampa, 5 dicembre 2007

 

Grazie al lavoro portato avanti da alcuni soci L.A.W. sul sistema penitenziario della Repubblica Democratica del Congo, è emerso un quadro drammatico sulle condizioni di detenzione dei prigionieri all’interno delle carceri del Paese. Dai numerosi studi, relazioni e sopralluoghi effettuati nei luoghi di detenzione, tutto accuratamente documentato, la L.A.W. è rimasta fortemente sconcertata. Da qui la decisione di denunciare la drammatica situazione mediante la stesura e la presentazione di un rapporto, redatto dai soci L.A.W. congolesi, nel quale viene rappresentato il sistema penitenziario congolese in tutti i suoi aspetti più problematici.

Sul tema si confronteranno martedì 11 dicembre alle ore 17 nella Sala del Carroccio in Campidoglio, a Roma, per l’associazione "Chiama l’Africa", Eugenio Melandri; il responsabile della Commissione Diocesana di Giustizia e Pace di Bukavu, sig. Abbè Justin Nkunzi; il Presidente di "Terres Des Hommes", prof. Raffaele K. Salinari; il Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma, l’On. le Gianfranco Spadaccia; l’Assessore alle politiche giovanili del Comune di Roma, l’On. le Jean Leonard Touadi; Padre Silvio Turazzi di "Rete per la Pace in Congo"; Padre Giulio Albanese, fondatore della MISNA. Per la L.A.W. interverranno l’avv. Toussaint Kwambamba Bala, socio fondatore L.A.W., che presenterà il rapporto e l’avv. Simona Lanzellotto, Vice Presidente L.A.W. Dirige i lavori l’avv. Laura Guercio, Presidente L.A.W.

 

Simona Lanzellotto

Vice-Presidente

Responsabile Ufficio Stampa L.A.W.

Napoli: la Fondazione "A. Chianese" per il sostegno ai minori

 

Comunicato stampa, 5 dicembre 2007

 

Venerdì 7 dicembre p.v., alle ore 16.00 presso la sala Convegni del Centro Giustizia Minorile per la Campania, Viale Colli Aminei 44 Napoli, avrà luogo la consegna delle borse-premio assegnate dalla Fondazione "A. Chianese" a ragazzi segnalati dai Servizi della Giustizia Minorile e dalle Comunità residenziali giovanili, per un reale sostegno ad un percorso di recupero e d’inserimento. La manifestazione, promossa dal Centro Giustizia Minorile di Napoli e dal Sindaco di Villaricca (Presidente della Fondazione), dr. Raffaele Topo, è giunta quest’anno alla 21ª edizione e finora ben 424 ragazzi hanno potuto avvalersi del riconoscimento della Fondazione.

Si tratta di una iniziativa integrata pubblico-privato di solidarietà e concreto supporto a favore di giovani che, pur con turbolente vicende personali e giudiziarie, sono riusciti a superare situazioni di degrado ed emarginazione e, soprattutto, ad allontanare le "tentazioni rassicuranti" di organizzazioni criminali sempre più aggressive nelle manovre di reclutamento dei giovani. Saranno presenti, oltre ai promotori, i responsabili e gli operatori impegnati nell’ambito della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, Autorità della Magistratura e delle Istituzioni, rappresentanti del mondo della cultura, dello sport, dell’associazionismo e del volontariato.

Alla cerimonia sarà presente, inoltre, l’artista Pino De Maio che testimonierà con la sua presenza ed esibizione canora la propria sensibilità e vicinanza ai giovani entrati nel circuito della Giustizia e ai temi della legalità e della prevenzione. Invitiamo, quindi, vivamente codesta Redazione Giornalistica a voler segnalare e presenziare alla manifestazione, degna di rilievo e di attenzione della pubblica opinione, sensibile alle questioni della sicurezza, della legalità e della prevenzione. Si prega di prendere contatti con questa Direzione per gli accordi particolari relativi alla eventuale gradita partecipazione della stampa accreditata (C.G.M. tel.081.7448111 - fax 081.7448250).

 

Dott. Sandro Forlani

Dipartimento Giustizia Minorile

Centro per la Giustizia Minorile per la Campania

Reggio Emilia: gli ospiti dell’Opg allestiscono presepe in piazza

 

Bologna 2000, 5 dicembre 2007

 

Dall’8 dicembre al 6 gennaio, dal giorno dell’Immacolata a quello dell’Epifania, sotto il portico di palazzo Casotti, sarà ammirabile un presepe costruito da alcuni pazienti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio insieme agli agenti del Corpo di Polizia penitenziaria. Le casette e gli altri ambienti del paesaggio sono stati confezionati nei mesi scorsi, all’interno dell’Istituto, da un gruppo di ricoverati con l’aiuto del personale preposto e di alcuni volontari. Il messaggio che questa iniziativa, realizzata con la disponibilità dell’assessorato Città storica del Comune di Reggio, vuole proporre è di augurio e condivisione del Natale anche da parte di persone che vivono questo momento in una condizione di esclusione.

Televisione: l'educazione alla legalità e alla solidarietà

 

Ansa, 5 dicembre 2007

 

Per una volta la tv non è cattiva maestra e si propone un programma pieno di buone intenzioni senza retorica e ben confezionato. Il progetto si chiama "Educhiamoci alla legalità e alla solidarietà", è promosso dall’amministrazione provinciale di Frosinone in collaborazione con l’assessorato regionale all’Istruzione e sarà presentato dal programma televisivo Fuoriclasse, oggi su Rai Edu1, alle 12.30 (in replica alle 20.30). L’obiettivo del programma è quello di sensibilizzare i giovani al rispetto di sé e dell’altro diverso da sé, diverso per etnia, perché diversamente abile, perché altro individuo.

Il progetto si propone l’ambizioso scopo di stimolare azioni di prevenzione alla devianza, attraverso l’analisi di situazioni di disagio di bambini o adolescenti, spesso anticamera della degenerazione. In particolare, nel Lazio i detenuti minorenni sono 296 e 1060 i ragazzi ospitati nel centro di prima accoglienza di Roma. Per comprendere dunque, quali conseguenze sociali e personali possono avere quelle azioni non percepite generalmente come reati (per esempio gli atti violenti negli stadi), verranno presentate nel corso della puntata di Fuoriclasse, delle simulazioni: alcuni studenti delle scuole superiori della provincia di Frosinone saranno accusati di scontri fuori dallo stadio con danni a persone e cose. Diventeranno, così, i protagonisti di un processo simulato, vivranno in prima persona i meccanismi della giustizia e potranno comprendere gli effetti distruttivi per se stessi e per la società, di comportamenti contrari alla legge. È bello vedere giovani protagonisti positivi in tv.

Immigrazione: Treviso; consigliere Lega invoca metodi SS

 

Ansa, 5 dicembre 2007

 

A Treviso un consigliere comunale della Lega invoca "metodi da SS" per gestire l’immigrazione, frase che suscita lo sdegno dei parlamentari del centrosinistra, primo fra tutti il vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti: "È stata superata la misura". E Treviso, la città dell’ ex sindaco-sceriffo della Lega Giancarlo Gentilini, torna alla ribalta della cronaca nazionale. Ma mentre Castagnetti, e non solo lui, invita subito i vertici della Lega a prendere le distanze dal consigliere Giorgio Bettio con un "chiaro ammonimento", a Treviso le opposizioni preferiscono evitare qualsiasi reazione ritenendo l’uscita del leghista talmente priva di senso da non meritare alcuna risposta: "una dichiarazione fatta da un consigliere di nessun peso con il solo scopo di riportare la Lega all’attenzione dei media", spiega Giampaolo Sbarra, consigliere della Rosa nel Pugno.

La frase incriminata è stata pronunciata in aula nella seduta consiliare, durante la quale gran parte del dibattito, come a Treviso ormai avviene con regolarità, è dedicato ai rapporti tra i cittadini e gli immigrati. Bettio, nel riportare un battibecco condominiale fra sua madre e coinquilini di fede musulmana, avrebbe affermato che è "inutile la legge del taglione" e sono invece molto più proficui i sistemi adottati dalle SS nei confronti dei detenuti nei lager.

"Le solite cose che i leghisti dicono senza scopo alle quali abbiamo deciso di non rispondere più - sottolinea Sbarra - Sono cattiverie verbali mostruose alle quali, come la gran parte dei proclami del Carroccio, non fa seguito alcuna traduzione in fatti concreti. In casi come questi per fortuna - ricorda il consigliere - la Lega ha parlato a vuoto, senza far seguire i fatti alle idee e, di fatto, creando un aumento della criminalità da quando è il Carroccio a governare la città".

Da Roma le reazioni non si fanno attendere: "Alimentare odio e disprezzo è ginnastica fin troppo facile ma sempre irresponsabile", protesta Castagnetti. Gianpaolo Silvestri, responsabile diritti civili dei Verdi, chiede che il ministro dell’interno Giuliano Amato, "intervenga immediatamente e pesantemente" contro Bettio. E afferma: "Da tempo esponenti della Lega, e non solo, hanno superato il limite della decenza. Le deliranti affermazioni del signor Bettio, se non fossero una tragedia e non alimentassero paure e razzismi nel Paese, sarebbero da liquidare semplicemente come isterie da sbandato".

"La Lega intervenga contro quel consigliere: ha oltrepassato il limite - chiede anche la deputata dei Verdi Tana de Zulueta - Non esiste paese europeo in cui un esponente delle istituzioni può usare un simile linguaggio". La senatrice del Prc Tiziana Valpiana pronuncia la sua censura nell’aula di palazzo Madama: "Credo che questo Parlamento dovrebbe chiedersi se è normale che in una istituzione repubblicana sia possibile pronunciare simili parole e chiedo al ministro dell’Interno di intervenire".

Droghe: la "riduzione del danno"... e il pregiudizio morale

di Giovanna Dall’Ongaro

 

Galileo, 5 dicembre 2007

 

Le politiche di riduzione del danno sono efficaci, e se non si applicano è solo per un pregiudizio morale. Se ne è discusso a Clat 4 nei giorni scorsi a Milano.

Un invito al pragmatismo. È quello che la quarta Conferenza Latina (Clat 4) sulla riduzione dei danni correlati al consumo di droghe, che si è conclusa a Milano lo scorso 1° dicembre in significativa concomitanza con la Giornata mondiale contro l’Aids, ha rivolto alle istituzioni di molti paesi dell’America Latina, ma anche dell’Europa. In quella sede si sono infatti confrontate le esperienze di chi in diverse parti del mondo cerca una alternativa alle politiche di stampo repressivo finora praticate con scarsi risultati. Un nuovo approccio non considera le sostanze stupefacenti il nemico da debellare con qualunque mezzo, ma beni di consumo diffusi con cui bisogna imparare a convivere. Cercando di limitare il più possibile i rischi chi ne fa uso e, in generale, per la società. Insomma: un approccio razionale, che tenga conto dei risultati, e non ideologico. Per capire attraverso quali strumenti si può invertire rotta anche in Italia, abbiamo intervistato Paolo La Marca tra i promotori di Clat4.

 

Dottor La Marca, cosa si intende per strategie di riduzione del danno (Rdd), quando si parla di droghe?

Si tratta di una serie di interventi che hanno come principale obiettivo la tutela della salute dei tossicodipendenti. Questo approccio prese il via circa venti anni fa quando scoppiò l’emergenza Aids e si sviluppò poi in tre piani d’azione. Al primo livello si hanno le cosiddette unità di strada costituite da operatori che fanno prevenzione distribuendo siringhe nuove e raccogliendo quelle usate, consegnando materiale informativo e fornendo supporto psicologico a chi ne ha bisogno. Al secondo livello si passa a interventi semi strutturati, ossia centri diurni con le stesse funzioni delle unità di strada, dove però è il tossicodipendente a recarsi a sua discrezione. Al terzo livello c’è il servizio pubblico dove personale altamente specializzato stabilisce con il paziente un trattamento terapeutico come, per esempio, la somministrazione di sostanze alternative, generalmente il metadone.

 

Esistono prove sull’efficacia di interventi di Rdd? In che cosa si distingue l’approccio dell’America Latina da quello europeo?

I dati sulla diffusione dell’Hiv tra i tossicodipendenti parlano chiaro. Mentre in Italia negli anni Novanta il 64% dei malati di Aids era un tossicodipendente, oggi la percentuale è scesa sotto il 39%. Non possiamo affermare che sia merito esclusivamente delle politiche di Rdd, ma sicuramente queste hanno dato un contributo rilevante. Un’ulteriore conferma ci viene dall’Inghilterra: nella città di Liverpool, dove la riduzione del danno è applicata da anni in maniera costante, i sieropositivi tra i consumatori di droghe rappresentano il 16%, mentre là dove non vi sono state strategie altrettanto efficaci la percentuale si attesta intorno al 50%. Per quanto riguarda l’America Latina le politiche di riduzione del danno devono affrontare una diffusione molto maggiore, rispetto all’Europa, del consumo per via endovenosa. Perciò le strategie sono orientate a evitare i danni correlati a questa forma di assunzione.

 

Le narco-sale, della cui apertura si discute nella città di Torino, rientrano tra gli interventi di riduzione del danno?

Si tratta di uno strumento che ha dimostrato la sua efficacia ovunque è stato introdotto. Nel mondo esistono 64 strutture del genere (narco-salas, injection rooms, stanze del buco) e in tutti i luoghi dove si trovano, Germania, Spagna, Francia si è assistito a due fenomeni positivi: una riduzione del numero di siringhe abbandonate per le strade, perché l’assunzione di sostanze non avviene più all’aperto, e il calo della microcriminalità. Si sono quindi rivelate un vantaggio non solo per la salute dei consumatori, ma per l’intera società. Non vedo perché se hanno funzionato altrove non debbano funzionare anche qui. Ciò non toglie che è necessario comunque un periodo di valutazione di costi e benefici che serva anche per adattare le metodologie adottate in queste esperienze alle caratteristiche specifiche del nostro paese.

 

Cosa si è fatto e cosa c’è ancora da fare in Italia nell’ambito della Rdd?

In Italia manca il coraggio politico di fare scelte pragmatiche e non ideologiche. Quando venti anni fa abbiamo intrapreso la strada della riduzione del danno siamo stati di esempio alla Spagna e alla Francia. Oggi invece la situazione è stagnante e nessuno osa invertire la rotta. Tra le misure che si potrebbero adottare c’è il cosiddetto pill test, l’analisi chimica delle pasticche che circolano nelle discoteche o nei rave. Un semplice esame di laboratorio potrebbe far conoscere al consumatore le componenti chimiche del prodotto che ha acquistato rendendolo consapevole degli eventuali rischi che corre. Mi sembra un’informazione indispensabile al pari di quelle contenute nelle etichette dei cibi. Un altro provvedimento urgente è l’introduzione di strategie di riduzione del danno all’interno delle carceri, dove la droga non potrebbe circolare, ma nella realtà è molto diffusa. Bisogna quindi pensare prima di tutto alla salute dei detenuti affinché, una volta fuori, evitino anche di contagiare altre persone. Esistono poi protocolli oramai consolidati in altri paesi, come Germania e Olanda, sull’efficacia terapeutica della somministrazione controllata di eroina che potrebbero venire applicati anche da noi.

 

Tutti gli interventi di cui ci ha parlato sono compatibili con l’attuale legge di impronta proibizionista?

Assolutamente sì. Non c’è bisogno di intervenire sulla legge per incentivare la politica di riduzione del danno, ma va superato l’empasse ideologico che considera la droga come un mostro. Le limitazioni che la legge impone, come quella per esempio di considerare cessione di materiale stupefacente la consegna a un operatore di una pasticca da analizzare, possono essere superate di volta in volta con soluzioni alternative, come lasciar fare il test direttamente al consumatore. Il fatto che la droga sia illegale non ne impedisce la diffusione. E una volta che le sostanze circolano ci sono tre strade da intraprendere: la lotta al narcotraffico, la riduzione del danno e la riabilitazione. Questi tre obiettivi sono perfettamente compatibili e vanno perseguiti allo stesso modo.

Droghe: Umbria; 30 le morti per overdose in un anno

 

Notiziario Aduc, 5 dicembre 2007

 

Lo scorso anno in Umbria hanno perso la vita per overdose 30 persone. Di queste, 23 nella provincia di Perugia e 7 nel Ternano, con un tasso di mortalità per droga sempre del 5,3 per 100 mila abitanti di età compresa tra i 14 e 64 anni. L’86,6 per cento dei morti era di sesso maschile, mentre i 4 casi di morte di donne si sono verificati nella provincia di Perugia, 3 di queste avevano dai 20 ai 34 anni.

Questi ed altri dati sulla consistenza del fenomeno droga in Umbria, ma anche sul consumo di tabacco e alcol, sono stati forniti oggi a Foligno nella conferenza sulle dipendenze.

Le fasce d’età più colpite dalle morti per droga sono quella dai 20 ai 24 anni (con il 23,3 per cento dei decessi) e quella tra i 40 e 44 anni, con la stessa percentuale. Il 16,7 per cento aveva tra i 25 e 29 anni e il 13,3 per cento tra i 30 e i 34 anni.

Dall’esame tossicologico risulta che nel 90 per cento dei casi la sostanza primaria causa della morte è l’eroina, pura nel 20 per cento dei casi oppure associata alla cocaina (nel 30 per cento dei casi), o all’alcol (nel 26,7 per cento). I tre casi di morte che hanno come causa primaria la cocaina interessano la fascia d’età più giovane, da 20 a 24 anni, e si sono verificati tutti nella provincia di Perugia. In due casi la cocaina era l’unica sostanza presente all’esame tossicologico, in un caso era invece associata all’alcol.

Il 73 per cento delle persone morte è risultato residente in Umbria, per i morti nella provincia di Terni la percentuale è del 100 per cento. Soltanto due morti risultano essere stranieri, mentre gli italiani provenienti da altre regioni sono 6 di cui 3 provenivano dalla provincia di Siena, gli altri da Agrigento, L’Aquila e Roma (un caso per ciascuna provincia).

In Umbria nel 2005 sono stati sequestrati intorno a 65 chili di hashish, 34 di marijuana, 14 di cocaina e 7 di eroina. Sempre nel 2005, l’11 per cento dei ragazzi di età compresa tra i 15 e 24 anni aveva fumato cannabis negli ultimi trenta giorni e dallo 0,9 al 3,7 per cento consumava cannabis quotidianamente. Il 24,7 per cento di giovani tra i 15 e i 19 anni ha dichiarato di aver fumato cannabis meno di 5 volte negli ultimi 12 mesi, il 5,3 per cento ha consumato cocaina meno di 5 volte, il 2,6 stimolanti e allucinogeni, l’1,8 eroina.

Dal 2000 al 2004 si sono verificati 160 ricoveri per dipendenza da droghe, per il 65 per cento la causa è stata la dipendenza da oppiacei, mentre i ricoveri per abuso di sostanze senza dipendenza sono stati 143.

La prevalenza di casi di positività all’Hiv nelle persone seguite dai servizi per le dipendenze è stata di 105 casi, il 3,2 per cento del totale degli utenti.

Quanto ai reati per droga, sempre nel 2005 le persone segnalate all’autorità giudiziaria per reati correlati a stupefacenti sono state 538, il 90 per cento maschi, l’1,7 per cento minorenni, il 46 per cento stranieri. Nel 73,5 per cento dei casi è scattato l’arresto. Nel 2004 le segnalazioni alle prefetture per possesso di stupefacenti sono state 770, il 50,7 per cento era di fuori regione e il 49 per cento era in possesso di sostanze leggere. Per quanto riguarda i detenuti nei quattro istituti penitenziari regionali, 286 (il 28 per cento) avevano problemi di droga.

Il numero totale degli utenti in cura ai servizi pubblici (sempre nel 2004) per le dipendenze era di 3.315. Con un’utenza di 59 soggetti per 10 mila abitanti di età compresa tra 15 e 64 anni, l’Umbria si colloca al di sopra della media nazionale per il tasso di utenti in trattamento. L’84 per cento dei soggetti in trattamento era di sesso maschile e per l’85,4 per cento la sostanza primaria di consumo è l’eroina, per il 7,2 per cento la cannabis, per il 6,2 per cento la cocaina, lo 0,4 per cento aveva fatto uso di ecstasy e lo 0,4 per cento di benzodiazepine.

Nel 2005 in Umbria sono stati venduti un milione 254.771 chilogrammi di prodotti del tabacco, di cui il 98 per cento erano sigarette. Il consumo di tabacco generalmente ha inizio in giovane età: sempre nel 2005 il 44 per cento della popolazione scolare umbra di età compresa tra i 15 e 19 anni, ha dichiarato di aver consumato tabacco negli ultimi 12 mesi. Nel 2003 il 22,1 per cento dei quattordicenni umbri si dichiarava fumatore. Dal 1993 al 2003 i fumatori maschi sono passati dal 30, 9 per cento al 26 per cento, mentre le fumatrici sono aumentate dal 17,7 per cento al 18,5, una percentuale più alta in Umbria rispetto all’Italia. Nel 2004 le ragazze umbre, di età compresa tra i 15 e i 19 anni occupavano, con il 23 per cento, il quarto posto di tutte le regioni italiane per un consumo giornaliero di 5 sigarette, i ragazzi della stessa età, con il 18 per cento occupavano il 15/o posto. I ricoveri attribuibili al fumo hanno avuto un andamento in leggera diminuzione dal 2001 al 2003 con 27 mila 725 ricoveri nel 2001, 26 mila 302 nel 2003.

Nel caso del consumo di alcol nel 2005 erano in trattamento nei servizi pubblici per problemi alcol-correlati mille 699 utenti, in costante aumento dal 1995. Nel 2003 si stimava che 500 persone e le loro famiglie frequentassero gruppi di auto-mutuo-aiuto per problemi alcol-correlati. Nel 2003 il tasso di ospedalizzazione per diagnosi attribuibili all’alcol era di 125 ricoveri per 100 mila abitanti, in calo rispetto a 153 del 2000. Negli anni 2000-2004 il tasso di mortalità medio per cirrosi alcolica del fegato è stato dell’1,0 per 100 mila abitanti maschi e 0,4 per le femmine. Nel 2005 l’85,8 per cento dei ragazzi e l’86,4 per cento delle ragazze di età compresa tra i 15 e 19 anni che frequentano la scuola dichiarava di aver consumato alcol nell’anno, il 39,9 per cento di essersi ubriacato da 1 a 5 volte nell’anno, il 7 per cento delle ragazze e il 12 per cento dei ragazzi ha dichiarato più di 5 episodi di ubriacatura nell’anno.

Svizzera: la prigione non deve essere luogo di vendetta

di Giuseppe Bill Arigoni (Deputato PS)

 

Il Ticino, 5 dicembre 2007

 

Essere membro della commissione di sorveglianza delle condizioni di detenzione è la nomina che mi rende più orgoglioso di essere deputato in questo Parlamento. Una società, che punisce giustamente chi ha sbagliato, deve rispettare queste persone anche nel periodo in cui stanno scontando la loro condanna. La prigione non deve essere un luogo di vendetta.

É una questione di civiltà. Più si cerca di ricuperare le persone, che per un motivo o un altro hanno sbagliato, e più la società ha un grado di civiltà alto. Questo atteggiamento deve essere messo in atto anche con chi sbaglia e non vuole condividere i valori della maggioranza della società. Questo é sempre stato il mio pensiero e penso sia anche quello dei vari deputati che rappresentavano diversi partiti coi quali ho lavorato in questa commissione per quasi 8 anni.

Abbiamo lavorato in silenzio, senza cercare lo scoop sulla stampa, impegnandoci a non creare attriti tra le varie realtà coinvolte nella gestione dei detenuti e soprattutto svolgendo il nostro compito in favore di quest’ultimi (per esempio collaborato alla chiusura delle Pretoriali, che erano state criticate duramente anche da Amnesty International, al problema dei minorenni e delle donne).

Ottenere la fiducia ed entrare in empatia con i detenuti (non ci sono solo grandi criminali alla Stampa ma anche giovani che hanno l’età dei nostri figli e che hanno sbagliato e devono essere aiutati) non è mai stato facile ma era il mandato datoci dal Parlamento Cantonale nel rispetto della prassi del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione delle torture e dei trattamenti o delle pene disumani o degradanti istituito dall’omonima convenzione del 26 novembre 1987. I detenuti hanno un contatto diretto con la Commissione i colloqui avvengono in salette o direttamente nelle celle senza la presenza della guardia carceraria, anche la posta viene consegnata senza controllo o censura.

La decisione di dimettermi, non solo da Presidente, ma dalla commissione è data dal fatto che la presenza di un ex alto funzionario di polizia in questa commissione (è anche apparso ultimamente in due servizi della Rtsi uno sulla questione Rom e l’altro sulla l’assemblea della sezione Ticino della Federazione svizzera dei funzionari di polizia) rischia di rompere quel filo di contatto che siamo riusciti ad avere con i detenuti.

Secondo il mio modesto parere anche la presa di posizione dell’Associazione per la prevenzione della tortura, in risposta alla nostra sollecitazione a sapere se la presenza di un ex ufficiale di polizia fosse opportuna o meno per l’attività della commissione, non lascia dubbi; se vogliamo svolgere il nostro compito ed avere contatti con i detenuti, la sua presenza può creare qualche problema. Quindi lascio la carica conferitami dal Parlamento ritenendo che attualmente, anche se sollecitati dalla Presidente del Gran Consiglio, non possiamo svolgere con correttezza e discrezione il nostro mandato.

Questa riflessione nasce dall’esperienza accumulata nello svolgimento di questa attività fino ad oggi. Se la Commissione verrà delegittimata sarà difficile ricuperare la credibilità quindi spero che anche il collega faccia una ulteriore riflessione. Faccio un passo indietro, anche se con molto dispiacere, in modo che il problema non diventi una questione personale tra due deputati. Con la mia decisione, sia chiaro per tutti, non voglio assolutamente dare un giudizio né sull’operato della polizia (in 40 anni di intensa attività sul territorio non ho mai avuto nessun problema) né sul collega Galusero perché penso di non aver nessun diritto o capacità per giudicare il suo operato in questa struttura.

Usa: minori in carcere, allo studio più misure alternative

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 5 dicembre 2007

 

Molti Stati Usa stanno cambiando atteggiamento per quanto riguarda le sanzioni penali ai minori ed ai giovani, oggi spesso ammanettati per nulla, trattati come adulti durante i processi e talora condannati al carcere a vita senza alcuna prospettiva di rieducazione e reinserimento sociale.

Quegli Stati sembra abbiano capito che tenere in carcere i ragazzi costa di più e rende di meno che lanciare programmi sociali che li possano tenere lontani dal crimine e che inoltre un giovanissimo inserito in un centro di detenzione per adulti ne esce quasi sempre trasformato in peggio. Perciò talora stanno modificando la normativa in materia.

Negli anni ‘90 ci fu negli Usa il boom delinquenziale minorile: dal 1987 al 1993 raddoppiò il tasso di omicidio fra adolescenti, con episodi che scossero l’intera nazione e alcuni avvertirono che entro la fine del secolo migliaia di bambini senza scrupoli - una nuova generazione di "superpredatori" - avrebbe commesso omicidi, stupri o rapine, unendosi in bande e trafficando in droga.

Secondo alcuni esperti, ci fu uno sforzo per etichettare i bambini e generare nelle persone paura verso i ragazzini, creando anche miti relativi alla modifica del Dna dei figli di donne fumatrici di droga i quali sarebbero stati una generazione perduta e pericolosa. Si disse che era necessario fare qualcosa e i politici gareggiarono quindi per far passare leggi per incarcerare i ragazzini violenti.

Oggi i dati a consuntivo affermano che si è andati troppo oltre. La "razza" dei superpredatori non è mai emersa e lo stesso professore che aveva coniato il termine ha espresso successivamente rammarico. Il traffico di stupefacenti è stato rifiutato, mentre un maggior numero di posti di lavoro portava come conseguenza anche una riduzione del tasso di criminalità violenta giovanile, facendo crollare gli arresti del 46% dal 1994 al 2005, secondo le cifre federali.

In alcuni Stati si sta quindi riconsiderando la pena a vita senza libertà per gli adolescenti, in altri l’invio dei casi relativi ai minori ad un giudice competente, mentre altri Stati stanno valutando metodi per offrire una seconda opportunità ai ragazzi, una volta incarcerati o anche prima. Ovviamente non manca chi considera prioritaria la sicurezza pubblica e ritiene che tenere dentro i giovanissimi delinquenti sia il miglior modo per tutelarla, opponendosi alle ipotesi di riforma più clementi.

In undici Stati americani, si definisce giuridicamente "juvenile" un minore di 17 anni. In tre Stati, ci si riferisce invece ad una persona sotto i 16. Negli altri Stati ad un minore di18 anni. In base a tale distinzione, i juvenile vengono processati in tribunali minorili e possono essere offerte altre speciali protezioni. Ad esempio, i loro nomi sono tenuti riservati quando accusati di un reato e un genitore o tutore deve essere presente durante l’interrogatorio di polizia. Per molti reati (soprattutto quelli più violenti), l’età in cui un minore può essere processato come un adulto può essere inferiore ai 18 anni di età o (meno spesso) al di sotto del 16 [Gaines, Larry K and Roger Leroy Miller. "Criminal Justice in Action" 4th ed., Thompson Wadsworth Publishing, 2007, pag. 495).

Ogni anno, secondo stime grossolane, circa 200.000 imputati sotto i 18 anni sono inviati direttamente o trasferiti al sistema giudiziario per adulti, noto come giudice penale, invece che al sistema della giustizia minorile. La maggior parte vi finisce perché le leggi dello Stato automaticamente li definiscono come adulti, a causa della loro età o offesa. Il loro numero è cresciuto nel 1990, con l’aumento della delinquenza minorile cui i legislatori di 48 Stati hanno risposto rendendo più facile il loro trasferimento al tribunale penale.

Questi cambiamenti hanno dato maggiori poteri ai pubblici ministeri (che possono trasferire i bambini senza l’autorizzazione di un giudice), abbassato l’età o ampliato l’elenco dei reati che renderebbero obbligatorio il processo penale. Altri Stati hanno adottato altre misure svantaggiose per i minori incriminati. Oggi circa la metà degli Stati sono coinvolti nella riforma della giustizia minorile, valutando l’ipotesi di tenere un maggior numero di bambini fuori dal sistema per adulti, fornendo più servizi di salute mentale e migliorando le condizioni di detenzione nei centri (dove peraltro si sono registrati numerosi abusi ai danni di minori).

Un sondaggio nazionale sull’ipotesi di rilascio e reinserimento degli adolescenti nella società ha trovato maggiori consensi che contrarietà. La maggior parte degli intervistati si è mostrata favorevole - in alcuni Stati - a spostare i fondi per tenere in carcere i minori verso i consultori, l’istruzione e la formazione professionale.

In Colorado, il governatore Bill Ritter, ex procuratore distrettuale, ha recentemente costituito un ufficio di clemenza per revisionare i casi di bambini condannati come adulti. Nel 2006, una legge del Colorado aveva già sostituito il carcere a vita per i minori senza rilascio con la possibilità di rilascio sulla parola dopo 40 anni. Una commissione del Senato della California ha invece approvato un piano che offre la possibilità di libertà dopo 25 anni ai ragazzi condannati a vita, mentre in Michigan è al vaglio un pacchetto di leggi che vietano la condanna senza possibilità di rilascio sotto i 18 anni e il processo come adulti ai minorenni.

Nel Connecticut, l’età per i processi "juvenile" è stata portata a 18 anni per la maggior parte dei casi, e i cambiamenti saranno introdotti gradualmente entro il 2010. Altri Stati che stanno studiando miglioramenti nella politica sanzionatoria e carceraria per i minorenni sono Illinois e Wyoming, mentre altri Stati, come il Rhode Island, stanno andando in direzione opposta. Recentemente una commissione di esperti Onu si era pronunciata sottolineando l’esigenza di una maggior considerazione dei diritti dei minori nei processi, con l’eliminazione della pena di morte per i minorenni (negli Usa già giudicata incostituzionale dalla Corte Suprema) con il rinvio a tribunali specializzati per minori, con maggiori garanzie e con provvedimenti penali alternativi o comunque tesi alla rieducazione dei ragazzi condannati.

 

 

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