Rassegna stampa 3 dicembre

 

Giustizia: il pacchetto sicurezza è irrazionale e autoritario

di Sergio Moccia (Ordinario di Diritto penale Università Federico II di Napoli)

 

Il Manifesto, 3 novembre 2007

 

Una parte del primo dei quattro disegni di legge che compongono il "pacchetto sicurezza" approvato dal Consiglio dei ministri il 30 ottobre 2007, cioè del ddl recante "disposizioni in materia di sicurezza urbana", è stata trasfusa nel decreto legge 1 novembre 2007, n° 181, che modifica - sull’onda emotiva determinata da un efferato omicidio - il decreto legislativo n° 30/2007, a sua volta emanato in attuazione della direttiva comunitaria n° 38/2004.

Il decreto legge attribuisce ai prefetti il potere di emanare provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di "pubblica sicurezza"; e stabilisce che i motivi di sicurezza "sono imperativi" - e quindi legittimano l’espulsione anche di quei cittadini dell’Ue che abbiano soggiornato almeno dieci anni in Italia o siano minorenni - "quando il cittadino dell’Unione o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza".

Ora, a meno di voler riproporre risalenti "frodi delle etichette", è evidente che le espulsioni appaiono configurare provvedimenti sostanzialmente penali, contrasta con il principio di legalità sub specie determinatezza, art. 25 co. 2 Cost., la vaghezza di motivi di "pubblica sicurezza", così come il riferimento a "comportamenti" che non si traducano in reati: anche il mero vivere con i propri familiari in una baracca "compromette la tutela della dignità umana"! Gravissima risulta, poi, la previsione della possibilità di un’espulsione legata alla condotta di "un suo familiare": secondo l’art. 27 co. 1 Cost, infatti, "la responsabilità penale è personale", e non può, quindi, assolutamente connettersi al fatto altrui.

Relativamente alle ulteriori disposizioni contenute, secondo le informazioni reperibili sul sito web del Governo, nel disegno di legge recante "disposizioni in materia di sicurezza urbana", va posto in evidenza il carattere simbolico di alcune pretese innovazioni. Si afferma di voler delineare "una nuova fattispecie di reato - l’impiego di minori nell’accattonaggio [...]".

In realtà il fatto, come descritto nel ddl, è già contemplato dall’art. 671 c.p. L’innovazione consiste solo nell’inasprimento della sanzione, con la trasformazione da contravvenzione punibile con l’arresto da tre mesi ad un anno in delitto punibile con la reclusione "fino a tre anni". Per di più, non essendo indicata la nuova pena minima, la formula "fino a tre anni" comporta che essa sia di soli quindici giorni.

Ancora, "si introduce la perdita della potestà del genitore - e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente l’amministrazione di sostegno, alla tutela ed alla curatela - nel caso in cui i reati di riduzione o mantenimento della schiavitù, tratta di persone e acquisto e alienazione di schiavi siano commessi dal genitore o dal tutore".

A ben vedere, sia l’interdizione perpetua, sia una lunghissima sospensione della potestà genitoriale risultano già dall’applicazione delle norme vigenti. Infatti, gli artt.600, 601 e 602 c.p. prevedono la pena della reclusione da otto a vent’anni e l’art. 600 sexies c.p. prevede un aumento della pena "dalla metà ai due terzi" quando il fatto è commesso da un ascendente del minore o da un parente "fino al quarto grado collaterale", dal tutore età.

L’articolo 2 del ddl prevede, poi, "l’applicazione di aggravanti ai maggiorenni nel caso in cui il reato viene compiuto con la partecipazione di un minore di anni 18"; ma anche stavolta, aumenti di pena sono già previsti dagli artt. 111 e 112 co. 1 n. 4 e co. 2 c.p.

Quanto alle violazioni dei principi costituzionali, preoccupa l’attribuzione al sindaco della facoltà di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli per la "sicurezza urbana". In tema di aggravanti speciali per il danneggiamento di immobili, risulta gravemente indeterminato il concetto di "pregiudizio al decoro urbano", che rende possibili inasprimenti sanzionatoli basati su incerte valutazioni estetizzanti, che possono ben coprire mere forme di intolleranza.

Nel disegno di legge recante "disposizioni in tema di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena", appare innanzitutto irragionevole il "forte" inasprimento della pena previsto per l’omicidio e le lesioni colpose commessi in "rilevante stato di ebbrezza" o di stupefazione: se, infatti, la guida in tali condizioni può costituire una colpa gravemente colposa, al pari di altre, come ad esempio una guida in pieno centro urbano a velocità di cinquanta chilometri orari superiore a quella consentita, non si comprende perché solo quel tipo di colpa determini l’aumento di pena. A meno che non si voglia esasperare il trattamento sanzionatorio secondo i dettami della teoria del tipo d’autore - in questo caso quelli dell’alcoolista e del tossicomane - assecondando parametri assiologici poco presentabili per uno. stato di diritto.

Sul versante degli interventi di diritto processuale, risulta inquietante l’estensione delle misure cautelari e specialmente della custodia cautelare, che, in base alla presunzione di non colpevolezza sancita dall’ art.27 co. 2 Cost., dovrebbe costituire l’extrema ratio. Il disegno di legge prevede, infetti, la possibilità di applicare misure cautelari sulla base del "concreto e attuale" pericolo della commissione di reati per cui è previsto l’arresto in flagranza, anche se si procede per un reato di specie diversa e non connotato dall’uso di armi o violenza alla persona: gli elementi fondanti il giudizio di pericolo appaiono vaghi, giacché se si fosse in presenza di atti idonei ed univocamente diretti a commettere un delitto, vi sarebbe già un tentativo.

Ma allora, vi è il rischio di malcelate presunzioni di pericolosità sociale di autori che dovrebbero, al contrario, presumersi innocenti. Non meno inquietante è l’estensione delle ipotesi derogatorie di "cattura obbligatoria", salvo una diabolica prova contraria, per un indefinito novero di reati "di maggiore incidenza sulla sicurezza dei cittadini": tra gli esempi riportati figura anche il furto in appartamento.

Giustizia: Barbagli; il pacchetto sicurezza? risposta simbolica

 

Redattore Sociale, 3 novembre 2007

 

Secondo il docente di sociologia la paura della criminalità "non è influenzata dai media o dall’orientamento di un governo".

Quali sono le origini profonde della paura della criminalità? Cosa ha spinto il mondo politico, in Italia, a scegliere, in modo forse precipitoso, soluzioni drastiche - come il recente "pacchetto sicurezza" approvato dal Governo - contro la delinquenza? È stato questo il cuore della discussione del primo dibattito dell’edizione 2007 del seminario di formazione per giornalisti organizzato dall’agenzia Redattore sociale. Marzio Barbagli, docente di sociologia alla facoltà di Scienze statistiche dell’Università di Bologna ed esperto di sociologia della devianza, ha svolto la sua analisi sul tema a partire dal titolo "Era ora! Analisi dell’improvviso successo della tolleranza zero".

"La paura della criminalità che la società esprime non è influenzata, in primo luogo, da quello che i media dicono o dall’orientamento che un governo esprime - ha spiegato Barbagli -. E credo anche, a differenza di molti miei colleghi sociologi, che la popolazione italiana non abbia paura degli immigrati in quanto diversi e che gli immigrati non siano causa dell’aumento della paura della criminalità.

Diversamente da quanto si potrebbe pensare, inoltre, ci sono reati gravi che non influenzano affatto la paura della criminalità: ad esempio i cosiddetti reati dei "colletti bianchi", quelli delle speculazioni finanziarie e dei falsi in bilancio. I reati dei potenti non danno alcun senso di preoccupazione alla gente. Non è tanto la gravità del reato ma la sua frequenza che aumenta la paura - ha continuato Barbagli -.

Ci sono comportamenti che non sono di per sé reati ma che aumentano la paura del crimine perché sono frequenti e sono delle violazioni delle norme condivise che regolano l’uso degli spazi pubblici. In questo senso è fondamentale il concetto di "degrado": il degrado degli spazi sociali comuni, che implica un mancato rispetto di norme di convivenza sociale, genera insicurezza perché dà l’idea che ci sia un crollo delle norme morali condivise. E questo porta ad un aumento della paura della criminalità".

Le proteste dei sindaci in questo senso sono emblematiche: "I sindaci non capiscono del tutto quello che sta avvenendo - ha spiegato Barbagli -. Credo che il pacchetto sicurezza che hanno chiesto di approvare al Governo molti primi cittadini non sia adeguato, e per vari motivi. Ma va capito che si tratta di una risposta simbolica contro il degrado, per far capire alla popolazione che la si sta prendendo sul serio".

Contro la criminalità sono più efficaci le soluzioni "fredde" delle soluzioni "calde". Ovvero i provvedimenti tecnici, privi di una forte componente ideologica, capaci però di dare scacco alle occasioni di illegalità. "In Italia, fin dai primi del ‘900 si è imposto il concetto di prevenzione sociale: ovvero il fatto che il numero dei reati dipenda dal livello di povertà sociale del Paese. Se si diminuisce la povertà, questa la tesi, allora diminuirà anche il tasso di criminalità.

Tuttavia questa idea non è scientificamente provata - spiega durante il suo intervento al seminario di "Redattore Sociale" Marzio Barbagli, docente di sociologia alla facoltà di Scienze statistiche dell’Università di Bologna ed esperto di sociologia della devianza-; è invece vero che aumenta il numero dei reati con l’aumentare delle occasioni lasciate ai cittadini di agire in modo criminale.

Allora occorrono sempre di più strumenti di "prevenzione situazionale" non di prevenzione sociale; ovvero strumenti capaci tecnicamente di contenere le attività criminali; molti studi scientifici dimostrano come i crimini diminuiscano semplicemente al diminuire delle occasioni di commetterli - continua Barbagli -. Il modo in cui vengono costruite le autoradio oggi, ad esempio, implica una impossibilità di rivenderle una volta rubate.

E questo ha costituito una forma di "prevenzione situazionale" che ha efficacemente fatto crollare i furti di autoradio. Ancora: dal 1991 in Italia sono diminuiti in modo progressivo i furti d’auto; rubare automobili non è più remunerativo e quel tipo di reato non viene più commesso. L’affermarsi progressivo delle carte di credito e la limitazione del contante è una strada efficace e semplice per diminuire le rapine; e rimane esemplare la politica utilizzata dalla amministrazione di New York per scoraggiare i 6mila writer che dipingevano le carrozze della metropolitana.

Ogni carrozza dipinta veniva immediatamente tolta dalla circolazione e dopo alcuni giorni, reintrodotta ripulita. Nessun writer aveva occasione di far "viaggiare" in città, e mettere in mostra, le proprie opere. Nel giro di cinque anni la pratica dei writer è stata completamente debellata. Le forme di prevenzioni situazionali hanno il grande vantaggio - precisa Barbagli - di non alimentare inutilmente la retorica politica".

Un’altra soluzione che può diminuire la paura della criminalità è l’aumento del tasso di relazioni sociali: "Tante più sono le persone che conosco nella mia zona, tanto maggiore è il grado di controllo sociale che posso esercitare - conclude Barbagli - e tanto minore è la paura che posso avere di possibili gesti criminali".

Giustizia: Seac; - custodia cautelare e + misure alternative

 

Ansa, 3 novembre 2007

 

Le misure alternative alla detenzione in carcere come esigenza fondamentale non solo per evitare il sovraffollamento negli istituti, ma soprattutto come punto di partenza per il reinserimento dei detenuti nella società civile. Abbassare inoltre la percentuale di custodia cautelare in carcere. Sono i punti fermi che vengono fissati oggi a Roma nell’ultima giornata del Convegno delle Associazioni di Volontariato Penitenziario - Seac.

"Le 30 mila persone che oggi sono sottoposte a misure alternative - ha detto Celso Coppola, del Seac - corrispondono a 60 istituti penitenziari di media capacità (500 persone circa) che dovrebbero esistere se queste persone dovessero, invece, scontare la pena in carcere". Il Seac denuncia ancora la fase approssimativa dell’attuazione dei programmi per le misure alternative: "basti pensare - ha detto Coppola - che in bilancio del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria solo il 3-4 per cento delle risorse è dedicato alle misure alternative (compreso il personale) e il resto invece alle spese per gli istituti".

Una voce di solidarietà ma anche fuori dal coro viene dal magistrato di sorveglianza di Roma, Paolo Canevelli, che ha definito illusorio pensare sia sufficiente l’applicazione delle misure alternative. Per il magistrato, infatti, "se vogliamo evitare di tornare, dopo l’indulto, a 60 mila presenze negli istituti è necessario intervenire sulla custodia cautelare - ha detto Canevelli - nei nostri istituti, infatti, il 60% dei detenuti sono in custodia cautelare, un’anomalia del nostro Paese.

Un problema che non è risolvibile solo con gli arresti domiciliari perché mancano le risorse per sostenere le persone ai domiciliari". Le misure alternative - secondo Canevelli - non funzionano anche per i tempi brevi di pena (dagli 8-10 mesi) a cui sono sottoposti i detenuti: "Non ci sono i tempi tecnici per fare e concludere le osservazioni, per non parlare poi dei cumuli di pena che allungano i tempi di carcere". Accrescere il numero degli educatori e dei mediatori culturali è inoltre l’ulteriore richiesta che il magistrato ha fatto al ministero della Giustizia.

Giustizia: iniziato sciopero della fame con 775 ergastolani

di Davide Varì

 

Liberazione, 3 novembre 2007

 

E dire che prima dell’indulto - meglio, prima delle polemiche furibonde successive l’indulto - l’idea di abolire l’ergastolo era tutt’altro che tabù. Giuliano Pisapia lo aveva anche inserito nel progetto di riscrittura del nuovo codice penale. E Clemente Mastella, il guardasigilli, si era detto "possibilista". Ma poi, una volta approvato l’indulto, più nulla. Anzi, di lì in poi il dibattito politico intorno alla giustizia ha subito una virata giustizialista senza precedenti: certezza della pena, sicurezza e galera sono infatti diventate le parole d’ordine della politica e dei media nostrani.

E loro, gli oltre mille detenuti condannati all’ergastolo, di fronte a questo vuoto, non hanno potuto far altro che proclamare uno sciopero della fame. Settecentocinquantacinque "fine pena" non mangiano da ieri. Quaranta hanno annunciato uno sciopero ad oltranza, "non abbiamo nulla perdere - hanno fatto sapere - nulla da perdere se non le nostre catene".

Sono 50 gli istituti di pena coinvolti e 10mila persone tra familiari e associazioni appoggiano l’iniziativa. Tra loro anche Francesco Caruso, di rifondazione, che partecipa personalmente allo sciopero della fame dal carcere di Catanzaro: "Si tratta di una mobilitazione senza precedenti, in quanto vede coinvolti la maggior parte degli ergastolani attualmente detenuti.

Lo sciopero della fame - ha continuato Caruso - si pone l’obiettivo di riaprire la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, una campagna che rischia di finire stritolata nel clima securitario di questi ultimi mesi, e per questo motivo gli ergastolani hanno scelto di mobilitarsi in prima persona, senza aspettare o delegare i tempi della politica: non è un caso che le proposte di legge sull’abolizione dell’ergastolo, che mirano a tramutare l’ergastolo in 30 anni di carcere, ancora non vengono calendarizzate in Parlamento e per questo motivo alcuni ergastolani hanno scelto di procedere allo sciopero ad oltranza fino alle estreme conseguenze per accendere i riflettori sulla loro condizione, dilazionata nel tempo, di "condannati a morte"".

"Ci sono state - conclude il parlamentare di rifondazione - e ci saranno inoltre presidi e manifestazioni all’esterno delle carceri affinché la protesta degli ergastolani riesca ad avere visibilità e voce oltre le mura e le sbarre delle carceri nelle quali rischia di restare relegata, nell’indifferenza generale della società e della politica. Si va dal presidio di lotta dei centri sociali calabresi fuori del carcere di Catanzaro alla veglia di preghiera indetta all’esterno del carcere di Spoleto dalla Comunità Papa Giovanni XXIII di cui Don Oreste Benzi è stato il fondatore".

Vittorio Antonini, detenuto e vicepresidente dell’associazione Papillon Rebibbia, aderisce alla richiesta di abolizione ma con alcuni distinguo: "Noi sosteniamo la battaglia degli ergastolani, ma per ottenere la riduzione secca dell’ergastolo a 30 anni. Devo dire - ha aggiunto - che non ci piacciano affatto le proposte di legge che prevedono l’abolizione dell’ergastolo che lo ricondurrebbero a pene variabili tra i 32 ai 38 anni.

In alternativa crediamo che bisognerebbe almeno arrivare all’applicazione delle leggi oggi vigenti: penso alla condizionale da assegnare a tutti gli ergastolani che abbiano raggiunto il limite minimo che oggi è di 26 anni, tranne che nei casi in cui sia manifestamente provato il legame con la criminalità organizzata".

Giustizia: la storia degli scioperi della fame tra i detenuti

di Maurizio Mequio

 

www.alternativamente.info, 3 novembre 2007

 

A ventisei anni dalla morte di Bobby Sand e a nove mesi dalle concessioni a Juana Chaos è rilanciato il tema dello sciopero della fame nelle carceri europee. Il 1° dicembre anche in Italia i detenuti hanno iniziato una significativa protesta, 750 ergastolani e 10.000 persone, tra detenuti comuni, familiari e politici hanno smesso di mangiare.

"Mai dire mai", titolo della campagna per l’abolizione del carcere a vita, è un grido di allarme sullo stato delle carceri e soprattutto un’ estrema richiesta di poter disporre della propria vita.

La lettera dell’ergastolano Carmelo Masumeci, affidata ad Internet, ha fatto eco. E con i compagni di Spoleto ha così spiegato la sua scelta: L’ergastolano non può guardare in faccia il futuro può solo guardare il tempo che va via. Gli ergastolani non hanno futuro, tirano a fare sera e a fare mattino. Gli ergastolani più fortunati riescano a sognare: i nostri sogni sono le uniche certezze della nostra vita e spesso sogniamo di riuscire ad avere un fine pena. Molti di noi se potessero scegliere preferirebbero morire subito, adesso, in questo momento, piuttosto che nel modo orribile, progressivamente e infinitamente spaventoso di morire tutti i giorni.

Sono diverse le adesioni illustri. Per la prima volta anche dei detenuti accusati di terrorismo islamico sono solidali con le proteste nelle carceri italiane. La senatrice Botta di Rifondazione Comunista riconosce il diritto di protestare dei detenuti e avverte che i direttori delle carceri non hanno alcuna facoltà di impedirglielo con la nutrizione coatta. La World Medical Association ha vietato infatti la nutrizione forzata di chi è in sciopero della fame con la Dichiarazione di Tokyo del 1975 e la Dichiarazione sullo sciopero della fame del 1991. L’uso di sonde gastriche è permesso esclusivamente in caso di coma o di problemi mentali.

La storia di tale manifestazione di dissenso, espressa sul proprio corpo, è legata all’Irlanda, dove in epoca pre-cristiana ha avuto inizio il suo corso con la pratica del Troscad. È stata riproposta dai repubblicani nel ‘17 e poi nel ‘20 durante la guerra Anglo-Irlandese.

Tra il 1980 ed il 1981 ci furono altri due scioperi nel carcere nordirlandese di Long Kesh, contro la revoca del governo inglese dello stato di prigionieri di guerra per i prigionieri militanti dell’IRA e dell’INLA. Dei dieci che persero la vita il primo fu Bobby Sand. Condannato a 14 anni per possesso di arma da fuoco e sospettato per un attentato, morì all’età di 27 anni, dopo 66 giorni di digiuno.

Un caso recente dai risvolti completamente diversi mantiene un forte dibattito in Spagna, è quello di Juana Chaos. Militante dell’ETA fu condannato a 2500 anni di carcere. Per il codice penale franchista del 1973, sulla base del quale avvenne il primo processo, il limite di pena era di 30 anni. Periodo sul quale è possibile calcolare sconti di pena e benefici. In conformità alle leggi, dopo 18 anni di reclusione, Chaos aveva pagato il suo debito con la giustizia.

Ma alla vigilia della sua scarcerazione è stato nuovamente condannato a 12 anni di reclusione. In due articoli di opinione pubblicati sul quotidiano Gara aveva denunciato le condizioni dei membri dell’Eta in carcere, pronunciando quelle che sono state considerate minacce contro il personale carcerario.

Il 7 novembre 2006 inizia un lungo sciopero della fame, che terminò soltanto il 28 febbraio 2007, dopo aver perso 27 chili ed aver ottenuto la concessione della "prigione attenuata". Il 12 febbraio del 2007 la Corte Suprema aveva ridotto a tre anni la pena. L’uomo è rimasto in vita perché è stato alimentato forzatamente con una sonda dal 12 dicembre al 12 febbraio, giorno in cui se l’è staccata. Il 6 giugno è stato trasferito nella prigione di Aranjuez, dopo aver minacciato di ricorrere nuovamente al digiuno perché controllato con uno strumento elettronico.

L’opinione pubblica spagnola e le aperture governative sono andate di pari passo con le diverse fasi del delicato rapporto con il movimento basco. Considerato dalla maggioranza degli spagnoli, che ha manifestato anche contro la posizione di Zapatero, un omicida pericoloso e terrificante per non essersi mai pentito, è un eroe per la comunità basca e un prigioniero politico per la stampa internazionale.

Lo sciopero della fame, utilizzato anche da alcuni detenuti di Guantanamo, è e resta "dietro le sbarre" una strada praticabile per comunicare al mondo esterno il proprio disagio. La vita di un essere umano è comunicare con l’esterno, con altre persone. Poter disporre un giorno di luoghi non controllati, di pieni diritti, della propria vita. Al di là di ogni logica politica, dei singoli casi, l’ergastolo oggi è una negazione di possibili orizzonti di ripresa.

In quei giorni, mesi, anni, vite, di detenzione il proprio corpo è uno strumento di vita praticabile. Su cui scrivere, incidere, togliere, rielaborare i propri pensieri. È una via estrema eppure un diritto, che dietro il paradosso del rischio di autonegazione di vita - non alimentarsi- tenta un dialogo. Che lo sciopero della fame annulli la pena è impensabile e non pensato, ma che richiami l’attenzioni sulla tipologia delle pene, che apra una discussione sull’incompletezza delle tecniche di recupero attuate nelle carceri è stato ed è forse possibile. L’uomo non deve essere condannato a negarsi la vita ma a recuperarsi per la vita.

Giustizia: An; siamo contrari all'abolizione dell’ergastolo...

 

Ansa, 3 dicembre 2007

 

"Ora più che mai è necessario che venga mantenuta la pena dell’ergastolo per assicurare la certezza della espiazione per tutti coloro che si sono macchiati di crimini efferati e per tutti i boss mafiosi che hanno commesso stragi e omicidi".

A dichiararlo è Salvino Caputo, Presidente del Gruppo Parlamentare di Alleanza Nazionale che ha anticipato la presentazione di una mozione per impegnare il Governo a mantenere l’ergastolo e ha avviato una raccolta di firma per dire no a ogni modifica della pena definitiva.

L’Iniziativa del parlamentare di Alleanza nazionale scaturisce dalla decisione di alcuni detenuti ristretti in diverse carceri italiane, di avviare lo sciopero della fame per chiedere la cancellazione dell’ergastolo, iniziativa sostenuta anche da un parlamentare di estrema sinistra. " In un momento in cui - ha affermato Salvino Caputo - i cittadini chiedono maggiore sicurezza e certezza della pena e dall’altro lo Stato sta incassando risultati straordinari contro i boss di Cosa nostra, eliminare l’ergastolo rappresenterebbe un incomprensibile passo indietro contro criminali e assassini. È necessario invece avviare iniziative per ridurre benefici e sconti che ogni giorno consentono scarcerazioni e fine pene."

Giustizia: su regime 41-bis dure critiche anche dalla Spagna 

di Giulio Petrilli (Componente Gruppo Carceri del Prc)

 

Asca, 3 dicembre 2007

 

Su El Pais, il maggior quotidiano spagnolo, qualche giorno fa c’è stato un importante e significativo reportage - articolo sul 41 bis e suoi effetti. Nello stesso si ripercorre la sua istituzione nel 1992, tutte le norme restrittive e la sua finalità che anche per l’articolista sono quelle esclusivamente punitive e tese a far collaborare gli imputati.

Nell’articolo molto analitico ci sono anche i giudizi sul 41 bis da parte della Corte Europea dei diritti umani che ha considerato questa norma una violazione dei diritti fondamentali in particolare nell’art. 6 e nell’art. 8 che prevede il rispetto anche per chi è detenuto della vita privata e della famiglia, proibire come lo fa il 41 bis il contatto fisico nei colloqui con il vetro anche con i figli piccoli ne è un esempio.

Nel corso dell’articolo ci sono dichiarazioni ed interviste all’avv. Giuliano Pisapia presidente della commissione per la riforma del codice penale e all’avvocato Luca Cianferoni difensore di diversi imputati in 41 bis (tra i quali Salvatore Riina) che concordano nel valutare come puramente vessatorie molte delle norme tese a convertire gli imputati alla collaborazione.

Oltre a loro due l’articolista cita l’impegno e le dichiarazioni di Giulio Petrilli, componente gruppo di lavoro nazionale carcere Prc, contro questa norma, le sue visite nei carceri a 41 bis e le susseguenti denunce di questo isolamento totale e prolungato che è una forma di tortura moderna, inoltre viene posto l’accento sulle durissime condizioni in cui versano le cinque detenute in Italia sottoposte a questo regime nelle carceri de L’Aquila e di Roma-Rebibbia.

Giustizia: gli Opg devono chiudere, subito!

di Francesco Caruso (deputato Prc-Se)

 

Liberazione, 3 dicembre 2007

 

È ormai da oltre un decennio che chi si occupa di questioni di carcere,reclusione e sofferenza della mente ha cercato di far chiudere quell’oscenità che si chiama Manicomio criminale di Napoli.

È ormai da oltre un decennio che chi si occupa di questioni di carcere,reclusione e sofferenza della mente ha cercato di far chiudere quell’oscenità che si chiama Manicomio criminale di Napoli. Da qualche decina di anni si chiamano Ospedali psichiatrici giudiziari, ma a cambiare da allora è stata solo la targa all’esterno.

Negli ultimi anni abbiamo organizzato iniziative, ispezioni, interrogazioni parlamentari per denunciare che il quel luogo gli internati venivano tenuti in condizioni disumane, con livelli di assistenza medico-psichiatrica indecenti, con un sistema dei servizi di cura e riabilitazione assolutamente inconsistente, con un uso sistematico ed illegittimo delle forme più estreme di coercizione.

Tre anni fa, alla fine di una ennesima campagna di denuncia di questa situazione, fu necessario un provvedimento di grazia del Presidente della Repubblica per scarcerare Vito De Rosa, un internato che stava rinchiuso lì dentro da 50 anni perché chi in quel posto si doveva occupare del suo diritto ad essere curato e restituito alla vita, per 50 anni l’aveva semplicemente abbandonato. Vito fu scarcerato perché ci preoccupammo di trovargli un luogo dove poter vivere, un servizio di salute mentale che lo potesse aiutare, un servizio sociale che lo sostenesse economicamente. In un paio di mesi riuscimmo a restituire alla vita una persona che era stata condannata dalla magistratura di sorveglianza, dal personale psichiatrico ed educativo dell’Opg di Napoli a morire in un manicomio.

La penultima puntata di questo psicodramma si è svolta la scorsa estate. Con una serie di lettere gli internati dell’Opg di Napoli ci chiesero di andare a visitare quel posto. Una struttura medioevale, più precisamente un ex-convento risalente ai primi del ‘500, con evidenti problemi di tenuta statica di intere parti dell’edificio. Puzzo di piscio e di merda, celle disadorne, sporche, con fili elettrici penzolanti, infermieri che denunciavano di non avere neanche i guanti e le siringhe, internati legati ai letti di contenzione per settimane, e una coeso sistema di interessi di medici, psichiatri e consulenti che su quel posto vive, fa carriera e produce visibilità e prestigio professionale. Un luogo d’inferno dove gli unici che hanno mostrato almeno vergogna per l’inumanità delle condizioni di vita in cui vengono tenuti gli internati sono stati gli agenti di polizia penitenziaria, gli infermieri, se non altro perché costretti a condividere le stesse condizioni di abbrutimento e degrado dei "prigionieri".

Stavolta sembrava veramente che questo cimitero dei diritti venisse chiuso e invece nel mese di luglio di quest’anno il sottosegretario alla giustizia Manconi si recava in visita al Manicomio criminale di Napoli per annunciare ai medici, agli psichiatri, agli infermieri e agli educatori che il ministro Mastella aveva deciso di stanziare 3 milioni di euro per tenere in piedi quella cloaca (si tratta di non più di 150 famiglie di lavoratori elettori, poca roba direbbe qualcuno, ma da non sputarci sopra in un tempo in cui le battaglie elettorali e sindacali si fanno di nuovo occultando i certificati di morte del nonno o della zia). Abbiamo perso!

Il 19 novembre 2007 notizie di stampa rivelano che, in seguito ad un’indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Napoli, l’amministrazione penitenziaria è stata costretta a proporre al ministro Mastella la delocalizzazione dell’Opg di Napoli, perché una perizia tecnica ne ha accertato un pericolo di crollo delle strutture ed una relazione della Asl Na1 ha per l’ennesima volta dichiarato illegittime le condizioni dell’assistenza sanitaria di quel posto. Nello stesso giorno un’assemblea indetta dai sindacati interni si oppone alla chiusura sostenendo, tra l’altro, che: "Per il clima di serenità esistente, per le attività trattamentali conseguite nonostante i disagi creati dalla mancanza di personale di Polizia Penitenziaria costituisce "un’isola". Questo documento è firmato da tutte le organizzazioni sindacali che hanno rappresentanza nell’Opg di Napoli, dal sindacato "di destra" Sappe, a Cgil - Cisl e Uil: un manualistico esempio di unità nazionale.

La politica che sogna un governo istituzionale impari: unisce più il privilegio del ragioniere di fare un salto dal meccanico quando termina le sue sei ore lavorative o quello della psichiatra di passare dal suo estetista prima di andare al lavoro, che una battaglia per la tutela della dignità umana e del diritto alla salute di un sofferente psichico. Ora il rischio è la deportazione degli internati all’interno del carcere di Secondigliano, cioè dalla padella alla brace: per questo è arrivato il momento di affrontare una volta per tutte la questione della decarcerizzazione del disagio mentale, la chiusura di questi manicomi che a distanza da 30 anni dalla legge Basaglia sono ancora aperti e l’affidamento ai dipartimenti di salute mentale.

Lo vogliamo scritto nero su bianco nel collegato alla finanziaria sulla riforma del servizio sanitario nazionale. E questa volta non dobbiamo semplicemente minacciare il voto contrario per poi, spalle contro al muro, accettare eventuali compromessi al ribasso. Questa volta per portarci alla camera a votare, dovranno venire i ministri e poliziotti a prenderci uno per uno, deputati e relativi attivisti entrati negli Opg come collaboratori, nei sei manicomi criminali, e slegarci da quei letti dell’orrore dove gli internati trascorrono anche settimane e settimane con le mani, il torace e i piedi legati a queste brande di coercizione con il buco al centro per fare i propri bisogni.

Autoreclusi e autolegati come atto estremo di protesta e di disobbedienza. Dovranno venirci a prendere e vedere con i propri occhi l’orrore che si cela dietro quelle sbarre, perché all’ergastolo bianco della non imputabilità si sostituisca finalmente dopo più di un secolo la cura, l’assistenza e infine anche, addirittura, la libertà.

Giustizia: Forze dell’Ordine; 69 milioni di euro in più per 2008

 

www.interno.it, 3 dicembre 2007

 

Amato: "Mi sto personalmente impegnando perché la Camera migliori gli stanziamenti, puntando in particolare su tre capitoli: una integrazione dei fondi per gli straordinari, più risorse per il rinnovo del parco mezzi, nuove assunzioni". In occasione della manifestazione delle Forze dell’Ordine che si è svolta oggi a Roma, il ministro dell’Interno Amato ha dichiarato quanto segue.

Dichiarazione del Ministro Amato: "La manifestazione di oggi pone questioni reali, perché le risorse finanziarie per gli uomini e i mezzi delle forze dell’ordine sono un elemento essenziale per quell’elevato livello di sicurezza che il Governo si è impegnato a garantire ai cittadini. Il Viminale ha da tempo avviato una riorganizzazione interna per riqualificare e rendere più produttiva la spesa. Ma questo non può bastare. E la Finanziaria non potrà non tenerne conto.

I soldi per la pubblica sicurezza, dopo le modifiche approvate al Senato sul testo originario presentato dal Governo, sono senza dubbio insoddisfacenti (i fondi sono in linea con quelli della scorsa Finanziaria). Mi sto personalmente impegnando, perciò, perché la Camera migliori gli stanziamenti per le forze dell’ordine, puntando in particolare su tre capitoli: una integrazione dei fondi per gli straordinari, più risorse per il rinnovo del parco mezzi, nuove assunzioni. Ringrazio in questo senso i colleghi parlamentari dell’opposizione che anche oggi hanno espresso il loro convinto intendimento di sostenermi a questo fine.

La manovra va giudicata alla fine del suo percorso parlamentare. Ed è sicuramente un primo risultato importante l’aver ottenuto, come ha garantito ieri il relatore alla Finanziaria alla Camera, 69 milioni di euro per il ripristino dei fondi per gli straordinari per le forze di sicurezza. Sulla questione dell’articolo 36, infine, sarà garantito il massimo coinvolgimento dei sindacati sulla riorganizzazione cui si sta lavorando. Si procederà concertando con i diretti interessati le soluzioni da adottare".

 

Migliaia di poliziotti in corteo a Roma e Milano

 

Migliaia di agenti delle forze dell’ordine hanno sfilato in corteo a Milano e Roma per chiedere più fondi e mezzi per la sicurezza. Alla manifestazione, organizzata dai sindacato autonomi di polizia, hanno aderito anche gli uomini della polizia penitenziaria e della forestale. Il corteo, partito a Milano da piazza Oberdan, ha percorso le vie del centro passando anche davanti alla questura e alla prefettura.

Gli agenti contestano la scarsità di fondi previsti nella legge Finanziaria e denunciano carenze di organico (circa 9mila gli uomini in servizio mentre ne servirebbero almeno 800 in più), carceri sovraffollate e scarsezza di mezzi.

"I cittadini devono essere difesi - hanno sostenuto i sindacalisti - e i poliziotti devono essere messi in grado di farlo". In corteo, insieme agli agenti, esponenti di Alleanza Nazionale, dal vice sindaco Riccardo De Corato, il presidente dei deputati del partito, Ignazio La Russa.

"Mi sto personalmente impegnando perché - ha detto il ministro dell’Interno Giuliano Amato - la Camera migliori gli stanziamenti per le forze dell’ordine, puntando in particolare su tre capitoli: una integrazione dei fondi per gli straordinari, più risorse per il rinnovo del parco mezzi, nuove assunzioni" Dal governo sono stati previsti 69 milioni di euro in più per il ripristino dei fondi per gli straordinari. "Ma non c’è dubbio - ha ribadito Amato - che dovremmo migliorare". Ma i sindacalisti della categoria ribattono: "Sono insufficienti. Per loro "serve una sostanziale riforma dei contenuti in tema di sicurezza".

Aversa: Opg; l’internato ritrovato morto si era suicidato

 

Caserta Oggi, 3 dicembre 2007

 

È stato un suicidio, è questo il risultato della visita autoptica che è stata effettuata ieri mattina sul corpo del detenuto Antonio Romanelli, il 56enne nato a Santi Cosma e Damiano in provincia di Latina che da circa un anno era rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Ricordiamo che l’uomo è stato trovato venerdì mattina nel letto della sella in cui era rinchiuso insieme ad altri detenuti ed al mattino è stato scoperto il suo cadavere quando la guardia era andato ad aprire la cella ed aveva intimato gli ospiti di uscire, lui era riverso nel suo letto come se stesse dormendo.

Nessuno si era accorto di niente durante la notte, nemmeno un rumore o forse è stato un disinteressamento voluto. Fatto sta, che l’uomo durante la notte, mentre gli altri dormivano, si è stretto al collo la camicia e si è strangolato. L’uomo era detenuto per aver ucciso in un raptus di follia, uno dei figli e la moglie, accusa per la quale ancora non era finito il processo a suo carico. Probabilmente in tutto questo tempo, si è potuto rendere conto del suo malsano gesto e delle ripercussione che ha avuto, ed è nato in lui un profondo senso di colpa con il quale non si sentiva più di vivere.

Aveva distrutto la sua famiglia, il giudizio degli altri due figli rimasti probabilmente era divenuto insopportabile, lui con tutto ciò non poteva continuare a vivere, nonostante l’apparenza tranquilla, nel suo cuore c’era un mare agitato, un malessere senza fine. Ma la parola fine l’ha voluta mettere lui in modo drammatico, ancora dolore per i due figli che non trovano pace, ancora una morte assurda che li ha scossi e non regala loro alcuna serenità. Il corpo di Antonio si trova ancora nel reparto di medicina legale del nosocomio casertano in attesa che vengano svolte le pratiche per tornare a casa ed essere sepolto. L’ultimo atto di una tragedia tremenda.

Nuoro: Garante; a Badu e Carros problemi igienico-sanitari

 

Agi, 3 dicembre 2007

 

Il Garante dei diritti dei detenuti del comune di Nuoro interverrà per affrontare la cattiva situazione igienico-sanitaria del carcere di Badu e Carros, dopo le numerose segnalazioni inviategli. I reclusi sollecitano, in particolare, la necessità di dinfestazioni nei cortili e nei camminamenti, e si lamentano per le condizioni delle docce, del riscaldamento e dei locali comuni. Il garante, Carlo Murgia, ha chiesto provvedimenti per la messa in sicurezza delle situazioni più a rischio e sollecitato l’amministrazione penitenziaria nazionale perché impegni le risorse necessarie ad adeguare la vita nel carcere a un regolamento del 2000.

"Mi farò promotore di un incontro con l’assessore comunale ai Servizi sociali, Graziano Pintori", annuncia Murgia, "e il dirigente sanitario dell’Asl 3 per verificare la fattibilità di un progetto di gestione del rischio sanitario, da condurre in collaborazione con la direttrice della casa circondariale e per concordare un piano d’interventi rispetto alla situazione igienica e strutturale più volte segnalata, sostenendo la direzione del carcere nelle funzioni di erogazione dell’assistenza sanitaria e sociale ai detenuti".

Civitavecchia: cento "posti-branda"… nuovi ma inutilizzati

 

www.radiocarcere.com, 3 dicembre 2007

 

"Nella casa di reclusione di Civitavecchia il Ministero della Giustizia ha ristrutturato una palazzina e ne ha ricavato 100 posti per i detenuti. 100 posti che restano inutilizzati" -.

È quanto afferma Riccardo Arena, che cura la rubrica Radio Carcere in onda su Radio Radicale e pagina sul Riformista, sul sito www.radiocarcere.com. Questa estate" - precisa Arena - "Hanno finito i lavori, costati parecchi soldi pubblici, eppure da allora quelle celle nuove di zecca restano vuote. La polvere si sta ammucchiando e la ruggine ha iniziato a fare la sua comparsa. Insomma, un’altra nuova struttura penitenziaria che non viene usata e il rischio di soldi pubblici buttati."

"Non è chiara ancora la causa di questa grave anomalia" afferma Arena "Qualcuno dice che mancherebbe il collaudo finale, altri dicono che è il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a non assegnare lì i detenuti. Sta di fatto che da mesi la "nuova" palazzina del carcere di Civitavecchia resta vuota. E vuote restano quelle celle nuove."

Roma: mercoledì i dieci anni della Consulta Penitenziaria

 

Adnkronos, 3 dicembre 2007

 

I dieci anni di attività della Consulta Penitenziaria del Comune di Roma verranno celebrati mercoledì attraverso due diverse iniziative. Al Campidoglio si terrà un incontro alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni, i direttori degli istituti penitenziali, centrali del volontariato e della cooperazione sociale, alle ore 9.30 nell’aula Consigliare Giulio Cesare.

Interverranno il sindaco Walter Veltroni, Ettore Ferrara, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Donatella Caponnetti, del dipartimento della giustizia minorile, Gianfranco Spadaccia, garante dei detenuti, Fabrizio Rossetti, responsabile Nazionale Cgil-Fp penitenziaria Donato Capece, responsabile nazionale Sappe, gli assessori Raffaella Milano (Politiche Sociali), Dante Pomponi (Politiche per le Periferie e il Lavoro), Silvio Di Francia (Politiche Culturali), Cecilia D’Elia (Pari Opportunità), più alcuni rappresentanti dei detenuti. Modererà il giornalista Rai, Gianni Anversa.

Nel pomeriggio invece, in tutte le carceri romane, alle ore 16, sono stati programmati spettacoli e proiezioni grazie all’organizzazione dell’assessore alle Politiche Culturali, Silvio Di Francia, la consulta sarà rappresentata dalle organizzazioni del volontariato aderenti che operano all’interno degli istituti e da rappresentanti del Comune di Roma. Nell’arco dei 10 anni di attività, il servizio ha raggiunto una media annuale di 1.200 utenti, seguiti sia all’interno che all’esterno degli Istituti di pena, con l’eccezione del 2006 quando a seguito dell’approvazione del provvedimento straordinario dell’indulto sono stati raggiunti 2200 utenti.

"Stimiamo pertanto - dichiara una nota della Consulta Penitenziaria - di aver raggiunto nei 10 anni d’intervento circa 11.800 persone. Dal 2000 ad oggi il servizio Pid ha segnalato circa 1.500 utenti al V Dipartimento, Ufficio Detenuti ed Ex ed inserito 850 persone nelle strutture ad esse rivolte; 2.700 donne sono state inserite all’interno delle strutture d’accoglienza per mamme con bambini del Comune di Roma; 6.800 utenti sono stati seguiti in collaborazione con l’ Uepe di Roma; 8.000 utenti sono stati segnalati ai servizi territoriali quali: Servizi Sociali Municipali, Sert, Asl, Csm, Col, Centri per l’Impiego, Sportelli legali e di Orientamento per Immigrati, Caritas, Sant Egidio, Chiesa Evangelica".

"Circa 5.000 utenti sono stati inviati a Patronati e Inps; 450 utenti hanno beneficiato di un inserimento lavorativo tramite Borse Lavoro finanziate dai vari Municipi di Residenza o da specifici progetti di reinserimento lavorativo per detenuti ed ex-detenuti - prosegue la nota - A questi numeri vanno aggiunte le migliaia di detenuti raggiunti dalle attività delle 85 organizzazioni che costituiscono la Consulta e si ha un quadro dell’importanza imprescindibile dell’intervento del III Settore in ambito penitenziario. La città di Roma, in questi anni di profonde trasformazioni, ha saputo trovare vie nuove ai problemi urgenti e ineludibili generati dalla globalizzazione e ci sta riuscendo tenendo alto l’obiettivo dell’integrazione e delle opportunità per tutti, nessuno escluso."

"Questo modello - conclude la nota - che interpreta la politica per tracciare i percorsi nei quali si può migliorare la qualità della vita, è stato adottato dalla Consulta penitenziaria che ha condotto fin dentro le carceri le nuove mappe dei diritti e della democrazia, quali strumenti per combattere la criminalità sul terreno della rieducazione e del reinserimento dei condannati".

La popolazione detenuta negli istituti di Roma e provincia, secondo i dati del Ministero della Giustizia, è di 1190 detenuti nel carcere maschile di Rebibbia Nuovo Complesso, 903 nel Regina Coeli, 340 nella sezione femminile di Rebibbia, 220 al carcere restrittivo di Rebibbia, 28 nella III Casa sempre a Rebibbia, 339 nel Casa circondariale di Velletri, 331 uomini e 34 donne a Civitavecchia più 32 nello stesso carcere restrittivo.

Torino: ecco i detenuti pittori del progetto "Oltre le mura"

 

Ansa, 3 dicembre 2007

 

Saranno i detenuti delle carceri di Verbania, Novara e Vercelli i protagonisti della seconda edizione del progetto ministeriale "Oltre le mura, muri d’autore", in programma nel 2008 a Legro di Orta, il paese dipinto dedicato al cinema prodotto in Piemonte. L’iniziativa, promossa dall’associazione Accademia delle Arti e del muro dipinto è stata illustrata al municipio di Orta alla presenza dei direttori delle Case circondariali interessate e del sindaco di Orta insieme al presidente dell’Associazione, Fabrizio Morea.

Il progetto ha ricevuto lo scorso anno il plauso del ministero della Giustizia tanto che ora si è deciso di allargarlo ad altre province. Per l’edizione 2008 l’ Accademia delle Arti si avvarrà anche della collaborazione del Liceo artistico di Novara, sezione di Romagnano Sesia. I detenuti lavoreranno con gli studenti dopo aver imparato le tecniche del colore direttamente in carcere con l’aiuto di istruttori appositamente individuati. Partita nel 2006 come progetto pilota, l’iniziativa sarà patrocinata dall’assessorato alle politiche sociali della Regione Piemonte, ma gli organizzatori auspicano la collaborazione anche delle fondazioni bancarie.

Prato: le "caldarroste solidali" contro la pena di morte

 

Comunicato stampa, 3 dicembre 2007

 

Il 30 novembre, all’interno della Casa Circondariale di Prato, si è svolta una manifestazione di solidarietà promossa dall’Amministrazione Penitenziaria locale ed il Comune di Vernio (PO). L’iniziativa è stata pensata come "gesto di solidarietà" verso i detenuti della Casa Circondariale, all’interno di una cornice di festeggiamenti per "la Festa della Toscana", nel giorno che ricorda l’abolizione della pena di morte.

Non tutti sanno che il Granducato di Toscana è stato il primo Stato che, in epoca moderna, ha proclamato l’abolizione della pena di morte. Infatti è del 30 novembre 1786 la promulgazione della legge di riforma criminale da parte di Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, che aboliva la pena di morte. Il Granducato, considerato già all’epoca una entità statale, si eleggeva a primo Stato al mondo per una visione così illuminata sulla funzione della pena. Oggi, a distanza di ben 221 anni, Paolo Cecconi, Sindaco del Comune di Vernio, ha ricordato come la lungimiranza di quella legge abbia avviato coraggiosamente il cambiamento in tema di legislazione penale e penitenziaria, oggi che molti degli Stati della Comunità Internazionale continuano ancora a tenere in vigore, fra le sanzioni penali, la pena capitale.

La Toscana si distingue quindi per illuminismo e civiltà giuridica. È all’interno di questa cornice che nasce l’idea di "un gesto semplice di solidarietà verso i detenuti", con la collaborazione fra società civile ed Amministrazione Penitenziaria. Alle 14.00 hanno quindi avuto accesso nella Casa Circondariale di Prato 30 volontari coordinati dal Comune di Vernio, che fino alle 18 hanno preparato e distribuito dentro tutte le sezioni dei reparti della Casa Circondariale di Prato le caldarroste ai detenuti. I volontari hanno quindi potuto "vedere" il carcere, aiutati da un gruppo di detenuti, e si sono resi conto delle condizioni di vivibilità dei tre reparti detentivi del carcere. Soprattutto, hanno visto le condizioni dei tanti immigrati detenuti che popolano le sovraffollate sezioni giudiziari dell’istituto di pena (4 su 11), con i detenuti a ringraziare per la presenza di cittadini "solidali" che si sono spesi per un gesto semplice quanto efficace.

Non è certo così che si risolvono i problemi del sistema penitenziario, ma questo piccolo gesto aiuta ad avvicinare il "dentro" al "fuori", a far diminuire la fisiologica barriera che esiste fra il "dentro" ed il "fuori". I volontari hanno lavorato insieme ai detenuti ed insieme a loro hanno distribuito le castagne nelle sezioni, entrambi protagonisti assoluti dell’iniziativa. "Radio Insieme", emittente che trasmette prevalentemente in Val di Bisenzio, ha registrato una trasmissione musicale che ha "colorito" il pomeriggio in carcere, intervistando le Autorità presenti ed alcuni Operatori del penitenziario, per spiegare il senso dell’iniziativa. Oggi che sulla certezza della pena, sui temi "deviati" della sicurezza e della pericolosità sociale, si sprecano dibattiti e show televisivi, questo gesto semplice ha voluto dire che, forse, un altro carcere è possibile, modifiche legislazione permettendo.

Tutto si è svolto con semplicità: sembrava una qualsiasi sagra di paese, senza problemi di sicurezza e senza necessità di visibilità per alcuno, tutti accomunati da un sentimento di semplice comunione. La Costituzione di questa Repubblica ricorda a tutti, Operatori penitenziari e semplici cittadini, obiettivi semplici e chiari, in parte alla portata, all’articolo 27: …le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

 

Giuseppe Pilumeli

Comandante Polizia Penitenziaria

Casa Circondariale di Prato

Diritti: 2,6 milioni di famiglie sono sotto la soglia di povertà

 

Adnkronos, 3 dicembre 2007

 

Secondo i dati elaborati dalla Cgia di Mestre, la maggior parte dei nuclei familiari che vive in ristrettezze economiche è rappresentata da coppie con tre figli a carico. Sono il 30%, più del doppio di marito e moglie anziani.

Sono 2 milioni 600mila le famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà in Italia. E la maggior parte non è rappresentata dagli anziani, come vogliono e raccontano spesso le cronache, bensì da famiglie con minori a carico. In Italia il 30% dei nuclei con tre figli a carico vive, infatti, al di sotto della soglia di povertà. Più del doppio delle coppie di anziani: il 12,5% di questi ultimi vive in gravi ristrettezze economiche. La conferma giunge dai dati elaborati nell’ultima esplorazione dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre.

"Forse - commenta Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre - bisognerà rivedere la nostra spesa sociale. Meno pensioni e più aiuti alle famiglie con figli". La mappatura delle difficoltà dei nostri nuclei familiari si fonda sull’analisi di alcuni indicatori, partendo dai numeri con cui si definisce la soglia di povertà. Per i single è di 582,20 euro al mese, per chi vive in coppia di 970,34 euro, per nuclei di tre persone di 1.290,55 euro e di 4 persone di 1.581,65 euro. Sulla base di tali parametri emerge un nitido scenario: le famiglie con minori a carico hanno grossi problemi ad arrivare a fine mese.

E non si tratta di un’emergenza che coinvolge esclusivamente famiglie numerose con tre o più figli a carico. Anche moglie e marito con due minori sono fortemente rappresentati tra i 2 milioni 600mila nuclei familiari. Praticamente, in Italia due famiglie su dieci, con due figli a carico, sono povere. Davvero povere. Non solo.

Il 20% delle famiglie più numerose (tre minori a carico) arriva a fine mese con molte difficoltà, il 30,9% non riesce a sostenere le spese impreviste, il 26,6% è in arretrato con le bollette, il 10,9% non ha avuto soldi per mangiare il 14,7% non ne aveva a sufficienza per curarsi e quasi il 30% non ha avuto abbastanza soldi per vestirsi. Una situazione che non rende però meno drammatica la condizione di miseria vissuta da un esercito di capelli grigi: il 3,4% delle coppie di ultra-sessantacinquenni non rispetta le scadenze di pagamento delle bollette. L’11% ha difficoltà ad arrivare a fine mese, il 4% non ha avuto soldi per i generi alimentari, il 12,4% per gli abiti e il 13,1% per le spese mediche.

Droghe: il secondo compleanno alla legge Fini-Giovanardi

di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 3 dicembre 2007

 

Dopo diversi giorni, anche il ministro Paolo Ferrero ha finalmente detto la sua sul dibattito "narco-sala" a Torino: senza cambiare la legge, la riduzione del danno è impossibile. Ovvio il riferimento alla principale forma di riduzione del danno di cui si parla da settimane: la sperimentazione di una narco-sala a Torino.

Noi ed i nostri legali siamo convinti che non sia così, ma evidentemente i legali del ministro hanno a cuore il quieto vivere del Palazzo piuttosto che la vita di decine di migliaia di malati abbandonati a sé stessi per strada. La colpa è della legge Fini-Giovanardi, spiega il ministro: "In Italia c’è un’egemonia del pensiero iperideologico di destra, che rende difficile il cambiamento".

Quello che vorremmo far notare al ministro, evidentemente non di destra, è che proprio il suo Governo ha mantenuto tale legge in vigore e non ha alcuna intenzione di cambiarla. La legge, entrata in vigore per la prima volta a dicembre 2005, rimane immutata nonostante un Governo non di iperdestra sia stato eletto pochi mesi dopo. Nonostante proclami, proteste più o meno sincere e programmi elettorali, l’attuale maggioranza di centro-sinistra ha garantito alla legge Fini-Giovanardi il secondo compleanno.

Non solo, ma questo Governo e area politica - non di iperdestra - hanno introdotto o preannunciato provvedimenti ancor più proibizionisti e repressivi dei predecessori: divieti su alcool, sigarette, prostituzione, gratuito patrocinio per chi è accusato di droga, controlli con unità cinofile nelle classi scolastiche, carcere per i lavavetri, etc.

Insomma, o il ministro Ferrero non si rende conto di essere in un Governo di "iperdestra", oppure gli va bene così e gioca la sua parte da "ipersinistra". Ma almeno non continui a dare la colpa ad altri. Offende la sua intelligenza e soprattutto le aspettative di quei malati che da lui e dal suo Governo si aspettavano di più, molto di più.

 

 

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